IN FINDING LOVE
Esthar I

I suoi risvegli erano sempre stati così.

Apriva gli occhi e si guardava intorno, come per capire cosa fosse successo; e poi risentiva Rinoa al suo fianco e il primo sorriso della giornata si affacciava sulle sue labbra. Lei era in grado di fare anche quello; farlo sorridere senza un motivo, con la sua semplice presenza.

Le strinse le braccia intorno un po' più forte; era quasi incredibile come riuscissero a rimanere abbracciati tutta la notte, pur con i movimenti che il sonno portava naturalmente. Adesso ad esempio Rinoa dormiva sul fianco dandogli la schiena, ma era comunque stretta a lui.

Un'altra cosa che lo faceva sorridere.

Affondando il viso tra i suoi capelli per iniziare il loro rito del risveglio, si ritrovò a chiedersi cosa altri avrebbero pensato di loro, vedendoli così. L'idea gli era piombata in testa il giorno prima, quando aveva aperto gli occhi e sorpreso Caraway nella stanza, mentre la sensazione della testa di Rinoa sul petto si faceva strada nei suoi sensi ancora vagamente obnubilati dal sonno.

Chissà come sembravano dal di fuori? Lo specchio non serviva; restituiva solo un'immagine di loro due teneramente allacciati sotto le coperte, ma non aveva l'occhio dell'osservatore che poteva essere un amico o un padre. Che poteva amarli e sorridere vedendoli felici, come faceva sempre Selphie e come gli era sembrato che facesse Caraway il giorno prima. Oppure poteva invidiarli, o rimanere indifferente.

Lo specchio non era umano; rifletteva, ma non sentiva, non riempiva l'immagine di sentimenti.

Lasciare a Rinoa ancora un po' di tempo per fingere di dormire gli permise di vagare con la mente tra i ricordi; e si accorse di come, prima dell'arrivo di lei, non vi fosse nulla che gli faceva venir voglia come ora di rimanere a letto. Trovava delle scuse per questo, anche se entrambi sapevano che non erano vere. E in ogni caso, riguardavano sempre lei.

D'inverno, le montagne di coperte che si buttavano addosso, abituati com'erano a dormire nudi, creavano un nido così caldo e confortante; che voglia poteva mai avere d'alzarsi? Eppure sapeva che mai, prima che arrivasse lei, avrebbe pensato a qualcosa come a un nido, tanto meno se si trattava di un letto.

E d'estate, era un tale sollievo sentire le lenzuola fresche sulla pelle nuda; doveva forse gettarsi così velocemente nella calura? E anche mentre lo diceva col suo sorrisetto sornione, sapeva che se non fosse stato per Rinoa probabilmente quel sollievo non l'avrebbe nemmeno immaginato, e avrebbe continuato a dormire perfettamente vestito.

E poi rimaneva quella voglia di prolungare un abbraccio lungo un sonno, fino a fare l'amore con lei. Anche quella, un'altra delle cose che prima di lei non avrebbe mai neppure lontanamente considerato. E anche quella una cosa che aveva subito così tanti cambiamenti in quegli anni; prima indifferente, poi una risposta prepotente del suo corpo a lei, risposta che cercava di mascherare come poteva, poi un bisogno della sua anima smarrita, che voleva quella vicinanza più di ogni altra cosa; bisogno che si era anche sciolto in puro desiderio e amore quando lei gli si era abbandonata contro.

E ora era sempre più bisogno fisico che sentiva fin dentro l'anima, in cui lei riusciva a penetrare per farne risuonare le corde in sussurrate grida d'amore.

Era cambiata così tanto, la sua vita.

Tutto quello che era stato prima che arrivasse lei, lo ricordava in sfilacciate immagini in bianco e nero; come se la sua mente negasse loro un'esistenza che non fosse lontana e indegna d'essere accompagnata dai colori che invece erano vividi e luminosi quando c'era lei. Tutto quello che aveva pensato prima che arrivasse lei, lo ricordava vagamente, come se non fosse stato lui ad esserne convinto. Tutto quello che aveva fatto, anche seguire ordini che non condivideva, gli sembrava stupido e illogico anche se allora aveva pensato di non poter fare diversamente. Tutto quello che lui era, lei lo aveva sconvolto, messo in dubbio, costringendolo a ripensarci.

Fino a quei giorni prima della loro vacanza, fino agli ultimi quattro giorni, in cui aveva pensato di lasciare la Seed.

Eppure, era felice.

Aveva sempre pensato che la sua vita sarebbe stata quella: un mercenario che non avrebbe messo in discussione gli ordini, ma non avrebbe nemmeno rinunciato a far sapere cosa ne pensava. Un mercenario che avrebbe messo a rischio la propria vita, dietro lauti compensi. Poi la sua storia aveva iniziato ad essere diversa; la strega, diventare Comandante, innamorarsi di Rinoa, ritrovare degli amici e salvare il mondo insieme a loro.

Hyne, non si poteva biasimarlo se ora aveva solo voglia di una vita tranquilla, di una famiglia, di una casa.

Il suo flusso di pensieri fu interrotto da Rinoa, che si era voltata aprendo gli occhi e che ora si stringeva a lui. "Buongiorno," le mormorò, ricambiando il sorriso di lei. Quanto era bella, Rinoa; persino appena sveglia, l'aria assonnata le regalava un'espressione dolcemente languida, che ai suoi occhi pareva renderla solo più radiosa. Aveva lo sguardo appannato, un sorriso placido disegnato sulle labbra piene che gli stavano mormorando il loro buongiorno...e di cui sentì d'aver bisogno come mai prima d'allora. Ora toccava a lui. Il percorso che lei aveva già seguito e che la portava lì, con una sorta d'aura di serenità attorno a sé, doveva adesso seguirlo lui.. Toccava a lui adesso fare tutto quello che lui stesso aveva costretto lei a fare: chiamare Laguna, svelare a Rinoa il motivo del suo rancore, stare in agitazione per tutto il viaggio e affrontare quei fantasmi. Lei gli era accanto, ma in qualche modo era solo. Non nel senso più doloroso, quello che conosceva bene fin da bambino; ma nel senso più adulto del termine, per cui lui avrebbe dovuto accettare, così come aveva fatto lei, che non poteva averla con sé in ogni cosa.

Ci sarebbero sempre state situazioni in cui lei gli sarebbe stata accanto, ma non avrebbe potuto essere insieme a lui.

E lui non sapeva se era o meno forte abbastanza da non averla con sé mentre affrontava suo padre...

...poi la sentì posare la testa sul suo petto. E il conforto che sembrò invaderlo e spazzar via ogni altra cosa quando sentì la morbida carezza dei suoi capelli sulla pelle, gli aprì gli occhi: in fondo, bastava che lei ci fosse. Prima a dargli forza e poi a dargli conforto; bastava sapere che lei ci fosse.

E lui avrebbe lottato, per se stesso, per lei, per loro.

Con un sorriso, la fece stendere dolcemente sul letto prima di scendere a posarle la testa sul petto, con un bacio leggero sul seno sotto a cui batteva il suo cuore. Gli piaceva baciarla in quel punto, era come poter bere il suo battito, la sua vita, con un semplice gesto d'affetto; e anche a lei pareva piacere quando lui cercava quel suono familiare e rassicurante dopo averle permesso di ascoltare il proprio ritmo naturale. La sentì infilargli le dita tra i capelli, accarezzargli la testa in un gesto a metà tra il materno e il seducente; Rinoa sapeva benissimo quanto a lui piacesse essere accarezzato tra i capelli. Sembrava non dimenticarsi mai di cosa lui amasse e di cosa invece gli desse sui nervi; aveva quella capacità di sapere sempre cosa dirgli, cosa fargli, come tranquillizzarlo o pungolarlo per farlo rimanere la persona che era pian piano diventata in quegli anni vissuti insieme, se non addirittura per farlo migliorare.

Lasciò correre la mano lungo il fianco di lei, sfiorandole appena la pelle e sentendola inarcarsi e irrigidirsi appena, sotto di lui, per i brividi che le sue carezze le sprigionavano dentro; chiuse gli occhi, godendosi quel momento tranquillo e così perfetto, mentre la sua mano le raggiungeva il ventre e vi si fermava nella carezza tenera al punto in cui la vita dei loro figli sarebbe un giorno sbocciata.

Figli. Solo qualche giorno prima, a lei era sfuggita quella parola e lui aveva finto di non sentirla, cercando di scacciare dalla sua mente i ricordi di quello che s'era scatenato dentro di lui quando l'aveva sentita, con l'unico risultato di pensarci sempre di più. E aveva iniziato, in quei pochi giorni, a considerare l'idea di avere figli da Rinoa -a considerare come farli vivere, dove, e perché il Garden gli sembrava sempre meno una 'casa' -sempre meno ciò che era stato per anni nella sua mente, l'unica abitazione che potesse dire di aver mai avuto, e sempre più un luogo soffocante che non gli permetteva di vivere fino in fondo, ma tarpava le ali a lui e a Rinoa con le sue regole spesso assurde e incomprensibili.

E solo il giorno prima, era andato a cercare per la sua famiglia -era così...rassicurante pensare già a loro come a una 'famiglia'...- un posto che potesse essere una casa. Meno asettico, meno bianco, meno rigido e controllato e più caldo, vivo, vibrante nella città che lo aveva travolto con le emozioni che pulsavano in ogni singola pietra che la componeva. Chissà se Rinoa aveva intuito a cosa stava rimuginando, ogni volta che gli aveva chiesto preoccupata cosa stesse succedendo? Chissà cosa avrebbe detto, quando lui le avrebbe confidato che un piccolo appartamento che si affacciava sulla piazza di Timber stava aspettando che loro lo rendessero la loro casa, e che lui aveva già trovato un lavoro per entrambi con cui mantenere i bambini che volevano avere?

Gli sembrava di poterla vedere, con il sorriso che le scintillava negli occhi ancora prima di dipingersi sulle sue labbra; gli sembrava di sentire l'abbraccio violento in cui l'avrebbe stretto, quando avrebbe saputo che tutto ciò da cui l'aveva quasi esclusa in quelle settimane non era in realtà che il più grande progetto di vita insieme che potevano concepire.

Le dita tra i suoi capelli si muovevano pigramente, come guidate da vaghi residui di un sonno che non si era ancora del tutto disperso dai loro corpi; gli ricordava così tanto quella prima mattina in cui si erano svegliati insieme, a Esthar, al palazzo presidenziale -proprio dove, probabilmente, avrebbero dormito anche quella notte.

Se i ricordi che avevano preceduto quella notte passavano veloci e inafferrabili nella sua mente, sbiaditi, come se non valesse la pena ricordarli, da allora tutto era sembrato rallentare e piantarsi per bene dentro di lui, senza svanire, imprimendosi nella sua memoria per essere richiamato, in momenti come quelli, in tutta la sua potenza e perfezione.

La rabbia mescolata al dolore che l'aveva colpito in tutta la sua solitudine quando il film della sua infanzia gli era scorso davanti agli occhi, richiamato dalle parole di Laguna, che gli raccontavano di un padre lontano, creduto morto e che invece era vivo e sapeva della sua esistenza grigia, vuota e sola, spesa in un orfanotrofio, sotto la pioggia, a giurare promesse che era incapace di mantenere. La frustrazione che gli accecava gli occhi di lacrime mentre sbatteva la porta di fronte al viso preoccupato di Laguna, e camminava spedito verso chissà dove, qualunque posto che gli desse qualche idea di tranquillità e lontananza dal chiasso era il posto che lui stava cercando. E poi il sollievo del suono leggero dei tacchi alti di Rinoa che penetrava nei suoi sensi annebbiati dal furore, il conforto delle sue dita che gli si avvolgevano intorno al polso, la voce tenera che gli accarezzava l'udito e il corpo che si premeva al suo in un abbraccio in cui aveva trovato il pianto privato di cui aveva disperato bisogno.

E poi tutto si era sciolto in amore e desiderio, nel bisogno di un conforto estraneo eppure così cercato, così voluto, così già amato; era quello che ricordava meglio, il modo in cui la sua voce tremolante sussurrava calda e languida all'orecchio di Rinoa la sua richiesta più intima, fai l'amore con me. Lei era sembrata sciogliersi nel suo abbraccio, come se già quel gesto di affetto la unisse a lui più di quanto fosse fisicamente possibile; l'aveva sentita muoversi lentamente, sussurrargli il suo assenso e il suo desiderio, lasciarsi guidare verso quella camera che fin da allora gli era rimasta scolpita nella memoria.

Ricordava perfettamente ogni particolare; ricordava come la camera gli fosse sembrata troppo buia quando erano entrati e il viso di Rinoa gli era rimasto in parte nascosto, ricordava come la luce della luna avesse gettato pallidi raggi sul letto, ricordava come la pelle di lei fosse bianca e morbida quasi quanto le lenzuola lucenti in cui s'erano avvolti, ricordava ogni gemito e ogni sospiro, ogni carezza e ogni bacio, ogni parola sussurrata per rassicurarlo e asciugare le lacrime che da furiose si erano fatte lacrime d'amore. Ricordava come ogni particolare di quella notte gli fosse sembrato perfetto; dal desiderio dolce della sua richiesta sul balcone all'assenso languido di Rinoa, dalla passione dei suoi baci alla tenerezza dei suoi movimenti, dalla potenza dei loro gemiti alla morbidezza dei loro sussurri. Non c'era stato nulla, allora, che potesse rovinare quello che era stato; nemmeno l'essere ad Esthar e non a casa, nemmeno il trovarsi in casa di un uomo che lo aveva ferito e fatto infuriare fino a piangere di frustrazione tra i capelli di Rinoa.

Forse era stato da quella sera che casa era diventata tutto ciò che Rinoa era -tutto quello che loro erano. Forse era stato solo quando l'aveva stretta a sé e fatta sua che aveva aperto gli occhi per la prima volta e aveva scoperto che non c'era altro mondo al di fuori di quello che loro stessi creavano.

Ed era ironico che quando aveva scoperto tutto quello per la prima volta il resto aveva iniziato a sfuggirgli di mano e la sua vita era diventata un susseguirsi di emozioni che lo aveva travolto, sempre di più e sempre più a fondo, strappandogli parole che gli sembrava di pronunciare ancora prima di averle pensate, smarrito come un bambino che ha perso la mamma. E poi di nuovo lei, il suo sorriso, il suo abbraccio, il conforto di saperla travolta quanto lui da quell'amore incontenibile.

Nella sua capacità di rassicurarlo condividendo la sua stessa inquietudine, Rinoa era diventata il suo più importante punto d'appoggio, in grado di guidarlo fuori dalla tempesta in cui si trovava così all'improvviso.

Ed era il suo punto d'appoggio anche ora, mentre lo teneva in seno accarezzandogli piano i capelli, mentre le emozioni si agitavano dentro di lui impedendogli di capire che cosa stesse provando; non avrebbe voluto ammetterlo, ma l'idea di incontrare Laguna, e soprattutto di parlargli, lo sconvolgeva molto più di quanto volesse dare a vedere.

La cosa non gli era indifferente quanto sembrava.

Di cosa avesse paura, non sapeva definirlo; non sapeva nemmeno stabilire se quella che provava fosse paura o una semplice irrequietezza nel trovarsi di fronte ad una persona che lo aveva sempre messo a disagio. E Hyne, non si poteva biasimarlo se, per il capriccio delle colpe di qualcuno, si trovava a disagio di fronte a suo padre dopo aver visto e sentito ciò che stava nella sua testa, dall'amore per Julia all'affetto per i suoi amici al nuovo amore per Raine.

Era così inquieto ed agitato che poteva solo tranquillizzarsi nel sorriso di Rinoa e nelle sue carezze morbide sulla sua testa appesantita dalle preoccupazioni.

Aprì gli occhi che aveva chiuso, poco prima, quando si era accoccolato tra gli accoglienti seni caldi di lei; posò un bacio leggero sulla sua pelle, risalendo lungo le sue curve alla ricerca del conforto che poteva trovare solo in Rinoa. Stava per chinarsi per un bacio quando lei lo fermò con un dito sulle sue labbra già dischiuse e mormorò, con un luccichio quasi divertito negli occhi, "devi chiamare tuo padre..."

Allora toccava davvero a lui. E Rinoa lo sottolineava a metà tra il divertito per la piccola e innocente vendetta che poteva prendersi, e il supporto dolce che anche lui, due giorni prima, le aveva regalato. Era, forse, il modo di lei di alleggerire una tensione altrimenti insopportabile per entrambi; l'unico modo che avrebbe evitato -e lei lo sapeva bene- che lui desse più importanza alle sue emozioni negative di quanta in realtà ne avessero. L'unico modo con cui stemperare la sua finta indifferenza nell'inquietudine sana che lei aveva già conosciuto e superato.

Alla fine, lei diventava la sua guida anche in questo.

Affondò il viso tra i capelli di lei, e mormorò, "mmmh, devo proprio, Rinoa...?"

Lei sorrise una risatina da gatta, notando come le parti si fossero invertite e come lui ora fosse riluttante a fare qualcosa a cui due giorni prima l'aveva costretta. Si faceva seduttore, come aveva fatto lei, con quella serie di baci sul collo che dovevano piegare la sua resistenza e farle dimenticare che non potevano piombare ad Esthar senza che lui avvertisse.

Ma lei era preparata a tutto quello, sapeva bene che anche lui ci avrebbe provato e sapeva che, come lui aveva resistito per lei alle sue arti, ora toccava a lei non lasciarsi andare prima d'avergli strappato la promessa di fare quel primo passo tanto temuto.

"Sì, devi proprio...sono giorni che rimandi e ora devi chiamarlo, Squall, forza..."

Lui parve non sentirla, continuando a tracciarle un leggero sentiero di baci sul collo, sfiorandole appena la pelle con le labbra e strappandole i primi gemiti a malapena trattenuti che parevano ogni volta inebriarlo di piacere. Lei probabilmente non si rendeva nemmeno conto di come quei suoni inarticolati fossero seducenti per lui...

"Squall," riuscì a dire lei, più o meno fermamente, tra i baci che già le annebbiavano la coscienza, "devi chiamarlo..."

Lui sapeva benissimo che lei aveva ragione; doveva avvertire che sarebbero arrivati quel pomeriggio, ma l'idea di chiamare Laguna, spiegargli che sarebbero andati a trovarlo e perché...tutto questo non lo attirava per nulla e lui voleva rimanere lì con lei a dimenticarsene.

"C'è tempo," mormorò cercando nuovamente di catturarle le labbra in un bacio; ma lei gli puntò le mani sul petto allontanandolo da sé, e guardandolo negli occhi rispose, "no, Squall, non c'è tempo. Se non lo chiami ora -se non ti impegni a chiamarlo, so che non lo farai. Io sono qui con te, Squall...", terminò addolcendo la voce e accompagnando il suo incoraggiamento con una carezza sulla guancia di lui, "e sono qui per starti vicino...e obbligarti a chiamare tuo padre."

Lui riaprì gli occhi, fissandola con uno sguardo sornione e divertito; si strinse di più a lei, facendo aderire i loro corpi e strusciando la sua eccitazione contro di lei fino a quando la sentì gemere nuovamente contro al suo orecchio. Non sapeva dirle quanto fosse orgoglioso, felice, sollevato e fortunato ad averla accanto...non aveva parole quel giorno, aveva solo quei gesti d'amore e desiderio.

Con la voce rotta dall'eccitazione che gli saliva dentro veloce, le sussurrò all'orecchio, conscio di come anche quel sussurrare divenisse seducente, "d'accordo...dopo lo chiamo..."

Lei mugolò unapprezzamento, non sapeva se per quello che stava facendo al suo corpo o per la decisione che aveva finalmente preso; pensò che meritasse un premio, quel conforto e quel sollievo che cercava in lei da lunghi minuti, e mormorò con un sorriso, "prometti...?"

La sua voce ansimante sembrò stupirlo per un momento, non si aspettava che avesse bisogno di ulteriori conferme, una volta che lui avesse ceduto e acconsentito a fare quello che lei aveva chiesto. Si sollevò a guardarla e con un'espressione meravigliata dipinta sul volto rispose, "certo che te lo prometto, Rinoa...che-"

Ma lei lo interruppe, sorridendo ancora di più, mentre lo rovesciava sul letto e saliva sopra di lui; "bravo...", mormorò, premendo le sue curve contro di lui e strappandogli un gemito compiaciuto, prima di ottenebrargli i sensi con un bacio.


Non aveva mai amato il caffè.

Aveva iniziato a berlo solo dopo aver conosciuto Squall, quando in quei pochi mesi di avventure che si susseguivano a ritmo frenetico le era servito qualcosa che le impedisse di crollare addormentata nel mezzo di una battaglia. E ora invece non sentiva d'aver iniziato la giornata se prima non aveva bevuto una tazza del liquido nero e fumante a cui Squall l'aveva involontariamente abituata.

Poteva dire, in qualche modo, che quello fosse uno dei pochi piaceri a cui l'aveva iniziata Squall.

Il pensiero la fece sorridere, mentre notava che il profumo del caffè non sembrava quasi lo stesso senza lui accanto. Era stato così anche per lui, quando lei si era allontanata a chiamare suo padre e lui era rimasto ad aspettarla per colazione?

Possibile che fossero così legati da non riuscire più a fare le cose più semplici, come la colazione, senza essere vicini?

Forse compensava il fatto che, per la maggior parte del giorno, erano lontani e gli unici momenti in cui potevano davvero stare insieme erano proprio quelli delle cose più semplici; la colazione, da fare insieme, a volte il pranzo, quel paio d'ore tra il momento in cui lui interrompeva il suo lavoro alla fine della giornata e la cena, la notte che solo da qualche tempo potevano trascorrere insieme senza incappare nelle ire di Cid.

E per quanto sembrasse normale, per quanto lei riflettesse che era così anche per tutte le altre coppie, le pareva che ci fosse qualcosa di diverso in loro. Forse era il fatto che avevano imparato a non dare per scontato di esserci sempre l'uno per l'altra, forse avevano soltanto troppa paura di una missione troppo pericolosa che li avrebbe allontanati...o forse, per quanto fossero usciti rafforzati da quella storia, e per quanto fossero cresciuti in quegli anni trascorsi insieme, erano ancora troppo fragili e feriti per non avere costantemente bisogno dell'altro.

Completamente persa in quei pensieri, non si accorse del ritorno di Squall e sussultò quando un giornale venne distrattamente gettato sul tavolino di fronte a lei, mentre il suo fidanzato si lasciava pesantemente cadere su una delle elaborate sedie in ferro battuto del giardino della Residenza Caraway.

Le sembrava così stanco, Squall, come se una semplice telefonata fosse bastata a risucchiargli tutte le energie e a lasciarlo così, abbandonato su una sedia ad occhi chiusi, senza riuscire a dirle nulla. Allungò una mano a massaggiargli delicatamente lo stomaco, mentre gli mormorava con voce preoccupata, "tutto bene, mmmh?"

Lui aprì gli occhi, fissandola mentre lei continuava il suo massaggio di conforto, rimanendo in silenzio così a lungo che Rinoa credette che non l'avesse sentita; poi posando una mano su quella di lei, rispose con la voce arrochita, "arriveremo oggi pomeriggio, ci lascerà la serata per stare un po' soli...e poi, domani..."

"Sì...", interruppe lei, intuendo che poteva evitargli di dire qualcosa che sembrava metterlo in imbarazzo, se non addirittura infastidirlo. Nel tentativo di tranquillizzarlo, riprese il massaggio delicato che aveva interrotto quando lui aveva posato la mano sulla sua, insicura di cosa realmente potesse fare. Di nuovo, si trovò a chiedersi se anche lui si fosse sentito così impotente e incerto quando lei si era trovata al suo posto, se anche lui avesse freneticamente cercato il modo di calmarla e rassicurarla, senza trovarlo.

Lui pareva non accorgersi di quello che lei stava cercando di fare, e aveva aperto il giornale sul tavolino come ogni mattina, cercando di distrarsi affondando la mente nelle parole nere che popolavano la pagina. Ma le lettere si accavallavano, impedendogli di decifrare cosa significassero, i segni si confondevano fino a diventare un miscuglio incomprensibile che danzava davanti ai suoi occhi fino a fargli perdere la pazienza, mentre lo sguardo dolce di Rinoa rimaneva fermo su di lui, pervaso da una nota di preoccupazione. Chiuse il giornale con un gesto stizzoso, prima di voltarsi verso di lei, guardandola quasi con occhi smarriti.

Con un sorriso comprensivo, lei avvicinò la sedia a quella di lui, abbracciandolo nel tentativo di confortarlo prima di dirgli, "vuoi parlarne, Squall?"

"Sì," mormorò lui semplicemente, senza aggiungere altro; intuendo che, come lei aveva fatto due giorni prima, lui stesse aspettando una sua domanda per parlarle, Rinoa chiese, "che cosa ti ferisce tanto, mmmh?"

Lui sospirò, passandosi una mano tra i capelli mentre lei gli si stringeva più forte e appoggiava la testa sul suo petto; "non lo so, Rinoa..."

Lei tacque, per dargli il tempo di continuare quando avrebbe voluto -se avrebbe voluto. Infatti, poco dopo, lo sentì posare il mento sulla sua testa e mormorare ancora, "credo che...sia l'idea...ho sempre pensato che i miei genitori fossero morti. Non li ricordavo ed era come se non fossero mai esistiti, ed era più...facile per me da accettare. Era come se...come se non l'avessero voluto. Era semplicemente successo e io non avevo nulla da...rimproverarmi. Non era perché non volevano me...era perché non potevano fare altro. Non c'erano. Come potevano occuparsi di me?"

Realizzare cosa lui intendesse con 'rimproverarsi' le fece aprire di colpo gli occhi che aveva inconsciamente chiuso quando lui aveva iniziato a parlare; possibile che credesse davvero...?

"Invece quella sera," continuava intanto lui, stringendola ancora di più a sé, "quando mi ha detto cosa era successo...quando mi ha rivelato la verità, io...come potevo credere ancora a tutto quello a cui avevo sempre creduto? Persino Edea non mi ha mai detto la verità, e forse era proprio per questo...come puoi dire ad un bambino che suo padre non lo ha voluto? Raine era morta, ma lui...lui c'era, Rinoa. Lui sapeva dove mi trovavo -sai che telefonava ogni settimana a Cid per sapere come stavamo io ed Ellione? Ma non ha mai chiesto di parlare con me, solo con Ellione...non ha mai nemmeno chiesto a Cid di dirmi qualcosa e lo so," disse quasi stizzosamente, prevedendo che Rinoa avrebbe cercato di difendere Laguna, "so che è infantile. Ma non ci riesco..."

Al contrario di quanto lui avesse pensato, Rinoa era rimasta in silenzio e aveva soltanto sollevato una mano dal suo grembo per tornare a massaggiargli lo stomaco in un gesto rassicurante. Confortato dal pensiero che lei non lo stesse giudicando, ma solo ascoltando, continuò, "i primi minuti, quando tu mi hai raggiunto sul terrazzo...ero furioso. Ero furioso con lui che non aveva avuto il coraggio di stare con me, e con me perché mi sentivo così sbagliato, Rinoa...iniziavo a pensare che qualcosa non andasse in me, se persino mio padre mi aveva rifiutato...e mi sentivo così debole. Avevo passato anni a convincermi che non serviva nessuno, che anche se Ellione se n'era andata a me non interessava poi tanto perché potevo farcela da solo...e poi bastava che arrivasse proprio l'uomo che avevo sognato così spesso a dirmi di essere mio padre e io crollavo."

Le sembrò che la voce gli tremasse, quando continuò, "non dubitai nemmeno che quello che aveva detto fosse vero. In quel momento ero così sconvolto e infuriato, e...umiliato, quasi, che non riuscivo a pensare a nulla. Mi pareva addirittura di non vedere bene, come se tutto fosse sfuocato e per evitare di fare una scenata, strinsi i pugni fino a farmi sanguinare le mani e andai sul terrazzo, dove mi hai trovato tu..."

Lei alzò gli occhi, con un sorriso dolce e comprensivo sul volto, al ricordo di quello che era successo dopo che lei lo aveva raggiunto; le parve che anche il tono di lui si addolcisse, mentre le sussurrava, "non avevo mai pensato, prima di allora, di avere così bisogno di te -così totalmente bisogno di te. E del modo in cui mi amavi, anche se ero...anche se ero io ed ero stato davvero insopportabile con te. E...del modo in cui avevi resistito per me, in cui avevi sopportato ed eri riuscita ad arrivare a me...e della persona che mi avevi aiutato a diventare. Credo che...credo che se non ci fossi stata tu, Rinoa, quella sera avrei definitivamente iniziato a pensare che amarmi era impossibile...che ero una persona davvero orribile se nemmeno mio padre era disposto a starmi accanto, fosse anche solo per qualche ora..."

Tacque un momento come a recuperare la voce che si era man mano assottigliata in un filo per la commozione, prima di confessare ancora, "ma tu c'eri. Mi hai abbracciato, mi hai lasciato piangere...mi hai permesso di fare l'amore con te anche se volevi aspettare -me lo ricordo...ricordo che mentre piangevo, riuscivo a pensare solo che volevo mostrarti che ti amavo. Che ti ero grato per amarmi comunque, anche quando ero cinico...che ti ero grato per amarmi in quel momento -tu," cercò di continuare con la voce sempre più rotta, "tu mi hai salvato. Anche allora, e io...non credo riuscirò mai a dirti, o dimostrarti, quanto te ne sono grato...quanto ti amo, anche per quello."

Le posò un dito sulle labbra quando vide che voleva dirgli qualcosa, sentendo che se le avesse permesso di interromperlo non sarebbe più riuscito a dirle altro, e invece aveva così bisogno di continuare, di confessare le angosce che lo avevano tenuto sveglio la notte e di ringraziarla per quel supporto silenzioso e dolce che lei gli aveva donato.

"Solo dopo, quando siamo tornati al Garden," riprese, "ho cercato di ricordare e mettere insieme tutto quello che sapevo per provare a me stesso che Laguna si era sbagliato e non ero io suo figlio. Ho cercato di ricordare tutti i sogni che mi aveva mandato Ellione, se c'era qualcosa che potesse permettermi di credere che le date erano sbagliate, ma mi riusciva solo di ricordare il sogno in cui vedevo Raine, Ellione e Laguna insieme..."

Lei tacque, ben sapendo il dolore che quel sogno gli aveva procurato; ricordava l'intensità malinconica con cui lui glielo aveva raccontato, il senso di esclusione da una scena familiare, così normale e comune, che lui avrebbe potuto -che avrebbe dovuto vivere. Raine e Laguna che scherzavano e giocavano con la piccola Ellione, cosa che con lui non avrebbero mai potuto fare. Ricordava l'accento rassegnato di Squall, una gelosia che si andava sfumando in una dolorosa nostalgia di qualcosa regalato ad altri e negato a lui. Forse era infantile; ma era anche tremendamente umano.

"Ricordi, fu allora che andammo a Winhill insieme...fu allora che vidi la tomba della mamma, la data della sua morte, fu allora che la vecchina dei fiori ci disse che era morta di parto e il mio ciondolo e l'anello erano un regalo di Raine. Fu allora che iniziai a sentirmi a disagio, fu allora che iniziai ad infuriarmi con Ellione e non tanto perché mi aveva 'portato via' mio padre. Hyne, mio padre sapeva dove eravamo ma ci ha sempre lasciato lì a cavarcela come potevamo...ero infuriato con lei perché per placare i suoi sensi di colpa ha mandato me nel passato di mio padre. Io non volevo vedere nulla attraverso i suoi occhi...non volevo vedere mia madre attraverso i suoi occhi e non volevo sapere cosa provasse, non in quel modo."

Lo vide sollevare una mano, dal suo rifugio contro il suo petto, e immaginò che se la passasse tra i capelli prima di confessare, finalmente, "ed ero geloso. Non lo volevo ammettere, ma ero geloso perché Laguna aveva lasciato tutto per seguire lei -tutto quello a cui teneva di più, Raine, Winhill...io, forse...tutto per cercare lei. Io non so, Rinoa...ero geloso e in fin dei conti sapevo di non averne motivo, perché quando Laguna è partito per cercarla e metterla in salvo, io non ero altro che un...nocciolino nella pancia di Raine. Ma mi sono sentito così...defraudato, in quei mesi...non so spiegarlo, ma quando ho realizzato che Laguna non mi aveva mentito, e il motivo per cui Ellione mi ha usato, io mi sono sentito abbandonato di nuovo. Come se fossi stato rifiutato un'altra volta...e per quanto Ellione non avesse davvero colpa di quello che era stato, non riuscivo a pensare a lei senza pensare anche che per cercare lei, mio padre aveva abbandonato me. E' stupido, è infantile, ma..."

"No," disse lei, alzando su di lui uno sguardo risoluto pur nella dolcezza, "no, non è stupido. Né infantile. E' umano, Squall. E anche se ci sono persone che ti diranno che loro non l'avrebbero fatto, al tuo posto si sarebbero comportate esattamente come te."

Lui sorrise, non troppo convinto ma comunque grato di quel tentativo; posandole un bacio sulla testa, continuò, "non so perché poi sono riuscito a superare il rancore per Ellione, ma non per Laguna. Mi è sempre sembrato che...non so, che Ellione fosse una ragazzina come noi e che in ogni caso, anche lei aveva sofferto. Cercata, trovata e poi inviata a Winhill e poi ancora da Edea insieme a me...credo che anche per lei tutto questo sia stato insopportabile. Solo che invece di infuriarsi con me, ha iniziato a sentirsi in colpa. E ha cercato di rimediare, a modo suo...non pensava di farmi del male. Credo che volesse...aiutarmi."

La sentì annuire contro il suo petto, un po' per il ricordo di come quel periodo fosse stato vissuto e superato da entrambi e un po' per fargli capire che era d'accordo con lui; con un grosso sospiro, lui terminò, "ma con lui non ce la faccio. So che anche lui deve aver sofferto e che nemmeno per lui è stato facile -Hyne, non so quante volte mi è stato ripetuto in tutti questi anni. Ma...non capisco. Non capisco perché non sia tornato a prenderci...ci ho pensato per così tanto tempo, Rinoa...è vero, all'inizio eravamo più al sicuro da Edea. Esthar era ancora incasinata, e lui non poteva stare con noi, che eravamo piccoli -io avevo pochi mesi...e capisco che in quel periodo lui non potesse stare con noi. Lo accetto, perché era davvero la cosa migliore che potesse fare. Ma poi, Rinoa...poi non c'era nulla di pericoloso nello stare con lui..."

La voce gli si ruppe di nuovo, e chiuse gli occhi, deglutendo a fatica, nel tentativo di calmarsi e continuare mantenendosi il più calmo possibile. Non poteva crollare adesso; aveva ancora così tanto tempo davanti, così tante cose sarebbero successe -non poteva lasciarsi andare adesso, cosa avrebbe fatto dopo? Riaprendo gli occhi, cercò di terminare il più coraggiosamente possibile, "ma ci ha lasciato là. Poteva venirci a prendere, poteva farci stare con lui e farci crescere con lui...ma non l'ha fatto. Ed è questo che non riesco a perdonargli. Perché questa vigliaccheria? Di cosa aveva paura? Eravamo solo due bambini...eravamo solo due bambini e lui amava già una di noi. E io sono anni che continuo a chiedermi se non ci sia qualcosa, in me, che l'ha trattenuto. Se non fossi...io, ad essere sbagliato -se non fosse che non mi voleva accanto e ha preferito lasciarmi crescere in un orfanotrofio, e al Garden, e rivelarsi solo quando ero grande abbastanza da non...da non essere più un peso..."

Lei udì a malapena le ultime parole, la voce di lui s'era persa in un sussurro singhiozzato che strozzava la prima confessione che Rinoa avesse mai ottenuto su cosa gli provocasse quel disagio nei confronti di Laguna. Alzò gli occhi incontrando quelli chiusi di lui, qualche lacrima sporadica che scivolava sulle sue guance; come quella sera, la rabbia, il furore, l'umiliazione di un rifiuto che gli veniva buttato in faccia in tutta la sua crudeltà stava esplodendo dentro di lui e lo spinse a piangere ancora tra i capelli profumati di lei.

Decise di non dire nulla; non c'era bisogno che lui continuasse, non c'era bisogno che lei facesse nulla di più che tenerlo stretto e lasciarlo piangere privatamente sulla sua spalla, con l'unico conforto della sua presenza silenziosa e del suo tocco leggero. Se voleva dire ancora qualcosa, era solo una sua scelta. Lei avrebbe ascoltato, come allora, le sue parole oppure il suo silenzio stritolato in singhiozzi rabbiosi. Avrebbe tanto voluto dirgli che in lui non c'era proprio nulla di sbagliato; che in lui non c'era nulla che non si potesse amare e che la sua rabbia, il suo furore, non dovevano essere diretti contro se stesso, come non dovevano essere diretti contro Laguna. Avrebbe voluto dirgli che probabilmente anche Laguna aveva ritenuto di avere qualcosa, in sé, che lo rendeva inadatto ad amare e crescere due bambini piccoli che gli avrebbero ricordato Raine più di quanto non avesse voluto, perché insieme a Raine avrebbe ricordato i suoi errori. Avrebbe voluto dirgli che se Laguna lo aveva lasciato in quell'orfanotrofio alle cure di Edea e Cid era per amore, e se non gli aveva parlato per anni era per amore...e anche se non l'aveva più cercato dopo quella sera, era per amore.

Ma sapeva anche che in quel momento Squall aveva solo bisogno di essere confortato senza discorsi che sapevano di rimprovero, senza che gli venissero dette cose che avrebbe dovuto sentire dalle labbra di Laguna. Rimase ferma e in silenzio mentre le mani di Squall le accarezzavano la schiena nel tentativo di calmare il suo animo in subbuglio, e le lacrime di lui le bagnavano le spalle; solo quando lui si separò lentamente da lei, aprendo gli occhi per regalarle uno sguardo dolce di gratitudine, mormorò, "vedrai che si risolverà tutto, Squall..."

Lui sorrise debolmente, scostandole una ciocca di capelli dal viso con un'espressione poco convinta; solo allora lei si mosse a prendergli il viso tra le mani, per ripetere, "vedrai che si risolverà tutto..."

Lui le lasciò semplicemente scivolare una mano dietro la nuca per avvicinarle di nuovo la testa al petto.

Che volesse restare solo?

Eppure non l'aveva allontanata, l'aveva attirata a sé e adesso posava il mento sulla sua testa come se anche solo il silenzio gli fosse di conforto. Squall aveva sempre dei modi così poco ortodossi di farle capire cosa voleva o di cosa aveva bisogno. E pure, era così trasparente quando si trattava di lei; come due giorni prima, quando aveva chiaramente letto sul suo viso che non sapeva cosa fare per starle accanto. Lo sentì accarezzarle lentamente la schiena, come se fosse lei a dover essere tranquillizzata e confortata; alzò gli occhi, ma quello che voleva dirgli le morì sulla lingua quando lui le posò un dito sulle labbra con un sorriso e mormorò, "non devi fare le valige, mmmmh?"

Lei capì immediatamente che voleva rimanere solo, e con un sorriso complice che cercò di forzare sul suo viso preoccupato rispose, "sei sicuro, Squall?"

Lui ridacchiò, scompigliandole i capelli con una mano, "certo che ne sono sicuro, Rinoa. Come vuoi che arriviamo ad Esthar, altrimenti?"

Lei si allungò verso di lui, accompagnando con una carezza leggera sul suo viso il bacio che gli posò sulle labbra, "va bene...ti aspetto in camera..."

Fu solo quando i pochi indumenti che avevano usato in quei giorni furono sistemati nella valigia che uscì sul balcone, cercando di non farsi notare, a osservare cosa Squall stesse facendo.

Era là, in basso, steso per terra nell'erba, le mani a fargli da cuscino dietro la testa, lo sguardo perso nel blu terso del cielo, in alto sopra di loro.

E, cosa che la stupì parecchio, aveva un sorriso sereno sul volto.

Forse, restare solo era la cosa migliore che potesse fare; come lei si era chiusa nella loro camera d'albergo mentre lui era sotto la pioggia scrosciante, ed era rimasta a pensare per ore a tutto quello che era capitato e che l'aveva portata a piangere come una bambina nella vasca da bagno, così anche lui aveva bisogno di qualche minuto da solo, in cui riordinare i propri pensieri e fare luce su ciò che desiderava davvero, nonostante il rancore che poteva nutrire. E c'era riuscito. Se ne stava là a godersi l'erba sulla pelle e il blu del cielo che gli riempiva gli occhi, con il sorriso sereno di chi ha finalmente trovato un compromesso tra il passato e il futuro in un presente che era lui stesso a costruire, ogni secondo che passava.

Avrebbe voluto lasciargli altro tempo, perché capisse che non c'era nulla di sbagliato dentro di lui. Perché capisse che le scelte di Laguna non erano state dettate da un rifiuto di lui, che era solo un bambino in fasce, che gli avrebbe ricordato la moglie che aveva amato, che gli avrebbe dato la possibilità di redimersi. Perché capisse che Laguna non lo aveva abbandonato per rifiuto, ma per amore; perché capisse che se mai rifiuto c'era stato, non era stato nei suoi confronti.

Era Laguna che si era sempre rifiutato per quello che era.

Mordendosi un labbro all'idea di dover disturbare Squall proprio ora che era tranquillo, gettò uno sguardo veloce all'orologio, per avere la conferma che non potevano aspettare oltre; il loro treno sarebbe partito presto e per quanto Squall avesse ancora bisogno di tempo, il destino pareva non volerlo aspettare.

Lo raggiunse in giardino, trovandolo nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato; non pareva nemmeno essersi accorto che lei si stava avvicinando. Si voltò solo quando lei si sedette sull'erba accanto a lui, guardandolo con un sorriso a metà tra il sollevato e il preoccupato; "tutto a posto...?"

Lui sorrise, rialzandosi e scrollandosi quel poco di sporco che poteva essergli rimasto addosso, tendendole poi una mano per aiutarla; "sì, è tutto a posto..."

Intrecciando le dita con quelle di lei, iniziò a guidarla verso la casa, conscio che doveva oramai essere ora di partire e che dovevano ancora sistemare alcune cose e salutare il colonnello; ma lei si fermò, costringendolo a voltarsi, chiedendo di nuovo, "ne sei sicuro...?"

Con un sorriso che sembrava non potersi più cancellare dal suo volto, lui le prese il viso tra le mani, avvicinandosi alle sue labbra fino a quando poté sentire il respiro vagamente affrettato di lei sulla pelle; e rispose, "sì. Sono in pace con me stesso, Rinoa...e ne sono sicuro..."

In pace. Allora era vero; allora aveva capito che non era lui il problema, se mai problema c'era stato. Allora aveva capito che lui era degno d'essere amato, che meritava di essere amato anche quando fingeva di disinteressarsi di tutto e di tutti. Lo seguì mentre lui la guidava nella sua stessa casa, passando davanti al giardino delle rose di sua madre, fermandosi a coglierne una incredibilmente bianca, così pura da sembrare lucente, così fiduciosa da non avere spine; e le parve di vedere il suo futuro in tutta la sua abbacinante bellezza in quel capolavoro della natura, i vortici dei suoi sentimenti che seguivano le vie dei petali, il calore del suo amore che si sprigionava in quel colore di luce.

Lui era in pace. Pacifico e brillante come quella rosa, fiducioso da non avere spine.

Era tutto quello che lei voleva sapere.


Accidenti, accidenti, accidenti.

Aveva deciso che avrebbe passato il tempo del viaggio in treno a dormire; Rinoa stava ancora salutando suo padre, poteva vederla dal finestrino, e lui, per quanto chiudesse gli occhi, non riusciva a prendere sonno. Eppure, era stanco. La notte non aveva dormito nella maniera più assoluta, era rimasto sveglio ad accarezzare la testa di Rinoa sperando che, in qualche modo, il suo respiro profondo e pacifico l'avrebbe cullato nel sonno con la sua regolarità. Si era assopito solo un paio d'ore prima di svegliarsi di nuovo e rendersi conto che era mattina e che era già ora di alzarsi.

Eppure, complice l'agitazione che aveva iniziato a riempirlo non appena avevano messo piede fuori dalla casa di Caraway, ora si sentiva sveglio nonostante sentisse anche il disperato bisogno di dormire.

Aveva creduto che passare qualche minuto da solo a riflettere, immerso nel verde della Residenza Caraway, sarebbe bastato. Aveva creduto che una volta scoperto che davvero non c'era nulla in lui che non andasse e che non era stato lui ad allontanare suo padre e spingerlo a lasciarlo ad Edea potesse permettergli di affrontare tutto con una serenità diversa. Ma si sbagliava.

Quella serenità che Rinoa aveva letto nel suo sorriso c'era davvero. Era davvero convinto che lui non era stata la causa di tutto; era davvero convinto che qualcosa di buono doveva esserci se i suoi amici si erano presi la briga di cercarlo durante la compressione temporale nonostante fossero già, tutti quanti, sani e salvi. Qualcosa di buono, di amabile, doveva esserci anche in lui se Rinoa aveva accettato di stare con lui, di darsi a lui, di sposarlo...di dargli dei figli, un giorno.

Doveva esserci qualcosa di buono in lui se lei era disposta ad immaginare un futuro insieme.

Foss'anche che l'unica parte buona di lui fosse quella che la amava.

Eppure era agitato, in preda ad una fibrillazione che non sapeva né collocare né calmare, incapace di rimanere fermo nella stessa posizione per più di qualche minuto. E perché quel dannato treno non partiva? E perché Rinoa non saliva, voleva forse lasciare che andasse ad Esthar da solo?

Era così preso da quell'ansia che non si accorse che Rinoa era salita e si era seduta accanto a lui; resistette un pochino alla sensazione di essere osservato, fino a quando divenne insopportabile e aprì gli occhi con la sola intenzione di mandare al diavolo chiunque fosse così insistente. Gli bastava sfogare, in qualche modo, quell'agitazione impossibile che non riusciva ad accettare.

Incontrò, invece, gli occhi quasi divertiti di Rinoa, che lo guardava a braccia conserte con un sorriso sul volto; "non dormi?"

Lui scosse la testa, passandosi le mani sul viso in un gesto che dimostrava chiaramente quanto fosse stanco; la sentì accomodarsi contro di lui e tornare a massaggiargli lo stomaco come aveva fatto quella mattina.

Non funzionava, doveva ammetterlo. Ma quel gesto gli ricordava così tanto quelli che seguivano l'amore, quando Rinoa gli si accoccolava contro, con la testa sul suo petto, la gamba che scorreva contro le sue, e quella mano che si muoveva contro il suo cuore lentamente, cullandolo nel sonno.

Non lo tranquillizzava di certo, ma bastava a farlo sentire amato, a farlo sentire con lei anche se sapeva che quello era uno di quei momenti che avrebbe vissuto solo. Bastava a fargli sentire che comunque fossero andate le cose, sarebbe potuto tornare da lei e tenerla stretta a sé, come quelle notti lontane di anni prima in cui rimaneva sveglio, con gli occhi sbarrati nel buio, e la sentiva vicino, con quella carezza che lo accompagnava da sempre come una ninna-nanna che porta un bambino nel sonno.

Bastava a fargli sentire che non era più solo.

Allungò un braccio a circondarle le spalle, attirandola più vicino a sé e stringendola un po', prima di posarle un bacio sulla testa, silenzioso ringraziamento di cui lei non sentiva il minimo bisogno; eppure era come per lei il giorno prima, quando gli era corsa addosso per ringraziarlo. Era necessariamente inutile dirlo, quel 'grazie' che aleggiava sempre tra loro qualunque cosa succedesse, quella sensazione di gratitudine che si mescolava all'amore, alla tenerezza, che si stemperava nel sollievo struggente di essere insieme.

Lui non poteva rinunciare a ringraziarla.

Finalmente il treno si mosse, lentamente, e lui non poté fare a meno di calcolare quanto tempo, ancora, avrebbero trascorso lontani da Esthar. Dovevano fermarsi a Fisherman's Horizon, per pranzo; sarebbero poi ripartiti nel primo pomeriggio per il viaggio lunghissimo che li avrebbe portati ad arrivare ad Esthar nel tardo pomeriggio. Le cinque, forse le sei. Avrebbero avuto davvero poche ore per rimanere soli, come aveva promesso Laguna; sempre troppo poche per la sua mente in subbuglio che cercava ad ogni calcolo di aggiungere un minuto, un ritardo del treno, un pranzo più lungo perché avrebbero incontrato chissà chi...e poi all'improvviso il tempo gli sembrava troppo lungo, davvero troppo, se doveva trascorrere ogni minuto in quell'agitazione che la vicinanza di Rinoa non riusciva a lenire.

All'improvviso, il tempo diventava un enorme orologio beffardo le cui lancette si muovevano ora veloci ora lentissime, prendendosi gioco del suo animo e dei suoi desideri, trasportandolo in una dimensione in cui il tempo passava in un'infinita tortura di agitazione. Voleva vedere Laguna? Voleva parlargli? Voleva scoprire i motivi che lo avevano spinto ad abbandonarlo? Voleva davvero scoprire che, forse, era proprio perché lui era lui che Laguna aveva preferito non andarlo a riprendere?

E voleva davvero scoprire, se così stavano le cose, che per causa sua anche Ellione aveva subito lo stesso trattamento?

Ellione.

Ellione che per mesi non aveva voluto vedere, Ellione che da tempo aveva smesso di essere la sorellina indifesa da proteggere. Cosa era successo, che aveva spezzato quel cerchio così perfetto? Lui era un Seed, e lei andava protetta. Lui era folle d'amore, e lei gli aveva permesso di spiare appena nella mente di Rinoa, per ritrovare il momento in cui aveva smesso di essere una donna normale per divenire la strega degli incubi. Lui era folle di disperazione, e lei gli aveva indicato quell'unica via possibile. E le era grato, per questo. Per quell'avergli permesso di ritrovarla, di parlarle sull'orlo della morte, di raggiungerla a guardare in quel baratro oscuro e di essere capace di pensare solo a come salvarla. Era grato ad Ellione per averlo aiutato a liberare il mondo da quella minaccia che era Artemisia.

Ma poi era arrivato quel rancore. Quelle rivelazioni improvvise e mai volute, mai cercate, quella sensazione di non essere altro che un burattino nelle mani di una ragazzina incapace di smaltire i suoi sensi di colpa. Hyne, non era colpa di Ellione se Laguna aveva creduto opportuno lasciarlo crescere in quell'orfanotrofio, ma era colpa sua l'averlo inviato in quel passato lattiginoso che lui non avrebbe mai voluto vedere.

Perché lui?

Perché lui doveva diventare Laguna, sentire ciò che provava per la madre di Rinoa, sentire ciò che provava per sua madre? Perché doveva vivere, adesso, con il pensiero che se davvero fosse stato in grado di cambiare il passato, Rinoa avrebbe anche potuto non esistere?

Abbassò gli occhi sulla ragazza che stringeva tra le braccia, come per assicurarsi che fosse davvero viva; la osservò alzare lo sguardo su di lui, con un sorriso confortante, la vide avvicinarsi a lui per un bacio leggero che lui cercò disperatamente di prolungare quando lei fece per allontanarsi; gli sarebbe bastata qualsiasi cosa, qualsiasi cosa per dimenticare ciò che aveva appena pensato -che aveva pensato per anni, e perdersi nell'esistenza di lei.

Posando la fronte su quella di lui, lei mormorò, "Squall, io sono qui..."

E poi, all'improvviso, non contava più nulla. Lei aveva ragione, era lì ed era quello che importava. E lui sapeva che esisteva un passato, ciclico, dimensioni parallele in cui lui l'avrebbe sempre, sempre incontrata, in cui lui l'avrebbe amata, in cui lei sarebbe esistita e l'avrebbe confortato, strappato dall'esistenza grigia che aveva scelto per sé, trascinato in quel viaggio così imbarazzante eppure così necessario.

Non sapeva se avesse in qualche modo intuito, letto, previsto i suoi pensieri. Tutto quello che sapeva era che quello era un passato che non sarebbe mai cambiato perché così doveva essere. Perché lui doveva esistere. Perché lei doveva esistere. Perché loro avrebbero riscattato lo sfortunato amore dei loro genitori vivendo il proprio. Perché non importava più cosa aveva visto del futuro e del passato, importava che in quel presente, mentre lui si allungava a strapparle il bacio che prima lei gli aveva negato, esistevano entrambi e viaggiavano verso la vita che volevano costruire.

Esisteva il presente e quel passato così tante volte odiato non contava più, come non contava quel misterioso futuro grigio e spento che avevano visto combattendo.

Esisteva il presente, esistevano loro.

Ed era tutto ciò che gli serviva sapere.


L'aveva immaginato.

Quando un inserviente li aveva guidati lungo il corridoio verso la camera degli ospiti a loro riservata, tutto gli era tornato alla memoria. Aveva ricordato quando, qualche mese dopo la loro vittoria, erano stati invitati ad Esthar ed erano stati guidati, tutti e sei, lungo quel corridoio. Ricordava che Quistis aveva dormito nella camera accanto a quella di Zell, di fronte a loro, che Selphie e Irvine invece erano un po' più in fondo, e loro due erano stati in una camera completamente azzurra, la stessa camera la cui porta veniva ora aperta di fronte a loro, la stessa camera in cui entravano dopo quattro anni di assenza.

Si voltò ad osservare attentamente Rinoa quando l'uomo uscì dalla stanza, raccomandandosi di chiamare se avevano bisogno di qualcosa; vide i suoi occhi illuminarsi, mentre si avvicinava lentamente al letto dove avevano fatto l'amore per la prima volta, sorridendo quando la vide sedersi e accarezzare quasi sognante le lenzuola azzurre in cui avrebbero dormito.

"E' la stessa stanza, Squall..."

Lui lo ricordava anche meglio di lei.

Gli sembrava quasi di vedersi, quando erano entrati, quella sera, e Rinoa aveva lentamente camminato verso il centro della stanza, mentre lui richiudeva la porta a chiave dietro di loro. Ricordava che lei era rimasta ferma a guardare incantata il cielo, là fuori, quel blu striato di colori che solo ad Esthar si poteva vedere, con gli stessi occhi stupiti e ammirati che ora seguivano le sue mani sulla stoffa azzurra e morbida del loro letto.

Il loro letto...sapeva benissimo che non era stato solo 'loro', che quella stanza era da sempre riservata agli ospiti d'onore del presidente, ma ogni volta che ci ripensava, e ora che la rivedeva, non poteva fare a meno di pensare che quello era il loro letto, il primo nido del loro amore, l'alcova in cui aveva per la prima volta sentito d'essere a casa.

Ricordava come le si era avvicinato lentamente, così in silenzio che lei non l'aveva nemmeno sentito, tanto da sobbalzare quando le sue mani le si erano posate sulla vita; ricordava di averle scostato i capelli dalla nuca, e di aver scoperto con una carezza il collo bianco che ora si chinava a baciare, premiato dal mugolio soddisfatto di lei.

Era stata così rilassata anche allora? Gli era parsa un po' imbarazzata, un po' nervosa, e un po' malleabile tra le sue braccia quando si era voltata e si era abbandonata contro di lui. E poi, un poco alla volta, le sue inibizioni erano cadute, insieme ai suoi vestiti...ricordava di averla spogliata là, in piedi, di fronte allo specchio, mentre la accarezzava con l'impazienza del suo desiderio. Ricordava il fruscio della stoffa contro il suo corpo, la seduzione ingenua della sua esitazione quando la sua semplice eppure sensuale biancheria era apparsa, il tremore delle sue dita contro di sé mentre anche lei lo spogliava, i gemiti che aveva trattenuto per timore di spaventarla o metterla ancora di più in imbarazzo.

E poi erano caduti sul letto, e gli era parso che quello avesse sciolto la tensione tra loro; e il desiderio si era poi riacceso quando la sua eccitazione aveva sfiorato l'umidità di lei, strappando ad entrambi un gemito quasi stupito.

Gli sembrava quasi che la sensazione delle lenzuola sulla pelle fosse la stessa di quattro anni prima, e che la morbidezza di Rinoa sotto di lui non fosse mai cambiata; si sentiva di nuovo lo stesso ragazzo inquieto e impaziente di allora, con il desiderio di averla e la paura di ferirla, con un groppo in gola pieno di lacrime e piacere e i milioni di baci che voleva rovesciarle sul viso.

"Squall...", gemette lei, cantando il solito incantesimo d'amore che lo imprigionava a lei sempre di più. E lui era di nuovo perso, assaporava il corpo voluttuoso di lei come quella prima volta, si prendeva tutto il tempo che poteva desiderare, e ad ogni bacio, ad ogni gesto, ad ogni carezza ricordava e gli pareva di rivivere tutto fin dall'inizio.

Riusciva a sentire ancora i suoi sorrisi tra i gemiti, riusciva a sentire il suo cuore battere all'impazzata sotto ai suoi baci, riusciva a sentire i muscoli che si rilassavano, piano piano, sotto alla sua lingua, e la voce che si perdeva in sospiri dolci e così sensuali per il suo udito che sembrava chiudere al di fuori tutto ciò che non fosse lei.

Ricordava come allora, lei avesse tentato di trattenere i suoi gemiti, mugolando il suo piacere fino a quando le mani e la bocca di lui si erano impossessate anche della sua voce, vincendo sull'imbarazzo che le imporporava le guance. Forse allora non era rilassata come adesso che lo rovesciava per sedersi sopra di lui e lasciar scorrere il suo corpo e la sua lingua sulla sua pelle. Forse allora c'erano troppe emozioni in quel gesto; rabbia, frustrazione, dolore, desiderio, amore e gratitudine che avevano trasformato i loro sospiri in singhiozzi che suonavano stranamente confortanti. Forse allora tutto ciò che era fisico era passato in secondo piano e la commozione aveva preso il sopravvento sui loro corpi uniti, rendendo la passione ancora più travolgente e selvaggia.

Ora, invece...

Ora osservava Rinoa, sopra di lui, che aveva perso l'ingenuità delle prime volte, e si muoveva sensuale lungo il suo corpo, seducendolo con l'erotismo che aveva raggiunto e liberato piano piano in quegli anni. Ricordava come quello stesso tocco languido era stato, allora, imbarazzato e leggero, come le sue dita fossero guidate dall'incertezza mentre vagavano sul suo corpo cercando i punti che gli davano più piacere, ricordava gli occhi che seguivano curiosi ogni reazione in lui, la bocca che era scesa lentamente su di lui e gli era sembrata così bollente contro la pelle, e i baci che man mano si erano fatti più sciolti e audaci, e le labbra che gli si erano strette intorno strappandogli gemiti rochi e movimenti scomposti. Non era diversa dalla bocca che lo esplorava ora...si era sempre stupito di come Rinoa fosse stata imbarazzata all'inizio e poi si fosse liberata da ogni inibizione come se non fosse mai esistita. Quelle labbra si muovevano su di lui scatenandogli dentro eccitazione e piacere come avevano fatto allora, prima timide e insicure, e poi bollenti e appassionate e lui...mugolò quando lei strinse le labbra intorno a lui, senza più trattenersi, mugolò quando la sentì gemere attraverso il suo corpo il piacere di dargli piacere, mugolò quando non riuscì più ad aspettare oltre e le sollevò la testa per attirarla a sé e baciarla, rovesciandola sul letto per soddisfare quel bisogno impellente di possederla.

Gli parve che la vista gli si annebbiasse e che quel piacere così intenso lo cogliesse di sorpresa come la prima volta. Le sue mani vagavano su di lei, ricordando ogni singolo centimetro, lei era stata così e così, si era mossa così e così, e quei colori che adesso gli riempivano gli occhi in macchie sbiadite erano gli stessi di allora, lei era la stessa di allora, solo più eccitante, più libera e voluttuosa, solo più appassionata e più sua, e il ricordo di quel piacere nuovo e commosso si mescolò al presente rendendo i suoi movimenti più feroci e più carichi di desiderio, e i gemiti di Rinoa più intensi, e la sua emozione sempre più travolgente fino a scoppiarle a piangere tra le braccia quando rantolò in un singhiozzo il suo orgasmo.

E ancora una volta, ero un sollievo così grande e struggente che lei non lo rifiutasse, che lo accettasse, di nuovo, con quella debolezza nel corpo e nell'anima, che gli accarezzasse la schiena con le sue mani confortanti e gli sussurrasse all'orecchio, con il respiro affrettato, "ssssh..."

E più lei sussurrava, più lui piangeva, stretto a lei quasi violentemente, circondato dal suo amore e dalla tenerezza con cui lei cercava di calmarlo e rassicurarlo. Non vedeva l'ora che tutto quello finisse, sarebbe anche andato dritto da Laguna a parlargli, voleva solo poterle dare quel regalo meraviglioso che preparava per loro da giorni, quel futuro tranquillo e luminoso insieme, quella casa lontana dagli strepiti degli allenamenti, quel nido da riempire di bambini -gli parve d'essere sul punto di singhiozzarle di volere un figlio da lei, quando si trattenne, si calmò e si sollevò sui gomiti per osservarla attraverso occhi umidi di lacrime, con un sorriso debole che minacciava di rompersi di nuovo in pianto; "prometto che...che...ti farò un regalo...grandissimo per ringraziarti..."

Lei sorrise appena, comprensiva, allungando una mano ad accarezzargli la guancia, per poi scivolare tra i capelli ancora umidi di sudore e attirarlo più vicino, "non ce n'è bisogno, Squall...", mormorò attraverso un bacio sulle sue labbra.

Lui mugolò qualcosa che lei non comprese, mentre affondava il viso tra i suoi seni, colto da nuovi singulti di pianto. Solo a tratti, tra le parole che morivano sulla sua pelle, indebolite dalla carezza rassicurante delle sue mani tra i capelli, riuscì a capire, "ti sono così grato...", mormorato in una dolce cantilena che la costrinse ad attirarlo a sé, per baciarlo di nuovo e sussurrargli, "Squall, non ce n'è bisogno. Io ti amo..."

Gli parve che quella sicurezza riuscisse a calmarlo più di qualsiasi pianto disperato, più di qualsiasi carezza, più di qualsiasi gratitudine e di qualsiasi desiderio di ricambiare. Deglutì un paio di volte, per fermare la voce che sentiva tremargli in gola, per la voglia di gridarle tutto quello che stava provando, e tutto quello che voleva per loro. E poi quando gli sembrò di aver riacquistato un minimo di controllo, si accoccolò lentamente sopra di lei, posando la testa sul cuscino accanto a quella di lei, e mormorando con quel poco di sicurezza che sembrava sgusciargli via ad ogni secondo, "lo so. Ce la farò solo per questo..."

Fu solo quando ebbe la forza di risolversi a separarsi da lei, e aprire gli occhi per sorriderle uno sguardo d'amore che voleva abbracciarla e stringerla, che si rese conto che anche lei piangeva un silenzioso pianto di gioia.


Travolta com'era stata da quell'ondata di ricordi che l'aveva assalita appena entrata nella stanza, non si era resa conto di come l'atmosfera fosse in realtà cambiata.

Le era parsa, all'inizio, così completamente identica che non aveva badato ai minimi spostamenti; aveva soltanto badato all'aria azzurra che pervadeva la stanza, alle lenzuola lucenti che sembravano mare, alla luce del tramonto di Esthar che entrava allungandosi in strisce sugli oggetti. Adesso invece poteva vederla per come era; sopra il letto, ricordava, c'era un quadro diverso da quello che vedeva ora, e la stanza non aveva l'atmosfera magica che la luce della luna e il cielo notturno di Esthar le avevano dato quella sera, e le coperte non erano così pesanti come quella volta, nonostante lo sbalzo termico del deserto si facesse sentire anche lì, e in effetti iniziava ad avere freddo...si avvicinò di più a Squall e gli si strinse, mentre lui, nel sonno, allungava un braccio a cingerle la vita.

Non si era nemmeno resa conto del tempo che era passato. Chissà che ore erano, adesso? Era rimasta per così tanto a guardarlo, con quel suo sorriso debole e commosso, mentre lui le asciugava qualche lacrima sporadica con il pollice, o si avvicinava a lei per un bacio. Era rimasta a guardarlo anche quando si era addormentato, vinto dalla stanchezza e dalla tensione. Era rimasta a guardare il suo viso farsi sereno, tranquillo, dipinto di una calma che gli permetteva finalmente il sonno di cui aveva bisogno.

Era così persa nell'osservare i lineamenti distesi di lui, che sussultò quando sentì un leggero bussare alla porta; si voltò a guardare che ore fossero e scoprì che erano le otto. Con tutta probabilità, era la loro cena. Si svincolò il più lentamente possibile dall'abbraccio di lui, infilandosi la sua vestaglia prima di aprire la porta.

Dallo spiraglio di luce che filtrava dal corridoio, il sorriso di Ellione la accolse, mentre spingeva un carrello nella stanza; Rinoa si portò un dito sulle labbra, facendole segno di fare silenzio mentre accennava con la testa alla figura di Squall addormentato sotto le coperte. Ellione annuì e le spinse tra le mani una lettera, "fai in modo che Squall sia solo quando la legge, per favore..."

Rinoa gettò un'occhiata alla busta, riconoscendo la grafia veloce e quasi stilizzata di Laguna, nella semplice dicitura che indirizzava la lettera a Squall. Alzò lo sguardo con un sorriso, muovendo le labbra in un rassicurante "stai tranquilla", e richiuse lentamente la porta mentre Ellione si allontanava lungo il corridoio dopo un rapido cenno di saluto.

Spinse il più silenziosamente possibile il carrello verso la porta-finestra, sussultando solo quando Squall si voltò, nel sonno, a dormire a pancia in giù, infilando le mani sotto al cuscino. Scosse la testa con un sorriso, immaginando che probabilmente anche lei aveva continuato a dormire quando Elinor aveva portato la cena e lui aveva preparato tutto quanto sul balcone.

Già, il balcone...ricordava lo sconvolgimento che lui le aveva procurato, tanto da bloccarle lo stomaco; ricordava perfettamente come l'averle velatamente parlato di figli le avesse fatto finalmente capire che riallacciare i rapporti con suo padre non era un tradimento di sua madre, né della sua memoria.

E lei sapeva bene come e con cosa sconvolgerlo...e doveva trovare a quella lettera un nascondiglio sicuro.

Dopo aver sistemato tutto sul balcone, e preso dalle loro valige qualcosa di più pesante con cui cenare vista la temperatura che calava, salì lentamente sul letto, decisa a svegliare Squall, che dormiva ancora tranquillo e beato mugolando qualcosa di incomprensibile. Gli si avvicinò lentamente, lasciando che i suoi capelli gli solleticassero la pelle mentre scendeva a baciargli la fronte, il naso, le labbra prima di scuoterlo dolcemente per svegliarlo.

Abituato com'era a doversi alzare subito quando veniva chiamato, al Garden, aprì gli occhi immediatamente; stava per voltarsi a vedere che ore fossero quando i contorni della stanza si fecero più nitidi e capì che non c'era nessun pericolo o urgenza, semplicemente era ora di cena. Si voltò sulla schiena, attirando Rinoa contro di sé per un abbraccio ed un bacio, che lei interruppe immediatamente accennando con la testa al balcone che li stava aspettando, e porgendogli i vestiti.

Di malavoglia lui si alzò, si vestì e la seguì verso la loro cena, intuendo che tutto quello era più opera di Ellione che di Laguna; per quanto suo padre avesse promesso di lasciarli in pace, non avrebbe pensato che potevano cenare lì. Era sicuramente opera di Ellione, che probabilmente stava ancora cercando di farsi perdonare quei viaggi nel passato che lo avevano così sconvolto. Era innegabile che qualcosa dentro di lui si fosse raffreddato nei suoi confronti; era inevitabile che scoprire di essere stato nel corpo di suo padre lo rendesse diverso verso di lei, che ce l'aveva spedito. E così aveva semplicemente smesso di fidarsi di lei. Si era sentito tradito già una volta e la sua fiducia non poteva essere ricostruita così velocemente. Forse non poteva nemmeno essere ricostruita; la convinzione che Ellione sapesse che Laguna gli avrebbe prima o poi parlato gli impediva di credere che l'avesse fatto in totale buona fede.

Hyne, non aveva pensato a quanto potesse essere problematico per lui?

Come se non avesse già abbastanza problemi per conto suo...

...fortuna che davanti a sé aveva il sorriso di Rinoa, che sembrava mettere a posto ogni cosa, che gli sembrava sempre dolce e premuroso come il pensiero che aveva avuto di appoggiare su una sedia lì accanto un maglione in più per contrastare la temperatura che si faceva sentire più rigida. Ecco un altro motivo per odiare Esthar: troppo vicino al deserto per non risentire dello sbalzo termico.

Ed ecco invece un motivo per amarla: quel cielo inconfondibile ed inimitabile che faceva risaltare ancora di più il viso di Rinoa, che se ne stava lì di fronte a lui stretta nel suo maglione grigio che la proteggeva dal freddo ma le lasciava una spalla nuda...uno dei vestiti di lei che più amava. Sentì, all'improvviso, la sua mano fredda che si intrufolava nella sua, mentre lei si faceva più vicina per la temperatura notturna che iniziava a scendere, "non guardi che ci han portato, mmmh?", domandò quando gli fu stretta accanto.

Incuriosito quanto lei, tolse i coperchi dai loro piatti scoprendo una pietanza sconosciuta, fumante e invitante. Accanto alle posate, trovò un biglietto, di Ellione, che lo informava che stavano per mangiare alcuni dei piatti tipici di Winhill. Lo aveva immaginato. Sembrava che tutti stessero facendo il possibile per ricordargli esattamente quello che lui invece voleva dimenticare.

Rinoa infilò il braccio sotto il suo, avvicinandosi al suo viso mentre gli sussurrava, "che dice...?"

"Sono tipici di Winhill," rispose lui in fretta, "Ellione ce la sta davvero mettendo tutta."

Lei parve cogliere l'amarezza dietro alle sue parole; allungò l'altra mano a massaggiargli lo stomaco come aveva fatto quella mattina, e gli sussurrò ancora, "lo fa per voi, Squall...senti, lo so che non hai più la fiducia in lei che avevi una volta. Ma questo non significa che devi dubitarne sempre. Lei sa solo quello che le ha detto Laguna...probabilmente solo che saremmo venuti qui perché tu volevi parlargli. E basta. E ora lei sta semplicemente cercando di aiutare sia te che Laguna."

"Lo so, Rinoa," rispose quasi stizzito lui, mescolando senza motivo la zuppa davanti a lui, "solo che..."

Lei attese inutilmente che lui continuasse, prima di chiedere, "solo che...?"

"Non lo so. Vorrei che non si mettesse in mezzo. Lo sai che lo ha già fatto una volta...e a volte penso che sarei stato in questa situazione molto prima se lei non avesse fatto quello che ha fatto."

Rinoa taceva; lui lo prese come un invito a non fermarsi, e continuò, "se non avessi visto, probabilmente sarei stato più disposto ad ascoltare anche allora. Ma le scene, le parole...quei sogni mi hanno segnato. E ciò che mi fa male è che Ellione poteva sicuramente immaginare che non sarebbe stato facile per me. Lei sapeva, Hyne...eppure mi ha spedito a vedere e sentire il passato di mio padre, per placare le sue colpe. Hai idea di quanto sia...imbarazzante, per me? Quello che mio padre ha vissuto volevo saperlo da lui, non vederlo io stesso...", e passandosi una mano tra i capelli, terminò, "questo rimarrà sempre tra noi. E non capisco perché Ellione, adesso, voglia aiutarci così tanto; mi sembra solo che voglia placarsi la coscienza un'altra volta..."

"Forse è come dici tu," commentò Rinoa, allontanandosi da lui per iniziare a cenare, "forse Ellione sta facendo tutto questo anche per se stessa. Ma cosa c'è di male in questo, Squall? Se anche lo facesse solo per mettersi a posto la coscienza, si sta sforzando di aiutarvi. Sono quattro anni che non vuoi parlare con Laguna, e ogni volta il motivo è stato questo. Ellione ti ha spedito nel suo passato. Sai cosa ho sempre pensato, mmmh?"

Allungò una mano a stringere quella gelida di lui, "quando ti ha spedito nel passato, hai visto anche tua madre. Ma questo non ti ha impedito di andare sulla sua tomba, di parlarle. E' una situazione diversa, lo so. E sai in cosa è diversa? Tua madre non poteva risponderti. Invece Laguna può farlo. E può anche dirti qualcosa che non ti piace, ma oramai è giusto il momento che tu la smetta di usare quello che ha fatto Ellione come una scusa. Perché è questo che è diventato, ormai: una scusa per non affrontare tuo padre."

Gli lasciò la mano, iniziando a mangiare e lasciandolo a rimuginare sulle sue parole. Si aspettava che ribattesse, che si giustificasse, che le rispondesse che non era una scusa. In realtà nemmeno lei ne era del tutto convinta, sapeva benissimo che scoprire di essere stato nel passato di suo padre era stato un duro colpo per lui. Non riusciva nemmeno ad immaginare cosa potesse significare vivere qualcosa di simile; sentire dentro di sé i sentimenti del proprio padre verso la propria madre -e verso la madre della donna che amava. Ma sapeva anche che Squall non poteva continuare ad adagiarsi su quello per evitare suo padre, sapeva che aveva in sé la forza di superare quell'imbarazzo che sicuramente sentiva anche Laguna. Sapeva anche che aveva bisogno di essere smosso, anche duramente.

Al contrario di quanto s'era aspettata, lui non disse nulla. Mangiava, svogliatamente, sembrava estremamente assorto e quasi non si accorse che lei era tornata in camera, terminata la sua zuppa, per portargli la lettera di Laguna. La sentì semplicemente sedersi di nuovo accanto a lui, mentre spingeva la busta accanto al suo piatto in modo che lui la vedesse anche se si ostinava a non alzare gli occhi. Vedendo il nome sulla busta, lui si voltò a guardarla con espressione interrogativa.

"L'ha portata Ellione insieme alla cena...io sparecchio e vado a ringraziarla, mmmmh? Torno subito..."

E prima che lui potesse fermarla o anche solo protestare, lei raccolse i loro piatti e lasciò la stanza. Trovandosi solo con una lettera che non voleva per il momento leggere, si guardò intorno, alla ricerca di un lettino su quel balcone su cui stendersi come facevano al Garden, per rilassarsi guardando le stelle.

Non aveva detto una parola durante la cena, preso com'era stato dalle parole di lei. Era davvero una scusa, come aveva detto Rinoa? Di certo, tutto quello lo aveva ferito e bloccato per parecchio tempo. Persino quella sera, quando Laguna gli aveva svelato la verità, si era sentito a disagio, in imbarazzo, come se avesse visto e sentito qualcosa che non doveva in realtà vedere. Più lo sentiva parlare e più tornavano alla sue memoria le immagini di quei sogni sbiaditi di passato, immagini che si facevano sempre più nitide man mano che le parole uscivano dalla bocca di Laguna.

E allora aveva gridato. Non ricordava cosa, ricordava solo di aver gridato, che Laguna s'era zittito, e di essere poi uscito furente attraversando la sala della festa dedicata a loro con i pugni serrati e il volto teso. Solo quando era arrivata Rinoa sul balcone insieme a lui, si era sfogato in quel pianto che sapeva così tanto di infanzia perduta, della gelosia del bambino ferito che era rimasto dentro di lui.

Il sogno più nitido, più doloroso, era quello di Laguna a Winhill; quando era dolce con Ellione e con Raine, quando loro era una famiglia e lui solo un osservatore stranito del futuro che non aveva nulla a che fare con quella gioia. Era stato così difficile accettarlo che credeva non ci sarebbe riuscito mai.

Aveva ragione Rinoa?

Si stava davvero servendo di tutto quello come scusa per stare lontano da suo padre, in modo da non poter sentire cose che l'avrebbero ferito? Poteva essere che tutto quello che era passato dentro di lui come un treno in corsa dopo la rivelazione di Laguna non fosse diventato altro che una scusa per non accettarsi per quello che era?

Era stato doloroso. Era stato difficile. Era stato complicato uscirne e Rinoa lo sapeva più di tutti, perché era stata lei a stargli accanto per tutto quel tempo, era stata lei a stare con lui, la notte, aspettando confidenze che non erano mai arrivate, era stata lei a rimanere sveglia al suo fianco massaggiandogli il petto per tranquillizzarlo e rassicurarlo. Se un fondo di verità non ci fosse stato, nelle parole di Rinoa, lui sapeva benissimo che non le avrebbe pronunciate.

Era ancora doloroso, ed era ancora difficile, ma doveva, per il suo bene e per il bene della famiglia che voleva creare, ammettere con se stesso che non era più così lacerante come all'inizio. C'era stata allora quella rivalsa cieca, quel desiderio di ferire, quello strano compiacersi del proprio rancore. C'era stato, allora, il suo dolore nella sua forma più infantile -era stato geloso, ma Hyne, era anche stato abbandonato e tutti gli anni solitari e grigi della sua infanzia gli erano scorsi, davanti agli occhi, quando non c'era più lavoro in cui affogarsi durante la notte. Man mano, doveva ammetterlo, era cresciuto. Man mano la sicurezza dell'amore di Rinoa, di quello che provava per lei, di quello che lui aveva e che nessuno avrebbe potuto più portargli via, gli aveva permesso di superare quei rancori e le ferite si erano rimarginate.

Certo, c'erano ancora le cicatrici, e probabilmente gli sarebbero rimaste addosso sempre, come quella che si portava in fronte e che oramai erano diventate parte di lui. Ma era quello il punto, parte di lui. Non poteva crescere senza soffrire, lo aveva già capito da tempo. La maturità a cui era giunto l'aveva ottenuta a caro prezzo ma oramai era parte di lui. La cicatrice in mezzo agli occhi che Rinoa gli accarezzava così spesso faceva parte della sua fronte; non riusciva nemmeno più a ricordarsi come era stato il suo viso prima che il gunblade di Seifer lo segnasse a quel punto. Aveva fatto male all'inizio, gli era sembrato che la testa gli scoppiasse dal dolore ma poi era passato. Si era abituato a quel viso diverso e ora non ci badava nemmeno più.

Si sarebbe stupito di non trovarla più, anzi.

E così era per le cicatrici della sua anima. Le parole di Laguna, quella sera, quel 'sono tuo padre' che l'aveva distrutto, si erano scavate dentro di lui una scia di fuoco che gli aveva lasciato ferite doloranti per mesi. Però poi, un poco alla volta l'amore di Rinoa le aveva lenite. Un poco alla volta, la ferita aveva smesso di pulsare dolorosamente dentro di lui e aveva ricominciato a poter respirare, a poter vedere, a poter sentire qualcosa che fosse quel bruciore che gli languiva dentro. Un poco alla volta, la ferita si era chiusa e lui aveva iniziato a riabituarsi alla presenza di quella cicatrice.

Ricordava che qualcuno lo aveva guardato storto. Era normale, forse, in un posto riempito da orfani, che l'invidia per un padre ritrovato si rovesciasse sopra di lui nella forma di quel giudizio ingiusto e inappellabile che lo condannava, sempre e comunque, all'immaturità. Ma così tanto sale era stato versato su quella ferita, quando era ancora aperta; così tanti ricordi l'avevano ingrandita e quando si era chiusa per settimane gli era sembrato che fosse talmente piena di dolore da dover scoppiare di nuovo. Ma non era successo; gli sguardi storti si erano piano piano diradati e quelli che rimanevano, non li considerava nemmeno più.

Nessuno aveva il diritto di giudicare il suo dolore.

Nessuno, tranne Rinoa, che lo aveva vissuto insieme a lui e sapeva più di chiunque vagasse nei corridoi del Garden cosa gli passava per la testa, per il cuore, per l'anima. Nessuno, tranne Rinoa, poteva smuoverlo giudicandolo perché nessuno come Rinoa gli era stata accanto.

Troppo presi dal giudicarlo, non avevano pensato a cosa realmente si agitasse dentro di lui, ai motivi per cui opponeva quello strenuo rifiuto. Troppo presi dall'invidiarlo, non avevano pensato che forse non c'era proprio nulla da invidiare. Non poteva giudicare ora ciò che non avevano voluto capire, vedere e comprendere prima.

E invece, Rinoa gli diceva che era una scusa...

...e Hyne, aveva ragione. Per anni aveva evitato Esthar, in qualsiasi missione gli fosse capitata, per evitare come caposquadra e comandante di incontrare Laguna. Per anni si era detto che i motivi del suo abbandono non erano importanti, contava solo che fosse stato abbandonato e lui quei motivi non voleva sentirli, perché era sicuro che lo avrebbero distrutto. Per anni aveva covato il suo rancore e la sua delusione, adagiandosi su di esse e continuando ad ingrandirle per non scoprire il motivo per cui aveva accettato la richiesta di Rinoa -lui una risposta la voleva, ma aveva paura di sentirla.

Scuse, ecco cosa aveva inventato. Certo, Ellione lo aveva ferito, ma era nel passato. Laguna lo aveva ferito, ma era nel passato. E lui viveva nel presente, progettando un futuro in cui i rapporti che il tempo aveva sbriciolato o sfilacciato potevano essere ricostruiti. Non sarebbero stati all'inizio, certo, si sarebbero viste le crepe, ma era così importante?

Una statua rotta e ricostruita non è pur sempre una statua? Non conserva l'amore di chi l'ha scolpita, la pazienza di chi l'ha custodita, l'impegno di chi l'ha risistemata?

Doveva smetterla con le scuse. E poteva iniziare a farlo leggendo la lettera che Laguna gli aveva spedito.

Si alzò avvicinandosi al tavolino per prendere la busta e tenerla un po' tra le mani, come indeciso sul da farsi, prima di tornare sul lettino e pensare. Da una parte, sapeva che si trattava di qualcosa tra lui e Laguna e che non poteva leggerla se non da solo. Sarebbe stato come un tradimento. Dall'altra, voleva aspettare Rinoa e leggere la lettera con la sua confortante presenza sul petto, anche se intuiva che lei non tornasse proprio perché doveva leggerla da solo.

Oh, al diavolo.

Aprì la busta e ne estrasse un foglio di carta fitto di righe e di parole, ancora pregno dell'odore di inchiostro della stilografica di Laguna. Lo stesso odore che sentiva spesso, al Garden, quando qualche missione per Esthar cercava approvazione nel suo ufficio. L'odore che aveva inconsciamente imparato a riconoscere, l'odore che aveva sempre associato a Laguna, ovunque lo sentisse.

Chissà se anche i bambini associavano il proprio padre all'odore del suo dopobarba, della sua pelle...di qualche dolce che portava a casa...? Chissà se anche i suoi bambini lo avrebbero riconosciuto da un particolare profumo che avrebbe portato a casa con sé?

Spiegò il foglio pesantemente vergato dalla penna di Laguna, e con un grosso sospiro che doveva dargli coraggio iniziò a leggere.

So che avevo promesso di lasciarti in pace stasera, ma sento di doverti dire qualcosa, prima.
Probabilmente domani non avrò più il coraggio di dirti tutto questo, perché mi sento sempre a disagio, quando sono di fronte a te. E so che tutto questo vale anche per te. Per quello che abbiamo passato, insieme, per quello che tu hai visto e sentito di me, e per quello che io posso solo vagamente intuire di te.
Forse ti senti in colpa, forse c'è qualcosa che mi rimproveri e credimi, sono certo che ne hai tutte le ragioni. Al tuo posto, farei la stessa identica cosa. Vorrei solo che tu potessi ascoltarmi mentre dico queste cose ma...non lo so. In qualche modo, è più semplice dirtele così. E spero sia più semplice per te sentirle così.
Ho amato la madre di Rinoa, e rivederla in lei mi fa male, perché mi ricorda solo un altro dei miei fallimenti. Le promesse che ho sempre fatto e mai mantenuto, a lei, a tua madre, a Ellione...a te, quando eri ancora in fasce e io ti tenevo in braccio all'orfanotrofio di Edea. Tu non lo ricordi, eri troppo piccolo...ma una volta, ti ho tenuto in braccio, ti ho cullato, tu hai aperto gli occhi ed eri uguale a Raine.
Credo di aver pianto, quella volta, perché non avevo mai amato nessuno come amavo te. Come amo te.
Non so perché ci sia sempre questa mia incapacità di stare accanto a chi amo, perché mi sembra sempre che qualcosa, dentro di me, non sia abbastanza. Abbandonavo le persone per amore, o per paura...o per debolezza. Ma mi rendo conto, adesso, che se fossi stato loro accanto avrei causato metà del dolore che invece ho provocato con la mia assenza.
E' strano, non trovi, che si ritenga di fare del bene quando si fa solo del male.
Ho amato tua madre, Squall. L'ho amata perché mi è stata accanto quando ero solo e ferito, l'ho amata perché mi ha permesso di starle accanto nonostante fossi io. L'ho amata, e la amo, perché mi ha dato te, che sei l'unica cosa che ho fatto a cui riesco a pensare con un sorriso.
So che è difficile crederlo. Lo è ancora di più dopo tutto questo, ma Squall... io sono orgoglioso di te. Dell'uomo che sei diventato anche se io non ti ero accanto, di come sei cresciuto, e di come sei stato capace di metterti in discussione durante quei mesi di Artemisia. Squall, non c'è nulla in te che io possa vedere di sbagliato. Sapevo come eri prima, perché ho sempre voluto sapere cosa stessi facendo, come andassero le cose per te e credimi, mi è sempre sembrato che fosse meglio così che non con uno come me, che faceva promesse e non le sapeva mantenere. E ora che ti vedo così, felice e innamorato, tranquillo e sereno...io sono orgoglioso, orgogliosissimo di te. Perché sei riuscito a superare tutto questo anche senza avere i tuoi genitori accanto.
Squall...tu sei l'uomo che io e tua madre avremmo voluto che diventassi.
Laguna

Fu un colpo così inaspettato che gli si annebbiò la vista.

Si appoggiò totalmente al lettino, chiudendo gli occhi sperando che questo bastasse a rimettere a fuoco ciò che lo circondava. Non era qualcosa che si era aspettato di sentire; non aveva mai creduto che dalle labbra di Laguna potessero uscire parole di amore di padre, pensava solo che avrebbe sentito giustificazioni, motivi, anche strampalati, anche inventati, ma nulla che potesse significare orgoglio e amore paterno.

Questo sconvolgeva le cose e lui non sapeva affatto come reagire. Non era pronto all'affetto, lo era sempre stato all'indifferenza, all'odio, a qualsiasi cosa negativa potesse arrivargli ma mai all'affetto, o meglio...a quell'amore cieco che aveva portato Laguna a piangere con il suo fagottino tra le braccia l'unica volta che lo aveva abbracciato. Che lo aveva portato a scrivere quella lettera, così sconvolgente per suo figlio da fargli credere d'essersi sbagliato.

Rilesse due, tre volte il messaggio di Laguna, non trovando mai quello che credeva di trovare e trovando sempre quello in cui non aveva mai sperato. Che avesse avuto semplicemente paura dell'amore? Era così diverso...Rinoa lo conosceva, Rinoa aveva scelto di amarlo. Sapeva a cosa andava incontro e portava avanti la sua scelta con tutta la forza che aveva nell'animo.

Ma Laguna no. Laguna era stato investito dall'amore per quel neonato quando lo aveva stretto, si era commosso a quegli occhioni blu e aveva continuato ad amare, sempre e nonostante tutto, il ragazzo che piano piano era sbocciato in Squall. Si era inebriato dell'amore del neonato, per finire ad amare l'uomo. E senza poter scegliere; con la semplicità di un padre che si stringe il piccolo al petto e non sa fare altro che amarlo.

Aprì gli occhi, fissando la lettera che teneva ancora stretta in mano prima di spostare lo sguardo sul cielo indimenticabile di Esthar. Gli sembrava che il cielo fosse sempre così uguale, in tutto il resto del mondo, ma non ad Esthar. Non lì, dove ogni stella sembrava spostarsi e brillare in maniera diversa ogni volta, non lì dove il cielo blu e nero si striava d'azzurro, non lì dove gli pareva che l'atmosfera cambiasse come lui, ora calma, ora agitata, ora pacificamente perfetta. Quella distesa di seta che a volte pareva velluto, piena di colori cangianti che riempivano la città di luci naturali, così diverse dalle luci artificiali e troppo accese di Deling City; quella distesa di seta sembrava muoversi, abbracciarlo, cullarlo come facevano le lenzuola del loro letto avvolte intorno a lui e Rinoa, illuminarsi delle sue gioie e appannarsi dei suoi tormenti.

Quella distesa di seta sopra la sua testa sembrava la sua anima in subbuglio, sconvolta dall'amore che suo padre provava per lui. E gli faceva paura, quel cielo così comune ad ogni abitante di Esthar eppure così suo, in quel momento, così personale e così imperscrutabile, comunque, quel cielo che svelava ad ogni occhio attento i suoi desideri azzurri, le sue speranze blu profondo, i suoi dolori neri e le sue gioie lucenti d'argento.

Aveva paura...

Una porta si apriva, i piccoli passi di Rinoa si avvicinavano, tra il fruscio dei suoi jeans e della coperta che stava sicuramente portando con sé. La vide in piedi, accanto a lui, all'improvviso, ancora stretta nel suo maglione grigio che lui adorava, con un vento leggero che le scompigliava i capelli mentre spingeva nuvole azzurrognole lungo la cupola del cielo.

"C'è posto anche per me, mmmh?", chiedeva lei con il suo sorriso rassicurante, mentre lui allargava le gambe e si appoggiava al lettino, lasciandole lo spazio di sedersi contro di lui e avvolgere la coperta intorno a loro.

C'era qualcosa nel caldo che lo avvolgeva ora che sapeva di pace, di famiglia, di casa. C'era qualcosa nella presenza di Rinoa che fissava quel cielo contro il suo petto che sapeva di amore, di gioia. C'era qualcosa nell'espressione meravigliata e stupita sul suo viso che sapeva di un futuro roseo. Non perfetto, sapeva benissimo che le difficoltà e i grattacapi ci sarebbero stati sempre e non osava immaginare di poter avere una vita così perfetta.

Nemmeno la voleva, una vita così perfetta.

Ma felice perché vero, perché costruito su un presente sofferto, ma che valeva la pena vivere. Mentre se ne stava sotto a quella coperta, insieme a lei, ripensando alle parole di suo padre, alla lettera che aveva ricevuto e al treno veloce di pensieri che lo aveva invaso, ricordava tutto quello che gli era successo e gli parve che la sua vita non avesse fatto altro che tendersi verso quel momento di comprensione, di accettazione, di liberazione che stava vivendo ora. Aveva amato Ellione, era stato abbandonato da lei, aveva vissuto per anni allontanando il mondo che poi aveva salvato, con il cuore sciolto dall'amore per la donna che ora teneva in petto e con cui intrecciava le dita e con cui muoveva le mano a sfiorarle il grembo.

Da bambino dagli sfondi grigi e acquosi di pioggia, era diventato l'uomo che accarezzava la sua fidanzata pensando ai figli che avrebbero avuto, alla vita blu irradiata d'argento e azzurro che li aspettava. Ciò che il nero avrebbe sporcato non contava poi molto.

Quante cose aveva vissuto, capito, imparato. Quanto tempo era passato prima che l'immagine di Laguna si associasse finalmente a quella di un padre, amorevole e orgoglioso, invece che a quella di un estraneo che gli aveva portato via tutto pretendendo di restituirgli le briciole quando si era fatto grande. Ma lui lo sapeva oramai, tutto quello non contava più.

Per quanto Ellione lo spedisse nel passato, lui avrebbe sempre trovato in sé la forza di superare quel disagio e avvicinarsi a suo padre.

Per quanto avrebbe continuato a temere anche la sola idea che quel passato sarebbe potuto cambiare, e che Rinoa sarebbe potuta non esistere, lui avrebbe continuato, in tutti i milioni di passati, presenti e futuri possibili, ad incontrarla, ad odiarla, ad amarla, a proteggerla.

Tanto bastava a rasserenarlo.

Per quanto tutto sembrasse nero e buio come quel cielo là in alto, prima o poi sarebbe arrivata l'alba ad illuminarlo.

Strinse più forte a sé Rinoa, muovendo lentamente le mani sul suo grembo come se già stesse accarezzando un'idea di vita lì dentro, e si chinò a sussurrarle all'orecchio, con la voce bassa e calda, "Laguna mi ha scritto una lettera..."

Lei non si mosse, chiuse semplicemente gli occhi godendosi il brivido che la sua voce le irradiava nel corpo, facendola tremare anche in quel tepore così gradito, e rispose soltanto, "davvero...?"

"Sì, davvero," mormorò lui, accarezzandola ancora e lasciandole qualche piccolo bacio sul collo, "e avevi ragione sai? Stava diventando soltanto una scusa...sono contento che tu mi abbia aiutato a capirlo in tempo, io -grazie, Rinoa..."

Lei sorrise, riaprendo gli occhi e voltandosi quanto bastava per incontrare il viso di lui, chino a baciarle la spalla che il maglione le lasciava scoperta. Allungò una mano ad infilarsi tra i suoi capelli, attirandolo più vicino a sé, e gli sospirò tra i baci, "non c'è bisogno di ringraziarmi..."

"Lo so," la interruppe lui, facendola voltare tra le sue gambe quanto bastava per stringerla a sé e appoggiarle la fronte sulla sua, "è per questo che ti ringrazio..."

Lei non disse nulla, aveva capito. La sensazione che lei aveva sperimentato quel giorno con suo padre, la necessità di ringraziarlo pur sapendo che era perfettamente inutile farlo. Lui sapeva già che tutti i ringraziamenti del mondo non sarebbero bastati, perché nel loro amore stava già anche tutta la gratitudine di essersi scelti, l'un l'altro, di essersi cercati, capiti, ed amati, e finalmente scelti. Non poteva essere altrimenti, non poteva fare altro che sussurrarle ringraziamenti che erano tanto inutili quanto del tutto necessari.

Squall si lasciò andare contro di lei per un bacio di cui aveva bisogno da troppo tempo, sentendosi per la prima volta veramente in pace con se stesso. Nulla di sbagliato, l'amore di lei, l'affetto di suo padre, dei suoi amici, la felicità che lo aspettava con tutta la forza e il coraggio che richiedeva amare e voler essere felici...non poteva chiedere di meglio, non poteva altro.

Non voleva altro.

La sentì posargli la testa contro il petto, mentre tornava a guardare quel cielo di cui pareva non potersi mai saziare. All'improvviso aveva bisogno di dirle così tante cose, di raccontarle milioni di emozioni, di sensazioni, di paure e di incertezze e di gioie, eppure solo una gli balzava in mente, nitida e precisa, "lo sai, Rinoa," mormorò appoggiando il mento sui capelli di lei, "mi ha scritto che mi ama..."

Lei mugolò un sorriso, contro il suo petto, stringendo la coperta un po' di più intorno a loro. Non c'era bisogno che dicesse nulla, aveva capito cosa significasse per lui quella rivelazione dal battito accelerato del suo cuore, aveva capito che quella lettera lo aveva sconvolto fin da quando era rientrata in camera e lo aveva trovato steso sul lettino a fissare il cielo con aria smarrita. E non c'era bisogno che gli dicesse nulla, lui sapeva già cosa lei stesse pensando e provando, senza bisogno di guardarla. Era così confortante potersi guidare l'un l'altro in quell'esperienza così...travolgente di riavvicinarsi al proprio padre. Era un tale sollievo sapere che quella paura, quell'incertezza, quell'irrequietezza erano state di Rinoa prima che sue e che lei sapeva come aiutarlo, come capirlo...come stargli accanto, anche se voleva dire mugolare un sorriso contro il suo petto.

La strinse un po' a sé, come cullandola, accarezzandole le braccia per scaldarla un po' prima che la temperatura diventasse troppo rigida per rimanere fuori anche avvolti da una coperta così pesante e li costringesse a rientrare e infilarsi nel letto.

E nel vagare di pensieri che aveva in testa, un fluire che lo lasciava tranquillo, sereno, a godersi il cielo stellato insieme a Rinoa, trovò un sentimento che non aveva mai pensato di ammettere, un giorno -anche lui amava Laguna.

Forse tutto quello che era successo in quegli anni dipendeva solo dal fatto che lui aveva sempre amato l'idea dei suoi genitori, per quanto fossero lontani da lui, con l'amore di un bambino che non vuole un altro papà e un'altra mamma perché già sente di averli. Lui non era mai stato adottato non perché era problematico, ma perché non era malleabile abbastanza da poter avere un nuovo padre, una nuova madre, una nuova famiglia. Lui amava i suoi genitori lontani e per questo, poche settimane dopo la confessione di Laguna, si era recato sulla tomba di sua madre, a Winhill.

Per questo aveva pianto, quella sera, sul balcone, lacrime cocenti di fallimento, non di delusione.

Per questo aveva allontanato una persona a cui credeva di essere indifferente.

Aveva sempre desiderato poter essere l'orgoglio dei suoi genitori, anche se potevano solo vederlo dalle stelle. Far sentire loro che qualcosa di buono avevano fatto, che la loro vita era rifiorita nella sua e che in qualche modo erano riscattati da lui. Come se la sua vita bastasse a non far sentire loro il peso della propria morte. E poi aveva voluto essere degno dell'affetto dell'unico genitore che gli era rimasto, anche se non voleva ammettere che tutto derivava dall'amore. E quella frase di quella lettera, sei l'uomo che io e tua madre avremmo voluto che diventassi, gli aveva spalancato le porte su ciò che lui provava davvero, e non solo sull'amore di Laguna.

Laguna era suo padre, e lo amava, ed era orgoglioso di lui.

E lui amava suo padre, ed era orgoglioso di essere suo figlio.

All'improvviso, quella distesa di seta azzurra non faceva più così paura.


Il corridoio, tanto lungo da sembrargli infinito, era perfettamente silenzioso e vuoto quando vi si affacciò.

In fondo, la porta gli nascondeva lo studio di Laguna. Quante volte ci era stato, in quella stanza? Due, forse. Quando Esthar aveva trovato il modo di sconfiggere Artemisia, e aveva chiesto l'aiuto dei Seed, e quando Laguna gli aveva fatto la sua rivelazione. Non gli era mai sembrato tanto lungo, quel corridoio; avanzava eppure sembrava allungarsi sempre di più, la porta si faceva minuscola nonostante si avvicinasse e all'improvviso era enorme, davanti, in quel legno massiccio che gli incuteva uno strano timore.

Gli parve di aver quasi più paura dell'ambiente, che della persona che vi viveva.

Si voltò a guardare la strada che aveva appena percorso, con lo sguardo che si posava su una riproduzione di Winhill appena sopra ad una porta. Che fosse la camera dove dormiva Laguna? Si avvicinò al dipinto, riconoscendo la strada principale, l'hotel dove dormiva con Rinoa quando andava sulla tomba di sua madre ad ogni avversario della sua morte, la stradina che portava alla collina dove Raine era sepolta, tra i fiori, e quella che portava alla piazza e al pub, e alla casetta dove lui era stato concepito e partorito.

Che strano era rivedere quei luoghi in un dipinto così fedele, come se le pennellate fossero piene d'affetto, di nostalgia, di quella serenità che si respirava a Winhill e che si rimpiangeva, una volta andati via da là. Che strano era pensare che Laguna tenesse ai luoghi dove era tornato così poche volte, sempre attento a non incrociarlo per non disturbare le sue discussioni con sua madre, per non turbarlo più di quanto non avesse già fatto.

Diamine, Laguna era stato delicato, paziente e protettivo nei suoi confronti e lui se ne rendeva conto solo ora.

Si passò una mano fra i capelli, stringendo la busta che aveva ricevuto da suo padre la sera prima nell'altra, e avviandosi a passo veloce e deciso verso la porta davanti a cui s'era fermato intimidito. Non pensò di bussare, tanto Laguna probabilmente lo stava aspettando e difatti lo trovò in piedi, i soliti pantaloni verdognoli, la solita camicia azzurra, i soliti capelli neri legati in una coda sciolta, mentre osservava al di là dei vetri la città di Esthar che iniziava la sua giornata.

Sulla scrivania, una tazza di caffè fumava ancora. Che fosse agitato quanto lui, che fosse incapace persino di mangiare?

E poi il momento che aveva tanto temuto arrivò. Laguna si voltò lentamente, con un sorriso sereno sul volto, facendogli cenno di sedersi, "ben arrivato, Squall. Vi siete trovati bene, tu e Rinoa?"

Lui si sedette passandosi nuovamente una mano tra i capelli e stringendo spasmodicamente le dita intorno alla busta, come gli sembrava strano sentire che anche Laguna usava 'voi' quando si riferiva a lui e Rinoa. Era in qualche modo confortante, come se avesse istintivamente capito che cosa li legasse, nonostante la distanza, nel tempo, nello spazio, nell'animo, che li divideva. "Sì, abbiamo preso una coperta in più dall'armadio..."

E poi si morse la lingua.

Dannazione, era lì per sistemare le cose con suo padre, ma dirgli che gli serviva una coperta in più sul letto perché lui e la sua fidanzata erano abituati a dormire nudi non era certo quello che voleva fare. Per quello non era ancora pronto. Forse un giorno lo sarebbe stato, ma ora che stringeva tra le mani la lettera di suo padre per non dare a vedere di star tremando non era l'ideale sfiorare certi argomenti. Fortunatamente, non vide l'espressione stupita e vagamente accigliata di Laguna, e per cambiare argomento ne introdusse uno che lo rendeva ancora più nervoso, "ho letto la tua lettera..."

L'espressione di Laguna si fece ancora più stupita. Non credeva che avrebbe letto la sua lettera, non era nemmeno convinto che fosse stata una buona idea scriverla; ma ciò che non si sarebbe mai aspettato fosse sentire Squall che gli dava del tu, e non si rivolgeva a lui chiamandolo 'presidente' in quella forma sempre così ironica e piena di sprezzante dolore. Incapace di dire qualcosa, rimase zitto e immobile ad ascoltare suo figlio che continuava, "io...io -grazie. Voglio dirti soprattutto questo, grazie. Se...se per tutti questi anni non ho voluto...nemmeno vederti, è stato soprattutto perché avevo paura. Paura di...oh, non lo so, voglio solo dirti grazie di quello che mi hai scritto."

Alzò gli occhi per vedere che suo padre sorrideva la sua comprensione, e trovò all'improvviso il coraggio di continuare, "avevo paura, sì. Paura che fosse qualcosa che c'era in me ad averti allontanato da me e Ellione, paura che tu volessi soltanto dirmi che il motivo del tuo abbandono ero proprio io, e che...sai...che non mi volevi, che ero stato un peso...e invece leggere quello che mi hai scritto, è...è stato importante per me. Grazie..."

"Grazie a te per averla letta, Squall", interruppe Laguna sedendosi alla scrivania di fronte a lui, "non credevo onestamente che lo avresti fatto. So benissimo che tutto questo è stata un'idea di Rinoa, e anche se mi dispiace che non sia venuto spontaneamente da te, sono contento che tu ora sia qui e sia disposto a parlarmi...grazie per aver letto la mia lettera."

Squall fece per dire qualcosa, ma lui lo bloccò e continuò, "sono felice che tu l'abbia letta ma so anche che alcune cose devo comunque dirtele di persona. E tra queste c'è il fatto che io non ti ho abbandonato perché non ti volessi, Squall. Hyne sa che non è per questo che l'ho fatto. Anzi...quando Raine mi disse che stava aspettando un bambino, mi sentii l'uomo più felice della terra. Ma...è successo quel che sai," abbassò gli occhi, imbarazzato nel nominare quei sogni che li avevano uniti e divisi, "Ellione era in pericolo e per di più nelle mani di Adele. Non potevo lasciar perdere, perché era una promessa che Raine aveva fatto ai suoi genitori quella di proteggerla, e una promessa che anche io avevo fatto a lei ed Ellione. Così, partii...e promisi a Raine che sarei tornato a vedere il nostro bambino, quando sarebbe nato."

Squall abbassò gli occhi, fissando la lettera che teneva tra le mani, ricordando perfettamente le parole che Ellione gli aveva mormorato in uno di quei sogni; Laguna non aveva potuto essere accanto a Raine quando aveva partorito -quando era morta.

"Ma non ci riuscii," continuava intanto Laguna, "in qualche modo gli abitanti di Esthar mi convinsero a combattere insieme a loro contro la strega Adele. E io accettai per voi, Squall..."

Si sentì fissato, all'improvviso, e alzò gli occhi su suo padre con l'espressione stupita di chi ha sentito qualcosa a cui non sa credere e che non riesce in alcun modo a spiegarsi. Laguna sorrise tristemente, continuando, "sapevo che Adele non ci avrebbe mai lasciato in pace. Il potere di Ellione era qualcosa a cui bramava troppo, e da troppo tempo, per rinunciarci così. L'avrebbe cercata di nuovo, avremmo dovuto proteggerla, nasconderla, mettere a rischio la nostra vita...e anche la tua. Come potevamo difenderci? Come potevamo difendere voi, che eravate due bambini? Allora decisi che valeva la pena liberare il mondo da quella strega. Certo, forse non sarei stato accanto a Raine quando saresti nato, ma credevo davvero che sarei potuto tornare più tardi. Ero davvero convinto che a Esthar sarebbe bastato solo un po' di aiuto..."

Si alzò nuovamente, voltando le spalle a Squall perché non vedesse le sue lacrime e tornando a fissare le strade di Esthar, che si disperdevano in lontananza e iniziavano a brulicare di attività. "Ancora oggi non riesco a spiegarmi come ho potuto essere così ingenuo. C'erano persone nemiche di Adele ad Esthar, ma c'erano anche persone che grazie a lei occupavano posizioni di potere e di prestigio e non volevano certo rinunciarvi. Quando Adele fu sistemata al Palazzo della Strega, ad Esthar scoppiò una guerra civile. Le due fazioni si scontravano quotidianamente e c'era bisogno di una guida, di qualcuno che potesse accontentare entrambi e riportare la pace. Non so perché scelsero me. Forse perché credevano che senza di me non sarebbero mai riusciti a liberarsi di Adele, ma Squall...tu ricordi, vero, il piano con cui la sconfissi? Non feci altro che spingerla nella sua prigione..."

Si voltò a guardarlo con un sorriso appannato di lacrime, e continuò, "non sono l'eroe che sei stato tu."

Di nuovo, Squall cercò di dire qualcosa, ma Laguna lo bloccò e continuò, "scelsero me, insomma. Con l'aiuto di Ward e Kiros, riuscii a studiare qualcosa che mettesse d'accordo tutti quanti. Adele fu relegata nello spazio e con lei partì una delegazione che aveva il compito di controllarla, sempre e comunque, perché non trovasse il modo di liberarsi, o fuggire. A chi grazie a lei aveva potere, fu concesso di provarci che era degno di mantenerlo. Piano piano le rivolte cessarono, le cose si stabilizzarono ed Esthar si circondò del silenzio che l'ha contraddistinta in tutti questi anni. Avevamo bisogno di quel silenzio, per ritrovare la pace che Adele aveva tolto."

Un lunghissimo momento di silenzio si instaurò tra i due uomini, che rimasero a fissarsi entrambi nell'attesa che l'altro dicesse qualcosa. Alla fine, Squall riuscì a mormorare soltanto, "capisco..."

"Squall, voglio che ti sia chiara una cosa," mormorò Laguna avvicinandosi a suo figlio e posandogli entrambe le mani sulle spalle, in un gesto che lo costrinse a guardarlo negli occhi, "questo non ha nulla che vedere né con te, né con Ellione. Mi trovai di fronte alla scelta di potervi dare un mondo migliore in cui vivere, o darvi una vita in cui avremmo continuato a fuggire e a rischiare. Non venni a riprendervi solo perché quando le cose si stabilizzarono, Cid ed Edea avevano già ideato il Garden e tu ed Ellione vivevate già lì. Quando chiesi a Cid come andavano le cose, mi rispose che tu eri diventato un bambino chiuso, ferito dalla partenza di Ellione che era stata nascosta nel Garden prima che tu ci entrassi, e io ho semplicemente deciso che era meglio per te vivere così. Ti avrei sconvolto ancora di più, lo capisci?"

Al cenno di assenso di Squall, continuò, "ma mi sei mancato tanto, Squall. Forse è stato per paura che non sono tornato da Julia quando mi sono rimesso dalle ferite," e un brivido percorse la schiena di Squall all'idea che se l'avesse fatto, lui non sarebbe esistito -Rinoa non sarebbe esistita, "forse è stato per paura e per debolezza che non ho rifiutato le offerte di Esthar e sono tornato da voi. Forse è stato per paura che non ti ho riportato qui con me la prima volta che sono venuto all'orfanotrofio di Edea e ti ho abbracciato. Ma è per amore che ti ho sempre lasciato in pace, e ti ho rivelato chi sono solo quando ero sicuro che avessi, intorno a te, delle persone che ti avrebbero aiutato a superare il colpo."

Squall abbassò gli occhi sulle mani che non aveva il coraggio di alzare, le ciocche di capelli che gli ricadevano sul viso e impedivano a Laguna di indagare il suo sguardo; mentre fissava per l'ennesima volta la lettera che gli aveva aperto le porte sulla sua verità, sentì le dita di Laguna sollevargli il mento, e lui che gli ripeteva, "ho amato la madre di Rinoa, e l'ho...abbandonata, sì. Ho amato tua madre, la amo ancora oggi, e rimpiango ogni giorno di non averla potuta almeno ringraziare di avermi dato te. E amo te."

Togliendo le mani dalle spalle di Squall, terminò, "forse sono stato vigliacco, sono stato stupido, sono stato debole...ma tutto quello che ho fatto per te l'ho fatto per amore. Solo per amore."

Rimase fermo a fissare la reazione di suo figlio, che aveva di nuovo abbassato gli occhi, con i capelli che gli impedivano di leggergli nell'animo, e stringeva i pugni fino a farsi sanguinare le mani. Per un momento, temette di aver scatenato un'altra volta quella furia cieca che lo aveva portato, quattro anni prima, a urlargli contro e ad allontanarlo; poi vide che tremava, la schiena scossa da singhiozzi che aveva cercato, per tutto quel tempo, di trattenere. Si chinò di fronte a lui, vedendo che piangeva mentre rideva, allo stesso tempo, travolto da una gioia che non si sarebbe mai aspettato di instillare in lui; si trovò le mani di Squall sulle spalle, mentre gli diceva, "papà...per tutti questi anni ho pensato che tu non mi volessi. Tanto che quando ho saputo che esistevi, desiderai che non fosse vero, che ti fossi sbagliato. Ma mi sbagliavo io..."

Deglutì, cercando di calmare il groppo che gli mozzava il respiro, e continuò, "avevo paura, papà. Che non mi amassi, che mi rifiutassi, che mi odiassi...e ti ho sempre evitato perché avevo paura di sentirtelo dire. Con la mamma era diverso, lei...non c'era. Ma tu...era più semplice pensare che ti eri disinteressato di me perché non mi volevi, piuttosto che credere che tu mi amassi. E io stesso credevo di odiarti..."

"C-credevo...Squall?"

"Papà, ti voglio bene anche io...", sussurrò con un filo di voce.

Per un momento entrambi rimasero in silenzio, come sconvolti dalle ultime parole che ancora aleggiavano nell'aria, tra loro; passandosi una mano sul viso ad asciugare le ultime lacrime, Squall continuò, "credevo davvero non volere avere nulla a che fare, con te. Quando mi hai detto tutto, quella sera...me ne sono andata perché ero furibondo con te e con me stesso. Poi, piano piano le cose sono cambiate. Credevo di provare del rancore per te, per la vita che avevo vissuto a causa tua...solo dopo, riflettendoci, sono arrivato a pensare che tu non potevi davvero altro. Ma questo non cambiava che ero cresciuto come un orfano..."

Osservò suo padre abbassare gli occhi, e riprese, "pensavo davvero di odiarti per tutto quello. Sapevo che non era colpa tua, ma non sapevo come altro reagire e se non ci fosse stata Rinoa, se Ellione non avesse avuto tutta quella pazienza...non so dove sarei finito. Sicuramente non sarei qui, adesso...ma questo non è importante, ora ci sono. E quando ho letto la tua lettera, ieri sera...ho capito tante cose..."

Un altro momento di silenzio, il fruscio dei vestiti di Squall che si alzava dalla sua poltrona per sedersi per terra, accanto a suo padre, "quando ero un bambino, mi appoggiavo ad Ellione. E non volevo nessun altro...era come se già sapessi che lei era stata una parte della mia famiglia. E non ho mai voluto una famiglia nuova. Io non vi conoscevo, non sapevo se eravate vivi o morti, vicini o lontani...sapevo solo che volevo diventare la persona che voi avreste voluto che fossi. Ce l'avrei fatta da solo...e quando lo promettevo ad Ellione, era come se lo stessi promettendo anche a voi..."

Un solo momento di incertezza, era il caso di prendere la mano di Laguna? "Quando poi ho scoperto che tu eri vivo, ciò che mi ferì era...credevo di esserti indifferente. Che non mi volessi e che rivelarmi d'essere mio padre fosse...una formalità, ecco. Senza niente altro. Mi sentii come se non fossi stato abbastanza forte, coraggioso, o che ne so...come se mi mancasse qualcosa per essere amato da te. Credevo che...non lo so, credevo di dover essere qualcosa perché i miei genitori mi amassero e fossero orgogliosi di me. Mi ero impegnato tutta la vita ad esserlo. E poi mi pareva all'improvviso di non aver fatto nulla..."

Sì, era il caso di prendergli la mano.

"Ma quando ho letto la lettera, ho capito. Tu mi amavi perché ero io. Non perché avessi fatto qualcosa o fossi qualcosa...per il semplice fatto di essere io. Io non ricordo quando mi hai preso in braccio, papà," terminò con la voce oramai rotta, "ma ricordo che ieri sera, quando me l'hai detto...avevo soltanto voglia di piangere e di ridere perché alla fine, io avevo soltanto paura di questo. Che tu non mi amassi."

Esitando, Laguna alzò gli occhi che aveva tenuto bassi per tutto quel tempo, e si allungò ad abbracciare suo figlio, sentendolo sussurrare al suo orecchio, "ho provato così tante volte a dirmi che non mi importavano i tuoi motivi. Ho provato così tanto a sentire che mi eri indifferente...ma alla fine, l'unica cosa che sono riuscito a fare è accettarti..."

Allontanandosi da suo padre per guardarlo negli occhi, terminò, "papà, è grazie a quella lettera che riesco finalmente ad accettarmi per la persona che sono."

Voleva dirgli mille cose, ma non riuscì a pronunciarne nemmeno una. Lo attirò semplicemente in un abbraccio veloce e stretto, prima di dirgli soltanto, "Squall, io sono orgoglioso di te. E anche tua madre lo è."

'Lo è'. Non 'lo sarebbe', come sarebbe stato giusto dire. Sua madre era una presenza che aleggiava in quella stanza anche in quel momento, la pace e la quiete del suo spirito che impregnavano le mura di quel palazzo e i dipinti di Winhill che lo adornavano. Per la prima volta, gli parve di sentirla, quasi di rivederla, come quel fantasma sbiadito al pub; sorrideva, Raine, sembrava allungare una mano ad arruffargli i capelli mentre entrambi si rialzavano dal pavimento e si guardavano quasi imbarazzati.

"Lo sono anche io di essere vostro figlio," gli riuscì di dire con la voce strozzata.

Laguna sorrise del disagio che seguiva quel momento di commozione e di perdono, e tornò a sedersi alla sua scrivania, sorseggiando il suo caffè, convinto che Squall se ne sarebbe andato con una scusa. Invece lo vide sedersi di nuovo di fronte a lui, e allungargli la busta che gli aveva mandato la sera prima. "Aprila", gli ordinò Squall con un sorriso.

Nella busta, stropicciato e rovinato dall'emozione e dalla forza con cui Squall lo aveva stretto tra i pugni, stava un invito alle loro nozze. Per un momento, Laguna pensò di essersi sbagliato, come aveva fatto suo figlio la sera prima, rilesse il biglietto dispiegandolo meglio che poteva, alzò gli occhi stupiti su suo figlio, che con un sorriso gli diceva, alzandosi, "io e Rinoa ci contiamo...non mancate, nessuno di voi quattro."

Era ancora troppo stupito per parlare, mentre osservava suo figlio avvicinarsi alla porta e aprirla per uscire dal suo studio; non si sarebbe mai aspettato di essere invitato al suo matrimonio, non si sarebbe mai aspettato che il perdono di Squall sarebbe arrivato a quel punto -diamine, per quanto dicesse che non era così, gli aveva incasinato la vita non poco.

Poco prima di uscire, come ricordando qualcosa, Squall si voltò e con un sorriso, disse, "a proposito...i quadri di Winhill sparsi nel palazzo sono davvero bellissimi..."

"Grazie," riuscì a trovare la forza di dire, mentre stringeva ancora l'invito in una mano e si grattava imbarazzato la nuca con l'altra, "li ho dipinti io..."

"Lo immaginavo...sono troppo pieni di sentimenti per essere dipinti da qualcun altro..."

Squall uscì, richiudendosi lentamente la porta alle spalle, sorridendo della risata di singhiozzi che udì al di là della porta. Lui e Laguna erano più simili di quanto avesse mai voluto ammettere; stesso modo di combattere l'imbarazzo -una smorfia e una mano a grattare la testa-, stesso amore per Winhill, stessa passione per la pittura...stesso amore l'uno per l'altro.

E tutto questo gli piaceva più di quanto credeva.


"Sta arrivando Squall."

Ellione alzò gli occhi, aggrottando le sopracciglia per quell'improvvisa affermazione di Rinoa, che pareva totalmente sicura di quello che stava dicendo. E infatti, in lontananza anche lei iniziava a sentire il suono familiare dei suoi stivali che calpestavano il selciato dei giardini del palazzo presidenziale. Ma come aveva fatto Rinoa a sentirlo da così lontano?

Come intuendo ciò che stava pensando, Rinoa mormorò, facendole l'occhiolino, "sono una strega, ricordi?"

Detto questo, si alzò, per andare incontro al suo fidanzato che, ne era sicura, era emotivamente distrutto, comunque fossero andate le cose. E infatti, il viso di Squall era una maschera di gioia esausta, di quelle felicità improvvise che succhiano qualsiasi energia nella loro potenza e unicità. Sembrava non avere nemmeno la forza di arrivare fino a lei, e aprì le braccia per accoglierla, aspettando che fosse lei a corrergli incontro e travolgerlo di nuovo con le sue emozioni come aveva fatto nel giardino della Residenza Caraway.

Era così confortante avere lei contro al petto, le sue braccia strette intorno e il suo respiro caldo contro il collo, che gli parve di essere meno stanco, e che la sua felicità si disperdesse dentro di lui nella tranquillità che solo i suoi abbracci sapevano regalargli. La allontanò appena da sé, quanto bastava per prenderle il viso tra le mani, e mormorarle appoggiando la fronte a quella di lei, "grazie, Rinoa..."

Lei sorrise, decidendo di stuzzicarlo un po', e rispose, "mmmh...non avevi detto forse che lo facevi solo per me e ti dovevo un grosso favore?"

Ridendo, lui la strinse un po' più forte a sé e le sussurrò sulle labbra, "mi sbagliavo...non avevi forse detto che era da vedere?"

Senza dire nulla, grata che lui avesse capito e che anche per lui fosse andato tutto nel migliore dei modi come aveva immaginato, colmò lo spazio che li separava, sentendo una lacrime che le cadeva sulla guancia, e incapace di capire se fosse lei a piangere o se fosse lui a lasciar rifluire le sue emozioni contrastanti anche in quel modo.

Aveva bisogno di tranquillità, adesso, Squall, aveva sopportato i due giorni più intensi che poteva immaginare, e sapeva che per una persona come lui, che si era abituata piano piano alle emozioni, era stata la prova più dura, persino più complicata di quei mesi che avevano seguito la confessione di Laguna. Si allontanò da lui lentamente e continuando a stringersi forte a lui, sussurrò, "sono tanto orgogliosa di te, Squall..."

Lui rise di nuovo, stavolta con forza, una risata simile a quella che aveva avuto lei all'annuncio della liberazione di Timber; la risata libera e felice che lui le aveva invidiato, il suono che gli era parso così sensuale quando sgorgava dalla bocca di lei e che ora invece stava dentro di lui.

Gli pareva il suono più naturale del mondo e il modo in cui lei si commuoveva di questa risata gli faceva voglia di ridere ancora di più. Hyne, era felice. Gli sembrava di non poter essere altro che felice. E anche se sapeva che non sarebbe durato per sempre, sentiva che in qualche modo quel momento di gioia pura, limpida e perfetta sarebbe rimasto con lui a rischiarare i momenti grigi che sarebbero arrivati.

Gli era sembrato così impossibile sentirsi dire che qualcuno era orgoglioso di lui. Per anni era stato convinto che nessuno l'avrebbe fatto e poi, quando era arrivata Rinoa e piano piano avevano iniziato a ricordare la loro vita dell'orfanotrofio, aveva creduto che l'orgoglio non fosse poi così importante. Lo amavano, significava che qualcosa di buono, in lui, c'era. Tanto bastava.

Ma adesso che all'amore si accompagnava anche la fierezza...gli sembrava di essersi finalmente accettato, di sapere di non dover fare altro, essere altro, perché lui andava benissimo così com'era, per le persone che amava. E a lui interessava solo il loro amore, la loro stima, il loro orgoglio.

Lentamente l'abbraccio di Rinoa divenne più debole, e anche la sua risata si spegneva, lasciandogli un sorriso dipinto sul volto. Lei lo prendeva per mano, ridendo del suo stomaco che brontolava, "te l'avevo fatto di fare colazione...vieni, noi non abbiamo ancora finito..."

"Noi...?", domandò lui, senza capire.

"Noi...io ed Ellione. Ci siamo incontrate in giardino e abbiamo deciso di aspettare insieme, mentre facevamo colazione..." Si fermò all'improvviso, facendolo quasi sbattere contro di lei; "va bene per te, Squall...?"

Lui rimase in silenzio per qualche minuto, perso nei suoi pensieri; andava bene? Non era forse ora che la smettesse di colpevolizzare Ellione per aver semplicemente cercato di rendere il suo passato migliore, meno doloroso per tutti? Non si era forse detto la sera prima, sotto il cielo di stelle che lo aveva spaventato e tranquillizzato, che in fondo era solo una scusa per nascondere le sue paure?

Oramai era in ballo, e anche se era esausto dalla prova difficile che era stato parlare con suo padre, doveva portare la cosa fino in fondo e ricominciare la sua vita sulle basi del perdono, dell'amore, della fiducia e dell'accettazione.

Con un sorriso ricominciò a camminare, tenendo Rinoa per mano, "non potrebbe andare meglio..."

Da lontano, Ellione sentiva i passi tornare a risuonare nell'aria della mattina che iniziava ad intiepidirsi; si facevano sempre più vicini e sembravano echeggiare il suono impazzito del suo battito, che fremeva di paura e non le permetteva di pensare a cosa, cosa dire. Quanto aveva sconvolto la vita del ragazzo che si stava avvicinando, di cui sentiva la voce stanca e serena, di cui aveva iniziato a temere gli occhi azzurri di ghiaccio o di cielo?

Quanto male gli aveva fatto, continuando con i suoi gesti ad allontanarlo da suo padre?

Sentì la voce che temeva dire qualcosa sottovoce, senza riuscire a distinguere cosa; senza il coraggio di alzare gli occhi, intuì soltanto che Rinoa si era fermata un poco più indietro -forse dietro richiesta di Squall?- e che era solo lui ad avvicinarsi. Prima che se ne rendesse conto, l'ombra di lui torreggiava davanti a lei.

"Elly...guardami."

Stupita che avesse usato il suo nomignolo, alzò gli occhi sbarrati su di lui; e lo trovò con un sorriso dipinto sul volto, gli occhi sereni, senza traccia di rancori o di odio, o peggio di indifferenza, e allargava le braccia aspettando che lei si decidesse ad alzarsi. "Non mi abbracci, sorellina?"

Se non fosse stato che lui era troppo più grande di lei, non sarebbe riuscita ad abbracciarlo con gli occhi così pieni di lacrime. Lui la strinse, mugolandole una risata all'orecchio e accarezzandole appena la schiena prima di mormorarle, "hey, tranquilla..."

"Mi dispiace così tanto, Squall...io non so cosa fare per..."

"Ssssh," interruppe lui, allontanandola da sé mentre anche Rinoa si avvicinava a loro, "basta che tu ci sia al nostro matrimonio, ok? E fa in modo che Laguna non si dimentichi di dirlo anche agli altri..."

Travolta dall'emozione e dalla gioia inaspettata che Squall le aveva regalato, Ellione si lasciò cadere sulla sedia, coprendosi il viso con le mani mentre piangeva risate, sotto gli occhi commossi e divertiti della coppia davanti a lei.

Respirando l'aria tiepida del mattino di Esthar, Squall allungò un braccio a cingere le spalle di Rinoa, per stringerla a sé con un sorriso.

Adesso era davvero a casa.