Vicolo

Il topo stava facendo un lavoro accurato e rapido, prima che altri suoi simili, o altri carnivori più grossi, sentissero l'odore del sangue e accorressero a banchettare.

Era audace: l'età e l'esperienza gli avevano insegnato ad arrivare per primo, arraffare in fretta tutto quello che poteva e fuggire al primo segnale di pericolo. I suoi sensi erano parzialmente rivolti al vicolo, pronti a percepire qualsiasi cambiamento, qualsiasi intrusione. Ma prestava anche un'attenzione speciale alla sua vittima: capiva che era ormai in fin di vita, incapace di reagire o difendersi, quel tanto che bastava per renderla una preda appetibile e indifesa. Ma era ancora viva, quindi non del tutto inerme.

Aveva vinto la resistenza offerta dal guanto e ora stava spolpando l'anulare roseo e curato, sicuramente la mano di una donna. Avvertito un segnale d'allarme, si rizzò sulle zampe posteriori, gli occhietti neri fissi sulla preda davanti a lui, naso e baffi in frenetico movimento, il sangue che gli colava dalla bocca e dai denti aguzzi.

Un fremito nella mano che stava mutilando fu inequivocabile: il banchetto era finito quando si era appena che agli antipasti. Altri topi, che già stavano accorrendo verso il corpo, squittirono nervosi e si dileguarono nel vicolo umido e buio, tornando da dove erano venuti.

La mano fu sul topo, spietata come una mannaia; il roditore, voltatosi per darsi alla fuga, fu raggiunto di taglio sulla spina dorsale, che si spezzò in uno schianto raccapricciante. Rimase lì, gli occhi fissi sull'ammasso di vestiti e sporcizia arrotolato tra i rifiuti, aspettando che il suo aggressore si avventasse su di lui. Morì in un paio di spasmi, forse inutili tentativi di rialzare il corpicino spezzato, squittendo di terrore e dignità ferita. Il vicolo fece echeggiare i suoi lamenti strozzati, un monito per gli altri topi a non avvicinarsi.

Da sotto un groviglio scuro si manifestò una lama di denti bianchi, un sorriso traverso, gelido e tutt'altro che allegro.