I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!

Tu non credere
Se qualcuno ti dirà
Che non sono più lo stesso ormai

Pioggia e sole abbaiano e mordono
Ma lasciano
Lasciano il tempo che trovano
E il vero amore può
Nascondersi
Confondersi
Ma non può perdersi mai

Sempre e per sempre

Dalla stessa parte mi troverai

Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai

Sempre e per sempre

Francesco de Gregori

Sauvignon

(blanc)

Vivi...

Non riusciva a respirare.

La calca era ancora peggiore della volta precedente.

Come potrei?

Tentava di farsi strada, scansando comari, marinai, facchini, soldati...

E poi carretti carichi di merci, barili d'acqua, sacchi di grano, bottiglie di vino, tessuti.

Vivi per te stessa…non farlo per altri che per te stessa…

L'aria era tersa ma umida, il mare ansimava, alito salmastro e fondo, di pari sulfurea consistenza dei miasmi d'un vulcano in eruzione.

Il tuo amore muterebbe nella tua dannazione…allora dimentica ciò che è stato…

La mente incastrata tra l'avanzare della stagione autunnale e la nostalgica e tiepida aria, della stanca estate morente.

Credi che ciò che è accaduto debba essere considerato ignobile e tu non abbastanza nobile per porvi rimedio!? Che discorsi...

Non era l'aria...

Era quella, di quel giorno, di quel mare, lì, sbattuta in faccia sul molo di Brest.

Aria incombente e pesante, mista ad assenza e vuoto.

Ecco...dunque...ecco chi sono! E' questo che voglio che tu comprenda…

L'immenso dell'oceano avanti a sé, incapace di colmare il debole orgasmo che batteva nelle viscere.

L'oceano li aveva divisi e l'oceano li aveva uniti.

S'era sporto baciando la bocca mentre il corpo lieve e intenso declinava una posa di possesso, sollevandosi a sovrastare l'altra, imponendole d'indietreggiare e forse soccombere dinnanzi all'estasi che innervava la carne, al sangue che rimbombava nelle tempie.

Gli ufficiali dettavano gli ordini, gridati via via dalla sommità del vascello fin giù, sul molo, dove mozzi e sottufficiali organizzavano le operazioni di carico e lo stoccaggio dei viveri che sarebbero salpati con la nave.

La bocca baciava la bocca.

Le labbra s'adagiavano piano, lievi, tremanti e sciocche…

Il cuore era rincorso ad accogliere la bocca che s'apriva, lasciandosi baciare…

Il tocco s'era espanso, inebriando i sensi, offuscando il rigore, calando sul livido passato una coltre di calma e nebbiosa indecenza.

Gli ufficiali dettavano gli ordini, gridati via via dalla sommità del vascello fin giù, sul molo, dove mozzi e sottufficiali organizzavano le operazioni di carico e lo stoccaggio dei viveri che sarebbero salpati con la nave.

Non erano nessuno, avrebbero potuto osare ed essere chiunque avessero desiderato.

Nell'istante la terra s'era aperta, il cuore batteva forte, martellando nelle tempie, cadevano, immaginandosi dispersi, raminghi attraverso scogli e maree, soli, inquieti, infuriati di rabbiosa solitudine.

Le grida rotolavano addosso agli uomini sbracciati a issare le casse, chi in spalla, chi a mezzo di somarelli pazienti e chi ancora ad accertarsi che i ganci delle carrucole fossero ben chiusi ed attaccati alle reti di trasporto.

Una nuova partenza...

Non riusciva a respirare.

Ti aspetterò… – gli aveva detto piano, mentre André se ne andava, sperando che lui l'avesse ascoltata, immaginandosi che anche lui l'avrebbe attesa, semmai fosse stata lei ad andarsene.

L'aveva atteso.

Aveva atteso di conoscere l'indifesa carne, violata entro un tempo lontano, senza conoscerne il motivo, seppure nella stupefatta desolazione d'un pestaggio inferto per divertimento forse o per vendetta.

Aveva atteso d'aggirare quell'evento e, in fondo al drammatico sentiero, di udire il suono muto della voce di André, entro quell'istante ove tutto sa d'insondato e dove tutto ciò che si riesce a stringere a sé, poi, nell'istante successivo, fugge via per finire bieco e distorto entro la mente degli amanti.

Aveva sperato d'arrivare in tempo.

Prima…

Quando André se n'era andato.

E dopo, quando l'aveva fatto di nuovo, con la differenza, questa volta, entro la feroce consapevolezza d'aver percorso lo stesso sentiero e di non voler più restare entro lo stesso passo.

Voleva…lui…

Voleva che André lo comprendesse…

Voleva, che però non fosse così evidente, che l'innata vergogna…

Chiunque fosse l'altro…

Qualunque gesto avesse commesso…

Di qualunque nefandezza si fosse reso responsabile…

Di qualunque sublime piacere fosse latore…

Aveva incassato l'ennesimo schiaffo di André, il rifiuto della grazia di Sua Maestà Re Luigi XVI, ultima salvezza, ultimo appiglio a una redenzione terrena, che non era redenzione ai suoi occhi.

Nessuna salvezza accanto a lei, ch'era sua dannazione.

Nessuna salvezza lontano da lei, perché da lontano l'amore sfida ancor più forte...

Quel giorno d'autunno, poco dopo aver appreso dal re della condanna tramutata in deportazione, aveva abbandonato Versailles, era tornata a casa, la mente immersa in una sorta di lago ghiacciato.

Aveva scorto da lontano, nella radura dietro alla casa, il giovane indiano che addestrava il piccolo falco.

Aveva veduto l'animale attardarsi in cielo, come soggiogato dal nuovo paesaggio, in cerca di una scheggia di vento d'afferrare e da cui lasciarsi trasportare. S'era attardato, forse aveva scorto lo specchio d'acqua poco lontano, ove s'avvicinavano piccoli roditori, prede facili e utili.

Poi il falco l'aveva scorta.

Lei...

Pur era planata giù, velocemente, ma l'altra non aveva avuto coraggio d'alzare il braccio, accogliere la bestiola, consentirle d'appollaiarsi riconoscendola padrona, quasi una pari.

L'animale non le apparteneva.

Argo le era venuto incontro.

Quando torna André? L'avete visto?

Sì, l'ho visto...

Allora? Quando torna?

Il moccioso l'aveva domandato, sicuro, in attesa di una risposta.

Certa!

Non torna...- sussurrato piano, che nanny non avesse udito l'osceno destino.

Come...non torna? Perchè?

Non torna...

E' difficile...

Perchè?

Aveva rammentato che non era riuscita a dare altre spiegazioni. Era fuggita via, come una minuscola bambina affranta per aver perduto la sua bambola preferita.

Ma André non era un giocattolo.

André l'amava e lei amava lui, ed era esattamente quell'amore ad aver scompigliato le esistenze, annientato la speranza, distrutto il sogno.

Così aveva tentato di rispettare la sua volontà, aveva tentato di rifiutare André, di nuovo.

Questa volta, per assurdo, perché sapeva che quella donna era lei e che lui andava lontano per lei.

Lui aveva compiuto una scelta.

Disattenderla sarebbe stato troppo ovvio, banale, indegno del dannato orgoglio.

Ridicolo tentare di rimediare al volere dell'altro, che l'altro era stato spudoratamente furbo e proprio su quell'orgoglio aveva fatto leva.

Scalzando il volere, avrebbe soltanto dimostrato che lei era più forte, più caparbia.

In fondo André era ancora servo della famiglia Jarjayes. E sarebbe ridivenuto servo.

Un servo libero, ma pur sempre il suo servo.

Agli occhi del mondo e ai suoi occhi.

Oscar François de Jarjayes non avrebbe mai accettato di vederlo con gli stessi occhi di prima.

Lui l'aveva cambiata, l'aveva piegata al proprio volere, lei si era ritrovata amante e amata.

Tienimi stretta…

Non lasciarmi…

Al tempo stesso anche lui era mutato, in forza di ciò che era lei.

Mezzo passo dietro a te…

Pensami…

Ricordati di me…

Il corpo pervaso e scosso, la mente soggiogata e lieve...

L'ennesima sfida.

Il tuo amore muterebbe nella tua dannazione…allora dimentica ciò che è stato…

Era stanca.

Aveva tentato di fare ciò che lui le aveva detto di fare.

Vuoi liberarti di me!?

Non parlare in questo modo! Ma non lo vedi che cosa ti ho fatto? Ti ho reso debole! Hai mutato il tuo animo per causa mia...

Non riusciva a respirare...

Anche nanny aveva domandato, lo stesso piglio spaventato del moccioso, che a pensarci bene, vecchi e mocciosi hanno la stessa inquieta avversione a tutto ciò che sfugge alla loro volontà.

Anche a nanny aveva tentato di dare una spiegazione. L'anziana governante questa volta s'era impuntata e a costo di andare a Parigi a piedi aveva detto che non avrebbe accettato alcun ordine, da qualunque parte fosse giunto, che le avesse negato di rivedere suo nipote.

Saint Nazaire non era propriamente una prigione, così, per la seconda volta, a un prigioniero era stato consentito di ricevere visite.

Era accaduto il giorno prima della partenza per Brest.

Nanny era ritornata nel pomeriggio, silenziosa, quasi scontrosa.

E lei non aveva avuto il coraggio di chiedere nulla, d'insinuarsi nel mutismo della vecchia governante, perché sapeva che la scelta di André, la caparbia volontà di dividere i destini, era ciò che nanny stessa si sarebbe aspettata dal nipote.

C'era di mezzo una giovane donna.

Questa volta la messinscena era davvero reale.

Inutile raccontare di quell'amore, o chissà, forse nanny lo sapeva, e allora perché costringerla a odiare uno dei due, lei, che aveva indotto già una volta André a lasciare la Francia o il suo stesso nipote che amava colei che non poteva essere amata da un servo?

Si era ritrova senza parole.

O meglio, senza parole degne d'esser latrici d'un tale amore, aggrovigliato entro assurde convenzioni e non solo quelle.

Se avesse rivelato che quella giovane amante era proprio lei, nanny avrebbe finito addirittura per dannare se stessa e l'anima del nipote, per sempre.

Perché aggiungere un tale strazio a ciò che sarebbe stato comunque irreversibile?

Non riusciva a respirare…

Alla fine non era riuscita a dimenticare.

Alla fine, il mutamento del cuore era franato, l'orgoglio disgregato e frantumato.

Tutto troppo semplice...

Non riusciva a respirare...

Lo straziante stridio delle cicale impazzite dal caldo instupidiva i sensi. L'aria umida era scivolata addosso, penetrando lo spesso tendaggio, insinuandosi sulla pelle, come una carezza lieve, che giungeva ad ammansire il grido muto del sesso.

Sul molo, a Brest, l'aveva scorto da lontano, facendosi largo a fatica tra donne che piangevano, sgranando rosari, bisbigliando preziose preghiere che facessero il miracolo d'un ripensamento, d'un perdono, d'una fuga, che quelli che partivano erano reietti, dannati, delinquenti ormai scacciati dalla benpensante madrepatria.

Erano miserabili, seppur uomini vivi.

Dovevano la loro vita, ma non la loro libertà, alla lungimiranza del sovrano che via via andava mutando le condanne a morte in detenzione o deportazione.

Perchè togliere la vita a un uomo sarebbe stato contro il volere di Dio.

Ma togliere la libertà era allora esercizio di potere mansueto, come se vita e libertà fossero misurabili per equivalente.

Sapeva che per André non era così.

Sapeva che per André, la libertà era tutto. E allora lui offriva quella, gliela serviva s'un piatto d'argento, come pietanza ormai rancida, capace d'avvelenare il sangue.

L'aveva veduto...

Il respiro corto...

S'era avvicinata, parandosi davanti, rischiando d'essere investita dalle casse issate ch'erano ondeggiate per via della carrucola sghemba e poco affidabile.

Qualcuno aveva gridato, lei s'era scansata d'istinto, che André l'aveva afferrata per un braccio, tirandola a sé, d'istinto.

L'ultimo contatto, feroce e dannato, passo di danza ravvicinato e osceno, intensamente sprezzante.

Nessuna domanda.

André Grandier l'aveva guardata, nello sguardo lo stesso disprezzo del giorno in cui se l'era ritrovata a Brest, quando lui si era arruolato ed era partito per l'America.

Questa volta il disprezzo era mescolato e macerato nella consapevolezza d'essere stato lui a indurla a esser altro da ciò che era sempre stata.

André sapeva che Oscar l'amava. E più tentava di distanziarla da sé e più quell'amore si torceva e soffiava e s'intestardiva, come una serpe che muta pelle ma in fondo resta sempre la stessa.

André Grandier non disprezzava lei, disprezzava se stesso.

Non avrebbe avuto senso chiederle che ci facesse lì.

Non avrebbe avuto senso chiederle nulla.

Non riusciva a respirare...

Eruppe disarmonico il sapore salmastro del mare, silenzioso e tiepido, inondando la stanza, le tende appena dischiuse gonfiarono ombreggiante e nostalgica luce, a trafiggere il meriggio, spalancare lo sguardo, impigliandosi nel respiro follemente aggrovigliato al sogno o forse alla ricorrente e testarda intenzione di vincolarsi ancora e ancora all'ultima immagine di sé accanto ad André.

Scenario già sognato, seppure un tempo senza sapere perché. Ora no, ora il sogno era vincolo e catena rugginosa, lì lì per frantumarsi.

Gli occhi sgranati si fissarono al soffitto spoglio, le narici sollecitate dal sentore d'un thè ormai freddo, stancamente prigioniero d'una tiepida porcellana bianca, poggiata sul tavolino.

Da lontano l'incessante mugghiare del mare, spumoso e freddo, bianco e grigio, instupidiva, mentre le cicale impazzite inondavano la coscienza, fastidiose, insistenti, delicatamente ruvide nello strappo allo stanco sonno.

Tutto riecheggiava in testa, tutto l'aveva cullata e tenuta sveglia dalla sera precedente, fin quasi all'alba, dopo che era giunta nella casa in Normandia.

Un respiro fondo.

Gli occhi tornarono a chiudersi, immergendosi nell'istantaneo e feroce resoconto di ciò ch'era accaduto.

3 septembre 1783, Versailles.

Dopo laboriose trattative diplomatiche, Inghilterra e Stati Uniti avevano finalmente firmato il trattato di pace di Parigi.

Gli inglesi riconoscevano formalmente l'indipendenza delle ex-colonie americane e la sovranità degli Stati Uniti sui territori a est del Mississippi compresi tra il 31° parallelo nord e una certa linea, a sud dei Grandi Laghi.

Nello stesso giorno Inghilterra, Francia e Spagna avevano firmato i trattati di cessione dei territori, in onore alle potenze vincitrici.

L'Inghilterra aveva ceduto l'Isola di Tobago e il territorio africano chiamato Senegal alla Francia mentre la Spagna era riuscita a riconquistare Minorca e la Florida.

Nitriti di cavalli raggiunsero l'alcova tiepida e solitaria.

Si alzò, la testa girava un po'.

Lo sguardo corse ad ammirare il paesaggio marino che volgeva alla stagione autunnale.

Un'altra.

Spuma lontana biancheggiava invidiosa della terra, s'agitava per conquistarla, spinta dalle correnti del nord, lambita da raggi guizzanti, rilucenti, saettanti tra nubi scure e gonfie di pioggia e accumuli bianchi e morbidamente accoglienti.

Oscar François de Jarjayes aveva tentato di dimenticare André Grandier.

Il che voleva dire dimenticare se stessa.

Sferzò la chiosa dirompente.

Ritrovarsi immersi nella vita di un'altra persona e al contempo avviluppati nella sua assenza.

Tutto strideva e annientava al tempo stesso.

La scelta di André era stata feroce ma inevitabile, ingiusta, dolorosa.

Negò, Oscar, come per scacciare di nuovo le dannate parole che gli aveva rivolto, sul molo a Brest. In fondo non si capacitava come lui non ne avesse più ricordo.

André…se tieni più alla sua purezza che al tuo amore per lei…allora forse non ne sei così innamorato!

La scansione assurda...

E tu…tu che ne sai dell'amore!? Quali strade percorre? Quali strade ci costringe a percorrere? Augurami buona fortuna!

No!

Sei testarda!

Quella donna era lei, era sempre stata lei, Oscar François, ma paradossalmente non lo era. Non ancora. Non era ancora la donna che avrebbe avuto il desiderio fondo di chiedere ad André Grandier di restare.

Perché lo amava e perchè sapeva d'essere amata da lui.

Resta!

E sia...lo farei solo se…solo se fosse lei a chiedermelo…allora si…

La chiosa colpì, s'impresse…

Resterei…se fosse lei a chiedermelo….

E solo se me lo chiedesse spontaneamente…senza costrizione da parte di nessuno…

Ora...

Era divenuta un'altra donna...

Ora lo amava...

Ma ora che lei era davvero quella donna...

Proprio perchè lo era...

Dunque era prigioniera di se stessa, dunque non sarebbe mai potuta fuggire da se stessa.

Era un amore disperatamente grande, troppo immenso per lei. Anche per lei. Doloroso e assurdo.

Sul molo, l'aveva chiamato per nome. Il suo nome scandito netto.

André...

Sei tornata…

Il sorriso si era rivelato un poco triste questa volta, come se André fosse felice di vederla, e al tempo stesso ne fosse rimasto disarmato.

Come se la presenza dell'altra, lì, fosse una sorta di miraggio, una specie di ubriacatura che avrebbe avuto pregio di far dissolvere l'intento di restar fermo sulla propria decisione e dunque illuderlo d'indietreggiare, cedere alla grazia concessa dal re, abbracciarla e fuggire via, con lei.

Lei era divenuta quella donna, pareva un sogno e nei sogni ci si può concedere d'essere stupidi, pazzi, insensati.

Ma non fino al punto di disonorare un amore così intenso e puro e...

Oscar l'aveva guardato, nella testa il rumoreggiare della folla tutt'intorno pareva davvero ignorarli stavolta, se non per un solerte secondino che s'era avvicinato paurosamente – André non era più un soldato ma un condannato alla deportazione - frustino in mano, pronto a sferzare il detenuto che osava rallentare il lavoro, la disciplina doveva esser chiara fin dalla partenza.

La mano del nobile ufficiale s'era sollevata all'indirizzo della guardia, le dita aperte, il disprezzo di vedersi interrotto il dialogo.

Vattene! - sibilato piano, la giacca scostata con l'intenzione di lasciar apparire l'arma.

L'uomo aveva squadrato il detenuto, il ghigno di risentimento rivelava l'intenzione di lasciar perdere per il momento, ma di certo in qualche modo il prigioniero avrebbe ricevuto la sua dose di frustate.

Non si mai davvero liberi quando il proprio destino è rimesso nelle mani di un altro essere umano.

Il senso di onnipotenza e di potere rendono bestiale qualsiasi salvezza, che resta allora pura e bieca sottomissione.

André non le apparteneva più. André era libero e prigioniero al tempo stesso.

Sei ancora in tempo, vieni via con me! Anche se hai rifiutato la grazia del re...sei un...

Pazzo! Sì...sono stato un pazzo ad amarti...sono stato un pazzo a desiderarti...

Io...ti aspetterò!

Non aveva trovato altro modo di provocarlo che gettargli addosso quella colpa. Amore diveniva dunque disperazione, dolore, impossibile d'accettare in solitudine.

Amare non significa sacrificarsi ma imporre un sacrificio all'altro...

André avrebbe mai accettato di vederla rigirarsi nel buio, nel nulla, lontano dalle sue braccia?

Nel vuoto...

Ti aspetterò...

La chiosa liberò tutto il suo ancestrale sapore...

Non devi farlo! – la risposta secca, quasi dolorosa – Non dovrai mai aspettare nessuno! Non me! Questa storia non ci appartiene...tu non mi appartieni...tu sei Oscar François de Jarjayes...sei...

Libera...

La libertà dell'altra allora eruppe.

Senza la minima incertezza, senza il minimo pudore.

S'era aggrappata alla camicia stracciata, la stoffa afferrata e ritorta con rabbia tra le dita…

La bocca rincorsa…

Che André era sempre stato più alto, e adesso lei sentiva d'essere ormai indissolubilmente piccola.

Indecifrabile bruma calata sul cuore al rintocco del bacio...

Quel bacio d'addio che lei non s'era concessa e che non gli aveva concesso, quando André si era arruolato.

Il bacio salato indusse le labbra a contrarsi, la sottile pelle, inaridita per via del viaggio, s'era un poco tagliata.

Ci passò la lingua sopra. Fu anche peggio.

La saliva arse i tagli, il bacio riemerso frantumò gli intenti.

Il thè ormai freddo calò giù nelle viscere, regalando un isperato sollievo, come un condannato che dispone dell'ultimo pasto prima di morire.

Il sogno ricorrente andava via via sbiadendosi...

Stava dimenticando André.

Un tempo ne sarebbe rimasta inorridita.

Ora, a poco a poco, ammetteva che piegarsi al suo desiderio, questa volta intenzionalmente e coscientemente, sarebbe stato come liberare persino André stesso dal peso della colpa di averla amata, dal peso del sacrificio che lui le aveva rovesciato addosso.

Amare André dimenticando André...

Essere libera come lui aveva sempre desiderato che lei fosse.

Amare André tradendo André...

Si vestì, imboccò la scalinata che portava al giardino e poi alla spiaggia incastonata tra gli speroni aguzzi di roccia bucati dalla forza antica del vento.

I passi affondavano sulla sabbia. Lo sguardo spaziava in cerca dei compagni di viaggio con cui era giunta nella casa in Normandia.

Scorse i cavalli che pascolavano dietro una duna, nelle vicinanze di arbusti che sfidavano la corrosa salsedine del mare, regalando forse saporite foglioline da brucare.

Due cavalli...

In realtà per scovare gli ospiti sarebbe bastato sollevare gli occhi al cielo.

Uno stormo di gabbiani lanciò strida sdegnate prendendo a correre goffamente sul bagnasciuga, spaventati dall'uccellaccio che invece si divertiva a volteggiar loro sopra la testa, a disorientare la fuga.

Si divertiva Pur, imboccando le correnti marine ascensionali, proprio come quei dannati gabbiani garruli sparpagliati in mille direzioni.

Il falco planò giù velocemente.

Il primo attacco fallito lasciò l'ammaestratore beffato e un poco irritato dall'insolenza della bestia.

Il motivo era semplice. Pur l'aveva intravista ed era volata fin lì, appoggiandosi al braccio alzato fortunatamente coperto dalla tela spessa della giacca.

"Mademoiselle..." – strillò Argo venendole incontro – "Questa bestiaccia continua a disobbedirmi!".

Oscar guardò il falco che sistemava le ali, sprimacciando alla meglio le penne un poco arruffate dal volo.

"Concedigli un minimo di disobbedienza. E' comunque una bestia selvatica. Ha i suoi gusti e i suoi desideri. Preferiresti forse che ti obbedisse alla stessa stregua di un cane?".

"No mademoiselle. Mi piacciono i cani ma preferisco i falchi".

Il giovane indiano sorrise, i capelli neri e lucidi ammaestrati entro una lunga treccia che lasciavano scorgere un viso più adulto, incorniciando lo sguardo intenso, parimenti nero e sprezzante, come quando si comprende che la vita incalza e nuovi desideri d'afferrare si affacciano via via all'esistenza e non si può più affrontarli con l'ingenua innocenza dei mocciosi.

Il bambino non era più un bambino.

Era diventato più alto, più robusto, incredibilmente abile nelle discipline che svariati maestri si erano presi l'impegno di insegnargli.

Oscar prediligeva materie letterarie, pur non disdegnando il tiro di scherma e l'equitazione...

Lo sguardo si sollevò verso il mare.

Il riflesso dell'acqua rivelò la figura che avanzava, brache bianche grondanti, appiccicate al fisico tornito e forte, capelli parimenti umidi a incorniciare il torace ampio e impostato.

Gli sguardi si scontrarono.

Argo corse verso l'uomo, rivolgendogli un mezzo inchino di sbieco, per nulla ossequioso, quasi una presa in giro dell'altro che avanzava sulla sabbia a piedi nudi.

Che quello gli rise in faccia e per poco non ricambiò con una boccaccia, l'espressione distorta in una sorta di maschera irriverente e sghemba, uno scorcio entro la parte meno esemplare d'un uomo che si era sempre distinto per il rispetto altezzoso dell'etichetta e che d'improvviso si ritrovava libero di non essere chi era sempre stato.

Libero di ridere e adirarsi, libero di seguire il ritmato ondeggiare del desiderio.

La maschera cadde subito.

Il cuore rallentò un poco alla visione di Victor Clement de Girodel che raggiuntala, si piantava ritto e fiero di fronte a lei, un respiro fondo, la destra a tirare indietro i capelli bagnati, mentre il debole sole disegnava le ombreggiature dei muscoli.

Pareva una specie di creatura marina piombata sulla terra...

"L'acqua è gelata, eppure l'estate non è ancora terminata!" – esclamò Victor, andando con la mano a strizzare la lunga coda di capelli fradici che ondeggiavano sulla schiena.

Oscar corse oltre l'altro a fissare il mare.

Per un istante Victor Girodel si beò nel dubbio che l'altra avesse preso a impensierirsi osservandolo e dunque non avesse abbastanza arroganza da lasciarsi attrarre dalla sua figura.

S'illudeva sempre Victor Girodel, seppure aveva imparato che una donna come Oscar François de Jarjayes non avrebbe accettato accanto a sé un uomo, solo perché bello, gentile...

Fradicio d'acqua di mare!

Gli venne quasi da ridere!

L'illusione vive entro una sua splendida dimensione, godendo della stessa pura evanescenza d'una realtà ormai fuggita nel tempo.

Anche se in qualche modo la realtà ha toccato i sensi.

Mentre l'illusione...

Chissà se l'illusione ha pregio d'assumere la stessa consistenza d'una realtà ormai perduta?!

Chissà se entrambe non esistono altro che nella mente del malcapitato illuso?!

Victor Girodel aveva ammesso che l'altra, Oscar François de Jarjayes, era divenuta ancora più bella.

La purezza di un tempo, forse scalfitta da un amore distorto e senza speranza, s'era mutata in altro, riuscendo a opporsi all'abbandono.

Oscar François de Jarjayes era sopravvissuta e al tempo stesso s'era ritrovata intensamente ripiegata entro una sorta di luce opaca, tiepida, che non scalda ma che neppure ferisce, come chi ama senza poter godere dell'amore che alberga nel cuore.

Lei era ancora dentro una gabbia dorata.

Lì dentro nessuno avrebbe mai potuto oscurare la sua luce.

Aveva amato dunque, Oscar François de Jarjayes, s'era piegata alle regole dell'amore, s'era adattata ad esso, ma poi, per sopravvivere, anziché plasmarsi sulla vita dell'uomo che aveva amato, se n'era allontanata, uscendone più sofferente, vera, ma soprattutto libera, ed era forse in quella certezza di libertà che Victor Girodel aveva intuito il crescente affetto, la resa a sentimenti ben più saldi dell'amore, quelli che da sempre lui stesso aveva coltivato e che ora aveva possibilità di offrirle.

Le dannate parole di Madame Aleksandra Roma rimbombarono nella testa...

Certi uomini ambiscono a conquistare le donne sensualmente ribelli, quelle che non sono facili da domare…per certi uomini è quasi una sfida a se stessi più che alla conquista dell'altra…ma poi…una volta che tale bellezza sia stata presa…Monsieur Girodel…non finireste voi stesso per disprezzare una donna che vi diventasse docile e devota sotto le vostre dita?

Questa donna intendo…non una donna qualsiasi!?

Ah…gli uomini…benedicono le donne che sono fragili come i fiori più preziosi da conquistare e poi quando esse perdono il loro profumo segreto…le maledicono per ciò che sono diventate! Banali e sottomesse! Perfette dame di società, madri e mogli…

Victor Girodel aveva ammesso che il profumo emanato dalla pelle dell'altra pareva inebriare ancora più di prima.

Madame…non vedo cosa ci sia di male a che una donna diventi madre e moglie…e…una dama capace di stare in mezzo alla nobiltà più insigne di Francia…colei di cui state parlando potrebbe essere chiunque lei volesse…

Chiunque vorreste voi!

Dunque voi mi state dicendo che né io, né chiunque altro potrebbe mai avvicinarsi a lei…perché così facendo lei non sarebbe più la stessa?

Io non dico nulla monsieur…osservo e deduco…ascolto e immagino…voi l'immaginereste mademoiselle fasciata in un lungo abito da ricevimento…agghindata ed imbellettata, magari un neo finto, cipria sul volto, un'acconciatura sontuosa di piume e fiori!?

Oppure ficcata in una sfarzosa uniforme, mostrine dorate, cordelle d'argento, istoriata di ricami preziosi…parimenti fasciata ed incapace quasi di respirare?

Che ne sarebbe di ciò che è lei davvero? Chi è lei davvero!?

No!

Non era l'antica purezza che faceva di Oscar François de Jarjayes la donna che lui ammirava.

Era l'inevitabile e oscura lucentezza emanata dalla resa all'amore, dall'impossibilità di amare e...

Dal desiderio di vivere, nonostante il buio.

La osservò, Victor, disteso dietro la duna, i gomiti puntati a terra, il corpo un poco sopraffatto dalla lunga nuotata, intorpidito dalla sensuale resa alla fatica.

Oscar era lì, accanto, il profilo severo mentre osservava il mare, statico anche se scalfitto dal vento, morbido anche se piegato dalla salsedine marcia.

Al moccioso era stato detto di correre a recuperare la cesta con qualche vettovaglia, necessaria a una veloce colazione.

Mulinelli di sabbia danzavano in lontananza...

Victor si voltò a osservare Oscar, i capelli nascondevano lo sguardo sperduto.

Chiunque fosse stata in quel momento, era bella.

Lo era e basta.

Il moccioso rovinò giù dalla collinetta di sabbia, il cesto saldamente stretto tra le mani, sulla testa, quasi buttato a terra, per non rischiare di perdere l'equilibrio.

"Ehi!" – lo rimproverò Victor – "Stai più attento! Ti ho insegnato che quando si trasportano certi preziosi...si deve avere garbo!".

Victor Girodel s'era dunque impuntato a insegnare al moccioso indiano almeno un poco di etichetta e qualche buona maniera, alla maniera dei francesi.

"Perdonate monsieur.. Il garbo ce l'ho messo tutto. Ma la cesta stava quasi per essere portata via dalla marea...là...in mezzo agli scogli, dove l'avevamo lasciata! Così il vostro prezioso garbo se lo sarebbero bevuto i marinai che se lo sarebbero ritrovati in mare!".

"Era al sole?" – domandò spaventato Victor.

"No!" – scherzò il bambino sull'attenti – "Il vostro prezioso garbo è intatto...e abbastanza freddo!".

Oscar ascoltava.

Sorrise, intuendo lo scarto forzato del cuore, alleggerito, come rapito dal dialogo schietto, insolito e fulmineo che sferzava tra i due, quotidiana e insulsa banalità capace d'irradiare una sorta di complicità sincera.

Lo schiocco d'un tappo che saltava via...

L'implosione dei sensi...

André era ormai lontano. Se n'era andato, per ben due volte.

E non perchè non l'amasse abbastanza ma perchè l'amava alla follia.

Un amore intenso...

Un amore che mai neppure il tempo avrebbe sconfitto.

Un amore troppo grande...

E dunque troppo infimo.

"A te!".

Si voltò ritrovandosi in alto il calice di vino ambrato, appena appannato dalla mistura più fredda che ondeggiava nella trasparente luminosità d'un campo di grano ormai maturo.

L'aria scorreva lungo direttrici severe, giocando sinuosamente, infaticabili scie rilasciavano sentori di fiori estivi, roseti un poco appassiti dal sole.

"Che...".

"Mademoiselle...uno splendido sauvignon!" – decantò Victor in attesa che l'altra allungasse le dita per sostenere il calice – "Blanc per l'esattezza!".

Argo era affaccendato a cavar fuori dal cesto e affettare la pagnotta fragrante, assieme ad alcune fette di formaggio, e poi marmellata, uva e fichi e due generose fette di torta.

"Ieri sera non hai praticamente toccato nulla. Siamo arrivati tardi è vero. E questa mattina ti ho lasciato riposare. I turni di guardia alla reggia in questi mesi sono stati pesanti. E l'onore che mi hai concesso di ritrovarci qui a godere di qualche giorno di riposo andava ripagato con la massima discrezione...".

"Un buon bicchiere di vino bianco e una cesta di formaggio e frutta.." - ribatté l'altra lasciandosi inebriare dal bouquet – "Non li definirei proprio discreti!".

"Oh!" – lo sguardo chiaro, d'intrecciato verde di colline di primavera, s'allargò, mostrando stupore, la chiosa finalmente assurgeva al rango d'una affermazione provocatoria, quanto bastava per lasciar scadere il dialogo in una leggera diatriba lessicale. L'altra era sapiente nel cogliere le provocazioni ma non sempre disincantata a sufficienza da lasciarcisi coinvolgere e ribattere.

Argo era corso via a cercare un paio di pietre che avessero avuto la meglio sulla svolazzante tovaglietta.

Victor era tornato a osservare il mare, spiluccando una mollica di pane.

Entrambi avevano già approfittato d'un primo sorso, indugiando a indagare la mistura, sprofondando nel vortice regalato dalla misteriosa trasformazione d'un semplice grappolo d'uva in un delizioso e sfuggente dono della natura.

Stavolta fu Victor Girodel ad accorgersi che lei s'era voltata.

Oscar François de Jarjayes non osservava più il mare.

L'oceano era fin troppo vasto, troppo fondo, troppo agitato, troppo lontano.

Le pareva d'affogare in una vastità devastante.

L'oceano l'inghiottiva…

Saliva la vertigine dell'abbandono…

L'aveva ispezionato a fondo il mare, là, nel punto esatto dove esso finiva e dove iniziava la terra.

Chissà come, le era parso di ascoltare i passi muti dell'altro, poco dietro i suoi.

André…

Mezzo passo per l'esattezza, i piedi nudi affondavano un poco nella sabbia grossa, la rena degradava giù entro il trasparente blu di un mare pieno e piatto.

Il vento a scompigliare i capelli, la mano che s'allungava ad afferrare la sua e lei si voltava un poco a lasciarsi prendere...

La mano sospesa...

S'immaginò Victor Girodel che l'uomo che Oscar aveva amato fosse stato proprio come quel mare, tumultuoso, fondo, sempre in movimento, mai uguale a se stesso.

Ma non si può sopravvivere a lungo in balia delle onde, in balia d'una distesa senza fine, immensa.

Di contro egli era proprio come quella terra, forse all'inizio un poco incerta, dune alternate ad avvallamenti, cespugli di ortiche mescolate a denti di leone, erbacce...

Però la terra avrebbe dettato equilibrio, essa sarebbe rimasta salda ad accogliere i passi, mai infida.

Sarebbe stato possibile sopravvivere su di essa, in pace e rassegnazione.

Victor d'istinto sollevò la mano, allungandosi un poco per porgere alle labbra mute dell'ospite un pizzico di mollica morbida, abbinato a un grano di formaggio.

D'istinto, senza intromissione alcuna della coscienza o del ragionamento.

D'istinto, come a offrire all'altra una immeritevole ostia di salvezza...

D'istinto...

E le labbra si schiusero, accogliendo l'esiguo pasto, chiudendosi poi, come a stringersi all'insperata salvezza, trattenendo la grana saporita, lambendo le dita dell'altro…

Che, d'istinto, non le ritrasse, seppure l'intento era stato solo quello di evitare che il pane cadesse a terra.

Victor Girodel s'accorse dell'impercettibile ondeggiamento del capo dell'altra, ch'era rimasta lì, in ascolto delle proprie labbra sfiorate dal repentino tocco delle dita.

Oscar François de Jarjayes aveva imparato ad amare e tutti i grandi e immondi discorsi sull'amore puro e casto e incontaminato si disgregavano al semplice balzo d'un polpastrello contro il velo liscio e sottile delle labbra.

Victor Girodel rammentò il bacio feroce che s'era preso, d'istinto, quando l'aveva ritrovata, in America, solo per affermare ch'era felice che lei fosse viva.

Un bacio folle, un bacio di pietà che nessuna donna meriterebbe mai di ricevere, perchè le donne non desiderano suscitare pietà o commozione o...

Il braccio rimase sospeso, l'altro gomito s'impuntò ancora di più, affondando un poco nella sabbia.

Il moccioso era di ritorno con le pietre.

Victor Girodel colse l'attimo, sporgendosi, spingendo la propria terribile esistenza a tendersi, come arco che geme e spera d'esser liberato al più presto dalla sensuale forza che lo tende, prima dello scoccare della freccia.

S'allungò, gli occhi si chiusero e la bocca s'aprì per cogliere il lieve schiudersi della bocca...

La destra s'impose a sfiorare il capo, afferrarlo, tenerlo a sé, nella terribile suggestione d'un rifiuto, che lei si ritraesse.

Una carezza quasi impercettibile, lo sguardo chiuso, il respiro contratto, Oscar scorse alle labbra che baciavano le labbra, mentre le dita adagiate a terra, tessevano impugnature di sabbia, fredda e sfuggente.

Mille granelli di sabbia...

Nell'istante rammentò il bacio, l'altro bacio, quello che aveva colto, cogliendo la bocca, tirando a sé l'uomo ritrovato, che lui s'era lasciato tirare giù, finendo per cedere alla follia.

Diveniva donna per la seconda volta?

Diveniva donna nel solo modo che conosceva...

Tradiva se stessa dunque, tradiva André dunque, per la seconda volta, così da essere libera, così come lui le aveva chiesto?

Una libertà amara...

Chissà se André l'avrebbe mai immaginata così forte, capace di esistere nella propria solitudine e di scegliere indifferentemente se restarvi dentro, oppure rincorrere altre labbra, liberamente, come in fondo lui stesso le aveva detto?

Che fosse amore o non lo fosse…

Chissà se André avrebbe giurato sulla propria vita che lei davvero l'avrebbe atteso, portando su di sé l'immane fardello d'un amore che impone il massimo sacrificio!?

Non aveva più importanza.

Il bacio eruppe, i denti morsero piano le labbra, succhiando il debole sentore dell'inebriante vino...

Il moccioso rovinò a terra per davvero questa volta, mentre le due pietre rotolarono sulla tovaglietta così da imprigionarla al suolo, impedendole di svolazzare via.

Il tonfo scompigliò gl'intenti

Resterai solo…mi dispiace…non avrai più accanto a te l'unica donna che ti amava e che ti avrebbe amato sempre.

Come la consistenza massiccia del cavallo che incespicava e cadeva a terra, trafitto dalla grandinata di pallottole che trafiggevano i muscoli, la carne, il cavaliere esile come un giunco selvatico.

E non potrai mai avere l'unica donna che ami e che amerai sempre…

Victor Girodel s'impietrì trafitto dalle ruvide parole della giovane indiana morta.

Il corpo teso scattò.

Inevitabilmente...

Dapprima in avanti, ad afferrare colei ch'era viva ma forse non l'amava, e scacciare colei ch'era morta ma l'aveva amato davvero.

Si spinse contro Oscar, spingendola indietro, per prendersi il respiro vivo e soffocare il dannato respiro morto.

La bocca attinse al respiro, la lingua alla lingua.

Solo un istante d'esitazione mentre la volta azzurrata sbiadiva, inghiottita entro umide pennellate di tramonto.

Si spinse contro di lei, lei si lasciò spingere, ritrovandosi giù, entro la spinta morbida della sabbia, il peso addosso, mentre ascoltava la gola chiudersi, stringersi a soffocare il gemito di dolorosa rabbia che spezzava gl'intenti, sferzando lancinanti stille che bagnavano il viso, inevitabili, nell'incredula ammissione di non avere più una volontà propria, quest'ultima piegata dalla silenziosa presenza, insinuata dentro di lei.

Dimenticare André...

Rotolarono nella testa, gigantesche onde di furioso vento, i lunghi mesi ch'erano scorsi senza sapere nulla di lui, senza conoscere nulla di ciò che davvero sentiva per lei, se non attraverso le parole scritte sulle dannate lettere.

Giornate diverse le une dalle altre, ma al tempo stesso giornate tutte uguali.

Ore trascorse a scacciare André dalla mente, in qualche caso con debole forza, in altro con stizza infinita.

A poco a poco André Grandier era diventato una sorta di immagine pulita, lontana, lieve, quasi mistica.

Se non che, nello scorrere dei giorni, ad un cenno di brezza, ad un taglio particolare d'un raggio di sole, posato sul lucido legno d'un mobile su cui avevano studiato assieme, lui ridiventava vivo e presente, come piantato nel cuore, più che nella testa.

Ancora di più, perché quel legno antico aveva accolto uno sguardo ch'era già d'amore e adesso, indicibile strazio, ora anche lei lo vedeva e l'udiva…

La bocca accolse la bocca...

Il corpo immobile si ritrovò incapace d'adeguarsi al peso dell'altro...

Victor corse alle mani, le strinse, la tenne lì un altro istante, intuendo il crescendo della follia che gli s'era piantata nel cuore.

Un istante ancora...

Si staccò, guardò colei ch'era lì, sotto di sé.

L'effige dell'altra...

Di colei che l'aveva amato.

La dannata indiana aveva insinuato un seme nella carne.

Il blasfemo germoglio dell'amore, mai scritto, mai cantato, muto, nero, evanescente.

Ciò che lui aveva sempre rifiutato era finito lì, dentro di sé e adesso non era più certo che ciò che volesse fosse altro di diverso che quello.

Voleva essere amato.

E dunque sorgeva il tacito terrore che lei, Oscar François de Jarjayes, non l'amasse, che non l'avesse amato mai e mai l'avrebbe amato.

La gelosia nera e viscida sorse.

Non era mai stato geloso e adesso invece lo era.

Victor Girodel si ritrasse all'indietro scorrendo scomposto allo sguardo di Oscar che non riuscì a restare addosso a lui e di colpo si alzò, un ginocchio a terra, con sforzo immenso, come se da un momento all'altro sarebbe stata ingoiata dalla terra.

Saresti capace di amare la terra?

Corse via verso il blu agitato del mare, mentre il vento gonfiava il respiro, portando alle narici l'alito pungente d'una pioggia lontana che a poco a poco s'avvicinava.

Victor fu costretto a tirarsi su, sedersi, mentre il cuore pareva impazzito, estasiato dalla resa dell'altra ma al tempo stesso vinto dalla follia che albergava nel cuore.

Si rese conto di non sapere se Oscar François de Jarjayes l'amava e si rese conto che non saperlo l'aveva costretto a ritrarsi, indietreggiare come fosse stato sconfitto da un avversario che stava adesso piantato nella testa.

Il mancato amore, un tempo frutto d'intenzionale ricerca, voluto come il più saldo dei sentimenti, la più granitica delle certezze, perchè svuotato dell'ondivaga imposizione delle passioni, diveniva improvvisamente mostro putrido capace d'annientare la volontà.

E allora, di colpo, ammise di non sapere più se adesso lui davvero amava Oscar François de Jarjayes, mentre il fantasma diabolico della dannata indiana questa volta si era presentato lì, poco dietro a sé, come portato dall'obliqua luce del sole ingoiato dalle nuvole.

Non più nell'incoscienza del sonno, dunque, com'era accaduto ormai da quando l'aveva perduta, ma lì, addosso, incisa nella carne che tanto lui aveva disprezzato.

Osservò Oscar allontanarsi, non avrebbe avuto coraggio d'inseguirla, proprio adesso ch'era più vulnerabile, proprio adesso che lui le era così vicino.

I passi condussero alla risacca del mare.

Il rimbombo della tempesta esplose nella testa mentre da lontano nuvole bianche e gonfie avanzavano lente ma inesorabili.

André Grandier aveva distrutto la sua esistenza.

Si era preso tutto di lei, non le aveva lasciato che due dannati addii, uno più assurdo dell'altro, uno più feroce dell'altro.

Tutto era mutato, svuotato, bieco, frammentato.

La dannazione di perdersi come unica via d'uscita...

L'aveva cercato con gli occhi...

L'aveva veduto appoggiato al muro della scuderia, braccia consente, aria severa, in attesa, come al solito.

Aggrappato alla vita di lei, ai suoi ordini, alle sue balzane pensate.

La dannazione…

Che un tempo lei si era già perduta, seppure era accaduto in un tiepido sogno, subito scacciato via dal rigore dell'alba e degli impegni della vita, ma lei non l'aveva compreso.

Stavolta i passi l'avevano portata ad avvicinarsi.

Non udiva rumori, nessun rimestare di ferri o nitriti di cavalli o grida di fabbri od inservienti…

Nessun andirivieni nonostante fosse quasi il tramonto.

Luce lilla ammantava le cime dei pioppi poco più in là, le betulle agitavano al vento le tenere foglie, le fontane zampillavano esigui getti, le condotte chiuse dal mastro fontaniere, in previsione della notte.

Il mastro fontaniere…

Chissà se ci aveva parlato lo strano scienziato…

Perle liquide schizzate sul selciato di mattoni rossi, asciugate dal calore della pietra e dissolte in un istante.

Le dita s'erano strette attorno al bavero della giacca dell'altro…

André aveva aperto gli occhi e l'aveva guardata severo.

Era ad un pollice da lei ma lei non sentiva nessun odore di sapone, nulla…

Aveva intravisto disprezzo, quello sì, lo stesso disprezzo che lui le aveva riservato nella scuderia.

E allora era salito il proprio sprezzante intento di cavargli dalla faccia quell'espressione…

Il tempo di sporgersi e catturare le labbra…

Il tempo di scorrere alla nuca e tenere lì la testa, mentre il corpo, senza peso, s'era adagiato su quello di lui, attirato dalla presa, tenuto fermo dal bacio…

I sogni sono follia, come sarebbe stato ammissibile dar loro retta!?

Dannato sogno!

Un respiro fondo.

La testa un poco ovattata dalla sobria ubriacatura d'un vino lieve, bianco, profumato, col pregio di non rendere cieca la coscienza e muta la volontà.

Non era mai stata capace di perdersi e non l'aveva mai voluto.

Ora...

D'improvviso comprese che non voleva più perdersi, che il dannato amore aveva ridotto a brandelli l'esistenza.

André lo sapeva bene che lei non si sarebbe annientata per amore.

André lo sapeva bene che la sua capacità di sopravvivere avrebbe avuto la meglio.

Semmai l'avesse voluta sfidare, André sapeva bene che lei avrebbe vinto, mai avrebbe lasciato che l'amore la vincesse, mai avrebbe consentito all'immagine dell'altro di distruggere l'orgoglio.

Come un giunco che si piega...

Ma non si spezza.

Oscar si ritrovò in ginocchio, le mani affondate nella rena...

I dannati ricordi...

L'assenza...

L'assenza...

L'assenza...

Nell'assenza di André, Oscar aveva tentato di comprendere la sua scelta.

Per la seconda volta l'aveva lasciata libera di essere chi lei era davvero.

Per la seconda volta le aveva detto che lui era solo un ideale, un amore...

Ma non sarebbe mai stato un amante. Non avrebbe mai distrutto la sua vita e la sua dannata storia per via di un desiderio che l'avrebbe annientata.

Dolorosamente ammise che André aveva ragione, anche se lei, per la prima volta, non ragionava più.

Dolorosamente ammise che André l'amava con la ragione del cuore mentre lei lo amava e basta...

Una follia...

Dove mai sarebbe potuto accadere di amarsi in una folle corsa verso il baratro?

Come sarebbe stato possibile amarsi in quella vita, in quella terra, in quel tempo, ove tutto era tessuto per altro?

Altro che non fosse che il bene puro e visibile, immacolato agli occhi di tutti?

Era questo che André voleva dirle.

Era questo che lei non riusciva a comprendere.

Dunque lei, la solidità d'animo, si sgretolava sotto il tocco delle mani dell'altro, dietro la follia di un amore senza tempo, di un respiro spezzato.

Una folata di vento sollevò mulinelli di sabbia che l'investirono, occhi chiusi, bocca serrata, il respiro some sospeso...

Il corpo sbattuto parve dimenticarsi di restare aggrappato alla terra...

Il passo affondò nella rena inondata dalla spuma intensa...

Avrebbe voluto raggiungerlo.

Un altro passo...

La mano sulla spalla la tirò indietro...

"Che fai?".

La voce di Victor eruppe...

Oscar tornò a guardare il mare. Lo sguardo si ficcò al limitare, ancora più estremo, tra il mare stesso e il cielo.

Come se l'ombra che un tempo aveva accompagnato i suoi passi, non fosse più dietro di lei.

La gola si chiuse e per un istante credette di non essere più lì, sulla spiaggia della Normandia.

Come se il tempo si fosse preso beffe dello spazio...

Come se lei non fosse davvero in quel tempo...

Come se un altro tempo stesse vibrando in quel momento, come la corda di un'arpa o di un violino, tesa e percossa altrove, in un altro spazio...

"Dobbiamo rientrare!" – l'incitò Victor un poco spaventato dallo straniamento – "Tra poco pioverà!".

"Sì..." – lo sguardo scostato dal mare.

Laggiù da qualche parte c'era André.

Ma lei non sarebbe potuta sopravvivere in mezzo al mare, mentre la tempesta avanzava, mentre la pioggia tagliava l'aria bollente, e da lontano il moccioso indiano aveva di nuovo sollevato il cesto con i viveri e come una specie di demonio aveva preso a danzare accompagnato dai voli radenti del piccolo falco ormai cresciuto.

Il sole scomparve.

Victor porse la destra, un poco insabbiata...

Lei gli strinse la mano, mentre i passi prendevano ad accelerare per via delle gocce sempre più piene che solcavano l'aria.

Presero a correre tutt'e due, che per poco a lei parve quasi di veder piangere l'altro, o forse era la pioggia, o forse erano i dannati ricordi che falciavano l'anima mentre il cuore batteva sempre più veloce.

Si ritrovarono un poco fradici entro il patio dell'edificio, la tempesta aveva preso ad avanzare togliendo la visuale della spiaggia inondata dalla pioggia che ora scendeva radente e piena.

Argo prese a respirare intensamente, guardandosi attorno.

Il falco non c'era...

Non era animale a tal punto addomesticato da ficcarsi al riparo come accadeva a loro.

Chissà dov'era finita quella bestia?

Oscar respirò a fondo.

La libertà non può essere mai addomesticata.

Il desiderio di essere liberi non potrà mai essere imbrigliato, neppure entro la sferzante devastazione dell'amore.

Victor scostò i capelli fradici dalla faccia. Non riuscì neppure a guardarla.

"Perdonami..." – sussurrò Victor.

"Che dici?" - che lei forse aveva compreso ma non era certa.

"Non essere sciocca...ti ho mancato di rispetto...".

"Victor...".

Eruppe lo strazio...

"L'amore è stupido!" – sferzò l'uomo, incredulo di ciò che lui stesso mai avrebbe immaginato.

Per la prima volta Oscar François de Jarjayes non tentò di obiettare alla chiosa funerea e un poco superficiale.

"Ossia...intendi dire che coloro che amano sono stupidi? Perché sono infelici?" – rimase nel solco dell'altro, per non ferirlo ma neppure per non ferire se stessa, anche se conveniva che alla fine era così.

Ma sarebbe stato tutto troppo semplice.

E soprattutto assurdo.

Che infelici sono gli amanti che non sono amati.

Non coloro che lo sono!

Quelli divengono solo stupidi!

"L'amavi?" – un'altra domanda, perchè Victor in realtà non aveva risposto – "Amavi quella giovane?".

"Non...non lo so..." – respirato piano – "Adesso non lo so più!".

Respirò piano Oscar, come se avesse veduto il sorriso sfuggente di Lua che non era stata capace, in vita, di farsi amare, e dunque adesso forse sarebbe rimasta stupita di sapere che lo era, ma ormai non avrebbe più potuto godere di quel lieve balzo del cuore che sempre disorienta e annienta.

"Sai...non è vero che l'amore è stupido" – tentava d'asciugarsi e di obiettare – "Forse incomprensibile...sfuggente...".

"Ti prego!" – le si fece addosso Victor, come se davvero in quel momento lui temesse per se stesso, temesse di restare solo, annientato dall'assenza e soprattutto dalla certezza che davvero la giovane indiana avesse speso parole di verità.

Per la prima volta comprese cosa fosse l'amore.

Per la prima volta intuì di non sapere se sarebbe mai stato capace di amare.

Afferrò le spalle, le strinse, gli occhi a osservare gli occhi mentre in lontananza il vento spazzava la rena, vorticava sabbia e sterpaglie e nuvole di pioggia...

Il cuore in disordine, l'anima incapace d'acquietarsi, la coscienza di governare ciò che fino a quel momento era apparso saldo e severamente funzionale alla vita dell'uomo.

Per un istante, per un solo istante, Oscar ascoltò la beffa del corpo implodere entro la stretta delle mani di Victor, come se l'altro avesse avuto il pregio di udire la caduta dei sensi e avesse avuto premonizione d'afferrarli e tenerli lì, sollevati da terra, sospesi, affinché non fossero rovinati malamente entro il baratro della disperazione.

Si sentì sollevata Oscar, stretta e protesa verso un uomo che forse, chissà per quale strano destino o chissà se grazie all'esistenza dispersa e lontana d'una giovane che aveva avuto il coraggio di amarlo nonostante tutto e nonostante tutti, aveva a poco a poco imparato cosa fosse davvero l'amore e che l'amore non attende d'essere accolto, non svela i suoi disegni, non accorda geometrie di rispetto e devozione.

Il respiro s'infranse contro la bocca...

Il bacio chiuse gli sguardi mentre la tempesta avanzava spalancando il debole portone di legno sbrecciato che tuonò contro le pareti, lasciando penetrare l'acqua del cielo mista alla salsedine del mare, come se l'oceano vasto e intensamente fondo, come creatura pensante, avesse inteso riprendersi la scena e il cuore dell'amante.

Il mare in tempesta non avrebbe potuto accogliere i passi di quell'amante, pena il rischio di annientare la sua stessa vita, che il mare alla fine è luogo del tutto inospitale ad accogliere un amore.

Ma non avrebbe accettato che l'amante si fosse lasciata amare dalla solidità della terra, appena affogata nel lieve sentore d'un vino lieto, capace di regalare l'euforia che non stordisce e non annienta.

Si riebbe la coscienza...

La voce lontana piombò sui sensi come le strida del falco che, fradicio, fendeva il muro di pioggia.

La bocca dischiusa si scostò, amareggiata dal cedimento.

"Oscar" – Victor Girodel rimase lì, la bocca a sfiorare la bocca, le mani appoggiate al muro, un poco alte, così da tenerla lì, chiuderla nell'unico appiglio di solidità che avrebbe mai potuto offrirle.

Impedirle di fuggire...

Impedirle di perdersi...

Non riuscì a dirle che l'amava.

Non poteva più farlo perchè lui non lo sapeva se l'amava davvero.

E gli pareva che se non l'avesse amata...

Oscar François de Jarjayes non meritava che questo.

Essere...

Amata...

Non avrebbe mai potuto offrirle ciò che il servo dannato aveva offerto.

Il servo dannato...

Che adesso pareva ancora più incombente di quando non l'aveva pensato morto e invece quello era vivo.

Risorse l'antica gelosia, l'unico appiglio a cui rivolgersi, perchè così lui era vissuto, intingendo la coscienza nell'errore dell'altro, beffandosi della compassione verso l'altro, deridendo l'amore più fondo, quello che impone di sacrificarsi.

In fondo, a modo suo, anche lui l'aveva fatto.

S'era sacrificato per lei e lei gli doveva d'amarlo.

All'apparenza si poteva pensare che la condanna di André Grandier fosse ciò che di più giusto quello si sarebbe meritato. Ma Victor Girodel sapeva bene che André Grandier in realtà aveva scelto la sua condanna, aveva saputo trovare il modo di scomparire e dunque rendersi dannatamente presente nel cuore di Oscar François de Jarjayes.

"Sto cercando quella bambina.." – sussurrò incerto, il corpo incombente su di lei, affinché lei ascoltasse e comprendesse – "Victoire...".

L'accenno estemporaneo eruppe come fulmine che squarcia il cielo.

"Cosa... " - il respiro sospeso – "Dunque, ritieni che lei sia ancora viva?".

"Lui...lui ritiene sia ancora viva!" – amaro.

"Lui..." – il dubbio rose di nuovo la coscienza, anche se Oscar aveva già stabilito che la follia di quel dubbio non avrebbe mai avuto pregio di renderla così folle da cessare d'amare l'altro.

"Ebbene...mi ha chiesto di cercarla...".

"Lui ti avrebbe chiesto di cercare Victoire..." – la chiosa ripetuta, come se ogni volta ad essa fosse abbinato un debito che diveniva via via sempre più spesso e terribile.

Annuì Victor, si sporse, la bocca sfiorò la guancia, le labbra solcarono la morbida linea dello zigomo.

Prendersi Oscar François de Jarjayes nell'istante immacolato in cui lei si fosse ritrovata a disprezzare André Grandier, padre d'una mocciosa che lui stesso aveva abbandonato.

L'amara considerazione chiuse la gola di Victor Girodel, che lui sapeva bene che la realtà non era quella.

Se l'avesse spesa lui quella realtà?

No, non avrebbe mai potuto. Tutto il suo mondo sarebbe crollato all'istante.

La tempesta incombeva…

Il moccioso indiano si precipitò a tentare di richiudere il portone che continuava a sbattere flagellato dalle raffiche di vento.

Si bloccò, come attirato dall'avanzare di un'anima dispersa che avanzava nel turbine di sabbia mista a pioggia.

"Monsieur...arriva qualcuno!".

Oscar si fece piccola, il corpo rattrappito a sgusciare da sotto quello dell'altro.

Victor si ritrovò quasi sollevato, incredulo d'esserlo, colpito dal suo stesso stupore. Le era così vicino eppure gli pareva d'esserle più lontano che mai.

Il viaggiatore intabarrato arrestò la corsa del cavallo poco fuori l'edificio, la figura inzuppata di pioggia, l'animale innervosito dalla cavalcata dannata e furiosa...

Le effigi tentarono di riconoscersi…

Il balzo del cuore.

Era accaduto quasi sei mesi prima.

A corte aveva preso a girare voce che il Conte Hans Axel von Fersen fosse sbarcato a Brest, facendo definitivamente ritorno dalle Americhe.

Alcune dame s'erano messe in testa d'assumere il ruolo di staffetta, riportando la notizia a le Petit Trianon, così che Sua Maestà la Regina Maria Antonietta ne sarebbe stata subito al corrente.

Non era certo se ciò che le dame avevano in animo d'ottenere fosse d'assistere indisturbate al trasfigurato sguardo regina, per mutare quello sguardo nel nuovo pettegolezzo di Versailles, oppure accaparrarsi la stima della sovrana, per essere state le più solerti a sollevarla dal dubbio sulla sorte dell'amato amante.

Di fatto, la notizia aveva avuto la stessa sorprendente diffusione di altri incredibili avvenimenti.

L'esplosione del vulcano Asama in Giappone, a maggio...

E poi ancora quella del vulcano islandese Laki ou Lakagigar, così che da giugno dell'anno 1783, la luce del giorno improvvisamente si era fatta scura e l'aria più fredda, mentre sulle giornate era calata una sorta di nebbia grigiastra che richiamava quella crescente della stagione autunnale.

L'anno 1783 sarebbe stato soprannominato l'anno del vulcano!

Persino Monsieur Benjamin Franklin s'era messo a studiare la questione.

L'uomo era rimasto pietrificato nell'apprendere che Lua Pietra Incandescente era morta.

Sull'onda della disperazione si era persino spinto a chiedere al piccolo Argo, dopo averlo conosciuto, di diventare il suo apprendista.

Così che il moccioso indiano si era ritrovato tra due fuochi, visto che anche Madame Aleksandra Roma Lemonde aveva parimenti proposto al bambino di seguirla, per diventare suo primo cameriere, finanche segretario, in virtù del fatto che Madame Roma era stata abituata a trattare con la gente indiana.

Argo aveva rifiutato entrambe le proposte. Aveva deciso di restare accanto al Colonnello Oscar François de Jarjayes.

Per attendere il ritorno di André Grandier, aveva detto.

Ma al tempo stesso aveva accettato d'apprendere da Monsieur Franklin i primi rudimenti dell'aritmetica, della geometria e persino della composizione delle materie, preziose o volgari che fossero, e al contempo aveva promesso a Monsieur Franklin che avrebbe continuato a studiare i fenomeni della natura, quelli immensi della volta celeste ma alla pari riproducibili entro mura domestiche.

Avrebbe riportato fedelmente i dati su preziosi taccuini che avrebbe poi fatto recapitare allo studioso americano.

E difatti s'era già dipanata una spinosa questione che Monsieur Franklin aveva preso a studiare, affidando al moccioso indiano una serie di calcoli. Per giorni quello era sparito per poi tornare e chiudersi i camera sciorinando numeri su numeri.

E ancora, Argo aveva promesso a Madame Roma che si sarebbe comunque adoperato per aiutare la nobildonna nelle incombenze domestiche più impegnative, ma non avrebbe mai servito una donna francese.

E allora?! – che l'aveva obiettato Madame Roma al moccioso – Il Colonnello de Jarjayes?

Lei...lei... – aveva balbettato quello – Lei è diversa...non è...

Argo avrebbe voluto dire che Oscar François de Jarjayes non era una donna ma non era vero.

Anche se in realtà lo era...

Insomma era accaduto che il Conte Hans Axel von Fersen si fosse presentato a Versailles e avesse chiesto d'incontrare il Colonnello Oscar François de Jarjayes.

Ma lei no...

Era impegnata...

Fersen dunque si era recato a Le Petit Trianon...

Le due anime amanti si erano riunite alla fine, anche se entrambe non avrebbero mai potuto amarsi.

Alla fine...

Lui è morto…Dio…non…non è rimasto nulla del suo corpo…ma lui era là…

Perdonami…non avrei dovuto lasciarlo andare…

Come rammentavo eri e sei una donna senza eguali.

Mi ero sempre stupito che Dio ti avesse creato donna ma ora ne ho compreso la ragione.

Amami…

Si…

Non…lasciarmi…

"Fersen!?".

Lo riconobbe, il balzo del cuore...

Che l'altro scoprì il capo, lo sguardo assottigliato dalla fatica e dalla pioggia...

Che scese come una furia da cavallo, i passi si diressero verso di lei...

"Dio! Pensavo non t'avrei più rivisto!" – l'esordio si rovesciò addosso, le facce fradice, i corpi spazzati dal vento...

Oscar rimase immobile.

Fersen intuì l'immobilità impietrita, come se l'altra non volesse più riconoscerlo, come se l'altra avesse ormai cancellato ciò che lui aveva scorto in lei tanti anni prima.

Il balzo del cuore...

"Che è accaduto? Perché siete qui?" - Oscar fece strada, la mano tesa ad afferrare le redini del cavallo per condurre l'animale al coperto.

Fersen afferrò la mano, la bloccò - "Aspetta...a Versailles...avrei voluto vederti. Mi dicevano che eri impegnata".

Le voci tentavano di sormontare gli squarci della tempesta.

"E' così..." – abbozzato, nessuna giustificazione...

Semplicemente, Oscar non era stata in grado di accettare il ritorno del conte. I pensieri si erano avviluppati attorno all'assenza di André e dunque nulla di ciò che era stato in quel passato, ove c'era André, avrebbe avuto pregio di continuare ad esistere, in assenza di lui.

Persino Fersen, persino il conte...

"Che cosa fai qui? E' accaduto...".

"Sì!" – Fersen le prese la mano...

Victor squadrò la scena, corse ai due corpi vicini, avvolti dalla pioggia battente...

"Ho buone notizie!" – gridò Fersen correndo allo sguardo dell'altra che rimase lì, incredula...

§§§

"Non ci siamo più visti!" – concluse Fersen appoggiando il bicchiere vuoto sulla tavola e un senso di vago rimprovero nella voce, come se fosse stupito e rammaricato del fatto che, una volta rientrato in Francia, il Colonnello Oscar François de Jarjayes si fosse, per qualche insondabile motivo, volontariamente sottratta da un confronto.

Fersen s'era immaginato fosse stato per via delle accuse che lui stesso aveva mosso contro Andrè Grandier.

Fersen s'era immaginato che Oscar François de Jarjayes, alla fine, l'avesse saputo che era stato il conte stesso a dubitare di André Grandier, e che le avesse confessato che il soldato era morto per tacere di tutte le altre ignobili accuse. Che l'altro fosse un disertore, un ladro, un assassino…

Un uomo di tal risma equivale a un uomo morto.

Tanto valeva dichiararlo tale.

Anche se in realtà, André Grandier non era morto, e tutto era stato orchestrato per vedere se quel dannato fantasma fosse resuscitato così da essere acciuffato e...

Ma Fersen aveva davvero creduto che Andrè Grandier fosse morto e aveva davvero creduto che Andrè Grandier fosse un ladro e un assassino e soprattutto...

Quel bacio sul molo di Brest.

Una specie di pugno nello stomaco...

Impossibile d'accettare...

La cena era stata sobria, imbastita in fretta, poche pietanze cucinate dalla comare che dal paese aveva avuto richiesta di raggiungere la villa della famiglia Jarjayes, quando vi si ritrovava qualche ospite della famiglia.

Ultimamente non s'era veduto nessuno a visitare quei luoghi, d'improvviso invece, una delle figlie del padrone era giunta assieme ad un moccioso dalla pelle scura e ad un nobiluomo a cui se n'era aggiunto un altro...

Oscar era rimasta silenziosa.

Il cuore in subbuglio, la coscienza in subbuglio, la mente al ricordo della contrazione di disprezzo che aveva accompagnato la visione di Fersen quando la regina le aveva chiesto – a lei, unica persona di cui si fidava – di recare a Fersen il messaggio che non si sarebbero incontrati.

La regina di Francia e il suo amante…

Un respiro fondo...

"Tenente Girodel...vi trovo bene!" – ammise Fersen all'indirizzo dell'ufficiale.

"Ed io sono felice di sapere che anche voi alla fine ve la siete cavata!".

"Vi ringrazio...e aggiungo il mio ringraziamento per aver svolto egregiamente il compito che vi avevo affidato!".

Avrebbe potuto essere il vino, quella bottiglia ormai vuota di Sauvignon blanc che all'apparenza godeva d'una specie di potere di sciogliere i pensieri e liberare la mente dai legacci dell'ipocrisia oppure dalla necessità di tacere certi particolari...

Oppure l'ammissione della sconfitta...

O forse ancora il desiderio di recidere ogni speranza, ogni legame...

Quel bacio a Brest era stato così intenso e sconvolgente.

Fondo e suadente e...

Inammissibile!

Oscar sollevò lo sguardo.

Fersen si schiarì la voce.

"Ebbene...sono qui per portare una buona notizia! Intanto questa è per voi Monsieur Girodel..." - che Fersen estrasse una lettera dalla tasca interna della giacca - "Me l'ha consegnata un tale Monsieur Bahamut. Ha saputo che sarei giunto presso la villa della famiglia Jarjayes e dunque mi ha chiesto di recarvela. Spero non siano cattive notizie!".

"Vi ringrazio...forse allora dovremmo procedere ad apprendere di quelle buone..." – affondò Victor ch'era impaziente di aprire la lettera recapitata dall'uomo che lui stesso aveva incaricato di continuare a cercare la piccola Victoire ma al tempo stesso fremeva in attesa delle famigerate buone notizie recate dal conte.

Inspiegabilmente teso, Victor Girodel si domandava perchè mai Fersen si fosse precipitato sino in Normandia, quando avrebbe ben potuto attendere il ritorno di mademoiselle...

"Ebbene! Monsieur George Washington..." – attaccò Fersen, l'esordio pareva oscuro e al tempo stesso inutile e ancor più vago e lontano dal raggiungere il vero scopo della conversazione.

"Oscar!" – quasi tuonò Fersen alzandosi, avvicinandosi all'altra, prendendole le mani, stringendole, gli occhi addosso – "Ti devo delle scuse! E le devo anche ad André! Quando sono tornato...ho saputo ciò che è accaduto...André...è stato condannato...".

Le mani strette nelle mani...

"Monsieur George Washinton aveva scritto a Monsieur Franklin della questione del naso del re...".

L'appellativo era piuttosto ingombrante e bizzarro ma, di fatto, André Grandier era finito in Cayenna, nella Guyana Francese, per colpa del naso del re.

"Fersen...non capisco..." – balbettò Oscar, incredula...

"Monsieur Franklin si è offerto di condurre una specie di indagine ed è emerso che...".

Silenzio...

Argo aveva spalancato gli occhi, perchè Monsieur Benjamin Franklin gli aveva commissionato una serie di calcoli sul peso specifico dell'oro, in presenza di una certa quantità di calore e poi con alcuni reagenti e poi in assenza e...

Il moccioso aveva diligentemente eseguito i conteggi e aveva rispedito il tutto al maestro. Ecco dunque a che servivano tutti quei calcoli!

"Il procedimento di coniazione delle monete è stato alterato!" – gridò Fersen – "Le monete sono state galvanizzate...non coniate da pezzi dorati...una pessima galvanizzazione così che le monete non avevano struttura idonea a restare integre!".

"Che...intendi..." – continuò a balbettare l'altra, che però un senso, seppur astruso, il discorso del conte ce l'aveva.

"Volete dire che le monete erano già alterate fin dall'origine?" – contestò Victor un poco stravolto – "Dunque il loro peso iniziale non era quello stabilito dal regolamento del conio!?".

"Esatto!" – tagliò Fersen – "Si è scoperto che questo increscioso guaio avrebbe coinvolto alcuni coniatori...in pratica il procedimento era stato manipolato affinché la pesatura della moneta non fosse corretta, così che l'oro perduto dalla moneta potesse essere trafugato e recuperato...".

"André è stato accusato esattamente di questo!" – sputò Victor inferocito – "Ed è stato dichiarato colpevole!".

"Si è dichiarato colpevole! L'ho saputo solamente al mio rientro in Francia! Non capisco! Una follia! Esattamente una follia!" – proseguì Fersen quasi fuori di sé – "Io devo chiederti perdono Oscar! Ho dubitato di André...l'ho ingiustamente sospettato di essere stato lui a sottrarre l'oro mancante...ma adesso...".

Oscar era rimasta zitta mentre il racconto – all'apparenza persino ridicolo – s'accaniva addosso con la stessa furia con cui adesso la pioggia mista a grandine batteva sui vetri delle finestre, mentre la povera comare era terrorizzata all'idea di aprire le finestre per chiudere le persiane e rischiare di ritrovarsi un bernoccolo in testa.

Negò Oscar...

Annuì Fersen...

"Non so come farmi perdonare! Ho immediatamente chiesto udienza a Sua Maestà! Ho ammesso il mio errore e ho chiesto che la condanna di André venisse revocata...".

Silenzio...

"André..." – il nome sussurrato – "André si è dichiarato colpevole...".

Lo disse piano Oscar, come inebetita dal racconto singolare e dall'altrettanto banale spiegazione dalle conseguenze nefaste.

Il punto però non era il naso del re ma perché André, pur sapendosi innocente, si fosse ugualmente dichiarato colpevole.

Le mani sgusciarono via dalle mani del conte.

Oscar si alzò di scatto, come si fosse ritrovata un macigno sulla gola.

A tal punto André si era spinto, pur di non assecondare ciò che sentiva nel cuore.

A tal punto André aveva tentato di proteggerla...

A tal punto André aveva paura di quell'amore ch'era pura follia, inevitabile discesa negli Inferi della loro storia…

Il disprezzo sorse, misto alla pietà e alla compassione e alla rabbia e al sollievo e al vuoto.

"Dunque André è innocente!" – fu Victor a trarre la conclusione di quell'amara rivelazione.

"Sì! – ammise Fersen come reduce da una battaglia infernale.

Oscar si avvicinò alla finestra.

Forse non voleva davvero sapere altro...

Lei non amava una dichiarazione di innocenza, lei amava un uomo...

"André potrebbe essersi dichiarato colpevole per evitare che la Francia e il suo re fossero accreditati come truffatori..." – abbozzò Fersen, avvicinandosi, andando alle spalle dell'altra, appoggiando una mano sulla destra – "Non credi possa essere accaduto questo!? Non credi che la magnanimità di André potrebbe essersi spinta sino al punto d'addossarsi una colpa che altrimenti avrebbe infangato il buon nome del Re di Francia? Gli istituti di conio francesi sono rinomati in tutto il mondo per la perfezione e l'accuratezza del rigoroso rispetto delle procedure. Una moneta che pesasse di meno sarebbe un insulto per tutta la Francia! Anche solo...la perdita di un naso...".

Che Oscar sussultò al paragone...

"Perdonami...non voglio essere irriverente nei confronti del Re di Francia!" – proseguì Fersen – "Ma si trattava davvero di un numero elevato di monete! Ebbene André con la sua ammissione di colpevolezza, a suo modo, ha consentito di nascondere al mondo questo insulto preservando la fiducia delle genti straniere verso la Francia e verso la sua solidità...".

Quale solidità?

La Francia stava precipitando verso il baratro...

Il finanziamento della Guerra di Indipendenza aveva quasi prosciugato le casse del regno.

"Mi dispiace di aver dubitato di lui e mi spiace che ciò che ho appreso sia purtroppo emerso troppo tardi".

"Ti ringrazio..." – la voce non usciva, il corpo tremava, la gola chiusa.

Il pensiero era piantato lì...

Sì, forse André aveva avuto a cuore il destino della Francia, il buon nome di Re Luigi XVI, ma di fatto, dichiarandosi colpevole, si era sottratto a lei, a loro...

Non c'era verso di distogliersi dall'odioso puntiglio.

Loro erano...

Per lei loro erano...

Per lui invece...

"Oscar...ho personalmente chiesto al re di graziare André e fare il possibile perchè gli sia consentito di tornare in Francia!".

André aveva già rinunciato alla grazia.

Che il re dunque avesse concesso la grazia proprio perché sapeva che André non era colpevole?

E dunque perché André non s'era prestato ad accettare la benevolenza di Luigi XVI?!

Fersen le girò attorno, parandosi davanti, chiedendole, con l'indice sotto il mento, di sollevare lo sguardo e chissà forse cercare una qualche riconoscenza in esso – "Ritienimi in debito con te e con lui!".

"André si è dichiarato colpevole..." – la voce andava spezzandosi e Oscar temeva di non poter reggere a lungo il confronto con Fersen, che adesso tutto dettava di tenere per sé chi erano loro, lei e André, almeno fino a quando...

"Dunque possiamo ammettere che André è stato molto coraggioso! E in virtù di questo coraggio io non potrei essere da meno. L'ho fatto perchè è giusto! L'ho fatto per André e dunque l'ho fatto per te! Finché non sarà tornato in Francia...con tutto ciò che gli è accaduto durante il viaggio...".

Il viaggio...

Il respiro implose...

André…che ti è accaduto? Credevo fossi…

Morto!? Ebbene…in un certo senso può dirsi vero…

André…

Sentite…sapete che a noi quel damerino ci pare proprio assurdo!

Che ci raccontate!? Quando ci avete detto di fare quel lavoretto a Ponta Delgada…con quell'altro soldato…noi l'abbiamo fatto!

Abbiamo dato a quell'idiota quel che si meritava ma adesso vorremmo saperne di più! E soprattutto…vista la bella faccia di quel damerino…beh…ci piacerebbe finire anche con quello….quel che non si è terminato?!

Ci avete detto di fare quello che volevamo…quello ci aveva già pestato i piedi a Brest…

Le parole dei due soldati morti ammazzati, Tiberius Mallerbé e Guglielmo Pointers, risalirono alla superficie della coscienza, con lo stesso feroce impatto con cui s'erano piantate addosso quando le aveva udite per la prima volta.

Zitta…

La gola si chiuse...

Oscar François de Jarjayes avrebbe voluto chiedere conto di quelle parole.

Che cosa era accaduto davvero a Ponta Delgada?

Lo aveva compreso dal dolore impresso negli occhi di André ma quel dolore non s'era mai tramutato in una spiegazione, era rimasto sepolto entro la dannata coscienza del soldato che non avrebbe mai rivelato nulla, per pudore, vergogna, per timore che lei si sentisse dannatamente responsabile.

In fondo André aveva deciso di lasciare la Francia per causa sua...

"A Brest..." – l'unica parola ch'ebbe pregio di sgusciare dalla bocca, beffarda e diabolica, come se la coscienza non avesse più forza di tenere a freno i sensi che avrebbero voluto sapere.

"Cosa..." – che Fersen d'improvviso arrestò l'incedere e si ritrasse, colpito allo stesso modo dalla parola, dal luogo...

Quel bacio rimbombava nella testa...

Esso si era insinuato nelle viscere come il più sordo degli affronti.

Non era stato neppure per via del fatto che André fosse un plebeo.

Il Conte Hans Axel von Fersen stimava André...

Semplicemente...

La gelosia sorda era divampata, innervandosi nelle vene, prendendo il posto del sangue, lasciandolo senza respiro, che neppure lui s'era capacitato d'essere in grado di provare tale violenza nei confronti di un altro essere umano.

Chi era André Grandier per Oscar François de Jarjayes?

"Nulla..." – s'affrettò lei, mordendosi la lingua.

Il desiderio impellente di sapere venne soffocato lì, sul nascere.

Qualunque distrazione recata all'intento di Fersen d'intercedere a favore di André venne ingoiata e riposta entro i meandri più oscuri dell'intelletto.

Oscar indietreggiò d'istinto.

Se il conte aveva avuto un ruolo in ciò che era accaduto ad André a Ponta Delgada...

Zitta...

André tornerà in Francia!

E' tutto ciò che conta!

E' troppo importante...

Per lui...

Zitta!

"Ti sono grata..." – mormorò Oscar sollevando lo sguardo verso Fersen – "Madame Glacé...la nonna di André...era disperata...".

"Sì, ne convengo...e lo sarai stata anche tu!".

Negò Oscar...

Poi annuì...

Si ritrovò improvvisamente inchiodata alle proprie reazioni, un tempo sorprendentemente fredde e misurate, ora sottoposte all'impeto del sentimento e del desiderio.

Se avesse dimostrato troppo apertamente il suo interesse per André...

Il bacio...

A Brest...

Fersen...

L'aveva veduto?

Le ultime parole che André le aveva sussurrato, prima di lasciare la Francia, dopo la condanna.

Ciò che abbiamo fatto a te...lo faremo anche a quello!

Lo sguardo si sgranò improvvisamente trafitto dalla sorprendente considerazione...

Tiberius Mallerbé e Guglielmo Pointers erano morti.

Possibile che quel bacio si fosse stato tradotto in un tale affronto, in un'onta tale da lavare con il sangue!?

Possibile che André avesse perseguito la morte dei due soldati nella necessità di salvare lei?!

Dunque se ciò che era accaduto non era stato un caso...

Anche André in fondo si ritrovava sotto il maglio d'una sfuggente vendetta...

E questa volta era lei ad avere nelle sue mani, il destino dell'altro!

Zitta!

Doveva stare zitta!

§§§

Si versò un altro bicchiere di Sauvignon.

Il vino aveva ormai perduto la sua frizzante freschezza e scendeva nella gola alla stessa stregua d'un modesto mosto spremuto e depurato dalle vinacce e intiepidito dal ribollire degli zuccheri.

Victor Girodel poggiò il bicchiere sul tavolo, lo sguardo perduto mentre la coscienza tentava di rimettere ordine nell'esistenza.

Solo che con la logica e il ragionamento non sarebbe andato molto lontano. Non ci riusciva più.

Aveva sperato di restare da solo. Aveva sperato di salire su, bussare alla porta, lasciare che lei lo facesse entrare.

Aveva sperato d'esser capace d'accarezzare i nuovi capelli e baciare la nuova bocca.

S'accorse di non essere solo, il Conte di Fersen era rientrato nella stanza.

Victor imprecò tra sé e sé, che ritrovarsi di nuovo in compagnia dell'ufficiale svedese ormai non lo aggradava più.

Sputò un respiro forzato, come per darsi il contegno necessario a sputare la sua sentenza.

"Siete bravo Fersen!".

Quell'uomo…quello per cui lei avrebbe provato affetto – come voi dite…solo affetto – morendo…non ha fatto altro che immolarsi ai suoi occhi!

"Niente affatto!" – rispose l'altro cercando con gli occhi un bicchiere pulito – "Mademoiselle Oscar non merita di soffrire per colpa di André. Lei gli vuole bene, le è molto caro. E non sarà certo per mano mia che André la spunterà".

"Ma vi ascoltate!? Sapete davvero di cosa state parlando?" – obiettò Victor feroce, che però, oltre la dannata soglia non sarebbe mai potuto andare.

Non avrebbe potuto infangare a tal punto il nome di lei, infangando quell'affetto, che, ormai era chiaro, era molto più che affetto.

Le parole erano impigliate nella gola.

Victor Girodel non aveva più accanto a sé la persona che l'aveva amato e dunque l'assenza definitiva raschiava feroce entro le povere spoglie dei muscoli, rendendo impossibile declinare disgusto per il difettoso amore del servo verso la sua padrona.

Un amore impossibile...

Proprio come quello che s'era ritrovato lui, inciso sulla pelle, per la povera Lua...

Proprio come quello che Fersen si ritrovava addosso, un peso enorme, per Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.

"Ebbene...che senso avrebbe far tornare in Francia quell'uomo?!" - sputò Victor con un mezzo sorriso di cinica riprovazione – "Che sia in Cayenna o in America o a Parigi...mademoiselle continuerà a provare affetto per lui!".

"Di certo ne proverà sempre..." – s'adeguò Fersen mellifluo – "Ed è questo il punto! Ve l'ho detto! Non è bastata un'accusa di furto, né di omicidio. Non è bastato che quell'uomo l'avesse tenuta prigioniera in mezzo alle montagne dei Finger Lakes! E adesso? Mi dite che avrei dovuto fare? Quell'uomo è finito in Cayenna a causa dei miei sospetti. Che si sono rivelati fallaci di fronte alla scoperta di Monsieur Franklin. Il minimo che posso fare è ciò che ho fatto! Sarebbe un disonore per me, tacere e lasciare che quell'uomo marcisca nella colonia penale. Credo che Mademoiselle Oscar non potrebbe mai più provare stima nei miei confronti se non avessi fatto ciò che ho fatto! ".

"Siete pazzo! Perchè volete che torni? Oscar François de Jarjayes non merita un uomo del genere accanto...".

"Sono pazzo sì! Ma sono anche consapevole di provare affetto per mademoiselle. Ebbene...quell'uomo non si azzarderà ad avvicinarsi di nuovo. Non è un uomo che possa starle accanto. Ma questo è soprattutto lui che deve comprenderlo. André Grandier da lontano sarà sempre visto come vittima d'una congiura...martire d'un amore impossibile...".

"Voi siete un cinico!" – sibilò Victor – "Voi non potrete mai accostarvi alla donna che amate e dunque avete stabilito che nemmeno André Grandier potrà farlo?! Ma non volete che se ne resti dall'altro capo del mondo. Voi lo volete qui, in Francia, proprio come voi siete qui, ora, in Francia. Non lo volete dunque salvare davvero!? E a voi non importa nulla di mademoiselle...lo fate solo per il vostro tornaconto!".

"Voglio che si salvi invece! Non ho mai desiderato la sua morte. Ne abbiamo già discusso. Ma voglio che riveli anche il suo vero volto. Quello di un uomo comune, un uomo qualunque. Se ammettiamo che questo sia un tornaconto...ebbene allora ammetto a mia deplorevole deminutio!".

"Mentre voi diventerete..." – Girodel calò il vetro sul tavolo, il tonfo, si alzò – "Una specie di salvatore!".

"Quell'uomo ha il dovere di spezzarle il cuore!" – sibilò Fersen drammatico.

"Ebbene conte...posso assicurarvi che l'ha già fatto!" – sputò Victor Girodel rammentando il becero dialogo ch'era scorso tra sé e André durante il viaggio di ritorno da Brest.

Non voglio che lei soffra…e la maggior sofferenza che potrebbe subire sarebbe saperti in pericolo, chiuso in una cella…ma allo stesso tempo…la tua esistenza accanto a lei segnerebbe la fine della sua libertà…

Non è necessario essere così espliciti…

"Voi credete!? Eppure poco fa non ho scorto disprezzo nella sua voce" – ammise Fersen – "Evidentemente l'affetto resta superiore!?".

"E' proprio perché Oscar François de Jarjayes non potrebbe mai arrivare a disprezzare un uomo come André Grandier che voi non scorgerete mai disprezzo nella sua voce. Lei non ne sarebbe capace! Attento a non rischiare di finire voi d'essere disprezzato! Ciò che provate per lei...".

"Ho giurato fedeltà a Sua Maestà la Regina Maria Antonietta! E ho promesso a me stesso che anche Oscar François de Jarjayes sarebbe stata al suo fianco! Questo è ciò per cui mi sono battuto fino ad ora. Non credete che questo onere confliggerebbe con quello di ritrovare il colonnello al fianco del servo della propria famiglia?! Dunque vedete che neppure io ho in animo di vedercelo accanto a mademoiselle, quel dannato! Ve lo ripeto...non è disprezzo...".

"E dunque siete solo un'ipocrita! Io al contrario di voi mi prendo la responsabilità delle mie scelte! Ho sbagliato sul conto di André Grandier ed è giusto che ponga rimedio al mio sbaglio. Voi invece..." - quasi gridò Victor Girodel, un inchino abbozzato, corse via, i passi salirono su, al piano superiore.

La mano batté contro la porta della stanza...

Due manate...

Che Oscar aprì e si ritrovò addosso lo sguardo furente e livido del Tenete Victor Clement de Girodel.

"Lo ami?" – secco, quasi cinico.

Oscar non rispose...

"Hai dei doveri verso la tua famiglia...verso la famiglia reale...verso te stessa!" – proseguì Victor ben sapendo che tutto ciò che stava esponendo ormai era solo frutto di quel disonorevole lato di sé che una dannatissima ragazzina indiana aveva sgretolato e distrutto sotto i malefici colpi d'un amore impossibile.

"Questo non ti riguarda!" – replicò Oscar – "E poi non vedo che cosa c'entrerebbe...".

Sapevano entrambi di chi stavano parlando e sapevano entrambi che all'amore non ci si può opporre.

Victor Girodel s'impose invece, aggrappandosi a ciò che era stato in passato, così da scacciare da entrambi la sulfurea e dannata visione di se stessi, amanti...

Le mani sulle spalle, la stretta, la spinta, la porta richiusa dietro di sé, la debole opposizione, mentre la bocca si cacciava nella bocca, e la mano destra stringeva il viso e quasi chiudeva il collo, per impedire la parola, il respiro, qualsiasi ripensamento.

"Che razza di amore sarebbe?" – sibilò piano Victor – "Non te lo sei mai chiesta? Potrebbe mai portarti in una casa, potreste mai esibire la vostra unione alla gente...".

"Questo sarebbe amore per te?" – sibilò l'altra, impaurita, che però il disprezzo saliva al pari della paura.

"No! Ma sai che non si può vivere lontano dalla gente. Non ci si può amare restando entro il solco d'una montagna isolata o in riva ad un lago ghiacciato!".

Silenzio...

"Sei stata con lui...per tutto il tempo in cui eri prigioniera...ai Finger Lakes...si è curato di te...ti ha amato...e non è stato così pazzo o insensato da...da rischiare di comprometterti! Un uomo davvero esemplare! La sua dignità dovrebbe esserti d'esempio e dovrebbe essere quella dignità a farti comprendere che lui stesso non ti vedrebbe mai al suo fianco. E' saggio...".

"Sei pazzo!".

"E l'amore è pazzo...non è saggio!" – sputò Victor – "Lo comprendi questo? Adesso l'ho compreso ed è terribile! Sarebbe impossibile...non amarti! Mi domando come ci sia riuscito...se non perchè ti ama davvero...".

Strinse i polsi Victor Girodel, li strinse forte così da impedirle di muoversi...

Baciò piano la bocca...

Poi più lieve e poi più forte...

La disperazione trasmessa come una frustata che schiocca da schiena a schiena, che s'apre a raggio penetrando nelle ossa, frantumando ogni resistenza...

Vivi...

Come potrei?

Vivi per te stessa…non farlo per altri che per te stessa…

Dimentica ciò che è stato...

Dimenticarti!

E' ciò che hai chiesto tu André!

Stavolta sei tu che lo hai imposto!

Tu stesso mi sollevi dalla colpa d'un tradimento, perché questa volta io non ho colpa di volerti dimenticare...

S'intrecciarono le dita, chiudendosi a stringere le mani, le braccia s'alzarono così che i corpi aderirono l'uno all'altro, come a fondere le disperate disperazioni, come a mescolare le sparute lacrime.

E' davvero questo ciò che vuoi?

Se tornerai...

Risorse la rabbia contro l'altro...

Risorse la rabbia contro la propria incapacità di amarlo...

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