Chiudo gli occhi, soffocato dalle mie tenebre, ma questa notte non voglio dormire.
Eppure, gli incubi non sono poi così peggiori dei ricordi.
Il mio ricordo
trascina pesanti catene
e l'incubo è prigioniero
quando disegna di trilli
la sera. [1]
Quella notte dormivo d'un sonno agitato, ma il bagliore argenteo della fenice mi svegliò subito.
Il Patronus parlò con voce così flebile che faticai perfino a riconoscerla.
Una disperata richiesta d'aiuto.
Il cuore prese a martellarmi in petto.
Vecchio testardo: s'era di nuovo cacciato nei guai.
Da solo, ancora una volta.
Ed io, allora, a cosa diavolo servivo io?
Fui in piedi in un balzo e in due ero già vestito. Afferrai la bacchetta e la borsa con le pozioni d'emergenza e mi precipitati nella Foresta Proibita, seguendo la lucente Fenice per smaterializzarmi.
Lo ritrovai riverso a terra, in fin di vita, la spada di Grifondoro ancora stretta in pugno e l'anello dei Gaunt, avvolto in un denso fumo nero e con la pietra spezzata, infilato all'anulare dell'altra mano.
Aveva cercato di distruggere un Horcrux del Signore Oscuro e stava morendo: aveva usato le sue ultime forze per inviarmi la richiesta d'aiuto tramite il Patronus.
Per un brevissimo istante, la consapevolezza che stavo per perderlo mi soffocò; lottai angosciato per respirare e recuperare il necessario controllo, quindi mi chinai per esaminarlo: una Maledizione Oscura, di enorme potenza, si era scatenata dall'anello quando aveva cercato di distruggerlo.
A fatica riuscii a sfilarglielo dal dito, ma solo usando la magia: sembrava che l'oggetto ancora lottasse e cercasse di attaccare anche me. Appena lo ebbi tra le mani lo lasciai cadere a terra: era rovente e mi resi conto che la mano di Albus stava bruciando dall'interno, a partire dal punto in cui l'anello era stato a contatto con la pelle.
Provai a contrastare la maledizione che si era insinuata in lui mormorando convulsamente ogni potente contro-incantesimo di mia conoscenza: mi resi presto conto che in nessun modo, purtroppo, nonostante i ripetuti e ostinati sforzi, sarei riuscito a estinguere l'invisibile fuoco nero.
Ero sudato e disperato e Albus gemeva piano a ogni nuovo sortilegio tentato. Avrei voluto avere il tempo per chinarmi su di lui e confortarlo, ma ogni secondo era essenziale per la sua salvezza.
Alla fine, riuscii a intrappolare momentaneamente la maledizione all'interno della mano: lui era pallido come un morto e le mie ginocchia dolevano.
Gli sfiorai appena le labbra secche: respirava ancora, pianissimo, un soffio quasi privo di vita.
Estrassi una provetta dalla borsa: dovetti imporre alle mie dita di non tremare, mentre gli versavo piano il contenuto in gola, sorreggendogli con attenzione il capo. Poi feci lo stesso con un'altra. Ne cercai una terza, dal contenuto molto più denso, e glielo spalmai generoso sulla mano, con amorevole cura: non avrebbe avuto alcun effetto sulla maledizione, ma leniva il dolore che traspariva dal volto pallidissimo, mentre riprendeva piano conoscenza.
Aveva rischiato di morire, pochi minuti ancora e non sarei arrivato in tempo.
Mi accorsi che stavo tremando e avevo il respiro affannato.
Per quanto mi costasse ammetterlo, anche con me stesso, gli volevo bene e non volevo perderlo.
Per il momento gli avevo salvato la vita, anche se non ero riuscito a debellare la maledizione.
Raccolsi da terra l'anello: non scottava più e lo infilai in una tasca interna del mantello, insieme con la spada di Grifondoro; gli riposi la bacchetta nell'ampia veste blu e lo sollevai delicato fra le braccia rialzandomi in piedi: era incredibilmente leggero per un uomo della sua altezza.
Mi smaterializzai e tornai nella Foresta, e quindi a Hogwarts: passai il resto della notte a vegliarlo. Sudava e si lamentava. Io gli cambiavo di continuo il panno bagnato sulla fronte.
E gli tenevo piano la mano, quella sana, tra le mie.
Lui mi stringeva appena le dita.
Era vivo, ma non sapevo ancora per quanto tempo.
L'indomani, quando si risvegliò e fui certo fosse fuori pericolo, la mia paura si trasformò in ira furiosa e gliene dissi di tutti i colori. Perché era andato da solo, perché era stato così stupido da infilarsi al dito l'anello che, in modo evidente, dimostrava d'essere stato stregato, perché non mi aveva chiamato subito, ma aveva cercato di far da sé, correndo rischi enormi e perdendo tempo prezioso?
Mi rispose solo con un sorriso e non mi rivelò mai per quale dannato motivo avesse deciso di indossare l'anello, invece di distruggerlo.
Si guardava la mano bruciata e avvizzita, come fosse un trofeo: sembrava considerarlo un equo scambio per la distruzione di un frammento d'anima di Voldemort.
Vecchio pazzo: no, non ne valeva la pena, non se si trattava della sua vita.
C'era la mia da usare: gliela avevo offerta tanti anni prima.
Però, mi ringraziò con calore d'averlo salvato, almeno per il momento.
Da quella notte cominciò un lungo travaglio alla ricerca di una soluzione definitiva per la mano di Albus.
I primi giorni lui si mostrava ottimista, e dubitai perfino che lo facesse solo per incoraggiarmi, ma presto parve abbandonare ogni speranza.
Soprattutto quando gli raccontai del Voto e della missione affidata a Draco dall'Oscuro Signore.
- Non ha importanza, Severus, sono vecchio e ho vissuto abbastanza.
Mi sfuggì un basso ringhio.
Importava eccome.
A me importava.
Non avevo intenzione di permettere a Draco, ammesso mai che potesse riuscirci, di ucciderlo.
A quel tempo, ancora non avevo capito cosa Albus avesse in serbo per me.
L'unico mio angosciato pensiero, in quel momento, era per Crystal.
La mia Crystal, ancora non rivista dopo la tragica notte in cui aveva salvato la mia anima.
Ma, ancor prima di rivederla, Albus mi confidò il suo piano, quando venne a salutarmi nel mio studio: la scuola era finita e non c'era motivo perché io rimanessi al castello. L'Oscuro Signore aveva perso troppi seguaci al Ministero ed io gli servivo più di prima.
Albus me lo comunicò col solito sorriso sulle labbra, la voce pacata e distaccata, come se stesse parlando della morte di un altro, di un fatto scontato, stupendosi che non lo avessi già capito da solo.
- …ma naturalmente dovrai essere tu ad uccidermi, Severus!
Lo guardai a lungo in silenzio, totalmente incredulo.
Inaccettabile.
I vaneggiamenti di un vecchio pazzo.
Un vecchio pazzo che, sorridendomi, mi chiedeva di ucciderlo.
Chiusi gli occhi e deglutii la mia agghiacciante paura.
Se non fossi riuscito a trovare una soluzione definitiva per la sua mano, sarebbe morto lo stesso, da lì a pochi mesi.
Aveva rinunciato a lottare e lasciato solo sulle mie spalle il carico di trovare una dannata soluzione, come se lui non credesse ce ne fosse una.
Ma io l'avrei trovata, ne ero certo: doveva esistere, dovevo trovarla.
Trovare la terza via, in quel bivio tra la sua morte e la mia, era l'unica scelta che mi rimaneva per non smarrirmi in un folle labirinto di disperazione, per non annegare sempre più dentro me stesso, smarrendomi nel mio dolore.
Riaprii gli occhi e lo guardai fisso:
- No. – risposi, con gelida determinazione. - Non lo farò.
- Severus… ti prego…
I suoi occhi azzurri mi stavano scrutando: non aveva bisogno della Legilimanzia per comprendere i miei pensieri. Li portavo scritti sul viso, sulle labbra serrate e le mascelle contratte, avvolgevano i miei pugni chiusi e incatenavano ogni mio rigido movimento.
- No. – ripetei ancora, in un sibilo di disperata ostinazione.
- Non troverai la soluzione, Severus. Sai anche tu che non esiste.
I miei occhi lo fulminarono.
L'avrei trovata, a costo d'inventare un sortilegio o distillare una nuova pozione o qualunque altra cosa che mi permettesse di liberarlo dalla maledizione. Diversi anni prima, dopo la caduta di Voldemort, avevo trafugare molti suoi preziosi e antichi libri di Magia Oscura: avrei impegnato le mie notti leggendo, cercando, provando.
E ci sarei riuscito.
Dovevo riuscirci.
- Sei giovane: hai più motivi di me per continuare a vivere.
Ancora l'insopportabile sorriso e il brillio azzurro e sereno delle iridi.
- E, perdonami se te lo ricordo, ma hai giurato di uccidermi sotto l'egida di un Voto Infrangibile!
Era indiscutibile: avevo preso l'irrevocabile decisione di sacrificare la mia vita per la sua, ma in quel momento desiderai solo spaccargli il naso, anche se arrivavo secondo.
Ancora una volta intuì i miei pensieri: erano nelle fiamme dei miei occhi.
Si ritrasse veloce dall'ipotetica traiettoria del pugno che non avrei mai levato su di lui: vecchio e con una mano maledetta, ma con i riflessi ancora dannatamente pronti!
- Non puoi lasciarti morire, Severus: pensa a Crystal.
Crystal.
Una lama nel petto, incandescente, a perforare il cuore.
Non gli sfuggiva proprio nulla, si accorgeva sempre di tutto… e capiva.
Poi, solo il gelo scese nella mia anima e sul mio viso.
Verrà la morte e avrà il tuo nome:
m'implori il sacrificio del mio essere,
demonio o angelo infernale che sia.
La mia sofferenza vive attraverso i tuoi occhi,
la piaga della nostalgia scava il solco
dell'anima inchiodata al dovere.[2]
Crystal era perduta in ogni caso, qualunque fosse stata la mia scelta.
Se mi fossi lasciato morire, l'avrei perduta e lei avrebbe enormemente sofferto.
Ma l'avrei perduta anche se avessi deciso di uccidere l'unica persona che credeva in me, che mi voleva bene, cui avevo imparato a volere bene: neppure Crystal avrebbe potuto accettare una tale mostruosità.
Come avrebbe potuto continuare a vivere accanto a un tale assassino?
Come avrebbe potuto amarmi ancora?
- Non sottovalutarla, Severus: lei è in grado di comprendere la tua anima.
Un urlo disperato mi uscì dalle labbra:
- No!
Mi accasciai su me stesso, cadendo in ginocchio, mentre stringevo i pugni e mormoravo piano il suo nome fra le lacrime.
No, la mia adorata Crystal non doveva rimanere legata al mio orrido destino, non doveva diventare la donna di un assassino, da tutti considerato traditore e la cui vita continuava a rimanere appesa a un filo.
No, non l'avrei permesso.
Dovevo trovare il modo per allontanarla da me, subito, prima che potesse davvero cominciare ad amarmi: una piccola sofferenza, ora, per risparmiargliene una immensa tra qualche mese.
Poi, avrei debellato la maledizione di Albus.
Infine, sarei morto.
Ecco quello che dovevo fare: non era difficile.
Dissolviti alla fine dei nostri orizzonti:
noi saremo solo ricordi dispersi nel vento
e la nostra eco un grido spento nel nulla.[3]
Mi sollevai di nuovo in piedi: le lacrime a offuscarmi la vista, ma la decisione era presa e la mia voce ferma e secca.
- No: non ti ucciderò, Albus. E non intendo discuterne oltre.
Raccolsi la borsa in cui avevo magicamente stipato tutte le mie cose e gli girai le spalle con un movimento deciso che fece ondeggiare il mantello.
Lui sospirò.
Io fuggii via.
Fu una fuga di breve durata: avevo un insopprimibile bisogno di rivedere Crystal e stringerla tra le braccia, anche se sapevo che era l'ultima cosa che avrei dovuto fare.
Un incontro tremendo[4], in cui ebbi subito la definitiva conferma d'un sospetto che m'angosciava: dopo la tremenda notte in cui avevo violentato Jamie, ero riuscito a punire me stesso per quel barbaro gesto fino al punto di non essere più in grado di avere un'erezione.
Avevo stretto Crystal tra le braccia con indicibile desiderio, l'aveva baciata con passione, ma il mio corpo era rimasto indifferente.
Un motivo in più, se ancora non ne avessi avuti a sufficienza, per indurla ad allontanarsi da me, a dimenticarmi.
Sfruttai bieco la sua paura d'amare, mi mostrai sgradevolmente esigente nelle mie aspettative verso di lei e le feci credere di non essere all'altezza del mio amore; infine, insinuai in lei l'amaro sospetto che io fossi uguale a ogni altro uomo che aveva approfittato di lei e la convinsi ad andarsene lontano da me, per cercare di capire se stessa.
Mi guardava in silenzio, nuvole di paura ad oscurare di nuovo la luce dei suoi occhi: ogni mia parola era un pugnale che mi lacerava il cuore, con lenta profondità, ripetutamente, mentre tornavo a indossare la maschera che negava la mia umanità.
Cuore
con sette pugnali
ormai è tardi!
Vattene per la strada
degli ahimé.
Vattene
in nessun posto,
Fiore del Mai,
nel vento,
nel vento.
Ah cuore
con sette pugnali![5]
Le regalai del tempo, preziosa risorsa che non possedevo, sperando che il suo timore d'amare, che avevo con crudeltà ravvivato, riuscisse a sopraffare il delicato sentimento che stava nascendo per me nel suo cuore; contavo sul fatto che il tempo passasse in fretta e la magia violata del Voto Infrangibile venisse presto a riscuotere il prezzo fatale.
Invece, io sono vivo e lei non è mai tornata indietro a cercarmi.
Ho superato me stesso e, insieme al mio cuore, sono riuscito a uccidere anche l'amore che la mia dolce Crystal cominciava a provare per me.
Era ciò che volevo.
Perché, allora, cocenti lacrime solcano ancora le mie guance scarne, ora che sono solo l'odiato assassino e traditore di Albus Silente?
Perché il mio cuore maledetto, che dovrebbe solo essere morto, ancora non vuole rassegnarsi, anche se sperare nel suo amore non ha più alcun senso?
Sono ancora qui, raggomitolato nel mio mondo d'incubo, a ripercorrere il lungo cammino degli eventi che, dalla negazione della felicità con Crystal, mi hanno portato in quest'inferno.
La notte scende
Oh che oppressione
Un lungo destino di sangue.[6]
Studiai giorno e notte, in ogni istante concessomi da Voldemort, lessi e rilessi ogni singola riga degli antichi e preziosi volumi che gli avevo sottratto; provai e riprovai, preoccupato dalla maledizione dell'anello che, col passare del tempo, era sempre più difficile tenere confinata nella mano di Albus: dovevo ripetere, a intervalli sempre più bervi, il complicato sortilegio che la intrappolava, addirittura a distanza di pochi giorni dalla volta precedente e il mio vecchio amico non riusciva più a nascondere il dolore che lo assillava, diventando ogni giorno più debole.
La mia profonda conoscenza della complessa arte delle pozioni mi aveva permesso, già da alcuni giorni, di distillare un pericoloso filtro in grado di contrastare bene gli effetti della maledizione, attenuando anche il dolore che affliggeva Albus.
Uno degli ingredienti insostituibili, però, era un veleno che, nonostante qualsiasi antidoto, si accumulava gradualmente nell'organismo e, nel giro di un paio di mesi al massimo, avrebbe superato la soglia di tolleranza di Albus, portandolo comunque alla morte.
Cominciai a somministragli la pozione, monitorando con attenzione il veleno assorbito dal sangue e poi trasferito nel suo organismo; intanto, continuavo a trascorrere le mie notti chino sul fuoco del calderone, in quella lunga estate, tentando ogni possibile nuova combinazione, senza successo.
Ogni volta che gli portavo il filtro, appena modificato e migliorato, mi ringraziava, ma subito dopo scrollava la testa e mi incitava a riposarmi, indicando le occhiaie che si allargavano sul mio volto, sempre più pallido e smagrito.
Continuava a preoccuparsi per me, più di quanto non facesse per se stesso.
Alla fine, quando ormai disperavo di trovare la soluzione, ebbi un'illuminazione.
Ricordai un vecchio sortilegio oscuro, di cui mi aveva fatto cenno Voldemort diversi anni prima: uno dei tanti che aveva analizzato nella sua incessante ricerca dell'immortalità. Nella versione originale permetteva un travaso di vita da un soggetto a un altro, allungando quella di una persona tramite il risucchio di quella dell'altra.
Cosa sarebbe accaduto se avessi applicato il sortilegio alla mia pozione, aggiungendole un ultimo ingrediente, il necessario tributo sottratto a un'altra vita?
Il veleno contenuto nella pozione infettava il sangue di Albus e si accumulava nel suo organismo: ma il sangue offerto da un'altra persona avrebbe potuto, catalizzato dall'oscuro sortilegio, sostituirsi di volta in volta a quello di Albus, purificandolo?
Non mi restava che provare.
Slacciai rapido i bottoni della giacca e la gettai sulla poltrona, quindi aprii quelli del polsino della camicia e arrotolai la manica fino al gomito. Afferrai un piccolo coltello dalla lama ben affilata e, con mano ferma, premetti con la punta alla ricerca della vena del polso.
Per un istante la lama brillò sulla pelle pallida, riflettendo il rosso del fuoco del camino e il mio sguardo nero e determinato: praticai con sicurezza un'incisione profonda sul polso sinistro, appena sotto il marchio della mia schiavitù.
La lama affondò e Il sangue stillò, mentre stringevo i denti e rivolgevo il braccio verso il basso, lasciando il coltello per afferrare una provetta graduata: avrei dovuto fare esperimenti per individuare l'esatta quantità occorrente.
Un lungo rivolo, intenso rubino disciolto, fluì caldo sulla pelle, scivolò lungo l'anulare fino a raggiungerne la punta: pesanti e gonfie gocce di doloroso affetto si raccolsero nella fiala.
Per un lungo istante, quasi ipnotizzato dal mio stesso sangue, desiderai morire così, adagio, dissanguato, affinché non vi fosse più nessun'altra alba di disperazione senza la mia Crystal.
Mi riscossi quando la provetta fu colma del mio tiepido fluido vitale: purtroppo, in quel momento la mia morte era solo un miraggio agognato che, come tutti gli altri, non poteva avverarsi; ma, a differenza d'ogni altra mia precedente e ormai svanita illusione, sarebbe presto venuto il giorno in cui l'unico sogno rimasto si sarebbe infine realizzato.
Rimarginai la ferita con un colpo di bacchetta e versai il sangue, goccia a goccia.
Appena a contatto con la pozione verde scuro si udì un crepitio: rimestai con cura il liquido, mentre la superficie scintillava e il colore virava in un macabro e intenso rosso.
Alzai la bacchetta e mormorai l'oscura formula dell'antico sortilegio: il liquido nel piccolo calderone prese a ribollire con forza, quasi volesse uscirne; poi si placò di colpo e la superficie si ricoprì di fiamme, come se l'inferno ne fosse emerso all'improvviso, con il suo soffio rovente. Ritrassi rapido il viso, riuscendo a sottrarmi solo in parte alla vampata di vapore ardente: gli occhi mi lacrimavano e la guancia destra pulsava di dolore. Presi mentalmente nota della particolare reazione, onde evitarne le negative conseguenze le volte successive.
Le fiamme scomparvero in una frazione di secondo, il liquido si calmò e assunse una tonalità marrone bruciato: la nuova pozione era pronta e conteneva una piccola frazione della mia vita, che intendevo offrire ad Albus per salvare la sua.
Solo allora mi resi conto di quanta potenza magica era stata necessaria per operare l'incantesimo infernale: ero stanchissimo, svuotato da ogni energia.
Il polso bruciava nel punto in cui l'avevo inciso. Con gli occhi offuscati dalle lacrime appurai che non si notava il segno del taglio: avevo fatto un buon lavoro.
Appena più sopra, invece, il marchio spiccava nero sulla pelle pallida del mio avambraccio.
Avrei voluto squarciare l'emblema dei miei errori e inondare con il sangue la pozione, ma sarebbe stato inutile: il sangue doveva essere aggiunto fresco, nella giusta quantità, appena prima di compiere il sortilegio di travaso della linfa vitale.
Non potevo distillare la pozione e poi conservata: la magia oscura imponeva che la vittima predestinata, la cui vita veniva utilizzata nello scambio diabolico, fosse viva nell'esatto istante, per esserne privata a altrui vantaggio.
Se la pozione avesse funzionato, mi sarei trovato davanti a un ulteriore problema da risolvere: ma ci avrei pensato più avanti.
Il mattino successivo sperimentai il nuovo ritrovato su Albus e, verificato che il suo sangue non avesse accumulato nuovo veleno negli organi vitali, mi permisi un lieve sorriso di soddisfazione.
Ce l'avevo fatta.
La pozione, con l'aggiunta del mio sangue e del sortilegio, funzionava: questo implicava, però, che io rimanessi vivo, sia per preparare la pozione sia, soprattutto, per utilizzare il mio sangue, nonché per praticare il necessario sortilegio oscuro, ammesso mai di riuscire a convincere Albus ad accettare l'infernale scambio di vite e di sangue.
Se lo conoscevo abbastanza, e lo conoscevo molto bene, non avrebbe mai acconsentito: quindi, tanto per cominciare, Albus non avrebbe mai dovuto sapere la verità.
Saremmo stati pari, considerato tutte le informazioni che mi rivelava solo in parte.
Ad ogni modo, non era un problema: nessuno sapeva mentire meglio di me e Silente non aveva mai neppure provato a frugarmi nella mente.
Se dovevo restare vivo, però, occorreva trovare un modo per aggirare l'incantesimo del Voto Infrangibile.
Era difficile, ma non impossibile: se avevo scoperto da solo il modo per debellare la maledizione dell'anello, insieme a Silente avrei trovato il modo anche per aggirare il Voto.
Ero certo che, in questo caso, Albus non si sarebbe sottratto al compito: era della mia vita che si trattava, ora.
Sapevo che gli importava, eccome!
A me, invece, premeva solo nella misura in cui la mia sopravvivenza era necessario a permettergli di continuare a vivere.
Avrei continuato a distillare la sua vita, rinunciando a goccia a goccia alla mia, con l'amara constatazione che era l'ultima possibilità per riscattarmi, prima della fine, prima di poter implorare per la mia morte.
Ormai avevo perduto l'amore di Crystal e, con lei, se n'era andata ogni mia ragione di vita.
Eppure, dopo più di un anno, ancora il suo nome vive sulle mie labbra, amare d'infinta tristezza, e il suo dolce suono si perde nel nulla nero che mi circonda, in questa notte che non vedrà mai l'alba.
T'ho perduta. Non t'ho avuta. L'ora
è soave per il mio dolore.
Lascia che l'essere mio memore
senta l'amore,
ancor che amare sia un'ansia,
una ricordanza falsa e vana,
e la notte di questo vago anelito
non abbia mattino.[7]
[1] Garcia Lorca: tratto da "Banderuola"
[2] Earendil
[3] Earendil
[4] Vedi i capitoli 23 e 24 di "Luci e ombre del Cristallo"
[5] Garcia Lorca: tratto da "Voto"
[6] Guillaume Apollinaire - dalla raccolta "Poesie a Lou": tratto da"X. Se morissi laggiù"
[7] Fernando Pessoa - tratto da "Nell'oro senza fine della morta sera"
