Non servono chissà quali grandi avvenimenti o cambiamenti per sentirsi persone nuove, la maggior parte delle volte nasce tutto unicamente dalla nostra testa nel momento in cui ci accorgiamo di essere pronti. Kisame ora si sentiva sul trampolino di lancio della vita, non era mutato assolutamente niente intorno a lui, la mattina quando si era svegliato Deidara e Karin erano già andati via lasciando la coperta che gli aveva dato lui ben ripiegata e un biglietto giallo, chiuso ma indirizzato a lui riportando semplicemente il suo nome, sul tavolo davanti al divano.
Ben svegliato, Kisame.
La tua ospitalità è stata unica come lo sono sempre state la tua generosità e premura. Ci hai scaldato il cuore e piacevolmente sorpresi nella tua semplicità, sono queste le persone che rimangono più impresse, sembra strano a dirsi ma è così. Siamo certi che molto presto anche il tuo cuore troverà il calore che merita. Ci vediamo dopo in palestra, promettiamo di fare i seri da ora in poi.
Deidara e Karin
Ah… e naturalmente non ti azzardare a mancare al nostro matrimonio, vi aspettiamo in due per quel giorno!
Queste poche righe ebbero la capacità di strappargli un sorriso sincero. Non era cambiato niente intorno a lui, si era svegliato ancora da solo, c'era di nuovo soltanto lui seduto al tavolo per la colazione, era sempre oltre un mese che non aveva notizie di Itachi, tuttavia la nuova luce che aveva dentro, era nata grazie ai suoi amici che gli avevano fatto aprire gli occhi. Il silenzio e la solitudine non gli sembravano più così densi e sconfinati come lo erano stati prima di parlare con Nagato, ora poteva vivere nella certezza che, prima o poi, avrebbe visto la loro fine, non aveva importanza quando ci sarebbe stato da aspettare. Si sentiva appagato davanti allo specchio mentre sistemava i suoi capelli blu oltremare in quel taglio che aveva deciso in gioventù ma che probabilmente avrebbe sentito suo per il resto della vita. Stava per afferrare la sua borsa da palestra per recarsi a svolgere il mestiere da lui tanto amato quando qualcuno suonò il campanello in strada. Sulle prime aveva pensato a Deidara che forse aveva dimenticato qualcosa, ma il fatto che quella persona si fosse presentata senza assolutamente fare baccano gli fece abbandonare subito l'idea, quel biondo era talmente un terremoto che faceva in modo di farsi riconoscere ancora prima di essere visto. Il suo cuore prese a galoppare senza chiedergli il permesso e senza avere conferme, ancora prima che il cervello riuscisse a riconoscere quella speranza che iniziava ad affiorare lentamente.
Hai premuto quel tasto in modo affabile…
Era davvero Itachi? In quel caso Kisame avrebbe dovuto ingaggiare una dura lotta con se stesso per evitare di svenire, deglutì cercando di mandare giù il groppo che gli si era formato in gola, le sue gambe erano diventate molli e tremavano ma doveva sapere, forse quel giorno la sua vita sarebbe finalmente cambiata per sempre.
Questo è un cambiamento positivo, è un'eternità che lo attendo, allora perché mi sento così?
Un'energia nuova e irresistibile lo spinse fuori nel sole, quasi correva, l'intensa luce della mattina lo aveva abbagliato al punto di toglierli quasi la vista, il riverbero del suo vialetto lastricato di bianco aveva fatto il resto. Mentre si avvicinava al cancello le immagini andavano progressivamente schiarendosi, sì, era Itachi, impossibile confondere i suoi capelli corvini, stavolta li teneva sciolti; la carnagione bianchissima, si era ripreso evidentemente, sembrava meno magro di come lo aveva visto l'ultima volta. Kisame procedeva allargando le braccia e sorridendo, gli pareva di camminare sollevato da terra di pochi centimetri, il sole pioveva su di lui in calde strisciate d'argento. Itachi aveva cambiato leggermente il suo taglio di capelli, l'occhio destro era nascosto dietro una lunga ciocca, sembravano molto più folti del solito, a dire la verità Kisame non aveva mai visto nessuno averne così tanti.
Accidenti, saranno almeno cinque chili di roba!
Quello era stato il pensiero di un quindicenne che vedeva per la prima volta il suo rappresentante d'istituto. La cascata argentina di sole si era trasformata in una gelida nevicata, il sorriso di Kisame si era spento mentre quello dell'altro era sempre gradevole, calmo, comprensivo con il potere di accentuale le palpebre inferiori leggermente rigonfie rendendo il suo viso ancora più attraente. Non era possibile, Kisame aveva atteso invano per anni sue notizie e il suo ritorno così come il resto della sua famiglia, aprì il cancello eliminando l'ultima barriera che li separava.
"Kisame…"
Gli occhi di Madara erano lucidi, le sue labbra tremavano, inclinò la testa lateralmente scoprendo l'occhio destro, aveva pronunciato il suo nome quasi sussurrandolo. Kisame era rimasto pietrificato davanti all'unica persona che gli avesse mai detto ti amo in tutta la vita. Si erano abbracciati punto e basta senza chiedersi tanti perché, le mani di Kisame erano affondate in quella folta chioma che iniziava ad essere percorsa da diversi fili bianchi, lo aveva sentito tremare e poi posare la testa nell'incavo della sua spalla destra, la maglietta blu scuro, perfettamente intonata con i capelli, fu bagnata da qualche goccia salata. Si erano sciolti dall'abbraccio e Kisame e lo aveva accompagnato in casa come se non fosse passato un solo giorno. Sperava che dell'acqua fresca lo avrebbe calmato anche se era consapevole che in casi come quello forse servirebbe ben altro, ma erano le otto di mattina. Si era seduto accanto a lui sul divano, Madara teneva gli occhi fissi a terra mentre faceva dei piccoli sorsi dal bicchiere che Kisame gli aveva offerto, la sua mano tremava, non era cambiato quasi per niente se non fosse stato per le lievi rughe che adesso gli segnavano il viso senza tuttavia togliergli il fascino e la bellezza che lo avevano sempre caratterizzato, Kisame lo guardava ma lui stava con il capo chino mezzo nascosto dai capelli. Era vestito in modo semplice e sobrio, jeans e una camicia bianca di lino. Aveva alzato il capo per guardarlo, la faccia appariva esausta, gli occhi gonfi e arrossati, Kisame poteva leggere la sua lotta interiore di forti emozioni che di sicuro era iniziata diverso tempo prima di qual giorno, tuttavia il suo sguardo sempre penetrante e magnetico come un tempo, fece sentire Kisame attraversato da una saetta. Una sensazione simile a quando lo aveva visto fare l'occhiolino a quella classe prima indisciplinata e chiassosa di cui faceva parte.
Era per te...
"Madara, la tua famiglia non si è data più pace da quando sei sparito, e nemmeno io... Obito e Rin hanno fatto di tutto per poterti ritrovare, addirittura si erano messi a gestire un night sperando che tu capitassi là per caso" Kisame aveva deciso di iniziare a parlare per rompere quel muro di pietre in cui si trovava imprigionato, voleva anche perdere quell'espressione imbambolata che aveva con la bocca semi aperta.
"Lo so" Madara aveva parlato quasi mormorando e accennando un sorriso subito scomparso dalla sua bocca mentre si lasciava sfuggire un sospiro straziante "Obito e Rin sanno già tutto, anche mio fratello Izuna, è venuto anche lui in città e in questo momento è ospite a casa loro come me. Itachi è stato costretto a lavorare in quel locale per anni, nonostante i suoi problemi di salute per badare al fratello minore, e così Shisui. Parlerò con Itachi, Sasuke e Shisui, se devo essere sincero il più piccolo non mi conosce nemmeno, se non gli hanno mai mostrato qualche mia foto non sa nemmeno che aspetto ho. Ma prima sei venuto tu, Kisame, lasciarti da parte per me in questi anni è stato impossibile."
"Io non sapevo nemmeno che tu avessi un fratello, Madara" Kisame era spiazzato, sapeva che prima o poi il discorso sarebbe arrivato al dunque, tuttavia cercava di procrastinare il più possibile quel momento per prepararsi almeno psicologicamente.
"Infatti non te ne ho mai parlato, la mia lontananza è servita anche per elaborare il mio rapporto con lui."
Madara aveva deciso di iniziare il suo racconto e sapeva benissimo, anche dopo tutti quegli anni, dove erano state le lacune che aveva avuto nei confronti di Kisame; non gli aveva mai parlato della sua infanzia e giovinezza, del rapporto con Izuna e Obito, il dolore che aveva dovuto sopportare quando il primo lo teneva a distanza e il secondo si era innamorato di Rin. Ora erano finalmente chiari i motivi per cui, pur volendogli bene, aveva fatto soffrire Kisame durante la loro relazione, e il perché si era dovuto allontanare per non soccombere. Il più giovane sentiva gli occhi sgranarsi spesso, li sentiva riempirsi di lacrime, capiva ora per la rima volta che quel ti amo sentito l'ultima volta che si erano visti era stato sincero come mai nulla nella sua vita, si era trattato di una amore perduto anche per lo stesso Madara. Aveva avuto una vita difficile a partire da quando era stato bambino, questo faceva sentire quasi in colpa Kisame per aver dubitato del loro legame, per aver preteso quello che Madara, preso sempre tra diversi fuochi, non aveva potuto dargli non certo per cattiveria; aveva sofferto tantissimo anche lui vedendo Kisame insoddisfatto, glielo stava confessando adesso mentre i suoi occhi neri non riuscivano a trattenere più le lacrime. Dentro di se Kisame lo aveva rimproverato per la sua sparizione, si era costretto quasi a detestarlo per potersi dimenticare di lui, si era convinto che a Madara non importasse niente di nessuno, famiglia compresa, pur di toglierselo dalla testa era arrivato a violentare la sua vera natura illudendo Sarana. Adesso che finalmente ci era riuscito, che la guerra tra gli occhi di ossidiana lucida era stata vinta da quelli di Itachi, Madara era ritornato a spiegargli tutto nei minimi dettagli, a rispondere a tutte le sue domande senza che lui avesse avuto bisogno di porle ad alta voce. Il senso di colpa per aver giudicato erroneamente il comportamento di Madara si stava trasformando in uno spietato tiranno facendo vacillare Kisame pericolosamente.
Io amo Itachi ma non so cosa lui provi per me, è più di un mese che non si fa vivo; ho amato Madara con tutta la mia anima fino a che il silenzio e la distanza non hanno annullato tutto per forza di cose, ma adesso sono sicuro di quello che prova lui per me, mi ha sempre amato, per lui sembra non essere passato nemmeno un giorno. E se tu fossi rimasto qui? Se tu mi avessi detto subito la veritàio lo avrei visto sul serio quel ballerino mascherato iniziando a chiedermi perché diavolo non usasse la mano destra? Avrei notato comunque quel moretto disperato a quel tavolo?
Lo squillo del cellulare lo distolse da questi pensieri, ebbe la sensazione di sentori riemergere da degli abissi bui e sconfinati ma, al tempo stesso, si era sentito sollevato di fare una pausa da quella situazione che stava diventato insostenibile oltre che piena di dubbi e contrasti. Il telefono era rimasto sul tavolo della cucina dove poco prima stava facendo colazione ancora ignaro di tutto; si trattava di Karin che gli stava chiedendo spiegazioni sul suo ritardo, la rossa appariva in apprensione dal momento che l'ultima volta che lui aveva avuto un imprevisto c'era qualcuno che stava rischiando la vita. Mentre rassicurava la sua segretaria cercando di apparire più normale possibile, Kisame si era sentito abbracciare da dietro. Si chiese per un secondo come avesse fatto Madara ad essere così silenzioso prima che la dolcezza di quella stretta gli facesse tremare la voce. Si affrettò a terminare la chiamata con Karin prima che carpisse qualcosa attraverso il telefono, lo posò piano sul tavolo. Rimase immobile sentendo che la testa di Madara si era posata sulla sua spalla sinistra.
"I miei sentimenti per te non sono mai cambiati, Kisame, ti amo, l'ho sempre fatto."
Quanto tempo aveva desiderato quel momento! Lo aveva fatto per anni interi, poi la ferita si era chiusa poco a poco cicatrizzando dentro di se tutti gli interrogativi rimasti aperti. Rimase immobile sentendo le mani del moro infilarsi sotto la maglietta blu, percorrevano ogni forma dei muscoli sempre più definiti tirando fuori tutte le sue vecchie sensazioni e sentimenti. Non si erano spenti, erano soltanto sopiti sotto gli strati degli anni. Kisame ricordava perfettamente il profumo di quella folta chioma che ora in parte gli scendeva sul petto. Le labbra di Madara gli si posarono sul collo, il suo respiro caldo gli accarezzava la pelle, Kisame tremò lasciandosi sfuggire un gemito. Era lì pietrificato, attagliato da tutti i suoi sentimenti che si risvegliavano solo per il fatto di non essere mai stati elaborati e dal suo futuro che lo attendeva nella realtà che si era costruito con tanta fatica. Madara gli baciava la nuca posando le mani sulla sua erezione che si era svegliata prepotente, premette il corpo sulla sua schiena sospirando come solo lui sapeva fare; Kisame si girò all'interno delle sue braccia, chiuse gli occhi succhiando con forza quel collo candido ed elegante, ricordava perfettamente il sapore di quella pelle tanto desiderata, la passione, il dolore, l'amore…
Chiuse gli occhi le mani stringevano forte le natiche di Madara, ora si baciavano febbrilmente quasi si trattasse degli ultimi istanti della loro vita. Kisame ripensò a un corpo magro e flessuoso, quel costato così sporgente faceva male, ancora di più ferivano quegli occhi neri che gridavano costantemente aiuto, un pugnale gli trafisse il cuore.
"Non posso, Madara."
Il moro si staccò dalle sue labbra rimanendo molto vicino, i suoi occhi convergevano verso l'interno mettendolo a fuoco, si spostarono immediatamente dopo sul suo polso destro a cui era ancora allacciato il bracciale col teschietto che lui stesso gli aveva donato; la mano di Kisame gli si posò sul petto aumentando gentilmente la distanza tra loro.
"Sono lusingato di essere stato il tuo primo pensiero, ti sei ricordato di me ancora prima della tua famiglia e questo, credimi, non lo scorderò mai. Tuttavia è passato tanto tempo, Madara. Troppo. Non siamo più i due liceali che eravamo l'ultima volta che ci siamo visti, la vita è andata avanti e noi abbiamo preso due direzioni diverse. Io ti ho amato con tutto me stesso, fare in modo che il tuo ricordo non mi ferisse più è stata dura. Sei una persona che nella vita ha sofferto molto, so cosa significhi donare amore incondizionatamente senza essere ricambiati, sia verso un partner, sia verso un fratello o nei confronti di un amico, questo genere di dolore può far perdere la ragione, tu sei molto sensibile su questo, hai tenuto testa al dolore come meglio potevi; finalmente ti sei deciso a dirmi tutto, apprezzo e ti comprendo, ti voglio molto bene, tuttavia mi sono reso conto che anche io ho qualcuno che ormai non posso più mettere da parte."
"Non farlo scivolare via, Kisame, o potrebbe essere la sua fine."
Le parole che Kakuzu gli aveva rivolto il giorno in cui stavano tutti a vegliare Nagato, sembravano essere state pronunciate in previsione di quel momento.
Madara aveva fatto un passo indietro senza smettere di guardarlo, gli occhi di nuovo lucidi, il segno rosso sul collo che si andava scurendo, il pallore del viso intensificando.
"Scusami, Kisame, sono stato uno stupido a pretendere che tu mi aspettassi per tutti questi anni."
Aveva pronunciato quella frase fusa con uno straziante sospiro. Sentendo le lacrime che stavano per cadere dalle sue ciglia inferiori, si voltò di scatto per infilare il portone ed uscire.
"Madara!"
La concitazione di Kisame lo aveva inchiodato sulla soglia.
"Sì?" non poteva voltarsi, quelle lacrime traditrici ormai gli stavano colando sulle guance.
Madara, ti amo, resta come me. La persona che non sono riuscito a mettere da parte sei tu. Abbracciami e ricominciamo la nostra vita da dove era rimasta, nessuno ce lo impedisce.
"Non sparire un'altra volta, Madara. Ci tengo a te, rappresenti una fetta importante della mia vita, non posso sopportare di perderti di nuovo."
Le parole non erano state quelle sperate, il moro oltrepassò la porta senza dire più niente richiudendosela alle spalle. Si avviò verso il cancello prima di rischiare di essere colto da qualche malore, le emozioni degli ultimi giorni erano state tante e troppo intense, un dolore del genere adesso non se lo sarebbe mai aspettato, arrivò ad un passo dal pentirsi di non essere rimasto nella sua casa in mezzo al niente.
Potevamo ancora essere felici, Kisame, se solo tu avessi voluto.
Giunto in strada gli era parso di perdere quasi l'orientamento, era arrivato a piedi senza nemmeno dire a nessuno dove aveva intenzione di recarsi.
Devo dedicarmi alla mia famiglia, adesso, se lo meritano.
Questo proposito gli infuse nuova energia, il suo bisogno di dare amore sarebbe stato appagato comunque, ancora tante persone avevano bisogno di lui. Aveva iniziato a camminare tuttavia le lacrime e i singhiozzi non si erano arrestati, anzi, diventavano sempre più violenti. Non gli interessava nulla se qualcuno lo avesse visto, come questa persona che stava giungendo in bicicletta, la vista sdoppiata da quell'oceano che stava sgorgando dai suoi occhi, gli permise solo di notare i pantaloni rosso scuro e la maglia nera smanicata. Pedalava con calma, era molto esile, i capelli lunghi anche se raccolti dietro, forse era una ragazza, che importanza aveva?
"Madara? Sei davvero tu?"
Ricordava a malapena quella voce allettante tuttavia inconfondibile, solo per questo aveva arrestato la sua camminata. Aveva pronunciato il suo nome in un soffio lieve.
Madara lo aveva guardato mentre si allontanava un attimo per appoggiare la sua bicicletta alla recinzione del giardino di Kisame, si trovavano giusto al limite del confine. Non gli importava più niente di quel pianto inarrestabile, lo lasciava andare ormai senza freni, un sorriso amaro gli incurvò le labbra vedendo l'altro avvicinarsi; la bocca leggermente carnosa uguale alla sua, ciocche corvine ma lisce gli ricadevano di continuo sugli occhi neri come i suoi, tuttavia nessuno aveva le ciglia così lunghe.
"Madara, che ti è successo?"
Ora che era vicino la sua magrezza faceva impressione, le clavicole così sporgenti da sembrare matite infilate sotto alla pelle, quel difetto che a volte riappariva nella famiglia e che lo stesso Madara aveva, le fosse orbitarie scavate, ma lui le aveva così rientrare da creare una vera e propria ombra.
"Itachi!" il maggiore piangeva e rideva al tempo stesso, aveva allargato le braccia certo che l'altro si fosse avvicinato per abbracciarlo.
Sembrava essere quello il gesto, fino a che gli occhi del più piccolo non caddero su quel collo segnato recentemente di rosso. Itachi alzò gli occhi, Madara avvertì il cuore trapassato da una spada, quello sguardo urlava dolore, richieste d'aiuto, delusione, amore, solitudine, terribili sensi di colpa; tutto insieme senza bisogno di pronunciare nessuna parola. Itachi fece un passo avanti, il viso pareva non avere più nessuna goccia di sangue all'interno, gli occhi diventati vuoti all'improvviso, si aggrappò alla sua camicia di lino, Madara si rese conto che era alla ricerca di un appiglio per non stramazzare in terra di schianto. Non fece in tempo ad afferrarlo, Itachi gli era scivolato sul corpo fino ad accartocciarsi ai suoi piedi. I problemi con cui era nato si erano aggravati, dunque, avrebbe dovuto stare lontano dallo stress e dal dolore e invece adesso si era accorto di quel segno sul suo collo, lo aveva visto uscire dal cancello di Kisame e non era certo stupido, non lo era mai stato. Lui e Sasuke erano stati abbandonati a loro stessi sin da piccoli, Madara fu stritolato dal senso di colpa, si inginocchiò accanto al cugino stringendolo tra le braccia per farlo appoggiare al suo petto, mentre lo guardava respirare affannosamente lottando contro la perdita di sensi, il ricordo di quando lo aveva tenuto in braccio da neonato gli fece venire di nuovo da piangere.
Madara gli scostò i capelli dalla faccia posando le labbra sulla fronte fradicia di sudore freddo: "Sono qui, ti aiuto io."
"Kisame… Kisame!" piangeva. Per la prima volta dopo l'incidente in cui avevano perso la vita i suoi genitori, Itachi sembrava un uccellino colpito a morte da tutte le emozioni ignorate che adesso gli stavano presentando il conto. Madara sentiva la camicia quasi strappata da quelle mani così delicate ma che adesso avevano una forza straordinaria, le unghie viola, facendosi strada tra un bottone e l'altro, gli stavano lasciando strisciate rosse affondando nella carne; Itachi era talmente sconnesso da fare paura. Madara lo strinse forte e si alzò sollevando tra le braccia quel mucchietto di ossa tremante, era talmente leggero e le sue vertebre così sporgenti che quel contatto gli trasmise una sgradevole sensazione. Si diresse di nuovo verso il cancello di Kisame, sì fermò di nuovo lì davanti costretto a chiamarlo a voce alta dal momento che non aveva il suo numero.
Ho deciso io di non darglielo quando non ha voluto, ho sbagliato.
Il viso fu Kisame deformato dal panico era apparso dietro l'ampia vetrata del salotto, tuttavia impiegò poche frazioni di secondo a ricomporsi raggiungendoli correndo. Anche se forse non era il termine più adatto, Madara avrebbe potuto benissimo definire dolore quello che provò dal momento in cui Kisame aprì il cancello. Tutto ebbe la capacità di fargli male, a partire dall'espressione che vide in quegli occhi di ghiaccio che aveva ammirato così tanto, non si posarono più su di lui, cercarono da subito il viso esangue di Itachi con un' espressione che Madara fu sicuro di non aver mai notato prima: apprensione, tenerezza, amore, tutto fuso insieme. Tuttavia l'amore che adesso Kisame aveva per Itachi non era uguale a quello che aveva avuto per lui, nemmeno ai tempi della loro relazione. Se ne rese conto dal modo in cui Kisame gli prelevò il corpo del cugino dalle braccia, da come gli sosteneva il sedere in modo che non scendesse troppo, riusciva a toccarlo con decisione e delicatezza al tempo stesso. Itachi gli aveva allacciato le braccia al collo posandogli la testa sulla spalla, questo non era certo un gesto da niente, nella sua semplicità, gridava.
Queste sono quelle cose che tra noi non ci sono mai state, solo ora lo hai trovato l'amore, Kisame. Chi lo avrebbe detto che la persona che non sei riuscito a mettere da parte è lui?
"Vieni, Madara, ho bisogno di te" non c'era rancore in quella richiesta, ma solo comprensione e la sicurezza che il legame tra loro fosse rimasto forte, nonostante tutto.
Il maggiore aveva fatto strada aprendo la porta, afferrò la mano inerte e gelida di Itachi prendendo posto accanto a lui dopo che Kisame lo aveva posato seduto sul divano mettendosi subito dopo a scaldargli un bicchiere di latte, si capiva lontano un miglio che era a un passo dalla denutrizione. Itachi aveva accettato quell'offerta senza guardare nel viso nessuno dei due, sorseggiava piano mentre Madara continuava a massaggiargli la mano seduto accanto a lui.
"Riportami da mio fratello, Kisame" Itachi gli aveva restituito il bicchiere vuoto abbandonandosi sui cuscini con il respiro ancora affannoso, la sua voce fredda e piatta, ben lontana dal tono gentile che aveva di solito, non lo aveva nemmeno guardato in faccia.
"Non se ne parla nemmeno, tu rimani qui finché non ti sentirai meglio."
"Kisame, stavo venendo da te, la mie bicicletta è qua fuori, o mi porti tu o vado da solo" un singhiozzo aveva scosso violentemente il suo petto, nessuno di loro lo aveva mai visto piangere così, una diga rotta che non riesce più a trattenere la forza di quel fiume tenuto prigioniero per anni.
Stavo venendo da te…
Quelle parole fecero tanto male a Kisame per quanto lo avevano sollevato la prima volta in cui gliele aveva sentite pronunciare. Il primo giorno aveva solo una tuta da ginnastica addosso, era sudato e sfatto. Adesso si presentava perfetto, con quello smanicato aderente a lasciare scoperto il tatuaggio su cui Kisame aveva sempre fantasticato, i pantaloni rossi scuri di pelle, lo smalto viola che Kisame adorava, un trucco leggero di cui non avrebbe avuto bisogno che ora gli stava colando sulle guance scavate.
Si era preparato così per venire da me.
Kisame si era sentito crollare il mondo addosso : "va bene."
Aveva acconsentito più che altro per porre un termine a quel terribile fermo immagine in cui si trovava intrappolato tra Madara e Itachi, invischiato in mezzo a suoi errori come catturato dalla rete di un peschereccio. Era tuttavia consapevole che lo strazio non sarebbe finito lì, una volta visto Itachi scomparire dietro al portone di Sasuke, non avrebbe più smesso di piangere domandandosi ogni secondo della sua vita dove fosse, cosa pensasse, se stesse bene e se lo avrebbe più rivisto. Non avrebbe mai terminato di sentirsi in colpa per aver rovinato tutto quella mattina. Poche ore prima il futuro gli era sembrato felice, in discesa e ad un passo dalla felicità, adesso si dibatteva sotto al cielo nero della disperazione, quello che appare in certi sogni angosciosi e di cui non si vede mai la fine.
Ma soprattutto, non smetterò mai di amarti.
