I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!

Chi sei?

"Chi sei…" – la stessa domanda, impigliata nella testa dalla notte precedente e dalla notte ancora prima, ripetuta di nuovo, sussurrata, a bassa voce, quasi che un passo verso di lei, da qualsiasi parte fosse giunto e chiunque l'avesse compiuto, l'avrebbe ricondotta all'altro che non c'era più.

La luce del giorno ferì un poco gli occhi.

Tutto pareva uguale a sempre ma tutto era in realtà mutato.

Strideva l'assenza…

Strideva il vuoto…

Chi era dunque lei, s'era bastato che una persona…

Certo non una persona qualunque…

André non c'era, non c'era più.

Dunque chi era lei, chi era stata lei fino ad allora se l'assenza dell'altro era in grado di svuotarla fino a quel punto!?

S'era sempre sentita capace di tutto, in grado di fare tutto, tutto quel che le era sempre stato chiesto di fare…

C'era riuscita perché ne era stata capace oppure…

Credeva che tutto le sarebbe stato possibile.

Lo credeva perché ne era certa oppure…

No…

Adesso no…

I pensieri s'inasprirono alla visione del Tenente Victor Girodel che l'attendeva, poco fuori dall'ingresso della casa.

Un inchino lieve, un sorriso altrettanto docile.

Fortunatamente Victor Girodel non era uomo dal carattere smanioso o nervoso.

Fortunatamente era uomo che almeno sarebbe stato capace di stare al suo posto.

Certo non come André…

Ma…

Insolitamente silenzioso, il Colonnello Oscar François de Jarjayes osservò il paesaggio chiaro avanti a sé.

Intenzionalmente si disse.

Forse costretta dal pensiero di non essere libera di vagare con la mente, che anche quello, anche stare sovrappensiero se l'era forse potuto permettere perché con lei c'era sempre stato André.

Era lui dunque – a ragionarci sopra, adesso che l'altro non era lì – ad averle consentito di lasciar vagare i pensieri indisturbati, nemmeno rammentandosi che lui fosse lì, taciturno, chissà forse ad accogliere il suo stesso silenzio.

L'estate era prossima e gli alberi e gli arbusti giungevano giorno dopo giorno al massimo della magnificente crescita.

Chiome rigogliose, increspate dalla forza lieve della brezza, s'opponevano leggiadre e giovani, in una lotta sospesa contro l'aria tiepida, intestardite a restare rette e piene e gonfie, come ampie braccia che ondeggiavano, danzando quasi, agitandosi e sollevandosi.

Il cielo azzurro, quasi bianco verso est, screziato da nuvolaglia stretta e veloce, trafiggeva lo sguardo, calando sull'animo un'inspiegabile ansia.

Non era mai accaduto…

Non le era mai accaduto di cavalcare verso Versailles e nel cuore una tale pesantezza.

Due voragini…

Una di seguito all'altra.

Il Conte di Fersen avrebbe lasciato la Francia.

Per porre fine alla sequela di maldicenze sul conto della Regina Maria Antonietta.

O forse per troncare dentro di sé il tarlo infernale della speranza.

Quando si ama, il desiderio è avvicinarsi alla persona amata.

E la speranza funge da ponte, da appiglio. Essa consente di coltivare il legame, colmare l'assenza, elaborare il distacco, volgere lo sguardo ai giorni che verranno, trarre conforto da quelli passati, dalle ore trascorse assieme.

La speranza inorgoglisce le forze, induce ad essere disperatamente sprezzanti del pericolo indotto dalla solitudine, a nutrirsi persino di quello stesso pericoloso baratro come unica linfa vitale in grado di sconfiggere la distanza.

Poi viene un tempo in cui la speranza diventa malefica consigliera.

Non c'è modo d'attuare l'unione, non c'è modo di nutrirsi dell'amore che a poco a poco si screzia d'inedia, pallida ed evanescente tensione di ciò che si vorrebbe stringere tra le dita.

La speranza non è più rosa purpurea d'ammirare mentre sboccia, indovinando le tinte che adorneranno i carnosi petali.

Essa apparirà nulla più che uno stelo secco, nero, irto di spine, che anziché lenire il dolore, finisce per bucare la pelle, graffiare lo sguardo, indurre a fuggire.

Non la s'invoca più, la speranza, anzi.

Essa induce terrore, la si rifugge, così che essa non abbia più potere di disorientare l'animo.

Così che, in altro modo, si riesca a vivere.

Il pensiero si volse ad André.

La sua partenza, quasi una coincidenza con quella di Fersen, non potè non indurre a mutuare gli stessi pensieri e gli stessi ragionamenti spesi verso il conte, tanto più che nanny, seppur a fatica, aveva ammesso che André aveva deciso di lasciare la sua casa per via d'una giovane.

Un amore non corrisposto?

Un amore impossibile?

Un amore ch'era naufragato?

Un amore osteggiato per via del rango…

Si massaggiò le tempie il Colonnello Oscar François de Jarjayes.

Addosso gli occhi d'una persona che non era André.

Anche questo pensiero trafisse, anche se il Tenente Girodel lei lo conosceva.

Le pareva di conoscerlo abbastanza bene…

"Vi vedo pensierosa…" – esordì quello, rompendo il silenzio ovattato del mattino.

Oscar non rispose.

Ammise, ora che qualcun altro che non era André gliene chiedeva conto, che lei era effettivamente una persona silenziosa.

André lo sapeva già…

Victor invece…

"Immagino per via del vostro attendente…" - una domanda di circostanza…

"Tenente…Girodel…".

L'altro si fece avanti affiancando il cavallo…

In ossequio al silenzio del colonnello, attese…

In silenzio…

"Avete espressamente affermato che non avreste eseguito il mio ordine di giungere a Versailles senza di me…".

"Mademoiselle…perdonate…colonnello…è stato per alleviare vostro padre d'una preoccupazione…".

"Bene! Questo dunque è il vostro intento. Se non avete in animo di rispettare una mia decisione…spero avrete almeno il buon senso di rispettare la mia disgraziata scortesia di tacere!".

Un colpo alle reni del cavallo…

Il Tenente Girodel vide sparire l'altra, l'animale lanciato al galoppo.

Ammise dentro di sé che l'intuito gli aveva dettato giusto. Era stato per tutto il tempo a domandarsi se avrebbe dovuto o meno domandare all'altra del suo silenzio.

L'istinto gli aveva dettato di tacere, l'orgoglio e la devozione l'avevano spinto a parlare.

Ammise, Victor Girodel, che il proprio istinto aveva visto giusto e che dunque era sulla buona strada per imparare a conoscere l'altra.

Se fosse stato zitto, l'altra forse sarebbe stata ancora lì, al suo fianco.

Invece era stato lui, forse con una domanda inappropriata o forse scomoda, a prestarle il fianco a che lei se ne andasse via.

Le aveva concesso una via di fuga ch'era per lui un sentiero da imboccare.

"Touché mademoiselle!" – sorrise soddisfatto e per nulla contrariato dal greve affondo dell'altra – "Se fossimo stati in un duello mi avreste battuto. Ma avevo necessità di saggiare il terreno. E credo d'aver compreso abbastanza. Se la questione v'innervosisce…tanto meglio! Nemmeno a me importa nulla del vostro attendente! Ma era bene sapere fino a che punto importasse a voi!".

§§§

Pochi ordini secchi…

C'era da verificare gli approvvigionamenti nelle furerie…

Attendere il carico della polvere da sparo…

Sbrigare pratiche per la commissione delle nuovi uniformi, stagno di qualità per i bottoni, velluto e tela rinforzata per risvolti e manifattura delle giacche.

Girodel masticò un poco amaro quando, sull'attenti, lui e i sottoposti vennero investiti dalla sequenza ordinata e senza sbavature.

Di più…

Il lavoro doveva essere eseguito in assenza del colonnello che aveva altro da fare, i resoconti lasciati in bell'ordine sulla scrivania.

Girodel vide sparire l'altra, di nuovo, stavolta inghiottita dalle sale profumate ed ariose del piano superiore della reggia.

Le stanze della regina…

A quell'ora Sua Maestà era in procinto di alzarsi.

Erano trascorsi due giorni dall'ultima volta in cui aveva veduto Fersen.

Erano trascorsi due giorni dall'ultima volta che aveva scorto André.

Una ricerca assurda…

Quando André sarebbe tornato…

Eppure…

Strideva l'assenza…

Oscar prese a scrutare il volto delle cortigiane.

Mai le era accaduto.

Le conosceva quasi tutte.

Alcune anziane ed incipriate vagavano per la sala, il passo appesantito dagli abiti sontuosi, abbelliti all'inverosimile, strati e strati di stoffe e stecche, a gonfiare le già maestose sottane.

Il pavimento della Sala degli Specchi, tirato a lucido, raddoppiava le effigi, tingendosi ora di rosa pallido, ora d'azzurro screziato d'oro e di verde a seconda delle varie colorazioni seriche e floreali, mescolate alle tonalità fredde dei marmi.

Altre dame più giovani fluttuavano a crocchi, sgranate dalle prime, ma tenendo il passo, evitando d'esser troppo distanziate così da rischiare di perdere la eco dell'ultimo pettegolezzo.

Oche d'uno stesso stormo oppure di famiglie diverse…

Distinte dal differente piumaggio che poteva esser una penna indossata sull'acconciatura oppure un diadema, scelto appositamente simile per rimarcare la fazione.

Chi parteggiava per Madame de Polignac e chi invece l'aveva in antipatia…

Chi seguiva gl'intendimenti del Conte d'Artois e chi invece del ciambellano di corte.

E chi era parente del Ministro dell'Interno e chi di quello della Giustizia…

Il punto era che lì sarebbe stato impossibile fare domande.

Chiedere…

Chiedere cosa?

Chiedere se André…

André era un servo…

A mala pena tollerato a Versailles e solo perché attendente del Colonnello delle Guardie Reali.

Un colonnello donna…

La deduzione fu inevitabile.

Un uomo che lascia la propria casa per via d'una fanciulla…

Un uomo che non ha ricchezze, mezzi, neppure un nome per aspirare ad accostarsi all'altra…

André aveva frequentato la Reggia di Versailles, dunque l'altra avrebbe potuto essere una di quelle giovani dame. Era possibile che quella godesse di un'indole altolocata, sì che la difficoltà d'avvicinarsi ben appariva l'unica ragione di separarsi da lei.

Lo sguardo corse ad osservare i volti giovani allora, parimenti incipriati, un poco assenti, forse per via dei corsetti troppo stretti o forse in omaggio all'etichetta di corte che imponeva alle dame di parlar per ultime se non avessero avuto sufficiente credito tra le più anziane.

L'inaspettato panorama indusse stizza…

Una visione desolante…

"Chi sei?" – ripeté Oscar a bassa voce, quasi a voler richiamare l'attenzione della misteriosa fanciulla.

Il ragionamento inciampò nell'ennesima congettura.

Se l'altra aveva ricevuto la confidenza dei sentimenti di André, ora, vedendo il Colonnello delle Guardie Reali aggirarsi solo per le stanze della Reggia…

Avrebbe mai avuto coraggio d'avvicinarsi, chieder dove fosse finito l'altro!?

Forse era proprio la mancanza di coraggio ciò che distingueva la misteriosa fanciulla. Che solo un'indole lieve e timorosa e bella sarebbe stata degna d'un uomo come…

André…

La testa prese a dolere per via dell'incapacità di scorgere un appiglio.

I pensieri s'aggrovigliavano in congetture senza senso.

La più limpida di tutte…

Come diavolo aveva fatto lei, Oscar François de Jarjayes, a non accorgersi di nulla?!

Le dame, incrociando l'ufficiale che in definitiva era una contessa, porsero ossequi, impercettibili inchini, anche quelle erano nobili e l'etichetta consentiva di mantenere una certa sobrietà di gesti.

Oscar si ritrovò al punto di partenza.

Nessuno si era avvicinato.

Nessuno aveva domandato di André.

Forse la fanciulla non poteva. Forse non aveva modo di mostrare apertamente la propria simpatia verso André.

Forse era per quello che lui se n'era andato.

Per non compromettere la giovane…

Lo sguardo continuò a spaziare.

I discorsi piatti e vanesi sulle ultime fragranze create dai maestri profumieri, le stoffe alla ribalta della moda, i prossimi ricevimenti, le invidie masticate tra i denti delle sfortunate dame che avrebbero faticato a parteciparvi, la gogna sprezzante di chi invece era giunto ad avvicinare un qualche maggiordomo d'una qualche dama di compagnia e dunque ad ottenere una seggioletta al desco del re...

Arroganza o commiserazione...

Vincere o perdere...

Dentro o fuori...

Nulla era ammesso al di fuori della squallida dicotomia di quelli che erano stati chiamati a recitare sul palcoscenico. Tutti gli altri erano limbo che fungeva da scenografia ai fasti dei primi.

"Non è qui…" – ammise Oscar alla fine, un poco stanca – "Come avrebbe potuto...avere a che fare con una di queste persone…e se invece fosse così, dubito che chiunque sarà, si farà avanti con me…".

Gli occhi anelarono a respirare un poco d'aria.

Non aveva toccato nulla, l'ora della colazione era trascorsa sa un pezzo.

Oscar rise tra sé e sé…

Beffata dal suo stesso orgoglio.

E se non fosse una giovane nobile?

E se fosse invece una domestica, un'apprendista cuoca, una lavandaia!?

André ha frequentato Versailles certo ma da quel che ricordi non ha mai azzardato una parola nei confronti delle altre dame.

Forse...

Non rammentava, si sforzò, non rammentava.

Non rammentava perchè in fondo non aveva mai osservato André.

Se non nella misura in cui lui obbediva a ordini o incombenze, sempre dettate da lei.

Se non nella misura in cui la sua presenza fosse stata indispensabile.

Ma quando non lo era...

Non rammentava...

A quel punto nemmeno rammentava se in qualche modo lui avesse coltivato una vita sua, un tempo tutto suo, estraneo al loro tempo.

S'avviarono dunque i passi giù nelle stanze povere, quelle ove fumavano i camini, incuneate nei meandri di cunicoli e corridoi, sequela di ripostigli, magazzini, ghiacciaie e poi lavatoi, stirerie, sale da cucito e rammendo…

Ogni gentiluomo e nobildonna di corte aveva i propri servitori che s'aggiravano spediti e solerti ad esaudire i desideri dei rispettivi padroni.

Un passo…

Sentori di arrosti misti a mele cotte…

Asparagi e patate…

Cavoli e cipollette…

Il calore era intenso e tutte le poche finestre erano state spalancate, l'aria del pomeriggio era impregnata dei sentori delle pietanze che sarebbero state servite all'ennesima sontuosa cena.

Sua Maestà la Regina non vi avrebbe partecipato.

Sua Maestà la Regina Maria Antonietta non si sentiva bene.

Il colpo aveva inciso a fondo i sentimenti.

S'immaginò che la regina avesse appreso che Fersen avrebbe lasciato la Francia.

Forse Sua Maestà sapeva anche dove si sarebbe diretto.

Poco male…

Non sarebbe trascorso molto tempo che anche lei l'avrebbe saputo.

Avrebbe passato a setaccio i dispacci sugli spostamenti delle personalità più importanti presenti in Francia.

Il popolino se ne poteva andare indisturbato dove avesse voluto.

Un nobile o un ambasciatore o un conte avrebbero avuto almeno il dovere di annunciare il loro ingresso in terra francese, così come avrebbero altresì spiegato le ragioni dell'abbandono del paese.

Di nuovo i sensi si ritrovarono a gestire un conflitto.

Scovare la misteriosa dama di André oppure comprendere la meta del Conte di Fersen?

§§§

A differenza del piano nobile, lì avrebbe potuto almeno fare qualche domanda.

Lì André dovevano conoscerlo bene…

Lì…

La stanza era davvero grande, seppure il soffitto era basso, le travi intrecciate ed unte da decine d'anni d'intingoli messi a sobbollire sui camini.

Lì, gli sguardi non poterono che sgranarsi alla vista dell'ufficiale.

Lì, per quanto gli occhi fossero impegnati a tener d'occhio le salse e a sbucciare cipolle e patate…

Oscar si ritrovò in mezzo alla stanza. Prese a scrutare le persone presenti, ragazze giovani per lo più addette alle mansioni meno importanti come impastare farine, spiumare pollame, lavare ortaggi.

Anche nelle cucine c'era una gerarchia da rispettare.

La preparazione delle pietanze si svolgeva in un'altra ala della reggia.

Prese a guardarsi attorno, che però le giovani erano ammutolite, forse spaventate.

Nemmeno sapevano chi fosse l'altro, che chissà se quelle avevano mai messo piede nelle stanze nobili.

Fece per aprir bocca…

D'improvviso, il tonfo sordo d'un cesto rovinato a terra richiamò l'attenzione.

Si ritrasse…

Mele rotolarono a raggera in tutte le direzioni.

Erano grandi e rosse, farinose ed ormai ammorbidite dal tempo trascorso da quando erano state raccolte.

Le ultime mele…

Una risata pigolò dall'angolo fondo.

Passetti scalzi presero a correre dietro ai frutti, la risata proseguiva, mentre una mocciosa davvero piccola, piuttosto divertita dall'incidente, s'affannava a raccogliere i pomi.

Era minuscola e nelle manine ce ne stavano uno, al massimo due.

Mele rosse e grandi…

Che la piccola provò a raccattarne tre, assieme, e due caddero di nuovo andando a colpire lo stivale di colei stava lì, in piedi, piantata in mezzo alla stanza, con lo stesso serafico distacco d'un vecchio albero di mele.

"Victoire!".

Il nome gridato…

La piccola s'impietrì e tutte le mele raccolte caddero di nuovo a terra.

Tonfi e frutti ovunque…

Raggelata dal richiamo, la piccola rimase ferma.

Oscar la osservò.

Una bamboletta ricciuta, boccoletti un poco unti del colore della cenere, pagliuzze dorate nello sguardo, vibranti al crepitare del fuoco che ardeva lì accanto, nasetto piccolo e sporco…

Una vestina lunga, tela grezza un poco rattoppata, piedini scalzi e unghiette nere.

Pareva davvero una specie di spiritello sorto d'incanto dalle braci del camino, che poi aveva avuto in animo di rotolarsi nella cenere e chissà forse anche negli schizzi di intingoli colati a terra.

Si guardarono lei e la mocciosa.

La piccola sorrise.

I dentini bianchi e ritti fecero bella mostra di sé.

La mano grassottella s'infilò nella tasca del vestitucolo…

Una fetta di mela…

La polpa bianca di contro alla buccia rossa.

La bambina l'allungò all'ospite.

"Vuoi?!" – chiese mantenendo sempre il sorriso sulle labbra.

"Victoire! Che ti salta in testa?!".

Dal medesimo cono d'ombra sbucò una giovane stavolta, capelli chiari, acconciati dentro una cuffietta di tela.

Le ciocche più corte erano sgusciate via, come se l'acconciatura fosse stata composta chissà quando e poi mai più rassettata e riordinata.

"Perdonate monsieur…questa sciocca bambina…".

La giovane tentò di tirarsi indietro il pulcino zozzo…

"No…aspettate…" – disse piano Oscar, inginocchiandosi.

Guardò la mocciosa e quella era sempre lì, il braccino allungato a tendere la fettina di mela.

"E' per me?" – domandò Oscar.

Che la piccola annuì, che l'ospite pareva aver gradito.

"Monsieur…perdonatela…vi prego…non dovete…questa sciocchina fa sempre così! Ma la mela…non va bene per voi…se volete…" – piagnucolò la giovane.

"Non importa…" – si schernì Oscar – "La accetto più che volentieri…".

Allungò la mano, la mocciosa vi posò la fetta di mela.

Oscar se la portò alla bocca, prendendo a morderla.

"E' buona!" – ammise sollevata e divertita.

Che il pulcino lercio sgranò gli occhi, la bocca spalancata, colpita dall'aspetto imponente dell'ospite di contro alla soave gentilezza.

Che quello non si era ritratto schifato ma aveva accettato il regalo.

"Monsieur…ma…" – balbettò la giovane.

"Va tutto bene…" – concluse Oscar rialzandosi – "Grazie…".

Annuì il Colonnello delle Guardie Reali e la mocciosetta pestò un piede a terra e riprese a raccogliere le mele.

"Ti chiami Victoire?" – le chiese Oscar.

"Sii…" – trillò la piccola mentre la giovane si portava una mano alla fronte, tirando un sospiro per lo scampato pericolo.

"Sai…è un bel nome…" – proseguì Oscar seguendo i saltelli della bambina ch'era tornata a raccattare le mele – "Una delle mie sorelle maggiori si chiama proprio come te, Victoire!".

"Sii! Victoire! Victoire!" – ripeteva quella, che pareva sapesse scandire solo il proprio nome e non più di altre tre o quatto parole.

"Grazie monsieur…Victoire è ancora troppo piccola per conoscere le buone maniere ed io…".

"Non importa…è possibile che conoscere l'etichetta in un certo senso non sia poi una grande fortuna. La spontaneità e la sincerità finiscono per restarne schiacciate…".

"Perdonate monsieur…io…devo tornare al lavoro…".

La sala era grande ma l'attenzione dei pochi presenti si era concentrata sull'ospite inaspettato.

Era raro che un ufficiale scendesse sin lì…

"Non preoccuparti…" – ammise Oscar – "Finché parleremo non avrai di che temere. Sei qui da molto tempo?".

Negò l'altra, spaventata, sorpresa d'essere destinataria dell'attenzione dell'ufficiale.

"Come ti chiami? Da dove vieni?".

"Mi chiamo Amalie…Amalie Jenevieux…vengo da Parigi…sono qui da…ecco vedete…".

Quattro pentolacce cascarono a terra.

Un baccano infernale questa volta.

Tonfi sordi e metallici, non casuali come il cesto di mele…

Grida di rabbia rotolarono parimenti dal fondo della stanza.

Uno strillo…

La piccola Victoire si era cacciata di nuovo nei guai.

"No!" – gridò Amalie tentando d'accorrere verso la bambina.

Solo perché c'era l'ufficiale…

Solo per la presenza di quello…

L'addetta a spiumare oche e fagiani aveva sollevato un mestolo contro la mocciosa e quello era rimasto lì, a mezz'aria. La donna non aveva avuto coraggio d'andare sino in fondo e colpire il pulcino zozzo ma solo per via dello scambio di parole tra la piccola e l'ufficiale.

Qualunque fosse stato il legame, l'ufficiale pareva aver preso in simpatia Victoire e dunque chiunque se la fosse presa con Victoire avrebbe rischiato d'incorrere nelle ire del primo.

Victoire corse a rifugiarsi nelle braccia di Amalie.

"Che combini? Lo sai che se non stai buona ci mandano via! Siamo qui da poco…e dove lo trovo un altro lavoro!?".

La piccola cacciò la faccia tra le sottane sporche della giovane.

Dietro ad entrambe una becera folla di curiosi, i volti scuri, le facce abbruttite dall'insana gelosia che pareva scorrere all'indirizzo di Victoire ed Amalie…

Oscar comprese che la propria presenza avrebbe inevitabilmente aggravato la stizza contro le due giovani.

La mano al taschino interno dell'uniforme.

Estrasse una chiave porgendola alla giovane.

"Questa bambina mi pare un po' piccola per stare qui! Non capisco come ti abbiano consentito di lavorare…".

Non erano domande…

"Monsieur…vi prego! Non cacciateci via! Non so dove andare! E Victoire…qui c'è tanto ben di Dio…lo buttano via e noi non abbiamo di che sfamarci…".

"Lo so! Non preoccuparti. Prendi questa chiave. E' quella della stanza che la famiglia Jarjayes ha a disposizione. Un abbaino su, oltre il primo ed il secondo piano della reggia. C'è un letto, potrai farci riposare la piccola. E poi darò disposizione che venga portata dell'acqua. Dovresti lavarla e renderla un poco più presentabile. Anzi, vale per entrambe. Che cosa ci fate qui a Versailles me lo spiegherai in un altro momento. Con questa in mano non avrai di che preoccuparti…".

"Monsieur…io vi ringrazio…" – pigolò Amalie frastornata – "Ma…".

"Che c'è? Non temere…".

Era consuetudine per i nobili avere servitù a disposizione.

Per rammendare camicie, svuotare orinatoi, mettere in caldo borse dell'acqua, stirare lenzuola...

"Monsieur…" – che l'altra si sarebbe messa a piangere, che Victoire adesso aveva ripreso coraggio, preparandosi ad una nuova esplorazione della grande cucina.

"Sono una donna a dispetto dell'uniforme che indosso…" – spiegò Oscar per tagliar corto che era inutile indugiare entro chissà quali dubbi della sguattera.

Che Amalie sgranò a mala pena lo sguardo…

Che non pareva tanto stupita del fatto che l'altra fosse una donna…

Solo, che fosse davvero quella donna…

"Siete voi?!" – sibilò impietrita, sussultando poi, forse di fronte alla propria ingenua scoperta.

Oscar si zittì, la reazione dell'altra pareva sinceramente sorpresa non tanto alla notizia appena appresa, quanto al fatto che il personaggio le fosse noto e l'altra fosse stupita semplicemente d'averlo incrociato là sotto.

"Che cosa vuoi dire? Mi conosci? Qualcuno ti ha parlato di me?".

Negò Amalie, un poco spaventata…

Mormorii sempre più fondi di disapprovazione imposero di troncare la conversazione.

Oscar ammise che la questione era assai strana…

E se quella giovane…

S'impose di non spaventare l'altra dunque, di non metterla sotto il fuoco di fila di domande che avrebbero avuto necessità di maggior confidenza tra di loro e soprattutto di maggior riservatezza per essere dispiegate.

Forse aveva davvero trovato qualcuno che poteva fare al caso suo…

"Non temere…" – rimarcò Oscar.

"Monsieur…io sono una povera sguattera…e se mi accusassero d'aver rubato la chiave? Non ho modo di salire fin lassù…".

"Dirai che la chiave l'hai avuta da me! E poi ti farò avere qualche vestito rispettabile…per te e la piccola…".

"Monsieur…".

"Sono Oscar François de Jarjayes…puoi fare il mio nome…e se qualcuno avrà qualcosa da obiettare digli pure di venire a conferire con me!".

"Voi…siete…voi…" – la giovane Amalie fece un passo indietro stringendosi addosso la piccola Victoire.

"Che ti prende adesso? Non devi temere…".

L'altra dunque la conosceva, forse non d'aspetto ma di nome…

"Che cosa sai di me?" – tentò di chiedere, quasi senza respiro...

"Nulla…".

"Chi ti ha parlato di me? Conoscevi già il mio nome!?".

"Monsieur…tutti…tutti sanno chi siete!" – si schermì Amalie, facendo per restituire la chiave.

Oscar prese la mano dell'altra, la strinse chiudendoci la chiave dentro: "Non avere paura… davvero…vai quando potrai…non voglio nulla in cambio…".

§§§

Il cuore appena un poco sollevato dall'incontro…

Stretto tra lo strazio di vedere lo scempio contro una bambina così piccola e la smania di non aver scoperto nulla, solo che Amalie Jenevieux la conosceva.

Chissà come conosceva il Colonnello Oscar François de Jarjayes...

L'azzardo di trovare un nesso tra la giovane e la partenza di André, la rabbia verso quest'ultimo…

André aveva commesso uno sgarro troppo eclatante…

E le pareva che André l'avesse riservato proprio a lei, lo sgarbo peggiore, la mancanza più fonda.

Le pareva che André l'avesse fatto di proposito ad andarsene senza una spiegazione, così che lei – lui non avrebbe mai potuto dubitarne – sarebbe caduta nel dubbio, avrebbe finito per odiarlo.

E così facendo, anziché dimenticare André, alla fine, l'avrebbe avuto sempre lì, ficcato nella mente e nel cuore.

Chissà se André se l'era almeno domandato se lei, Oscar François de Jarjayes, avrebbe finito per odiarlo?!

Che poi, odiare qualcuno equivale ad avercelo sempre lì, nella mente e nel cuore.

Non era proprio possibile che André non ci avesse pensato ad una simile eventualità.

O non la conosceva affatto…

Oppure la conosceva così bene che l'aveva fatto di proposito.

Sarebbe stata inammissibile una qualsiasi altra visione.

E l'aveva fatto di proposito proprio per mettersi contro di lei, Oscar…

Sì perché adesso la mancanza di André strideva…

Le mancava André!

Non la sua presenza, non le sue parole, non i suoi gesti o i silenzi o addirittura le occhiate un poco sbieche in cui spesso lei si ritrovava.

Sfuggenti…

Che gli occhi di André subito tornavano a scrutare il panorama oppure a cacciarsi in qualche angolo d'una qualche stanza non appena lei s'accorgeva dello sguardo.

Se n'era accorta Oscar.

Adesso che lo sguardo non c'era più.

Dannazione…

Lì, nel buio della notte, nell'assordante frinire di grilli che innalzavano il canto, avvolgendo in spire profumate e lievi i sentori freddi e colti della solitudine…

Lì, con la falce di luna immobile posata sul verde di foglie ormai mature, a lucidarne la superficie oscura, proiettandone in basso le ombre nere e mobili…

Lì, nel buio della stanza, le candele spente, il letto disfatto…

Non aveva resistito ed era scesa di nuovo nella stanza di André.

Non aveva bussato e il mancato gesto e la ragione di esso avevano indotto l'ennesimo rimescolarsi dei dubbi.

Oscar si sedette sul letto, braccia conserte, posa irritata, sguardo scuro e fisso allo scorrere delle ore solitarie e piatte che osservava come dietro una cortina di nebbia.

Ora la presenza di André si declinava nella feroce assenza che via via dilatava una sorta di groppo alla gola, indotto dall'evanescente manto della paura.

Ondeggiava la coscienza di fronte ad un simile evento.

Se, a poco a poco, la nebbia prendeva a diradarsi ad ogni ora che scorreva verso l'alba, subito dopo, la mancanza prendeva di nuovo ad ingigantirsi, come ferita dolente ad un tratto rimarginata che si riapre all'approssimarsi dell'oscurità della notte.

Ed ogni volta, le pareva di cadere giù, in un anfratto sempre più stretto, ove non c'era né aria, né luce.

Nulla, se non nelle orecchie la eco insolente del vento a rimestare polvere ed ombre, il frinire dei grilli che a poco a poco si perdeva inghiottito nel silenzio della notte.

André non c'era…

Non era lì e non sarebbe più stato lì.

Le domande dunque superavano la smania, che nelle domande almeno si contraeva un poco la speranza che prima o poi tutto sarebbe ridivenuto uguale.

Uguale a cosa?

Che prima di quel momento tutto era stato avvolto dalla ingessata quotidianità, dalle regole che avevano scandito la giornata, dai gesti propri e da quelli dell'altro che adesso, uno per uno, iniziavano a scorrere davanti agli occhi.

La marea rappresentata dall'altro e dalla sua assenza presero a montare.

Nausea e disprezzo di sé…

Fu costretta a stendersi, vinta dalla stanchezza, irrigidita dalla propria posa nervosa, che non c'era modo d'arginare la smania.

Ammise che in passato era accaduto ancora di separarsi da André.

Qualche giorno per via delle giornate trascorse ad Arras o in Normandia, durante un periodo di riposo separati o per via d'un viaggio in cui lei aveva avuto necessità d'accompagnare il Generale Jarjayes.

Scorrevano nella mente i ricordi…

Brandelli stracciati dalla forza del tempo…

Lacerazioni subito ricucite dall'accordo dei gesti, quando lei e André si ritrovavano.

Le mani si toccavano, gli sguardi si scrutavano come a dirsi che presto avrebbero recuperato il tempo perduto.

Poche parole da parte di entrambi, tutt'e due ne erano sempre stati avari.

André non poteva azzardare a parlar troppo e lei lo era di natura, invece, silenziosa.

Silenziosa e scaltra…

Dunque la loro vita era scorsa così.

Inconsapevole unione che s'era fatta salda.

Forse s'era immaginata d'esserlo stata, scaltra, perché adesso invece ammetteva d'esser stata tutto tranne che scaltra.

Tutta la scaltrezza che lei s'era immaginata di possedere era rimasta impigliata, agganciata, strappata dal gesto di André.

Fersen…

La partenza di Fersen aveva una ragione ben precisa…

Ma André?!

§§§

Le ore presero a scorrere.

I giorni presero a scavare.

La giovane sguattera e la bambina non si erano fatte vive.

L'assenza prese ad incidere il cuore.

L'assenza al mattino…

L'uomo che cavalcava accanto a sé non era André.

L'assenza nelle ore di addestramento…

Lo sguardo severo di Girodel posato su di lei, mentre esamini i dispacci.

Le dita aprirono il carteggio che recava l'elenco degli uomini che si erano arruolati o che erano stati arruolati per partire per l'America.

Lo sguardo rilesse il nome…

Il 4 luglio dell'anno 1776 era stata proclamata l'Indipendenza degli Stati dell'Unione.

Erano trascorsi quasi due anni e mezzo dalla rivolta del dicembre 1773, quando i bostoniani s'erano rifiutati di versare nelle casse della Corona Inglese le tasse per l'importazione del te.

E nel corso dei concitati mesi ch'erano seguiti a quell'evento, tredici colonie erano riuscite ad affrancarsi, dichiarandosi libere dal giogo inglese.

E il re inglese anziché cedere, s'era impuntato dichiarando guerra ai coloni traditori.

A settembre di quello stesso anno la città di New York era stata distrutta dagli inglesi e così, nel dicembre 1776, Monsieur Benjamin Franklin era giunto per la prima volta in Francia su richiesta di Monsieur George Washinton per chiedere aiuto ai francesi.

Per due anni erano stati forniti appoggi strategici, denaro, armi, cavalli...

E soldati…

Soprattutto soldati semplici…

Ora…

Il Colonnello di Fanteria Leggera dei Dragoni di Svezia, Conte Hans Axel von Fersen, si era offerto di partire volontario per l'America ed era stato arruolato sulla nave da guerra Jason, in procinto di salpare dal porto di Brest.

Oscar lesse il nome.

Dunque…

Così lontano…

Le dita lisciarono un poco la carta del dispaccio.

Le dita ebbero il tempo di scorrere sul nome, scritto in grafia bella e leggibile.

Il nome s'impresse al tatto.

Il nome scritto evocò lo sguardo, non quello che lei e Fersen s'erano scambiati, sfuggente, durante l'ultimo ricevimento.

E neppure quello che lei aveva tentato di scorgere all'alba del mattino seguente, Fersen di spalle ad osservare il sorgere del sole, poche parole per spiegare di dover andare via, lontano.

Anzi, in quel frangente Fersen non l'aveva neppure guardata.

No, Oscar rammentò lo sguardo dell'altro, quella sera, al termine dell'ambasciata che lei stessa era stata incaricata di recapitare da parte di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, per avvertire il conte che la regina non avrebbe potuto incontrarlo.

Lo sguardo dell'uomo era rimasto impassibile, sferzato da gocce di piaggia come soldatini ordinati protesi a scendere uniti sulla terra arsa e fendere e recidere con impalpabili lance i sogni e le speranze.

L'altro non era né adirato, né sollevato.

Uno sguardo freddo e morto come di chi ha smesso di sperare e prega di trovare al più presto una soluzione per non morire, incastrato tra amore, fedeltà e ragion di stato.

Che un solo sguardo della donna amata avrebbe potuto sollevare verso il cielo…

Il Conte di Fersen sarebbe partito per l'America.

Dunque Sua Maestà la Regina Maria Antonietta doveva aver già saputo, forse per questo negli ultimi giorni aveva rifiutato d'uscire, aveva declinato cene e ricevimenti e danze, persino suonare l'arpa o intonare qualche aria per intrattenere gli ospiti.

Il dispaccio venne messo da parte.

Sarebbe stato impossibile soffermarsi sulla questione.

Tutti a corte sapevano e nessuno avrebbe dovuto sapere nulla.

E di lei, Oscar François de Jarjayes, parimenti nessuno avrebbe mai saputo nulla.

Le sarebbe stato impossibile ammettere la propria preoccupazione, la propria insana follia che premeva sul cuore.

Non c'era nessuno a cui confidare la recondita speranza, dunque sarebbe stato meglio reciderla subito, cancellarla…

Le richieste del Tenente Girodel incalzarono i pensieri.

C'erano altri dispacci da visionare…

L'invio di truppe in America apriva lo scenario d'una carenza di uomini da assegnare alle guarnigioni di città, oltre che a protezione della reggia. Sarebbe stato necessario avviare al più presto un nuovo reclutamento oppure utilizzare soldati già arruolati nell'esercito e nella marina, oppure in altre guarnigioni.

Gente già addestrata oppure gente che avrebbe dovuto esserlo…

"Dovrò parlarne con mio padre…" – ammise Oscar andando a massaggiarsi le tempie – "Lui saprà consigliarmi i dipartimenti da cui attingere soldati…oppure sarà necessario informare il Ministero della Guerra. Dovranno ascoltarci…non si potrà certo lasciare sguarnita la reggia o lesinare sulla sicurezza dei sovrani…".

"Il Ministero della Guerra ha già parecchi problemi!" - chiosò Girodel velatamente ironico – "Sua Maestà avrà di certo consultato i suoi ministri prima di acconsentire all'invio delle truppe…ma si sa che la sua generosità in questo caso…".

"Questa guerra è già costata molto alla Francia!" – concluse Oscar, abdicando al sarcasmo del primo.

"E tanti uomini non torneranno…" – rincarò Girodel in uno strano gioco al rialzo – "A questo temo non si potrà porre rimedio con alcun reclutamento straordinario! Se posso essere sincero avevo già iniziato ad accertarmi se da altri dipartimenti sarebbe stato possibile ottenere soldati per la tutela dei confini della reggia...".

Pareva che all'altro, di quella guerra, fosse importato poco o nulla o al più nella misura in cui deleteri effetti sarebbero ricaduti su tutti gli altri aspetti dell'ordinaria amministrazione militare della Francia.

Sottraendo uomini e risorse, anche tutte le altre gestioni ne avrebbero risentito.

L'affondo di Girodel, cinico, ebbe pregio di scuotere i nervi…

Dalla guerra spesso non si torna…

"Dunque siete un valente ufficiale Tenente!" – concluse Oscar altrettanto cinica, come a rimarcare che l'altro incarico, quello che si snodava silenzioso attraverso le ore di cavalcata verso Versailles, in fondo, non era poi così indispensabile.

Victor Girodel tentò di non cogliere l'affondo.

Aveva necessità di procedere un passo alla volta. Respiro dopo respiro, sguardo dopo sguardo, silenzio dopo silenzio.

Un passo per volta...

"Vostro padre…da quello che mi è stato detto non è a più Versailles…" – ammise Girodel raccogliendo i dispacci e passandoli al cancelliere per la loro catalogazione.

"Lo so…ma lo attendiamo di ritorno a breve…deve chiarire diverse questioni…".

"Perdonate…" – masticò amaro l'ufficiale, che, seppur un passo alla volta, non aveva ancora – nonostante la superbia d'averci provato – trovato l'accordo corretto per parlare con l'altra.

"Tenente…".

"Colonnello…temo d'essere stato invadente e scortese in questi giorni…".

Oscar sollevò lo sguardo sull'altro…

"Ma dovete ammettere, se mi permettete, che la responsabilità è anche vostra…".

Che l'altra sgranò gli occhi di fronte a tanta sfrontatezza…

"Comprendo il vostro disappunto…immagino non sia semplice, anche se ci conosciamo da parecchio tempo, accettare la mia presenza. Se ritenete…parlerò con vostro padre e rimetterò il mio incarico…".

Dunque adesso la responsabilità della situazione sarebbe stata tua!?

Quale responsabilità!?

L'affabile scortesia con cui aveva dialogato con il Tenente Victor Girodel fino a quel momento, reo unicamente d'esser finito al posto di André Grandier per un capriccio del Generale Jarjayes!?

Oppure la stizza d'essersi ritrovata in balia dell'assenza di André e dunque alle prese con la necessità di rivedere il proprio registro dialettico, i gesti, persino i propri respiri?!

Un sorriso spezzato…

Si ritrovò inspiegabilmente stanca…

"Tenente Girodel…sono io che devo scusarmi. Nemmeno io avrei immaginato sarebbe stato così difficile abituarmi alla presenza di un'altra persona ma la mia difficoltà non vuole essere un rimprovero al vostro operato…siete un eccellente ufficiale…".

"Me ne compiaccio ma la mia intenzione non era d'esser solo quello…".

Si sorprese Oscar, sia dell'esuberanza dell'altro, sia della propria stupidità, che tutto sommato sarebbe stato meglio avere a che fare con il Tenente Girodel piuttosto che con un completo estraneo.

L'altro almeno aveva una certa dimestichezza con abitudine e carattere.

L'ammise alla fine.

"Direi che non ho nulla da obiettare se resterete…" – convenne alzandosi, che l'altro rimase impassibile, permettendosi solo un sobrio inchino nel momento in cui l'altra gli passava davanti per andarsene.

Dunque… – respirò piano Victor Girodel tra sé e sé – E' possibile che la chiave sia molto più semplice di quello che immaginavo. Mademoiselle disdegna gli estranei. Sono dunque bastati pochi giorni per non esser più considerato tale, al punto che un improvviso mutamento…qualcun altro che avrebbe potuto sostituirmi… l'avrebbe convinta ad accettarmi!? Poco male…

"Permettete…avrei un'altra richiesta…a questo punto la considererò d'una sfacciataggine estrema ma davvero….è per dimostrarvi che ci tengo a questo incarico e mi sarebbe utile per adempiervi al meglio. Ovviamente non accadrà in presenza di estranei…".

"Parlate…".

"Ebbene…se fosse possibile…gradirei poterci appellare con minor distanza…".

"Minor…distanza?".

"Sì…come accadeva con il vostro attendente. Non mi era mai parsa una mancanza di rispetto…anche se ammetto l'ho sempre trovata sorprendente…".

Se il Tenente Girodel aveva scoperto che al Colonnello Oscar François de Jarjayes non erano particolarmente graditi i cambiamenti, c'era da chiedersi perché mai avesse azzardato una simile richiesta, subito dopo aver ottenuto il privilegio di restare al fianco dell'altra!?

Che l'altra, a ritrovarsi con un estraneo non aveva proprio gradito, non subito, ma poi, alla fine, aveva accettato...

Ma dare del tu al proprio sottoposto…

Non ci sarebbe stato nulla d'inappropriato se non che anche quello sarebbe stato un cambiamento…

E tutto accadeva così in fretta…

Forse il senso era semplicemente tutto lì.

Chiedere tutto, il più in fretta possibile, finché la breccia fosse stata aperta.

Una breccia davvero esigua…

Un azzardo…

Girodel rimase zitto. L'impalpabile avvicinamento avrebbe senz'altro indotto ad attendere, senza presentare troppe scuse, troppe giustificazioni. A quel punto sarebbero state tutte di troppo.

Oscar si ritrovò inspiegabilmente contratta e stizzita. Non con il sottoposto che si trovava di fronte, o meglio, non solo con lui.

L'avversione montava…

La responsabilità di ciò che stava accadendo era tutta e solo di André.

Che gli era saltato in mente d'accettare l'incarico che gli aveva dettato il padre!?

Se lui fosse rimasto al suo posto…

Se André non avesse perpetrato quell'assurdo colpo di testa!?

La stizza ingoiata di fronte al tenente che attendeva una risposta mentre lei era quasi del tutto sommersa dalle domande...

E se il padre invece l'avesse fatto intenzionalmente?

E se fosse stato André…

Un moto di rabbia…

"Va bene! Direi che è accettabile…in fondo sarà più comodo per tutti!".

"D'accordo…vi…pardonnez-moi…ti ringrazio…così sarà tutto più semplice….".

Annuì Oscar…

Fece per uscire…

"E se non ti spiace…vorrei proporti un invito formale…insomma…".

"Tenente!" – lo squadrò l'altra…

"Victor!" – precisò sornione Girodel – "Capisco…ma sarebbe il caso che mi consentissi d'abituarmi ad appellarti in privato…così da esser consapevole a non farlo quando saremo al cospetto di altri ufficiali…".

"S'è così complicato…forse dovremmo lasciare tutto com'è?!".

Esile ravvedimento da parte di lei…

Forzatura farsesca da parte dell'altro che pareva trasfigurato: "Non sia mai! Una simile conquista non si spreca così!".

"Tenente!".

"Victor!" – tornò ad insistere Girodel – "Vedi!? E' difficile anche per te! Concediamoci di conversare tranquillamente davanti ad una tazza di te o se preferisci…".

Uno sbuffo…

Che l'altro aveva ragione…

"Va bene…ma…".

L'appellativo confidenziale non impedì al Tenente Girodel d'abdicare alle consuete buone maniere.

S'impose ad aprire la porta, non profferì parola, nessun gesto di galanteria o di rispetto dell'etichetta o del rango e nemmeno della gerarchia militare.

Uscì per primo attendendo l'altra…

"Avrei fame…" – chiosò con un mezzo sorriso l'ufficiale – "Conosco una locanda sulla via di Parigi…non giungeremo fino in città…direi che l'ora è davvero pessima! Nulla d'avventate pretese ma potremmo discutere delle ultime forniture di stagno…e del cuoio…l'ho trovato sorprendentemente rigido!".

Impassibile, il cuore ebbe un inspiegabile sobbalzo nell'udire la constatazione.

Non importava che l'altro fosse arrivato alla stessa conclusione, quanto che quella stessa conclusione le era stata già riportata da André.

Ora che André non c'era, la gola pareva più asciutta del solito e i pensieri come ripiegati su se stessi, incapaci di dispiegarsi, e gli arti rallentati e tutto grottescamente anomalo, come se lei, in realtà, avesse iniziato a vivere davvero solo in quel momento.

La sua vita senza André…

Lui era stato solo un attendente…

Le tempie presero a pulsare e la testa a dolere. Forse era la fame o forse così tanta rabbia in corpo avrebbe avuto necessità d'essere sfogata.

Seppure non c'era verso di comprendere perché tutta quella rabbia fosse sorta, a rimescolare le viscere, a tormentare i pensieri…

Che Girodel dovette chiamarla più di una volta, perché, anche se glielo aveva concesso lei – lei, Oscar François de Jarjayes – non c'era proprio abituata a sentir il proprio nome nel timbro di un'altra voce.

Un timbro diverso…

§§§

"E' di tuo gradimento?" – solerzia accompagnata al cortese ondeggiamento del calice entro cui oscillava morbido e scuro il vino appena versato – "Mi sono informato...un vitigno italiano innestato in uno francese...".

Un respiro fondo…

Il vino…

"Sì…" – un sussurro, la mano che afferrava a sua volta l'altro calice, appena roteato con impercettibile movenza del polso e poi giù, in gola, a vedere se la gola avesse ripreso a bruciare, così come lo stomaco e le viscere…

Doleva tutto, d'una sorta di vago annebbiamento…

Il vuoto…

Colmato dal vino…

Il vuoto…

Victor si stupì. Credeva di conoscerla bene l'altra ma in effetti raramente era accaduto di restare a conversare soli.

"Stai bene?" – chiese d'istinto, che si morse il labbro, Victor, che per istinto aveva parlato troppo.

"No…ma questo non credo ti riguardi…".

"Avevamo deciso…".

"Avevamo deciso d'appellarci con minor distanza…questo non implica la concessione di farlo con troppe domande…" – una mano alla fronte – "E soprattutto…di questo genere…".

"Hai ragione…è che mi sembri preoccupata…".

Un respiro fondo…

Avvicinarsi sì ma con cautela, un passo per volta...

Simulare adesione ai pensieri dell'altra, ammetterne l'esistenza e la capacità di oscurare la serenità…

Victor ammise che l'affondo non avrebbe giovato al suo fine ma riprese il suo discorso, che sarebbe stato necessario farlo subito, al fine di comprendere i sentimenti.

"Comunque...volevo solo informarti che ho fatto i controlli che mi hai chiesto…" – il respiro impastato dal vino corposo...

Oscar sollevò lo sguardo, severo, di chi non comprendeva.

Ciò ch'era stato ordinato di fare all'altro era stato tutto coscienziosamente eseguito.

A che si riferiva dunque…

Quali controlli?

Quelli che lei stessa avrebbe chiesto?!

Quando...

"Anche tu hai potuto verificare dai dispacci…il suo nome per ora non c'è!".

Gli occhi si sgranarono davvero…

Oscar non comprendeva…

"Il suo nome? Di chi stai parlando?".

"Perdonami…ho inteso che sei legata…al tuo…attendente…".

Legata…

"Il suo nome non è negli elenchi…" – spiegò Girodel, sorseggiando l'ultimo goccio di vino.

Forse fu proprio il vino…

O chissà…

Non ci aveva pensato, non avrebbe mai immaginato…

"Gli elenchi dei soldati arruolati per imbarcarsi…" – specificò Victor per tagliar corto.

"…".

"Ti ho detto proprio oggi che anch'io mi ero premurato di verificare la disponibilità di uomini da prelevare da altri corpi di guardia e da altri dipartimenti. Tu stessa oggi hai ammesso la necessità di predisporre tale verifica. Bene! E allora mi sono detto e ho immaginato ch'era comunque una maniera gentile per sapere se il tuo attendente fosse finito nell'elenco di coloro che si sono arruolati. Ebbene…non c'è! Ma se ci fosse stato…intendo…se si fosse arruolato…".

Muta, le parole rimasero impigliate nella gola…

"André…" – solo il nome sussurrato, la visione dirompente…

Chissà se la ricerca di Girodel era stata spontanea oppure se essa era stata indirettamente indotta dalle richieste che lei aveva avanzato?!

E sì che aveva immaginato d'esser stata cauta.

E sì che l'ammissione doveva essere sgusciata fuori dopo giorni di attesa, in cui aveva sperato che l'altro tornasse e che non ci sarebbe mai stata necessità di cercarlo o di sapere dove fosse finito.

"Non potrai saperlo con certezza che tra qualche settimana, quando verranno resi noti gli elenchi di coloro che hanno completato l'addestramento. Che poi…si tratta d'andare a sparare agli inglesi e alla gente selvaggia che vive in America! Penso non sarà necessario chissà quale addestramento!" – concluse Girodel appoggiando il bicchiere sul tavolo – "Comunque, se questo può renderti più tranquilla…lui non è negli elenchi di coloro che potrebbero partire…se vuoi posso cercare meglio…".

Si alzò Oscar, la sedia scostata malamente…

"Dannazione…".

Il dubbio insinuato…

Le parole del padre…

"Posso chiedere a qualche ufficiale…".

"No! Questa faccenda riguarda me!".

"Comunque non volevo impensierirti. M'era sembrato che fossi preoccupata…è comprensibile…siete cresciuti assieme e da quando sei uscita dall'Accademia Militare…ti è sempre stato vicino…non fraintendermi…".

"Victor…".

"Ho capito…perdonami…fa come credi!".

Che importava all'altro…

Implose il corpo, i muscoli risucchiati dal vuoto…

Oscar s'immaginò d'essere sull'orlo d'un baratro, solo che non aveva compreso come c'era finita e s'era stata lei a giungere fin lì oppure se lì ce l'aveva portata quella dannata giovane di cui lei non sapeva nulla se non che di quella s'era innamorato André!

§§§

Dove trovare una spiegazione?

Come trovare una spiegazione?

Era notte ormai…

Non aveva accettato la scorta di Girodel fino a casa.

Lo stalliere se n'era andato a dormire, avrebbe fatto da sé.

Entrò piano nella scuderia, i cavalli già negli stalli fremettero all'ingresso, invocando una carezza, pestando lo zoccolo a terra, innervositi dalla visita.

Oscar slegò il sottopancia del cavallo…

La testa doleva…

Immagini accavallate…

Andò ad appendere le briglie al gancio, le dita rimasero un istante a stringere il cordame consumato ed ammorbidito.

Le mani erano libere dai guanti in quei giorni di caldo crescente e i palmi non avevano risentito del contatto con il cuoio, anche se era accaduto di strattonare e tirare le briglie e…

"Che diavolo hai fatto?".

Non aveva ottenuto nulla di nulla.

L'unica informazione gliel'aveva rivelata il Tenente Girodel…

Comprese ch'essa era veritiera…

Entrando nell'atrio che dava alla scala, gli occhi scorsero alla porta della stanza di André.

Intuì ch'era socchiusa, non accadeva da tempo.

Un balzo del cuore…

Passi concitati ad avventarsi quasi sulla maniglia per entrare…

Il nome…

"André!"

Lo chiamò d'istinto, come se lui fosse stato lì, come se quelle dannate giornate fossero state solo un terribile incubo - il beffardo risvolto d'un pessimo vino ingoiato troppo in fretta - impossibile d'approfondire, perché il risveglio sarebbe stato imminente ed una volta svegli non sarebbe stato ammissibile recuperarlo.

Rimestare di stoffe…

"André!".

Lo chiamò ancora, la stanza era buia…

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