Dieci anni prima, Itachi racconta.

"Shisui, ti prego..." Itachi lo aveva implorato con le lacrime agli occhi, ma senza mai alzare la voce.

Il maggiore aveva sorriso, gli occhi malinconici, la testa leggermente inclinata di lato. Gli era bastata poca forza per staccarsi le mani di Itachi dalla maglia.

Shisui gli aveva sfiorato con le labbra i pugni ancora chiusi: "Itachi, sei la cosa più preziosa che io abbia mai avuto."

Prima che il più giovane potesse replicare, Shisui era sparito dalla visuale correndo. Itachi era scattato in piedi, ma realizzava quanto fosse inutile lanciarsi all'inseguimento del cugino, non era riuscito nemmeno a sentire che direzione avessero preso i passi.

"Shisui…" Itachi non avrebbe mai più alzato la voce.

Aveva i brividi, Shisui era l'ennesimo Uchiha che si vedeva violato l'oggetto dell'amore. Come Madara prima di lui.

Per fare il primo passo Itachi aveva dovuto infrangere la paralisi, gli era sembrato di prendere di petto un muro. Non sapeva dove fosse Shisui, stavolta non era nascosto per osservarlo sornione da qualche albero, non sarebbe più tornato. Itachi aveva inghiottito a fatica la saliva, non gli restava che ripercorrere a ritroso il fiume anche se adesso di trovava sulla riva opposta rispetto a quella di arrivo.

Forse Shisui sarebbe tornato a prenderlo, ma niente sarebbe stato più come prima.

L'angoscia gli permetteva di camminare più spedito. La pace del posto era diventata repellente, si faceva beffe di lui in ogni modo possibile. Le cicale, da poco sveglie nella calda mattinata, gli ridevano in faccia; il movimento dei raggi tra le foglie lo pungeva aumentandogli il dolore alla testa.

Tutto disgustosamente magnifico.

Se solo non si fosse fatto scappare quel gemito. Avrebbe potuto passare una meravigliosa giornata con Shisui, la migliore delle loro vite, e poi sarebbe tornato felice dalla mamma e dal suo Otouto.

Invece aveva dovuto rovinare tutto, persino il borbottio dell'acqua lo stava rimproverando.

Aveva l'impressione di camminare da un'eternità, ma non sentiva altro che i il rumore dei cottoli sotto i piedi. La città era ancora lontana e lui era sperduto in una dimensione senza tempo.

Si era fermato guardandosi intorno. Non era mai stato lì, eppure gli sembrava di non aver superato la diga.

Una zona abbandonata. Desolata, come si sentiva lui.

Gli arbusti incontrollati si facevano sempre più fitti, Itachi aveva dovuto attraversarne diversi graffiandosi braccia e gambe, ma non poteva abbandonare il fiume o avrebbe rischiato di perdersi sul serio.

Si era arrestato di colpo facendo schioccare più forte i ciottoli, Itachi ritrasse il collo come se chiedesse scusa del rumore troppo forte.

Non aveva mai visto le rovine di quel ponte, non ne restava praticamente niente, solo la vecchia arcata in mattoni e due piloni spezzati che andavano a confondersi tra terreno e grovigli di arbusti. La città era vicina, il traffico al momento era poco più di un fruscio.

Qualcuno era fermo lassù e dava le spalle al corso d'acqua. I vestiti sembravano gli stessi di poco prima, tuttavia Itachi si era schermato gli occhi per essere sicuro.

"Shisui!" forse aveva parlato tra sé, ormai era complicato da capire. Aveva fatto un saltello ma l'altro gli dava la schiena.

Itachi aveva visto andare in frantumi il suo breve sollievo, Shisui era immobile in una posa inquietante. Le gambe leggermente divaricare, le braccia flosce lungo i fianchi, il capo chino. Sembrava un cadavere tenuto dritto da un piedistallo invisibile.

Una foto post mortem.

Nonostante avesse sentito il cuore balzargli in gola, Itachi doveva sapere. Si arrampicava febbrile tra arbusti e terreno reso friabile dalla siccità, a volte cedeva facendolo scivolare, si aggrappava ai rami senza prima sincerarsi se avessero le spine. Le piante estive, aromatiche e rigide, gli si infilavano negli occhi.

Era arrivato sul troncone di strada crepato. Shisui, o quello che restava di lui, era ancora là.

A ogni passo Itachi cercava di capire, ormai era vicino ed era impossibile che il cugino non lo avesse visto. Procedeva sulle punte, le gambe molli tremavano, Itachi si era sporto di lato per cercare di intercettare lo sguardo del cugino.

"Shisui?"

Niente da fare, i boccoli neri oscuravano il volto del cugino incollati da qualcosa. Nonostante il colore scuro dei capelli di Shisui mimetizzasse qualunque altra sfumatura, si vedeva che non era sudore.

"Shisui?" era arrivato, la mano di Itachi si era allungata per afferrare la manica di Shisui. Avrebbe almeno voluto sentire se la pelle era calda.

Non aveva fatto in tempo, Shisui si era voltato di scatto a guardarlo. Era torvo come non lo avrebbe mai immaginato, sembrava considerarlo un estraneo, addirittura una minaccia. Itachi era balzato indietro di un metro, avrebbe voluto gridare ma ormai aveva la manopola del volume era rotta.

Shisui era vivo, ma gli occhi magnetici erano ridotti a poco più di due fessure, asimmetrici, il sinistro era più chiuso. Forse gli davano fastidio gli schizzi di sangue secco che aveva sulla faccia. Ne era pieno, sulla maglietta, sulle gambe, i capelli ridotti a una crosta dura.

"Shisui, cosa ti è successo?" Itachi gli era corso di nuovo incontro pensando che fosse ferito "Chi è stato?"

"Mi dispiace, Itachi" il viso di Shisui si era disteso in un sorriso conciliante, lo stesso da fratello maggiore che aveva sempre avuto "Avrei voluto liberarti, renderti felice, ma lei si è buttata davanti. Non l'avevo vista."

Itachi aveva fatto ancora qualche passo avanti ansimando, si era fermato davanti al cugino con il viso atterrito. Shisui continuava a sorridere.

"Perdonami, volevo farti un dono ma ti ho rovinato la vita."

"Shisui…" Itachi aveva allungato le mani tremanti verso il cugino, non riusciva a mettere insieme più di due parole.

"Non volevo, Itachi. Non pensavo che fosse in casa" il sorriso di Shisui era tornato "Ti voglio bene."

Itachi non aveva fatto caso ai piedi di Shisui che stavano per metà nel vuoto, quando il suo corpo aveva iniziato a ribaltarsi verso il precipizio ormai era troppo tardi.

Itachi aveva allungato le mani per afferrare quelle del cugino, i polpastrelli erano soffici e caldi. Poi scivolarono via dalle dita di Itachi.

L'ultimo contatto.

Shisui non aveva mai perso il sorriso. Itachi non aveva avuto il coraggio di guardare giù dopo aver udito il tonfo in acqua. Niente grida, solo un tuffo silenzioso in una giornata estiva.

Itachi era appena morto. Sentiva freddo nonostante il sole di inizio giugno, se non ci fosse stato Sasuke e quella lei che si era buttata davanti si sarebbe raggomitolato sul rettangolo d'asfalto dimenticato fino a potersi lanciare di nuovo tra le braccia di Shisui, dovunque si trovasse adesso.

Aveva fatto qualche passo indietro dal punto in cui aveva visto scomparire Shisui, tra le dita sentiva ancora quelle del cugino, gli occhi fissi sul ciglio del ponte. Il viso pallido e assente.

Aveva iniziato a correre, doveva assolutamente fuggire dal boato della cicale e dal fracasso dell'acqua. Persino il sole sembrava essere diventato assordante.

I primi passi erano stati senza meta, con il solo scopo di sottrarsi alla nauseante perfezione della giornata. Poi la responsabilità di fratello maggiore aveva iniziato a indirizzarlo verso la casa di legno, nonostante fosse ideale vista da fuori non era mai stata il rifugio adatto per il suo Otouto.

La disperazione lo mandava avanti, evitava le macchine per la strada solo perché doveva vivere per Sasuke. Doveva arrivare prima di lui.

Il giardino della casa gli era sembrato infinito, i gradini della veranda montagne da scalare, la porta gli era sgusciata più volte dalle mani viscide di sudore. Non era chiusa a chiave.

Sasuke non c'era, sospiro di sollievo, il suo corso in palestra non era ancora finito, qualunque cosa fosse accaduta non era stato presente. La mamma poteva essere uscita per qualche commissione. Strano, però, che la porta d'ingresso fosse rimasta aperta.

Cucina e camere da letto deserte, in bagno nessuno. Itachi aveva scelto di lasciarsi il salotto per ultimo, se era accaduto qualcosa di sicuro era tra quelle mura.

L'odore era arrivato prima delle immagini, Itachi aveva ceduto all'impellente istinto di voltare la testa.

Un riverbero simile all'abbaglio della neve gli aveva annebbiato la vista, la parete che aveva di fronte non sembrava reale. La mani stavano scomparendo in un fastidioso formicolio, il corpo gli sembrava estraneo, qualcosa di evanescente come un soffio lieve. Non riusciva a non ansimare convulsamente, se avesse smesso avrebbe perso i sensi.

A quanto pare era comunque caduto in avanti, la fronte sbattuta violentemente sulla parete non aveva fatto male, il corpo non c'era più. Chissà se si era spaccato la testa, impossibile capirlo adesso.

La violenta contrazione degli addominali lo aveva fatto riprendere, la mente si era schiarita abbastanza da fargli sentire l'odore di vomito misto a quello del sangue. La gola ustionata dall'acido. Anche l'udito era tornato, qualcuno piangeva nell'angolo più lontano della stanza.

Itachi aveva alzato la testa dal muro, Sasuke era rannicchiato in terra accanto alla sua borsa da palestra. Le mani tra i capelli, seduto nella sua urina.

Era tornato prima.

Itachi avanzava per andare dal fratello, ignorava i piedi scalzi che restavano appiccicati nella pozza di sangue ormai collosa. I tre cerchietti argentati della collana che il suo Otouto gli aveva regalato per il decimo compleanno, gli bruciavano sulla pelle come lava.

Era accaduto per colpa sua, lui si era affezionato troppo a Shisui e aveva permesso che il cugino facesse altrettanto. Li aveva uccisi lui e aveva tradito Sasuke.

Itachi si disprezzava, era un essere immondo.

Si era accovacciato accanto a Sasuke incurante di essere impiastricciato di vomito sul viso e sui vestiti. Erano rimasti lì, abbracciati, gelidi. Le immagini dei poliziotti che si muovevano per la stanza erano distanti anni luce, i suoni ovattati.

Itachi non aveva capito nulla di quanto gli aveva chiesto l'uomo che gli aveva puntato la torcia in faccia, era rimasto lì come un ebete stringendo Sasuke nella morsa dell'abbraccio col rischio di soffocarlo.

Presente

"Erano tagliati in due pezzi. L'impeto dei colpi era stato tale che la parte superiore di mia madre stava sulle gambe di mio padre e viceversa. Si guardavano in faccia, lei aveva gli occhi aperti e aveva fatto in tempo ad afferrare la mano di mio padre."

Naruto non sentiva più la mano di Itachi che ora stringeva con entrambe le sue, aveva le membra intorpidite. Durante il racconto, aveva ritirato le gambe penzolanti nello strapiombo per incrociarsele sotto il sedere. Non capiva come avesse fatto Itachi a raccontargli tutto con la massima lucidità.

Ma soprattutto, come diavolo facesse a tornare così spesso su quel ponte. Sembrava starci addirittura bene.

Naruto aveva deglutito a fatica. Itachi amava soffrire.

Il mutismo del biondo aveva autorizzato Itachi a continuare.

"Shisui non voleva uccidere mia madre, desiderava solo liberare lei, me e Sasuke dal dolore" qualcosa brillava sotto la lente scura di sinistra, quella più lontana da Naruto. Incredibile come Itachi riuscisse a scegliere da che lato del viso piangere "Quando il primo colpo di katana era già partito, lei era balzata davanti a mio padre per difenderlo. E ci era riuscita, se lo era preso in pieno frenando la lama. Il colpo di ritorno, quello che ha ucciso mio padre, aveva tutta l'energia del fallimento. Mia madre aveva sempre amato mio padre più della sua stessa vita."

"Itachi… tu… siete rimasti a vivere in quella casa."

"Non avevamo altro. I loro fantasmi sono rimasti sul pavimento del salotto, li vedo tutti i giorni e ormai mi sono abituato."

Naruto era tornato a guardare davanti a sé, ormai c'era più oscurità che luce. Anche lui era rimasto a vivere dove aveva perso i genitori, era davvero possibile farci l'abitudine? A lui non era successo.

"Itachi, abbiamo vissuto lo stesso dolore" Naruto aveva tirato la mano del moro per posarsela in grembo "Ti prego, fidati se ti dico che ti capisco."

"Questo l'ho sempre saputo, Naruto. Da quando ho visto quel bambino aggredito dai bulli nel parco" finalmente la mano di Itachi si era stretta su quella del biondo "Sapevo che li avrei fatti fuggire anche se in realtà non avevano paura di me, ma di mio padre commissario. Pochi giorni prima aveva ucciso un uomo con il pretesto di sedare una manifestazione, la notizia si era già sparsa a macchia d'olio."

Kakashi.

"Sasuke non sa che nostro padre era diventato anche un assassino. Ho deciso di proteggerlo dal dolore senza scopo, questa informazione gli avrebbe solo peggiorato la vita senza cambiare niente."

Itachi lo guardava sorridente, ma Naruto era sbiancato. Il moro aveva uno spesso strato di fondotinta che ora si era sciolto sotto l'unica lacrima dal lato sinistro. La delicata pelle, di natura bianca, sotto era livida. Ecco cosa aveva visto di strano Naruto nel viso di Itachi, il fondotinta non avrebbe mai potuto coprire i gonfiori.

"Itachi, non sei costretto a tornare là. Vieni via con me, vai a casa da Sasuke" Il busto di Naruto si era protesto verso il moro, lo guardava intensamente. Tirava le mani di Itachi con entrambe le sue.

"Mi dispiace Naruto, ma ho una cena importante" Itachi si era alzato, il movimento gli aveva permesso di sfilarsi dalla presa di Naruto, la voce gli tremava "Domani chiamo Sasuke. Grazie Naruto, è meraviglioso parlare con te. Mi hai fatto stare bene."

Stava dicendo la verità.

Prima che Naruto avesse potuto replicare o muoversi, il moro aveva afferrato le buste per scavalcare il parapetto del ponte e dileguarsi tra la vegetazione.

"Itachi!" Naruto si era lanciato invano all'inseguimento, lo aveva perso di vista in pochi istanti.

"Itachi, dannazione!"