Essere soli e sentirsi soli sono tutt'altro che sinonimi, due piccoli verbi legati allo stesso aggettivo non per rendere una sfumatura, bensì una differenza abissale. La solitudine può essere una scelta di vita, in genere ci si arriva quando si inizia a sentirsi saturi di qualunque cosa e questo ci seppellisce così talmente tanto da non riuscire più a prestare la giusta attenzione alle persone che abbiamo interno, al mondo, e neanche a noi stessi. Si cerca la solitudine nei momenti in cui il cervello va talmente su di giri da rasentare la perdita della ragione, in questi casi niente risulta migliore dell'isolamento scelto per fare chiarezza e poter ricominciare a rapportarsi con la vita con la giusta serenità. In occasioni come queste la solitudine non risulta dolorosa per chi la cerca in quanto essa era stata un bisogno e non una costrizione. Era stata questa urgenza che Madara aveva seguito dopo che per lui era stato troppo. Era pessimo ammetterlo ma per lui era stata abbastanza la sua famiglia costellata di disgrazie, contrasti e incomprensioni. Iniziando da suo fratello minore Izuna, lui lo aveva amato alla follia, quando era nato aveva riversato su di lui più o meno tutta la sua vita e le sue aspettative, lo aveva visto come un alleato per rifuggire da quei genitori freddi e severi che sapevano solo criticare come se esistessero soltanto le cose negative mentre quelle positive fossero invisibili. Madara era sempre stato un ragazzino ubbidiente, uno studente modello e aveva presto imparato a cavarsela da solo. Quando portava delle pagelle impeccabili a casa riceveva come risposta solo un grugnito del padre mentre leggeva fumando la sigaretta senza degnarlo di uno sguardo e la madre continuava a lavare i piatti senza neanche voltarsi; questo significava che era andato tutto bene e che aveva ottenuto il massimo dei voti ovunque. Se era capitato che avesse fatto qualche piccolo scivolone in una materia, più per stanchezza o motivi di salute che per altro, cercava di memorizzare il più possibile accuratamente sia le grida che i ceffoni poiché si trattava delle ultime attenzioni che avrebbe ricevuto dai genitori nell'arco di intere settimane.

"Che vuoi che sia? È stato un incidente di percorso, si riprenderà sicuramente."

Ecco, la cosa che aveva sempre fatto più male di tutte era questa, non le botte e i rimproveri, ma le parole che la madre rivolgeva con i più amorevoli dei sorrisi ai genitori dei suoi compagni di classe che rischiavano seriamente la bocciatura. La nascita di Izuna non poteva non riempirlo di speranze di dare e ricevere quell'amore di cui era colmo ma che non aveva mai potuto esprimere, le sue emozioni erano viste quasi come un fastidio nella rigidità di quella famiglia. Finché il minore era stato piuttosto piccolo erano cresciuti in simbiosi, pur essendo totalmente opposti di carattere, Izuna era molto chiassoso, vivace, faceva amicizia con tutti, talmente spensierato da risultare quasi incosciente, era il classico dolcetto rompiscatole come amava definirlo affettuosamente Madara; seguiva il maggiore con ammirazione e ascoltava tutti i suoi insegnamenti completamente rapito. I severissimi genitori a lui riuscivano a perdonare ogni cosa, persino che a scuola non brillasse più di tanto. Fu Madara a sentirsi autorizzato a prendersi cura di lui in tutto, gli controllava persino i quaderni per accertarsi che facesse tutti i compiti. Per il maggiore questo era un immenso piacere, riusciva a colmare, grazie alla compagnia del fratello, la mancanza di amici dovuta al suo carattere schivo e la trascuratezza ricevuta dai genitori. Tuttavia Izuna crescendo iniziò a legare con i suoi coetanei considerando Madara invadente e un'autentica scocciatura. Non gli andava di avere il fratello maggiore eternamente alle costole mentre usciva con gli amici sentendosi eccessivamente controllato, Madara si sforzava di essere comprensivo tuttavia la sua frustrazione per essere messo da parte dal minore trovava sfogo sotto altre vie. Elargiva ramanzine a Izuna se rientrava troppo tardi la sera, lo accusava di nutrirsi esclusivamente di schifezze come spesso fanno i ragazzini di quell'età, stava sempre a raccomandarsi di non correre in bici, che avrebbe dovuto praticare uno sport serio, di piantarla di vestirsi con i jeans talmente strappati da sembrare a brandelli e di sistemarsi i capelli tagliandosi quell'orrendo codino spettinato.

"Ma se sei tu che vesti come nostro nonno!"

Izuna aveva sbatacchiato la porta della sua stanza sbuffando per troncare il discorso ritenendo il fratello maggiore totalmente incapace di capirlo, scena ripetutasi poi diverse volte fino a quando Izuna era finito per uscire solo dalla sua stanza per mangiare e appena poteva scappava fuori casa con gli amici, tutto studiato ad arte al fine di non ritrovarsi mai da solo con Madara. I genitori facevano finta di non vedere l'atteggiamento del figlio più piccolo mentre Madara iniziava a scivolare in quella che era da sempre un po' considerata la maledizione della famiglia Uchiha, ogni tanto usciva fuori un individuo capace di donare amore incondizionato salvo poi rischiare di sfiorare la pazzia una volta che l'oggetto di questo amore veniva a mancare o semplicemente non riusciva a ricambiare in pieno quell'esclusiva. Il cuore spezzato di Madara si era rivolto altrove come meglio poteva, era ancora giovane e le ferite dell'anima riuscivano ancora a guarire relativamente in fretta riuscendo a mantenere una visione del futuro abbastanza ottimista. Tuttavia i tentativi di colmare il vuoto lasciato da Izuna lo portarono ad eccedere inconsapevolmente nella ricerca di quelle attenzioni di cui si era sentito ingiustamente defraudato. Un giorno suo cugino Obito era venuto a cena da loro con la famiglia nel periodo natalizio, aveva tre anni più di lui e Madara lo aveva sempre considerato inarrivabile sia per la differenza di età sia per il suo essere un sognatore eternamente con la testa tra le nuvole, era sempre un po' difficile capire che cosa Obito pensasse, amava leggere e scrivere racconti e poesie, tuttavia Madara era certo che si trattasse di idee molto profonde e interessanti. Si era sentito andare le guance in fiamme tutta la sera osservando il cugino, stava nascosto tra i suoi folti capelli che già iniziavano ad essere molto lunghi realizzando che erano già trascorsi un sacco di anni dall'ultima volta che aveva visto Obito durante una vacanza estiva per poi perderlo quasi del tutto di vita. Era diventato un ragazzo molto affascinate, la pelle leggermente più scura di quella lattea che aveva da sempre caratterizzato tutta la famiglia, lo rendeva caldo e passionale andando a intonarsi perfettamente con il nero degli occhi e dei capelli senza entrarne in netto contrasto, stava diventato molto alto con le gambe lunghe e slanciate, riusciva a rimanere tuttavia piuttosto magro, al contrario di Madara che aveva la tendenza a essere più muscoloso. Non aveva raccontato niente di se quella sera, si era limitato alle gentili formalità e a farsi trascinare dalle risate di tutti di fronte allo scapestrato Izuna il quale non si sforzava minimamente di mascherare la sua noia di partecipare a quella cena a cui era stato praticamente costretto. Madara non aveva proferito quasi parola non riuscendo a mandare giù praticamente niente, si sentiva sciogliere nel suo battito accelerato e nel caldo del camino che solo lui percepiva quasi infernale; era certo che Obito avesse notato le sue guance arrossate e i suoi occhi lucidi, per questo gli aveva proposto, a cena terminata mentre le loro madri riordinavano la cucina e i padri stavano giocando una a partita a scacchi dandosi coraggio a suon di amari, di salire nella sua stanza per dare un'occhiata alla sua ben fornita libreria. Izuna, che si era isolato attaccandosi ai videogiochi in salotto, non li aveva praticamente visti mentre salivano le scale di legno in penombra. Madara possedeva così tanti libri e pochi vestiti da averli posizionati all'interno quella che avrebbe dovuto essere un'anta dell'armadio, Obito era stato un quarto d'ora buono a contemplarli senza dire niente mentre Madara era completamente paralizzato e incapace di sbloccare la situazione, tremava, Obito gli lanciò un'occhiata tagliente di traverso probabilmente essendosi accorto di questo prima di sedersi sul letto.

"In effetti fa un po' freddo, questa casa è un vulcano al piano inferiore e una ghiacciaia a quello superiore" non aveva sollevato lo sguardo dal libro sull'Amazzonia che stava sfogliando.

Madara gli aveva proposto di portargli un tè caldo, il cugino aveva accettato annuendo con un grugnito senza mai guardarlo nemmeno allora, Madara si era avviato dabbasso pensando che lui stava tremando per mille motivi tranne che per il freddo. Nessuno gli aveva prestato attenzione vedendolo entrare in cucina per poi uscire con una tazza in mano, i padri ormai brilli, le madri intente a spettegolare e Izuna che pareva fondersi tra non molto con il monitor della sua console.

Obito era ancora lì, rapito dall'Amazzonia, Madara prese il coraggio di sedersi sul letto accanto a lui porgendogli quella tazza per la quale non ricevette nemmeno un ringraziamento. Passò pian piano alle sue spalle muovendosi languido sul materasso mentre aveva l'impressione di trovarsi circondato da fiamme piacevolmente calde e luminose ma senza che fossero ustionanti. Sollevò il piumone del suo letto appoggiandoselo sulle spalle per poi riavvicinarsi verso Obito puntando gli occhi neri e lucidi come due sfere di vetro sul collo esile di del cugino chinato ancora nella lettura tra un sorso di tè e l'altro, lo trovava incantevole con quel maglioncino verde scuro che gli vestiva a pennello, dalla cui scollatura si intravedeva il colletto di una camicia nera.

Il momento è ora.

Il suo bisogno di donare amore pressoché incondizionatamente lo aveva fatto avvicinare alle spalle di Obito così tanto da percepire il calore del suo corpo anche attraverso i vestiti di entrambi, Madara gli aveva posato piano il piumone sulle spalle facendogli intuire, per ora, solo la sua intenzione di riscaldarlo. Il semplice gesto che fece il maggiore di afferrare un lembo della coperta per avvolgersi le spalle, senza tuttavia ancora staccare gli occhi dal libro, infuse a Madara nuovi speranza e coraggio. Avvicinò ancora il suo corpo alla schiena del cugino fino a farli aderire, era un contatto leggero, appena accennato, che non fece muovere Obito il quale ancora godeva soltanto del fatto di trovare sollievo dal freddo. Madara stava sondando progressivamente il terreno tenendo sempre più a fatica a bada quelle fiamme che sentiva divampargli sia fuori che dentro, alzò le braccia avvolgendo completamente Obito nel piumone facendo tuttavia attenzione che non gli finisse sulle pagine disturbandolo, continuava a tremare tuttavia si sentiva più sciolto e sicuro di se tanto che si appoggiò alla schiena del cugino facendoci gravare in parte il suo peso. Obito si dimenò leggermente gesto che Madara non fu in grado di interpretare, tuttavia il fatto che forse ancora perso tre le pagine del libro alquanto rilassato lo fece tranquillizzare, la pressione dei corpi fece avvertire a Madara il proprio costato muoversi al ritmo del respiro ormai accelerato, la smania che gli dava l'erezione in contatto con la stoffa degli abiti stava per sfuggire pericolosamente al suo controllo; allargò le gambe posando le sue cosce su quelle di Obito e la testa sulla sua spalla destra facendo scendere involontariamente alcune ciocche dei lunghissimi capelli sull'addome del cugino. L'eccitazione crescente gli fece inarcare istintivamente la schiena strofinando il suo sesso sulle natiche di Obito, il materasso cigolò leggermente sotto il suo affondo mentre gli sfuggiva un sospiro tremante. Il fragore della tazza che si frantumava sul pavimento lo fece sobbalzare alzando la testa dalla spalla di Obito, il suo cuore e il suo respiro non avevano mutato il loro ritmo rapido, tuttavia il motivo che li muoveva non era più la passione che era stata spazzata via in un attimo dal timore prima e dal dolore subito dopo, Obito si era liberato del piumone con gesto stizzito alzandosi di scatto da quel letto su cui aveva gettato il libro sull'Amazzonia con un gesto della mano che tradiva anche disprezzo. Nonostante camminasse velocissimo per scappare dalla stanza, riuscì a non far produrre il minimo rumore ai mocassini di pelle nera. Madara era rimasto pietrificato sotto quel piumone celeste, perché Obito aveva dovuto portarlo fino a quel punto prima di fargli capire che non voleva? Il rosso avvolgente delle gradevoli fiamme era stato sostituito dal gelo, i muscoli intirizziti di Madara erano riusciti a muoversi dopo un tempo interminabile quel poco da permettergli di rannicchiarsi come un misero fagotto informe sotto le coperte da cui usciva solo qualche ciocca di capelli. La dimensione in cui si trovava il suo corpo squassato dai singhiozzi era su un pianeta differente rispetto all'allegria che si sentiva dabbasso. Le risate si affievolirono piano piano seguite dai saluti, la macchina della famiglia di Obito era scivolata via nella notte facendo scricchiolare la ghiaia dei vialetto, la console aveva lasciato il posto al televisore che era rimasto acceso ancora un po' in salotto finché i genitori non si erano ritirati nella loro camera. I due fratelli avevano sempre dormito nella stessa stanza, quando aveva sentito il minore entrare nella camera, Madara si era sforzato di trattenere invano i singhiozzi, aveva dovuto lasciar andare qualcosa per forza o avrebbe rischiato di soffocare. Tuttavia Izuna si era coricato nel suo letto iniziando a russare sommessamente poco dopo, la sua indifferenza aveva infilzato mortalmente Madara ancora una volta, di nuovo si chiedeva cosa ci fosse di storto nel dare tutto se stesso per amare qualcuno, non aveva preteso mai niente in cambio tuttavia aveva l'impressione di essere ripagato solo con distanze, evitamenti e solitudine.

La risposta gli era arrivata poche settimane più tardi apprendendo che Obito aveva conosciuto una ragazza di cui si era innamorato a prima vista. Siccome il cugino non aveva niente di personale contro di lui e lo aveva inviato ad uscire insieme per presentargli questa Rin di cui gli parlava costantemente al telefono, Madara era stato per l'ennesima volta costretto ad accettare quella sottile violenza intrinseca alla comprensione. Era consapevole di non poter costringere Obito a provare le stesse cose che sentiva lui quando lo vedeva, così come non si può costringere qualcuno a volerci bene, tuttavia l'accettazione della sua pur bella e sincera amicizia e della felicità assoluta che scaturiva da Obito quando guardava quella ragazza così trascinante nella sua semplicità, trafiggeva Madara come milioni di spade ogni volta. In quelle occasioni si sentiva solo pur non essendolo materialmente, una situazione che si era fatta via via più pesante fino a costringerlo a cercare quella solitudine che invece rappresenta una scelta di vita per salvarsi dal dolore. Il secondo amore che gli era scivolato tra le dita, la prima volta che aveva scelto l'isolamento per non affondare.

Aveva continuato la sua vita per tre anni in un'inerzia tale che i ricordi di quel periodo gli erano sempre rimasti difficili da rievocare in età adulta, a volte gli capitava di stupirsi rivedendo per caso qualche fotografia scattata in quell'epoca stupendosi di rivedere eventi di cui non era riuscito a registrare nessuna memoria. Le sue giornate erano tutte così identiche da rasentare la follia, finiva anche per dimenticarsi che giorno era per non saperle più distinguerle l'una dall'altra, andava a scuola, pranzavano tutti insieme prima che Izuna uscisse per seguire una delle sue innumerevoli attività, sport, amici, qualche corso di dopo scuola, insomma, pareva essere diventato molto più intraprendente di lui. Madara si chiudeva in camera sua per studiare tutto il giorno fino a sera, ogni tanto faceva qualche pausa che consisteva nel leggere un libro che non fosse scolastico, tuttavia continuava a portare a casa ottimi voti e per i genitori non esisteva altro che avesse importanza. Nel suo assoluto isolamento Madara aveva avuto modo di riflettere a lungo arrivando alla conclusione che l'affetto che donava era sempre rimasto invisibile. Gli eventi che erano accaduti durante la sua prima infanzia li aveva presenti in maniera molto più chiara rispetto a quelli recenti, si era reso conto di avere iniziato a desiderare ancora più ardentemente un fratellino dopo la nascita di Itachi. Aveva cinque anni e con la famiglia era andato a trovare quella del cuginetto appena nato, non avrebbe mai potuto dimenticare il viso sereno di Mikoto rivolta verso di lui mentre gli chiedeva se voleva tenere in braccio il bambino, sembrava avvolta dalla luce. E non avrebbe mai potuto scordarsi di come Itachi si era addormentato succhiando un bottoncino della sua camicia e premendogli le manine sul petto. Era presente anche Shisui quel giorno, ancora troppo piccolo perché gli permettessero di interagire col neonato, gonfiava le guanciotte osservando Madara carico di invidia. Tuttavia aveva stretto quel fagottino soltanto una volta, prima che finisse sballottato come un pacco postale senza indirizzo da un dottore all'altro. Madara, nonostante la sua giovane età, non aveva potuto fare a meno di notare come invece l'amicizia tra Itachi e Shisui fosse cresciuta nonostante tutto; lui era stato quello messo da parte ancora una volta. Izuna aveva solo un anno meno di Itachi e anche per questo Madara era finito a incanalare tutti i suoi sentimenti verso di lui. Tuttavia era ancora giovane e il suo carattere era troppo energico e combattivo perché la sua resilienza tardasse ancora a farsi sentire, aveva vissuto l'ingresso alle scuole superiori come un cambio radicale di vita che gli aveva infuso un nuovo sprint. Aveva ricominciato a fare sport proseguendo i corsi di Taekwondo iniziati nell'infanzia, portava avanti con successo gli studi riuscendo anche a diventare rappresentate d'istituto per ben tre anni consecutivi. La disgrazia subita da Obito in quel periodo era finita per riempire il poco tempo libero che aveva togliendogli la possibilità di arrovellarsi su Izuna e il resto della famiglia, compreso l'ultimo nato che a mala pena conosceva, Sasuke. Si era sempre sentito riprovevole a formulare un pensiero del genere coscientemente ma era la verità: il trasferirsi a casa di Obito per stargli vicino dopo l'incidente era stato un grosso cambiamento da cui il suo umore aveva trovato giovamento. Era stato convinto che la sua fame di dare e ricevere amore fosse sopita o comunque assorbita totalmente dalle attenzioni che riversava su Obito finché non fu risvegliata improvvisamente da un fulmine celeste. I fulmini sono tutti di quel colore in realtà, ma questo era uno sguardo e appunto lo aveva folgorato come una saetta. L'occhiolino che aveva fatto a quella prima indisciplinata era per una sola persona, se doveva essere sincero fino in fondo era sempre per quella persona che era entrato quella mattina in quell'aula; non avrebbe mai detto che il suo cuore, frantumato più volte già a quell'età, potesse di nuovo battere per qualcuno e per giunta così forte. Era stato rapito dal modo in cui quel ragazzo, apparentemente timido e con certamente delle pessime esperienze alle spalle, avesse lottato con tutto se stesso per inseguire i suoi sentimenti lasciandosi scivolare addosso i giudizi della gente. Non si trattava di qualcosa di fisico e carnale come era accaduto quella sera di tanti anni prima con Obito, bensì qualcosa di prezioso che si andava costruendo un mattone per volta in cui il contatto con la pelle sarebbe arrivato per ultimo. Madara aveva avuto l'impressione che tutto l'amore donato e mai ripagato gli fosse ritornato all'improvviso e nel modo più inaspettato. Si era illuso che la sua ritrovata felicità venisse compresa da Obito così come lui aveva accettato il suo amore per Rin e il cambiamento che la disgrazia appena subita lo avesse costretto a fare, era fiducioso che che potessero legare tutti quanti, lui, Obito, Naruto, Kiba e Kisame e che questo potesse aiutare il cugino a liberarsi dei suoi demoni e magari riavvicinarsi a Rin, Madara aveva intuito il vero motivo per cui la ragazza si era momentaneamente allontanata; quella da lui sperata sarebbe stata l'evoluzione naturale degli eventi che avrebbe reso tutti appagati. Tuttavia non aveva fatto i conti di quanto potesse essere difficile per Obito accettare la sua nuova condizione, e di quando questo lo portasse a scivolare in una insana invidia nei confronti delle persone che aveva intorno. Mentre si scioglieva di passione sulla pelle bollente di Kisame, era divorato dai contasti, non poteva certo scegliere tra la persona che amava e il cugino per questo per diversi anni aveva cercato disperatamente di organizzare le cose in modo da non dover rinunciare a nessuno dei due, cercava di lasciare a Obito la massima libertà possibile senza poter prevedere che il cugino avrebbe interpretato questo come un segno di trascuratezza da parte sua. Kisame soffriva anche se non lo dava a vedere, la sera in cui si era sentito male sul lavoro aveva sconvolto così tanto Madara che prese la decisione di dare finalmente al compagno la vita che aveva tanto desiderato praticamente in automatico. Vederlo finalmente felice aveva fatto sì che per Madara smettesse di esistere, per una volta, tutto il resto del mondo, non era veramente sicuro, la sera in cui lui e Kisame fecero sesso sul divano del salotto, che Obito fosse uscito sul serio, tuttavia si era ritrovato a pensare che non gliene importava assolutamente niente, tra lui e Kisame esisteva qualcosa di speciale, si era reso conto di aver rischiato di perdere tutto ma anche che questo non poteva permetterlo. Rimproverò ancora duramente se stesso vedendo Obito arrivare a malmenarlo e ferirlo, Madara, nonostante conoscesse il Taekwondo, non aveva reagito schiacciato dai sensi di colpa nei confronti del cugino per non aver compreso fino in fondo il suo dolore. Aveva udito le parole che Kisame era stato capace di pronunciare per Obito, nonostante si trattasse di una persona che conosceva pochissimo, era solo un ragazzo ma con una sensibilità e una saggezza fuori del comune. Era consapevole che quel ti amo gli sarebbe rimasto impresso a fuoco sul cuore, ma non aveva potuto fare ameno di dedicarglielo. Era vero, Kisame era stata la cosa più bella capitatagli nella vita, ma aveva dovuto scegliere la via della solitudine per non ferire più nessuno, compreso se stesso. Quella era la solitudine voluta, quella che non fa male, all'interno della quale non ti senti solo e Madara aveva desiderato che fosse assoluta. Senza avvertire nessuno, si era stabilito in una casa di campagna totalmente isolata, senza telefono e collegamento internet, persino la ricezione di stazioni radio e televisive risultavano altamente disturbate, aveva gettato il suo vecchio cellulare per farsene uno nuovo irreperibile da chiunque, nessuno conosceva quella mulattiera disastrata che conduceva a casa sua. Grazie al suo carattere naturalmente dominante e organizzativo, in pochi anni aveva piantato un vigneto e un oliveto che gestiva in autonomia e che rappresentava la sua unica fonte di sostentamento. La solitudine non faceva male, anzi, leniva un poco le sue ferite che lentamente sembravano guarire. Gli capitava spesso di pensare a Kisame e Obito e al resto della sua famiglia, ma mentre durante i primi anni augurava loro ogni felicità sorridendo tranquillo nel sole, adesso alla soglia dei quarant'anni gli capitava sempre più spesso di chiedersi cosa avesse fatto lui della sua vita.

Cosa ho realizzato in fin dei conti?

Il desiderio di trovare una risposta a questa domanda si era fatto sempre più impellente, ad esso si era aggiunto il pensiero dei genitori ormai anziani che avrebbe rischiato di non vedere più se avesse aspettato troppo. Magari Izuna era cambiato, Obito era riuscito finalmente ad essere felice con Rin perché era sempre stato evidente il loro infinito amore reciproco e che quello era stato solo un allontanamento momentaneo dettato dal dolore, forse le parole rivoltegli da Kisame l'ultima sera in cui li aveva visti erano riuscite a fare breccia dentro di lui.

E tu Kisame, sei riuscito a dimenticarmi o il mio ricordo ti ha impedito di cogliere qualche occasione che avresti voluto?

E poi Shisui era riuscito a trovare un lavoro che gli rendesse finalmente giustizia, Itachi a curarsi e Sasuke a non pensare che uno dei cugini più grandi si era totalmente disinteressato di lui? Come avevano gestito la tragica perdita dei genitori? Erano riusciti a superarla e a riprendersi?

Tutti questi pensieri avevano iniziato a far sentire solo Madara, questo sentimento gli toglieva talmente il respiro da tenerlo sveglio la notte facendolo sentire anche terribilmente in colpa per averli abbandonati, gli levava l'appetito tanto che ultimamente era molto dimagrito, il giorno in cui aveva notato i suoi vestiti andargli enormi si era iniziato a preoccupare seriamente. Il vino che lui stesso produceva alleggeriva solo temporaneamente la sofferenza, tuttavia si trattava di un sollievo troppo effimero perché potesse essere le soluzione. La solitudine e il rimorso rischiavano di farlo impazzire ogni giorno facendogli sentire freddo persino nelle torride giornate estive, tuttavia la sua intelligenza gli aveva impedito di cadere in una trappola come questa. Aveva gettato il suo vecchio telefono ma non prima di aver segnato tutti i numeri su un' agendina; aveva la copertina gialla e ruvida ed era rimasta sepolta in una cassapanca fino alle tre di notte di una giornata di maggio. Madara si era rigirato invano tra le coperte fino a quell'ora, fino a che, sudato, ansimante e logorato dall'angoscia, non era andato dritto come un fuso a recuperare quella rubrica. Con le mani tremanti aveva composto il numero di Obito, non gli importava che fosse piena notte, se il cugino avesse avuto il telefono spento, o cambiato numero, cosa molto probabile in tutti quegli anni, avrebbe potuto anche cadere preda di un malore, il petto gli faceva già male.

"Pronto?" la voce impastata dal sonno e scocciata aveva risposto dopo cinque squilli, probabilmente il tempo necessario di svegliarsi, scacciare gli ultimi rimasugli di sogni e recuperare il telefono dal comodino.

Madara sentiva la vita uscirgli dal corpo, come se fosse di colpo diventato sottile come carta velina, sì era Obito, sentire la sua voce dopo tutti quegli anni lo aveva fatto singhiozzare così violentemente da non riuscire a spiccicare parola.

"Pronto chi parla?" Obito ora era infastidito, una voce di donna aveva detto qualcosa di incomprensibile in sottofondo.

Madara ora non sapeva se ridere o piangere, era certo che si trattasse di Rin.

"Obito…" riuscì a mormorare con un filo di voce.

Pausa. Madara era sicuro di aver percepito il violento tremito della mano del cugino attraverso il telefono.

"Madara!" Obito aveva quasi gridato.

Si erano scambiati solo poche parole e nient'altro che i loro nomi pronunciati con diverse intonazioni, tuttavia i loro desideri erano arrivati a destinazione senza bisogno di spiegarli.

"Madara… dimmi dove sei" ora la voce di Obito era stata un soffio leggero in cui il cugino aveva percepito tutto quell'affetto desiderato per l'intera vita. Gli aveva dato il suo indirizzo consapevole che non avrebbe dovuto aspettare la luce del sole per riabbracciarlo.