Qualunque cosa succedesse, qualsiasi orario facesse, il momento più bello per Hashirama era quando tornava a casa la sera.
Casa. Una volta era stata una prigione, quando il padre e il fratello Tobirama gli organizzavano la vita per farlo diventare come loro. Ma essere un loro clone avrebbe significato rinunciare a felicità e amore. Se Hashirama avesse scelto la stima di padre e fratello, il matrimonio combinato che avevano in programma per lui, non negava che la vita sarebbe stata più facile. Avrebbe condiviso con Tobirama la falegnameria di famiglia e il fratello non lo avrebbe più considerato l'ultimo degli idioti. L'appoggio del padre sempre pronto. Pranzi, regali, serate in famiglia e tra amici. Tranquillità, feste comandate, una casa grande e accogliente.
Però Hashirama si conosceva, sapeva che quella reggia sarebbe finita per trasformarsi in una trappola. Quattro mura sempre più strette, una morsa dorata pronta a soffocarlo di falsa bellezza e di facciate create ad arte per compiacere gli altri.
No, grazie.
Hashirama era stato sempre più abile del fratello nella lavorazione del legno. Un oscuro dubbio si era insinuato a volte: Tobirama non voleva che lui brillasse, perciò lo offuscava per risultare lui il numero uno.
E così Hashirama aveva scelto. Madara lo aveva aspettato per anni, malgrado Tobirama lo avesse assalito più volte sia a parole che con le mani. Madara lo aveva steso a pugni un paio di volte, poi Tobirama non si era fatto più vivo. Il padre aveva ripudiato Hashirama, ma la felicità a volte ha il prezzo più alto.
Hashirama aveva trasformato il garage della modesta casa in un laboratorio, finché il suo talento non era venuto a galla e la falegnameria se l'era tirata su per conto suo. Madara insegnava storia al liceo, e così andavano avanti nutrendosi di pane e amore.
Ma, diamine! Era il cibo più delizioso del mondo.
Quella sera Hashirama aveva fatto tardi al lavoro, erano ormai le dieci, ma erano arrivati dei clienti importanti, forse una svolta, Madara lo avrebbe capito. Al telefono era stato entusiasta. Beh… l'entusiasmo massimo che poteva dare uno come Madara, avrebbe mantenuto il sangue freddo persino sotto la cappella di un fungo atomico.
Ma non lo amava da morire anche per questo?
Mai Hashirama aveva ringraziato tanto le sue lunghe gambe, ogni scalino salito due a due erano secondi guadagnati per stare con Madara.
"Sono tornato!" aveva annunciato facendo girare le chiavi nel portone.
La porta era chiusa dall'interno, Hashirama era rimasto di sasso vedendo tendersi la catenella. Quando mai Madara aveva avuto paura di stare a casa solo? Casomai sarebbero stati i ladri a dover implorare pietà.
"Tesoro, sono tornat…"
Se Hashirama non fosse indietreggiato si sarebbe perso la porta sul naso. Ma Madara non voleva sganciare la catena, lo aveva proprio chiuso fuori.
"È questa l'ora di tornare, Hashirama? Con chi sei uscito? Stasera dormi in garage."
"Madara, ho fatto tardi a lavoro, te l'ho detto."
Silenzio, nemmeno i rumori di qualcuno che si muove.
Il sospiro di Hashirama era rimbombato nella tromba delle scale. Madara era furioso, quando faceva così non restava che farlo sbollire.
Ormai rassegnato a trascorrere sul serio la notte in garage, Hashirama cercava di fare mente locale su cosa potesse avere Madara.
Davvero Madara era convinto che lui lo tradisse? Dopo tutto quello che avevano passato pur di stare insieme?
Sebbene Hashirama si fosse seduto nel suo laboratorio con l'intento di sfogarsi a scolpire, non riusciva a perdere la posizione accartocciata con le mani puntellate sotto il mento.
Si era mosso per estrarre il cellulare dalla borsa, forse aveva lasciato qualche commento di troppo sui social e Madara aveva frainteso. Però non vedeva niente di strano, anzi, erano giorni che non pubblicava, d'altronde era stato impegnato.
Che qualcuno, vedendo i clienti alla falegnameria, avesse riferito a Madara una notizia falsa?
L'oscuro dubbio era tornato, dopo anni, a farsi strada nella sua mente. Tobirama. Forse il fratello non si era ancora rassegnato a sfargliela pagare per aver osato ribellarsi alla famiglia. In effetti il vecchio timore di essere superato in talento poteva avere attanagliato ancora Tobirama. Madara era un uomo sensibile, ma pur sempre orgoglioso, non avrebbe mai raccontato l'ennesima aggressione da parte di Tobirama, era uno smacco che gli avrebbe richiesto un lungo tempo di elaborazione.
Hashirama aveva aggrottato le sopracciglia guardando il telefono, non sentiva il fratello da tre anni, ma ora era arrivato il momento di dirgliene quattro.
"Pronto?" inutile che Tobirama fingesse di non sapere chi era, il tono scocciato aveva parlato per lui.
"Tobirama, se ti azzardi ad avvicinarti ancora a me, a Madara o ai nostri posti di lavoro ti beccherai una denuncia. Non sto scherzando."
"Sei impazzito, Hashirama? Non ci crederai, ma papà e io parliamo spesso di te, ogni volta conveniamo che sia un peccato che abbiano chiuso i manicomi. Saresti stato il cliente più adatto."
"Tobirama…"
Niente, aveva riagganciato.
Hashirama si era accasciato sullo schienale con le mani sugli occhi, domani avrebbe dovuto affrontare il fratello di persona e non ne aveva nessuna voglia.
Improvvisamente, un peso sulle gambe; calore e fragranza di burro, glassa, cioccolata e vaniglia sotto il viso.
Hashirama non lo aveva sentito entrare, ma Madara era arrivato lì e gli si era seduto in grembo con un vassoio di pasticcini appena sfornati. Si vedeva che erano fatti a mano.
"Madara…"
Hashirama si era ritrovato con un bignè ficcato in bocca. Non riusciva a staccarsi dal sorriso di Madara e dai suoi occhi magnetici.
"Ma allora…" Hashirama aveva appena finito di masticare "Volevi solo festeggiare."
"Già, non erano ancora pronti."
Hashirama lo aveva abbracciato, poi aveva allungato le dita verso un muffin ai mirtilli. Madara gli aveva colpito la mano per farglielo mollare.
"Questo è più adatto" Hashirama si era ritrovato in bocca l'estremità di un cannolo, Madara rosicava dall'altra parte.
Le labbra di Madara erano arrivare calde e piene di crema, il sapore più buono che Hashirama avesse mai sentito. Il suo corpo reagiva scosso dai brividi.
"Volevo festeggiare, sì, ma per il giusto motivo" Madara si era sistemato meglio sulle gambe di Hashirama, si era messo a cavalcioni e gli abbracciava le spalle. Hashirama già sentiva la sua erezioni premergli il bassoventre "Tra poco sarà Natale. Le famiglie non durano per sempre, non le possiamo scegliere e dobbiamo prendercele per come sono. La mia non c'è più, ma non mi sono rassegnato a stare senza."
"Oh, Madara" Hashirama lo aveva guardato con gli occhi lucidi e struggenti, Madara era arrivato a tanto pur di farlo parlare col fratello.
"Ti amo, Madara."
Hashirama gli aveva stretto la vita, Madara lo aveva baciato con uno slancio tale da ribaltare la sedia.
Erano rovinati l'uno sull'altro ridendo, Hashirama se ne fregava di avere la faccia piena di pasticcini spiaccicati, si godeva Madara che leccava e succhiava via tutto con voluttà. Lo soffocava con i capelli: la morte più dolce del mondo.
Le mani di Hashirama si erano riempite delle natiche perfette di Madara, sorrideva annebbiato dalla gioia.
Avrebbe parlato con Tobirama. Il perdono non si concede per la ragione, ma per la pace.
