Angolo dei commenti:
Dany Cornwell: In effetti Georges ha praticamente cresciuto Albert, come non leggergli dentro? ;-) E il loro risveglio dopo l'inganno di Neal l'ho sempre immaginato così, pieno di loro e di questo amore acerbo e ma delicato!
Ericka Larios: Dormire abbracciati è stato un momento molto intimo che ha portato in superficie sentimenti nascosti in entrambi!
Cla1969: Grazie di cuore!
Maria Gpe22: L'istinto di protezione di Albert nei confronti di Candy è bellissimo, vero? Un amore tenero e puro che anche Candy comincia a provare, anche se in maniera ancora acerba. Ma entrambi sono frenati da qualcosa: Candy è appena uscita da una grande sofferenza e non comprende di poter provare qualcosa di così grande nei confronti di Albert; d'altra parte, Albert prima era frenato dalla sua condizione di smemorato e da Terry e ora si aggiunge anche la questione legale. Un gran caos che però, per fortuna, si sbroglierà a loro favore. Saluti e grazie a te!
Dany Cornwell: La vicinanza tra Candy e Albert, i loro abbracci... credo che il più consapevole dell'amore che provava fosse Albert. Candy se ne accorge più lentamente, ma in modo inesorabile!
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Stair
Il dottor Martin rimosse con cura l'ultima benda dal torace di Albert e controllò i segni paralleli completamente cicatrizzati passandoci sopra le dita tozze.
"Molto bene, ragazzo, pare che la tua infermiera ti abbia curato bene! Non ti rimarranno che i segni sbiaditi". Concluse la frase dandogli un'affettuosa quanto discreta pacca sui pettorali e voltandosi per consentirgli di rivestirsi.
Albert sussultò appena e rise: "Mi avete curato entrambi molto bene, non ho proprio di che lamentarmi!", si schernì cominciando a infilarsi la maglietta restando seduto sul letto.
"Oh, sono certo che tu abbia preferito le attenzioni di Candy alle mie", dichiarò mentre frugava in un cassetto alla ricerca di qualcosa.
Il sorriso si spense sulle sue labbra e la mascella si contrasse. Le braccia si abbassarono, infilate nelle maniche come se non trovassero la strada per far entrare la testa nel colletto.
Le attenzioni di Candy.
Appena si era ricordato di lei ed era tornato nel loro appartamento, la prima cosa che aveva trovato era stata una ragazza in lacrime su una pila di giornali che parlavano di Terence. Sentendo il cuore spezzarsi in mille frammenti, Albert l'aveva adagiata sul letto, asciugato le sue lacrime e desiderato con tutta l'anima farsi carico di almeno metà di quel dolore, purché non lo provasse lei.
Le avrebbe preso a mani nude la luna o anche il sole, se fosse servito a darle la felicità. Diamine, le avrebbe dato il cuore di Terry solo per vederla sorridere.
Anche se avesse significato disintegrare definitivamente il proprio.
Candy era sempre dolce e amorevole con lui e gliele riservava, le sue attenzioni, a cominciare dal giorno in cui gli aveva chiesto di poter rimanere al suo fianco per guarirlo. Si preoccupava delle sue ferite, le disinfettava ogni mattina e controllava che le fasciature fossero sempre pulite e in ordine. Ogni volta che lo toccava per medicarlo doveva cercare di concentrarsi su qualcos'altro per ignorare i brividi che gli correvano lungo la schiena e su tutto il corpo.
Ma ciò non aveva lenito ferite ben più profonde e invisibili: quelle sanguinavano senza sosta, silenti come lacrime notturne soffocate nel cuscino.
Essere trattato come quel fratello che non aveva, per Albert era talvolta persino peggio che essere ignorato.
Certo, ora che aveva recuperato la memoria era ben conscio del fatto che le cose dovessero rimanere così, ma la ragione difficilmente comanda sui sentimenti. Il risultato era che vedeva Candy struggersi per Terence, che non avrebbe mai avuto, e non solo la comprendeva meglio di chiunque altro, ma viveva quella stessa sofferenza moltiplicata centinaia di volte.
Si sentiva come un'eco infinita che ripeteva sempre le stesse parole.
Ti amo, ma non posso averti. Ti amo, ma non posso averti. Ti amo, ma...
"Ehi, hai bisogno di una mano o di un'infermiera?". Quella del dottor Martin, di mano, gli sventolava davanti alla faccia.
"Eh?", fece lui ripiombando nella realtà. "Oh, no, grazie, faccio da solo", rispose infilandosi finalmente la maglietta.
Ringraziando ancora una volta il buon medico, Albert uscì dalla Clinica Felice e respirò a fondo l'aria umida di quella primavera non ancora sbocciata: il cielo era nuvoloso, ma non sembrava dovesse piovere. Non per il momento, almeno.
Con le mani affondate nelle tasche, il bavero del cappotto alzato e la schiena un po' curva, si diresse verso una strada secondaria che usava spesso come scorciatoia. Voleva arrivare a casa in tempo per preparare a Candy uno dei suoi pranzetti speciali.
Stava cercando disperatamente di ignorare l'urgenza che lo tirava in direzione della sua famiglia, ora che aveva recuperato la memoria, concentrandosi solo sul benessere egoistico e così simile alla felicità completa che era rappresentato dal vivere con lei.
Quasi come una coppia sposata.
Illudendosi che Candy si stesse innamorando di lui, che lo cominciasse a guardare con occhi diversi nonostante la malinconia che poteva leggervi, quando di certo pensava al suo amore perduto.
Non ha senso, se il suo ricordo le provoca ancora malinconia non può provare per me ciò che io provo per lei...
Forse era ora di tornare davvero ai suoi doveri, lasciandosi alle spalle quell'illusione e prepararsi per dirle la verità. Da lontano, come tutore, come patriarca degli Ardlay.
Come evocata dai suoi pensieri, la figura di Georges si materializzò d'improvviso dietro un angolo delle viuzze deserte: era ora di pranzo e le uniche persone che aveva incrociato si erano infilate alla spicciolata negli usci delle case o stavano chiudendo le botteghe.
Qualcosa nello sguardo del suo braccio destro, amico e quasi padre, gli comunicò con chiarezza che era accaduto un evento grave. Quelli erano gli stessi occhi tristi che avevano visto morire William C. Ardlay, Rosemary e Anthony.
Lo stomaco di Albert si contrasse e il cuore gli salì in gola: per quanto anelasse come un disperato di sbagliarsi, seppe che purtroppo non era così.
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Si era alzato il vento e le nuvole sembravano foriere di pioggia imminente. Ciononostante, non un muscolo si mosse per alzare gli occhi al cielo in cerca di un segno del cambiamento meteorologico o per accomodarsi meglio su quella fredda panchina del Parco Naturale di Chicago.
Georges sentiva le fronde degli alberi sussurrare e poi gemere più forte sopra di loro e il richiamo di alcuni uccelli prima che un forte sbattere di ali passasse sulle loro teste. Ma rimase con la schiena dritta e lo sguardo composto fisso verso William Albert Ardlay che, con i gomiti sulle ginocchia, stringeva forte i lembi di quel telegramma cominciando a impallidire in modo visibile. La prima volta che lo aveva letto aveva spalancato gli occhi per lo stupore e aperto la bocca, ma non ne era uscito nessun suono.
Ora, prostrato e piegato in avanti, sembrava stesse finalmente assorbendo il senso di quelle tragiche parole.
Anche lui era stato costretto a rileggerlo più e più volte: non poteva credere che la disgrazia si fosse di nuovo abbattuta su di loro. Aveva impiegato lunghi minuti per ricomporsi quanto bastava e decidere di uscire di casa così da raggiungere innanzitutto il patriarca.
Sapeva che a quell'ora doveva essere di ritorno dalla Clinica e che quel vicolo era la sua scorciatoia preferita, quella dove di solito si incontravano: con un po' di fortuna, sarebbe accaduto anche quel giorno.
E così era stato.
"Hanno...". La voce di William uscì roca, profonda, e lui se la schiarì senza abbandonare quella postura sconfitta. "Hanno rimandato indietro almeno i suoi effetti personali?", chiese.
Georges si concesse di rilassare finalmente la schiena e di appoggiarsi alla spalliera della panchina, come se il fatto che il patriarca avesse metabolizzato la notizia fosse sufficiente a fargli abbassare per un po' la guardia.
Si sentiva esausto, molto più vecchio dei suoi anni.
"Sì, li ho messi sottochiave in un cassetto della villa. Signorino William, forse dovrebbe essere lei a dirlo a sua zia, l'ho cercata apposta per riportarla a casa", disse studiando le sue reazioni.
Lui rimase ancora per un istante con il foglio spiegato davanti agli occhi, come se potesse cogliervi una menzogna, come se potesse cancellare, dopo il nome di Alistair Cornwell, le frasi 'caduto in guerra' e 'corpo non rinvenuto'.
Scosse la testa, lentamente: "Archie e i Cornwell...".
"Hanno ricevuto il medesimo telegramma, ma non ho ancora avuto modo di incontrarli, appena ho avuto la notizia sono uscito subito per venire da lei", rispose alla domanda implicita.
William abbassò le braccia, come svuotato di ogni forza, il telegramma frusciò nella sua mano destra all'ennesimo soffio di vento e, mentre glielo porgeva, si appoggiò anche lui allo schienale della panchina, chiudendo gli occhi.
Georges lo osservò paziente, mentre deglutiva un paio di volte e aggrottava le sopracciglia in una composta smorfia di dolore: "Devo tornare da Candy, adesso. Lei ha bisogno di me", disse in un bisbiglio appena percettibile.
Avrebbe voluto protestare, dirgli che anche la sua famiglia aveva bisogno di lui, che sua zia avrebbe necessitato del suo sostegno, nonché di sapere che era vivo e vegeto e non ancora disperso in Africa. Faceva sempre più fatica a nascondere una verità così grande alla matriarca degli Ardlay.
Ma Georges si limitò ad annuire, di nuovo conscio di quanto, per William, Candy significasse qualcosa di più rispetto al passato. E non credeva c'entrasse il fatto che lo avesse letteralmente salvato mentre aveva l'amnesia.
"Come desidera, signorino William", rispose chiudendo gli occhi e facendo un cenno affermativo e deferente col capo.
Lui riaprì i suoi, puntandoli sul cielo, il capo reclinato all'indietro: "Quando ci saranno i funerali?".
"Tra due giorni". E con una bara vuota, concluse nella mente, non osando dirlo ad alta voce.
"Voglio esserci, ma non mi farò vedere. Pregherò per lui da lontano".
Profonde rughe stavano solcando la fronte di William e nei suoi occhi lucidi poté scorgere tutta la sofferenza che tentava di reprimere.
"Farò in modo di venirla a prendere per tempo", assicurò con un tremore appena percettibile nella voce.
Si alzò, pronto a congedarsi, rimettendo il telegramma nella tasca interna della giacca di lana nera. Titubò e si fermò a osservare ancora quel ragazzo che era come un figlio per lui, per essere certo che potesse restare solo con quel dolore.
Si sentì catapultato di colpo a qualche anno addietro, quando gli aveva comunicato il terribile incidente occorso al signorino Anthony e non aveva potuto fare altro che lasciarlo solo. Anche quella volta.
William si era sempre rialzato nonostante i colpi della vita, ma non significava che lui non dovesse stargli accanto per dargli sostegno.
"Puoi andare, Georges. Adesso torno a casa da Candy, suppongo che l'abbia saputo anche lei e... devo esserci". Si alzò anche lui, guardandolo con il piglio deciso che lo caratterizzava.
Georges annuì, un po' più sollevato, preparandosi mentalmente per parlare con la signora Elroy. Non sarebbe stato altrettanto facile darle quella notizia, anche se era una donna tutta d'un pezzo, sapendo che un altro dei suoi nipoti era morto e che il suo discendente più diretto era ancora disperso.
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Candy piangeva fra le braccia di Archie maledicendo al contempo la sua incapacità di consolare il ragazzo. Nonostante la presenza di Annie al suo fianco, pensò che avrebbe dovuto essere di maggior sostegno per lui, invece si ritrovava a essere lei quella che cercava conforto.
Eppure lì, nel cortile dell'ospedale dove le foglie vorticavano intorno a loro, la sofferenza le aveva attanagliato il cuore con una violenza inaudita e non aveva potuto fare a meno di crollare miseramente.
Prima Anthony, che aveva amato con tenerezza. Ora Stair, l'amico speciale che le aveva regalato un carillon della felicità prima che partisse per incontrare l'ennesima beffa del destino. In realtà, entrambi avevano fatto un viaggio che li aveva portati fra le braccia dei rispettivi destini: l'unica differenza era che Stair era morto e non sarebbe più tornato.
Candy sentì il petto di Archie sollevarsi e abbassarsi ritmicamente, scosso a sua volta dai singhiozzi, e lo strinse più forte cercando di trasmettergli un po' di calore nel gelo che era sceso in lei. Poteva sentire Annie piangere piano aggrappata al braccio del ragazzo, che si ritrovava così avvolto da quello che sperò essere un duplice conforto.
Restarono per lunghi minuti così, ad abbracciarsi piangendo la perdita di una amico, di un fratello, di una persona che meritava di vivere ancora per tanti anni ma la cui vita era stata spezzata in maniera impietosa da una guerra che si era sempre rifiutato di accettare.
Mentre si staccava dalle braccia di Archie, asciugandosi gli occhi con il pugno chiuso, Candy desiderò ardentemente gettarsi fra quelle di Albert. Lui era il suo porto sicuro, la sua consolazione, l'aveva trascinata fuori dalla sua disperazione quando era tornata da New York e aveva asciugato le sue lacrime innumerevoli volte.
D'improvviso, Candy realizzò quanto Albert fosse... importante per lei.
Non che prima non lo fosse, ma in momenti come quello rappresentava la sua ancora di salvezza, la certezza che aveva qualcuno a cui aggrapparsi e con cui condividere la tristezza. Lui l'avrebbe aiutata a ritrovare il sorriso, ne era certa, o perlomeno la serenità in quella tragedia.
Desiderò trovarsi già a casa, col viso affondato sul suo petto, respirando il confortante aroma di muschio e legna fresca che aveva il magico potere di anestetizzare la disperazione, al pari della sua voce dolce e gentile.
E si sentì in colpa, Candy, perché mentre vedeva Archie tamponarsi gli occhi rossi con un fazzoletto seppe che quei pensieri erano egoistici, in qualche modo. Toccata dalla sofferenza del ragazzo, gli accarezzò una guancia con tenerezza, mormorandogli di essere forte, che Stair avrebbe voluto così.
"Patty lo sa?", chiese realizzando di colpo che sarebbe stata distrutta.
Annie fece un cenno col capo: "Sì, siamo passati prima da lei e hanno dovuto chiamare un medico. Oh, Candy, ha gridato ed è svenuta, io non so se sarà in grado di sopportare tutto questo!". Fu Annie ad affondare il viso nel fazzoletto e Candy la strinse a sé, mentre Archie si allontanava di qualche passo tirando su col naso.
"Le staremo vicino, la sosterremo noi. Ma tu devi dare conforto anche ad Archie, ora più che mai ha bisogno di te", si raccomandò cercando di ricacciare indietro le proprie lacrime.
Lei annuì, voltandosi verso il fidanzato che si era appoggiato con la schiena a un albero, osservandolo per qualche istante prima di dirle: "Vieni in macchina con noi, Candy, ti diamo un passaggio fino a casa".
Casa. Albert. Candy chiuse gli occhi, anelando la sua vicinanza come mai le era accaduto in passato.
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Coprì la tavola con un telo di cotone leggero e non per fare scena come le altre volte. La sua intenzione era solo quella di mantenere il cibo abbastanza caldo prima che lei arrivasse: era in ritardo, ma Albert sapeva perché.
Di sicuro, Archie o Patty l'avevano raggiunta in ospedale per darle la notizia e sarebbe entrata distrutta da quella porta.
Senza più un briciolo di energia, Albert si accasciò sul divano, in una postura molto simile a quella che aveva assunto quando quel maledetto telegramma gli era arrivato fra le mani. Infilò le dita tra i capelli, come nei momenti in cui aveva tentato di ricordare inutilmente il suo passato, e si concesse finalmente di piangere da solo per quel nipote perduto che era stato più un amico, un confidente.
Stair e Archie, assieme a Candy e alle altre ragazze, lo avevano tirato fuori, con le loro cure e le loro risate, dalla spirale di depressione che lo aveva stretto nelle sue maglie mortali quando non sapeva chi diavolo fosse e da dove provenisse di preciso.
Stair lo aveva incoraggiato innumerevoli volte, aveva inventato gli arnesi più bizzarri per fargli tornare la memoria. Il suo finto treno che emetteva fumo e suoni. Il suo martello di gomma che lo aveva colpito impietoso durante un pic-nic.
Stair, che diceva di odiare la guerra e che poteva scherzare ma anche essere serio e immolarsi a una causa che credeva sua.
Stair, il cui corpo giaceva sepolto in fondo al mare insieme ai resti dell'aereo su cui stava volando e sul quale i genitori e gli amici non avrebbero mai pianto.
Restavano il suo ricordo, qualche oggetto e una cassa di legno vuota e fredda che difficilmente sarebbero stati di conforto alla famiglia.
Quella consapevolezza gli lacerò il cuore e, mentre l'aria nei suoi polmoni usciva in singhiozzi silenziosi e le lacrime gli solleticavano le guance dopo tanto tempo, ad Albert parve di perdere di nuovo Anthony, suo padre, sua sorella.
Per un istante desiderò essere di nuovo senza memoria per non ricordare tutte le perdite che aveva subito nella vita e che ora sembravano amplificate da quella del povero Stair. Nel momento in cui i ricordi erano tornati, qualche tempo prima, non era stato facile venire a patti con quelle verità amare come il fiele: era stata proprio l'immagine di una ragazza bionda con le lentiggini sul viso a dargli la forza di affrontarle di nuovo.
Albert prese un respiro profondo e si raddrizzò, quindi andò in bagno per sciacquarsi il viso abbastanza a lungo da non farsi trovare in quelle condizioni da Candy. Doveva fingere di non sapere nulla ed essere di nuovo la sua roccia, non poteva permettersi di lasciarsi andare troppo a lungo al proprio dolore.
Per sua fortuna, la resilienza era una di quelle caratteristiche della sua indole che lo aveva sempre aiutato ad andare avanti nella vita e nel giro di qualche minuto Albert ebbe di nuovo le emozioni sotto controllo.
Guardò dalla finestra giusto in tempo per vederla, mentre camminava a testa china e si asciugava gli occhi cominciando a salire le scale esterne.
Povera, piccola Candy.
Quando entrò, lui fu pronto ad accoglierla fra le sue braccia. E la strinse, la strinse a lungo.
