Noora

Il professor Equus era nel suo studio. Ves passeggiava nervosamente nel corridoio ovest, la luce rossastra del sole le infiammava il viso teso, lo sguardo pensieroso perso tra i rami delle piante nel chiostro, mentre altri studenti ritardatari, si affrettavano a raggiungere le aule di lezione, evitandola a comando.

Non sapeva proprio come il docente avrebbe potuto reagire alla notizia. Lei stessa non ne aveva ancora parlato con nessuno, men che meno con sua madre. Non le era facile rivolgersi a lui per aiuto, sconvolgergli la vita in quel modo, ma ancora più difficile sarebbe stato cercare aiuto e comprensione nella senatrice. Sicuramente avrebbe gridato "Allo scandalo!" per poi mandarla in esilio in qualche monastero sperduto su un pianeta dell'orlo esterno, dove non avrebbe potuto recar danno all'immagine della retta senatrice e dove nessuno l'avrebbe riconosciuta. Il fatto che fosse uguale a sua madre come una goccia d'acqua era sempre fonte di imbarazzo per entrambe.

Tornò verso la porta mentre l'interfono fischiava di nuovo.

«Ves, entra pure.»

Entrò, nonostante avesse i piedi incollati al pavimento.

Noora era seduto alla sua scrivania, il volto illuminato dal monitor, mentre la vetrata dietro di lui disegnava il contorno del capo e delle spalle, facendolo sembrare più piccolo di quello che era.

Ancora Ves ebbe un tuffo al cuore: solo quella mattina lo stesso sole li aveva svegliati, insieme nell'appartamento di lui, dove lei non avrebbe dovuto essere. Forse nessuno sapeva. Ma ora …

Si maledì per quello che stava per fare: scioccamente si riteneva totalmente responsabile, e solo lei, per quello che era successo. Non era nei suoi piani, e sicuramente nemmeno in quelli dell'uomo.

Rimase lì, davanti alla soglia, lontano dai raggi del sole, i contorni del viso appena percettibili nella penombra della stanza, fuori dall'arco di luce disegnato dalla alta vetrata.

Il loro primo incontro non era stato tanto diverso: si era presentata in quello stesso ufficio, un anno prima, fresca matricola alla ricerca di un relatore per la sua tesi di fine semestre.

Aveva seguito le lezioni del prof. Equus fin dall'inizio ed era rimasta folgorata dal suo carisma e dalla sua intelligenza. Credeva che non avrebbe potuto scegliere un docente migliore per la propria tesi d'esordio, e dopotutto "Psicologia dei Contrasti" era una materia appassionante. La lista, d'altro canto, era lunga: molti erano gli studenti che avevano fatto richiesta di avere il professor Equus come relatore e sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa di straordinario per distinguersi nella folla. Beh, in quanto a questo, lo scopo era stato largamente centrato.

Equus alzò lo sguardo, incuriosito dall'esitazione della sua studentessa. «Ves, cosa volevi dirmi?» All'interno delle mura accademiche tornavano a essere professore e studentessa e le dolci parole sussurrate nella penombra di fugaci incontri clandestini erano solo un ricordo da conservare come pietre preziose e rare.

Ora doveva dirglielo, ma quali parole erano le più adatte per iniziare il discorso? Iniziare era sempre così difficile!

Si accarezzò il ventre ancora piatto con la mano, tentando di assorbire forza e calore da quello che stava crescendo dentro di lei, quella piccola creatura che ancora non aveva iniziato a prendere forma umana.

Noora notò il movimento, quasi trascurabile. Si alzò in piedi, le mani appoggiate alla scrivania, dimenticò qualsiasi cosa aveva assorbito la sua attenzione fino a poco prima. La sua espressione era grave e seria. Ves trattenne il respiro mentre l'uomo camminava verso di lei a passo deciso, la prendeva per le spalle, chinando il volto sul suo, solenne.

«Non avrei voluto che accadesse così …» iniziò a balbettare, sentendosi improvvisamente piccola e indifesa.

L'uomo la guardò con un misto di affetto, sorpresa e confusione, una serie di emozioni che le era difficile decifrare, non avendole mai lette sul suo viso contemporaneamente. E ancora si chiedeva se poteva ritenersi al sicuro.

Lui le accarezzava i capelli e la fronte, le guance, il collo. Non diceva una parola, sembrava non averne più.

«Sei arrabbiato?» chiese Ves in un soffio di voce.

«No. E tu? Sei spaventata?»

«Un po'» ammise la ragazza.

Lui l'abbracciò, stringendosela forte al petto. Ves si abbandonò totalmente a quell'abbraccio, per nulla preoccupata che qualcuno potesse entrare e sorprenderli in quell'atteggiamento.

Di nuovo in quel corridoio, Ves si sentiva ancora più nervosa e indifesa di quanto lo era stata 6 anni prima. Questa volta non c'era il sole a scaldare mura e vetrate, ancora fermo nell'altra parte del cielo. Le piante nel chiostro erano cresciute, alcune erano stato potate, altre erano state aggiunte. Il neonato Impero Galattico non aveva ancora iniziato a estendere i suoi luridi tentacoli su quella parte della città, da sempre dominio degli studenti. Lì si erano formate le principali menti politiche e militari della Repubblica, ciononostante Palpatine non aveva ancora dato il via alla riforma dell'istruzione che avrebbe sfornato menti ciclostile, proprio quel genere di soldati e senatori che servivano al suo Impero per prosperare in eterno. Si chiese se Noora era destinato a soccombere a questo nuovo schema delle cose.

Non aveva ancora annunciato la sua presenza, si avvicinava nervosa alla porta dello studio, per ritrarsi tra le colonne del chiostro appena avvertiva l'arrivo di qualcuno.

La porta si aprì in un sibilo che la sorprese di spalle, mentre si allontanava per l'ennesima volta indecisa. Il professor Equus ne uscì, impercettibilmente invecchiato, qualche capello bianco in più sulle tempie, una ruga più profonda sulla fronte e sul mento. La pelle scura, come era sempre stata, occhio neri e profondi, affondati in un animo limpido e trasparente, dove avrebbe voluto abitare per sempre.

Vide ancora sorpresa e confusione nel suo sguardo, l'affetto di anni prima era stemperato e scolorito, come uno splendido affresco sbiadito dal sole e dalle intemperie. Così tanto e così a lungo erano rimasti esposti i loro cuori feriti, si erano inariditi come palme nel deserto, affondando le radici sempre più in profondità, dove fuggire il calore per ripararsi dalla morte voleva dire sopravvivere nel gelo di una terra fredda e nera.

E ora doveva lei scavare per far riemergere quelle radici profonde, ricordi dolorosi da riportare a galla, per ucciderli di nuovo impietosamente.

«Ves? Tu qui?» chiese, addolcendo lo sguardo.

«Noora, ti devo dire una cosa importante.» nonostante gli anni passati, parlare era ancora difficile.

«Entra nel mio studio, ho un po' di tempo.»

L'etichetta imponeva che si scambiassero due battute informali, magari sulla salute o sui parenti. Ma i tempi erano infausti e l'occasione della sua visita lo era ancora di più.

«Lavori anche oggi?» chiese Ves, mentre Equus chiudeva la porta.

L'uomo sorrise, capiva l'allusione, e annuì.

«Si, nonostante tutto. Almeno finché questa parte dell'Universo non cadrà sotto lo sguardo di Palpatine.» una risatina sommessa. Ves rimase grave.

Noora turbato sembrava accorgersi di lei in quel momento. Lei, dal canto suo, si rese conto in quel momento, dolorosamente, che non lo aveva più visto sorridere da tanto tempo.

«Scusami, non volevo …»

«No, Noora, scusami tu. Purtroppo non sono venuta qui per fare due chiacchiere …» Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma ancora resisteva, impassibile.

«E' successo qualcosa a Goran?»

Avrebbe voluto essere capace di mantenere il sangue freddo, all'accademia militare le era stato insegnato a dominare le emozioni. E poi aveva già pianto tanto. Ma in quel momento, mentre lo diceva al padre di suo figlio, capì che non avrebbe più rivisto il volto del suo bambino. E pianse.

Potevano due persone separate dal dolore per la perdita di un figlio, riunirsi nel medesimo dolore anni dopo? Forse.

Ma non era per essere consolata che era venuta lì e l'ultima cosa che voleva era essere amata. Perché avrebbe dovuto proteggerlo, salvarlo, sottrarlo dalle mani dei Jedi che lo reclamavano come uno di loro. Portarlo lontano, dove la Forza non lo avrebbe trovato. Dove avrebbe potuto essere un figlio. E dove lei avrebbe potuto essere una madre. E forse parte di questi orrori sarebbero stati risparmiati. In realtà voleva solo essere punita.