I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!
Nascondi ciò che sono
e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni
William Shakespeare
La dodicesima notte
Guilty
"Svegliati! Prego...svegliati!".
Argo scrollò il corpo appesantito dal sonno marcio, abbarbicato alle palpebre solo da qualche ora, velo pesante a chiudere la luce, distogliere la mente dal lavorio estenuante su ciò ch'era accaduto, e semmai vi sarebbe stato modo d'arrestare il corso degli eventi.
Ma se una qualche soluzione si sarebbe potuta praticare sfruttando qualche appiglio, qualche circostanza, qualche legge, finanche l'antica stima verso la famiglia Jarjayes, nulla si sarebbe potuto contro l'ostinazione di un'idea. La maledetta intenzione di André Grandier di divenire un altro, un altro ancora da chi era stato prima di lasciare la Francia e di chi era divenuto in terra americana. Un uomo che rinnegava tutto ciò che era stato stato, seppure solo all'apparenza, perchè nel fondo del cuore nulla in lui è mutato.
Il marchio del reietto non gli si addiceva, la stigma del dannato nemmeno.
E quando anche lo fosse stato...
"Come devo chiamarti!?" – blaterò il bambino – "Però svegliati!".
"Che cosa c'è?" – chiese Oscar, uno sbadiglio storto, gli arti rattrappiti ad abbracciarsi, la coscienza in lotta per non cedere al tragico sonno.
"Come devo chiamarti? Adesso intendo? Qui siamo in Francia! Madame? Monsieur? Dimmelo!?".
"Oscar..."– disse l'altra, occhi chiusi, spaventata dal brusco risveglio – "Lo sai come mi chiamo!".
"Svegliati Oscar!" – che il moccioso indiano lo sapeva come si chiamava l'altra, ma gli necessitava forse d'appellarla diretto, senza fronzoli, così che la paura venisse elevata dritta dritta al cuore, sul filo del nome gridato a gran voce – "Devi alzarti...se ne vanno!".
"Chi se ne va?" – di scatto, gli occhi spalancati al soffitto grigio e sbrecciato.
"Stanno preparando la carrozza...quella nera. C'è solo quella. André...dove lo portano?".
"Dannazione!".
I passi corsero giù dalla scala, il corpo innervato di rabbia per l'ennesimo furto al proprio tempo, al proprio ruolo.
Tutto scivolava via...
Si sentì perduta, incastrata nell'antico disegno ideato per costringere la sua vita all'obbedienza, mentre lei sentiva l'istinto incredulo della dannazione sorgere dalle viscere e gridare d'attendere, tornare indietro.
L'alba fumosa avvolgeva lo schieramento di soldati, anche quelli un poco assonnati.
Alain Soisson sollevò appena lo sguardo dal fondo del bavero del giaccone che copriva le spalle.
Dante Renard interpellò Gustav Dumas, un borbottio di stanco disgusto, che nemmeno quand'erano in guerra erano stati costretti a certe levatacce.
Marcel Duval si fregava le mani una sull'altra, alitandoci sopra.
Tutti restarono in silenzio, gli occhi calati sul Tenente Victor Girodel, teso, alla testa del drappello che sarebbe ripartito di lì a breve.
"Perchè stai partendo?" – schioccò Oscar incredula e frastornata, piantandosi davanti al cavallo dell'ufficiale, feroce perché messa da parte – "Così presto?"
"Ho deciso così! Voglio arrivare prima possibile a Parigi. Non voglio correre altri rischi".
"Hi..." – sghignazzò Marcel – "Gli è sfuggito dalle mani talmente tante volte, il soldato triste, che adesso lo potremmo pure appellare il disertore indiano, che il bel tenente francese non vorrà neppure immaginarsi che quello potrebbe scappargli ancora".
"E come farebbe?" – rimbeccò Dante – "Non vedi ch'è guardato a vista nemmeno fosse un regicida?!".
"Non fuggirà!" – sentenziò Alain, la voce insolitamente calma seppure come incrinata da una sorta di sorda delusione, come se in fondo lui ci avesse sperato fino all'ultimo che André Grandier fosse davvero un disertore, un ladro, un assassino e infine un donnaiolo.
Relegato a feccia della peggior specie, dunque specialmente d'ammirare.
Che si sa, i demoni sono sempre più affascinanti degli eroi.
No, André Grandier non era nulla di tutto ciò, e allora l'insofferenza era salita al pari della realtà smaltata di puro splendore, ancora più fonda e lieve e sorprendente, sorta dinnanzi alla coscienza, certamente in nulla demoniaca per come se l'era immaginata il soldato francese.
Quale maschera avrebbe indossato André Grandier per distogliere da sé l'amore di una donna come Oscar François de Jarjayes?
Se nessuna di quelle che s'era messo sulla faccia era servita?
Quella non aveva desistito...
Cos'altro avrebbe escogitato per renderla di nuovo libera?
"E tu come lo sai?" – domandò Marcel.
"Lo so" – concluse Alain, spronando il cavallo, come a staccarsi dall'idiozia dei compari – "Lo so e basta".
E' inevitabile...
André non potrebbe mai fuggire da se stesso...
"Che cosa temi!?" – ruggì Oscar, il respiro secco, l'eloquio frastornato...
Victor Girodel scese da cavallo.
Si scansò, senza avvicinarsi all'altra, che fu lei dunque a doversi avviare e seguirlo.
"Sono un ufficiale di Sua Maestà Re Luigi XVI, come lo sei tu. Ho un compito da svolgere".
"Portarlo a Parigi...ebbene...non è neppure l'alba...".
"Voglio fare in fretta".
Deglutì Oscar intuendo il progressivo scollamento tra il proprio destino e quello di André.
André era vivo certo ma era come se stesse morendo, ora dopo ora.
Il suo André...
"André Grandier è un soldato" – disse Girodel freddo – "Ed è un plebeo. Non vi sarà mai legge o grazia al mondo che potrà renderlo diverso da ciò che è! Nemmeno se un giorno divenisse nobile. Non lo sarebbe come lo siamo io e te ma...".
"Sarebbe colpevole dunque perchè plebeo!? Stai sfidando l'autorità di Sua Maestà!" – ribatté Oscar – "Hai già emesso la tua sentenza?".
"No, ma farò di tutto perchè la giustizia della Francia compia il suo corso. Sarà la Francia a decidere se ciò che ha fatto André Grandier sia giusto o no! Anche se sai bene che...".
"Questo lo abbiamo già stabilito!".
"Sai bene che ciò che si dice abbia fatto non pare soltanto un sospetto!".
Oscar strinse i pugni.
Il sospetto era la più debole delle accuse e la più fonda delle sentenze.
E il peggio era che nessuno avrebbe aiutato André a dissolvere i sospetti da sé, perché nemmeno lui lo voleva.
"Ebbene...non sono io ad aver deciso di partire all'alba!" – sferzò Girodel.
La chiosa ammutolì.
"E' stato lui a insistere d'essere condotto a Parigi. Forse per lasciarsi alle spalle questo disgraziato passato che ha marcito la sua coscienza".
"Lui...".
Istante dopo istante, atto dopo atto, la rappresentazione volgeva giù al baratro dell'ignominia mescolata al vuoto greve dell'assenza.
Non vi era possibilità di fermare la rovinosa caduta.
Lo sguardo si scostò, per piantarsi al profilo scuro della berlina nera.
André era là dentro, soltanto un asse di massiccio mogano li divideva, eppure pareva più spesso dello spessore muto dei vent'anni che li aveva uniti e al tempo stesso divisi.
"Dunque..." – balbettò Oscar.
Victor respirò a fondo, come per scovare le parole adatte - "Se non altro in questo frangente dimostra d'avere il coraggio delle sue azioni. Non si sottrarrà al suo destino e questo, devo ammetterlo, gli fa onore. Un altro uomo al suo posto avrebbe predicato la propria innocenza, avrebbe fatto di tutto per scansare da sé l'onta della colpevolezza, lo scenario nero d'una condanna. Avrebbe invocato d'esser servo d'una nobile famiglia, di non avere colpe se non quella d'aver agito da codardo. E infine persino d'aver conosciuto il Re di Francia e che il Re di Francia è un uomo buono, che mai oserebbe privarlo della sua disgraziata esistenza!".
"Parli già come se fosse tutto deciso..." – replicò Oscar, che però non stava parlando con Victor ma con André, anche se lui non era lì. Gli stava domandando, muta, perchè stesse facendo di tutto per separarsi da lei.
Un moto di rabbia...
L'orgoglio via via scalfitto da minuscoli colpi, uno dopo l'altro, cesellati e inflitti dalla sapiente mano d'un grande scultore che aveva studiato a lungo l'informe pezzo di marmo e già ne aveva tratto, nei lunghi mesi invernali trascorsi, l'abbozzo d'una veste, un panneggio appena accennato, uno sguardo assente ma lì lì per svelarsi.
Ma poi no, adesso s'era come messo d'impegno a cambiarne fattezza, dunque a scavarci dentro, per trarne la più sublime delle statue, la più raffinata e veritiera delle immagini, distaccata e gelida, drammatica e contorta, una sorta di essere divino che ascendeva al cielo.
Colpo dopo colpo, lei stessa diveniva pietra, sublime e immobile.
Vacillò, indietreggiò.
"Oscar..." – ammise piano Girodel avvicinandosi – "Non permetterò che gli accada nulla di male, nulla che non sia stabilito da un atto di giustizia. So che tieni a lui...ma lui...".
"Va!" – gelido – "Va pure...portalo dove ha chiesto...a Parigi...dove..." – quasi distrutta.
"Penso che verrà condotto a Saint Lazare..." – spiegò Victor.
Oscar sussultò – "Come...perchè? Come lo sai? Dovresti portarlo a Palais de Justice...".
"No!".
"Perchè?" – spietato – "Che significa?".
"Devo andare ora...".
"Victor...".
"Mi spiace...".
L'appiglio…
Saint Lazare…
Oscar osservò la carrozza partire, mentre il cuore ondeggiava tra lo strazio e la rabbia, la gola asciutta si ritrovò annegata da lacrime aride, pensieri erranti, gesti interrotti.
§§§
Intuiva la severa recisione.
Di nuovo.
André era vivo, questa era l'unica certezza, ma era quasi peggio di quando non sapeva se lo fosse.
Il dubbio può essere colmato da mille congetture?
La certezza può essere riempita da mille dubbi?
Ascoltava se stessa, la continua caduta dei sensi entro la visione dell'altro, addosso, piano e lieve e poi intenso e quasi abbandonato.
Sussurravano i muscoli al tenero ricordo dei muscoli lisci, vicini, quasi parte stessa di sé.
Lui lo era diventato in fondo.
Era inutile domandarsi perchè André aveva rifiutato di restarle accanto, aveva rigettato indietro l'immaginario aiuto che lei avrebbe potuto offrire.
André la stava proteggendo da ciò che era accaduto, da tutto ciò che lui era stato un tempo e che aveva tentato di allontanare da sé, lasciando la Francia, ancor prima che divenire liberi entro quel preciso meandro di tempo, entro i confini di una terra selvaggia e senza regole che mai più sarebbe potuta essere la loro terra.
A quale storia appartenevano?
Di certo non a quella che avevano vissuto in quella terra e in quel tempo.
La loro storia, per quanto scritta entro mille rivoli d'inchiostro o da mille menti sopraffine e con mille parole tenere o sprezzanti, sarebbe stata sempre la stessa.
Una storia scritta per essere vissuta altrove.
Comprese chi era.
Lei era Oscar François de Jarjayes e per quanto avesse detto e fatto e pianto e ostentato, quella sarebbe stata l'unica parte che avrebbe mai potuto recitare.
Comica o tragica, quella sarebbe stata la sua vita.
André non avrebbe mai potuto sottrarsi alla sua vita.
André era lo stesso André Grandier di un tempo.
Come ricacciarlo entro quell'amore senza speranza?
E lei…
Lei era Oscar François de Jarjayes.
La Oscar di un tempo.
Per farlo, per restare amanti, avrebbero dovuto separarsi.
Il cuore implose...
Separarsi...
Salvarlo...
Lo sguardo si chiuse.
Non udì che vaghi rumori provenire dalle cucine, poco distanti, rimescolare di pentole, ordini veloci per preparare le camere degli ospiti e poi il desinare, e c'era d'avvertire il padrone e madame...
Si ritrovò seduta a terra, esausta, l'unico conforto il marchio lieve impresso addosso dall'abbraccio di nanny che era corsa giù dallo scalone non appena aveva intravisto i cavalieri entrare nello stradello che conduceva alla casa.
Non aveva badato alle buone maniere, nanny, e l'aveva abbracciata.
Le era sembrata come rimpicciolita, l'anziana governante, incredula e stravolta di veder tornare la sua bambina.
Sola...
S'era chinata Oscar, l'aveva sussurrato all'orecchio, come fosse stato il loro segreto, una sorta di filo invisibile che le aveva unite e le avrebbe sempre unite.
La pelle giovane e liscia s'era strusciata contro quella un poco ruvida, rugosa dell'altra.
Oscar non sapeva neppure se nel frattempo erano giunte altre lettere.
La messinscena doveva essersi interrotta prima o poi e lei non era certa di quanto sapesse nanny.
André è vivo…
Detto piano, che nanny aveva respirato, parimenti, piano, come se l'aria finalmente fosse tornata a gonfiare il petto e i muscoli ad abbandonarsi alla commozione.
Seduta a terra, gli occhi chiusi, lì, i sensi ricolmi dei sentori della camera vuota, i mobili di un tempo, l'aria fresca che entrava dalle persiane aperte, nella testa le domande commosse della vecchia balia.
Dove si trova? E' ancora in viaggio?
E' tornato, è qui, in Francia. E' a Parigi. Ma per ora non potrai vederlo.
E' un soldato... – aveva ammesso nanny come per scusare l'altro, come a confermare l'ovvia impossibilità di vedere il nipote.
Sì! E' un soldato...
Il respiro sospeso di entrambe.
Nanny l'aveva guardata e lei aveva ammesso che in fondo era vero.
André era effettivamente ancora un soldato, seppure adesso forse rinchiuso a Saint Lazare.
Perchè Saint Lazare?
Se l'era chiesto Oscar…
Almeno non era l'Abbey o la Bastiglia, cattedrali tetre e scure, muri freddi, celle sporche.
Solo quelli che potevano pagare si permettevano qualche prelibatezza e uno o addirittura due occhi chiusi da parte delle guardie, sul via vai di mogli, amanti, figli, sorelle che riecheggiava nelle ore del giorno, quasi come si fossi stati a Les Halles, che tanto gli affari si facevano anche così, per dar ristoro ai prigionieri, in attesa di conoscere della propria sorte.
Perchè Saint Lazare?
Che non era propriamente un carcere ma un edificio dove venivano richiusi i bari, i giovani di buona famiglia che sperperavano ricchezze, i prodighi, i...
Pazzi!?
Oscar sapeva che André non avrebbe mai accettato il suo aiuto.
Victor le aveva assicurato che avrebbe fatto di tutto per intercedere per André.
André era davvero pazzo?
Victor...
Un'anima tormentata, ch'era divenuta grigia, quasi trasparente, da quando aveva perduto lo sfolgorante e oscuro abbraccio della giovane amante.
Victor...
Che l'amava, nonostante tutto, nonostante lei non l'amasse.
Che avrebbe tirato fuori dal fango André Grandier pur di vederla in pace con se stessa e così anche lei, fuori dal fango di un amore impossibile.
L'aveva salutato a Brest, l'aveva visto allontanarsi, fuggire via nella luce nera della sera, che di nuovo minacciava pioggia.
Victor si sarebbe accertato che André non sarebbe stato ridotto in catene.
Fino a quel punto...
Il cuore sobbalzò.
André le parlava, persino attraverso Victor Girodel.
Le parlava, anche se lui non era lì.
André la accudiva, persino attraverso Victor Girodel.
La accudiva, anche se non era lì.
André l'amava, anche se non l'avrebbe amata più.
Si alzò da terra nell'udire il chiavistello della porta schioccare.
Argo entrò, lo sguardo quasi lucido mentre a passi ampi pareva quasi misurare la strana configurazione d'una stanza vera, che lui aveva sempre vissuto in tende, baracche, edifici bassi e larghi e infine nel ventre d'una nave.
"Questa sarà la tua stanza. D'ora in avanti dormirai qui" – Oscar s'era rifugiata lì, nella stanza di André, come d'istinto, come a scrollarsi di dosso l'assenza dell'altro, anche se André non era lì.
Ma André era vivo e allora quella stanza non pareva più così vuota.
"Va bene...mademoiselle...".
Lo sguardo stupito – "Da quando adesso sarei mademoiselle!?".
"Oh...perdonate...madame di là...mi ha detto di chiamarvi così!".
"Ebbene...madame di là ha ragione. Ma io preferisco essere chiamata Oscar. O preferiresti che ti chiamassi Monsieur...Argo?".
Uno sbruffo, una mezza risata di compatimento...
"Monsieur Argo!?" – che il bambino strabuzzò gli occhi.
"Se preferisci?!.
"Io...nooo!" – si schernì l'altro – "Madame di là...mi ha detto che questa è la stanza di André. Quando tornerà...io non potrò restare qui".
"Intanto...madame di là si chiama Madame Glacé ma secondo me se glielo chiedi apprezzerà d'essere chiamata nanny".
"Nanny? Che nome sarebbe?".
"E sia. E quando André tornerà..." - le parole sospese…
Quando sarebbe tornato...
Il pensiero fondo della separazione era nulla a confronto della recisione delle menti e delle anime.
Forse si amavano ma non avevano trovato la stessa via entro cui amarsi, alla stessa maniera.
Per farlo, per restare amanti, avrebbero dovuto separarsi.
Batteva il cuore...
Batteva la lingua...
Dita e braccia...
"Quando tornerà, decideremo allora dove potrai stare. Questa casa è abbastanza grande e c'è posto per tutti!".
"Resterà anche Madame Roma?".
"Per qualche tempo, fino a quando la sua casa non sarà in ordine".
Argo si sedette sul letto. Si lasciò cadere all'indietro, ritrovandosi quasi affondato nella coltre di coperte.
"E' diverso...".
"Sì, lo immagino".
"Quando potrò vedere André?".
"Anch'io vorrei vederlo. Dovrò stare via qualche giorno. Quando tornerò, andremo assieme a Parigi".
"Dove...andrai?".
"Devo andare a porgere i miei saluti a Sua Maestà...la Regina di Francia...".
"Oh...una regina? In Francia avete le regine? In America non ci sono regine. C'era Shani però...che era come una regina" - lo sguardo si rabbuiò al ricordo dell'anziana trucidata dai miliziani, il pensiero subito scacciato dalla curiosità innocente e salvifica - "E com'è? Dove vive?".
Oscar si avviò verso la porta.
"Non lontano da qui...un giorno...magari ti porterò con me".
"Iooo?" – Argo sgranò lo sguardo, ritrovandosi di colpo quasi sull'attenti – "Potrò davvero venire a vedere la tua regina? E allora le posso chiedere di vedere André? Sai, era Shani che decideva se qualcuno di noi non si era comportato bene. E lo faceva per tutti noi. E' così anche per la tua regina?".
La mia regina...
Oscar rammentò che un tempo Maria Antonietta era stata la sua regina.
In fondo lo era ancora, seppure una sorta di ancestrale distacco pareva aver fatto breccia tra le viscere.
Rammentò la lettera da consegnare a Sua Maestà da parte del Conte di Fersen.
Tutto pareva lontano e come frantumato.
Lei era Oscar François de Jarjayes.
Sarebbe mai riuscita a tornare a essere la Oscar François de Jarjayes di un tempo?
Lo voleva...
Le pareva di indossare una sorta di maschera...
Avrebbe potuto chiedere a Sua Maestà di intercedere per André.
La mano scorse alla maniglia della porta.
Tutto era mutato attorno a sé, lei aveva sfiorato quella maniglia così tante volte, aveva aperto quella porta così tante volte.
Tutto le rammentava André, l'André di un tempo.
S'immaginò che sarebbe accaduto se il suo André fosse davvero tornato in quella casa.
Chi era divenuto André?
Scacciò dalla mente il terribile pensiero.
Un sospetto alle volte è sufficiente per togliere la libertà a un suddito.
Non solo la libertà.
Ma era solo un sospetto.
S'accorse d'essere osservata.
Madame Aleksandra Roma Lemonde era stata accompagnata nella sua stanza e dopo essersi rinfrescata e cambiata d'abito pareva ora una donna quasi simile alle dame che frequentavano una qualsiasi reggia o una casa nobile della migliore aristocrazia di Parigi.
L'abito non era forse d'una foggia all'ultima moda ma cadeva sulla figura fasciando il corpo entro un panneggio asciutto e suadente, mentre i capelli ormai bianchi erano stati acconciati in maniera semplice e lunghe ciocche argentate abbellivano le spalle acute e aperte, rimarcando la posa per nulla dimessa della donna.
"Madame...".
Rise Roma, una mano a schernirsi, a scostare una ciocca con la sapienza d'una volpe che scarta a nascondersi, attendendo il passaggio della preda - "Non sia mai! Un abito non fa di me una dama! Semmai...debbo complimentarmi per la vostra casa! Un gusto sobrio ed elegante. Questi marmi e i dipinti...".
Oscar fece strada, l'invito ad accomodarsi nel salotto ove si ricevevano i personaggi in visita alla famiglia Jarjayes.
Roma trattenne il respiro alla visione d'un quadro che abbelliva il lato sinistro della stanza, poco distante da un mobile ove troneggiava un enorme vaso di trionfanti rose vermiglie, riposte con orchestrata cura.
Il quadro raffigurava una donna.
Roma si avvicinò, le mani giunte si strinsero a stringere il dannato passato, assieme alla dannata stoffa del vestito così avulso dalla vita vissuta.
"E'..." – accennò Oscar.
"Tua madre, Madame Marguerite Jarjayes!" – la prevenne l'altra fissa al dipinto della dama raffigurata in posa seduta, le mani conserte in grembo – "Georgette...".
Lo sguardo s'aprì.
Nessuno aveva mai chiamato sua madre con quel nome, anche se quello era il primo nome di sua madre, che lei usava quand'era giovane.
"Sì, hai una buona capacità di osservazione" – ammise Oscar andando con lo sguardo al volto della donna in posa – "Mi hanno raccontato che questo dipinto è stato realizzato quando mia madre attendeva me".
"Dunque...ventisette anni fa?".
Oscar annuì, l'istinto di nuovo dettò sorpresa nell'apprendere la capacità di Madame Roma di realizzare velocemente i collegamenti tra gli eventi.
Anche se in realtà lei sapeva poco della dama francese, di certo era ormai noto ch'ella fosse capace di ordire tessiture spesse e complesse e difficilmente le sfuggivano i particolari di una certa vicenda.
"Spero di avere l'onore di conoscerla".
"Si trova accanto a Sua Maestà adesso. Domani dovrò recarmi in visita alla regina per conferire con lei. Spero di incontrare mia madre e se potrà torneremo assieme così...".
Roma si voltò.
"E tuo padre?" – la domanda eruppe diretta e chiara...
"Mio padre...mi hanno detto che si trova fuori Parigi. E stato inviato un messo per informarlo del mio ritorno. Dubito che potrà abbandonare i suoi impegni ma spero di rivederlo presto".
Roma scorse al volto dell'ospite, indugiando sulle impercettibili espressioni che accompagnavano la memoria della madre e del padre.
Vi lesse affetto, ammirazione, forse amore, seppure sapientemente nascosto entro gesti misurati e parole lievi e un orgoglio che imponeva d'essere severamente distaccati.
§§§
L'anticamera durò poco tempo.
Come quando era partita, le formalità presso la residenza de Le Petit Trianon erano di certo ridotte, i tempi accorciati, l'etichetta messa da parte.
Oscar scorse Madame Royale venirle incontro.
La bambina stava per compiere quattro anni, di certo s'era dimenticata chi fosse l'altra e dunque, un poco intimorita, in disparte, attese di scorgere i gesti di maman, come a sincerarsi che maman si fidava e dunque anche lei avrebbe potuto avvicinarsi.
Maria Antonietta allungò le mani tese, in attesa che l'ospite a sua volta gliele stringesse, entrambe, entro un contatto discreto e informale, cortese ma intenso.
"Maestà...".
"State bene...Oscar...".
"Sì...".
Commossa per aver ritrovato un volto amico, le parole come sospese in cerca della giusta declinazione, un misto di riconoscenza per via che l'altra era salva, e per via che forse recava qualche buona novella, Maria Antonietta presentò l'ospite alla figlioletta.
E poi fu la volta del piccolo Louis Joseph, ch'era invece ancora in fasce e dormiva beato infagottato nelle braccia della nutrice.
Nonostante avesse di fronte il Delfino di Francia, il futuro re, il viso tondo e paffuto, la pelle rosata e morbida, rammentarono la placida innocenza del neonato indiano.
Il cuore s'adagiò al ricordo, alla speranza muta che l'altro, ormai disperso entro terre lontane, si fosse salvato.
Silenzio...
Maria Antonietta non osava fiatare.
La sospensione del respiro, forse dettata dallo svolgersi della nuova vita che aveva finalmente concesso un poco di pace all'animo tormentato, era palpabile, come se, nonostante il quotidiano scorrere tra gli impegni di moglie e di madre, il cuore fosse comunque là, allo stato di grazia impresso ad esso dall'amore, alla vertigine silenziosa che si animava in un palpito più fondo degli altri.
Oscar s'immaginò che nemmeno la regina avesse avuto altre notizie.
Ma quando anche le avesse avute...
Annuì.
"Dunque è vivo?" – domandò la regina per sincerarsi.
"Sì...questa è...da parte sua".
Maria Antonietta prese la lettera. Le dita tremavano, guardò Oscar, come a interrogarla, se quella busta provenisse davvero dal Conte di Fersen.
Annuì Oscar di nuovo, lasciando il piccolo involucro nelle mani della regina, memore delle parole ch'erano state riservate a lei, dallo stesso Fersen.
Ma chère Mademoiselle Oscar
Se leggerai queste righe, ciò significherà che sei ancora viva e che il Tenente Victor Girodel ha avuto la meglio sull'avverso destino che ci ha separato…
Sei salva dunque e allora vorrei che fossi tu a ricambiare l'affetto che Maria ha tenuto per sé per tutti questi anni.
Vorrei che tu le recapitassi la lettera che ho racchiuso in questa busta.
Ultimamente le battaglie non mi hanno consentito di scriverle spesso.
Ho a cuore la sua immensa preoccupazione per il mio destino.
Vorrei che lei sapesse che non l'ho mai dimenticata ma che adesso sono felice che la vita le abbia regalato i suoi figli.
E vorrei che sapesse che io sono felice.
Ti chiedo di essere tu stessa a portarle questo messaggio.
Nella speranza di rivederti al più presto.
Hans Axel von Fersen
Oscar indietreggiò come a consentire all'altra di restare sola, non tanto con se stessa, quanto con il tempo della riunione con l'anima dell'altro, che adesso il conte aveva ammesso di amare la Regina Maria Antonietta forse di un amore ancora più intenso e vero e fondo di quello che invoca per sé tutto dell'altro.
I sensi ondeggiarono.
Ora comprendeva...
E al tempo stesso si ritrovava inspiegabilmente a disprezzare tale amore.
Forse a disprezzare se stessa, perchè lei non ammetteva d'essere capace di amare a quel modo, distante, in solitudine.
Prese per mano Madame Royale e la condusse fuori della stanza e la bambina tenne stretta le dita dell'ospite, guardandola dal basso in alto, estasiata dalla figura così diversa da tutti coloro che frequentavano il piccolo palazzo.
Mentre la osservava correre dietro ad una palla di pezza, Oscar scorse allo scenario intensamente pieno e soave della stagione che volgeva al mutamento della sua fine, l'aria carica dei profumi di una terra ormai stanca, ferocemente ripiegata su se stessa, quasi sul punto d'abbandonare lo squarcio di giorni luminosi e pieni, per calarsi nella pacata morte dell'autunno e infin nella teca ghiacciata dell'inverno.
Si massaggiò le tempie, un respiro fondo.
Si ritrovò stremata, incredula d'essere incapace di trovare una soluzione.
Senza respiro, immaginando non tanto che non vi fosse una soluzione, una strada...
Quanto che la soluzione fosse una soltanto.
Chi era divenuta lei e chi era divenuto André?
Se non avesse compreso tutto questo, qualsiasi strada sarebbe stata impraticabile e indecifrabile.
§§§
Lo sguardo s'aprì, le tempie dolenti al martellare incessante del cuore, il sudore che inondava la camicia, il buio a colmare i sensi, i muscoli ferocemente intarsiati dalle mani di André, intessuti di costante premura, presente, intensamente devota al suo piacere.
Chi era divenuta lei?
Chi era diventato André?
In quale storia sarebbero mai riusciti a sopravvivere?
I pensieri s'affollarono.
La promessa di ritornare presto per farle visita.
Le mani congiunte a salutarsi, lo sguardo commosso di Maria Antonietta e poi un'occhiata alle dame ch'erano rimaste un poco indietro, in attesa che la regina concludesse il colloquio con quell'ufficiale ch'era giunto in visita.
Poche elette, fortunate amiche ammesse a partecipare alla vita ritirata e finalmente libera da impegni della regina a Le Petit Trianon, giardinetti ameni e ben curati, abiti sobri, quasi camiciole da notte, ampie e leggere, per liberare i passi leggeri entro sentierini istoriati.
Forse erano proprio quelli a cui aveva accennato Madame Roma.
Roseti, ortensie, gardenie, camelie...
Altalene, siepi, laghetti, orti...
Un tripudio variopinto di colori, riquadri pittoreschi, fogge scintillanti, a regalare respiri silenziosi e intrecci di note d'arpa o violino.
Tutto pur di rifuggire alla serrata etichetta di corte, alle udienze con lamentosi nobili alle prese con diatribe su terre, cavalli, pozzi, vigne, tasse.
Tutto pur d'acquietare la smania del cuore che non trovava pace e forse non l'avrebbe trovata mai, perché anche Maria Antonietta doveva aver compreso che forse il cuore non cerca un luogo ove acquietarsi ma soltanto un tempo ove riposare dall'incessante scorrere della vita.
Un istante che vale un abbraccio, una parola sincera, un silenzio colmo di spessa gratitudine.
Anche se nulla e nessuno avrebbero mai potuto mutare né l'esistenza, né il destino.
Gli sguardi delle dame l'avevano scrutata e lei aveva squadrato le altre, un poco di sfuggita, riservando una sorta di compatimento alle vuote esistenze, l'unico scopo quello di mantenersi entro la devota luce benefica dell'amicizia di Sua Maestà.
Ma chi avrebbe difeso la regina dall'incessante bisogno di regalie, concessioni, reciproche alleanze, ripicche, svenimenti, sguardi affranti, elemosine, complimenti, poesiole, recite goffe, chiarori di candelabri, dolcetti al liquore, omaggi e coltelli?!
Chi avrebbe aperto gli occhi di Maria Antonietta di fronte al silenzioso franare della terra sotto i piedi, che avrebbe trascinato con sé ogni filo d'erba ben curato, ogni goccia d'acqua trasparente, ogni belato di agnello, e infine le stesse movenze aggraziate d'una giovane donna ch'era prigioniera forse non tanto inconsapevolmente d'una vita divina che però nessun dio aveva mai concesso e che parimenti nessun dio avrebbe mai protetto e benedetto?!
Anche sua madre, Madame Georgette Marguerite Jarjayes, era lì, era riuscita a scorgere il suo sguardo, grato d'esser – la figlia - viva e grato – la madre – d'esser ancora in grado di tenere il respiro, per via che l'altra era viva.
Madame Marguerite – Georgette- Oscar rammentò di colpo, il nome antico sgusciato dalla bocca di Madame Roma, declinato con una punta di sarcastico sale, l'aveva accolta con un sorriso lieve, l'aveva abbracciata, stringendola a sé, anche se ormai la figlia la superava in altezza.
Mani nelle mani, era accaduto di rado, che Marguerite indugiasse a restare sulla figlia, persino accarezzarle i capelli, come fatto di rado quand'era più piccola, e scrutarla come a tentare di leggerle nello sguardo e persino in fondo all'animo
Le chiedeva se stava bene, se il viaggio l'avesse in qualche modo segnata, così come il tempo lontano dalla propria casa può segnare un essere umano e soprattutto una donna.
Oscar si era sottratta, s'era schermita, non era il momento adatto, non era il luogo più indicato, nella testa rotolavano e martellavano le congetture sulla sorte di André.
Aveva stabilito di tenere per sé ciò che era accaduto.
Quel tempo era suo, soltanto suo.
Quel tempo e i gesti che l'avevano riempito erano a mala pena compresi da lei...
Chi altri mai avrebbe potuto accettare ciò che era stato?
L'augurio di ritrovarsi al più presto a casa...
Lo sguardo al soffitto.
Il cuore in gola...
Le mani chiuse nelle mani mentre il petto tratteneva respiri freddi.
Doveva alzarsi...
Doveva muoversi...
Doveva...
La fitta agli occhi sgranati ferì i sensi, ch'era già giorno ormai, ma lei non se n'era accorta, forse il sonno era rimasto incastrato entro pensieri erranti, sogni spezzati, illusioni marce.
Stavolta il tramestio dabbasso si rivelò consistente e intenso, segno che la casa s'animava davvero di ospiti e padroni, dame di compagnia e attendenti.
Di solito, il trambusto precedeva la partenza di suo padre oppure il ritorno.
Lo scarrocciare delle ruote sul selciato che conduceva alla casa indusse a contare almeno quattro carrozze.
Forse anche le sue sorelle erano giunte per riabbracciarla.
Una devozione inopportuna. Non c'era tempo.
I sospetti diventano condanne se non si trova modo di scostarli da sé al più presto.
Si precipitò nel salottino che il padre utilizzava come proprio studio.
Non c'era tempo, era dannatamente vero, ma le persone che erano già nella stanza catturarono i sensi, come fossero stati davvero effigi scolpite in marmo pregiato e lo spettatore fosse stato rapito dalla tensione fredda che innervava il vortice fermo dei corpi, equidistanti ma quasi legati e attratti da una misteriosa ed ancestrale forza.
Il Generale Jarjayes era seduto, la faccia all'ospite ch'era già entrata, avendo di poco preceduto la figlia, come se, sapendo che la figlia aveva urgenza di vedere il padre, l'ospite si fosse messa d'impegno a rubare quel momento, a rubare il tempo che non c'era.
Madame Marguerite Jarjayes parimenti era di poco scostata, in piedi, osservava Madame Roma che era lì, in piedi, mani conserte, a omaggiare in silenzio i gentili ospiti per intercessione della figlia che le aveva risparmiato di ritrovarsi in una casa ormai chiusa da tempo e di certo priva di tutte le agiatezze indispensabili a una dama del suo rango.
Oscar non aveva nemmeno bussato, era entrata e si era ritrovata di fronte le tre figure.
Suo padre, notoriamente severo e sprezzante delle maniere eccessivamente affettuose con cui di solito si soleva accogliere gli ospiti, pareva inchiodato alla sedia, la faccia alla faccia dell'ospite, il corpo irrigidito, l'incarnato pallido.
Sua madre era immobile, semplicemente in attesa d'una qualche presentazione.
Madame Roma attese qualche istante, sincerandosi che Oscar fosse entrata.
Non si curò delle formalità, allungò le braccia come ad attendere il reciproco gesto di Madame Marguerite.
V'era necessità di comprendere se la moglie del Generale Jarjayes sapesse chi era lei, se Augustin fosse stato sincero con la giovane donna che aveva incontrato nel Ducato di Lorena e le avesse detto che prima di lei, c'era stata una dama che si era illusa di sposarlo.
E soprattutto che lo amava.
Marguerite pareva sorpresa.
Intuì che l'altra fosse una persona conosciuta ma di ella, lei non sapeva nulla.
Dapprima ossequiò l'ospite con un sorriso e poi colse la stretta delle mani che sentì chiudersi e restare sulle proprie.
"Madame Jarjayes..." – esordì Roma entusiasta – "Non vedevo l'ora di fare la vostra conoscenza...".
Il Generale Jarjayes rimase zitto, non comprendeva dove volesse arrivare l'altra.
Non aveva mai raccontato nulla alla futura moglie per il semplice motivo che non c'era nulla da raccontare.
Nessun fidanzamento era stato rescisso o rotto perchè non c'era mai stato nessun fidanzamento da decidere o rompere tra sé e Madame Aleksandra Roma.
Eppure non le aveva raccontato nulla lo stesso, come se ciò che non c'era mai stato avesse avuto comunque un suo peso, il peso d'una colpa mai scontata.
Attese, il respiro sospeso, il sospetto d'una qualche ripicca, la mente a scavare nei dannati giorni perduti.
Aleksandra Roma era rimasta immobile, come impietrita, il giorno in cui lui le aveva annunciato il fidanzamento con Madame Georgette Marguerite Laborde, di ritorno dalla sua ambasciata presso il Ducato di Lorena.
Il volto bianco, l'espressione quasi impassibile della giovane dama, si erano d'improvviso oscurati, come se una sorta di corvo malefico si fosse appollaiato poco lontano in attesa di prendere a beccate quell'amore morente, anzi, mai nato.
Augustin si era inginocchiato, aveva ammesso d'averla forse illusa ma d'essere certo di non aver mai pronunciato parole compromettenti, di non aver mai ecceduto oltre ciò ch'era stato un sincero affetto e una amorevole devozione all'intelligenza e all'allegria dell'altra.
Roma aveva annuito, poi si era alzata, gli aveva preso la mano destra e l'aveva baciata.
Augustin si era ritratto, non aveva accettato d'illuderla di nuovo, di scambiare quel gesto per il riconoscimento di altro che non fosse dedizione e bene puro.
Erano trascorsi ormai trent'anni.
Aleksandra Roma era ancora bella seppure di una bellezza un poco sfiorita, come quelle rose che resistono per giorni alla calura estiva, imbevendosi per sopravvivere della nebbiosa rugiada del mattino. Ma alla fine cedono e i petali a poco a poco ingialliscono e scivolano via, come lacrime istoriate dal profumo della morte.
"Ero ansiosa di ringraziarvi per l'ospitalità che vostra figlia mi ha concesso. Una giovane sorprendente e per questo immagino cresciuta in maniera altrettanto generosa".
"Madame..." – Marguerite era intimorita e al tempo stesso incuriosita dal personaggio – "Siete la benvenuta...sarà un onore per noi avervi come ospite...".
Il respiro sospeso, lo sguardo malva chiaro si scostò a quello marino e scuro del Generale Jarjayes.
Un lampo...
Il generale si alzò per omaggiare l'ospite.
Roma trattenne le mani di Marguerite.
Sapeva che l'uomo non l'avrebbe mai degnata di un contatto.
La messinscena proseguì.
Aleksandra Roma sorrise, un cenno del capo, a rivelare superiorità nel fatto di conoscere già Augustin Reynier de Jarjayes, mescolata alla constatazione che l'uomo non aveva detto nulla alla moglie, non le aveva mai parlato di lei, non gliel'aveva mai descritta.
Dunque Marguerite nulla sapeva di lei, né chi fosse, che chi era stata.
E lei dunque non avrebbe tradito quella mancanza, avrebbe giocato a carte scoperte, svelando di sé solo ciò che sarebbe stato necessario sapere, proteggendo quel gretto silenzio come il bene più prezioso, un bene puro ch'era soltanto suo e di Augustin, immaginandosi che anche Augustin a quel punto non avrebbe tradito se stesso, non avrebbe ammesso, lui stesso, di conoscerla e neppure avrebbe rivelato chi lei era stata un tempo.
Jarjayes ricambiò il saluto.
Oscar scorse il lieve nervosismo del padre.
Però lei non aveva tempo, non c'era tempo.
"Perdonate, padre...dovrei parlarvi...".
"Sì, come stai?" – severo, Jarjayes scostò lo sguardo volgendolo alla figlia, scorrendo a lei, indagandola, di nuovo, com'era sempre stato quando intervenivano scambi alla pari.
Non dunque tra padre e figlia ma tra un generale ed il Colonnello della Guardia Reale del Re di Francia.
Eppure nello sguardo scorse una sorta d'incredula commozione, uno scarto dettato dal cuore che balzava libero alla certezza che la figlia era viva.
Era ciò che bastava.
"Venite...Madame Lemonde" – Marguerite invitò l'ospite a seguirla – "Sapete, mio marito ha sempre molti impegni e come vedete la maggior parte hanno a che fare con il suo ruolo".
"Che immagino crei preoccupazioni e affanni al padre così come alla figlia!?" – replicò l'altra sorniona – "L'ho conosciuta...un'eccellente comandante!".
Marguerite mantenne un sorriso sobrio, corse con gli occhi alla figlia.
Forse non si sarebbe rassegnata mai a sentirla appellata a quel modo ma così dettavano le regole di quella storia.
"Mi hanno accennato ai vostri giardini" – s'affrettò a domandare Roma.
"Certo, gradite visitarli?".
"Ma si capisce! La mia povera magione sarà di certo invasa da edere velenose, rampicanti d'ogni genere. Mi premeva ingaggiare un buon giardiniere e anche un fontaniere esperto che spero restituirà allo sguardo un quadro di pregiata dignità!".
"Dove si trova la vostra dimora...se non sono indiscreta!?".
"Uh..." – Roma arrestò il passo, si voltò a osservare il Generale Jarjayes che si era alzato per via dell'ossequio all'uscita di scena delle due donne – "Diciamo che mio marito non ha avuto necessità d'una dote importante da parte mia. La mia famiglia possiede diverse proprietà ma troppo lontane e a me piacerebbe tornare a godere un poco dell'imponente caos di Parigi".
Taceva Jarjayes, appeso alle parole dell'altra che rivelava pezzi di vita a lui sconosciuti se non per l'ultimo affondo.
"Rue du Jour" – sussurrò Roma fissando Augustin...
Che Marguerite si sforzò di congegnare il percorso...
"Accanto a Saint Eustache" – puntualizzò tornando allo sguardo di Marguerite – "Vedete...i miei avi erano persone dedite alla preghiera. Erano vicini alla Santa Madre Chiesa e così venne lasciata loro una piccola proprietà proprio accanto all'Abbazia di Saint Eustache. Mi adopererò per controllare ch'essa sia in condizioni adatte per ospitare di nuovo la mia silenziosa esistenza. Da anni non rimettevo piede da Parigi. Ho appreso che alcune mie care conoscenze ormai hanno lasciato questo mondo…mi sentirò sola…".
Marguerite tentò di comporre la trama dell'esistenza estranea - "Vostre care conoscenze…perdonate…magari…".
"Quando sono giunta a Parigi ho chiesto subito di incontrare la Marchesa di Brandivillier*. Ma hanno detto che purtroppo è mancata diversi anni fa".
"Oh…ma certo…la conoscevo. E' stato terribile" – s'incrinò la voce di Marguerite, al ricordo dell'incendio che s'era portato via la vita della marchesa – "La casa è bruciata e lei…povera amica…non ha avuto scampo. E' accaduto ormai molti anni fa, subito dopo l'incoronazione del nostro re. Mancate dalla Francia da così tanto tempo?".
"Sì! Ormai sono decenni. Mio malgrado ho preferito seguire mio marito nei suoi viaggi. E ho perduto gran parte degli avvenimenti così che la mia esistenza di un tempo è ormai una rappresentazione dimenticata e lontana. Dunque non vi dispiacerebbe raccontarmi come è accaduto?" – punse Roma, intuendo d'aver colto nel segno – "Sapete…era una cara amica anche per me. So che non aveva figli ma pare le sia sopravvissuta una lontana nipote".
"Si…la Comtesse Jeanne de la Motte…una giovane che è stata ospitata dalla marchesa e che poi è andata in sposa al Comte de la Motte…pare sia una discendente dei Valois…".
"Oh…" – Roma trattenne il respiro come estasiata dal racconto di Marguerite, intuendo una sorta di trama evanescente che prendeva forma seppur l'ordito ancora stentava a rivelare l'effige della vera rappresentazione – "Davvero?".
Mancava effettivamente da anni da Parigi e dalla Francia, ma per quel che ne sapeva, Madame Aleksandra Roma Lemonde, se di discendenza dai Valois si fosse trattato, di certo era un ramo bastardo, una parentela che mai avrebbe potuto aspirare a null'altro che a essere relegata ai margini della nobiltà ammessa a Versailles.
"Jeanne de la Motte…ma se questa Jeanne ha avuto la bontà di entrare nel cuore della cara marchesa…" – replicò Roma annuendo– "La cercherò allora e sarà mia premura portarle le mie condoglianze, seppure sia ormai trascorso molto tempo".
Un lieve cenno del capo, un sorriso più intenso…
Oscar intuì lo strano groviglio di parole sospese, seppur non ebbe modo di comprenderle, unirle all'effige dell'altra, quella Jeanne Valois divenuta Jeanne de la Motte, che aveva ereditato la fortuna della povera Marchesa di Brandivillier.
Il volto e lo sguardo di Jeanne de la Motte…
Occhi che fiammeggiavano...
Occhi che amoreggiavano con quel religioso corrotto, Louis-René-Édouard de Rohan-Guéménée, le Cardinale de Rohan, bandito dalla corte austriaca e avverso a Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.
Occhi ambiziosi, sfuggenti come quelli di colei che sarebbe rimasta ospite per qualche tempo nella sua casa.
Un demonio suadente…
Non se ne avvide…
Tutto distraeva e portava lontano.
La porta si chiuse.
Augustin Reynier de Jarjayes tornò a sedersi, il corpo come straziato da una vertigine.
Gli pareva d'aver visto un fantasma.
Non aveva ritenuto opportuno presentare Roma, declinare il suo passato, e l'altra aveva compreso la sua scelta e dunque aveva accettato di restare ospite gradita ma sconosciuta.
Non era un bene tutto ciò.
Ma era difficile in quel momento sapere a quale male tutto ciò avrebbe portato.
"Padre...".
"Stai bene?" – chiese di nuovo l'altro.
Avrebbe voluto rispondere no, non stava bene, nulla era più come prima, ma non poteva rivelare ciò che era accaduto perchè in quel modo avrebbe tradito André e tutto ciò che André tanto disperatamente stava tentando di allontanare da lei.
La vergogna, il disonore, la blasfemia d'averla amata e d'amarla ancora...
Lei amava André.
Avrebbe voluto gridarlo in faccia a suo padre.
"Sì" – mentì, la voce fredda – "E voi?".
"Questa guerra sta prosciugando le casse la Francia!" – esordì severo Jarjayes – "Prima finirà e meglio sarà. Sì, figlia, tutto sommato sto bene".
Jarjayes si massaggiò le tempie.
Oscar si avvicinò: "Padre, André è tornato".
"Lo so, il Tenente Girodel mi ha informato. Si trova a Saint Lazare. Dannazione, ciò che ha fatto è inammissibile!".
L'eloquio severo colpì i sensi - "Padre...ciò che ha fatto?! Che state dicendo? André non ha fatto nulla! Non c'è stato alcun processo. Deve essere giudicato colpevole prima di...".
"Non sarà necessario! Non ci sarà alcun processo!".
La luce del giorno sbucò dalla finestra tranciando il respiro.
"Come sarebbe...non ci sarà alcun processo? Come si potrebbe dimostrare altrimenti ciò di cui è sospettato?".
Feriva il dialogo strozzato. Pareva che il padre sapesse molto più di ciò che sapeva lei e questo disorientava.
"Si è dichiarato colpevole!" – sibilò il padre, mani conserte a nascondere il viso – "Appena entrato in carcere, ha chiesto di rendere piena confessione di ciò di cui è accusato. In questo modo non sarà necessario alcun processo. Dovrà solo attendere che venga emessa la condanna".
"No!" – gridato, le mani piantate contro il tavolo che tutto tremò e quasi l'inchiostro s'innalzò dalla boccetta per spandersi sulla carta – "E' assurdo!".
"Perchè sarebbe assurdo!? E' la volontà di André! E' la sua decisione! Sai bene che non c'è modo di andare contro la volontà di un uomo se quell'uomo si dichiara colpevole!" – gridò di rimando Jarjayes, non si comprendeva se fosse più adirato per la scelta dell'antico attendente e il disonore che tutto gettava sulla famiglia oppure per l'incredulità della figlia di fronte a tale scelta.
"E' impossibile!" – replicò l'altra – "Qualcuno deve averlo costretto!".
"E perchè di grazia!? Chi avrebbe interesse a obbligare una persona a dichiararsi colpevole di fatti commessi in America!? Ammetto che sarebbe stato difficile provare la colpevolezza di André! Poteva discolparsi e forse sarebbe anche riuscito a salvarsi! Mi hanno detto che avrebbe rubato dell'oro...ammazzato due soldati...lo ritengo io stesso incapace di simili atti...eppure...".
"Dunque anche a voi pare strano?! Padre...una simile confessione...non dovete accettare una simile…".
Strideva l'eloquio.
Parole spese per difendere qualcuno...
Rischiava di finire in mezzo a tutto ciò da cui André tentava di allontanarla.
Rischieresti tutto per lui?
Ma contro di lui?
Tutto il contrario di ciò che avrebbe voluto lui.
"Ma che sia un disertore..." – sussurrò Jarjayes affranto – "Questo nessuno può negarlo. Avrebbe potuto invocare d'essere stato fatto prigioniero, di non aver trovato modi di liberarsi e invece ha ammesso d'essere sopravvissuto e d'essere fuggito! Un disonore troppo grande!".
"E' maggior il disonore essere un disertore piuttosto che un ladro e un assassino?" – contestò Oscar che non sapeva se mettersi a ridere oppure a gridare.
Nulla aveva più senso.
Jarjayes parlava. E più parlava e più le congetture parevano snodarsi entro sentieri impraticabili.
André avrebbe potuto salvarsi.
Ma tentare di discolparsi avrebbe significato affrontare un processo.
E la sua sola parola non sarebbe bastata.
Ci volevano altre parole, altri fatti...
Lei sapeva chi aveva ammazzato Tiberius Mallerbé e Guglielmo Pointers?
Lei...
Lei sapeva perchè André aveva lasciato il drappello di soldati francesi?
Lei...
Lei sapeva dov'era finito l'oro?
Lei...
Tutto ciò che avrebbe potuto salvare André, la richiamava a lui, come fossero ormai una sola entità, una sorta di groviglio infernale e venefico l'uno per l'altra.
Lei era stata forse l'unica muta testimone di gesti, scelte, fughe, inevitabili decisioni, dubbi...
Anche se nemmeno lei sapeva tutto.
André si era dichiarato colpevole...
"Che tu sia dannato!" – le parole uscirono soffocate, ch'era lei adesso a sentirsi dannata!
Lo sguardo si strinse, accecato dalla luce intensa del pomeriggio a tranciare respiro e coscienza.
Aveva salutato le sorelle, quelle l'avevano abbracciata e rimproverata per l'aspetto trasandato e furente, e lei nemmeno aveva accennato a respingere le disgraziate accuse.
S'era vestita in fretta e s'era avviata verso Parigi.
In cuore in gola, il galoppo forsennato, tutto senza senso.
Il bene di André verso di lei non poteva valere così tanto, tanto quanto la sua vita.
Oppure…
Ciò che la legava a lui?
Valeva davvero così poco?
Il suo amore allora non valeva nulla per lui?
Per i ladri e per gli assassini c'era la pena capitale.
La gogna d'esser condotti sul luogo dell'esecuzione attraverso le strade più ampie di Parigi dove il popolo si assiepava curioso e vociante.
Il popolo non aveva svaghi, il popolo amava osservare quelli ch'erano così disgraziati da finire sotto la salvifica spada del Re di Francia che avrebbe liberato le strade del regno da un vile delinquente.
Sputi, grida, sberleffi...
Inviti a farla finita...
Scherni a tenersi alla larga dal condannato...
Salvo poi, una volta che quello fosse finito squartato ai quattro angoli della piazza, correre ad accaparrarsi i resti del corpo, del sangue, dei vestiti laceri, di qualunque parte di quello, come fosse una specie di amuleto capace di tenere lontana analoga sorte.
Le leggi stavano mutando però.
Lentamente, lo scontro tra condanna e potere del re e con esso del popolo andava via via indebolendosi, perchè in fondo il condannato era un essere umano e non era più necessario prendersi il suo corpo.
Non sempre, insomma.
Quanto semmai prendersi comunque la sua vita.
Ossia la sua libertà.
Nella testa i richiami del padre a desistere, a rispettare la legge del re, perchè se il re aveva stabilito che un uomo potesse confessare d'essere colpevole, allora non si poteva togliere a un uomo questa scelta, perchè sarebbe stato come sconfessare la legge del re.
Ma se quell'uomo non è colpevole...
Se quell'uomo confessa ciò che non ha fatto solo per proteggere una donna, la donna che ama...
Un passo...
Saint Lazare…
Il portone imponente e sbrecciato, le finestre sbarrate da grate che sfarinavano ruggire rossa dal sentore metallico e acuto, i covi dei piccioni in ogni possibile anfratto, a lordare i pertugi tra i coppi sghembi, il fetore delle latrine, tutto richiamava una sorta di antro infernale che ingoiava i visitatori, e sputava fuori coloro che riuscivano a riguadagnare la via di fuga, sfuggiti da ricettacoli di topi di fogna o nidi di vespe, incapaci di masticare la malcapitata preda.
Le guardie erano ridotte all'osso.
I prigionieri erano assicurati da catene piantate nel muro.
Nessuno sarebbe potuto fuggire.
André s'era dichiarato colpevole, dunque adesso si doveva fare di tutto perchè non si sottraesse alla sua condanna.
Le tempie battevano...
Il cuore rimbombava nella gola...
Tutto pareva irrimediabilmente lontano e distrutto.
Come non si fossero mai amati.
Oppure, come se, in realtà, non sarebbero mai stati capaci di farlo, con il loro nome, lei la sua sgargiante uniforme addosso e lui il suo dimesso abito d'attendente.
Rammentò quando era entrata all'Hotel de Ville, il giorno in cui aveva appreso che André era morto.
André Grandier, soldato di fanteria di Sua Maestà Luigi XVI, Re di Francia, nato il 26 agosto dell'anno 1754, deceduto nella Campagna d'America…
Tutto lì…
Un nome…
Nella lista sbagliata…
Un nome ch'era stata persona…
Pronunciò il nome, quel nome.
Il cuore sobbalzò rammentando d'aver pregato, quel giorno, di poterlo pronunciare ancora.
Ancora una volta...
Una volta soltanto.
Il cuore quasi cessò di battere scorrendo a ritroso all'inevitabile marea ove i sensi erano annegati, immersi nei gesti lievi delle dita, nel sussurro di labbra a solleticare labbra, nel grido muto, nello sguardo di resa.
"André Grandier?" – ripeté il secondino per imprimersi il nome del condannato.
"Sì".
"Monsieur, conoscete le regole" – l'uomo guardava l'ospite, vestito con una giacca scura, lunga, calzoni altrettanto scuri, spada al fianco, sguardo febbrilmente severo, non si sarebbe proprio detto qualcuno che avesse necessità d'entrare a Saint Lazare.
"Conosco le regole" – sibilò Oscar che iniziava a perdere la pazienza. Non aveva gradi da spendere, non voleva insospettire il secondino.
Se si fosse saputo che André aveva conoscenze importanti poteva rischiare di finire anche peggio.
Il riguardo verso i prigionieri non sempre era commisurato all'origine.
Per quanto assurdo dunque, André era un plebeo e sarebbe stato bene che così fosse stato considerato.
"Se è così, saprete che qui possono entrare mogli, sorelle, al più fidanzate o… fratelli...siete per caso suo fratello?".
Stava iniziando a spazientirsi...
Oscar chiuse gli occhi.
Rammentò...
Non t'azzardare a rifiutarmi! Non perdono quelli che mi prendono in giro!
E tu non t'azzardare a tirarti indietro…stavolta anch'io farò sul serio!
Pareva quasi che la rappresentazione fosse la stessa.
Perchè dunque non tentare la sorte e riproporre l'audace sceneggiata?
Un respiro fondo, inutile alterarsi, inutile declinare ordini.
C'era che le mancava il respiro.
"No, non sono suo fratello".
"E allora?" – il secondino fece spallucce.
"Monsieur, mi è stato detto che quell'uomo si è dichiarato colpevole".
"Peggio per lui! Non sono affari miei! Si sarà sistemato la coscienza! Anche s'è davvero sorprendente!".
"Ne convengo! E' davvero sorprendente dichiararsi colpevole, laddove chiunque avrebbe fatto di tutto per togliersi certe accuse dalla testa!".
"Monsieur, sta bene. Starei qui molto volentieri a menarla dei delitti e delle pene, ma siamo al punto di partenza! Non potete entrare".
"Un condannato come saprete, ha il diritto di ricevere visite!".
"Sì, monsieur, ma voi non siete..." – spazientito...
"Vorrei vederlo. Sarebbe mia intenzione alleviare un poco la sua sofferenza. Non credete che almeno questo glielo si debba? In fondo, si è dichiarato colpevole".
"E' un pazzo, allora?!".
"Ebbene...se fosse davvero un pazzo non credo che avrebbe capacità di ammettere tali nefandezze. Forse è davvero ragionevole e allora credo che un atto di compassione gli sia dovuto. Proprio per la sua lealtà. Ma se fosse pazzo, non si dice forse che i pazzi non posseggono sangue diverso da quello dei ragionevoli. I pazzi...".
"E voi vorreste...ma...chi diamine siete? Siete per caso uno di quei giovanotti...un damerino?!".
Silenzio...
Inutile ammetterlo.
L'altro l'aveva detto.
Un'occhiata muta...
Le parve davvero d'essere tornata nella bettola di Brest!
"Che idiozia! Dove andrà a finire questo mondo!" – sputò il secondino, levandosi il berretto al passaggio d'una damina che portava un cesto di vivande e ricambiava il gesto agitando le dita in un saluto scioccherello.
"Dove desiderate voi...monsieur!" – rimbeccò l'ospite impassibile – "Resta che il conforto dovrebbe essere pietosamente offerto a tutti i condannati, in fondo in tale veste, alla fine sono tutti uguali!".
"Che idee assurde! I condannati non sono tutti uguali!".
"Come non lo sono gli uomini?! Giusto?".
"Mi state facendo perdere la pazienza!" – sputò l'uomo allungando la mano destra, agitandola come per scacciare una fastidiosa mosca – "Andate!".
Una moneta scivolò leziosa nel palmo dell'omuncolo, pegno a mantenete chiuso almeno un occhio, e prezzo d'una dissertazione capace d'inquietare un discreto libertino.
L'altro la guardò furtivamente per poi ficcarla velocemente nel taschino.
Il pezzo era pregiato.
Un'occhiataccia a un ragazzetto ch'era seduto poco più in là s'una cassetta di legno. Quello scattò come una lepre, due dita al cappellaccio in segno di riverenza.
"Accompagna monsieur qui…sai dove! S'ha necessità d'incontrare il condannato Andrè Grandier".
Incontrare...
Il condannato…
Oscar fu costretta a trattenere un'imprecazione.
Non una visita d'amicizia…
Un respiro fondo...
Non c'era tempo...
In fondo era ciò che aveva chiesto.
La porta si chiuse alle spalle, la stanza era spoglia, un giaciglio di lurida paglia adagiato s'un lato e una sorprendente brocca sbrecciata, poco lontano.
Il giorno volgeva al termine, il segno del chiarore del tramonto insinuato beffardo ritagliava uno scampolo d'oro sul muro opposto, sfregio al tempo trafitto di nostalgia, ai ricordi appesi allo scorrere di ore liete, corse, sbuffi, senza l'assillo d'una vita d'impegni.
Seppure andava via via sbiadendo, come lo erano i sensi, come lo era la sfuggente constatazione che tutto stava crollando.
Un rumore alle spalle.
Fece per voltarsi, vide André che la guardava un poco stranito. Il corpo era ancora più smagrito, la camicia ruvidamente sporca, la barba un po' lunga, i calzoni stracciati in fondo.
Gli occhi scorsero al segno rosso lasciato sulla pelle dall'anello che chiudeva la caviglia, tolto per permettere al prigioniero di lasciare la cella e sistemarsi in quello strano pertugio di mattoni, ove poteva camminare liberamente. Privilegio non era facile conquistare.
D'improvviso...
Implose il tempo, come voragine a precipitarli entro la stessa scena, lo stesso sguardo, la stessa ignorante sospensione ch'era scorsa a Brest.
Difettava il vino però!
E i dubbi.
E l'ignoranza d'essere amanti senza saperlo.
"Che cosa stai facendo?" – esordì fredda eppure quasi tremante.
André rimase in silenzio, a contemplare l'altra, il corpo ritto, asciutto, lo sguardo ancora sciupato dal viaggio, dalla separazione.
Il cuore si contrasse in un battito feroce.
"Nulla che tu già non sapessi" – la risposta tagliò, sintetica ma greve - "C'eri anche tu...".
"Sì, c'ero anch'io! E proprio per questo, potrei dire di non sapere nulla. Allora potrei dire di non aver visto!".
"Sapevo che saresti giunta sin qui. Sei qui per dirmi che potresti mentire!? Vorresti che ti dicessi che puoi farlo? Non è ciò che sai fare".
"André, perché continui a dirmi ciò che devo fare? Tu piuttosto che vuoi fare? Puoi salvarti...".
"Non voglio!".
"E...io?".
Un raggio di luce morente imbrattò la parete sbrecciata, da fuori cigolavano suoni via via smorzati che illudevano i sensi alla quiete della notte.
Grida sguaiate spezzarono la sospensione.
André tentò di parlare, le parole rimasero annodate nella gola.
"E tu...devi salvarti" – commosso.
"Dovrei salvarmi...da te?" – un passo, le mani ad afferrare le mani – "Io non posso. Sai che ti aspetterò!".
"Non farlo...non dovresti aspettarmi. Non sei nata per aspettarmi. Non sei stata cresciuta nel modo che sai, per perdere la tua esistenza dietro alla mia vita"
"Stai dicendo che dovrei...dovrei lasciarti andare? Dovrei dimenticarti?".
"So che non saresti capace di farlo" – le dita s'intrecciarono alle dita, gli occhi rimasero a galleggiare qualche istante nel tramonto velato d'azzurro – "Il tuo sorriso...la tua voce...sai che non potrò mai dimenticarli. Ma tu hai un dovere da compiere, devi…".
"Da quando decidi per me? Da quando il mio dovere verrebbe prima di…".
"Restare al fianco della regina e del re…".
"Che t'importa?".
"Ho certezza che ciò che è accaduto in America prima o poi potrebbe accadere anche in Francia".
"Sai farneticando. Che t'importa?!".
André sollevò le dita, avvicinandole alle labbra, senza sfiorarle, insinuando il frammento del contatto, com'era accaduto e come non era più.
"Vedi queste mani? Sono troppo sporche per appoggiarsi alle tue labbra. Ho osato...e ora...ora il sole sta sciogliendo le mie ali".
"Sei un pazzo! Potrebbero condannarti a morte!? Ma come puoi pensare che accetterei mai una simile scelta?".
Che fu lei ad afferrare le dita, a costringerle ad appoggiarsi addosso, a sfiorarla.
"Non potrei mai farti questo" – ammise Andrè chiudendo gli occhi, incapace di rifiutare i contatto, mentre la voce tradiva l'intento di stare lontano, di rifiutare – "Non accadrà!"
Come si può rifiutare se stessi...
"Sei un pazzo! E' per ciò che è accaduto…mi hai detto che sono responsabile della morte della gente indiana!".
André la chiuse in un abbraccio, le mani chiuse dietro la schiena, a imprimersi addosso il corpo esile e quasi trasparente dell'altra.
"No…non voglio trascinarti dentro la mia vita. Ho compiuto delle scelte. Ne sono consapevole e non voglio che sia tu a pagarne il prezzo".
"Sei innocente...non ha fatto nulla di ciò che hai confessato".
"Non sono innocente" – la bocca sfiorò la guancia, le dita a stringere i capelli, i muscoli tesi a lottare contro le lacrime – "Non sono innocente! Quello che è accaduto alla gente indiana discende da me. E discende da un'unica colpa. La mia colpa è amarti. E questa colpa resterà per sempre. Non potrò mai essere dichiarato innocente. Amarti, porterebbe te alla rovina!".
"Ti..." – una bacio a soffocare le parole.
Una spinta a indietreggiare...
Una stretta intensa a tenerla lì, che non parlasse più, che non avesse osato distoglierlo dal proposito che s'era prefisso.
La bocca rimase ad assaggiare la bocca, nel feroce affondo che toglieva respiro e volontà.
"Io non ti farò mai del male...e se separarmi da te è l'unico modo...allora non potrai farci nulla!".
"Sei arrogante! Lo stai facendo di nuovo…cosa è stato per te…ciò che è stato? Non voglio...perderti...".
"Io sarò sempre con te...ma tu devi vivere...".
"Come potrò...".
Indietro nel tempo e nello spazio...
Le mani scorsero alla cintura, tentando di sfilare la camicia...
Che lui le afferrò, le strinse, bloccando i polsi.
"Non farlo..." – sulla bocca, a scorrere sulle labbra, incredulo di non riuscire a fermarla e neppure a fermare se stesso.
Grida da fuori...
Il coprifuoco...
Gli ospiti dovevano andarsene.
"Vai!".
"No!".
"Sei testarda!".
"Tu sei peggio di me! Ti tirerò fuori di qui!".
Silenzio...
André si staccò dalla bocca, la testa s'abbassò di poco, la fronte sfiorò al fronte, le mani strinsero le mani.
Come lasciarla?
Come ammettere che, ancora un istante, e tutto ciò che si era prefisso sarebbe crollato e lui sarebbe finito a terra, in ginocchio.
"Sono colpevole di amarti. La mia colpa non si cancellerà mai. Né se io restassi in vita, né se verrò giustiziato. E quando anche io non esisterò più...continuerò sempre ad amarti...".
"Non lo voglio questo amore!" – d'impeto, disperatamente...
André sorrise, gli occhi chiusi, la fronte appoggiata alla fronte - "Sei saggia...so che tu vuoi amare...con tutta te stessa! L'ho sempre saputo. E' ciò che ti meriti. Amare ed essere amata al di sopra di ogni dubbio, al di sopra di ogni impossibilità! E' giusto che tu possa amare come desideri...".
"Io amo...".
"No! Basta!".
Si staccò di scatto André, con lo stesso evanescente distacco con cui Atropo recide il filo del destino.
Non un solo istante di più.
"Vattene!".
"Non t'azzardare...".
Indietreggiò l'altro, pugni chiusi: "Vattene! Non sei tu quella che parla! Sei Oscar François de Jarjayes... che deve sempre averla vinta! Che deve rendere giustizia...l'amore non è giusto Oscar...".
Tremò la voce...
Avrebbe voluto replicare, avrebbe voluto avvicinarsi di nuovo.
Non si arrendeva...
Ma era difficile combattere contro se stessi e contro André...
Io ti amo...
La frase compiuta, le parole e le sillabe incise nel petto come una spada a squarciare il respiro, risuonarono nella testa per tutto il viaggio di ritorno, mentre nelle orecchie risuonava il terreo respiro secco del portone di Saint Lazare che veniva richiuso, schiantato alle spalle e lei lì fuori immersa nella feroce luce del tramonto, dentro la città che pareva l'avrebbe inghiottita.
Notre Dame batteva le diciannove...
Non era troppo tardi...
§§§
Non è amore questo!
Vuole proteggerti!
E allora che fa...
Fugge!
Di nuovo...
Vuole proteggerti!
"Sua Maestà oggi è impegnato..." – obiettò con severa gentilezza il Barone Thierry de Ville d'Ivray, primo cameriere del re **, alla richiesta di udienza del Colonnello della Guardia Reale.
"E' urgente" – sulle spine, Oscar rimase ferma sul suo proposito – "Almeno avvertite Sua Maestà che sono qui. Attenderò, non intendo distogliere Sua Maestà dai suoi impegni. Ma è necessario che io conferisca...".
Il cameriere fece per rincarare.
Per quanto colei che aveva di fronte fosse personaggio noto a corte, c'era un'etichetta da rispettare e c'era...
Uno scatto...
Un battito del cuore...
Oscar trattenne il respiro, sull'attenti...
"Prego, Barone d'Ivray...".
"Maestà...".
"Lasciate entrare il Colonnello Jarjayes...".
Davvero era accaduto che il re in persona si fosse affacciato alla porta dello studiolo e avesse disatteso all'obiezione del Barone d'Ivray.
"Perdonate Maestà...".
Luigi XVI sorrise, d'un sorriso mesto, come a scusarsi lui in persona d'aver creato l'equivoco - "Monsieur d'Ivray mi sapeva impegnato nei miei studi. Sapete...Monsieur Franklin mi ha lasciato parecchie teorie da valutare e dunque dopo l'udienza mi ero ripromesso di procedere con i miei studi. Sapete vero che presto verrà firmato una sorta di preliminare di pace tra Inglesi e Stati Uniti proprio qui a Parigi?".
D'Ivray fece un inchino e scomparve.
Il re s'avvicinò alla finestra che dava sui giardini.
"E sapete vero che Monsieur Franklin non disdegna alcun tipo di studio!? Tutto ciò che riguarda le forze della natura...gelo e calore...aria e acqua...metallo, legno...oh...ero ansioso di vedervi colonnello...".
"Perdonate se non sono venuta subito a rendervi omaggio. Ho avuto necessità di risolvere una questione...".
Luigi XVI rimase zitto.
Un respiro fondo.
"Dovete tenere molto al vostro amico se la sua sorte vi ha impegnato così a lungo, dal giungere così tardi a rendere al più presto omaggio al vostro re..." – sorrise piano il sovrano.
"Vi prego di perdonarmi".
"Non dovete scusarvi. Potreste credermi se vi dicessi che invidio André?! Non a tutti sarebbe così cara la sorte del re di Francia così come a voi sta a cuore la sua salvezza!".
"Maestà...voi conoscete André..." – non era una domanda.
"Sì..." – che quella non era una risposta.
Entrambi gl'interlocutori sapevano bene di chi stavano dialogando e il motivo.
"Ebbene...sapete anche che cosa gli è accaduto".
"Sono stato informato. So che cosa sarebbe accaduto e so di cosa André si è dichiarato responsabile".
Il respiro sospeso...
Come uscirne?
Come contraddire il re, anche solo per quel che era la sua semplice e diretta conoscenza di un fatto!?
Come spiegare al re che tutto ciò che sapeva era falso, che tutto ciò che aveva detto André era falso?
Ciò di cui André era di certo colpevole era che l'amava...
Ma si può essere colpevoli di amare?
E come spiegare a un re che un re o un uomo qualunque amano alla stessa maniera?
E se non possono amare, allora la sofferenza è la stessa?
"Ebbene..." – tentò di spiegare Oscar – "Sono a chiedervi d'intercedere per lui".
Luigi si ritrovò a contemplare il giardino, le mani conserte dietro la schiena.
"Mademoiselle..." – riprese il re, seppur il tono era triste – "L'ho già fatto"
"Maestà...che intendete?" – incomprensibile, forse si riferiva all'entità della pena, forse...
"Ho appreso di ciò che è accaduto dal Tenente Girodel. Anche lui mi ha confermato di nutrire dei dubbi".
Victor Girodel aveva tentato di intercedere per André...
Il cuore ebbe un sobbalzo...
Scintille tese e scure s'intrecciarono...
Quanti modi di amare esistono?
Lo spiraglio, il cuore balzò, la mente però si chiuse al pensiero che tutto pareva essere troppo giusto e corretto e dunque...
"Ebbene...André ha confessato ciò che ha fatto. La legge impone che un uomo che confessa debba essere creduto. Io ho...".
Tutto sbagliato!
Il respiro sospeso...
"Ho accettato questa confessione. Ho ritenuto d'intercedere presso i giudici".
Silenzio...
Non era questo che lei avrebbe desiderato.
André non era colpevole.
Lo scenario nefasto...
"E al tempo stesso ho scelto di commutare la pena capitale che gli sarebbe spettata...".
Il respiro interrotto...
Ciò che aveva fatto André avrebbe meritato la forca.
Luigi XVI si era impegnato già da tempo a sospendere ogni forma di tortura, nessuno spettacolo della morte del condannato avrebbe attirato le folle, attirando su di sé la rabbia del popolo.
Era questo in fondo ciò che stava mutando.
Percepire il condannato come un uomo la cui vita era rimessa nelle mani del re e il re, uomo saggio, non avrebbe mai tollerato ch'essa fosse torturata senza necessità.
"Concedendogli la grazia".
Oscar tremò, non comprendeva - "Maestà siete...molto generoso...".
"Ebbene so di non essere valoroso come mio nonno e nemmeno come il mio bisnonno! Non possiedo l'indole che competeva a loro, né il loro coraggio..." – ammise Luigi XVI un poco distratto – "Ma mi fregiavo d'essere diverso da loro proprio in questo...".
"Maestà...avete appena accennato al fatto che Parigi verrà scelta per ospitare i rappresentanti dell'Inghilterra e degli Stati Uniti per giungere alla firma del preliminare di pace di una guerra che dura ormai da troppo tempo! Non credete che questo sia degno di un sovrano saggio!? Raggiungere un tale risultato..." – abbozzò l'altra sulle spine – "Rammento le vostre stesse parole...".
...sarà bene far comprendere loro che se pagheranno le tasse necessarie i nostri soldati riceveranno l'aiuto necessario a vincere altrettanto in fretta il nemico…questa guerra finirà ma non dovrà durare oltre il necessario cosicché lo sforzo dei francesi sarà ricompensato con il ritorno a casa di molti più soldati che potranno riabbracciare le loro famiglie…
Il cuore rallentò un poco al ricordo della smania di raggiungere l'America, cercare André. Oscar si domandò se l'impulso fosse stato dettato dal sentimento, guidato dall'irrazionale istinto che governa il cuore, che non si arrende, e caparbio rovina a terra fin quasi a perdersi, ma poi ritrova la strada.
Allora non lo sapeva che André era ancora vivo ma in fondo, ciò che sentiva era esattamente quello.
Ora André era salvo.
Non aveva importanza come e perchè ma André era salvo.
Ma non era ciò che lui voleva per sé.
André lo sapeva già?
Perchè non le aveva detto niente il giorno prima...
Gli pareva di nuovo in fuga André Grandier.
Una fuga assurda eppure comprensibile, una fuga dannata, perchè adesso André Grandier non era più libero e non sarebbe più potuto fuggire da lei.
Era colpevole di amarla.
Come espiare una tale colpa?
"Colonnello..." – Luigi XVI si voltò – "André Grandier...ha rifiutato la grazia".
Senza parole, impietrita, Oscar intuì la terra scostarsi da sotto i piedi.
L'angoscia mescolata alla rabbia...
Lo sfacelo aggrovigliato all'assurdità dell'epilogo...
"Cosa!?" – un balbettio stentato, ch'era un'ignominia rifiutare la grazia che Sua Maestà aveva il potere di concedere ad un condannato.
Anzi, il rifiuto stesso diveniva un atto contro il sovrano.
Era come rifiutare il perdono di Dio!
"Mi spiace...quando l'ho saputo sono rimasto stupito..." – pareva quasi mortificato Luigi XVI di non aver altro potere, oltre la parola di un suddito – "Potrei imporre la mia volontà ma...se un uomo confessa ciò che ha fatto e poi rifiuta di salvarsi…la sua volontà pone fine a una disputa tra ciò che egli ha commesso e il diritto stesso del re di punire quel fatto! Io sono solo un re...".
Dio...
Solo un re...
Solo un re...
Solo un re...
"Ma se si rifiuta la grazia...è come rifiutare il re in persona..." – persino il re si stupì d'esser giunto ad un simile ragionamento – "E allora il re ha il dovere di rispettare la confessione di quell'uomo!".
"Maestà...".
"Vedete...in fondo se ci pensate...".
"Maestà!" – non c'erano più parole, non c'era più voce...
"André non ha trascinato se stesso in una disputa contro il popolo di Francia! E nemmeno contro il re! Non ha voluto porre la sua umile origine contro la volontà di un giudice, contro la saggezza di un re. E allora davvero...mi chiedo cosa avrebbe dovuto fare? Prima confessa e poi accetta d'essere salvato da quello stesso potere contro cui lui stesso non si è voluto scontrare?! Per taluni proprio quella confessione avrebbe potuto rappresentare un sotterfugio per evitare il processo e così salvarsi grazie al mio intervento. Invece...".
Scorrevano le parole...
Dannate e inutili parole...
"André mi ha stupito ma al tempo stesso invidio ciò che sta facendo...".
Scorrevano le immagini...
Feroci come timbri a fuoco...
"Maestà..." – ebbe solo la forza di domandare Oscar, come risucchiata dall'assurdo ragionamento.
Si disquisiva di leggi e opportunità. Ma un uomo non è soltanto la sua volontà. Un uomo è carne, sangue, pelle, sguardo, tremito...
"Che accadrà?" – un filo di voce.
"La mia volontà non potrà essere disattesa!" – rimarcò Luigi XVI – "Se André non accetterà la grazia che ho concesso...dovrà scontare la sua condanna!".
Colpevole...
"Maestà..." – tremò la voce...
Un uomo privo della libertà si trova pressoché nella stessa condizione d'esser come privato della sua stessa vita.
"Colonnello...tramuterò la grazia concessa in detenzione...".
Le mani si chiusero...
La bocca si chiuse...
L'amore come tempesta che sconvolge il cuore e il destino...
Oscar François de Jarjayes non avrebbe mai potuto amare una volontà, un ideale, un pensiero, uno scopo.
Oscar François de Jarjayes amava un uomo e desiderava quell'uomo...
Oscar François de Jarjayes amava colui che non avrebbe mai diviso con lei il suo destino.
"Quanto...".
Lo sguardo era scivolato via, nemmeno lei sapeva dove. La domanda, già in sé era assurda, ma aveva un senso, che mettere un termine alla detenzione non era affatto scontato.
"Dieci anni...".
Luigi XVI tornò a sedersi allo scrittoio: "E' tutto ciò che posso fare colonnello. Conosco André. Non ho motivo di dubitare delle sue parole".
I pugni chiusi, le vene tremavano...
"E…" - la voce accarezzò la decisione come a tentare d'addolcirla – "Per sua espressa richiesta…provvederò a mutare la detenzione...".
Oscar scorse alla figura tozza ma imponente del sovrano che vergava una lettera, la piuma ondeggiava lieve mentre l'inchiostro nero s'imprimeva sul foglio bianco.
Era come se un coltello stesse incidendo quelle stesse lettere sopra la sua pelle...
"In deportazione".
Silenzio...
"Si stanno approntando alcune colonie penali. L'intento è quello di inviare uomini forti , anche se alcuni lo saranno proprio per espiare la loro condanna. Mi sono sincerato delle condizioni di André. Mi hanno detto che ha perduto la vista da un occhio ma che potrà affrontare sia il viaggio...sia...la permanenza...".
"Dove..." – un sussurro mentre il sangue diveniva gelido, perchè la Francia possedeva pochi territori oltremare e tutti molto...
Luigi XVI abbassò lo sguardo.
"In Guyana...".
Oltre l'oceano...
André Grandier, soldato di fanteria di Sua Maestà Luigi XVI, Re di Francia, nato il 26 agosto dell'anno 1754.
Condannato dal Tribunale di Parigi, il 10 settembre 1782, per propria confessione, alla pena capitale, mutata per volere e benevolenza di Sua Maestà Luigi XVI in dieci anni di deportazione, da scontare nel bagno penale in Cayenna§§§, Guyana francese.
Dieci anni...
Dieci anni...
Dieci anni...
* Marchesa di Brandivillier – Nome originale nei sottotitoli, della donna che adotta Jeanne de la Motte - puntata 10 dell'anime.
** Jean François Parot "Pane e sangue".
§§§ I bagni penali coloniali francesi vennero creati da Napoleone III nel 1854 ma già dal secolo XVIII avvenivano i trasporti dei condannati oltreoceano. Lo scopo era allontanare gli indesiderabili dalla Francia ed al contempo popolare le colonie francesi.
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