Inquisitore
Erano sulla Luna di Codia da un paio di mesi. Prima di allora non si era mai fermata così a lungo nello stesso luogo: il più delle volte rimaneva due giorni galattici standard, il tempo per trovare del carico o dei clienti da trasportare, e poi via, di nuovo, verso un'altra destinazione.
Aveva trasportato di tutto: grano, caffè, persino kyber una volta (molto poco e solo quella volta); una volta trasportò uova fecondate di porg verso Onderon. Persone ne aveva accompagnate poche, ma sempre ribelli che volevano rimanere sotto i radar o giovani che volevano unirsi all'Alleanza.
Si stava abituando ai periodi di buio, quando Codia era dietro la gigante gassosa e attraversavano la lunga "Notte Fredda", sette giorni in cui non vedevano la luce della stella e si dedicavano alle attività lente, come la raccolta e l'essiccazione del fieno per i reek, la fabbricazione di candele, la riparazione dei veicoli e delle macchine da agricoltura. In quel periodo, i reek dormivano molto, accudivano i cuccioli, mangiavano meno e in genere non li vedevi molto in giro.
Nei periodi di normale alternanza giorno/notte, avevano lunghe ore di luce, in cui la stella oscillava nel cielo senza mai tramontare per quasi quaranta ore, mentre i periodi di buio non superavano le quattro ore. Le finestre delle case erano dotate di oscuranti di legno o stoffa pesante. Lei aveva preso l'abitudine di dormire qualche ora tra un turno di lavoro e l'altro e ormai non aveva più difficoltà ad addormentarsi o a svegliarsi.
Cal si era abituato quasi subito senza alcuno sforzo apparente. Immaginava che ci fosse riuscito grazie al suo addestramento Jedi.
Avevano preso un paio di stanze presso una grande azienda agricola che si occupava di "allevare" i reek, il che consisteva in tre attività principali: coltivare la vegetazione di cui i reek si nutrivano; monitorare i branchi nei loro spostamenti e durante la "Notte Fredda"; catturarli per consegnarli ai mercanti. I reek erano i mammiferi più grandi sul piccolo pianeta, per cui non avevano predatori. Per impedire che la popolazione crescesse troppo, venivano praticati rigidi controlli sugli esemplari adulti, con frequenti sterilizzazioni. Senza contare l'esportazione dei maschi che avevano superato una certa età. Ma Ves preferiva non pensare a quella parte del loro lavoro, perché spesso i reek finivano in arene da combattimento, dove venivano nutriti con dieta carnivora per aumentarne l'aggressività. L'aspettativa di vita dei maschi che venivano esportati era bassissima. Molti veterinari sul pianeta erano obiettori e si rifiutavano di curare i maschi adulti destinati ad altri sistemi. Ma spesso, soprattutto gli allevatori e mercanti senza scrupoli, falsificavano i certificati e li spedivano lo stesso. Nella maggior parte dei casi, i reek finivano sul mercato nero, e lì non si sapeva che fine avrebbero fatto.
Era riuscita a farsi assumere come meccanico: si occupava del monitoraggio degli animali, riparava i mezzi agricoli e i veicoli, faceva anche manutenzione degli scarsi dispositivi tecnologici, quasi sempre di semplice intrattenimento. Cal era bracciante e faceva praticamente tutto: dalla cattura e trasporto dei capi, al lavoro nei campi, ai lavori di meccanica più pesanti. Era cauto e cercava di non usare mai i suoi poteri, ma a volte si fermava a calmare una femmina reek che stava partorendo con difficoltà o domava con facilità i maschi più esuberanti.
«Allora? Ti va di venire fino in città e farci una bevuta? È l'ultimo tramonto che vedremo per sette giorni, i ragazzi volevano fare qualcosa.»
Ves era china sul tavolo da lavoro, impegnata in un ultimo controllo sugli olocom modificati per il monitoraggio del bestiame: erano sul finire dell'estate planetaria e c'erano parecchie cucciolate da seguire.
«Cal che dice?» chiese senza girarsi.
Loola sbuffò.
«Non gliel'ho chiesto. Lo sto chiedendo a te.»
Ves sorrise.
«Non vuoi invitarlo?»
Quando erano arrivati in azienda due mesi prima, Loola si prese subito una bella cotta per Cal, e si vedeva. Ma lui, da vero Jedi, l'aveva ignorata. Dopo un mese passato a fargli gli occhi dolci, Loola ci aveva rinunciato e non gli rivolgeva neanche più la parola. Non che Cal fosse antipatico o asociale, anzi: era cordiale con tutti e parlava con tutti, non rifiutava mai aiuto quando qualcuno glielo chiedeva, a volte anche prima che glielo chiedesse. Ma con le donne era schivo, specialmente con le sue coetanee. Ves pensava che non avesse senso mantenere il rigido codice monastico Jedi, ma Cal era molto legato alle vecchie tradizioni, forse per rispetto verso il suo defunto maestro, forse per nostalgia di tempi passati.
«Qui ho finito. Sento Cal, penso gli farà piacere venire. Ci vediamo a casa fra dieci minuti?»
Loola annuì e Ves uscì dalla rimessa. Raggiunse Cal che stava controllando gli speeder.
«Ciao! È tutto il giorno che non ci si vede. Ti va di raggiungere gli altri in città per una bevuta?»
«Ves! Scusami, sono stato in giro, ho controllato tutte le torrette e i nidi. I cuccioli sono una meraviglia.»
«Sì, sono dolcissimi. E molto forti anche!»
Cal si appoggiò allo steccato, guardando il caldo e rosso disco del sole che scendeva verso l'orizzonte quasi piatto.
«Potrei stare qui per sempre. Questo pianeta è così pacifico.»
«È vero, credo di non essere mai stata tanto serena in tutta la mia vita.»
Cal la guardò, un velo di tristezza negli occhi.
«Nemmeno io.»
«Se rimani qui, dovrai abbandonare la Via, sposarti, mettere su famiglia.» lo canzonò.
Il ragazzo fece una smorfia contrariata.
«Non è vero: ci sono tantissime persone che lavorano qui e non sono sposate.»
«Lo faresti? Rinunciare alla vita dei Jedi e rimanere qui ad allevare bestiame?»
«Perché no? È la vita ideale. Qui è come se l'Impero non esistesse, non si parla di politica, di battaglie. Qui è tutto più semplice: si lavora, si coltiva la terra, su curano gli animali. Mi piace arrivare a sera, stanco, sporco, sudato. Mi fa sentire vivo.»
Cal sorrideva, ed era un sorriso che le riempiva il cuore. Amava quel ragazzo, con tutto l'amore che non aveva potuto dare al proprio figlio.
«Siamo in due.»
Rimasero così, occhi negli occhi, per qualche istante. Poi Cal sembrò turbarsi e volse lo sguardo verso l'orizzonte.
«Cosa c'è?»
«Sento qualcosa. Una mamma soffre. Ma c'è dell'altro che …»
Senza finire la frase, inforcò uno speeder, diede a Ves il tempo di salire e partì verso la bassa formazione rocciosa dove molti reek con i cuccioli andavano a trascorrere il breve letargo.
Arrivarono in un'area brulla, solo qualche cespuglio e fili d'erba gialla coprivano il terreno rossastro. Scesero dallo speeder che Cal nascose sotto un cespuglio più rigoglioso degli altri. La mano di Cal andò istintivamente alla cintura, dove però la sua spada laser non c'era più. Al suo posto, un fulminatore. I braccianti ne portavano sempre qualcuno, per difendersi e difendere il bestiame da bracconieri e ladri. Avvertivano un lamento bovino provenire dalla bassa gola davanti a loro. Si avvicinarono guardinghi. La femmina di reek muggiva disperata, Ves si sentì gelare il sangue. Cal chiuse gli occhi e si mise "in ascolto", così almeno immaginava Ves.
«Cosa senti?»
«L'hanno ferita. Ma c'è anche qualcos'altro.»
«Chi? Bracconieri? Stava difendendo i cuccioli?»
Cal alzò le spalle. Probabile.
Poi accadde tutto molto velocemente. Cal spinse Ves lontano, facendola ruzzolare a terra, mentre con il fulminatore sparava tentando di colpire una figura fasciata di nero che volteggiava sopra la sua testa. Nella quasi oscurità che era scesa rapidamente dopo il tramonto del sole, Ves non vedeva altro che la spada laser rossa brandita dall'individuo che li aveva attaccati. Il familiare ronzio dell'arma le fece venire i brividi e le si fermò il fiato in gola. Avrebbe voluto correre in aiuto del ragazzo, ma sapeva che si sarebbe solo fatta ammazzare. Si trascinò carponi dietro una cumulo di rocce poco lontano, continuando a osservare il duello in corso.
Cal era abile, ma era evidente che la sua arma ideale era un'altra. Ogni tanto alzava la mano sinistra e la figura nera veniva scossa come una bambola o la lama rossa deviata. Per un attimo pensò di vederci doppio, poi si rese conto che le lame erano due. Con un abile uso di fulminatore e Forza, Cal riuscì a separare l'impugnatura centrale e impadronirsi di una delle due metà. Con un paio di fendenti fece indietreggiare l'avversario, che perse la sua spada e cadde su un ginocchio. Rimasero così, Cal in piedi, il nemico accovacciato, entrambi ansimanti. Si studiavano, i volti sudati illuminati dalla luce rossa della spada. La figura era una donna, lineamenti duri, carnagione chiarissima, avvolta in una tuta e mantello entrambi neri, una divisa da Inquisitore che lasciava scoperto solo il viso. L'elsa della spada della donna, ora inerme, volò nelle mani di Cal.
«Come mi hai trovato?»
La donna non rispose.
Cal accese anche l'altra spada e ora le brandiva entrambe, come cesoie, intorno al collo della donna.
«Ne arriveranno altri?»
La donna sorrise. Ves si sentì rabbrividire. Guardò il volto di Cal, teso, sudato, sofferente.
«So che vuoi farlo. Fallo.» disse la donna. Ves ebbe un sussulto.
«No!» disse, trattenendo a stento il panico.
«Chi è questa donna? Tua madre? Tua moglie? Pensi che lei capisca? Io ti conosco, percepisco il tuo potere, la tua ira, i tuoi demoni. Lasciati andare, liberali.»
Ves non capiva perché quella donna lo stesse stuzzicando così. Davvero non le importava di morire? Cal era una maschera di dolore, come se si sforzasse di trattenere un urlo.
Dopo un tempo che sembrò infinito, Cal spense entrambe le spade. Piombarono nel buio, la volta celeste sopra di loro una spruzzata di stelle tremolanti.
Ves estrasse la torcia e corse verso la gola.
La femmina di reek era riversa su un fianco, immobile e silenziosa, un profondo taglio lungo l'addome, gli intestini parzialmente riversi sul terreno. Corse da lei, ma non c'era chiaramente più nulla da fare: gli occhi vitrei e senza vita erano spalancati in un'eterna espressione di terrore e dolore, la lingua penzolante fuori dalle fauci spalancate. Nella scarsa illuminazione della torcia, capì che le viscere della povera creatura erano i suoi piccoli mai nati, ma già formati.
Cal la raggiunse.
«Avrebbe partorito tra poco.» disse Ves con voce rotta. Poi le tornò in mente perché erano lì.
«Dov'è la tipa?»
«L'ho lasciata andare.»
«Chiamerà rinforzi.»
«Sicuramente.»
C'era sangue dappertutto lungo la gola, sulle rocce, sulla sabbia. Poi uno dei corpicini parve muoversi. Ves sbatté le palpebre un paio di volte per liberarli dalle lacrime. Non si era sbagliata, uno dei cuccioli era vivo, ancora avvolto nella placenta. Cal, più veloce di lei, riaccese la spada laser e lo liberò della membrana e del cordone ombelicale. Il cucciolo emise un verso di sollievo e già tentava di alzarsi in piedi.
Ves gli si inginocchiò accanto.
«Calmati piccolo, ora ci siamo noi.»
Poi continuò, rivolta a Cal.
«Dobbiamo portarlo alla fazenda, dargli una lavata, chiamare il veterinario.»
«E come facciamo? Pesa troppo, non riusciremo a trasportalo sul motospeeder.»
Ves tornò la sua attenzione sul neonato.
«Povero piccolo.»
«Non toccarlo troppo, gli lascerai il tuo odore addosso. Dobbiamo attirare un'altra femmina qui e sperare che lo prenda nella sua cucciolata.»
«Dici che sia possibile?»
Cal sorrise.
«Con un poi di convincimento, magari …»
Ves spense la luce, rimanendo accanto al piccolo. Cal si allontanò di qualche passo. Lo sentiva respirare lentamente e profondamente.
Il cucciolo continuava a lamentarsi, affamato. Ves avrebbe voluto accarezzarlo e calmarlo, ma capiva che Cal aveva ragione, doveva stare attenta a non imprimere il suo odore umano su di lui. il reek si aggirava intorno al corpo senza vita della madre, pressando il piccolo muretto contro il ventre.
Si avvicinò a Cal.
«Povero piccolo, sta cercando le mammelle.» disse in un soffio.
«Sssh, ci siamo quasi.» la interruppe Cal.
E come se fosse stata chiamata, ecco un'altra femmina di reek, seguita da un paio di piccoli, entrare nella gola dalla direzione opposta. Individuò subito il cucciolo orfano, si strofinarono i musi. Poi la femmina annusò e ispezionò i cadaveri. Ves distolse lo sguardo.
«Cosa faremo ora?»
«Ci penserà lei: mangerà la placenta, lo allatterà e poi sarà suo figlio.»
«Non sto parlando dei reek, sto parlando di noi. Di quella tizia. Di te. Cosa facciamo? Non possiamo rimanere qui.»
Cal la guardò.
«No, non possiamo.»
Ves non aggiunse altro, si strinse al braccio del ragazzo, tremante.
«Era troppo bello per essere vero.»
«Già.»
Rimasero in silenzio, osservando il rituale che si svolgeva davanti ai loro occhi: la femmina di reek stava lavando con cura il piccolo orfano strofinando il muso sul suo e leccandolo ovunque, mentre questi si attaccava a un seno. Gli altri cuccioli lo scrutavano attenti e quando, con uno sguardo della madre, capirono che non c'era pericolo, si avvicinarono al nuovo arrivato. Ci furono brevi momenti di gioco. Infine, con un verso autoritario e materno, la madre segnalò ai cuccioli che era il momento di andare.
Quando la famiglia si fu allontanata, Cal e Ves uscirono dal loro riparo, strofinandosi i pantaloni.
«Terrai le spade?»
«No. Le distruggerò. È arrivato il momento di costruirmene un'altra.»
Ves annuì.
Tornarono allo speeder e fecero ritorno alla fazenda.
«Tu cosa farai?» le chiese Cal prima di salutarsi e rientrare nei loro alloggi.
«Non ne ho la più pallida idea.»
«Non possiamo starcene in disparte ancora per molto. La fuori qualcosa sta accadendo.»
