I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!

Se non ricordi che l'amore t'abbia mai fatto commettere la più piccola follia, allora non hai mai amato

William Shakespeare

Questo è tutto

La pioggia s'infittì, che André fece un passo indietro, rimettendosi a sistemare la ruota della carrozza.

Non intese attendere risposta da parte di Oscar.

La destra afferrò il martello, il suono sgraziato e ritmato contro il ferro di supporto alle parti lignee, ripiombò l'atmosfera nella solitaria congettura.

Nella testa l'ammissione ch'era un vigliacco da qualunque parte si volesse osservare la questione.

Oscar stava tentando di sottrarsi ad un amore che lei poteva osservare solo da fuori.

Un amore che faceva male.

Un legame che lei non avrebbe mai potuto spezzare…

E tu che fai, idiota?!

La spingi ad andare…

La spingi a mostrarsi solidale con i due amanti!

Lo fai per infliggerle altro dolore, a mezzo d'una responsabilità che la farà solo soffrire?

Lo fai perchè così il conte saprà di avere un'alleata?!

Non la guarderà mai come una donna, come un'amante…

Non potrà farlo perché questo gesto sarà sotto gli occhi di tutti, sarà solo un tributo all'amicizia, al rispetto verso la regina!

Non le consentirai di sottrarsi, così che lei potrà rivelarsi solo per ciò che è, un'amica!

La costringerai dunque nella sua gabbia, lì, impedendole di uscire, impedendole di essere un'altra…

Sei un vigliacco!

Non l'hai fatto per lei ma per te stesso!

E se invece…

Lo scenario raggelò i muscoli e il sangue freddo che scorreva nella testa.

E se invece il conte dovesse accorgersi di lei?

Si alzò André, il martello stretto nella destra, lo sguardo alla porta della scuderia aperta.

Sarebbe bastato tornare sui propri passi, tornare da lei ed ammettere che forse aveva ragione e che sarebbe stato bene non immischiarsi nelle congetture amorose tra la regina ed il Conte di Fersen.

Ammise che sarebbe stato davvero troppo, anche per una come Oscar.

Fredda, impassibile…

Talmente fredda d'apparire irraggiungibile…

Capace di spezzare un cuore con un semplice sguardo di disprezzo.

Eppure, quella stessa donna così fredda sarebbe stata in grado di esibire il tepore generato dall'amicizia e dal rispetto verso la sovrana di Francia, frapponendosi tra i due amanti sì che entrambi avrebbero potuto continuare ad amarsi, anche se distanti.

Che cosa vorresti tu?!

Amare e rivelare il tuo amore al mondo intero con il rischio di vederlo svanire?!

O tacere il tuo amore, così da mantenerlo intatto seppur monco d'una parte di sé?!

Non ha più importanza…

Ormai non più.

Sei un vigliacco!

Se tu non hai speranza perché dovresti privarne lei?

Non potrai mai amarla e dunque la spingi verso Fersen ben sapendo che nemmeno lui potrebbe rivolgerle uno sguardo che non fosse di stima e riconoscenza verso una pura amicizia, senza altri fini che alimentare se stessa!

I due amanti si fidano di lei!

E lei non potrebbe mai tradirli!

Ecco ciò che hai fatto André Grandier!

L'hai legata per sempre al dannato ruolo di confidente e amica!

Anche tu dunque hai usato questa storia…

L'hai spinta verso il conte così che lei sarà accecata dall'amore di quell'uomo verso la sua regina.

Vai all'Inferno Oscar François de Jarjayes!

Così come ci finirà il tuo servo André Grandier!

Questo è tutto Oscar…

Questo è tutto ciò che posso fare per te!

§§§

I cavalli spinti ad accelerare l'andatura.

La pioggia aveva dato tregua ma la strada era un'immensa pozza di fango, sì che sarebbe stato necessario sbrigarsi ma al tempo stesso avanzare con cautela per evitare di finire nel fosso.

Da lontano presero ad ondeggiare chiare e splendenti le luci che illuminavano la reggia, sequenze geometriche lineari e rigide a sottolineare la fila delle finestre, i frontoni, le statue, i ricami di marmo sapientemente rischiarati da torce capaci di resistere all'umidità che aveva preso a serpeggiare dal terreno.

Tutto moltiplicato dalla rifrazione dell'aria umida.

Vigliacco…

André strinse le redini.

"Siamo in ritardo!" – gridò – "Spingo un poco i cavalli!".

Tacito assenso sgusciò a labbra strette…

E' strano!

Che anche tu in fondo stai facendo la figura dell'ipocrita!

L'hai spinta a finire in mezzo ai due amanti, l'hai fatto per vendicarti di lei, che lei si è innamorata di un altro e non di te…

Un altro che non sa nulla di lei e non saprà mai nulla!

In fondo anche tu sei un demonio che ti servi di lei per appagare la tua impotenza di fronte alle cose.

Pensi di lavarti la coscienza concedendoti d'immaginare che lei si presterà a questo idiota gioco di amicizia e rispetto.

In realtà vuoi solo che soffra, che osservi la realtà per ciò che è!

Tu non puoi averla e lei non avrà nulla!

E tu, anche tu, passerai per un amico fidato, uno che dà consigli di fronte alla disperazione di un amore tanto irresponsabile quanto impossibile.

Farai la tua bella figura e lei non s'accorgerà mai che stai morendo…

Che anche tu sei un dannato idiota…

Un traditore…

Dannazione…

Se la amassi davvero…

Se Fersen s'accorgerà che lei…

Il frustino schioccò in aria, i cavalli accelerarono il passo seppur trattenuti, che davvero, uno scarto della ruota per via del fango, e sarebbero finiti nel fosso.

Poi, di nuovo, le redini tirate, con meno forza così d'arrestare la carrozza.

André scese e andò ad aprire lo sportello.

La solerzia impressa ai gesti, nemmeno fosse scesa dalla carrozza una nobile dama imbellettata, l'abito sontuoso e frusciante, da reggere per evitare che finisse schizzato di fango.

Se davvero Oscar fosse stata una donna come tutte le altre, forse non ci avrebbe impiegato che un istante a…

Se Oscar fosse stata una donna come le altre, tu non saresti qui e lei forse avrebbe già preso marito da un pezzo e…

Forse non avresti nemmeno avuto la possibilità d'incontrarla.

Chi mai avrebbe messo accanto ad una figlia, futura contessa, un servo d'un paesello sperduto di campagna, ad accompagnarla, per reggere il merletto del vestito?!

André strinse i pugni alla visione dell'altra, vestita in alta uniforme, il passo lieve ma fermo, lo sguardo fisso alla grande piazza abbracciata dalle ali della reggia.

Oscar svanì, inghiottita dalle mura marmoree abbellite da composizioni floreali, fiaccole luminose ed avvolgenti, turbinio di vestiti sontuosi, tempestati di pizzi e perle e diamanti, a rappresentare lo sfarzo d'un mondo che aveva come unico fine quello di alimentare se stesso e sopravvivere allo scorrere del tempo.

Che lei godeva di altro genere di chiarore, sobrio ed oscuro, capace di colpire ugualmente, anche se ammantato della stoffa bianca di un'uniforme istoriata, designata ad essere indossata per i ricevimenti più importanti.

Anche André scomparve nelle scuderie per accudire i cavalli.

La serata sarebbe ben presto sfociata nelle fredde ore della notte per scivolare oscura e severa verso il nuovo giorno.

Nessuno si sarebbe più curato di servi ed attendenti.

Che nessuno avrebbe lasciato il ricevimento prima dell'alba, un'alba fredda e triste.

L'ultima da trascorrere alla reggia.

I passi condussero giù, nelle cucine.

Ci volevano quasi venti minuti per percorrere il dedalo di corridoi e stanzette più o meno dotate di camino, acquai, carrucole per il trasporto delle vivande e della legna necessaria ad alimentare i fuochi.

Il via vai era forsennato ma ordinato. Ciascuno aveva il suo compito da svolgere, dall'ultimo servitore addetto a ripulire i piatti da schizzi e briciole prima d'esser serviti in tavola, agli addetti alla sistemazione di piumaggi e fiori, a decorazione delle pietanze che avrebbero suscitato lo stupore ed il plauso dei commensali.

Camerieri, sommelier, mastri cuochi e aiutanti degli aiutanti…

André conosceva quasi tutti, che quando lei svolgeva il servizio di guardia a lui era consentito girovagare per gli ambienti meno nobili della reggia ma particolarmente accoglienti.

E lui era il benvenuto ed era accaduto spesso di finire corteggiato da qualche servetta o cameriera d'una qualche dama di compagnia.

Un tocco alla porta dell'ultima stanza giù in fondo al corridoio, una sorta di dispensa delegata a contenere vini pregiati, frutta, conserve e tutto quanto sarebbe stato necessario per abbellire le tavole dei commensali.

Un tripudio di piume e ricami misti a gelatine e porcellane…

Pareva tutto in disordine ma no, là sotto regnava un ordine quasi più ferreo di quello che dirigeva i gesti del Colonnello della Guardia Reale.

Ci stava bene André là sotto, in mezzo a scorte di carne affumicata, pollame spennato appeso a testa in giù, vasetti di miele ambrato oppure nero e tiepido come le notti di primavera senza luna.

Si godeva il riposo oppure le chiacchiere con qualche servetta, quella intenta a farcire tacchini e lui a spiluccare il ripieno crudo dall'orlo bianco della ciotola.

Quando aveva messo piede per la prima volta a Versailles, all'inizio lo stupore era stato grande, poi, a poco a poco, allo stupore s'era sostituito lo smago per lo splendore freddo, lo spreco immondo, la noia colmata dal gioco d'azzardo, perdite vertiginose e scommesse che comprendevano terre, carrozze, dame da impalmare…

Una vocetta trillò d'entrare.

I passi condussero al chiarore tiepido e profumato di pane appena sfornato mentre di fuori si susseguivano le comande per l'imminente cena.

La porta si chiuse e tutto parve spegnersi, accarezzato solo dagli schiocchi della legna un poco umida che ardeva nel camino e dal fumo liscio ch'evaporava fuori dalla pentola a sobbollire sopra.

Non c'era nulla dentro, solo acqua…

Per tenere caldo ed abbastanza umido il luogo, sì che le gelatine non avessero finito per perdere la loro eterea lucentezza.

Se l'immaginò André, mentre si toglieva la giacca, giù, nel fondo delle cucine odorose di spezie ed intingoli ed arrosti…

Se l'immaginò e quasi la vide la sua Oscar, il passo lieve e fermo, mentre avanzava e gli occhi dei cortigiani e dei dignitari e dei ministri posarsi su di lei, come falene attirate dalla luce della sua figura dignitosa e chiara e algida, di contro agli idioti commenti che fino a quel momento dovevano aver sibilato, di bocca in bocca, esaltando come novello Don Giovanni di Svezia, il personaggio che forse se ne stava in disparte solo per rimarcare lo sprezzo verso altri che non fossero stati alla sua altezza o pari alla sua bellezza.

E tutti a chiedersi come avesse fatto quel conte a finire nelle grazie di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, se non appunto per via dell'algida bellezza su cui si sarebbero abbattuti come chicchi di grandine commenti sommessi e taglienti, mescolati ad effluvi stonati di sudore e vino aspro e profumi dolciastri e sgraziati.

§§§

Nella testa del conte c'era e ci sarebbe stata solo l'idea di limitarsi a partecipare al ricevimento, avendo raccolto l'invito di Sua Maestà, per non sottrarsi alla diceria che la sua assenza sarebbe potuta passare per prova certa della sua mala fede.

Una relazione amorosa dimostrata dall'assenza…

Una relazione amorosa soffocata nella presenza.

Dunque sarebbe stato bene esibirsi, sfoggiare sicurezza, sottoporsi allo scherno ed alle occhiate maliziose…

E…

Dannazione…

Così, ne era certo, non avrebbe fatto a meno di guardare la donna che lui amava.

L'avrebbe osservata sì, non da lontano, e si sarebbe avvicinato e le avrebbe chiesto di ballare.

Quell'idiota di suo marito non praticava la danza e non l'aveva mai invitata a ballare.

Si poteva essere più stupidi…

Fersen afferrò un bicchiere di vino.

Lo trangugiò per annebbiare un poco la smania.

Un passo…

Il messo annunciò l'arrivo di Sua Maestà la Regina…

La dannata Galleria degli Specchi prese a rifrangere gli sguardi dei presenti e anche chi non avesse guardato nella direzione dei due amanti avrebbe potuto scorgere in uno spicchio di vetro il riflesso degli occhi impassibili e fissi dell'uno a quelli dell'altra.

L'abito della regina, sobriamente acceso d'un rosso sgargiante ma non volgare, impreziosito da ricami di perle e pietre preziose, tale da risaltare la grazia e l'eleganza della prima donna di Francia…

Il passo altrettanto fermo e mite…

Gli occhi di tutti addosso…

In un istante, gli sguardi malevoli scivolarono via come una goccia d'olio è incapace di mescolarsi all'acqua.

I commenti s'infransero davvero, inghiottiti e rubati dall'ingresso dell'altra figura che catturò l'attenzione distogliendosi dalla regina e dal suo amante.

Uno spettacolo insolito, forse assolutamente mai veduto.

Gli sguardi si concentrarono su di lei…

Persino il Conte di Fersen si stupì di vedere il Colonnello Oscar François de Jarjayes entrare nella grande Sala degli Specchi, la persona esaltata dallo scintillante scenario, così come il passo, il corpo ed il portamento.

Sì, il Conte di Fersen si stupì di vedere Oscar François de Jarjayes.

La vide…

Così come la vide e si stupì Sua Maestà la Regina Maria Antonietta che attese che l'altra s'avvicinasse.

Se l'immaginò André cosa avrebbe fatto allora Oscar François de Jarjayes.

Chiusa nella splendida uniforme avrebbe interpretato degnamente la parte del cavaliere che soccorre la dama in difficoltà, sottraendola alle maldicenze capaci di ferire peggio dell'acciaio.

Una semplice domanda…

L'alta uniforme era indossata per i ricevimenti più importanti, simbolo del blasone e del rango, e l'abito indicava l'intento di partecipare al ballo non come semplice spettatore e nemmeno per sorvegliare sala e invitati.

Una semplice domanda, un dubbio espresso con delicatezza…

"C'è qualcosa di speciale questa sera nell'aria?" - chiese Maria Antonietta una volta compreso l'indiretto messaggio indotto dall'abito dell'ufficiale – "Non avete mai danzato fino ad oggi!?" – "Vostra Maestà…il vento soffia da est ad ovest…".

Parole che implicitamente rivelavano un intento lieve e discreto…

Il vento di levante prende il nome dall'est che è anche il luogo dove sorge il sole…

Poteva accadere dunque d'assistere ad una nuova nascita?

Al corso d'un nuovo intendimento?

"Sì…" – ammise sollevata Maria Antonietta, intuendo il senso della chiosa – "Dunque avete intenzione di ballare con un uomo oppure una dama?!".

S'immaginò André che a quella domanda Oscar François de Jarjayes avrebbe potuto rispondere in un solo modo.

Sii amica della regina!

Accogli l'amore che lei prova per il Conte di Fersen!

Questo è tutto!

Tutto ciò che potrai fare per lei!

E questo sarà tutto anche per te!

Ammirerai il vero amore così da vicino che ne resterai abbagliata!

Anzi, forse esso finirà per bruciare la tua dannata anima…

Fersen ti ammirerà a sua volta e…

Forse anche lui resterà incantato dalla tua pura bellezza…

Né uomo né donna…

Semplicemente Oscar…

Brucia!

Brucia all'Inferno Oscar François de Jarjayes!

Il ceppo buttato nel fuoco del camino schioccò scintille bianche e fredde.

André si tolse la sciarpa annodata al collo, s'allargò i lacci della camicia, stirandosi ed andando a sistemarsi a sedere davanti al fuoco per levarsi dalle ossa l'umidità di quelle giornate di pioggia mista a sole, che la terra un momento era fredda e fangosa e poi, subito dopo, arsa dalle ore più calde, quasi bollente e crepata d'aride spaccature.

Ammise ch'era così che si sentiva.

Un momento inondato dall'insana follia, gelida e furente al tempo stesso, di prendere a pugni il conte, strappargli di dosso quel malinconico sorriso da amante disgraziato…

Ed il momento dopo rinchiuso nell'altrettanto inevitabile oscurità che tutto gli sarebbe stato impossibile, se non assistere al progressivo scadimento del cuore, straziato da spaccature profonde.

Al diavolo…

Attese André…

Rimestare di stoviglie…

Lo schiocco del chiavistello della porta chiusa stavolta, proprio a chiave.

Il frusciare di vesti morbide ammantate del sentore un poco aspro degl'intingoli ch'erano stati messi a sobbollire dal pomeriggio…

Mani morbide si permisero di scostare il ricciolo che copriva l'orecchio, per sistemarlo dietro.

Il profilo non si mosse, rimase rigido, gli occhi ad osservare il fuoco.

Si chiusero gli occhi, alla fine, ad immaginare la scena.

§§§

Uno sbuffo appena accennato…

Gli occhi veridi e severi ad osservare la grande Sala degli Specchi, un poco defilato com'era sua consuetudine, come aveva stabilito tanti anni prima, un po' perché imposto dal rango, un po' perché l'aveva deciso lui.

Le tante altre ragioni stavano lì, davanti a sé, lo sguardo alla moltitudine di cortigiani imbellettati e vanesi a cui anche lui apparteneva, se non che l'uniforme che indossava gli aveva consentito di mantenere una certa sobrietà di modi, una certa alterigia, da spendere per tenere a distanza dame e possibili fidanzate.

La questione delle fidanzate non era rilevante.

Non era certo del perché, solo, non gl'interessava.

Gli era bastato arrivare a quella conclusione, imbastire qualche congettura, tirare le somme.

Ammettere che il pensiero, quello ondeggiante e blasfemo e irriverente dell'altra, finiva per raccogliersi sempre lì, avanti a sé…

L'immagine dell'altra fissa avanti a sé, solo un passo oltre, quel passo che lui non avrebbe mai osato colmare per raggiungerla.

Non avrebbe avuto necessità di farlo.

L'altra non sarebbe mai andata da nessuna parte.

Era perfetta per il ruolo che ricopriva.

Severa quanto bastava.

Fredda…

Incapace di dare confidenza…

Eppure lieve, della levità delle rose appena sbocciate al mattino, che viene voglia d'afferrarle e lisciarle con le dita, per carpirne il sentore e l'impalpabile purezza.

L'altra era pura e demoniaca al tempo stesso…

Capace d'indurre a stringere quei dannati petali, chiuderli stretti, per impedire che altri potessero parimenti possederli e sciuparli.

Un altro sbuffo…

Lo sguardo si rifugiò al lungo corridoio che usciva dalla sala.

Troppo affollato…

Non personalità ma personaggi che non facevano che salire e spingere ed assieparsi per accaparrarsi i posti migliori, ovviamente quelli accanto al re ed alla regina o a quello strano uomo sempre col sorriso sulla faccia che aveva avuto la strabiliante capacità di catturare saettine schioccanti e luminose.

Era troppo…

Lei…

Aveva appreso che lei era arrivata, in alta uniforme.

Che le passava per la testa…

Non s'era mai agghindata per partecipare ai ricevimenti…

E se fosse accaduto…

Il tempo d'intuire che l'attenzione già abbondantemente suscitata dalla presenza del conte svedese s'era ora spostata per posarsi su di lei…

Dunque il Colonnello Oscar François de Jarjayes era giunta alla reggia.

Aveva raggiunto Sua Maestà la Regina Maia Antonietta.

Dunque non avrebbe avuto senso restare lì, visto che lei avrebbe svolto più che egregiamente il compito di vigilare sulla figura dei sovrani e dunque la presenza di altri ufficiali in ronda non sarebbe stata necessaria nella grande sala, semmai sarebbe stato bene avventurarsi a perlustrare il dedalo di camere e anticamere e ripostigli e sgabuzzini che ornavano segretamente le pareti retrostanti dei più famosi muri entro cui si svolgeva il ricevimento.

Il Tenente Victor Clement de Girodel girò i tacchi, un cenno ai due sottoposti che, più arditi e sciocchi di lui, sarebbero rimasti volentieri a tenere d'occhio la sala e soprattutto la masnada di voluttuosi e profumatissimi ospiti.

Il tempo d'infilarsi nelle stanzucce stuccate…

La coda dell'occhio al riflesso di un'ombra che s'appiattiva contro il tendame odoroso di fresco…

"Che…".

Lo scatto…

L'ufficiale intuì la presenza d'un estraneo, che se fosse stata una cameriera o un domestico, non si sarebbe dato la briga di mimetizzarsi per tentare di sottrarsi allo sguardo dell'uomo ch'evidentemente non s'aspettava sarebbe entrato all'improvviso.

Dunque l'altro lì non ci doveva stare, ma c'era che, quando anche l'altro fosse stato un estraneo, pareva sorprendentemente capace di sottrarsi alla vista, imboccando lo stretto corridoio che girava attorno al Cortile della Regina.

L'appartamento della Duchessa di Borgogna…

"Fermati!" – l'ordine tuonò alle spalle ma il passo dello sconosciuto curioso non s'arrestò.

Il gabinetto della Meridiana…

La libreria…

"Dannazione…".

L'altro era lesto, che le stanzette erano vuote in quel momento.

I passi sempre più scaltri e leggeri, pareva una lepre, una fiamma oscura capace di bruciare il tempo della fuga.

Il cortile del Monsignore…

La scala della Regina…

Girodel allungò il passo.

Ne andava dell'onore e dell'amor proprio. Se il fuggitivo fosse sceso al piano terra si sarebbe sicuramente infilato in qualche stanza che avrebbe condotto alle cucine e allora non ci sarebbe stato modo d'acciuffarlo, né sapere chi fosse.

Oppure sarebbe potuto uscire nei giardini…

"Fermate la persona che sta scendendo!" – l'ordine gridato dalla sommità della scala verso il piano terra, alle guardie intente a presidiare gl'ingressi della reggia. Le porte finestre erano tutte aperte ma gl'invitati erano ammessi solo dall'entrata principale, dunque sarebbero potuti uscire liberamente nel giardino ma non entrare nella reggia da esso.

Il fuggiasco andava acciuffato.

I gradini percorsi in fretta…

La strada sbarrata…

Il trambusto…

L'ufficiale intuì che la fuga era conclusa.

Grida soffocate di quello ch'era stato preso…

Grida decise di quelli che avevano eseguito l'ordine.

Dunque se le guardie s'erano mosse significava che avevano riconosciuto un estraneo e che quello era facilmente riconoscibile. Impossibile confonderlo con un qualunque riverito ospite dei reali.

Il passo alla fine della scala…

L'atrio era abbastanza ampio, le pareti di marmo bianche leggermente annerite dai pennacchi di fumo delle torce ad olio usate per illuminare il percorso allorquando qualche personalità avesse deciso di utilizzare quella via per accedere all'ala sud della reggia, anziché passare attraverso le anticamere che precedevano gli orti ed l'Orangerie.

Il piglio si piantò severo sulla figuretta che s'agitava come impazzita, stretta tra le mani delle due guardie.

Silenzio…

Victor Girodel s'avvicinò, mano all'elsa della spada, un poco furente per via della corsa e del gesto di disobbedienza dell'estraneo che non aveva dato seguito all'ordine di fermarsi.

Gli occhi si sgranarono alla vista…

Una specie di creatura mobile come un serpente, lieve come uno scoiattolo, scura come la terra appena lavorata e bagnata dalla prima pioggia dell'autunno…

"Chi sei?" – d'istinto, la domanda piombò sull'altro.

Il vestiario deponeva per un maschio ma lo sguardo severo e la pelle liscia ed i lineamenti morbidi e puliti avrebbero indotto ad avere dubbi sull'identità.

Silenzio…

Un soffio d'insofferenza sgusciò dalla bocca…

"Ti ho chiesto chi sei? Perché non ti sei fermato quando te l'ho ordinato? Che ci facevi lassù? Lo sai che gli estranei non sono ammessi al ricevimento!".

Il fuoco di fila s'abbatté sulla serpe che non aveva intenzione d'arrendersi.

Anzi, più l'uomo con l'uniforme parlava e più quella pareva annodarsi su se stessa e stringersi e rattrappirsi per poi, non appena le due guardie s'immaginavano si fosse calmata, tirare forte, strattonando e dimenandosi per cogliere un pertugio e sgusciare via tra le dita.

No, quelle non erano dita, parevano tenaglie capaci d'inchiodare lì…

Voci alle spalle, risatine di ospiti – veri quelli – forse in cerca d'un cono d'ombra dove rifugiarsi, scomparire dalla folla, per scambiarsi una chiacchiera, un bacio o chissà cos'altro...

"Portatelo di là! Ti faccio vedere io chi è Victor Clement de Girodel! Finché non mi dirai chi sei!".

"Victor…" – il nome sussurrato tra le labbra dello sconosciuto, unica parola pronunciata, non era ben chiaro se per imprimersi in testa l'identità dell'interlocutore oppure utilizzare il nome a mò di supplica per blandire una tregua e corrompere i sensi dell'altro.

In effetti il suono lambì la coscienza: "Allora sai parlare? E ci senti anche!" – biascicò Girodel richiudendo la porta della stanza dove aveva fatto entrare guardie e prigioniero.

Era buio lì dentro…

Il tempo di recuperare un moccolo e un acciarino…

Il suono eruppe straziante e sinistro, voce assurda per un essere umano…

Una specie di lamento selvaggio…

L'estraneo prese a tirare per davvero stavolta, unendo alla forza impressa nei muscoli la disperazione di vedersi rinchiuso al buio e quella specie di guaito, che tanto rammentava gli ululati dei lupi, come forse solo nelle foreste dell'Auvergne se n'erano sentiti.

Le guardie davvero s'arrestarono impietrite e mollarono la presa, sorprese dalla reazione, colpite dal suono, impaurite dallo strano digrignare del povero prigioniero che pareva esser divenuto una bestiola in gabbia.

Che Girodel non si fece intimorire…

No, il tempo d'accendere il moccolo, l'istante di voltarsi, l'intuito di comprendere che le due guardie sciocche avevano lasciato la presa…

Un passo, il corpo gettato addosso all'estraneo…

Il manrovescio al viso, forte, per mettere a tacere l'insano guaito e rammentare a quello ed alle due guardie paurose che quello era un essere umano, subdolo e furbo forse, ma nulla più che un essere umano.

Il ceffone colpì in pieno il malcapitato.

Quello cadde all'indietro sbattendo contro la parete.

La mensola tremò e lo spostamento d'aria fece vacillare la fiamma.

Un grido seguito da un ululato…*

Il morso attinse la mano dell'ufficiale che fece per riprendere l'ostaggio, mettendogliela sul viso per impedirgli di fuggire.

"Dannazione!".

La mano sinistra afferrò il braccio torcendolo dietro la schiena. Stavolta il grido divenne umano, umanissimo, straziante ed acuto.

Il grido d'una povera cerbiatta presa al laccio, colpita ed atterrata, così come fece davvero il Tenente Girodel, piegando giù l'avversario ribelle sino a farlo inginocchiare.

Quello provò a girare su se stesso per evitare di vedersi spezzare il braccio e per recuperare una qualsiasi leva su cui fare forza e spingere via l'aggressore. Nulla da fare che l'altro era più grande e più forte e l'altro strinse ancora e ancora finché senza forze il povero ostaggio si ritrovò disteso sul pavimento di cotto rosso, la faccia spinta giù, il ginocchio dell'uomo sulla schiena ed il proprio braccio voltato all'indietro e spinto in alto così da bloccare articolazione e qualsiasi tentativo di fuga.

Spinse ancora Girodel, imprimendo la forza necessaria a fugare ogni idea di resistenza, a minare persino l'integrità di quel corpo che ora, lì a terra, pareva molto più piccolo e gracile e docile di quel che era apparso solo pochi istanti prima.

"Hai finito?!" – chiese severo, un ghigno di soddisfazione – "C'impiego un istante a spezzarti il braccio! Stai buono!".

Il respiro secco imbastito sul tentativo di fuga prese ad affievolirsi a poco a poco superato da quello necessario a contenere il dolore indotto dalla presa.

No, l'ufficiale non mollava…

Segno che una risposta la voleva…

Il ginocchio spinse contro la schiena…

Un mugolio sordo di disperata agonia sgusciò incapace d'essere trattenuto dalle labbra chiuse del malcapitato.

"Allora?" – chiese di nuovo Girodel.

Annuì alla fine l'altro, a terra, la faccia che premeva contro le mattonelle di cotto dure e ruvide.

Il respiro s'era fatto meno intenso…

Girodel pensò che quello avesse compreso. Attese ancora un istante…

Il tempo di scorgere il capo che si muoveva in una sorta d'impercettibile ammissione.

S'immaginò che l'altro avesse accettato d'arrendersi…

Il tempo d'allentare la presa, aprire leggermente la mano, lasciare che l'articolazione riprendesse il suo stato naturale ed i muscoli si riordinassero secondo le loro proprie leve…

Un istante…

Il Tenente Victor Clement de Girodel ammise d'essere stato stupido, che si ritrovò la mano vuota e anzi il polso catturato dalla mano piccola del misterioso intruso che stringeva l'articolazione adesso e ne faceva una specie di leva su cui ruotare per sgusciare da sotto il ginocchio e girargli attorno, all'ufficiale, e ritrovarsi alle sue spalle e…

Fece per muoversi Girodel…

Le due guardie gridarono mentre di nuovo il tenero moccolo ondeggiò riverberando l'alone sulla lama di lucido metallo che andava a posizionarsi esattamente sotto la gola del tenente…

S'impietrì Girodel…

"Monsieur…state fermo…" – la voce uscì netta ed asciutta, lieve per esser quella d'un estraneo attentatore.

Le due guardie stravolte decisero d'uscire a chiamare rinforzi.

Seguirono interminabili istanti, le due figure rimaste sole avvolte dallo scorrere pesante del tempo.

Una figura, quella più imponente e massiccia, ginocchio puntato a terra e l'altra gamba in procinto di flettersi per consentire d'alzarsi, e l'altra effige, quella più piccola e quasi indifesa, dietro alla prima, non appoggiata ad essa, ma come avvinghiata al corpo dell'uomo, col braccio proteso giusto d'arrivare a lambire la gola di quello con la lama del coltello.

"Chi sei? Come fai ad essere nella reggia? Con quel coltello poi?!".

"Non era mia intenzione usarlo!" – si schernì l'estraneo – "Volevo solo andarmene. Non avrei fatto nulla di male. So che non mi era permesso salire fino alle sale dove c'erano tutte quelle luci ma…".

Silenzio…

"Non ti era permesso salire!?" – ripeté Girodel un poco stranito – "Dunque eri già nella reggia? Come hai fatto a entrare? Chi sei?!".

La tensione prese a distendersi.

Girodel ammise che forse l'altro non era un estraneo ma semplicemente qualcuno la cui curiosità aveva condotto dove non poteva condurre.

Poi vide il coltello ondeggiare e tremare e…

D'istinto afferrò al volo la mano che teneva la lama, la strinse forte finché un grido di rabbia uscì dalla bocca di entrambi.

L'ufficiale gridò per impaurire l'estraneo, l'altro gridò per essere stato beffato così velocemente…

Le rotazioni s'impressero opposte stavolta.

Girodel ammise che, vista la precedente mossa, esser riuscito di nuovo a disarmare quell'intruso era stato fin troppo facile.

Tirò il braccio e poi proiettò la povera figuretta inerme contro la parete. Il coltello cadde a terra, lo schianto rimbombò nella salettina, stavolta l'ufficiale non si fece trovare impreparato ed afferrò l'altro per i lembi della giacchetta.

Gli bastò una mano, mentre con l'altra gli chiuse le mani dietro la schiena.

Erano mani piccole, dannazione…

Come diavolo aveva fatto quello a sgusciargli via…

Sì, certo, c'era riuscito perch'era piccolo…

Era…

Lo vide sgranare gli occhi, scuri e fieri, imprigionati in una specie di gabbia fatta di sbarre invisibili.

Lo vide tremare, immobilizzato di nuovo…

Lo vide inarcarsi, divincolarsi, nell'ultimo disperato tentativo di staccarsi…

Spinse ancora Girodel, contro la parete, costringendo l'altro a tornare a terra.

Non aveva mai fatto così tanta fatica per fermare una persona…

Lì, tutt'e due fermi, uno sull'altro, il tenente potè finalmente osservare il viso, i capelli scuri, nerissimi, stranamente increspati, ondulati quasi, come gli era accaduto di vedere ancora, quando le dame tenevano acconciature intrecciate per giorni e giorni e poi d'improvviso, le ciocche libere mantenevano geometriche onde capaci di gonfiare i capelli come spighe di grano accarezzate dal vento.

Brace negli occhi…

Nero pece nei capelli…

"Monsieur…volevo solo vedere gli specchi…" – disse piano il povero ostaggio – "Volevo entrare nella grande sala. So che non mi era permesso. Non oggi…ma davvero questa sera pareva esserci il cielo lassù…stelle cadute dal cielo…Monsieur Franklin si arrabbierà!".

La voce s'affievolì…

"Non ti era permesso!?" – la declinazione eruppe istantanea e beffarda – "Sei al seguito dell'ambasciatore? Perché non me l'hai detto subito!?".

Il nome dell'ambasciatore sortì l'effetto insperato, così come, seppur un poco nascosta dalla concitazione del momento, anche la declinazione del genere.

Girodel mollò davvero la presa, solo che stavolta il corpo non si dimenò, non s'inarcò per tentare di sgusciare via. S'insaccò invece, lì, a terra, sulle ginocchia dell'altro, tra le braccia dell'altro che l'afferrò per tenerlo lì, stringerlo un poco, che ancora un poco e davvero quello sarebbe caduto a terra, di peso, rischiando di sbattere sul pavimento di pietre rosse e dure.

"Che hai?".

"Nulla monsieur…ho avuto paura…".

"Se ti fossi fermato! Dannazione! Sei scappato…come facevo a sapere ch'eri con l'ambasciatore!?".

"Si…avete ragione…ma ho avuto paura lo stesso…".

La voce debole…

Stavolta la mano destra sgusciò davvero per salire su, avvicinarsi al viso.

Girodel l'afferrò d'istinto, stringendola, immaginandosi un altro trucco per confondere…

La mano rimase lì, chiusa nella presa, ferma.

Girodel intuì che non sarebbe accaduto nulla e assecondò il gesto, seguendolo.

Le dita s'appoggiarono al volto…

Le dita s'immersero nei capelli…

"Victor…" – il nome ripetuto, però accarezzato questa volta, con gentilezza, che davvero Girodel non l'aveva mai sentito pronunciato a quella maniera.

Anzi, nessuno l'aveva mai pronunciato perche era lui che quando si presentava amava metterlo in mostra.

Victor significava vittoria…

"Perdonate…vi ho morso la mano…" – le dita tornarono ad intrecciarsi a quelle dell'ufficiale – "Non avevo mai veduto un uomo così bello…sapete Monsieur Franklin mi ha spiegato che quell'altro…anche se ha un abito come il vostro…un'uniforme…lui non è un uomo…ma una donna…e anche lei è molto bella…".

Il Tenente Victor Clement de Girodel sussultò alle parole…

L'estraneo non era più tale ed aveva certamente una discreta conoscenza della reggia e dei suoi frequentatori.

Stava parlando di lei, di mademoiselle che dunque doveva aver già conosciuto.

Tentò di parlare Girodel ma la mano del prigioniero si fece pesante e cadde giù, gli occhi si chiusero…

"Che hai?".

§§§

"Avrei un solo desiderio questa sera…quello di danzare con voi Maestà…".

Annuì Maria Antonietta, intuendo la richiesta.

Lo sguardo della regina si posò docile su quello del Colonnello Oscar François de Jarjayes.

L'accarezzò come avesse accarezzato quello d'un amante, una sorta di sposo per procura, grata d'esser presa in disparte, sottratta agli sguardi malevoli, abbracciata da braccia forti ma sincere, così da non cedere alla follia d'un amore infausto e sgraziato.

Così da poter amare comunque, seppur attraverso altre braccia e altri occhi.

Fu la regina a porgere la mano, come si conveniva…

Maria Antonietta deponeva nelle mani del Colonnello Oscar François de Jarjayes il proprio amore per il Conte Hans Axel di Fersen e ora, quello stesso amore, le veniva restituito, fulgido e pulito e puro, mentre Oscar François de Jarjayes accoglieva il gesto, accoglieva la mano, il contatto morbido e sensuale, i mormorii di commento, il brusio di fondo come uno sciame d'api che si ritrova stranamente abbagliato e confuso da una cortina di fumo.

"Vi prego, lasciate che balli con voi per tutta la sera…concedetemi d'essere il solo vostro accompagnatore…" – poche parole sussurrate a labbra strette…

"Sì…".

Comprese Sua Maestà la Regina Maria Antonietta…

Comprese il Conte di Fersen che rimase a osservare per qualche istante le due figure che s'erano unite, lievi ma fulgide, nella danza, non appena l'orchestra aveva attaccato il minuetto.

Il calice sollevato in segno di riconoscenza verso Oscar François de Jarjayes, un vero amico, forse l'unico ed il migliore che avesse mai avuto.

L'ultimo bicchiere di vino sorseggiato con malinconica serenità.

Il Conte Hans Axel di Fersen non aveva più occhi addosso, sguardi freddi, commenti maliziosi che avrebbero ferito gl'intenti e sollevato rabbia e, per assurdo, acuito ancora di più l'acredine, conducendolo a compiere l'inevitabile passo falso, a mostrare, proprio sull'onda di quella rabbia, il dannato amore.

Un amore impossibile da mettere a tacere…

Un amore da sbattere in faccia all'invidiosa corte di Versailles…

Un passo…

Seppure il ricevimento fosse appena iniziato, il Conte Hans Axel von Fersen ammise che sarebbe stato bene lasciare la sala e lasciare che tutti gli sguardi si fossero concentrati alle due figure che danzavano ora, unite.

Il ricevimento per lui era concluso.

Un passo…

La mano tra i capelli, il gesto secco d'allargare il colletto della giacca per respirare…

Il collo ruotò un poco per consentire ai muscoli irrigiditi delle spalle di stirarsi e rilassarsi…

La notte sarebbe stata ancora lunga…

E l'alba lungi a venire.

§§§

"Conosce almeno il francese?" – la domanda eruppe severa, nel fondo un tono d'apprensione misto a disprezzo.

L'ometto, Monsieur Benjamin Franklin, era stato rintracciato in mezzo alla folla di cortigiani, informato e condotto via, lì, nella stanzuccia al piano terra, poco lontano dalle cucine, dove, s'un divanetto un poco sudicio e sdrucito, giaceva uno degli accompagnatori dell'ambasciatore della terra americana.

Così almeno, il malcapitato aveva avuto tempo di far comprendere prima di svenire.

Pareva morto adesso, di contro alla forza quasi disumana che aveva messo nell'estremo sforzo di divincolarsi e sfuggire a quella che doveva essergli apparsa una sorta di cattura.

"Intendo…" – tentò di spiegare il Tenente Victor Clement de Girodel – "Io ho dato ordine di fermarsi ma lui ha continuato a fuggire…se mi avesse semplicemente detto chi era non gli sarei corso dietro a quel modo! Dunque chiedo di nuovo, conosce almeno il francese? E' possibile che non abbia compreso?!".

Di nuovo il tentativo di scusarsi rovesciando la responsabilità sul fuggitivo straniero…

"Insomma la colpa sarebbe di Lua!" – sentenziò Franklin in ginocchio, mano nella mano al povero accompagnatore che pareva morto.

"Non ho detto questo…ma se si fosse fermato…".

"Conosce il francese monsieur! Ed il vostro ordine lo avrà senz'altro compreso. Solo…deve aver avuto paura…è l'unica spiegazione. Mi ha disobbedito è vero…forse la curiosità indotta dallo scenario di luci che riverberavano dalle finestre deve averla indotta a salire. E' curiosa…non ha mai veduto luoghi come questi. L'ho condotta nella grande Sala degli Specchi durante il giorno…avrà pensato che di sera sarebbe stato altrettanto interessante osservarla…".

"E'…curiosa?!" – deglutì Girodel andando al viso del malcapitato prigioniero.

La mano prese a dolere, il morso si fece sentire…

"Mi ha anche morso!" – digrignò in un estremo tentativo di rappresentare all'altro una scena poco onorevole che non s'addiceva certo ad una…

"Lua…discende dal popolo Mohawk…è una giovane fanciulla molto curiosa ma il suo nome completo è Pietra Incandescente perché è capace di sfuggire come una lingua di fuoco e di bruciare tutto ciò che tocca…".

"Una giovane? Questa è una…".

"Una fanciulla monsieur! Vestita come un gentiluomo per consentirle d'aggirarsi assieme al sottoscritto per mare e per terra ed evitarle inutili e sciocchi commenti sul suo aspetto e sulla sua natura. Perdonate se vi ha morso…comunque potete stare tranquillo. E' una giovane sana e robusta e non dovete temere nulla. Eccelsi medici del vostro paese stanno conducendo studi approfonditi sulle affezioni recate da cani rabbiosi e lupi…ma non è questo il caso…".

Il Tenente Victor Clemente de Girodel rimase ad osservare il volto di quella che aveva appena appreso essere una fanciulla. Una mocciosa…

Rammentò la forza secca e fulminea con cui quella l'aveva messo all'angolo…

Se avesse voluto gli avrebbe reciso la gola in un istante…

E poi, subito dopo, quella stessa mano, quella che aveva appena lasciato cadere il coltello, aveva accarezzato il viso, alla stessa maniera con cui una foglia ormai morta cade lievemente al suolo.

"Vedete di farle comprendere che di sopra non può stare!" – tagliò corto Girodel piuttosto infastidito – "Soprattutto durante un ricevimento così importante…che ne sarebbe della reputazione del re e della regina se questa…".

Disprezzo e rabbia per essere stato beffato…

Due volte…

Che non aveva neppure compreso che quella era una fanciulla…

E non aveva neppure compreso che nonostante la forza, quella fanciulla racchiudeva in sé una gestualità raffinata e potente.

Disorientava…

"E che ne sarebbe della reputazione di Lua se venisse a sua volta disprezzata e derisa in mezzo ai vostri cortigiani?!" – obiettò Franklin per nulla risentito.

"Vedete un po' voi! A me non importa…basta che la teniate a bada! Altrimenti…".

Il suono dei tacchi, il saluto sobrio…

Il Tenente Victor Clement de Girodel lasciò la stanzetta, ordinando alle guardie di riprendere le posizioni.

Che in quel momento, di nuovo, prese a piovere fitto, le gocce s'insinuarono dai finestroni prendendo a bagnare mattonelle e tappeti e dunque si doveva lasciar spazio ai portatori di olio e stoppini, agli addetti alle torce, agli addetti alla raccolta della cenere ed a quelli che avrebbero dovuto sprangare le finestre per evitare che l'acqua inondasse le stanze che davano sui terrazzi.

La stizza crebbe…

Pochi ordini…

"Lascio a voi la sorveglianza delle sale del piano terra…".

Di nuovo le guardie osservarono il superiore scomparire nel buio del corridoio che avrebbe condotto alle stanze riservate agli ufficiali.

Un percorso un poco più lungo di quello che si sarebbe affrontato uscendo direttamente nella piazza ed attraversandola, per raggiungere La Grand Ecole.

C'era da immaginare che quello l'avesse fatto apposta.

§§§

Liquefatto sangue riempie le arcane cavità del cervello…

La materia s'inonda svilita dall'amplesso teso e compatto…

Nessuna moina, nessun docile corteggiamento…

Nelle tempie rimbombano echi distorti e sfatti…

Ritmato incedere a cui abbandonarsi…

Roco orgasmo che sale e mugugna nella gola, e rotea e affligge e torna indietro e non ne vuole sapere di corrompere i sensi, tutti, così da distogliere dalla rabbia…

Morire, allora, piano, un poco alla volta…

Assaporare la lenta discesa verso l'oblio…

Il nulla che avvolge e annienta…

No…

La rabbia è davvero al limite…

La rabbia impedisce alla mente d'annegare…

La compagna scelta per questa notte ti ha accolto tra le sue braccia.

Il corpo nudo e liscio, la carne tiepida ed umida…

Si muove attenta e sicura…

E' esperta, discreta, sa il fatto suo…

Sa di accogliere sconcerto e disperazione.

Le poche monete serviranno a comprare il suo silenzio, la sua dignità e quella di colui ch'è giunto sin lì.

Il calore del luogo dà alla testa…

Pare la fucina di Efeso…

Un istante…

I corpi si staccano…

No…

Mani sapienti impongono carezze severe, dita avide s'appropriano con forza e delicatezza della carne, l'avvolgono, la lisciano, l'accarezzano, così come la bocca conduce a ridiscendere verso la resa, orientando i respiri, succhiando e stringendo, rubando rabbia e sollevando la dissoluzione del corpo…

Ritenti, ritorni, entri severo…

Insisti, spingi, affondi…

L'orgasmo sale beffardo…

Indotto non più dalla rabbia ma dalla visione dell'altra, algida e fredda, lontana, amica e confidente, depositaria dell'amore impossibile, irreprensibile ufficiale, le mani morbide e dolci inguantate e nascoste.

Le sue mani…

Ecco…

Le sue mani suscitano rabbia di nuovo…

Stavolta le afferri, le chiedi, le stringi…

L'accogli nella mente, la fermi, la preghi…

Supplica blasfema e rugginosa d'accoglierti…

Roco risale l'orgasmo, svilito dalla visione…

Lei è pura, unica…

Distogli il volto, lo cancelli, lo rifiuti…

La dama insiste ma anche lei sta per cedere al piacere che sale…

Un istante…

Da lontano si ode la musica dei violini, il cadenzato ritmare del minuetto…

Note lievi e pulsanti…

Questa sera lei ha scelto di concedersi ad una donna, la più importante di Francia…

Cedi alla fine, di nuovo per rabbia e disperazione…

Cedi frugando tra le pieghe d'una pelle sconosciuta, d'un odore salato che pure conosci ma che non riconosci…

Il grido eruppe roco e sfatto…

Definitiva resa al tremore che inondò davvero i sensi, privando l'udito del ritmato sfregare dei violini, l'olfatto del sentore odoroso di muffa umida e cipria, il tatto della pelle sconosciuta della dama invitata al volo, un'occasione da non lasciarsi sfuggire, il sorriso di convenienza stampato in faccia mentre le mani scorrevano a cercare il lembo di pelle, l'insano pertugio entro cui dimenticare il pulsare del rifiuto di sé e dell'altra.

§§§

Albeggiava ormai…

Il ricevimento, anche quello, era ormai giunto al termine, gl'invitati giunti alla reggia recuperavano mantelli e stole per ripararsi dall'umidità e dalla nebbia che avvolgeva la campagna, mutando l'aspetto della strada e degli alberi e del fiume in una sorta di evanescente quadro appena colpito da pennellate accennate.

Il gesto…

Il conducente arrestò la carrozza…

Albeggiava…

Echi di campane si rincorrevano lontane…

Uccelli in festa per l'avvento del nuovo giorno…

Beati gli esseri puri che gioiscono del solo sorgere del sole…

"Vi ringrazio Oscar…se non foste giunta…se non aveste indossato quell'uniforme…quando ho visto Sua Maestà la Regina Maria Antonietta avrei voluto danzare con lei…stringerla tra le braccia…e se avessi danzato con lei…i miei segreti sarebbero divenuti evidenti a tutti. L'avrei davvero gettata in un altro devastante scandalo…".

Parlava il Conte Hans Axel von Fersen…

Ascoltava il Colonnello Oscar François de Jarjayes…

Osservava l'uomo, la bellezza dello sguardo scuro come il fondo dell'oceano.

Le parve d'intuire ch'esso fosse attraversato da uno strano movimento, un ondeggiamento lieve, forse dovuto ai crescenti raggi di luce che radevano la campagna, innalzandosi, andando a colpire il volto dell'altro.

Una sorta di burrasca crescente…

Tenuta a bada fino a quel momento…

Una calma contratta e sfatta, pronta ad esplodere rabbia…

Ascoltava André Grandier, poco dietro, la destra ad accarezzare il collo del cavallo, la sinistra a pugno chiuso, intuendo il tono smorzato e stanco nella voce dell'altro.

Ammise che quelle parole erano le stesse che avrebbe pronunciato lui.

Se ne avesse avuto la possibilità l'avrebbe abbracciata e tenuta stretta e…

Lui era un servo però, un inferiore per titolo e rango.

Un uomo di sangue diverso da quello che scorreva nelle vene di lei…

Un plebeo…

Lei era nobile…

L'avrebbe gettata in uno scandalo enorme sì…

Ma prima ancora dello scandalo…

Mai lei l'avrebbe amato.

Dunque non ci sarebbe mai stato uno scandalo, semmai una lenta e triste discesa entro gl'Inferi.

André Grandier ascoltò e si stupì della singolare assonanza degli intendimenti.

"Sapevo che non sarei dovuto venire al ballo…" – proseguì Fersen rassegnato.

Sai che sarai e resterai sempre un servo… - ammise André…

"E' tutta colpa mia…non ho voluto preoccuparmi...".

Sarà solo colpa tua…anche tu dovresti preoccuparti di non finire per odiarla…

"Invece…se io amo questa persona…dovrei preoccuparmi per lei…per la sua situazione…".

Ascoltava Oscar François de Jarjayes.

In silenzio, quasi senza respirare.

Il Conte di Fersen aveva preso una decisione, aveva stabilito d'arrestare la corsa verso il baratro. Non per sé, che forse lui sarebbe finito all'Inferno pur di restare accanto alla donna che amava.

Ma per lei.

Le labbra serrate, Oscar François de Jarjayes pensò per un istante all'idea d'essere libera…

Libera dall'oppressione dell'amore dell'altro per Sua Maestà.

S'immaginò che l'amore avrebbe potuto funzionare anche così…

Illusa…

Fu solo un istante…

Fersen non avrebbe mai cessato di amare Maria Antonietta.

E se anche fosse accaduto, Maria Antonietta non avrebbe mai cessato d'amare lui.

E, peggio ancora, mai quell'uomo avrebbe potuto volgere lo sguardo a lei, l'amica, la confidente, la custode di quell'amore impossibile.

Vide le spalle di Fersen stagliarsi piene e severe tra la nebbia che si sollevava dalla terra…

Mai avrebbe potuto accarezzarle ed appoggiarsi ad esse…

Chissà come doveva essere lasciare andare il respiro adagiata alle spalle d'un uomo?

"Anche se il mio amore è profondo…non potrò mai vivere una storia d'amore…".

Una storia d'amore non esiste e vibra in forza dell'amore che l'amante riserva ad essa…

L'amore è elemento distinto dall'amore degli amanti…

Esso è altro, si nutre degli amanti, li divora e li finisce…

"Ho causato la sua sofferenza, precipitandola in un baratro sempre più fondo…".

Dunque è da quel baratro che vuoi salvare te stesso?

Il baratro in cui finiresti tu ma in cui mai finirebbe lei?

"C'è un solo modo per evitare tutto questo. C'è solo una cosa che ormai posso fare…".

L'alba eruppe con il suo carico di raggi assetati di vita e gesti e decisioni ed addii…

André osservò il sole che sorgeva…

Quei raggi raggiunsero anche il suo volto.

Si permise di scostare lo sguardo verso Oscar, guardarla, fissarla, che tanto lei era concentrata verso Fersen e mai si sarebbe voltata verso di lui, spinta dal misterioso senso che conduce là, verso la fonte d'un possibile avversario.

Era sempre stata abile a seguire quell'istinto…

"Diventare un traditore!".

Diventare un traditore per non tradire l'amore, per non tradire colei che ami, per non tradire il segreto patto che vi lega, d'amicizia e di bene…

"Oscar, io devo andare lontano, mi dispiace ma devo…".

Non visto André continuò a restare sullo sguardo di lei…

Trasalì lui stesso che lei, di contro, rimase impassibile, come sempre.

Dunque nessuna resa all'amore…

L'amore recato con sé, lontano, per sciogliere il patto di fedeltà segreta, quella che aggroviglia i destini degli amanti…

"Migliaia di miglia…via…".

Sarebbero bastate migliaia di miglia?

Spazio che diviene tempo per recidere il legame!?

Raggiungere un luogo ove coltivare la resa, ammansire l'amore sì da impedire ad esso di continuare a graffiare la coscienza e lacerare la carne e schernire il destino!?

Ascoltò André.

Ammise che quello era stato il suo stesso pensiero.

Ammise, dunque, che alla fine, un nobile e un plebeo, di fronte all'amore, alla sofferenza ed all'impotenza d'amare liberi, sono identici.

Che dunque fosse perché gli uomini sono uguali?

Tutti uguali!?

E i sentimenti unici metri con cui valutare le coscienze, ch'esse dunque si struggono, si piegano, cedono infrante contro la terra melmosa…

E il cuore e non il rango od il sangue, diviene unico giudice a cui affidare la propria vita?

Che dunque gli uomini fossero tutti, parimenti, senza scampo, di fronte ad un amore impossibile!?

"Prendetevi cura di Sua Maestà!" – la richiesta eruppe accorata e secca. Talmente docile e lieve che quasi infastidì.

Forse sei riuscito nel tuo intento…- ammise André altrettanto freddo – Lei è divenuta depositaria di quell'amore impossibile. Lei è in trappola…questo è tutto!

"Addio…".

Il Conte di Fersen non attese replica.

Non osò neppure sfiorare lo sguardo, che allungò il passo per scostarsi e fuggire…

Se fuggire fosse la soluzione…

Forse…

Udì, André - le tempie battevano forte adesso, forse era stanchezza, quella generata dall'abbandono del corpo teso ad assumere una posa, sempre la stessa, che in quel momento non c'era più - la voce di l che richiamava il conte, incapace di comprendere la decisione dell'altro…

"Fersen…dove volete andare?".

Non rispose l'altro, lo schiocco della frusta che animava il passo dei cavalli e la carrozza che si allontanava e Oscar lì, a calcolare nella testa, il significato delle migliaia di miglia…

Non quante separavano la Francia dalla Svezia o dalla Svizzera o dall'Italia…

Dove?

André staccò gli occhi da lei, ammise che il conte aveva avuto coraggio.

Quello di recidere un amore, tagliare lo stelo, spezzare un legame destinato al nulla…

Lo stesso coraggio dunque…

La stessa coscienza umana e sofferente…

Lo stesso intenso senso di vendetta…

Vendicare un amore non corrisposto…

Vendicare se stessi, prendendosi beffe del destino…

Scontrarsi con esso e dunque provare a vincerlo.

Porto di Brest…

Nave da guerra Jason diretta nelle Americhe…

Questo è tutto!

* Scena ispirata a Glass no Kamen

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