CHIARIMENTO IMPORTANTE: C'è una linea sottile tra essere arrabbiate e deluse e insultare il personaggio e quindi anche l'autrice. Si può esprimere il proprio parere senza essere offensivi. Vi chiedo, pertanto, di esprimere pure il vostro disagio e il vostro diniego, ma evitando termini estremi come "imbecille" o "idiota", nonché altre espressioni che mortificano la caratterizzazione che con tanta fatica cerco di dare. La storia è già scritta tutta ma comincio ad aver voglia di tenerla sul mio PC oppure di pubblicarla altrove...
Chiarito ciò, spero...
Grazie dei commentia Charlotte, Dany Cornwell, Ericka Larios, Cla1969, Lili e a MariaGpe 22 che, nonostante abbia totalmente demolito il mio personaggio di William, mi fa i complimenti (lo ammetto, sono un po' confusa...): Grazie per tutti i complimenti che ho ricevuto, innanzitutto, specie a chi ha definito la storia una specie di poliziesco! E nonostante Candy non compaia, sta cominciando a muoversi qualcosa, quasi tutto! Di colpo, sembra che stia accadendo il finimondo. Lilian sta per partorire e... ebbene sì, ragazze, chi di voi lo aveva sospettato ora ne ha la conferma: Lilian è figlia di Frank e l'inganno si perpetra da madre in figlia, anche se Albert ha i suoi grossi sospetti. So che odiate il fatto che Albert pare essersi rassegnato, ma che può fare? Creare uno scandalo e mollare Lilian e il bambino per andare da Candy? Non sarebbe plausibile. Chi ha scovato Ethan in piena notte? Chi ha sparato? E come sarà il figlio di Ethan? Bene, molti dubbi li fugherete proprio nelle prossime righe... Tenetevi forte che si parte!
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È un figlio saggio quello che conosce il proprio padre.
(Omero)
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L'inizio e la fine
Ore 20,15
Frank rispose al telefono imprecando mentalmente e guardando l'orologio sulla mensola del camino: il suo treno sarebbe partito entro tre ore e non voleva perdere tempo. Tuttavia, sapeva che poteva essere il padrone di casa che gli chiedeva dove avrebbe lasciato le chiavi, visto che su quel punto non si erano accordati, così rispose certo che si trattasse di lui.
Invece no, era Margaret che gli chiedeva di restare per il parto imminente di sua nipote.
Non seppe con quale autocontrollo riuscì a spiegarle che non c'era modo che lo convincesse a non partire. Rabbrividì quando la donna, che aveva voluto tenere fra le braccia solo per imprimersela nel corpo e nella mente fino alla fine dei suoi giorni, tentò di rassicurarlo. Non voleva sapere cosa stesse macchinando per trarlo d'impaccio da quel guaio colossale, ma di sicuro preferiva cavarsela da solo.
Da quel momento in avanti e per sempre.
"Addio, Maragaret", le disse, sperando che comprendesse che si trattava dell'epilogo.
Stava quasi per riattaccare senza attendere la sua risposta. Ma la risposta gli arrivò all'orecchio, per fortuna o purtroppo, e lo gelò costringendolo ad appoggiarsi con una mano sul tavolino per non cadere.
"Lilian è tua figlia".
Cercando di controllare il respiro, sibilò: "È una menzogna!". La testa gli girava e riconobbe i primi segnali di uno svenimento quando vide mille puntini neri danzargli davanti agli occhi, che chiuse stretti.
"No, non lo è...". Margaret aveva cominciato a piangere e Frank sentì le gambe cedergli. Cercò una sedia alla cieca e vi crollò sopra. Una parte di lui non voleva e non poteva crederle, l'altra cominciava a comprendere quanto quella specie di legame che lo aveva tenuto accanto a lei fino a quel momento avesse ora un senso.
"Te lo stai inventando per convincermi a restare, ma sappi che...", ansimò, tentando di mantenere lucidi i sensi.
"Quando ho scoperto di essere rimasta incinta, Alain era appena partito per un viaggio di lavoro. Non mi toccava da settimane, perché stava organizzando i suoi affari da casa prima della partenza ed era molto stanco".
Stai zitta, per favore! Non lo voglio sapere! Questo avrebbe voluto gridarle, anche se la lingua rimaneva incollata al palato e un nodo gli stringeva la gola. Sì che voleva sapere invece. Con tutte le proprie forze.
"Non appena è tornato mi ha cercata, così ho potuto fargli credere che il figlio che attendevo fosse suo".
Un padre innamorato del proprio figlio ci crederebbe.
Ora capiva anche le parole di quella sera, la convinzione granitica che l'aveva portata ad assecondare Lilian: lei stessa ci era passata con Alain e si aspettava lo stesso da William.
Una goccia cadde sulla scrivania e Frank comprese che il suo posto era sempre stato quello. La carriera, il viaggio, la fuga: tutto una farsa. C'era dentro con tutto se stesso, cuore e anima incluse. Il legame che Margaret aveva stabilito con lui era eterno e si chiamava Lilian.
La mia piccola, folle Lilian...
"Lui... non ha mai sospettato...". La sua voce era ingrossata e spezzata dal pianto e fu costretto a schiarirsela. "Voglio dire...".
Quella di Margaret, invece, pareva provenire da un angolo recondito del passato, polverosa, remota. "Lo sapeva. Credevo di averlo ingannato, ma ho scoperto poco prima che morisse che lo ha sempre saputo. Era a conoscenza... di noi. Ma amava così tanto quella bambina che forse si era convinto di poter essere comunque il padre che meritava".
Ed è per questo che lo volevi uccidere? Per questo mi ha chiesto di lasciarti la morfina, quella notte? Eppure non l'hai usata. Perché, Margaret? Come è morto, allora, Alain?
E anche quelle domande rimasero impigliate fra le labbra aride, in mezzo ai singulti e alle lacrime che tentava di rendere più silenziosi possibile. Con le dita fra i capelli, il capo abbandonato su una mano, Frank tentò di riprendere il controllo: "Cosa è successo?".
Margaret tacque per qualche istante, come se stesse cercando di decidere se la sua domanda fosse riferita al presente o al passato. Infine capì: "Non lo so, ho visto che soffriva molto e William l'ha dovuta aiutare a salire in macchina. È... convinto che il parto sia prematuro".
"Beh, di sicuro siamo in anticipo di circa una settimana", disse alzandosi in piedi e ricomponendosi quanto bastava a mantenere una parvenza di freddezza. Ma le mani tremavano e le gambe lo sostennero a malapena. Tuttavia non aveva tempo di soffermarsi a pensare a quella verità tanto enorme che avrebbe richiesto giorni per essere metabolizzata: doveva andare ad aiutare sua figlia.
Mia figlia... dallo sguardo così simile alla donna che mi ha rubato più di metà vita...
Riagganciò e infilò il cappotto, chiudendo la porta a chiave e mettendola in tasca. Quella casa non sarebbe più tornata al suo proprietario: non quella sera.
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Ore 21,30
Candy percorse il lungo corridoio dell'ospedale centrale per recarsi al proprio reparto: lavorare come volontaria a contatto con i bambini era stato determinante per affrontare meglio quelle settimane ed era grata al direttore per averle concesso di scegliere persino dove intrattenersi per più tempo.
Non sapeva se fosse per il fatto di trovarsi a Chicago e non più a miglia di distanza, né se l'impegno in più di costruire la clinica la stancasse maggiormente, ma la notte riposava meglio e non sognava quasi più. Era come se il corpo e la mente, sfiniti da tanta sofferenza, stessero infine passando per il lungo processo che avrebbe portato all'accettazione.
Era nella stessa città di Albert ma aveva una propria vita, una propria casa e un progetto che assorbiva la maggior parte del suo tempo. Non poteva negare a se stessa che la scelta dell'ospedale fosse stata dettata dalla necessità di restare ben lontana dal Santa Joanna, che le avrebbe portato inevitabilmente altri ricordi. Un giorno, quando fosse stata pronta, sarebbe tornata dal dottor Leonard per chiedergli consiglio sulla clinica e avrebbe camminato di nuovo per quei corridoi a testa alta, senza più sentirsi il cuore stringere al ricordo di una barella dove un suo vecchio amico giaceva senza memoria.
Candy entrò nella corsia dove i piccoli già dormivano e controllò il livello delle flebo, avvicinò il polso alle fronti per verificare che non ci fosse bisogno di svegliarli per provare il termometro e sistemò le coperte su chi le aveva calciate via. Guardandosi attorno, le parve di rivedere in ogni singolo volto i piccoli della Casa di Pony e si ripromise di tornarvi presto. Aveva scritto a Miss Pony e Suor Lane informandole di tutte le novità, ma sentiva dalle loro risposte che desideravano riabbracciarla tanto quanto lo desiderava lei.
Quello è il luogo che potrò sempre chiamare casa...
Mentre spegneva una delle applique a muro per non disturbare il sonno dei bambini, Candy sentì dei passi frettolosi che si avvicinavano e pensò subito a un'emergenza. Tuttavia, fu sorpresa di vedere il volto pallido di una delle sue colleghe spuntare dalla porta: credeva che avrebbe proseguito fino alla stanza dove riposava l'altra infermiera del turno di notte.
"Candy, abbiamo bisogno di te in sala parto, ci sono complicazioni con una paziente!".
Lei si avvicinò subito per parlare senza dover alzare la voce: "Certo, nessun problema. Ma non c'era di turno anche Gwenda stanotte?".
L'altra scosse la testa: "Purtroppo ha chiamato avvisando che ha una brutta influenza, quindi devi venire tu".
Candy la stava già seguendo a passi veloci. Poteva vedere dalle sue labbra strette e dal sudore che le scendeva lungo una tempia che la situazione non era affatto delle migliori: "Cosa è successo?".
"Il dottor Stevenson sta cercando di far nascere un bambino che dovrebbe essere prematuro a seguito di un distacco della placenta. Ma la madre ha perso molto sangue e non basteranno neanche le trasfusioni se si renderà necessaria un'isterectomia".
Il cuore di Candy aveva cominciato a battere più forte subito dopo aver udito il nome del medico e divenne un tamburo battente nelle orecchie e nel petto quando sentì il resto.
"Come... come si chiama la paziente?". Dovette fermarsi, mettersi una mano sul petto e poggiarsi al muro, guadagnandosi un'occhiata allarmata dalla collega.
Perché ogni volta che mi sembra di aver raggiunto un equilibrio il destino si accanisce?! Magari è tutto frutto della mia mente fervida, sì... di sicuro non è...
Ma non si sbagliava, Candy, e le parve che le labbra dell'altra infermiera si muovessero senza emettere suoni. E tuttavia, il nome che pronunciò era proprio quello che si aspettava.
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Ore 22,00
Lilian pensava di aver superato la soglia del dolore da tempo e non aveva più le forze per urlare.
"Se non spinge dobbiamo fare un cesareo e tirare fuori il bambino!". La voce le apparve lontana, ovattata e non capì se era quella di suo zio o di un altro medico. Sapeva solo di essere in ospedale e non a casa e che qualcosa stava andando storto. Orrendamente storto.
"Infermiera, mi passi altro etere per favore!".
"Eccolo dottore!".
Lilian scosse la testa cercando di aprire palpebre così pesanti che le sembravano ricoperte di piombo fuso. Una di quelle voci le sembrava di averla già sentita e tentò di mettere a fuoco le sagome che si muovevano in fondo al suo letto, dove era stato drappeggiato il lenzuolo.
Non vedo nulla, ma sento come se il ventre mi venisse strappato via. Il sangue ha cominciato a fluire mentre ero ancora alla villa e mi sembra un fiume inarrestabile tra le mie gambe.
"Mi serve un'altra sacca!".
Nel suo campo visivo entrarono dei capelli biondi legati sotto a una cuffietta bianca e fu solo quando l'infermiera posizionò l'ennesima flebo rossa che poté vederla. Incontrò i suoi occhi verdi e fu certa che fosse un sogno. Anzi, un incubo.
Lei non stava partorendo con un cesareo d'urgenza in ospedale a circa una settimana dal termine e quell'infermiera non poteva essere Candy. Così come l'uomo di spalle, che appariva e ricompariva come fosse un'illusione ottica
o un'allucinazione
non era Ethan.
E tuttavia, Lilian allungò un braccio, o almeno tentò di farlo. E provò anche a parlare, ma le labbra aride si mossero appena.
"Cerca di stare tranquilla, andrà tutto bene!". E le si stava avvicinando, Candy, per prenderle la mano inerte e dirle una bugia che forse rifilava a tutti i suoi pazienti. D'improvviso, però, non aveva più importanza che davanti a lei avesse la donna amata da suo marito. Né che suo zio continuasse a impartire ordini con voce urgente, rinnovandole ondate di dolore acuto. Ora doveva fare in modo che il suo bambino sopravvivesse e avesse il futuro che lei aveva solo accarezzato.
Cercò di articolare la parola "felice", ma non vi riuscì. Chiuse gli occhi, prese un respiro che le costò grande fatica e disse, invece: "Mio figlio".
"Tuo figlio starà bene. Il dottor Stevenson lo sta tirando fuori proprio in questo momento, lo senti? Il cesareo non è più indispensabile se riesci a spingere solo un'altra volta". E le sorrideva, Candy. Le sorrideva la donna cui aveva strappato l'uomo amato, mentre cercava di rincuorarla.
"Bambino... mio... deve... felice... a ogni... costo. Sempre". Dopo quelle parole, che vide arrivare a Candy da come aveva spalancato gli occhi in un gesto di comprensione, Lilian spinse. Usò ogni briciola di energia rimasta, attingendo a forze sconosciute che forse solo una madre era in grado di trovare in qualche luogo misterioso.
Quella madre che non sono stata in questi mesi. Avevi ragione, William, ma ora so. Oh, so che amo mio figlio più di ogni altra cosa al mondo!
Urlò, mettendolo al mondo come tante donne prima di lei avevano fatto sin dalla notte dei tempi e come tante forse stavano facendo in quel momento. Urlò e sentì la vita scivolarle via assieme a lui: gliela donò con gioioso abbandono, desiderando solo vederlo per un attimo.
"Brava, tesoro, è un maschio!". Perché suo zio aveva le lacrime agli occhi? Perché la guardava con tanta tenerezza mentre lo passava a un'altra infermiera perché lo pulisse e lo controllasse?
Candy le strinse la mano in approvazione e si volse per raggiungerla: "Ora te lo porto", disse con voce rotta.
"Dottor Stevenson, dobbiamo procedere, non c'è alternativa! Se vuole posso farlo io".
"Aspetti, devo dirlo prima a lei!".
"Ma non c'è tempo! Rischia di morire dissanguata!".
I due uomini parlavano e lei li sentiva sempre più lontani. Non erano le loro voci che voleva udire, ma il pianto del bambino: perché non piangeva? Il distacco della placenta gli aveva quindi tolto ogni nutrimento assieme al sangue che aveva perso? Era morto ancor prima di nascere? Gli occhi le si riempirono di lacrime e pensò che sarebbe morta anche lei, di dolore.
Il grido acuto di un neonato fu come la scarica elettrica che la riportò in vita e lei spalancò le palpebre che si erano abbassate.
Suo figlio era fra le braccia di Candy, che lo guardava con un'espressione così colma di stupore che sulle prime non capì.
Sta male? Piange ma è deforme. Piange ma sanguina anche lui. Piange ma morirà.
"Il tuo bambino sta benissimo, Lilian", le disse avvicinandosi con il fagottino, avvolto in una coperta, che tanto anelava. Stava piangendo anche lei.
Quando lo vide, comprese il motivo per cui Candy le era apparsa tanto sconvolta. E sorrise. Sorrise a dispetto del fatto che, se fosse uscita viva di lì, avrebbe dovuto dare a suo marito delle spiegazioni. Sorrise anche se rischiava di essere ripudiata e messa in mezzo a una strada. Sorrise anche se sapeva che avrebbe litigato di nuovo con sua madre. Sorrise perché quel piccolo era tutto il suo mondo, ed era identico all'uomo che amava.
Candy lo poggiò al suo fianco sul letto dicendole qualcosa, tenendolo con una mano perché non cadesse. Ma lei non l'ascoltò, calamitata dalle labbra ben delineate, dalle guance piene, dai pugnetti chiusi e dagli occhi che, incredibilmente, si aprirono per un breve istante a guardarla, come riconoscendola.
E si vide riflessa nel colore nocciola degli occhi, l'unica parte di suo figlio che le appartenesse.
"Ti amo, piccolo mio". Il sussurro era flebile, ma le parole non uscirono spezzate e il neonato aveva smesso persino di piangere, quasi la stesse ascoltando davvero. "Ricordatelo sempre... ti amo tanto...".
"Lilian!". La voce di suo zio spezzò l'incanto e Candy fu lesta a riprendere il bambino, promettendole che lo avrebbe rivisto presto, pulito e vestito.
Abbi cura del mio bambino, se non ce la dovessi fare. E rendi felice William. Se lo merita, è un uomo speciale. Così speciale che mi stavo davvero innamorando di lui...
Pensava che avrebbe avuto un altro po' di tempo per dirle quelle parole, perché tutto sommato aveva capito di essere vicina alla fine.
"... l'isterectomia non ti permetterà di avere altri figli, ma ti salverà la vita!". Frank le aveva afferrato la mano e sembrava sconvolto. "Non arrenderti, figlia mia!".
Figlia mia?
Tutto divenne confuso, mentre l'altro medico le applicava l'etere e le infermiere dicevano qualcosa. C'era anche Candy? O era ancora con il suo bambino? E perché suo zio l'aveva chiamata in quel modo? Possibile che la considerasse davvero...
"Papà... papà... Ethan... Wi...". I volti degli uomini che più aveva amato si alternarono dietro agli occhi ora chiusi, confortandola, scaldandola da quel freddo che pareva non finire mai. E vi si aggiunse quello del suo bambino.
Se lo ritrovò fra le braccia, cullandolo, parlandogli, ripetendogli quanto lo amasse. Ed era in piedi e Ethan le si stava avvicinando con un sorriso.
"Ethan, amore mio! È identico a te, sai? Guardalo, guarda il nostro bambino!".
E la guardò, Ethan, accarezzandola sul viso, asciugandole le lacrime, baciandole la fronte con una dolcezza che non aveva mai avuto.
Si strinse a lui, percependone il profumo, sentendosi leggera e felice. Erano di nuovo insieme. Erano finalmente una famiglia.
- § -
Ore 22,30
Albert sapeva che dietro quella porta stava accadendo qualcosa di grave.
Poteva capirlo dalle voci concitate che provenivano da dentro e che avevano quasi fatto perdere i sensi a Margaret, ora in una stanza vicina con un medico che si stava prendendo cura di lei.
Era rimasto solo sulla panca addossata al muro, i pugni chiusi sulle ginocchia e la mascella così contratta che si accorse a malapena che gli dolevano i denti. Aveva visto passare Candy di corsa con un'altra infermiera e i loro occhi si erano incontrati per un brevissimo istante.
Tu... qui?
Lilian è lì dentro, lo so. Vedrai che tutto andrà bene.
Non c'era stato tempo di comunicarsi silenziosamente altro, perché c'erano in ballo due vite e Albert non si soffermò neanche a pensare che nessuno gli aveva confermato o smentito il fatto che il bambino fosse prematuro. Aveva solo aiutato Lilian a varcare la soglia dell'ospedale, dove Frank la stava attendendo e tutto era stato un vortice confuso e caotico fin da allora.
Margaret che gli artigliava la giacca piangendo, Frank che sembrava aver perso tutta la freddezza di medico impeccabile. E Candy, in quella divisa da infermiera che lo aveva riportato indietro nel tempo...
Il destino era strano e stava muovendo le sue fila in maniera inaspettata, continuando a metterla sulla propria strada anche se i loro destini erano irrimediabilmente divisi. Forse era così che doveva essere: non marito e moglie, non compagni di vita. Ma amici, fratelli, legati in modo indissolubile.
Quando udì il bambino piangere, Albert scattò in piedi spalancando gli occhi. Il suo intero corpo fu pervaso da un tremore sconosciuto, misto a gioia e consapevolezza: il grido di un bambino sano, suo figlio in ogni caso.
Alzando le mani giunte davanti alle labbra, si ritrovò a pregare in silenzio. A pregare Dio che quella creatura, che urlava come se i suoi polmoni fossero perfettamente sviluppati, fosse sana e forte; a pregare che Lilian se la cavasse nonostante gli fosse chiaro che il parto avesse avuto delle complicazioni importanti; e a pregare che non fosse Candy a mettergli fra le braccia il bambino, o sarebbe stato troppo per il suo povero cuore.
E perlomeno quell'ultima richiesta venne esaudita perché, dopo minuti che gli parvero ore, un'altra infermiera uscì con il neonato in braccio, mozzandogli il respiro in gola.
Eccolo...
Facendo dei passi incerti, guardando alternativamente lui e il bambino, come se fosse indecisa.
Eccolo...
E un nodo gli strinse la gola, mentre si sentiva invaso da un amore disinteressato e profondo, che gli fece allungare le braccia e andarle incontro per prenderlo, finalmente, e guardarlo negli occhi.
Eccolo...
"Congratulazioni, è un maschietto", cominciò esitante. "Sua moglie... stanno cercando di salvarla asportandole l'utero, ma ha perso molto sangue e il dottore... le darà notizie non appena possibile".
Il mondo si fermò, mentre Albert assorbiva quella tragica verità e ne fissava un'altra, impietosa ma meravigliosa che aveva gli occhi nocciola e la pelle d'ebano. Un bellissimo bambino mulatto agitava le manine e spalancava la bocca, in cerca di un nutrimento che sua madre al momento non poteva dargli.
Tuttavia lo amo, tuttavia lo sento davvero mio.
Gli sorrise, Albert, anche se ormai poteva sentire il peso del dubbio che lo aveva tormentato per mesi alleggerirgli le spalle e librarsi nell'aria. Gli sorrise mentre una lacrima si staccava dall'occhio e cadeva sulla mano del piccolo, in un battesimo simbolico che glielo rese ancora più caro.
Ovunque ci porterà il futuro, io ti renderò felice.
"Ciao, piccolo", mormorò inghiottendo il pianto che gli rendeva difficile parlare. "Come ti chiameremo?".
"Ethan... si chiama Ethan". Alzò gli occhi di scatto, senza rendersi conto che Candy era sulla soglia della porta aperta, il viso rigato dalle lacrime. "Lilian... ha ripetuto quel nome... fino alla fine. Mi dispiace, Albert, mi dispiace tanto".
D'istinto, strinse più forte il corpicino tra le braccia, come se volesse proteggere quel bambino già orfano di madre dopo pochi minuti di vita
proprio come me
dall'orrenda realtà.
Fece un passo indietro, poi un altro, fino a crollare sulla stessa panca di poco prima, guardando il bambino e poi Candy, appena conscio dell'infermiera che si defilava rientrando nella stanza dove si era appena consumata la tragedia.
Lilian era morta.
Lilian, che si era infilata nel suo letto con l'inganno e lo aveva costretto a sposarlo; Lilian, che era stata capace di fargli provare una rabbia fuori controllo e una pena immensa; Lilian, che aveva sofferto la mancanza di suo padre fino ad avere degli incubi orrendi; Lilian, che forse aveva amato l'altro uomo e stava cercando di arrivare al suo cuore in quel suo modo arrogante e maldestro; Lilian, che aveva racchiuso dentro e intorno a sé una sofferenza enorme e si era riscattata mettendo al mondo un piccolo angelo a costo della sua stessa vita.
Tutte quelle donne, che non era mai riuscito a comprendere appieno, avevano appena cessato di esistere. Erano morte assieme a lei e ai segreti della sua anima che non avrebbe mai conosciuto.
