Grazie dei commentia Ericka Larios, Cla1969, MariaGpe22, Kecs, Eydie Chong, Mary Silenciosa, Charlotte, Dany Cornwell: ebbene sì, Ethan è mulatto, quindi anche il bambino lo è: lo avevo volutamente nascosto. La verità sulla paternità è definitivamente svelata e Lilian non potrà più nuocere. Ciononostante, la sua morte prematura mi pare vi abbia scosso: considerate che, come ha detto qualcuna di voi, nella sua sofferenza stava cominciando a vedere uno spiraglio grazie ad Albert, ma era un amore del tutto impossibile... Sono lieta di cogliere dell'empatia verso Lilian. Di certo, Margaret non ha fatto molto per rendere sua figlia una donna migliore, assecondandola nei suoi torbidi piani e crescendola con idee sbagliate. E se Candy alla fine si ritrova nell'occhio del ciclone ma non troppo, Ethan... che fine ha fatto? Che succederà ora ad Albert, che vuole proteggere il bambino, e a Candy?

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"Tutte le donne devono lottare con la morte per tenere i loro figli.

La morte, essendo senza figli, vuole i nostri."
(OSCAR WILDE)

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L'oscurità della notte

Ore 23,00

Walker sapeva di non avere un buon odore, perché si era praticamente infilato il cappotto sulla tuta con la quale si stava allenando nel pomeriggio per andare a parlare con Margaret Moore senza neanche fare la doccia.

Però, dal momento in cui aveva visto la donna precipitarsi dentro l'ospedale, aveva avuto la certezza che sua figlia fosse lì e la conferma era arrivata dai giornalisti che avevano cominciato ad assieparsi davanti ai cancelli del Central Hospital.

Appoggiato al muro a fumare la sua pipa, ne aveva appena sentito uno dire che forse stava per nascere l'erede degli Ardlay e per poco non gli era caduta dalla bocca: la nascita non era prevista di lì a circa due mesi?

È tutto molto strano...

Soffiando fuori una nuvola di fumo, cercando di muoversi passeggiando un po' per non congelare, Walker seguì ancora una volta il proprio istinto che gli gridava che forse quella era l'ennesima conferma alla sua teoria.

Che Lilian Rousseau fosse incinta prima di sposarsi non era un segreto per nessuno, ma da quanto tempo? E come aveva convinto il patriarca degli Ardlay che il bambino fosse suo? Non sapeva come, ma era certo che la verità stesse per venire a galla e la bomba sulla famiglia più in vista di Chicago per detonare con potenza inaudita.

C'erano tre giornalisti che fumavano volgari sigarette a poca distanza da lui, strofinandosi di tanto in tanto le mani e scattando qualche foto all'ospedale, forse cercando di imbastire un articolo per la mattina dopo se non avessero avuto notizie più fresche a breve.

"Pensi che il bambino sia prematuro? Doveva nascere a gennaio...", stava dicendo un ragazzo avvolto in una grossa sciarpa bianca al collega accanto a sé.

"Può darsi che si sia solo sentita male. L'autista degli Ardlay non si è sbottonato e nemmeno quello della madre della signora, che ha parcheggiato più giù", rispose accennando con il mento.

Lui aveva proseguito per un po', lasciando la propria auto in un luogo diverso e tornando indietro a piedi, senza dare nell'occhio. Parlare con Margaret era qualcosa che era passato in secondo piano, ora gli premeva di più cercare di capire cosa stesse accadendo alla futura matriarca per avere un quadro completo e tirare le somme.

Il cerchio si stava stringendo su quello che poteva diventare lo scandalo del decennio.

Le voci concitate dei giornalisti gli indicarono che qualcuno stava uscendo dai cancelli e non si trattava dell'ennesimo visitatore tardivo. Con discrezione, Walker si portò di fronte all'entrata, scrutando nella luce dei lampioni lungo il vialetto e vide avanzare una figura china, mesta, che sembrava trascinarsi per un mero sforzo di volontà.

Aggrottando le sopracciglia e restringendo le palpebre, tentò di metterla a fuoco e comprese che si trattava proprio di Margaret. In apparenza sembrava cercare qualcuno e, quando i giornalisti le si avvicinarono, non parve vederli. Era come un'apparizione inavvicinabile e per qualche istante Walker ebbe l'assurda idea che non fosse reale. Ma lo era e stava puntando proprio lui, dopo averlo infine individuato. Forse si era resa conto che l'aveva seguita fin lì...

Il brivido gelido che gli attraversò la schiena non aveva nulla a che vedere con la temperatura di quella notte: anche se era ancora a una certa distanza da lui, Walker vide la morte nei suoi occhi e trattenne il respiro.

Gli si avvicinò a passi lenti ma inesorabili, facendogli correre altri brividi lungo il corpo. Ma rimase ritto, in attesa, mentre gli autisti delle due famiglie uscivano dalle rispettive auto per cercare di bloccare i giornalisti insistenti che parevano avere solo domande indiscrete per quella signora evidentemente distrutta.

Sua figlia sta male? Il bambino è nato morto? Dov'è William Ardlay, perché non esce?

Anche lui aveva le medesime domande che gli risuonavano in testa, più altre che non poteva esprimere ad alta voce in quella strada. Ma fu in religioso silenzio che accolse la sua domanda, fatta con un filo di voce: "Lui dov'è?".

Se non fosse che l'aveva vista tante volte, avrebbe detto che quel volto scavato dalle lacrime, che pareva invecchiato di colpo di dieci anni, non appartenesse a Margaret Rousseau, ma a una qualche derelitta con una malattia terminale.

"Signora Moore", cominciò quasi volesse essere più che sicuro della sua identità.

"Dove si trova?!", disse con voce più dura, tenendo i denti stretti come se temesse di far uscire il veleno assieme alle parole.

"Si trova in uno scantinato della West Avenue, ma è una zona molto pericolosa di notte, perché molti delinquenti si riuniscono nell'ex locanda in disuso. Sarò lieto di accompagnarla personalmente io domattina se...".

La donna abbassò lo sguardo, strinse le palpebre e altre lacrime caddero sul cappotto rosso mattone: "Avrei dovuto dirle prima quanto l'amavo, ora non potrò più".

E si allontanò, mentre la conferma che Lilian, la giovane matriarca che non era divenuta tale, era appena venuta a mancare arrivava a lui prima ancora che i giornalisti lo venissero a sapere.

Walker aveva dovuto cercare figli e mariti che poi aveva appurato essere passati a miglior vita; era stato costretto a interrompere le ricerche perché chi gliele aveva commissionate era morto improvvisamente. Ma quel caso, così complicato e pieno di implicazioni enormi, lo stava toccando come pochi.

Mentre vedeva la schiena curva della donna che si allontanava verso la sua auto come una signora anziana cui non era neanche riuscito a esprimere le proprie condoglianze, desiderò d'improvviso che al suo ritorno ci fosse qualcuno ad attenderlo a casa. Una moglie, un figlio, anche solo un cane che scodinzolasse per lui o un gatto che l'accogliesse con un miagolio. Ma sapere che lo aspettava una stanza fredda equivaleva a trasmettergli tutto il gelo e l'enormità della giovane morte di cui aveva appena saputo.

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Frank era rimasto accanto al corpo inerte di sua figlia col capo chino per un tempo indefinibile. Un'ora? Un giorno? Un anno? La stanza si era svuotata. Un'infermiera alla volta e se n'era andato persino l'altro medico che, mentre lui ancora tentava di rianimare Lilian, gli aveva detto di smetterla, che non c'era nulla da fare. E ne aveva decretato la morte.

Lo aveva quasi aggredito, come fosse colpa sua che non fossero riusciti a trattenere in quel corpo inerme la vita assieme al sangue che era uscito copioso fino a ucciderla, prima ancora che potessero portare a termine l'operazione o attaccare un'altra sacca di sangue.

A malapena aveva sopportato le grida di Margaret, guardandola senza vederla mentre gli urlava in faccia che non era stato in grado di salvare la sua stessa figlia e si accasciava fra le braccia di un collega mormorando il nome della ragazza su cui aveva pianto straziata fino a pochi attimi prima.

La sua mente si rifiutava di accettare il semplice fatto che aveva appena scoperto la verità solo per perdere tutto in una manciata di minuti: l'attimo frenetico in cui l'incisione avveniva, diminuendo l'emorragia principale ma finendo di sfinire un organismo già compromesso e provato da un parto difficile.

Frank volse un poco il capo, terrorizzato all'idea di guardarla come se quel semplice gesto avrebbe potuto sancire l'evidenza in maniera definitiva.

Eppure, Lilian sembrava dormire.

Se non fosse stato per il pallore innaturale e l'immobilità assoluta del petto, avrebbe potuto quasi dire che riposasse. Sognando un amore impossibile, sognando il suo bambino, sognando la ricchezza che l'aveva portata a comportarsi in un modo così assurdo da farlo praticamente fuggire da Chicago.

E ora non c'era più nulla da cui fuggire, solo l'ineluttabilità di un finale orrendo che non rendeva giustizia a nessuno. Non a Margaret, che non sapeva se fosse ancora svenuta in una delle stanze vicine; non a William Ardlay, tra le cui braccia era stato portato un bambino non suo; non a Candice White, che si era ritrovata a dare la tragica notizia al suo ex tutore; e non a Lilian, che aveva perso la vita dando alla luce un figlio orfano di madre e forse anche di padre, visto che non aveva idea di dove fosse e che vita facesse di preciso.

E quel finale non rendeva giustizia nemmeno a lui, che aveva cercato disperatamente di rifuggire un destino che non credeva appartenergli, prima di rendersi conto che era stato suo fin dall'inizio.

Si alzò dalla sedia e posò una mano sulla guancia già fredda di Lilian: poco prima di morire, lo aveva chiamato papà. Ripensarci gli apriva una voragine nel petto. Sarebbe stata la prima e ultima volta che lo avrebbe fatto e non sapeva nemmeno se davvero lo avesse riconosciuto o se sognasse Alain nel suo delirio.

"Figlia mia... la mia piccola... testarda ragazza...". Mentre perdeva la lotta contro le lacrime e i singhiozzi, si rese conto che qualcuno era alla porta e lo aveva sentito. Tuttavia, non gliene importava nulla, perché ormai la verità era venuta a galla e William Ardlay, con una dignità e un'eleganza che non credeva potesse ancora possedere, gli andò incontro senza dire una parola.

Avrebbe potuto gridare, indignato, che era stato ingannato. Avrebbe potuto accusarlo e persino colpirlo per essere stato parte di quel complotto. Avrebbe potuto già essersene andato abbandonando lì quel bambino mulatto che non era certo il suo e che ora riposava con una balia e delle infermiere.

Invece era lì e gli stava ponendo una mano confortante sulla spalla: non capì se fu perché pensava ancora che fosse lo zio di Lilian o perché avesse sentito che era suo padre. Ma sentì il rispetto verso di lui aumentare a dismisura quando alzò gli occhi su sua moglie, guardandola con qualcosa che sfiorava la tristezza.

"Avrei voluto amarla come avrebbe voluto e mi dispiace molto non esserci riuscito. Ma lei di certo comprende le mie ragioni", cominciò sfiorandole una mano con la propria e poi prendendola. "Tuttavia, non ho mai pensato, neanche per un istante, che finisse così". La voce si spezzò e lo vide deglutire. "Ora avrei dovuto trovarmi in un'altra stanza a litigare con lei, magari chiedendole spiegazioni e alzando la voce mentre Lilian sarebbe stata in reparto ad allattare il piccolo Ethan. Forse mi starei scervellando, cercando di capire se Ethan era davvero il nome che voleva dare al bambino o quello del suo amante. Ma sa una cosa?". In quegli occhi sinceri e lucidi, Frank vide se stesso e si vergognò. "Ora vedo solo una donna giovane, morta prematuramente mentre cercava di far nascere suo figlio. E nonostante mi sia capitato altre volte di vedere cose simili in Africa, oggi sento che è una sconfitta peggiore, perché magari avrei potuto contribuire a far finire questa storia in modo diverso".

Gli occhi di Frank andarono alla mano sulla quale William stava facendo scorrere, forse distrattamente, il proprio pollice, tenendola come dubitava avesse mai fatto mentre era viva.

Si schiarì la voce, passandosi il dorso della mano sulle guance bagnate: "Pur se si dice spesso che il benessere della gestante e del bambino dipende anche da una gravidanza serena, mi creda se le dico, come medico, che ho visto donne vissute negli stenti partorire bambini sani e tornare alle loro vite dopo alcuni giorni come se nulla fosse. Lilian ha vissuto una gravidanza serena con tutti gli agi e una tranquillità che molte le invidierebbero. Non si prenda responsabilità che non ha... non più".

Quell'ultima aggiunta gli sgorgò dal cuore e Frank seppe che avrebbe portato domande cui non avrebbe avuto la forza di rispondere. Ma, contro ogni sua aspettativa, William continuò a tenere la mano alla donna che gli aveva cambiato e forse rovinato la vita, carezzandola con devozione e tenerezza: "C'erano volte in cui credevo che sarebbe stato impossibile, per me, starle accanto un giorno di più. Ma adesso... vorrei che avessimo parlato più a lungo, evitando i silenzi e le incomprensioni".

Di nuovo, l'uomo sembrava addossarsi responsabilità che forse neanche gli competevano.

"Ero io che avrei dovuto starle più vicino", mormorò guardandola di nuovo. Le ciglia lunghe, castane come quelle di sua madre, gettavano una lunga ombra sulle gote terree. "Ero così... concentrato su me stesso e sulla mia carriera che non ho pensato per un momento che lei...".

...che potesse essere mia figlia. E come avrei potuto immaginarlo? Margaret era sposata con un altro uomo e io non ero che il suo amante. Non ho mai preso in reale considerazione che Lilian... la mia Lilian...

Quelle parole non dette, che stavano per diventare una confessione inopportuna a un uomo che avrebbe solo dovuto disprezzarlo e invece stava facendo tutto tranne quello, ebbero il potere di aprire di più la voragine nel proprio cuore.

E in quella voragine c'era finalmente l'accettazione della verità.

Sua figlia, la sua unica figlia di cui aveva appena scoperto l'esistenza, era morta. E nessuno gliel'avrebbe mai restituita.

L'ultima volta che aveva pianto doveva avere avuto poco più di vent'anni e sua madre era appena morta. Nessuno lo aveva consolato, perché era solo al mondo e confinato in una clinica sconosciuta dove stava prestando servizio per fare il proprio tirocinio.

Quella notte, invece, mentre singhiozzava miseramente davanti al corpo di Lilian, sentì a lungo la mano confortante dell'uomo che aveva contribuito a ingannare e si sentì poco più di un derelitto.

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Margaret udiva delle voci intorno a sé, ma era certa che non fossero importanti. Non poteva esserlo quella del medico che tentava di trascinarla via a forza dal corpo gelido della sua bambina mentre lei si aggrappava alle coperte; non poteva esserlo quella di Frank che le rispondeva qualcosa dopo che lei gli aveva chiesto perché, perché non avesse salvato sua figlia, il sangue del suo sangue; non potevano esserlo nemmeno quelle delle infermiere che le chiedevano dove andasse, da sola, quando aveva appena ripreso i sensi.

Vado dalla mia piccola Lilian. Lei mi aspetta a casa per avere il bacio della buonanotte.

Non era stato certo determinante il chiacchiericcio dei giornalisti che cercavano di farle domande senza senso e senza cuore dopo che aveva deliberatamente ignorato il richiamo lontano di William Ardlay, che pareva in preda a un lieve panico vedendola allontanarsi.

Però aveva memorizzato l'informazione importante che riguardava il luogo in cui il padre di quel bambino, da cui aveva ereditato il colore della pelle, si trovava quella notte. Sapeva che era importante, che le sarebbe servito a breve. E sapeva che si sarebbe dovuta occupare presto anche dell'altro padre, quello ormai conscio della verità, prima che troncasse di netto ciò per cui Lilian aveva lottato fino a morire.

Ma non ora.

Ora doveva andare dalla bimba appena nata che l'attendeva nella stanza, chiusa in un vecchio armadio, forse piena di polvere. L'avrebbe fatta rivivere con il suo amore perché era davvero identica a Lilian. E, come lei, aveva bisogno di essere cullata e stretta fra le braccia. Le parve quasi di sentirla piangere, mentre le passava il braccio sinistro dietro al vestitino di cotone leggero, un po' liso dal tempo,

Alain l'aveva regalata a Lilian per il suo primo compleanno, diceva che le somigliava tanto...

e col destro le carezzava le guance bianche

come quelle di mia figlia in quel letto di ospedale

come porcellana.

"Sssst, non piangere, amore mio, la mamma è con te. La mamma sarà sempre con te e ti proteggerà dal mondo intero", mormorò sedendo sul letto con lei tra le braccia. Le lacrime cadevano sul visino immobile e senza vita e il movimento leggero del corpo mentre la cullava non sembrava aiutarla ad addormentarsi. "La mia Lilian, la mia piccola Lilian è tornata da me".

Decisa a darle tutto il proprio amore, Margaret cantò per lei, con la voce spezzata dal pianto, inzuppando di lacrime l'abitino e i capelli castani di stoppa legati in due code. Cantò per la sua unica figlia una ninna nanna che non le cantava da tempo, perché era ora che dormisse, che riposasse. Un giorno sarebbe sorto di nuovo il sole a illuminarle gli occhi nocciola. Ma ora era il tempo della nanna, della dolcezza, dell'amore materno.

Ci avrebbe pensato lei a sistemare le cose per la sua piccola.

Avrebbe eliminato dal mondo tutti quelli che le avevano fatto del male e che l'avevano fatta soffrire. Intanto, si dedicava a cullarla e a cantare per lei. Dolcemente, senza fretta.

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Albert congedò l'autista, che era riuscito a malapena a porgergli delle condoglianze sincere, e aprì personalmente la porta di casa dalla quale, solo poche ore prima, era uscito con Lilian.

Il mio diario era a terra, in pezzi. E sul pavimento le tracce di sangue si saranno ormai asciugate.

Sulla poltrona dell'ampio ingresso, Georges sedeva col capo reclinato da un lato, forse in attesa del suo ritorno nonostante la notte ormai alta. Dormiva profondamente, di certo era crollato ore prima. Quella vista lo fece sorridere di gratitudine e commozione e tentò di fare meno rumore possibile per non svegliarlo, anche se era certo che non stesse affatto comodo.

Lilian deve aver letto quelle pagine e provato rabbia, gelosia, dolore...

Tuttavia, il buon uomo sbatté le palpebre e lo mise a fuoco quasi subito, alzandosi in piedi lentamente per andargli incontro mentre lui riponeva il cappotto sull'appendiabiti alla sua destra.

Non ci fu bisogno di parlare, perché pensava di avere scritta in volto tutta la devastazione di un uomo che, pur non avendola mai amata, aveva appena perso una moglie che aveva messo al mondo un bambino. Era certo che i suoi lineamenti sfiniti e contratti gli comunicassero bene quanto fosse costernato e incredulo di fronte a un finale inaspettato, ingiusto e fin troppo crudele.

La comprensione calò sul volto composto dell'uomo che aveva visto colmo di emozione quando era tornato a casa dopo due anni di assenza e Albert cercò di spiegargli, con una voce roca che riconobbe a malapena come la propria: "Ho dovuto... firmare dei documenti, con i quali prendo il bambino sotto la mia tutela. Non crederesti a quante scartoffie deve fare fronte un povero vedovo per dimostrare che vuole essere padre anche se... se...".

Anche se il bambino non è evidentemente il suo. Anche se la moglie è morta senza che abbia potuto salutarla o darle un ultimo addio, fosse anche la promessa di prendersi cura di lui. Anche se ha dovuto ignorare che l'altra, quella che davvero avrebbe voluto al suo fianco, era stata così discreta che ne aveva appena colto il rammarico sincero prima di perderla di vista.

Incapace di dire quelle parole, Albert si passò le dita tra i capelli, avvertendo l'ondata di emozioni violente troppo a lungo represse travolgerlo come un'onda anomala, esacerbata da una morte che lo stava colpendo più di quello che avrebbe mai creduto possibile.

Aveva solo ventitré anni. Ed era appena diventata madre.

Non seppe se fu per quella consapevolezza, nuda e cruda, o per l'insieme di tutti gli eventi condensati in una sorta di pugno implacabile al petto che, alla fine, scoppiò in singhiozzi come un bambino.

E, come un bambino, lasciò che Georges lo consolasse come mesi prima aveva fatto la zia Elroy, abbracciandolo e lasciando che piangesse amaramente sulla sua spalla. Si aggrappò al suo amico, a suo padre, a suo fratello.

Pianse, Albert, pianse per Lilian, per Candy, per la zia Elroy, per se stesso e per quel bambino che non avrebbe mai conosciuto la sua mamma.