Disclaimer: Erik e tutti la compagnia dell' Opera non mi appartengono ( anche se, certo, non mi dispiacerebbe mica...)

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Una figura scomposta si faceva largo tra i giochi d'ombre che le vetrate e la luna si divertivano a proiettare al suolo, ed ansimava come se avesse due polmoni e due bocche, quattro piedi e due teste.
Muovendo di poco il collo, trattenendo il respiro, il primo rifugiato poté così assistere alla scissione di quella creatura in due individui distinti man mano che la distanza tra di lui e i nuovi arrivati diminuiva, entrambi erano avvolti in una pesante cappa nera, la prima sostenere la seconda, bisbigliando parole di speranza, senza riceverne alcuna risposta, solo un sospiro indifferente.

- Aiuto!- urlò uno dei due, scivolando a terra sfinito e trascinando con sé l'altro.
Egli non si mosse, restando al riparo nel buio ed osservando l'individuo parlante, un ragazzo, rialzarsi e sollevare con tutte le sue forze il compagno e biascicare fino ai piedi dell'altare; li cadde nuovamente, piangendo la propria debolezza in quella situazione.
Scostò la cappa dal volto del giovane ferito, liberando così le vie respiratorie e accertandosi delle sue attuali condizioni della salute.
Inginocchiato sul corpo immobile, il giovane tremò d'orrore per un attimo, levigando con le mani sporche di sangue e terra il volto schiarito dalla luce sfaccettata e caleidoscopica che si insinuava dall'alto delle vetrate timidamente corteggiate dalla luce dell'astro delle notte e delle stelle sue figlie.
Doveva alzarsi, si diceva, si supplicava, senza però riuscire a comandare i propri muscoli e vincere la paura della morte che li aveva seguiti fin lì e ora reclamava la sua vittima.
Strinse i denti, chiudendo con forza gli occhi per un istante: non doveva lasciarsi vincere dalla disperazione: erano arrivati fin lì insieme e se ne sarebbero andati insieme, entrambi in piedi, entrambi in vita.

- Vado a cercare aiuto! Torno subito-

esclamò velocemente il ragazzo con le lacrime agli occhi, alzandosi e correndo verso la sagrestia, gridando ancora nella speranza che qualcuno lo udisse prima di ritrovarsi troppo distante.

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Nell'ombra, il fantasma attese che le urla del giovane fossero lontane prima di sporgere impercettibilmente di più il capo verso il pavimento dell'altare, sui primi gradini, dove la carcassa giaceva inerte, non un respiro udibile...
Analizzò quella immagine immersa nella luce pallida della luna, quel fagotto nero e lungo disteso come l'agnello sacrificale all'altare di un Dio sopito ed assente alla propria tavola.
Il suo volto era ancora nascosto, in parte, dalla stoffa scura che già copriva il resto del suo corpo, ma credette di essere nel giusto ritenendo che chiunque fosse quel giovane, non aveva che l'età del compagno, e che fosse ferito in maniera molto grave, forse già morto.
Lo giudicò fortunato: morire e non soffrire oltre, immerso nella luce divina tra le mura della casa del suo dio...
Non avrebbe conosciuto altra cattiveria se non quella già inflittagli, e se davvero esisteva un altro mondo, era laggiù che sarebbe andata quella pecorella, confortata dal suo pastore dopo essere stata sbranata dai lupi.
Una fine accettabile, dopotutto...
Un fiato interruppe il suo meditare.
Il giovane era ancora vivo.

- Chi...siete?- respirò la creatura esanime con voce arsa e appesantita dal torpore e dalla sete, non un cenno ma solo il lieve dischiudersi delle labbra, bagnate, così come tutto il viso, del suo stesso sangue.
Ma il suo presunto interlocutore non rispose, trattenendo il respiro, cosa in cui aveva imparato ad eccellere per non essere mai scoperto.

- Chi siete voi...che avvolto nella notte...non sospirate e non tremate...contemplando...la fine...?-

Allargò gli occhi, leggermente sorpreso, ma ancora non si mosse, nè le sue labbra proferirono parola o sussurro: quella persona fiatava appena, eppure la sua voce risuonava forte nella sua mente, simile ad eco.

- In questo silenzio...odo il rapido pulsare...del vostro cuore...quindi non appartiene ad uno spirito... la presenza che percepisco a pochi passi...da questa mia testa riversa al suolo...- balbettò questa frase tossendo, muovendo di poco il collo per respirare meglio, le spalle irrigidite.

- R-rispondete...-

L'uomo chinò la testa, analizzando ancora il profilo minuto, e ammettendo di essere stato scoperto ma di non dover temere nulla, mosse un passo, uscendo allo scoperto ma rimanendo comunque nell'anfratto più oscuro, di fianco alla colonna tornita.
- Sono ben lontano dall'essere uno spirito...-
- Oh...- sussultò di raccolta sorpresa l'interlocutore steso a terra, - la vostra voce...la vostra voce è come non ne ho mai udite prima...se credessi in un dio misericordioso...vi scambierei per un angelo...-
ed egli strinse i denti a quell' affermazione, ricacciando nel profondo del proprio petto il dolore che quelle parole sulla bocca di un moribondo gli provocavano.

- L'angelo della morte...-

parlò ancora, prima che un rigurgito di vomito misto a sangue sconvolgesse per qualche istante quel relitto umano, che cadde dal largo gradino su cui era stato deposto, riverso al suolo come morto, ma vivo e senza un singhiozzo, un accenno di pianto a turbare il corpo, che nuovamente prese a sanguinare, via via inumidendo e superando la sottile barriera della benda precedentemente utilizzata e del manto che indossava per coprirsi.

- Voi dunque non credete in Dio?- domandò amaramente lui, accigliandosi nel vedere una persona morire a quel modo.

Aveva sempre preferito strangolare le sue vittime, i suoi carnefici, e vederle morire guardandole negli occhi, assorbendo la loro paura e godendo del loro dolore, assaporando e inebriandosi di quel potere che la natura gli aveva dato, derubandolo in cambio di ciò che più desiderava e sapeva non avrebbe mai avuto.
Uno scambio iniquo, crudele, che lui non aveva voluto ma aveva subito, reagendo alla violenza con la violenza, all'odio con un odio ancora maggiore.

E ora quello scricciolo disteso all'altare dei perdenti, attendeva la fine senza piangere, discorrendo nei suoi ultimi istanti di vita con un'ombra nella notte, con un diavolo respinto dalla luce di Dio e dalle speranze del giorno.
Lui stesso avrebbe fatto quella fine se non fosse fuggito più di una volta dalla crudeltà del mondo.
Ma non si ritenne fortunato: quante sofferenze si sarebbe risparmiato se il suo istinto non l'avesse tenuto in vita in maniera quasi sadica, come un animale continuamente braccato e fuggiasco come un topo codardo?
Quanto male avrebbe e si sarebbe evitato se fosse morto in un tempo lontano, nella gabbia che aveva chiamato casa, senza riserve, per tre anni, colpito da una bastonata o da un calcio in più, colpi inferti con più violenza?

Invece fuggire era sempre stata la scelta giusta, quella ovvia, quella necessaria...

Fuggire dall'esistenza di una madre che come unico dono gli aveva mostrato il riflesso di uno specchio e lo aveva subito relegato dietro ad una maschera, la prima, per nascondere la mostruosità di un volto per metà non sano dietro un paramento che lo aveva solo esposto ancora più alla curiosità morbosa dei loro vicini, del villaggio bigotto e cattolico in cui era nato.

Fuggire dalle mire di un padrone vizioso e approfittatore, violento e malvagio, ma che era più umano del mostro che aveva catturato solo ed indifeso un giorno di settembre, durante l'itinerario che aveva condotto la carovana degli zingari al limite dell'estremo Nord, respirando in lontananza l'olezzo disgustoso delle taverne di porto in corrispondenza della sottile linea di oceano che era la Manica.

Era stato forse umano, costui, quando lo aveva smascherato innanzi a tutti gli zingari e lo aveva presentato come sua nuova attrazione?
O quando lo picchiava per indurlo a mangiare e non lasciarsi morire così d'inedia?
O quando lo picchiava per costringerlo a smascherarsi e mostrarsi come nudo di fronte a quella folla di estranei disgustosi, così tipicamente borghesi nel vestire quanto poveri, villani e aridi nell'atteggiamento, nelle risa sguaiate e nelle grida di orrore che essi stessi erano venuti cercando, comprando con una moneta di bronzo l'eccitazione di un momento e la dignità di una creatura per gli anni a seguire?
O quando lo picchiava per il semplice e snaturato gusto di farlo e nient'altro?

Nuovamente, anche quella notte era scappato, sconfitto e rifiutato, abbandonando in una lacrima scesa dal volto addolorato dell'unica donna mai amata tutte le sue speranze e le sue illusioni.
Perchè di illusioni si era trattato...
Vane speranze, quelle che si era creato in tutti quegli anni...
Lo aveva sempre sospettato, forse anche saputo…ma aveva zittito quella voce insistente che gli gridava i suoi errori, convincendosi che quella bellezza non poteva essere sbagliata, non poteva fargli del male...
Quanto aveva sbagliato, si rimproverava adesso.
Non esisteva l'amore...quello che aveva provato per la sua Christine era solo un' illusione, riflesso incantevole allo specchio di un cuore incrinato che si era spezzato colpito dalla dura realtà e le cui schegge si erano sciolte in pianto negli occhi, sospiri nei polmoni, singhiozzi nelle viscere.
Che cruda illusione, così vicina al vero da entrarvi e violentare l'animo, sezionare la mente alla ricerca del suo punto più fragile e lì agire, distruggere senza compassione apparente...

E quale duro scherzo del destino scoprire di essere il solo artefice della propria disfatta...

Avrebbe dovuto rassegnarsi da anni all'idea di essere solo un animale...e gli animali non avevano Dio.

Non hanno Amore.
Solo desideri realizzabili ed una vita breve e senza scopo, in cui il potere e la forza sono sufficienti ed indispensabili.
Non c'era altro.
Nessun Dio.
L'amore di Dio era solo una bugia.
L'amore...era solo una bugia.

Ed ora l'amore e le sue seduzioni lo avevano abbandonato.
Era solo.

Completamente solo: neanche la musica, l'unica compagna in tanti anni di solitudine, avrebbe allietato il risveglio dai suoi incubi, i suoi giorni sempre uguali immerso nelle tenebre di un rifugio distrutto.

Quella notte, la musica l'aveva lasciato orfano disperato dell'unica madre amorevole che tanto aveva amato e venerato in anni di oscura esistenza.
Sarebbe più riuscito a suonare qualcosa che non fosse simile ad un pianto disperato, o ad un grido di totale odio e disprezzo?
L'ispirazione che il riflesso d'amore gli aveva donato gli avrebbe nuovamente fatto visita?

Non dubitava.

Quella notte, nelle profondità della sua dimora...gli angeli avevano pianto...e la musica era morta.
Ora regnava solo il silenzio dentro lui, attorno a lui, spezzato solamente dagli ansiti di un moribondo ai piedi dell'altare.

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- Oh si...- rispose alla sua domanda, sforzandosi di rimettersi nuovamente in posizione supina dopo che la caduta aveva costretto il suo volto a contatto diretto col marmo,
- Anzi...sicuramente Egli esiste e mi sta osservando, sperando che io muoia adesso-

Fece un altro passo e riuscì a cogliere meglio il profilo di parte del suo volto: erano lineamenti dolci per un uomo, morbidi e delicati, seppur tinti di rosso e di nero sangue.
- Perchè mai il tuo Dio vorrebbe vederti morto?- domandò con simulata indifferenza, celatamente interessato.
Si sorprese quando si accorse che il lento ansimare del ferito si era trasformato in una risata fredda e roca, appena udibile, gli occhi per la prima volta socchiudersi, nonostante egli non avvertisse altro che il fugace muoversi delle palpebre.

- Perchè la mia anima appartiene al Diavolo...e brucia già tra le fiamme dell' Inferno...lontana dall' illusione degli angeli e del paradiso-