I miei cari compagni Mangiamorte questa notte hanno dovuto lasciare il divertimento a qualcun altro: del resto, anche l'Oscuro Signore deve rispettare i patti e pagare il dovuto obolo ai suoi alleati, soprattutto quando si tratta di esseri che sanno farsi rispettare molto bene.

Come i Dissennatori.

Hanno offerto loro in pasto lo sparuto gruppo di case, scelto a caso nella campagna, solo perché si trova in un avvallamento che scende verso il fiume: la nebbia si raccoglie al tramonto e diventa densa e umida all'arrivo della sera.

Ma, questa notte, è la nebbia ghiacciata della speranza perduta che attanaglia i poveri Babbani, dilagando nelle loro case. Si affannano ad accendere le luci, alzano il termostato del riscaldamento, ma il gelo li avvolge e il buio li soffoca.

I Mangiamorte se ne sono andati, sono rimasto solo io e mi rendo conto, con amara sorpresa, di riuscire a sfidare, quasi indenne, la vicinanza di questi esseri spaventosi: non speranza in me, di cui i Dissennatori possono privarmi, non c'è felicità che possono risucchiarmi.

Mi avvicino silenzioso al piccolo spiazzo tra le case: i gemiti dei Babbani si diffondono nella gelida aria maligna che mi circonda, misti ai rantoli di morte dei loro aguzzini.

Mi chiedo se ho ancora ricordi felici sufficienti a conferire al mio argenteo falco la forza necessaria per dissolvere i Dissennatori.

Chiudo gli occhi e mi concentro, stringendo forte la bacchetta nel pugno:

- Expecto Patronum! – esclamo con decisione, unica ombra viva tra gli avidi esseri spettrali della piazza.

La luce erompe accecante e grandi ali argentee si distendono a illuminare la notte, mentre il mio Patronus compie un lento giro sopra di me.

L'argenteo scintillio sembra diventare solido: l'impetuoso uccello si getta a caccia dei Dissennatori, gira vorticoso sulle case mentre le cupe ombre che divorano la speranza sciamano via, indietreggiano, si disperdono e infine si allontanano.

L'aria è umida, ma non più gelida, e la luce torna nelle case, insieme al calore della felicità: l'incubo dei Babbani per questa notte è finito.

Guardo il Patronus allontanarsi e svanire elegante nella notte, lasciando un'infinita sorpresa dipinta sul mio volto.

Non è un falco, non più.

Sorrido.

Adesso so in quale modo potrò fare giungere importanti informazioni a Potter.

Ricordo insegnamenti uditi tanto tempo fa, quando ero solo un ragazzo:

- Credi che le persone scomparse che abbiamo amato ci lascino mai del tutto?[1]

Una lacrima scende lenta sul viso, ancora freddo del gelo dei Dissennatori.

Non mi ha lasciato: è ancora con me, gelosamente custodito nel mio cuore.

Sono passati quattro mesi da quella notte, Albus, e la sofferenza opprime sempre con maggiore forza il mio cuore.

Mi manca il tuo sorriso e ho bisogno dell'incoraggiante luce azzurra delle tue iridi.

Ma, soprattutto, ho bisogno di urlare il mio dolore, alto nel cielo: non riesco più a restare muto davanti a loro, che continuano a deriderti e a inneggiarmi quale tuo maledetto assassino.

La mia maschera si sta incrinando e non riesco più a trattenere le mie parole.

Aiutami, ti prego!

Non ho nemmeno più pietà di me

e non posso più esprimere il tormento del mio silenzio.

Tutte le parole che avevo da dire in stelle si sono mutate.[2]

La luna splende nel cielo trapunto di stelle, tranquilla regina della notte, ed io, avvolto nel nero mantello, osservo da lontano la tua bianca tomba sulla quale non ho mai potuto piangere.

Ricordo che, poco più di un anno fa, venivo su questa stessa collina, colmo d'angoscia, preoccupato perché non riuscivo a trovare il modo per salvarti dalla maledizione dell'anello dei Gaunt.

Anche allora la luna illuminava, fredda e indifferente, la mia disperazione e sembrava irridere ogni mio insuccesso, insensibile alle lacrime che velavano i miei profondi occhi neri, cerchiati dallo sgomento.

Poi fu la speranza a illuminare di nuova luce il mio sguardo, quasi oscurando la luna, ma fu storia breve.

Ancora le lacrime tornarono a bagnare le ciglia, nello sconforto della devastante consapevolezza che avrei dovuto ucciderti.

Mesi trascorsero così, immersi nel dolore più cupo.

E ancora continuo a soffrire, dopo aver obbedito all'ultimo tuo tremendo ordine.

O graziosa luna, io mi rammento

che, or volge l'anno, sovra questo colle

io veniva pien d'angoscia a rimirarti:

e tu pendevi allor su quella selva

siccome or fai, che tutta la rischiari.

Ma nebuloso e tremulo dal pianto

che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci

il tuo volto appariva, che travagliosa

era mia vita: ed è né cangia stile,

o mia diletta luna. E pur mi giova

la ricordanza, e il noverare l'etate

del mio dolore.[3]

Mi chiedo se sai davvero a quale tremenda esistenza mi hai condannato, se conosci il tormento infinito del mio cuore, se tutto ciò ha un senso, perché io, in questo momento, non riesco più a vederlo.

Sono come un guerriero sconfitto, prigioniero di una Maledizione che non avrei mai voluto pronunciare, carnefice e vittima di errori passati e atrocità presenti, condannato al duro esilio di un lungo e complesso dovere da compiere.

Ricordo quella notte, le due fatali parole e il tuo dolce sorriso: poi tutto si annebbia nell'orrore della mia nuova vita, mentre mi trascino su questa terra, oppresso dal rimorso, spinto avanti solo dal mio dovere, senza neppure più riuscire a scorgere la luce dell'impassibile luna.

Beato te che il fato

a viver non dannò tra tanto orrore.[4]

All'improvviso, spinta da un impulso inarrestabile, la mia mano corre alla bacchetta e mi trovo, senza neppure rendermene conto, ad evocare il mio nuovo Patronus: nel suo argenteo scintillio si libra davanti alla luna, quasi oscurandola.

Le ampie ali sostengono orgogliose il suo elegante corpo nell'aria e, per un istante, mi sembra perfino di intuire il guizzo del tuo sorriso nei suoi occhi lucenti.

Il mio Patronus esprime l'essenza del nostro rapporto, che certo non può indebolirsi solo perché non sei più accanto a me.

E' il mio profondo affetto di figlio, è il tuo amore generoso di padre, che sempre si rigenerano e splendono con novella forza.

E' il tuo luminoso aiuto, una corrente calda e invisibile che si diffonde in me e, per un incantato frammento di tempo, riesce ad allontanare la fredda solitudine delle tenebre.

Ancora sale potente nel cielo, più luminoso di qualsiasi stella, il mio Patronus!

Ed io sorrido, tra le lacrime della tua mancanza.

Il sapore di un addio non si cancella nella notte:

la luce che emanava dal tuo vivere con me s'eleva

a tessere un canto che sa di dolce nostalgia,

ma è nel potente avanzare del destino

che il mio passato rovente si rafforza ora,

e nel fluire via degli anni maledetti

il rimorso è la freccia che supererà le tenebre.

La tua silenziosa presenza sia l'invisibile sentiero

che possa condurmi al di là del male, e della mia coscienza.[5]

Era tardi e ormai avevano superato da un pezzo l'orario concesso agli studenti, ma con Hagrid le cose si erano fatte più lunghe del previsto. Per fortuna, Harry portava sempre con sé il Mantello dell'Invisibilità, così stavano procedendo insieme a fatica: erano costretti a restare chinati affinché il piedi non spuntassero dal Mantello. E tre paia di piedi, a zonzo per il parco dopo le dieci di sera, non erano una bella idea!

- Toglimi quel gomito dal fianco, Ron! – si lamentò Hermione.

- E tu sposta i capelli: mi pizzicano il naso!

- Zitti! – li redarguì Harry.

Continuarono a camminare in silenzio quando, all'improvviso, qualcosa di lucente entrò nel campo visivo di Harry: alzò lo sguardo per seguire il bagliore argenteo e, come fosse stato colpito da una scarica elettrica, si fermò di colpo, gli occhi spalancati e il braccio teso in alto a indicare agli altri ciò a cui non riusciva a credere.

Lamenti soffocati giunsero da Hermione, compressa contro la sua schiena per la spinta di Ron: poco mancò che rovinassero tutti a terra.

Il Mantello scivolò di lato, sollevato dal suo braccio, ancora rigidamente teso a indicare l'impossibile.

Il primo a parlare fu Ron, che diede in un grido strozzato:

- Ma quello è… è il Patronus di Silente!

- Zitto Ron! Non urlare! – lo redarguì subito Hermione afferrando il Mantello per un lembo e riportandolo sulle loro teste.

- Seguiamolo! – esclamò Harry scattando verso la foresta, incurante d'aver perso la protezione invisibile e d'averla tolta anche agli amici.

Hermione si ritrovò a correre con il Mantello in mano, presto superata da Ron che, grazie al vantaggio delle lunghe gambe, giunse per primo al limitare della Foresta Proibita.

- Come fai a sapere… che quello è il… Patronus di Silente? – domandò Hermione, ansimante per la corsa.

- Io… veramente non lo so. Ho solo pensato… che poteva esserlo!

Harry sorrise all'amico:

- Hai ragione, Ron: il Patronus di Silente è proprio una Fenice. Me l'ha detto lui l'anno scorso.

- Miseriaccia!

Hermione li stava guardando con un misto di nervosa condiscendenza.

Harry osservò l'argentea Fenice appollaiata sul ramo ad attenderli: era stato davvero Silente a inviarla? Com'era possibile, se era morto?

Hermione diede voce ai suoi dubbi.

- Harry?

Il ragazzo distolse lo sguardo dal sorprendente Patronus.

- Non può essere il Patronus di Silente! – scandì la ragazza con sicurezza.

- Perché no? – chiese Ron con irruenza.

- Perché Silente è morto quattro mesi fa. – rispose Hermione affranta.

- Ma…

- Harry, ragiona. – lo spronò. – Sei stato proprio tu a vedere Piton ucciderlo. L'hai forse dimenticato?

Hermione era crudele, perché Harry avrebbe tanto voluto dimenticare l'orribile scena.

- No, lo ricordo fin troppo bene. – rispose con calma minacciosa, l'astio nella voce. – Non potrò mai dimenticare quell'odioso assassino!

Si voltò verso l'incorporeo uccello, tendendo una mano: la Fenice si librò leggera nell'aria e si diresse verso il folto della Foresta.

Harry rimase indeciso solo per un istante, poi la seguì.

- No, Harry! – gridò Hermione. – Potrebbe essere una trappola!

Ma i due ragazzi si erano già lanciati all'inseguimento del Patronus e Hermione non poté far altro che seguirli.

Li raggiunse solo in una radura, dove l'argentea Fenice si era appollaiata su un basso ramo: sembra volere che i ragazzi restassero uniti, pronti a difendersi l'un l'altro dal pericolo nascosto nella Foresta.

Hermione ansimava per la corsa e si comprimeva il petto con la mano:

- Harry, cerca di capire: se non è Silente a mandarla, deve per forza essere una trappola! – esclamò piegandosi in avanti, la mano premuta sulla milza dolorante.

Ron si guardò intorno preoccupato ed esclamò con voce flebile:

- Pensi davvero che sia una trappola, Hermione?

Dalla punta della bacchetta della ragazza scaturì una rassicurante luce, ma così non furono le sue parole:

- E' molto probabile, Ron. Avanti, usate il cervello. – continuò, ancora con il fiato corto, dandosi un'occhiata preoccupata alle spalle, verso le mille ombre della Foresta. – Silente è morto, quindi non può più inviare alcun Patronus. Ma davanti a noi c'è quello che Harry dice fosse il suo Patronus.

I due ragazzi la stavano guardando, attendendo spiegazioni.

Hermione sbuffò, saccente:

- Quindi è qualcun altro che lo ha inviato: quello è un falso Patronus, creato per attirarci in trappola. Infatti siamo finiti, di notte, in mezzo alla Foresta Proibita.

Harry alzò le spalle:

- Siamo già stati altre volte nella Foresta di notte. Non siamo più bambini: non ho paura!

Guardò Ron in cerca di approvazione: l'espressione dell'amico non mostrava altrettanto coraggio.

- Harry, forse Hermione ha ragione.

- Certo che ho ragione! – esclamò la ragazza. – Ora dobbiamo solo pensare chi può conoscere il Patronus di Silente e cercare di usarlo per carpire la nostra fiducia.

I due ragazzi si guardarono increduli: Harry fece per avvicinarsi guardingo all'incorporea Fenice, per esaminarla più da vicino, ma questa si levò di nuovo nell'aria, sottraendosi alla verifica.

- Ecco, vedi? – incalzò Hermione, trionfante.

- Inoltre, perché non parla? – insinuò ancora. – Basterebbe una sola parola per convincerci: conosciamo benissimo la voce di Silente.

La Fenice sembrava attendere, sospesa nell'aria, che i ragazzi la seguissero, ma nessuno si mosse, bloccati dai ragionevoli sospetti di Hermione.

Infine Harry sbottò.

- Va bene, Silente è morto. Ma questo non è un buon motivo per cui non possa sempre essere il suo vero Patronus.

- Prego?

L'evidente nota di incredulità della voce di Hermione innervosì Harry.

- Ora stammi tu ad ascoltare. – disse con decisone. – Piton ha ammazzato Silente ed io l'ho visto con i miei occhi. – Si fermò un istante a prendere aria, nella mente ancora vivida l'immagine dell'assassino del preside, il volto pallido deformato dall'odio. – Ma tutti abbiamo assistito al suo strano funerale, quando la salma ha preso fuoco da sola e poi è comparsa la Tomba Bianca.

Harry fissava l'amica, stizzosamente muta.

- Io… io ho avuto l'impressione che dalle volute del fumo del rogo… una Fenice si alzasse in volo!

Ron spalancò gli occhi:

- Cosa intendi dire?

- Le Fenici rinascono dalle proprie ceneri… - buttò lì Harry.

Hermione lo fulminò, ma Ron esplose:

- Hai ragione, Harry! Silente e Fanny avevano un rapporto speciale!

I fulmini dagli occhi di Hermione aumentarono d'intensità, ma Ron proseguì:

- Forse Silente era un Animago che si trasformava in Fenice… oppure era lui stesso una Fenice! – Ron si rivolse espressamente a Harry. – Silente era molto vecchio, anche per un mago, Harry. Non è possibile che…

- Ronald Weasley, smetti di blaterare sciocchezze!

Ron guardò Hermione come se si trattasse della propria madre.

- Non c'è modo di ritornare dalla morte. – sospirò la ragazza. – Nessun modo. Neppure nel mondo magico.

Gli occhi erano lucidi di lacrime, mentre fissava l'amico.

- Mi dispiace, Harry.

Ma il ragazzo non voleva cedere, non intendeva soffocare la piccola favilla di speranza che si era appena accesa nel cuore.

- "Per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura.": queste parole me le ha dette Silente anni fa.

Il viso di Ron sembrava aggrappato alla promessa di quelle parole dai mille significati.

Hermione scrollò di nuovo il capo:

- Cerca di essere ragionevole, Harry, per favore: Silente è morto. E' un dato di fatto innegabile.

- Quello è il suo Patronus! – rispose di rimando, rigido in volto. – Un altro incontrovertibile fatto!

- No! Quello è ciò che qualcuno vuole farti credere. E ho anche una precisa idea di chi sia!

Harry la guardò sospettoso, mentre Ron strabuzzava gli occhi, mormorando:

- Chi pensi che sia?

- Piton!

- Piton? – sbottò Harry.

- Sì! Lui senza dubbio conosceva il Patronus di Silente: è un mago potente, conosce mille sortilegi che noi neppure sappiamo esistere. E' un Mangiamorte ed è ragionevole che possa voler attirarti in una trappola.

- Ottimo! – esclamò Harry. – Se quel finto Patronus può condurmi da Piton, allora lo seguirò molto volentieri: non vedo l'ora di incontrare di nuovo quel codardo traditore!

- E' un mago potente, Harry. – ripeté costernata la ragazza. – Non hai alcuna speranza di batterlo! – aggiunse, spaventata dalla sua combattiva espressione. – Tu stesso hai raccontato che quella notte avrebbe potuto ucciderti, se solo lo avesse voluto!

- Voldemort è molto più potente di Piton, eppure non è ancora riuscito a uccidermi!

Ron annuì con vigore.

Harry voltò le spalle agli amici e riprese a correre seguendo la Fenice, cercando di zittire la vocina che insisteva a ricordargli quanto fosse sempre stato innegabilmente fortunato in tutti gli scontri con Lord Voldemort.

Quando Hermione li raggiunse, i ragazzi erano di fianco al Patronus, posato indolente su un grosso masso piatto. Il grande uccello sembrò fissarla con intensità per un attimo, infastidito dal suo ritardato arrivo, poi si sollevò in aria e svanì in un argenteo scintillio.

Ron ridacchiò:

- Sembra proprio che tu le sia antipatica: mi sa che non ha gradito le tue insinuazioni.

- Zitto, Ron: guarda! – esclamò Hermione indicando il masso da cui la Fenice si era appena sollevata.

La punta della sua bacchetta illuminò una piccola pergamena, arrotolata stretta e fermata da un sottile nastrino rosso e oro.

Harry allungò la mano per prenderla, ma Hermione gridò:

- No! Potrebbe contenere una maledizione!

Ron sbuffò:

- E' solo un innocuo pezzo di pergamena: non so se hai notato, Hermione, ma quelli sono proprio i colori di Grifondoro!

- Già, Piton non li userebbe mai! – affermò Harry, immaginando l'espressione schifata del Capocasa Serpeverde nel maneggiare quei colori.

- Lo farebbe, invece, se volesse indurti in inganno!

Lo sguardo che i ragazzi si scambiarono fu più eloquente di mille parole: quando Hermione si intestardiva su una questione, diventava insopportabile.

Nel frattempo la ragazza si era avvicinata alla pergamena e stava facendo strani movimenti con la bacchetta, borbottando complessi incantesimi:

- Specialis revelio! Protego horribilis! Salvio hexia! Repello veneficium! - ogni volta dandole un lieve colpetto, ma nulla accadde e il piccolo rotolo rimase, inerme e immobile, sull'avvallamento del masso, senza neppure sprizzare una minuscola scintilla

- Allora, sei soddisfatta? Posso prenderla, adesso, prima che tu la faccia a pezzi? – chiese Harry brusco.

Hermione si ritrasse di malavoglia e il ragazzo sfilò il nastrino dagli amati colori, srotolando la piccola pergamena: la ben conosciuta, stretta calligrafia obliqua del preside riempiva ordinatamente la pagina.

- E' proprio di Silente! – esclamò Harry, colmo di felice entusiasmo.

Gli altri si accalcarono alle spalle per leggere il breve messaggio, tramite il quale il vecchio preside indicava loro quale antico libro cercare nel suo studio, contenente le informazioni per distruggere gli Horcrux.

- Allora? – Harry apostrofò Hermione. – Visto che non era una trappola?

Hermione non sembrava convinta, ma il fatto che la pergamena rinviasse la soluzione a un rassicurante libro suonava positivo. Harry era certo che avrebbe presto imparato a memoria anche la più piccola nota del vecchio tomo, per quanto voluminoso potesse essere.

- Ho cercato quel testo in tutta la biblioteca, anche nel Reparto Proibito. Ho persino provato a richiamarlo con l'Incantesimo d'Appello, ma non c'è stato nulla da fare! – disse Hermione tra sé e sé. – Sono arrivata fino al punto di chiederlo alla McGranitt… e il suo sguardo faceva paura, mentre mi rispondeva. – scrollò la testa. – E invece era nello studio di Silente!

- Ma se quello era il Patronus di Silente, allora…

Ron non completò la frase: incontrò il trionfante sorriso di Harry, mentre sollevava raggiante il nastrino di Grifondoro per mostrarlo ancora una volta a Hermione.

Ma la ragazza li lasciò a bocca aperta.

- Silente non ci ha mandato quel Patronus per il semplice e definitivo motivo che è morto. – ribadì con desolata sicurezza. – Se quello fosse stato il suo Patronus, perché ci ha condotto alla pergamena? Avrebbe potuto darci direttamente il messaggio a voce: non è così che funziona il metodo di comunicazione dell'Ordine? Conosciamo bene la voce di Silente: non avremmo mai potuto sbagliarci.

I due amici la ascoltavano con frustrata ammirazione.

- D'altro canto, non esiste alcun incantesimo che possa averci ingannato e quello doveva veramente essere un Patronus! – mormorò Hermione, sempre più cupa e preoccupata. - Silente ha adottato quel particolare metodo per comunicare proprio perché il Patronus di un mago non è in alcun modo falsificabile.

- Ma se anche non è stato Silente a mandarlo, - la interruppe Ron, ritrovando infine la parola, per quanto deluso dal dover di nuovo accettare l'ineluttabilità della morte del preside. – comunque si tratta di qualcuno che sta dalla nostra parte!

Hermione annuì grave e l'ammissione sembrò bruciarle parecchio: qualcosa la rodeva.

- Harry, devi parlarne con Lupin: lui conosce tutti i Patronus dei membri dell'Ordine e forse può aiutarci.

Ma la ragazza non ascoltò neppure la risposta di Harry: era sicura che nessun membro dell'Ordine avesse una Fenice come Patronus e, del resto, chi l'aveva inviata non solo stava fornendo un inestimabile aiuto, ma, soprattutto, dimostrava di conoscere la loro segretissima missione.

Chi poteva essere?

Non sapeva perché, ma non riusciva a smettere di pensare a Piton: Harry aveva raccontato che Silente quella notte voleva che lui andasse a chiamarlo e gli raccontasse tutto.

Ma tutto cosa?

Il preside voleva solo che Piton gli preparasse un antidoto per il veleno bevuto nella caverna o voleva che Harry gli raccontasse anche dell'Horcrux recuperato? Che poi era un falso, mentre quello vero era saltato fuori per caso un paio di mesi dopo a Grimmauld Place, secondo lei proprio dalle mani di Kreacher, che aveva all'improvviso smesso di cercare di arraffare i cimeli della casata.

Eppure c'era qualcosa che non quadrava nei fatti e nelle informazioni a sua disposizione.

Il Patronus di Silente era una Fenice.

Piton aveva ucciso Silente, che era indubbiamente morto.

Quello che era stato il Patronus del preside li stava aiutando.

I Patronus possono cambiare a seguito di forti shock emotivi: rammentava che Lupin lo aveva spiegato loro proprio l'anno prima.

A lei l'assassinio sembrava uno shock emotivo fortissimo: ma lo era anche per un uomo gelido e controllato come Piton? Un uomo che sembrava non provare né emozioni né sentimenti e che aveva ucciso Silente a sangue freddo, nel modo terribile narrato da Harry?

Il Patronus era rimasto ostinatamente muto, senza rivelare la persona che lo aveva inviato.

L'anno prima, durante le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure, Piton aveva mostrato loro altri metodi per sconfiggere i Dissennatori, probabilmente quelli usati dai Mangiamorte, che però non le erano parsi altrettanto validi. Del resto, anche se sembrava strano che un uomo come Piton potesse avere pensieri abbastanza felici per evocare un Patronus, doveva comunque possederli, considerato che anche lui, come gli altri membri dell'Ordine, usava quel metodo per comunicare in segreto con gli altri.

Questo, però, significava che tutti conoscevano il Patronus di Piton.

A meno che fosse cambiato dopo l'assassinio di Silente.

Ma se Piton era un Mangiamorte e aveva ucciso Silente, perché avrebbe dovuto aiutarli a distruggere gli Horcrux del suo padrone?

E, soprattutto, per quale incomprensibile motivo il Patronus di Piton adesso sarebbe dovuto diventare proprio una Fenice?

La voce insistente di Ron interruppe il filo di pensieri che non approdava a nulla di ragionevole.

- Hermione, allora, arrivi?

Gli amici la stavano aspettando impazienti sotto il Mantello per tornare alla scuola: era quasi mezzanotte.


[1] Questa frase in realtà è stata detta a Harry da Silente in "Harry Potter e il prigioniero di Azkaban".

[2] Guillaume Apollinaire – Dalla raccolta "Alcool": tratto da "Il fidanzamento".

[3] Giacomo Leopardi – Tratto da: "Alla luna"

[4] Giacomo Leopardi – Tratto da: "Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze"

[5] Earendil