Maya POV
Uno degli aspetti positivi della nostra convivenza è sicuramente il fatto di trovare tutte le mattine la colazione pronta. E non parlo di una semplice colazione, di quelle che si preparano in 5 minuti con quello che capita, no... le tue sono colazioni che ti fanno venir voglia di attaccarti alla sedia della cucina e non alzarti più. Detto da me, abituata a buttare un po' di roba nel frullatore e a sperare ne uscisse qualcosa di bevibile, è un gran complimento.
I tuoi french toast sembrano corrompermi a sufficienza da farmi ignorare il telefono, o almeno ci riescono fino al quarto squillo.
"Si, Bishop..."
Il tuo sguardo già mi disapprova per aver risposto a questa chiamata, ma mi conosci e sai che non avrei resistito.
"Ok, ditegli che sarò lì al massimo tra un'ora"
Attacco la telefonata e in quello stesso istante, ti sento buttare la padella sul lavandino, con un gesto di chiara disapprovazione.
"Scusa... scusami, è che..." dici, riprendendo te stessa per quel piccolo sfogo. Porti le mani alle tempie, socchiudendo gli occhi, e guardandoti leggo su di te le difficoltà di quest'ultimo periodo, quanta frustrazione hai accumulato, senza riuscire a trovare una valvola di sfogo.
"Ehi, non devi scusarti. Il comandante è in caserma e vuole parlarmi della nomina del nuovo capo-battaglione. Non potevo dire di no" ti rispondo, mentre mi avvicino e ti abbraccio da dietro.
"Lo so, è solo... è solo che abbiamo avuto turni opposti nelle ultime settimane. Mi sembra una vita che non riusciamo a passare un po' di tempo assieme... argh, mi sento così sciocca a prendermela per questo!"
Mentre mi dici queste parole, sento nella tua voce ogni centimetro della distanza tra di noi che dobbiamo ancora far sparire. Sei venuta a vivere con me, eppure mi sembra di averti vista ancora meno di prima, in effetti.
"Ehi, e se ti proponessi di accompagnarmi?"
"Dici sul serio?"
"Si, non ci metterò molto... ti va?"
"D'accordo... così magari per strada ti convinco a farmi provare la pertica della caserma"
Mi butti le braccia al collo mentre lo dici, felice di non dover restare sola a casa ad aspettarmi.
"Oh, sai che quella è off limits! Ecco, perfetto, ora avrò in mente per il resto della giornata l'immagine di te su quel palo... Dio, Carina, come fai a eccitarmi con così poco!"
"Per qualsiasi cosa, comandante, la 19 è sempre a disposizione, non esiti a chiedere. A presto!"
La cacciata dai piani alti di Dixon mi ha finalmente permesso di non dover più ricorrere ad una buona dose di piaggeria ad ogni visita del comandante in caserma. Devo ammettere che è stata dura: l'unica cosa positiva che ha fatto quell'uomo è stato darmi il posto che da molto tempo avevo cercato in tutti i modi di dimostrare di meritare.
Diventare capitano per me è stato come vincere l'oro olimpico... non per la celebrazione, o perché fosse un sogno che avevo nel cassetto fin da bambina, ma perché era un obiettivo che mi ero posta, era raggiungibile e ogni giorno di lavoro non era altro che un allenamento per arrivare pronta alla volata finale.
Poi... beh, poi le cose sono cambiate. Sei arrivata tu, e hai stravolto il mio mondo.
A proposito, forse è il caso che venga a vedere dove ti sei nascosta.
Carina POV
"Ecco Miller, se vuoi davvero cucinare la pasta comu Diu comanda, questa è la cottura giusta. Capisti?"
Mentre Dean assaggia uno spaghetto di quelli che aveva messo a cuocere, mi guarda con aria perplessa. Del resto, a suo parere, era necessario almeno il doppio del tempo perché potesse essere pronta. Sembra però capire che forse il mio suggerimento è a ragion veduta.
"Ah Miller, quante volte te lo dovrò ricordare: mai farsi beccare a cucinare la pasta davanti a Carina!"
Appena sento la tua voce, mi volto verso di te, con uno sguardo forzatamente indignato.
"Beh, non è colpa mia se vi mancano le basi! Me matri mi avi 'nsignaru a cucinare a pasta quannu avia 8 anni!"
Ti metti tra me e lui, mentre inizi dolcemente a spingermi fuori dalla cucina.
"Ehi, ehi, ti sta partendo l'anima sicula, Carina. Tranquillo, Miller, ora la porto via, così finisci di cucinare in pace", lo rassicuri, non perdendo l'occasione di prenderti gioco di me. So quanto ti piaccia sentirmi parlare in siciliano, soprattutto in certe particolari occasioni.
"Andate già via? Perché non vi fermate a pranzo?"
Sento la sua domanda, quando ormai siamo sulla rampa di scale.
"Direi che ho ben altri programmi per la mia super sexy fidanzata italiana... salutami gli altri!"
Usciamo dalla caserma e mentre saliamo in macchina, la mia mente già pensa a cosa potremo fare nel pomeriggio. La me realista sa che sarà difficile convincerti a fare qualcosa che preveda uscire di casa o anche solo avere dei vestiti addosso, ma so anche di avere ottime doti persuasive e vorrei tanto stare un po' all'aria aperta. Pensavo tipo ad un parco... del resto anche tu sei un'amante della natura, non sarà così difficile convincerti.
Driiiiin driiiiiin driiiiin
No... basta telefoni, basta interruzioni... sono già pronta a dirti di ignorarlo, quando mi rendo conto che è il mio cellulare quello che suona.
"È l'ospedale"... cavolo!
Ok, ora la tua espressione sembra quella di un cartone animato che non prova minimamente a nascondere la sua tristezza.
"Pronto, sono la dottoressa De Luca"
Arriviamo ad un incrocio e mentre attendiamo che il semaforo diventi verde, mi fai segno con la mano di farti capire se devi svoltare a destra per portarmi in ospedale.
Rassegnata, non posso che far altro che farti cenno di sì, mentre Helm dall'altro capo del telefono continua a farmi un resoconto delle condizioni della paziente.
Maya POV
Mi fermo quando arriviamo vicino all'ingresso dell'ospedale e sei già pronta a scendere, quando ti volti verso di me e prendendomi il viso tra le mani mi baci.
Resto come pietrificata... l'intensità che sei riuscita a posare sulle mie labbra in un attimo così fuggevole mi blocca. Ovviamente ci pensa il classico cafone in auto dietro di me a rovinare il momento, suonando il clacson e facendomi capire che devo rimettermi in moto.
Mentre tolgo il freno a mano, mi concedo un istante per guardarti ancora mentre sparisci al di là delle porte scorrevoli dell'ospedale.
Mi scrivi dopo qualche ora, dicendomi che hai finito e chiedendomi di venirti a prendere. Ero passata a casa di Andy, non volevo stare sola. E questo mi permette di arrivare in meno del previsto da te. Trovo parcheggio quasi subito, così ne approfitto per scendere e attenderti su una delle panchine davanti all'ingresso.
Si è fatta sera, e c'è una leggera brezza, che stempera il caldo della giornata. I colori del tramonto sono ormai quasi svaniti, ma si può ancora notare qualche leggera sfumatura in lontananza. Odio pensare che avremmo potuto goderci una meravigliosa giornata, se non fosse per i nostri lavori così imprevedibili.
"Ahhhh, odio avere un lavoro dove è altamente probabile che si verifichino imprevisti!"
Ti siedi, anzi ti lasci cadere sfinita sulla panchina, di fianco a me.
"Ehi com'è andata?" ti saluto, lasciandoti un tenero bacio sulla guancia.
"Bene... cioè la madre e il piccolo stanno benissimo. Ma è stata lunga... un parto!"
Non riesco a trattenere una mezza risata al tuo involontario gioco di parole.
"Però prometto di essere attiva per qualsiasi proposta tu voglia farmi per la serata... perché immagino tu abbia qualcosa in mente per questa sera o sbaglio?"
"In effetti non sbagli. Pensavo di portarti fuori a cena, in quel ristorante italiano di cui mi parli sempre."
I tuoi occhi si illuminano mentre volti appena la testa di me, stravaccata sulla panchina in una posizione che comunica tutta la tua stanchezza.
"Ma... fanno anche il servizio di consegna a domicilio, quindi pensavo che potremmo approfittarne e mangiare comodamente a casa. In più risparmieremo tutto il tempo che ti servirebbe per prepararti per uscire"
"Stai dicendo che sono lenta?" rispondi, fintamente offesa.
"Non l'ho detto..." preciso, cercando di nascondere il fatto che fosse ciò a cui stavo pensando.
"Ok, per questa volta sorvolerò Capitano Bishop. Dai, andiamo!"
Ti alzi e mi fai cenno di darti la mano, ma appena mi alzo e iniziamo a camminare, sento qualcuno chiamarti.
"Ciao Carina..."
Ti blocchi, e quasi rischio di urtarti. Vedo il tuo sguardo congelarsi, i tuoi occhi visibilmente increduli. E non è stupore positivo quello che vedo riflesso in essi.
Mi volto verso la figura che ha pronunciato il tuo nome. Il mio sguardo sale lentamente, da quelle scarpe, eleganti con un tacco alto giusto un paio di centimetri, su, lungo quei jeans stretti ma che definiscono gambe assolutamente toniche, per poi arrivare ad una camicetta semplice, resa più accattivante dalla giacca, con le maniche che arrivano all'altezza dei gomiti. È quando arrivo a quello sguardo, a quel sorriso, che capisco.
"Arizona..."
Ed è un attimo. L'attimo in cui capisco che quella che ho di fronte è Arizona Robbins, la donna che popola i sogni della mia ragazza. E beh, mi sento fottuta.
