Immersa solo nel sorriso, negli occhi che la conducevano nelle infinite
profondità della sua anima, nel sogno incantato infine divenuto realtà
Eccomi ancora una volta nella Foresta Proibita.
Alle mie spalle, a occidente, l'oscurità della notte è ancora completa, ma davanti a me vi è già il primo vago chiarore dell'alba. La rugiada ricopre ogni cosa col suo velo leggero e presto i raggi del sole trarranno riverberi scintillanti dalle minuscole perle d'acqua. Gli orridi animali della notte tornano a rifugiarsi nelle loro tane oscure, mentre gli uccelli mattinieri cinguettano felici tra i rami degli alberi. In questo momento la foresta mi sembra una cara, vecchia e affezionata amica.
In questo momento anche la vita, forse per la prima volta, mi sorride gentile.
Osservo il primo raggio di sole penetrare tra i rami frondosi e disperdersi in minuti bagliori.
Alhyssa.
Alhyssa mi ama.
Alhyssa mi ama da sempre.
Ecco il mio sogno, devo solo tendere la mano.
Questa mattina, forse, il sole è infine sorto anche per me.
Chiudo gli occhi e mi abbandono a questa dolce e meravigliosa emozione.
Il dolore acuto della ferita mi riporta brusco alla realtà.
Guardo alle mie spalle: il cielo è sempre nero.
Le tenebre del mio passato.
Voldemort è là.
Ancora.
Mi rendo conto che le spietate tenebre, che hanno sempre strettamente ingabbiato il mio passato, non mi hanno ancora abbandonato. Voldemort è la mia vera oscurità.
La tua luce, mia dolce Alhyssa, non può ancora brillare per me, non finché l'Oscuro Signore è vivo e può farti del male.
Non è ancora giunto il tempo di abbandonarmi all'amore.
Non posso concedermelo. Se mi adagiassi nelle dolci emozioni dell'amore, perderei tutta la mia freddezza e il mio autocontrollo.
Non riuscirei più a dominare e cancellare questa emozione d'amore, così potente, alla presenza di Voldemort. Riuscirebbe a sbaragliare le mie difese e insinuarsi, con estrema facilità, nella mia mente scoprendo tutto. Non potrei più farmi scudo dell'Occlumanzia e rimarrei inerme, sua debole preda come ogni altro mago. Ma io so fin troppo bene cosa significa.
Troppe volte ho visto maghi, forti e sicuri di sé, crollare in un istante rendendosi conto che le persone amate erano in pericolo. Troppe volte ho visto padri, sinceri e onesti, tradire gli amici per salvare il proprio figlio. Troppe volte ho visto mariti dolcemente innamorati, uccidere con insensibile crudeltà pur di salvare il proprio amore.
E tutti, alla fine, hanno perso.
Anche i pochi fortunati che sono riusciti a salvare il figlio, o la moglie, o la loro misera vita: hanno perso la dignità e il rispetto di se stessi. Sono diventati schiavi abbietti dell'Oscuro Signore, che ha saputo togliere loro ogni speranza.
I miei occhi hanno visto troppe sconfitte, le mie orecchie udito troppe urla disperate ed io ho imparato a non fare passi falsi, mai!
Ho congelato ogni singola, trascurabile e insignificante emozione, ho rinnegato di possedere un cuore capace di amare e soffrire, ho soffocato in un rogo ardente ogni singolo ansito della mia anima.
È il prezzo pagato per sfidare l'Oscuro Signore, per fissarlo senza timore negli spietati occhi iniettati di sangue, per mentirgli con il più completo distacco nello sguardo e nella voce.
Mi sono condannato al gelo e alle tenebre per combattere e distruggere Voldemort e adesso devo terminare ciò che ho iniziato. Lo devo a tutte le vittime innocenti il cui sangue è ancora sulle mie mani.
E' il mio debito d'onore, non posso non pagarlo: io voglio pagarlo!
Il mantello si è impigliato nei rovi, come diavolo ho fatto a finirci in mezzo?
Lotto per liberarmi, ma le spine mi assalgono impetuose, mi si parano davanti ferendomi crudeli le mani, mentre il sole illumina le minute goccioline di sangue che stillano dai piccoli graffi.
Sono intrappolato, proprio come il mio cuore, da un insormontabile muro di rovi spinosi. Non c'è luce per me, non c'è speranza, non c'è alcun futuro possibile. Ci sono sempre e solo le colpe e le tenebre del passato che mi schiacciano e opprimono.
Ancora non posso anelare alla felicità, ancora non posso amarti, Alhyssa: non devo coinvolgerti nella mia oscurità, non posso farlo, non voglio! Tu sei solo luce e calore e speranza: io rischio di distruggerti, annullandoti nella mia eterna notte disperata.
Ora anche il sole si sta offuscando, l'oscurità orna ad avvolgermi nelle sue gelide spire. Barcollo, cerco di sfuggire alle ombre minacciose del passato che m'inseguono, sempre più vicine: tento di non ascoltare gli urli strazianti delle vittime innocenti che mi rimbombano sempre più forti nelle orecchie. Ma i rovi mi stringono, mi ghermiscono con unghie affilate, non riesco a fuggire. Stremato, sudato e impaurito cado in ginocchio tra i rovi imponenti, cercando di proteggermi il volto con la mano.
Il dolore acuto delle spine che mi trafiggono le gambe mi riporta alla realtà.
Sono un idiota, solo uno stupido idiota: sto delirando per la febbre.
La ferita pulsa rabbiosa: ho perso troppo sangue. Devo tornare al castello, alla svelta! Estraggo la fiala di pozione Corroborante dalla tasca del mantello e ne trangugio in un sorso l'intero contenuto, poi passo una mano sugli occhi, cercando di schiarirmi la vista. Stringo i denti e mi rialzo: posso farcela.
Allungo il passo pestando con decisione il piccolo cespuglio di rovi sul quale sono miseramente crollato e mi dirigo di nuovo verso Hogwarts.
Poi qualcosa mi distrae: là, in mezzo ai rovi, il sole trae brillanti riflessi vermigli.
Mi chino a osservare: uno splendido e delicato fiore fa capolino tra le spine. E' di un rosso inteso, come il fuoco, come l'amore, come la mia passione per Alhyssa.
Allungo una mano, incurante dei nuovi graffi che mi procuro.
Quel fiore rosso, illuminato dal sole, imprigionato in mezzo ai rovi, deve avere un significato, un valore importante.
E' come il mio cuore straziato che ancora pulsa disperato, urla chiedendo pietà, cerca smanioso la libertà. E' come la mia dolce e appassionata Alhyssa che attende di donarmi il suo amore.
Le mie dita si stringono delicate sul gambo del fiore purpureo e per un istante la mia mano trema, indecisa. Poi lo colgo e lo porto alle labbra per sfiorarlo piano, in un quieto sospiro.
Anche per me verrà il dolce tempo per amare, ora ne ho la certezza.
Ma prima devo compiere il mio dovere e pagare il mio debito. Devo riportare la sicurezza nel mio mondo e ricacciare per sempre il demone infernale nelle tenebre da cui emerse tanti anni fa.
Il sole ormai splende sulla Foresta Proibita e distinguo in lontananza le alte torri di Hogwarts.
Infine era riuscito ad arrivare al castello e trascinarsi a fatica verso il suo appartamento.
Era crollato tra le braccia di Alhyssa che lo aveva adagiato sul letto. In poche parole, alquanto confuse, le aveva raccontato tutto di Lupin e del fortunoso salvataggio. Ma non le aveva detto che Remus gli aveva rivelato i suoi sentimenti.
La maga lo guardava scotendo lieve il capo, incredula, con i meravigliosi occhi verdi che sapevano sorridere alla sua anima, riscaldandogli il cuore.
Gli sciolse la fasciatura di fortuna alla spalla e inorridì vedendo la ferita.
- E' un taglio molto profondo. Dobbiamo andare da Madama Chips.
- No. Nessuno deve vedere, nessuno deve capire. – mormorò sfinito.
- Ma io, cosa posso fare? Ci vorrebbe una pozione rigenerante.
Severus sorrise stancamente indicando l'armadietto nell'angolo:
- Là troverai il necessario per preparare la pozione Cicatrizza e Rigenera.
- Quella terribile pozione? Ma è dolorosissima! – esclamò allarmata.
- Ne conosci un'altra in grado di rimettermi in sesto in poche ore? – la sfidò.
- No, maledizione. Per il semplice fatto che non esiste. – imprecò.
- Allora non perdere tempo in stupide chiacchiere. – sibilò Severus - Credo di essere prossimo a svenire. Datti da fare alla svelta.
Alhyssa sbuffò.
In un modo o nell'altro finiva sempre per trovarsi a eseguire gli ordini che Severus le abbaiava addosso sgarbato. Anche se doveva sempre ammettere che il mago aveva ragione. Aveva sempre maledettamente ragione.
E lei lo amava, sempre di più, a ogni singolo istante.
In pochi minuti la pozione fu pronta e la posò sul comodino. Pulì con cura la ferita, cercando di essere più delicata possibile, ma sobbalzando ogni volta che lo vedeva stringere i denti o socchiudere gli occhi per il dolore.
In un attimo fu in bagno di sudore. Allungò la mano tremante per prendere l'ampolla.
Severus posò la mano sulla sua, fermandola:
- Stai tranquilla, Alhyssa: va tutto bene. – sussurrò piano, con voce dolcemente rassicurante. – Rovescerai la pozione se le tue mani tremano.
Alhyssa lo guardò e sentì tremare anche il cuore.
Vide la mano ricoperta di graffi. Vide il volto pallido e sfinito dalla sofferenza, i lunghi capelli neri sparsi sul cuscino bianco, le labbra sottili, esangui, dischiuse in un sorriso rassicurante, appena accennato.
Vide il fuoco ardere nei profondi occhi neri, lesse di nuovo il messaggio d'amore che le impetuose fiamme nere portavano a galla dalle profondità di quel suo Cuore Oscuro, e seppe che anche lui stava leggendo nei suoi occhi lo stesso messaggio.
Non c'era bisogno di parlare: le parole erano inutili. Il loro amore era troppo grande per essere imprigionato in semplici parole.
La sua mano tornò sicura e ferma.
Prese l'ampolla e con un lieve tocco impresse un movimento circolare al liquido ambrato, affinché la pozione risultasse magistralmente mescolata. Colse un lampo d'orgogliosa approvazione scaturito per un istante dalle iridi di Severus. Lo versò senza esitazione sulla ferita, consapevole del terribile dolore che avrebbe scatenato.
Chiuse gli occhi e strinse i denti, mentre cercava, tentoni, di riappoggiare l'ampolla vuota.
Severus fu assalito dal lancinante dolore provocato dalla pozione che, all'istante, cominciò ad agire sulla profonda ferita cicatrizzandola e rigenerando i tessuti, comprimendo in poche ore l'intero processo di guarigione, ma concentrando nel ridotto lasso di tempo, e segnatamente i suoi primi minuti, tutto il dolore che la natura, generosa con gli uomini, aveva distribuito in diversi giorni lungo il normale processo di guarigione.
Ma Severus non era mai stato generoso con se stesso, meno che mai il giorno in cui era riuscito a sviluppare la pozione fino al suo limite estremo.
Anche se, ogni volta che la assumeva, l'insopportabile dolore sembrava sempre coglierlo impreparato. Vi era un nesso diretto tra l'intensità del dolore e la gravità della ferita, e il taglio infertogli da Lupin, spaventato, era molto profondo.
Alhyssa era china su di lui e non voleva che capisse, neppure un gemito avrebbe dovuto sfuggirgli, neppure un sospiro. Lei conosceva l'effetto della pozione, ma non voleva che vedesse ancora la sofferenza sul suo volto.
Alhyssa riaprì infine gli occhi e si costrinse a guardarlo: le sue labbra sottili, appena dischiuse, tremavano un poco; i profondi occhi neri erano socchiusi, ma ogni tanto li spalancava per un istante, ed erano colmi di sofferenza.
Ma neppure il più piccolo lamento gli sfuggiva dalle labbra.
Si chinò a prendergli la mano, stringendola, soffrendo con lui. Severus le strinse la mano e le regalò un piccolo e incerto sorriso.
Alhyssa sentiva l'amore crescere sempre più verso quell'uomo incredibile.
Sapeva quale dolore stava sopportando, eppure era lì, con il sorriso sulle labbra tremanti, affinché lei non si preoccupasse troppo.
Ricambiò il sorriso, senza riuscire a trattenere una lacrima: in quel momento desiderò con intensità d'essere una fatata Fenice.
Quei primi, interminabili e terribili minuti, erano infine trascorsi.
Lo vide rilassarsi un poco sul cuscino e chiudere gli occhi. Terminò di medicare la ferita e lavò dal sangue il resto del torace, buttando via camicia e mantello, laceri e impregnati di sangue. Si accinse quindi a immobilizzargli il braccio sinistro sul petto.
Solo in quel momento si accorse che la sua mano stringeva qualcosa: un piccolo fiore purpureo, dal colore incredibilmente intenso, faceva capolino tra le dita, fragile e forte al tempo stesso, delicato e orgoglioso.
Un meraviglioso fiore di rovo, nato nella profonda oscurità della foresta, cresciuto sfidando ogni giorno la morte delle spine, colto per lei dall'uomo che l'amava.
Il simbolo sublime del loro amore.
Delicata glielo sfilò dalle dita portandolo alle labbra.
Severus riaprì gli occhi in quell'istante. Il loro fu uno sguardo interminabile, intenso, intriso di amore profondo e sconfinato.
- Ti amo. – sussurrò piano Alhyssa – Immensamente. – e si chinò piano a sfiorargli appena le labbra, che fremettero al tocco leggero.
Severus l'allontanò con dolcezza e tornò a rimirarla. La maga leggeva un amore infinito nella splendente luce nera dei suoi occhi.
- Ma anche tu mi ami. - affermò con dolce sicurezza – Perché continui ad allontanarmi da te?
- Non posso, ancora non posso. – sospirò Severus socchiudendo gli occhi.
- Perché? Perché non puoi?
- Alhyssa… Alhyssa, come è dolce il tuo nome sulle mie labbra! - mormorò piano – Se io ti amassi, ora, metterei a rischio la tua vita. L'Oscuro Signore ancora incombe su di noi: ho visto troppi uomini perdersi per amore, e perdere il loro amore.
Severus protese la mano fino a sfiorarle la guancia:
- Nessuno deve sapere che ti amo. Anche tu non avresti mai dovuto saperlo.
La sua voce era un delicato sussurro d'amore e gli occhi brillavano d'incantato e puro desiderio.
- Prima occorre distruggere il malefico potere dell'Oscuro. Per questo ero fuggito da te, sei mesi fa.
Alhyssa gli afferrò la mano premendola contro la propria guancia e baciandone teneramente il palmo:
- Sei un uomo meraviglioso, Severus. Ed io ti amo, ogni istante di più. – sussurrò, gli occhi dilatati e scintillanti – Ti imploro, lasciati amare! Sarà il nostro meraviglioso segreto, ti prego!
Il mago scosse il capo, mesto, riuscendo a far scivolare via la mano dalle labbra brucianti:
- No, mio dolce amore. Un gesto, uno sguardo presto ci tradirebbero.
La mano di Alhyssa cercò di trattenere la sua e lui la strinse, portandola vicino alla guancia.
- Per quanto io sia bravo a occludere la mente all'Oscuro, non riuscirei mai a nasconderti a lui. E non posso farti questo. - sussurrò sconsolato - Ho già perso una volta la donna che amavo per non aver saputo rinunciare a lei: non ripeterò ancora lo stesso errore!
- Io non voglio rinunciare a te, e non ti permetterò di farlo! – esclamò con impeto.
- Alhyssa, ti prego, non insistere! – la implorò socchiudendo gli occhi, mentre di nuovo portava alle labbra la sua mano. – Ti amo. - sussurrò piano, sfiorandole appena la punta delle dita con le labbra. - Ti amo immensamente: ma prima dobbiamo distruggere l'Oscuro!
- E allora distruggiamolo alla svelta! – cercò di sorridere Alhyssa.
Anche Severus sorrise, socchiudendo appena le labbra sottili.
Un sorriso appena accennato, un dolce sorriso incantato che sembrò liberare le fiamme nere e splendenti dei suoi occhi.
Ad Alhyssa sembrò di librarsi nell'aria, immersa solo nel sorriso, negli occhi che la conducevano nelle infinite profondità della sua anima, nel sogno incantato infine divenuto realtà:
- Com'è bello il tuo sorriso, Severus!
- E' per te, solo per te. Per la donna che mi ha fatto tornare a vivere, a sognare, ad amare… e a sorridere.
La voce di Severus, infinitamente dolce, lasciava trasparire con intensità tutto il suo immenso amore:
- Per la donna che ha saputo liberare il mio cuore dall'oscurità, per inondarlo con la luce della sua speranza.
Severus la trasse delicato a sé:
- Ti amo! – le sussurrò piano, sfiorandole soave le labbra, in un dolcissimo e casto bacio, prima di allontanarla ancora una volta, con un lungo e sofferto sospiro.
Poi strinse gli occhi e si morse forte il labbro cercando di resistere a se stesso.
Mai ci fu duello più arduo e dall'esito così incerto di quello che il mago combatté contro di sé in quel momento.
Infine riaprì adagio gli occhi, dove le fiamme ardenti di passione d'amore avvampavano ancora tumultuose e indomabili. Ma per quella volta, ancora, era riuscito a vincere la battaglia che si faceva sempre più difficile e dal risultato quanto mai imprevedibile.
- È meglio che tu finisca di medicarmi la ferita. – disse pacato.
Alhyssa lo guardava, incredula per l'esito della lotta, di cui aveva ben compreso il significato. Eppure era anche ammirata e orgogliosa che quell'uomo sublime amasse proprio lei.
Prese la bacchetta e fece comparire un vasetto d'acqua dove immerse il fiore purpureo che, fino a quel momento, aveva stretto tra le dita. Un lieve tocco e il fiore ritrovò tutta la sua naturale freschezza.
Senza dire una parola, ma sempre sorridendo felice, terminò di medicarlo immobilizzandogli il braccio sinistro sul petto. Gli fece quindi bere una pozione soporifera e si accomodò vicino a lui, attendendo che si addormentasse.
Severus era sempre rimasto serio e silenzioso, ma non l'aveva mai abbandonata con lo sguardo. Uno sguardo che valeva ben più di mille parole. Un fuoco ardente che riscaldava il cuore.
Presto scivolò nel sonno.
Alhyssa si chinò per accarezzargli con dolcezza il volto, spostando la ciocca di capelli neri sempre ribelle.
Rimirò il viso, rilassato nel sonno ristoratore, dove ogni ruga sembrava scomparsa. Anche quelle tanto amate: sottili e numerose all'angolo degli occhi e quella profonda, quasi scavata verticalmente nella fronte, appena sopra il naso.
Sfiorò con le dita le labbra sottili, dischiuse morbide nell'abbandono del sonno, la guancia pallida, la tempia e i capelli disordinati. Poi si chinò per rubare un bacio alle sue labbra e sussurrò piano:
- Ti aspetterò, amore mio, per tutto il tempo necessario!
