Servirà a qualcosa tutto questo rumore
Dietro ogni fiorellino si nasconde un tumore
Nella lettera che hai scritto è racchiusa la tua vita
Dice: "Cosa sono adesso, non lo so"

Poi, lo avevo rivisto. Mancavano tre giorni al colpo di stato.

"È un bel po' che non ci vediamo."

Ne era passato di tempo, cinque anni.

Mi era piombato alle spalle nel seminterrato del tempio Naka. Mi aveva pugnalato con il tono tagliente, sentivo la mia morte nel soffio delle sue parole.

Chiamatemi codardo, felice di esserlo.

So riconoscere quando sbaglio e di errori ne avevo fatti un bel po'. Gli avevo ammazzato l'amico davanti, lo sharingan con cui avrebbe voluto friggermi il cervello era opera mia. Anche lui era un Uchiha, e gli Uchiha vivevano confinati per causa mia, solo lo sharingan sa controllare i Cercoteri e avevo fatto in modo che loro ne avessero la colpa. Eccomi qui, infame fino al midollo.

Da anni fomentavo quella rivolta, aizzavo Danzo, raggiravo Yashiro. Avevo già ammazzato Itachi solo che lui non lo sapeva, ma io non pensavo arrivasse a tanto, non credevo accettasse la missione, ero convinto ci tenesse al suo dannato clan. Ero spiazzato.

Ma che mi aveva fatto, Itachi? Un ragazzino di tredici anni che mi faceva definire sbagliato, che mi faceva avere pietà di lui, invalidava i progetti della mia misera esistenza. E mi costringeva a bagnare l'interno della maschera con un groppo in gola ogni volta che appariva. Giammai! Io mi ero forgiato nel dolore e dovevo avere rispetto della mia sofferenza.

Chiamatemi ignobile, lo preferisco a vigliacco.

Tremavo, ma mi ero voltato: "Itachi, sei cresciuto parecchio."

Cosa c'entrava? Che mi aveva fatto per farmi dire una stronzata del genere? Ma, accidenti, era vero. L'uniforme che gli avevano appioppato quei bastardi della Radice gli donava. Era sempre magro, non sarebbe mai stato alto e robusto, ma le gambe slanciate erano agili e perfette. Gli fissavo i fianchi stretti, le mani affusolate pronte a impugnare la katana e scattare. Doveva essere elegante anche uccidendo, lo immaginavo nella danza letale, i capelli di seta che accompagnavano ogni suo movimento. Non li aveva più tagliati.

Ma gli occhi… erano diversi.

Tredici anni e già il dolore lo aveva dilaniato, masticato, risputato e lasciato lì come spazzatura. Era un mangekyou sharingan quello che stavo guardando. La sofferenza gli aveva segnato il viso. Era riuscito a farsi un solo amico e ora lo aveva perduto, non sarebbe mai più stato felice con lui e Sasuke. Il bellissimo futuro che aveva avuto davanti, cancellato. Tutto a causa mia. Sempre ammesso che ne avesse avuto uno.

Ma perché lo compativo, dannazione? Era successo anche a me.

Sì, chiamatemi egoista, chiunque soffre lo diventa.

"Cosa hai in mente, Madara?"

Mi ero sentito cadere, l'anima mi era rientrata nel corpo all'improvviso, il peso delle mie stesse membra mi aveva schiacciato. Non mi ero reso conto di essermi ammutolito chissà per quanto: "Vieni con me."

Lo avevo scortato fuori dal Villaggio, sapevo che c'erano quelle maledette telecamere piazzate dappertutto. Lui credeva che io fossi Madara. Perfetto.

"Davvero notevole, Itachi. Visto che hai saputo di me, avrai capito anche che nutro risentimento sia per Konoha che per il mio clan."

Mi fissava, gli occhi dolci di cinque anni prima erano diventati taglienti, sempre incorniciati dalle ciglia così lunghe. Il viso pallido dello stesso colore della luna sopra le nostre teste. Avrebbe dovuto godersi i suoni della notte e non stare a parlare con quello che era praticamente il suo assassino.

Quanto dolore aveva già passato, quanto gliene restava ancora da sopportare.

Le gambe mi tremavano, ma dovevo scegliere tra lui e buttare all'aria tutta la mia sofferenza.

Non avevo avuto il coraggio di farlo, io ero ancora la mia priorità. Sentivo le grida dei miei amici nelle orecchie, chi era Itachi Uchiha? Nessuno.

Chiamatemi prepotente, ma chi non può sollevarsi dalla sofferenza non ha tempo per il dolore altrui.

"Ho una proposta, Madara. Ti aiuterò a vendicarti degli Uchiha a patto che tu non tocchi Konoha e nemmeno mio fratello Sasuke."

"E se rifiutassi?" avevo inclinato la maschera di lato, Itachi catalizzava la mia attenzione senza uscire dal foro. Non se ne andava dal mio cervello.

"In quel caso, diventerò il tuo nemico implacabile."

"Saresti in grado di uccidermi, Itachi?"

"Non è questione di poterlo fare o meno. So che ti ucciderò."

La sua proposta era stata interessante e l'avevo accettata. Il disgusto verso me stesso mi lacerava lo stomaco, mi sarei auto vomitato. Era la prima volta che provavo una sensazione come quella, il rispetto che avevo sempre dovuto a me stesso traballava come un terremoto.

Non potevo lasciarlo solo ora che aveva imboccato la sua via senza ritorno, lo avrei preso per mano per accompagnarlo fino in fondo. Lo avrei sollevato a ogni caduta, gli sarei stato vicino il meglio possibile. Se fosse finito nel baratro, mi chiedevo come avrei potuto lasciarlo andare.

Ma che mi aveva fatto? Cosa ero adesso?

Era giovane, troppa oscurità lo avrebbe spezzato. Forzava se stesso, mi allontanava quando gli davo il mio supporto e questo mi faceva provare un dolore nuovo, lancinante.

Intanto ero arrivato sotto casa di quella troietta, l'idea di ammazzarla mi esaltava. Avevo riso sotto la maschera come non succedeva da tanto. Mi aveva visto trucidarle i genitori dalla finestra e aveva abboccato subito all'esca preparata per lei. Stupida. Ero uscito fuori, l'aspettavo. Il giorno più bello della mia vita.

Patetica, chiamava Itachi anche mentre schiattava, sapeva solo frignare. Ma cosa ci aveva trovato uno come Itachi in lei?

Tutte uguali queste ragazzine buone a nulla, stritolarla con la catena che avevo preparato per Minato non mi era costato fatica, era stato come schiacciare uno scarafaggio.

E lo era, se non avessi avuto la maschera avrei sputato sul cadavere.

Lui era lì, aveva guardato la scena senza battere ciglio. Pallido, ma era la carnagione con cui era nato. Bellissimo. Forse era stata lei a non dargli tregua, la solita oca.

Dovevo far sparire quella sgualdrina, non sopportavo l'idea che lui potesse tornare lì a mia insaputa per toccarla e magari prenderla in braccio per andare a seppellirla da qualche parte. E poi? Avrei dovuto subirmi tutto il lacrimoso andirivieni di Itachi sulla sua lapide? Non avevo mica un secondo mangekyou sharingan da sbloccare, stavolta il dolore mi avrebbe fermato il cuore.

No, non ero meno abile di Madara nel prevedere, in pochi minuti mi ero rimangiato tutti i complessi di inferiorità di una vita.

Chiamatemi spietato perché per amore lo si diventa.

Ma cosa ero diventato? Avevo appena pensato la parola amore.

Mi doleva la testa, me la ero arpionata, premevo con le punte delle dita tra i capelli.

Lui era sparito per portare a termine il suo compito e non me ero neanche accorto. Mi ero raddrizzato, mi sentivo esultante. Da ora in poi solo noi due, senza ostacoli. Per sempre.