Buongiorno a tutti! Lo so, lo so, sto pubblicando anche un'altra fanfiction su Naruto, ma quella è a buon punto, devo scrivere solo metà dei capitoli e ci siamo prese piuttosto avanti, così ho pensato: perché non scrivere su Sherlock dopo tanto tempo?

Eccomi qui con questa nuova storia, un altro Crossover dopo quello con Dark Angel, questa volta ho voluto incrociare la serie di Sherlock con … Lucifer!

Ovviamente per far star comode entrambe le serie in una sola fanfiction dovrò fare degli aggiustamenti, qualche taglio là, un'aggiunta di là, ma spero che il risultato vi piaccia.

Buona lettura!
Padmini

1. So chi sei

Era trascorso quasi un anno da quando Sherlock aveva recuperato i ricordi riguardo Eurus e Victor e la vita aveva iniziato a scorrere normalmente, anche se tutto era cambiato: lui e John vivevano a Baker street con la piccola Rosie e continuavano a seguire i casi dei loro clienti ma con uno spirito e una consapevolezza diversi.

C'era voluto tempo per Sherlock per metabolizzare tutto ciò che aveva appreso, i ricordi sopiti e la realtà su sua sorella. Nonostante questo, aveva deciso di aiutarla a recuperare un minimo di umanità perché aveva capito che in quel modo avrebbe aiutato anche se stesso a ritrovare un equilibrio che stava per essere perduto.

Ricordava bene quel giorno, aveva ancora le vertigini per la montagna russa di emozioni che aveva provato, tutte devastanti, tutte lo avevano spinto sul ciglio di un precipizio e ancora tremava al pensiero che sarebbe bastato un passo in più per precipitare e perdere completamente la ragione.

Victor, Eurus.

Victor.

Eurus.

Come aveva potuto dimenticare? Lo shock era stato tale da fargli perdere quei ricordi così importanti per lui e ora tornavano come lame taglienti a ferirlo. Se ho dimenticato loro, pensava, chi altro ho lasciato indietro? Quali altri ricordi si celano nella mia memoria? Per quanto si sforzasse, però, non riusciva a trovare nulla.

"Non mi sforzerei ancora" gli ripeteva spesso John "Dopo tutto quello che è successo, non credo che Mycroft e i tuoi genitori sarebbero tanto folli da tenerti nascosto qualche altro ricordo soppresso, no?"

Era sera, il cielo era limpido e una maestosa luna illuminava più dei lampioni. Sherlock e John stavano tornando dopo una cena da Angelo e, finalmente, Sherlock aveva sospirato.

"Sì, forse hai ragione" ammise Sherlock "In fin dei conti ciò che è successo non è stato del tutto negativo. Sono morte delle persone e mi rende triste il fatto che dovesse accadere perché i miei genitori e mio fratello mi rivelassero la verità, ma ora hanno capito anche loro che non è sano tenere nascoste certe cose."

John sorrise, era evidente che Sherlock era più sereno, più stabile sotto molti punti di vista.

"Non stai scappando, vero?" chiese John, che ancora temeva per la sanità mentale del suo amico "Non mi stai nascondendo qualcosa?"

"No, no, davvero John, sono sincero. Ho mentito a me stesso e agli altri per troppo tempo, ho capito che reprimere le proprie emozioni non porta mai del bene."

Sherlock sorrise all'amico e, vedendolo ancora dubbioso, si affrettò ad aggiungere.

"Se dovessi avere qualche dubbio o dovessi avere bisogno di consigli ti parlerò, te lo prometto" disse "Adesso andiamo a casa, Rosie ci sta aspettando!"

Una volta arrivati a casa, trovarono Rosie addormentata a letto, sorvegliata dalla meticolosa Signora Hudson.

"Come sta?" chiese John "Ha fatto i capricci?"

"No, è stata bravissima" rispose Martha "Aveva molto sonno, avete fatto bene ad uscire senza di lei, si è addormentata quasi subito."

Sherlock sorrise, anche al ricordo delle facce di chi li osservava mentre cenavano e poi mentre camminavano per tornare a casa. Che fossero lettori del blog di John o semplici passanti, non c'era quasi nessuno che, osservandoli, non fraintendesse il loro rapporto. Si vedeva anche da lontano che tra di loro c'era intimità, ma non fisica come tanti pensavano, era un legame mentale, una fiducia reciproca che si può sviluppare solo quando due persone hanno vissuto e affrontato le stesse emozioni, le stesse avventure.

Dopo tanto tempo, dopo anni e anni di incertezze, finalmente Sherlock si sentiva felice, aveva trovato una famiglia che si era scelto e ora stava bene anche con la sua vera famiglia, non c'era niente che potesse andare storto, ormai, magari un po' di noia ogni tanto, ma i problemi, quelli veri, erano ormai alle spalle.

I giorni passavano, Sherlock di tanto in tanto si lamentava dell'assenza di casi particolarmente impegnativi, da quando Jim Moriarty e Magnussen non erano più vivi il lavoro di Detective era diventato relativamente noioso, i casi non gli procuravano più quel brivido che lo faceva sentire vivo, ma era anche giunto alla conclusione di non averne più bisogno. La sfida intellettuale era tutto ciò che gli serviva per tenere allenato un cervello come il suo e da quel punto di vista tra rapimenti, furti e omicidi non poteva lamentarsi.

Anche il rapporto con Scotland Yard era migliorato, lui era meno sarcastico e gli agenti avevano iniziato ad essere più collaborativi, perciò quando doveva recarsi nell'ufficio di Lestrade per chiarire qualche punto sui casi che risolveva o per lasciare qualche deposizione l'atmosfera era sempre rilassata e piacevole, nonostante si parlasse pur sempre di crimini.

Quel giorno Sherlock aveva appena arrestato un falsario, uno che non avrebbe mai destato sospetti ma che si era fregato con le sue stesse mani.

Il proprietario di una gioielleria aveva subito una rapina: spari, urla, paura, e alla fine il ladro era fuggito con la refurtiva. La polizia era arrivata troppo tardi ma Sherlock aveva cercato di rintracciare il ladro attraverso il viaggio dei gioielli rubati all'interno del mercato nero, peccato che quei gioielli fossero già stati venduti mesi prima, proprio dal proprietario che li aveva sostituiti con quelli falsi rubati dallo sfortunato ladro. Una storia quasi comica.

Sherlock non era riuscito a rintracciare tutti i gioielli scomparsi, molti erano già stati venduti a chissà chi mesi prima ma per il proprietario non sarebbe cambiato nulla, dal momento che avrebbe trascorso parecchi anni in prigione, visto che nella sua gioielleria non c'era un solo gioiello autentico.

Greg era rimasto piacevolmente sorpreso dall'operato di Sherlock, nonostante ormai fosse quasi abituato, ogni volta si stupiva per come riusciva a districarsi tra quei misteri che per lui sembravano irrisolvibili, e a uscirne con una soluzione incredibile ma vera.

"Non avrei mai sospettato di lui" disse Greg, firmando il verbale "Era così disperato!"

"Temeva, come è successo, che scoprissi la verità" commentò Sherlock.
"Oppure era semplicemente un ottimo attore!" disse John, ridendo.

"In effetti ci vuole coraggio e una grande capacità attoriale per vendere gioielli falsi per veri!" aggiunse Greg.

"Bene! Possiamo andare?" chiese Sherlock, guardando l'orologio "Rosie ci sta aspettando a casa e la Signora Hudson deve fare il suo riposino."

In quel momento entrò un agente.

"Signore" disse, rivolgendosi a Lestrade "C'è qualcuno che vuole parlare con lei."

"Va bene" rispose Greg "Fallo passare. Sherlock. John. Ci vediamo"

L'agente era appena uscito e Sherlock e John non avevano nemmeno fatto in tempo a seguirlo, quando entrò un uomo. Sembrava abbastanza giovane ma il suo viso e il suo sguardo lo facevano apparire più vecchio.

"Sto cercando Sherlock Holmes!" disse, guardando i tre "Sei tu!" aggiunse, indicando Sherlock con un dito accusatorio "SEI TU!"

Sherlock alzò un sopracciglio, non conosceva quell'uomo, forse era qualcuno che aveva arrestato di cui non si ricordava? Qualcuno in qualche modo collegato ai suoi casi? Il sopracciglio alzato di Sherlock era eloquente, perciò l'intruso si affrettò a spiegarsi.

"Mio nonno è impazzito per colpa di tuo padre!" mormorò lui, parlando sottovoce "TUO PADRE LO HA FATTO IMPAZZIRE!"

Sherlock lo guardò con gli occhi sgranati per lo stupore, pensando a suo padre e a come avesse potuto far impazzire un uomo. Anche John, che lo aveva conosciuto, sembrava altrettanto sorpreso.

"Se mi dicesse come si chiama suo nonno …" iniziò Sherlock, che voleva capire.

"Mio nonno è morto" rispose lui, guardandolo negli occhi "Prima però ha fatto in tempo a spaventare a morte mio padre e me, ci ha fatto diventare pazzi!"

L'uomo era spaventato ma anche spaventoso, non sembrava armato, ma Greg posò ugualmente la mano sulla pistola.

"Il diavolo esiste, ecco cosa ci diceva "Il diavolo esiste e ora ha un figlio!" Lo so! Lo so!"

Sherlock rise.
"Senta" iniziò, ridendo "Vada dal suo spacciatore e si faccia rimborsare perché le ha veduto robaccia. Il diavolo? Sta scherzando, vero?"

"No, non sto scherzando. Sono anni che cerco tuo padre per vendicarmi. Non l'ho trovato, ma almeno ho trovato suo figlio e adesso potrò attirare la sua attenzione!"

"Si calmi" intervenne Greg, alzandosi "Se volesse spiegarci come possiamo aiutarla …"

"NON HO BISOGNO DI AIUTO!"aggiunse con tono minaccioso.

Accadde tutto in pochi istanti, l'uomo estrasse dalla giacca un tagliacarte molto affilato - e in quel momento Sherlock fece in tempo a chiedersi come avesse potuto entrare in una stazione di polizia senza farsi scoprire con quel coso - e si avventò su Sherlock urlando, riuscendo a piantargli la lama sul petto più volte.

Il rumore della lama che entrava nel petto di Sherlock era spaventoso, mentre il sangue usciva rapidamente dalle ferite, macchiando la camicia candida, Sherlock non avvertì quasi dolore, sentì a malapena le urla di John e Greg che non erano riusciti a fermare la furia omicida dell'uomo.

Sherlock ricordava perfettamente la sensazione che si prova quando si viene quasi strangolati, quando manca il respiro e poi, improvvisamente, tutto smette e l'aria torna a circolare nei polmoni. Paura, disagio, bruciore quasi, ma anche felicità, per essere ancora vivo.

Cosa era successo? Quel tizio strano che straparlava del diavolo lo aveva colpito al petto, lo ricordava bene, aveva sentito a malapena il dolore, forse aveva perso i sensi subito, ma ricordava la sensazione della pelle e del tessuto bagnati di sangue. Cos'era successo? Dove si trovava? In ospedale? Lo avevano salvato? No, non era possibile, doveva essere morto, giusto? Allora perché si sentiva bene?

Lentamente si mise a sedere e poi in piedi e si guardò attorno, si trovava in un luogo nebbioso, buio, inquietante, come un enorme labirinto, almeno per ciò che riusciva a vedere e, a quanto pareva, era solo, ma pochi istanti dopo delle voci in lontananza smentirono quell'ultima ipotesi.

"Lo abbiamo trovato qui" diceva una voce femminile, che si faceva sempre più vicina "è ancora svenuto"

"Non è possibile che sia lui" rispose una voce maschile, profonda e in qualche modo rassicurante.

Sherlock cercò d'istinto un posto in cui nascondersi, ma subito pensò che, se voleva capire come era finito lì e soprattutto come uscirne, avrebbe dovuto affrontare chiunque stesse arrivando a viso aperto.

Un istante dopo apparve una donna molto sensuale dall'espressione preoccupata e al suo fianco un uomo che, in qualche modo, gli sembrava familiare: era alto, vestito elegantemente, portava la barba e aveva capelli e occhi scuri, questi ultimi sembravano estremamente tristi, come se la sua presenza lì lo facesse soffrire.

"No, non è possibile …" mormorò "Non dovresti essere qui …"