Maya POV
Qualcosa mi tocca la fronte, svegliandomi dal mio sonno profondo. È un tocco di labbra, le tue labbra, ma quando i miei occhi trovano la forza di aprirsi, riesco solamente a vedere te che esci di casa. E il rumore della porta non può che confermare tutto questo. Mi giro verso la sveglia e vedendo l'orario impresso su di essa, decido di cercare di godermi fino all'ultimo minuto di sonno concessomi.
Non sono una persona a cui serva svegliarsi molto tempo prima di dover uscire di casa. Almeno quando devo andare al lavoro. Faccio colazione velocemente, non impiego più di 15 minuti per farmi la doccia e dovendo indossare l'uniforme non ho l'imbarazzo del "cosa mi metto oggi"... insomma non sono una che perde tempo. E amo questo mio modo di essere, queste mie abitudini... quasi quanto amo il fatto che tu mi renda così difficile seguirle.
Prendo la borraccia con il mio frullato proteico e il borsone ed esco di casa. Salgo in auto e, una volta acceso il motore, dalle casse escono le note così energiche dell'ultima canzone che stavo ascoltando. Non so se per il caos assordante che avevo nella testa, ma evidentemente ieri sera non mi ero resa conto che avevo alzato un po' troppo la musica. Alla luce del nuovo giorno mi fa sentire come se qualcuno mi stesse urlando nelle orecchie!
Abbasso decisamente il volume, e decido che, a questi decibel, come sound per dirigermi al lavoro è perfetto e mi darà sicuramente la carica giusta.
Sono quasi arrivata in caserma, quando la musica si interrompe per lasciare spazio alla suoneria del mio telefono. È una suoneria speciale, messa ad hoc per quando ricevo chiamate da te. Mi sorprende una tua telefonata a quest'ora, e devo ammettere che un po' mi preoccupa. Con i comandi sul volante rispondo:
"Maya..."
Non dici altro, è solo sentendoti pronunciare il mio nome percepisco che c'è qualcosa che non va. La tua voce riecheggia nell'abitacolo, facendomi sentire ogni piccola vibrazione causata dal tuo stato d'animo.
"Ehi Carina, tutto bene? Che succede?"
Scoppi a piangere all'altro capo del telefono. Fortunatamente sono praticamente arrivata, quindi mi sbrigo a parcheggiare e poter dedicare pienamente la mia attenzione a te.
"Scusami... è che... ho perso una paziente. Una giovane madre che fino ad un secondo prima stava bene, e poi..."
Dicono che certi medici diventino distaccati, almeno in parte, nel corso della carriera, asettici quasi quanto una sala operatoria prima di un intervento. Tu, beh... tu no, non ci hai mai nemmeno provato. E ciò ti rende straordinaria, ma ti rende anche fragile.
So che ciò che ti serve ora non sono frasi fatte, parole messe una dietro all'altra in una sorta di formulario per tirarti su di morale. Hai bisogno che resti in linea. Per sentire il tuo sfogo, che sia a parole o tramite un pianto liberatorio.
Restiamo così qualche minuto. Controllo l'orologio per assicurarmi di non fare troppo tardi, ma penso di potermi concedere un paio di minuti per te. Questo è più importante di spaccare il secondo per l'adunata della squadra.
Ad un certo punto sento il tuo pianto interrompersi e mi chiedo se non sia caduta la linea.
"Carina..."
Ti chiamo, per assicurarmi che non sia così.
"...scusami, non dovevo chiamarti. È che... non ci sono abituata, per fortuna. Cavolo, sarai già al lavoro, mi spiace averti disturbata. Sarai già al lavoro..."
"Ehi, ehi, smettila! Puoi chiamarmi quando vuoi, lo sai..."
Guardo verso la stazione e noto che Andy è uscita dalla caserma e si sta guardando in giro. Finché non vede la mia macchina, e mi fa un cenno per richiamare la mia attenzione e farmi capire che forse devo interrompere la chiamata. Su quello vedo entrambe le porte dell'autorimessa aprirsi. Deve essere un intervento grosso.
"Carina, mi spiace però ora devo andare. Dev'essere arrivata una chiamata. Ti va però se quando torno provo a telefonarti?"
"Certo... non so se sarò reperibile ma vorrei tanto provassi comunque."
La tua voce è ancora segnata e mi dispiace dover tagliare così la conversazione ma il dovere chiama.
"Ti amo" mi dici al volo, prima di riagganciare.
"Come mai eri in ritardo stamattina? C'entra qualcosa il fatto che sei stranamente silenziosa?" mi dice Andy, alla guida dell'autoscala.
"La ex di Carina torna a vivere a Seattle..."
"E tu hai dato di matto..."
Mi colpisce l'estrema fiducia che la mia migliore amica ripone in me.
"Grazie della stima ma no, non è andata così"
"Oh ti conosco, ci sono solo due possibili epiloghi per una scoperta come questa, quando ci sei tu di mezzo: lite furibonda o..." si interrompe proprio sul più bello.
"O cosa?" La incalzo.
Si gira quel tanto che basta a guardarmi un secondo in faccia e poi torna a prestare tutta la sua attenzione alla strada.
"...no, decisamente l'altra! Hai ragione!"
Non ho la più pallida idea di cosa stia farneticando. Al che le rivolgo il mio sguardo pieno di perplessità, quasi a chiederle di spiegarsi una buona volta.
"Le tue occhiaie... sono occhiaie da sesso-scacciapensieri. E prima che tu dica qualcosa, ti dico già che sì, è decisamente nel tuo stile."
"Sei un'idiota, Herrera" le dico ridendo.
"Ma sbaglio o non è tutta qui la faccenda? Avevi una faccia appena scesa dall'auto..." mi chiede.
Per un attimo, ripensando a ieri sera, avevo quasi dimenticato la tua telefonata di poco fa, ma in un secondo torna tutto a galla.
"Ero al telefono con Carina... ha perso una paziente stamattina. È che sai come sono: sto male per lei, ma ho le capacità consolatorie di un grizzly affamato", dico in tutta onestà.
"Non ti sottovalutare, Maya" mi risponde di getto Andy.
"Che vuoi dire?"
"Sai, molte volte il fatto che tu non sia in grado di consolare nel modo più convenzionale, rende il tuo modo di stare vicino a qualcuno unico e per questo spesso più efficace!"
Vorrei poter avere il tempo di riflettere su queste parole, ma siamo arrivati sul luogo dell'incendio. È ora di concentrarsi, scendere e fare il culo alle fiamme.
Carina POV
Chiudo la telefonata e vorrei sentirmi un po' meno di schifo.
Ho bisogno di prendere una boccata d'ossigeno... ho bisogno di riempire i polmoni di aria fresca, e non di ciò che permea lo spazio di questi corridoi tutti uguali.
Esco dall'entrata del pronto soccorso e per un attimo i miei occhi sono feriti dalla luce de sole, totalmente diversa da quella dei neon. È strano ci siano belle giornate in questo periodo a Seattle, e vorrei tanto essere dell'umore giusto per godermela.
In un attimo però torna tutto alla mente: l'allarme dei macchinari che inizia a suonare nella stanza della paziente, i parametri vitali che scendono a picco, la corsa in sala operatoria per il cesareo... il suo sangue che copre i miei guanti e buona parte del mio camice... quei beep, rintocchi che annunciano che non è rimasto nulla da poter fare.
Tutto questo si ripropone alla mia mente, e in un attimo l'aria fresca di questa giornata sembra non bastarmi. Me ne serve di più, respiro e sento come se i miei polmoni fossero bucati, perché è come se in realtà non riuscissi a respirare.
"Ehi Carina" sento una voce familiare avvicinarsi dietro di me. Passo rapidamente le mani sul viso, cercando di ricompormi, prima di voltarmi.
"Ciao Arizona" rispondo, cercando di non far trapelare nulla dalla mia espressione. Evidentemente senza successo.
"Vieni con me" mi dice allungando la mano. Esito, perplessa dal suo gesto.
"Dai forza" insiste, voltando il viso dall'altra parte e muovendo le dita della mano, invitandomi ad afferrarla.
Il suo passo si fa subito deciso, mentre ci avviamo verso la strada, per poi svoltare l'angolo. Faccio quasi fatica a starle dietro. Fortunatamente arriviamo al parchetto che si trova dall'altro lato dell'ospedale, di fronte all'ingresso principale.
Lascia la mia mano solo quando si siede su una panchina, facendomi cenno di sedermi di fianco a lei.
"Ok, qui puoi sfogarti... raccontami cosa è successo, oppure no, sta a te. Io resterò qui seduta con te finché non andrà meglio."
Non mi chiede di fare nulla, se non di lasciarmi andare alle emozioni che mi porto dentro. E mi serve, mi serve davvero.
"Io... Ho perso una paziente"
Vorrei fermarmi qui, ma sembra che ora che ho iniziato le parole siano destinate ad uscire, che mi piaccia o no.
"E prima che tu dica qualcosa, lo so, fa parte del mestiere. Ed è parte del lavoro anche imparare ad affrontare questi momenti, ma... è la prima paziente che perdo da quando lavoro qui... anzi i primi due pazienti"
"Carina, mi dispiace..."
"Io..." dico, mentre isolate lacrime mi bagnano il viso.
"Ho aspettato, sembrava la scelta più giusta. E poi, quando ho effettuato il cesareo era troppo tardi..."
Si avvicina e, forse proprio perché con questo gesto mi fa capire che non sola, decido di lasciare andare la tensione e sfogarmi in un pianto ristoratore.
"Purtroppo non sempre riusciamo a controllare tutto... è forse la cosa più difficile da imparare di questo mestiere. E tu sei un buon medico, Carina! Questo dolore è ciò che ti permetterà di dare una possibilità in più alla tua prossima paziente, e a quella dopo ancora..."
Mi abbraccia, e appoggio la fronte sulla sua spalla, mentre con una mano mi accarezza la nuca per calmarmi. Dondola leggermente, quasi volesse cullarmi tra le sue braccia.
"Non devi tenerti tutto dentro... certi pesi sono più semplici da portare, se hai qualcun con cui condividere la fatica..."
È così familiare questo abbraccio, il suo profumo... la sento appoggiare di rimando la sua testa alla mia. Restiamo così per qualche minuto, finché riesco a sentire un po' di sollievo.
"Grazie Arizona" le dico senza allontanarmi nemmeno di un millimetro, senza spostarmi minimamente, cosicché la mia voce esce abbastanza soffocata.
"Ehi, sai che puoi sempre contare su di me... ci sarò sempre per te!"
Stringo con un po' di forza in più questo abbraccio, nella speranza che pure lei stringa me un po' di più.
"...un buon marinaio nelle tempeste, vero?"
Chiudo gli occhi per un secondo, mentre inspiro profondamente dal naso. E quel suo profumo... la mia testa sembra volerlo inseguire, sa di casa. Il mio cervello sembra non riconoscere che quella però non è più casa.
I nostri visi si cercano, finché sono uno di fronte all'altro. Ho gli occhi ancora chiusi ma lo posso percepire.
Sento il mare che si ritira, l'acqua che retrocede, scoprendo la sabbia, e poi... l'impatto. L'onda. Lo tsunami che distrugge qualsiasi cosa.
