Fuga
La luce filtrava fioca dalle finestre oscurate, l'intensità aumentata lentamente, per agevolare un risveglio dolce e naturale. Ves allungò un braccio verso l'altro lato del letto. Sentendolo vuoto, sollevò la testa da sotto il cuscino e si guardò intorno; non c'era nessun altro nella stanza.
Si alzò, avvolgendosi nel lenzuolo e uscì a piedi scalzi nel soggiorno e poi verso la cucina.
Noora era ai fornelli, un profumo di uova e pancetta riempiva la stanza.
«Buongiorno» fece Ves.
«Buongiorno» rispose lui, guardandola da sopra la spalla. Con la spatola indicò il tavolo già apparecchiato.
«Siediti, qui è quasi pronto. Il caffè è già caldo.»
Ves si versò una tazza generosa e iniziò a soffiarci sopra.
«Sei un tradizionalista, ti cucini da solo la colazione.»
«È l'unico pasto della giornata che preparo: il resto del giorno sono in Accademia o in riunione.»
«Di cosa ti occupi ora?»
Noora spense la piastra di cottura, si girò e iniziò a servire la colazione nei due piatti davanti a lei.
«Tengo ancora lezioni all'Accademia, ma ogni tanto vengo invitato a partecipare a conferenze. Gli imperiali sembrano molto interessati ai mondi esterni, alle loro religioni, le loro risorse.»
«Immagino» borbottò Ves, sorseggiando il caffè.
Noora allungò una mano a stringere la sua, ma Ves lo respinse, prese la sua forchetta e iniziò a studiare il contenuto del suo piatto.
«Non ti ho chiesto cosa preferisci, ho preparato quello che mangio io di solito.»
«Va bene. In genere non faccio colazione.»
Non gli disse che aveva ripreso a consumare pasti regolari solo nelle ultime due settimane.
Chiacchierarono del più e del meno, svogliati, evitando accuratamente di parlare del banta nella stanza.
Infine Noora, evidentemente, non riuscì più a tenersi.
«Perché sei venuta da me ieri sera?»
Ves smise di giocare con il cibo e si alzò, un'altra tazza fumante in mano.
«Dovevo uscire da casa di mia madre, non ne potevo più.»
«Sai che non poi rimanere qui.»
«Non posso o sei tu a non volermi qui?»
«Non è sicuro rimanere. Mi sorvegliano.»
«E allora andiamocene. Lasciamo Coruscant. Insieme.»
Noora prese piatti e posate e li gettò nel lavello.
«Non essere ridicola, l'Impero ha spie ovunque. E dove potremmo andare? Dove potrei esercitare?»
«Sei un ingenuo se pensi di continuare a fare il professore sotto l'Impero.»
«No, Ves, l'ingenua qui sei tu che pensa di poter fuggire e far perdere le proprie tracce.»
Ves scrollò le spalle.
«La Galassia è molto vasta.»
Noora grugnì e uscì dalla stanza. Ves lo seguì in sala.
L'uomo raggiunse la consolle, prese una pipa e se la mise tra le labbra, aspirando avidamente.
«Perché vuoi fuggire? Tua madre potrebbe garantire per te, trovarti una posizione…»
«Non ci rimango su questo pianeta. Non dopo quello che è successo. E non nominare mia madre.»
«Tua madre ora è l'unica speranza che ti rimane di avere un futuro. Io davvero non ti capisco! Cos'hai combinato in tutti questi anni? Come sei sopravvissuta? No, come non detto, non lo voglio sapere.»
«No, adesso te lo dico, è giusto che tu sappia come ha tirato a campare la madre di tuo figlio. Ho rubato, va bene? Ho fatto lavoretti sporchi per gentaglia che è meglio non conosci. All'inizio ho provato a fare un lavoro normale, onesto. Per Goran.»
Ecco, lo aveva nominato. Era finita.
«Smettila, Ves. Non puoi tirare in ballo il bambino ogni volta che vuoi giustificarti.»
«Nostro figlio, Noora. Non è un bambino qualsiasi. O ti sei dimenticato? Non ricordi più la tua promessa?»
«Era nostro figlio, ora non c'è più. E non ho dimenticato. Ma è una promessa che ora non vale più nulla.»
«Non solo ora. Non ha mai avuto nessun valore, specialmente per te.»
«Che cosa vuoi, eh? Cosa dovremmo fare ora? Averne un altro? È per quello che sei venuta da me ieri sera? Per quello mi hai supplicata di fare l'amore con te?»
«Quello che ho fatto ieri sera l'ho fatto perché mi girava di farlo, va bene? Avevo bisogno di provare qualcosa, qualsiasi cosa. Non che sia servito a molto.»
«Non è servito a niente! Noi … questa cosa non esiste più. Smettila di inseguire i fantasmi, Ves.»
Noora abbandonò la pipa sulla consolle, che sparse brace e cenere tutt'intorno, e si allontanò verso l'unica vetrata dell'appartamento. Alti palazzi erano visibili ovunque.
Ves lo guardò, per un attimo fu tentata di stringerlo, appoggiare la testa contro la sua schiena piegata e piangere. Ma cambiò subito idea.
«Scusami, è stato un errore. Dammi cinque minuti e sono fuori di cui. Non mi vedrai più.»
