I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!

Verità

Il candelabro recuperato in fretta da un tavolino dell'atrio.

Nessuno aveva fiatato nella camera di André, nessuna risposta.

Il chiarore illuminò le pareti, tutto pareva in ordine…

Un passo, Oscar si decise a entrare per comprendere…

La luce ondeggiò adagiandosi alla fine sul panneggio grezzo e scuro del vestito di Madame Glacé, seduta a terra, occhialini in mano, sguardo basso ad accarezzate un foglio appoggiato in grembo.

Oscar si avvicinò in silenzio.

Lo stupore si mescolò all'angoscia di vedere l'altra a terra, non era mai accaduto.

Lo stupore si mescolò al vuoto…

Non è André…

André non c'è.

Per qualche istante Oscar s'immaginò di uscire, lasciare la stanza, cancellare quegli istanti, provare a rivivere, riavvolgendole come un nastro di seta sgualcito dall'odioso vento, le ore trascorse per individuare il punto oscuro, il bivio, a cui entrambi, lei e André, si erano diretti, e tentare di scorgere, proprio da quel punto, la strada che lui aveva imboccato, diversa dalla sua.

C'era che lei se n'era accorta troppo tardi, c'era che lei si era voltata e lui non c'era più.

"Nanny…" – s'inginocchiò di fronte all'altra, sollevando un poco il candelabro, che l'altra scostò il viso, segno che era lì da parecchio e gli occhi non erano più abituati alla luce.

Nanny non rispose.

Oscar azzardò individuando il foglio in grembo all'altra.

"E' una lettera?" – chiese piano, sottinteso fosse del nipote.

"Mi ha scritto finalmente…quel bellimbusto!" – tirò su col naso nanny – "Dice che sta bene…ed io come una sciocca ero venuta per cercare altre camicie…ma non ce n'è a sufficienza. Dovrò andare a Parigi domani… dovrò chiedere il permesso a Madame Jarjayes…ma lei è a corte…".

"Posso darti io il permesso…dove si trova André?".

Negò nanny: "Non lo dice mica quel delinquente! Dice solo che mi vuole bene e che non devo preoccuparmi. Ma come faccio? Non so nemmeno dov'è!".

Lo sguardo dell'anziana si sollevò al viso dell'altra.

Entrambe illuminate dalla luce fioca delle candele, entrambe a chiedersi perché e cosa sarebbe accaduto.

Nanny comprese d'essersi precipitata inutilmente alla ricerca di camicie. Non avrebbe saputo dove spedirle, dunque il gesto dettato dall'angoscia e dall'assenza si era rivelato del tutto inutile, anzi addirittura crudele.

Fu Oscar ad ammetterlo alla fine, quasi per giustificare l'altra, perché non c'era verso di dare senso a quell'assenza.

"Perché andarsene così? Qualsiasi questione si sarebbe potuta risolvere…".

"Vedete mademoiselle…io credo che André non volesse proprio che nascesse alcuna questione! Ve l'ho già detto…se lui avesse sbagliato...in qualche modo...oh...non se ne sarebbe andato a questo modo! Dunque penso abbia agito così perché andandosene nulla di grave potrà mai accadere…non ne convenite anche voi?".

Il ragionamento era degno di André.

Lieve e sincero, asciutto e senza fronzoli, riportava una visione dell'altro oltremodo candida e disincantata.

Avrebbe anche potuto essere così ma Oscar non era nanny.

Oscar non si sarebbe accontentata d'una spiegazione frutto d'un ragionamento.

Soprattutto, non era certa che quel ragionamento fosse corretto.

Soprattutto…

Una partenza enigmatica e frettolosa…

Una lettera recapitata da chissà chi, dunque una sorta di copertura per sviare l'attenzione, un modo per evitare d'esser coinvolto in chissà quali complicazioni.

O forse…

Forse non c'era nessuna complicazione. Forse era davvero tutto semplice come una scelta dettata dall'istinto.

La coscienza si rifugiò allora nella congettura della menzogna, paradossalmente meno fuorviante e più rassicurante.

Meglio immaginare che il padre avesse mentito, che André avesse mentito.

Non c'era nessuna faccenda…

O meglio, chissà qual era davvero la verità!

"L'unico che può saperne qualcosa è mio padre…" – concluse Oscar dolente ma severa, per rassicurare nanny o forse chissà per rassicurare se stessa – "Andrò io da lui…".

"Mademoiselle…voi avete i vostri impegni! Non sia mai di veder impiegato il vostro tempo per star dietro a me o a quello che combina mio nipote…".

"Tuo nipote…lui non può pensare di sparire a questa maniera! Non è rispettoso nei tuoi confronti e nemmeno dei miei!".

"Voi?! Davvero pensate che André vi abbia mancato di rispetto?!".

Che Oscar si sedette a terra…

Lo sguardo corse alla parete spoglia, buia, nessun arzigogolo a mitigare il muro intonacato.

La camera di André non aveva pregio d'esser abbellita da quadri o ritratti o stampe preziose.

Però lì, sulla parete, al limite della testata del letto, erano incisi alcuni disegnetti che tutti e due s'erano divertiti ad intagliare, quand'era toccato ad André d'ammalarsi ed era stata lei, libera da impegni, a tenergli compagnia.

Il bordo del letto era divenuto confine segreto entro cui circoscrivere simboletti scarni, che le mani erano piccole e la paura d'esser scoperti era grande.

Un bordo legnoso messo lì a limitare l'immaginazione…

Quanti bordi c'erano stati nella sua vita…

Quanti limiti s'era imposta lei, per rispettare le regole!?

André dunque era andato oltre.

André si era ribellato, aveva stabilito di scrivere altri segni ignoti oltre quel bordo oscuro ove nessuno dei due un tempo s'era risolto ad avventurarsi.

Un luogo segreto, un tempo diverso, un posto dove lei non aveva avuto coraggio di entrare.

Lui l'aveva lasciata lì, indietro, nella regione della ragionevolezza, del rispetto delle regole, dell'onore e del consenso dei pari.

Lui aveva oltrepassato le impalpabili Colonne d'Ercole, fuggendo, scomparendo…

Oscar scorse i graffi, una stretta al cuore.

Il rispetto dovutole adesso pareva divenire una specie di ragnatela soffocante ma al tempo stesso una sorta di antro evanescente e sicuro.

Il rispetto che il servo deve al padrone determina i confini del conoscibile e dei gesti e persino dei pensieri di entrambi. In questo rispetto tutto è solido, stabile, definitivo.

La scelta dell'altro rimetteva tutto in discussione…

Quel rispetto divenne l'unico sgradevole appiglio. Lei dunque André non l'aveva mai conosciuto davvero, ma doveva fare appello a ciò che rammentava, a quella tela che giorno dopo giorno andava strappandosi, dilaniando il volto dell'altro e la sua voce e le sue maniere.

"Sì!" – ammise Oscar severa, più per convincere nanny che se stessa, ma senza spaventarla.

S'arrestò, stupita del progressivo irradiarsi nella coscienza della figura di André, proprio ora che lui non c'era più.

La luce rischiarava l'ombra. Di essa lei riconosceva solo i tratti fisici…

Quanto al resto…

S'arrestò immaginando che mantenersi su di un piano ricattatorio sarebbe stato più che sufficiente per convincere nanny.

Ma non se stessa...

Lo schiaffo all'orgoglio andava via via vacillando, giorno dopo giorno. Dell'orgoglio d'essere stata messa da parte non le importava più molto.

Rimase qualche istante a osservare la governante.

Con gli occhi chiese il permesso di visionare la lettera di André.

Un altro colpo.

Poche righe, un semplice foglio, senza busta, senza timbri d'una qualche stazione di posta, dunque recapitata a mano.

Impossibile risalire all'origine, impossibile sapere il luogo da dove fosse stata spedita.

Un espediente…

Impossibile non maledirlo di nuovo, in silenzio, l'imprecazione annodò la gola…

Irriconoscibile André…

Possibile che non avesse idea del dolore inferto a sua nonna…

Possibile…

Oscar non fiatò sulle congetture esibite con malcelato orgoglio dal Tenente Girodel.

Si alzò e porse la mano a nanny per consentirle di rialzarsi.

Uscirono entrambe dalla stanza vuota.

I passi procedettero ognuno verso i luoghi dedicati, la cucina per la governante, lo studio per la padrona.

Giusto il tempo di slacciarsi gli alamari del colletto…

Era buio…

Oscar François de Jarjayes, alla luce tiepida della candela, vergò la lettera di richiesta a Sua Maestà Maria Antonietta d'esser ricevuta.

La regina non aveva più concesso visite nelle ultime settimane ed era necessaria una richiesta scritta che venisse approvata dal Madame Noaille o dal Gran Ciambellano per far visita a Sua Maestà.

Non aveva ricavato nulla e la visione della corte e delle cucine non avrebbe consentito di ricavare nulla.

Luoghi troppo affollati, lontani dal sentire di André.

Quando anche la giovane amante o futura amante o mancata amante che fosse, si fosse nascosta là in mezzo sarebbe stato impossibile scovarla.

Troppi dubbi e nessuna verità.

L'unico che avrebbe potuto saperne era suo padre ma nemmeno si sapeva quando sarebbe tornato.

Forse il giorno dopo, forse quello successivo ancora…

Oscar non avrebbe atteso oltre…

Sarebbe andata lei dal padre.

Un lampo di stizza punse le dita, un respiro fondo.

Lo sguardo si posò sulla geometria della finestra, scura.

Il vetro lucido e nero riflesse l'ovale del viso, i contorni sfregiati e sghembi, il naso, la bocca…

Era buio…

Nessuno alle spalle con cui conversare, chiosare sul tempo, ammettere che la cucina di nanny era sempre superba…

Pensieri sciocchi…

Discorsi lievi e un poco stupidi!

No, non era nemmeno quello…

La malinconica discesa dell'ombra che prendeva possesso dello spazio e del tempo e del cuore condusse con sé la tranciante ammissione che forse lei non aveva capito nulla.

Né di se stessa…

Né di André.

André che c'era sempre stato adesso non c'era più.

E adesso che non c'era più, pareva essere divenuto pensiero costante, vuoi per la rabbia, vuoi per la sferzata all'orgoglio ferito, vuoi per…

L'orgoglio distrutto dal silenzio rivelava quella tela sempre più lacera, sempre più d'uno sbiadito monocolore.

Non c'era una ragione precisa...

C'era solo che André non c'era.

L'avanzare dell'estate penetrò nelle narici, disarmante frescura di foglie giovani agitate dal vento della notte, mista a friabile terra umida, nascosta, incapace d'asciugarsi in fretta nelle ore scure, arida e polverosa nelle ore del mattino.

Tutto colpiva i sensi…

Ogni dettaglio fino ad allora insignificante, ogni rumore noto, ogni voce conosciuta si colmavano in quel momento d'un timbro nuovo e differente.

Quello d'esser uditi in solitudine, quello d'esser vissuti per la prima volta, soli.

Dunque tutto ciò ch'era sempre stato noto, ora si tingeva dell'inspiegabile timbro afono indotto dall'essere, il suono, il rimbombo, il ronzare, il pestare…

Udito in solitudine.

Dunque tutto appariva nuovo, come se le orecchie apprendessero tali suoni per la prima volta…

Tutto appariva enorme e vuoto e…

L'assenza strideva…

No, non era neppure quella.

Era la presenza nella mente…

Era André, ch'era sempre stato lì, con lei, specialmente nelle ore che precedevano il ritiro della notte, a non esserci più e dunque a connotare quelle ore e quei suoni d'una musicalità nuova, differente.

Manchevole forse oppure semplicemente…

Il buio chiuse lo sguardo.

Lì al buio si sentì perduta, intuì le forze vacillare, la gola chiudersi, il corpo implodere su sé stesso, incapace di mantenere la posa ritta.

Esso, fino a quel momento, era stato sorretto dalla smania e dalla rabbia d'esser stata messa da parte.

Nulla di grave, se non che lei avrebbe voluto esser parte della vita dell'altro e della sua decisione.

Perché…

§§§

Altri giorni trascorsero…

La rabbia salì, ancora.

Stranamente Sua Maestà non aveva dato corso nell'immediatezza alla richiesta del Colonnello delle Guardie Reali, d'esser ricevuta. Solo poche persone avevano il permesso di frequentare la regina, Madame Noaille, le dame di compagnia più fidate.

Persino Sua Maestà il Re veniva tenuto un poco in scacco e quello era stato visto aggirarsi pensieroso e tremante per i corridoi dei propri studioli.

Non era mai accaduto…

Pareva che nemmeno i suoi amati esperimenti scientifici avessero pregio di distrarlo.

Madame Jarjayes, rientrò a casa, quella sera, lo sguardo un poco stanco.

"Madre…" – che Oscar si ritrovò ad attendere l'altra…

"Sì…Oscar…Sua Maestà ha accettato di vederti. Non ha ritenuto d'inviarti la risposta ufficiale, delegando me a riferirti la sua decisione…".

"Che sta accadendo?".

"Sua Maestà è molto provata…ha chiesto a tutti di mantenere riserbo…".

"Madre…" – lo sguardo dubbioso…

"Anche con te…" – convenne dolente Madame Jarjayes – "Ma domani…ha detto che sarà felice di poterti ricevere…ha avuto il permesso dai medici…".

"Non sta bene? La regina è malata?".

La preoccupazione crebbe, che Madame Jarjayes alzò gli occhi al cielo.

"Oscar, non sempre una donna che tiene in considerazione il giudizio dei medici è malata…".

Dunque un riserbo imposto, doveroso e ferreo.

La Regina Maria Antonietta era pressoché scomparsa dopo l'ultimo ricevimento che si era tenuto ormai un mese prima.

Erano trascorse quattro settimane…

Era il 20 giugno dell'anno 1778.

Quattro settimane…

Fersen se n'era andato da quattro settimane. Il conte si sarebbe imbarcato sulla nave da guerra Jason, diretta in America.

L'oceano in tempesta nello sguardo dell'altro ondeggiava ancora nella mente di Oscar François de Jarjayes.

Unico frammento limpido, unico appiglio della memoria, che di Fersen lei aveva potuto ambire solo ad uno sguardo, ad una confidenza sincera, ad un moto di silenziosa rabbia.

Quattro settimane…

André era scomparso da quattro settimane.

Dapprima lo stupore, poi la rabbia, poi i dubbi, poi…

Di André era pervasa la coscienza.

André era…

Inghiottì Oscar François de Jarjayes, stranita dall'ammissione a se stessa.

Un lieve cenno della mano, Maria Antonietta congedò le cameriere, perchè le lasciassero sole.

Un lieve inchino, Oscar sollevò lo sguardo verso la regina, sposa del re di Francia ormai da otto anni.

La regina pareva serena, nulla a che vedere con l'immagine tesa e sconsolata scorta ormai quattro settimane prima.

"Perdonate se vi ho fatto preoccupare…" – esordì Maria Antonietta.

Nonostante fosse la regina, s'immaginò che l'altra, amica da sempre, fosse stata in pena per via di quella separazione un poco oscura.

"Maestà…vi sentite…bene? Mia madre ha accennato al fatto che avete avuto necessità di ricorrere alle cure dei medici…".

"Sono sicura che Madame Jarjayes non abbia detto questo!" – trillò Maria Antonietta un poco divertita.

"No…perdonate…in effetti mi ha solo detto che avete avuto necessità di consultarli…debbo dedurre che vi è differenza…".

"Avete detto bene mia cara…vedete…" – la mano destra si posò sul ventre – "Vi è differenza tra consultare un medico per via d'una afflizione oppure per via d'un mutamento della propria condizione…".

Sorrise Maria Antonietta a se stessa oppure a chissà chi.

Volse lo sguardo alle geometrie smaltate di verde e d'azzurro dei giardini, ai docili zampilli che s'intravedevano dalla vicina fontana di Latona, ai mazzi screziati di giallo e turchese delle aiuole di rose e ortensie e tulipani.

Ondeggiò lo sguardo all'ondeggiare dell'aria tiepida del pomeriggio.

Pareva che l'anima e i giardini fossero accarezzati dallo stesso intenso incedere d'una nuova stagione.

"E' possibile che io davvero sia in attesa di un bambino…" – sussurrò Maria Antonietta e il sorriso scintillò sulla pelle chiarissima, ornata da ciocche un poco ribelli ch'erano state lasciate libere di ricadere sulle spalle e sul collo.

Sussultò Oscar alle parole…

"Un bambino…Maestà…".

Un passo…

Il corpo proteso alla ricerca nella visione dell'altra d'un indizio che si rivelò - piuttosto che nell'aspetto - nello sguardo leggero e limpido, nella posa rilassata e morbida, che l'altra non si era alzata ma era rimasta seduta sul divanetto.

Oscar scorse la luce posarsi sui lineamenti candidi, sulle labbra un poco più rosse…

E poi il vestiario…

Sua Maestà non indossava il solito abito appesantito da strati di stoffe e crinoline e pizzi bensì un tessuto lieve, morbido per lasciar libero il corpo di animarsi e vivere a discapito dell'etichetta e delle regole della moda.

Tutto pareva essere stato ammansito, anche il cuore, da una sorta di soave leggerezza, appena intuita, appena accennata…

"Oscar…è una confidenza che vi faccio…ancora non ne siamo assolutamente certi ed è per questo che ho avuto necessità del parere dei medici. Mi hanno consigliato di riposare e di non eccedere in nulla, fosse anche stato scrivere una lettera o suonare il clavicembalo. Ecco perché non ho accettato subito di vedervi".

La visita di un Colonnello delle Guardie Reali non avrebbe in realtà mai potuto essere così defatigante. Dunque la solitudine da cui s'era lasciata avvolgere Maria Antonietta pareva più dovuta al desiderio di non avere altre immagini da immaginare, altri sguardi da scrutare, altri pensieri da sovrapporre a quelli a cui la regina s'era abbandonata dopo la partenza di Fersen.

Come un terreno arido che attende una nuvola di pioggia e spera, muto, e attende, muto, la prima goccia e poi la seconda per lasciarsi inondare e rinascere.

"Maestà…perdonate se la mia visita può esservi sembrata inopportuna…ma…ora sono davvero felice! E' davvero meraviglioso ciò che mi state dicendo…state bene…voi…".

Un altro passo…

Il desiderio incombente d'avvicinarsi…

Vedere l'altra, non la regina, non la moglie, ma una donna e poi non solo la donna…

Intuire lo scintillio intimo d'una nuova condizione…

Rise Maria Antonietta, davvero…

"Siete buffa mademoiselle! Siete sempre stata così severa con tutti! Così seria…avete sempre dato a tutti l'impressione d'essere distante dai fatti che vi circondano e adesso…dovreste vedervi…siete davvero encomiabile a preoccuparvi per me! Ma io sto bene…è sorprendente quanto io stia bene nonostante tutto ciò che è accaduto…".

Ecco dunque che quel disgraziato terreno asciutto come fosse stato sguardo arido di lacrime ormai consumate, volgeva il respiro al cielo.

E come la radiosità del sole viene d'improvviso ombreggiata da una nuvola passeggera che oscuri il chiarore e raffreddi il calore, costringendo lo sguardo a saltar su per veder se essa sia davvero nuvola solitaria e raminga oppure annunci tempesta, così le parole solcarono lo sguardo della sovrana, scurendolo per qualche istante e a chiunque l'avesse conosciuta, quell'ombra sarebbe ben potuta apparire come il presagio d'una tempesta.

Che quella nuvoletta passeggera era forse il ricordo del respiro del conte, un suo sguardo fugace tra le occhiate viscide dei cortigiani famelici d'ottenere un posto di privilegio accanto ai sovrani.

Che quella nuvola era il battito stranito del cuore, ingovernabile dalla ragione e dunque incapace di stare calmo, anche se nulla – nel corpo e nell'anima d'una regina – avrebbe potuto giustificarne l'anomalia.

No, anche il cuore d'una regina dunque poteva saltar su, testimone muto dell'unione dei sensi, non certo quella delle mani o dei corpi.

Un'unione più fonda, segreta, persino agli stessi amanti, che non la conoscono ma si fidano di essa e da essa si fanno guidare.

La nuvoletta sfilò passeggera.

"Sono grata al conte per la sua scelta e mai avrei immaginato di poter continuare a vivere oltre il dolore per la sua partenza. Questo figlio che spero di mettere al mondo sarà una benedizione per la Francia e per la mia vita...eppure…Oscar non dite a nessuno che aspetto un bambino…o si scatenerà una guerra…di…".

Maria Antonietta si portò una mano alla bocca, quasi a fermare se stessa dal pronunciare il terribile sostantivo. La nuvoletta dunque era severamente intenzionata a trascinarsi dietro una breve tempesta.

"Congetture!" – respirò piano a trattenere le lacrime – "E maldicenze…Oscar voi…".

"Maestà…ho compreso...il vostro timore è solo frutto delle maldicenze di questa corte. Esse sono false e come tali andranno trattate! Io, come tutti coloro che vi stimano, conosco il vostro valore e la vostra rettitudine…non permetterò che una sola parola del genere venga pronunciata…nemmeno sottovoce! E se mi accadrà d'ascoltarla o venire a conoscenza ch'essa verrà pronunciata…".

Si guardarono Oscar e Sua Maestà la Regina Maria Antonietta…

La Regina allungò le braccia, tendendo le mani, un gesto netto a richiamare l'altra, a chiederle d'avvicinarsi, a pretendere un contatto.

Fosse stata una dama il gesto sarebbe stato consueto…

Verso il Colonnello delle Guardie Reali…

La chiosa terrea espressa da Sua Maestà eruppe nella testa, quasi esplodendo nell'ondivaga somiglianza della medesima congettura.

L'onore di una regina...

L'onore di una donna qualsiasi...

Oscar tese la mano, stringendo quella di Maria Antonietta e la regina pose sopra l'altra mano.

"Non permetterò mai che qualcuno offenda il vostro onore. Siete la Regina di Francia…" – concluse Oscar.

"Sì…ma sono anche una donna! Una donna che ha amato, a dispetto del proprio ruolo. E voi…dovreste comprendere…siete anche voi una donna…".

Sussultò Oscar, davvero…

Maria Antonietta era una donna.

Oscar François de Jarjayes anche.

Dunque avrebbe dovuto comprendere…

"L'amore…giunge inaspettato…" – sussurrò piano Maria Antonietta – "Mi ha illuso…e mi illude tuttora. Ma inaspettatamente questo figlio mi ha richiamato ai miei doveri…al mio amore doveroso verso Luigi e verso la Francia. Non posso sottrarmi ad esso e sarà questo amore che mi guiderà d'ora in avanti. Vorrei…".

Silenzio…

Stavolta Maria Antonietta alzò lo sguardo verso l'altra…

"Un tempo mi avevate rimproverato per la mia vicinanza a Fersen…" – riprese la regina…

S'ammutolì Oscar, rammentando le parole accorate, dispiegate all'altra affinché l'altra distogliesse i gesti dalla visione del conte.

Non sapeva o forse non aveva mai voluto ammettere, Oscar François de Jarjayes, che non si sceglie di amare e che i gesti dettati dall'amore non si orientano con la ragione.

Che essa, alla fine, seppur a spropositati costi e dolore…

"Maestà…".

"Voi che siete una donna…mi sarei aspettata mi sareste stata solidale…".

"Avrei soltanto voluto che Sua Maestà non avesse avuto a soffrire…".

La ragione non può nulla...

"Lo so…non sono adirata per questo. Ma rammento che rimasi stupita. A pensarci bene, non sarebbe stato da voi tacere le vostre preoccupazioni verso il mio atteggiamento nei confronti del conte. Io sono una regina ma…sono e resterò sempre una donna…e l'amore non conosce le regine. Conosce solo le donne e gli uomini. Però ho compreso…".

Implose dunque la visone di sé, talmente arida e distante, da non aver compreso cosa fosse ad agitare il cuore di una donna, immaginandosi solo quello fermo e severo d'una regina.

Implose dunque la visione di sé, talmente vuota e distaccata, da non aver compreso cosa fosse parimenti, ad agitare il cuore di un uomo, immaginandosi solo quello lieve e sereno dell'amico di sempre.

Di nuovo Oscar François de Jarjayes si ritrovò in scacco, messa all'angolo, i piedi che a poco a poco scendevano i gradini d'una strana scala di fuoco…

Il calore alle spalle e l'acqua di fronte a sé…

L'arsura del fuoco dietro a sé e la salvezza racchiusa nel viso d'un uomo di fronte a sé…

Un uomo che aveva compiuto una scelta…

Decidendo per sé e per lei…

André…

"Maestà…".

"Vorrei che anche lui lo sapesse…" – ammise Maria Antonietta, d'un colpo, quasi trattenendo il respiro – "Vorrei che...".

"Vorreste che il conte…".

La regina volse lo sguardo ai giardini.

"Ne resterebbe deluso e ne sarebbe al contempo felice. Lui provava affetto per me...prova...affetto..." - s'interruppe la voce, come ad ascoltarsi che davvero non avesse finito per pronunciare altra parola - "E avrebbe desiderato che io fossi felice. Ecco…vorrei potergli dire che adesso io sono felice e che il suo sacrificio non ha scalfitto questa felicità! Non sempre il destino riserva a due anime che provano reciproco affetto il dono d'essere unite…ma…io sarò devota al sentimento che mi ha guidato a lui…anche se saremo destinati a non incontrarci forse mai più. Io spero che il conte tornerà sano e salvo…".

Strideva adesso, ancora più del momento della separazione, la lontananza che diveniva più fonda ed al tempo stesso più leggera.

Il destino aveva imposto il proprio volere ma il senso dell'unione, l'essere uniti, s'affacciava alla coscienza ancora più intenso di prima, che il destino li aveva fatti incontrare e dunque una ragione ci sarebbe stata per quell'amore ch'era sorto, anche se esso era e sarebbe stato un amore destinato a non realizzarsi mai.

"Perdonate mademoiselle…voi avete espresso il desiderio di vedermi…c'è qualche motivo particolare?".

"Maestà…".

Oscar s'ammutolì, dubbiosa se manifestare richieste che parevano così infime di fronte alla condizione dell'altra e ancora più dubbiosa se proporre d'essere lei stessa ad esaudire il desiderio di Maria Antonietta, seppur ammettendo che in quel modo si sarebbe impadronita di ciò che non le competeva, ritrovandosi ad essere di nuovo confidente ed amica dei due amanti.

Assurdo...

Crebbe il disprezzo verso di sé, che a quel modo, non avrebbe neppure avuto il tempo di coltivare in maniera efficace la ricerca di André.

"No…avrei solo…".

Maria Antonietta aveva ancora le mani su quelle dell'altra, le strinse…

"Sapete…dicono che quando si attende un figlio…pare si diventa più accorti e sensibili…ma anche più egoisti e più fragili! Dunque non fatemi stare in pensiero…se c'è altro…".

"Avrei necessità di conferire con mio padre su alcune faccende che riguardano l'arruolamento dei soldati...nella Guardia Reale s'intende...".

"Parlate…non abbiate timore…".

Il bivio pulsava nelle vene...

L'assenza rimbombava nella testa...

Scelse Oscar...

"Perdonate maestà…non vorrei impensierirvi…il Ministero della Guerra si occupa degli uomini che saranno arruolati per andare in America ma avrei necessità di conferire con mio padre sulle guarnigioni disponibili a cedere soldati da addestrare come guardie di palazzo o comunque addette alla sicurezza della reggia…mi rendo conto che potrei anche domandare al Conte d'Artois…".

"Ma voi vi fidate di vostro padre?!" – sorrise Maria Antonietta – "Mi pare giusto!".

"Non è a Versailles adesso…".

"E voi non potete aspettare!".

"No…perdonate…".

Un respiro…

"Sapete che quando voi siete alla reggia io mi sento molto più tranquilla! Dunque…andate pure se avete questa necessità…ma non dimenticatevi di me! Tornate presto con le vostre preziose informazioni! E…".

"…".

Il silenzio calò come cappa plumbea a soffocare la levità dei discorsi appena morti.

"Vostro padre…dove si trova adesso?" – chiese Maria Antonietta tornando a osservare i giardini, come se in realtà a lei non importasse tanto la risposta, quando che la mente avrebbe voluto uscire da lì e seguire il pensiero e poi il luogo e poi chissà quale nuvole raminghe nel cielo.

"Credo si trovi in Bretagna, forse a Saint Malò o comunque nei dintorni…sta prendendo parte all'addestramento dei soldati che si imbarcheranno…".

Le mani sopra le mani dell'altra, le dita della regina tennero strette quelle di Oscar.

La nuvoletta oscurò nuovamente lo sguardo della donna che dunque tentava e avrebbe tentato ad ogni modo di proseguire la sua vita, ma il luogo, insignificante all'apparenza, dettava un percorso, impossibile da compiere per lei, molto facile da raggiungere per l'altra.

"Saint Malò?" – domandò Maria Antonietta – "Vostro padre si trova nei pressi di Saint Malò?".

"Credo di sì, Maestà…".

Un respiro fondo, seppure solo immaginato…

Oscar François de Jarjayes intuì il senso del tono dell'altra.

Sentì esplodere in petto lo sconvolgimento misto alla depressione indotta dalla visione dei luoghi e del percorso che l'avrebbe condotta…

"Certo…è lontano…" – ammise Maria Antonietta, che l'altra ebbe chiara la visione e un poco sentì il sangue gelare ed accaldarsi al tempo stesso.

L'insipido calore ebbe pregio d'avvampare un poco le guance, che Oscar fu costretta a slacciare la stretta delle mani e a torcere un poco il viso, verso la stanza, mimando un fantomatico controllo della legna che ardeva nel camino.

Si alzò…

Il bivio non era più tale, che la strada ridiventava unica e solitaria ma percorsa da lei sola.

Non vi era scampo, non vi era possibilità di scegliere un'altra strada.

Lo doveva al suo ruolo di amica della regina e...

Oscar François de Jarjayes si sentì inspiegabilmente oscura e sporca nell'ascoltare le considerazioni della regina senza ritenere d'opporre alcuna obiezione.

In totale silenzio non comprendeva più se era dunque divenuta capace di trarre dalle parole dell'altra lo spunto per accondiscendere al proprio desiderio piuttosto che a quello della regina.

"Potreste…" – domandò Maria Antonietta – "Raggiungere…Brest?".

Una domanda suggestiva, ch'essa conteneva già la risposta.

"Se questo è il vostro desiderio…" – fredda si dispiegò la conclusione.

"Ecco…non so…io non so più cosa pensare! E se lo ferissi? E se lui m'immaginasse infedele? A lui intendo…".

"Maestà…" – impossibile fu per Oscar François de Jarjayes procedere nella conversazione.

Non per il Colonnello Oscar François de Jarjayes ma per la donna Oscar François de Jarjayes, che fu lei a domandarsi quale amore avrebbe potuto dirigere i gesti verso l'adempimento di un dovere coniugale, per di più stabilito attraverso un contratto di legge, un accordo tra popoli un tempo avversari, piuttosto che verso una fedeltà talmente fonda ed imperscrutabile da divenire una sorta di ombra capace di oscurare persino la nascita di un erede, a suggello del dannato accordo!?

Il corpo sarebbe dunque divenuto calice o sarcofago d'un simile amore?

Strinse le mani, Oscar François de Jarjayes, accorgendosi d'essere inspiegabilmente protesa al volto di Fersen, al corpo dell'altro, alle movenze appena percepite da lontano ma impresse evidentemente nella coscienza, al di là della volontà di volerle imprimere.

Il bivio dunque scompariva.

Avrebbe riveduto Fersen…

Avrebbe raccontato al conte della felicità della donna amata.

Una felicità avulsa dalla loro unione – che non si era dunque mai consumata – ma che diveniva, proprio in forza dell'assenza, ancora più fonda e intensa.

Il bivio...

L'assenza...

Il pensiero ripiombò ad André che parimenti si era sottratto al conflitto e a lei stessa, negando però una qualsiasi spiegazione, come se lei non ne fosse stata degna, nonostante si conoscessero da anni.

La coscienza, che pochi istanti prima aveva accarezzato la visione dell'altro, immaginando lo struggimento di una scelta similare a quella del conte, nell'istante successivo rifuggì dal volto dell'amico di un tempo, che aveva avuto il disgraziato pregio d'occupare le giornate e le ore scorse nella vana ricerca di una giustificazione che evidentemente André non aveva voluto dare, di sé e di ciò che aveva fatto.

"Non potrò conferirvi alcun incarico ufficiale…nessuno dovrà sapere che siete andata per mio conto…" – concluse la regina, dando per scontato il consenso alla richiesta – "Non potrò lasciarvi alcuno scritto…se disgraziatamente esso dovesse cadere in mani sbagliate…".

Il senso dell'incarico era sottile…

La missione era conferita dalla donna alla donna e non dalla regina al colonnello.

"Maestà…".

"Potrei comprendere il vostro disappunto…non come ufficiale della Guardia Reale…ma…" – sussurrò Maria Antonietta, che tremò Oscar François de Jarjayes, che mai s'era veduta a quel modo – "Si…come donna…ammetterei ch'è riprovevole, quasi un colpo al cuore, esser stata capace di violare il patto di fedeltà muto e silenzioso che risiede nella nostra promessa…".

Una promessa…

"Ma se lo faceste…ecco per me sarebbe un sollievo! Sapere che lui partirà sapendo ciò che accadrà…forse non vivrà nel rimpianto d'aver commesso un errore. Tutto dovrà essergli riferito a voce…ecco dunque vedete che a questo punto la scelta non può che cadere che su di voi Oscar. Solo di voi mi fido…solo di voi si fida il conte…ciò che avete fatto al ricevimento è stato encomiabile…".

Oscar François de Jarjayes, la donna Oscar François de Jarjayes, era divenuta amico, come aveva caldeggiato André, che l'aveva invitata a partecipare al ricevimento ove aveva danzato con Sua Maestà la regina Maria Antonietta, una sfida accolta per il bene di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.

Solo ora si domandava se André aveva compreso altro di lei che riguardasse Fersen.

Solo ora si chiedeva se André non l'avesse spinta ad essere ciò che lei non avrebbe mai voluto essere, messaggera d'un amore impossibile, così che forse anche lei ammettesse che l'amore esiste anche nell'impossibilità della sua essenza.

In quel frangente, lei sarebbe stata sola, una ed al tempo stesso tante persone, e per ognuna di esse avrebbe dovuto recitare la parte, senza che l'una sapesse nulla dell'altra, senza che l'una interferisse con l'altra.

"Ecco...ve lo confermo!" – sospirò Maria Antonietta abbassando lo sguardo – "Per amore si diviene oltremodo egoisti! Perdonatemi…ma voi…voi davvero siete l'unica persona su cui posso fare affidamento. Il conte…deve essere libero…dovrà vivere liberamente anche se non passerà giorno in cui il mio pensiero non sarà rivolto a lui…".

Il Conte di Fersen sarà libero…

Dunque amare significa essere legati per il resto della vita ad una persona…

E al tempo stesso essere liberi…

Liberi di amare ancora…

Libertà…

Fersen sarà libero…

Amare ed essere liberi…

§§§

Gli scalini a due a due percorsi in fretta…

Inspiegabile rabbia chiudeva la gola adesso.

Rabbia mescolata a sollievo, ch'erano anni che si vociferava sulla presunta incapacità della regina di mettere al mondo un erede e dunque lo scenario, in poche settimane, s'era capovolto.

Sua Maestà avrebbe avuto necessità d'avere attorno a sé, tranquillità ed affetto…

Dunque Oscar François de Jarjayes aveva recitato la sua parte, aveva rinunciato a mantenersi neutrale, aveva accettato di divenire confidente e amica piuttosto che…

Dunque Oscar François de Jarjayes adesso avrebbe recitato il ruolo d'una donna che avrebbe riportato all'amante la notizia della gravidanza della donna amata.

Un misto di rabbia e sollievo…

Punse la rinuncia a mantenersi estranea, punse ancora di più rammentando lo scontro consumato tra lei e André, prima del fatidico ricevimento, quando lui, proprio lui, l'aveva invitata a non restare in disparte, a farsi carico di quel sentimento intenso e puro, che però non le sarebbe mai appartenuto.

Le parve quasi di vederlo, lui, André, provare a smorzare la rabbia, tentare d'ammansirla.

Perché!?

Solo per proteggere l'onore della regina?!

Solo per evitare il disonore alla famiglia Jarjayes?!

Solo per distogliere gli sguardi della corte dal Conte di Fersen?!

André...

In silenzio aprì la porticina della stanza, su, al limitare del tetto della reggia.

Punse la visione di sé, donna vestita da uomo, donna che recitava la parte dell'amica fidata…

Si sgranarono gli occhi nella penombra della mansardina…

Due babbucce appaiate ai piedi del letto.

Vestine linde e profumate distese sulla coperta ch'era stata tirata già, rincalzata…

Il respiro lieve, il pulcino, che ora non era più zozzo, raggomitolato, addormentato, chiuso nella camicia un poco lunga da cui sbucavano calzette ch'erano scivolate giù.

"Ma guarda…" – le venne da sussurrare avvicinandosi, ammaestrando l'ondeggiare della spada che seppur nel fodero avrebbe potuto sbattere in qualche mobile – la stanzetta era minuscola – e svegliare la mocciosa.

Oscar rimase a contemplare la bambinetta che dormiva beata, il viso ripulito dai moccoli e dalla polvere di carbone. Pareva persino più in carne o forse, pulita, la pelle risaltava tenera e morbida e dunque d'aspetto più sano e lieve.

Un passo…

Le assi del pavimento di legno scricchiolarono…

Il sonno leggero e la mocciosa si stropicciò la faccia, aprendo gli occhi d'un verde intenso e limpido.

Occhi grandi e vispi, seppure un poco assonnati…

Occhi sgranati alla messa a fuoco dell'ospite che lei aveva già visto ma che la mente infantile non aveva avuto tempo e velocità tale da riconoscere.

"No…sono io…ti ricordi di me?" – l'ammonì Oscar restando ferma per non spaventarla.

L'altra si rattrappì contro la parete un poco spaventata…

"Sono io…mi hai offerto una mela…era buona…giù, nelle cucine…".

Incombeva il corpo, dunque Oscar ammise che sarebbe stato necessario ristabilire le distanze.

Decise di prendere una sedia e si sedette, andando a slacciarsi la cintura che reggeva la spada, appoggiandola a terra. Una mano tra i capelli…

"Sei Victoire vero? Proprio non ti rammenti di me?".

Un guizzo…

La mocciosa sfoderò un sorriso oltremodo sdentato, il corpicino s'afflosciò come un soufflé estratto troppo presto dal forno. Per un soufflé è male, per una mocciosa spaventata significava che la paura andava via via scemando.

Fissò il viso di Oscar, come estasiata dal maestoso portamento, i riccioli morbidi che incorniciavano il viso, le mostrine ordinate e dorate, il quadro splendente ed altero.

Sorrise Oscar…

"Vedo che Amalie alla fine ha accettato di portarti qui! Stai bene? Hai dormito abbastanza?".

"Oui" – trillò l'altra masticando una vocale – "Amalie…Amalie…".

La mocciosa doveva avere forse tre anni ma il linguaggio scarno ed elementare suggeriva quello d'una bambina più piccola.

Oscar si avvicinò tentando di farsi spiegare che vita avesse vissuto la piccola.

Quella non capiva, continuando a sorridere. Anzi, prese coraggio, si avvicinò al punto da finirle sulle ginocchia, arrampicandosi su ed abbracciandola.

"Amalie…" – continuò a trillare…

"Amalie…" – cantilenò allora Oscar ridendo, visto che seriamente non riusciva a cavar nulla dalla piccola – "Chi è Amalie!?"

"Maman!" – esclamò quella – "Maman Amalie!".

Colpì l'appellativo. Oscar si scansò un poco, allontanandosi dalla piccola, a scrutare le fattezze del viso, seria, severa, tentando di scorgere…

Che diavolo vorresti vederci nel viso di Victoire?

Le fattezze della madre?

Non rammentando Amalie così bene, fu costretta a sforzarsi.

Sì, i lineamenti della giovane in qualche maniera erano lì, seppur ammansiti dai connoti infantili del visino, gli occhioni spalancati, il nasino perfetto, le sopracciglia castane, l'espressione buffa…

Potevano forse essere simili a quelli d'una sorella.

Ma di certo quei lineamenti s'erano abilmente mescolati a quelli del padre…

"E il tuo papà…" – chiese Oscar, sperando in una risposta altrettanto adeguata, anche se sapeva bene che di quei tempi molto spesso i padri non avevano volto, non avevano nome, e se la madre della piccola era finita a Versailles come sguattera, portandosi dietro la figlia, senz'altro la ragione era da ricercare nel fatto che un padre non c'era e non c'era nessun'altro che avrebbe potuto aiutare a crescere la mocciosa.

C'erano gli orfanotrofi certo…

L'altra, il viso ridente e buffo, tentò di mantenersi fiduciosa, colpita ed affascinata dalla bontà di colei che stava ponendo le domande ma l'ultima richiesta ebbe il potere di pungere lo sguardo e la mente.

Chissà se Victoire l'aveva mai conosciuto suo padre…

Negò dunque Victoire, la voce come impigliata nella gola, lo sguardo via via colpito dalla verità, il sorriso che si spegneva mutandosi in un commosso ricordo.

"Non c'è…" – spiegò piano.

"Non c'è…ma sai dove si trova?" – insistette Oscar, intuendo che la bambina sapeva almeno che un padre c'era stato, chissà quando.

La bambina negò di nuovo. Era piccola ma evidentemente la mancanza o l'abbandono facevano già parte delle sue fonde e tristi conoscenze.

"E' morto…" – sussurrò mentre la voce scompariva e il sorriso mutava in una struggente richiesta di aiuto, fosse stata anche solo la pietà di non porre più quelle domande.

"E' morto…" – sussultò Oscar come stranita, ch'era una verità che non si aspettava.

D'istinto e senza pietà tentò d'insistere…

"Dove…".

"E' morto…" – ripeté Victoire mentre la voce s'incrinava e gli occhi s'inumidivano declinandosi in un'espressione di tragica realtà.

Era sola…

Era una bambina sola…

"Victoire!" – la voce alle spalle giunse secca che quasi la mocciosa sarebbe caduta a terra per lo spavento se Oscar non l'avesse tenuta stretta – "Zitta!".

Fu Oscar stessa a spazientirsi intuendo che Amalie Jenevieux era entrata…

"Perdonate mademoiselle ma se strillerete ancora a questo modo la bambina ne risentirà!" – schioccò nervosa mentre la giovane afferrava la bambina togliendogliela dalle mani.

"Perdonate voi monsieur!" – chiosò Amalie sfoderando un insolito coraggio, assente nel primo incontro – "Se ho accettato la vostra offerta…a proposito…ve ne sono grata…davvero…ma non accetto che qualcuno s'intrometta nella nostra vita. Mia e di Victoire! Aver acconsentito a venire fin quassù non significa consentirvi di sapere tutto…".

"Non intendevo mancarti di rispetto…" – si alzò Oscar, facendo segno alla giovane, ch'era rimasta in piedi rigida, con la mocciosa stretta al collo, di sedersi sul letto – "Ma di certo sapere da dove venite potrebbe consentirmi di darvi un aiuto…".

"Che v'importa da dove veniamo? Ci avete già aiutato!" – ghignò Amalie spaventata.

"Se hai timore che possa esigere altro in cambio del mio aiuto puoi stare tranquilla…ma se continuerai a strillare a questo modo…prima o poi qualche domestico se ne risentirà e non tollererà più la vostra presenza!".

Il ricatto era sottile. L'altra era infuriata e forse un poco stupida…

"Allora ce ne andremo!".

"Peccato" – la chiosa sferzò – "Tu forse saresti in grado di vivere là sotto, nelle cucine…ma tua figlia…per lei sarebbe più difficile!".

Amalie Jenevieux aveva a suo modo tentato d'ingannare gli altri, forse anche la piccola, sul rapporto che le legava.

Amalie Jenevieux si sentì scoperta. Era entrata a conversazione già iniziata e Victoire aveva evidentemente appellato Amalie come madre.

Amalie Jenevieux doveva avere forse vent'anni e se Victoire era sua figlia…

Un respiro fondo…

"Per quel che mi riguarda…non occorre che tu tema il mio giudizio…" – proseguì Oscar calma – "Hai avuto coraggio a tenere con te tua figlia…mi domandavo dunque se per caso fossi giunta a Versailles nella speranza di trovare il padre…il vero padre…ma Victoire mi ha appena detto che suo padre è morto…dunque...un altro padre?! Uno...qualsiasi!?".

Le parole ciniche, quasi violente, sferzarono davvero.

Un destino terribile messo sul piatto d'una insinuazione altrettanto ignobile.

"Voi…vi ho giudicato troppo bene!" – sputò Amalie – "Siete perfida invece! Come potete insinuare…".

"Amalie Jenevieux!" – sibilò Oscar François de Jarjayes, un respiro fondo, l'inspiegabile allontanamento dell'altra attraverso il tono della voce e il più formale voi, che non c'era più tempo e le tempie battevano di nuovo alla ricerca d'un sentiero anche se un sentiero qualsiasi non sarebbe stato sufficiente – "Non vi conosco e non vi giudico. Ma se questa è vostra figlia e voi siete arrivata fino a Versailles con lei - ben sapendo che giovani come voi, con un figlio, al più possono beneficiare degli avanzi di pietanze che vengono distribuite ai mendicanti ma non certo aspirare ad un lavoro nelle cucine – non posso che dedurne che l'avete fatto per un altro scopo. Avete accettato il mio aiuto e avete dato l'impressione di conoscermi…dunque…perché tenere tutto sotto un'inutile coltre di mistero!? Ditemi la verità…forse potrò aiutarvi a trovarlo…fatelo per vostra figlia. Il padre di Victoire è davvero morto? Oppure sei venuta a cercarlo? Se sai chi è…".

L'altra aveva ascoltato. Occhi sgranati e fissi alla donna vestita in uniforme che in pochi giorni aveva elaborato poche ma corrette deduzioni.

Amalie Jenevieux s'era ritrovata ad essere una specie di libro aperto e questo l'aveva disorientata e spaventata, che lei non sapeva se poteva fidarsi e l'altra avrebbe tranquillamente potuto essere un avversario.

Sì, avrebbe potuto esserlo…

"Non lo so…" – un'esitazione, Amalie si strinse la bambina addosso, a farsi coraggio. La mocciosa affondò le mani nei capelli…

"Maman Amalie…" – ripeté quella.

"Non lo sai…" – l'incitò Oscar un poco sulle spine, il respiro sospeso, il dubbio atroce…

Quale destino scegliere…

Il padre della piccola davvero morto…

Oppure in realtà vivo, seppur naufragato nella più misera e vigliacca delle scomparse, quella che si percorre al fine di non ritrovarsi col fiato sul collo d'un figlio nato per errore!?

S'avvicinò Oscar mediando parole morbide.

Il dubbio che il padre di Victoire fosse vivo piuttosto che morto…

Il dubbio che la giovane non sapesse chi era…

E poi, l'inspiegabile ondeggiamento del cuore…

La visione di quella dannata tela stracciata e consunta a cui si sarebbe potuto mettere al più un rattoppo.

La trama irrimediabilmente compromessa al punto che il rattoppo avrebbe forse consentito di riconoscere un disegno, un ordito vago, ma non l'arazzo nella sua complessità.

"E se poi me la portano via?".

"Victoire!? Perché dovrebbero portartela via?!".

Che Amalie dovette istintivamente staccarsi dalla bambina, intollerabile avere in animo di tenerla stretta in un abbraccio, al pensiero che quella fosse stata frutto d'un errore, di lusinghe sapienti, o promesse fatte di parole e carezze, ch'erano divenute carne e sangue e s'erano fatte vive adesso, delle manine appiccicose di Victoire, del sorriso balbettante di Victoire che pareva una scimmietta allegra, senza capacità di comprendere da dove venisse e chi fosse davvero.

"Quanti anni ha Victoire?" – chiese Oscar per rimediare alla vergogna dell'altra.

"Tre…quasi...".

"Sì…e tu…".

"Io…" – un'esitazione – "Venti…".

Un respiro fondo, i calcoli erano corretti.

"Dunque è accaduto quando avevi diciassette anni…la piccola sa poche parole…pare una bambina di due…" – convenne Oscar per tentare d'estorcere altri indizi, appoggiando la conversazione sul più banale interesse per la bambina – "Come mai? Io non ne so molto sui bambini…ma…".

"E' colpa mia!" – eruppe Amalie che però stava per mettersi a piangere.

Le lacrime tenute lì, in gola, almeno per spiegare all'altra lo strazio.

"Io non so leggere, non so scrivere…sono una povera ignorante! Non lo so chi è il padre di Victoire! Non lo so perché io ero…".

Un respiro fondo, calcoli o no, Oscar iniziò a comprendere.

Senza mezze parole…

"Eri…".

Annuì Amalie: "Dite pure ch'ero una poco di buono! Non avevo di che mangiare e quello era l'unico modo per vivere!".

"Dunque è così…".

"Avevo trovato una stanza a Parigi e stavo lì…una sera ero uscita per recuperare qualche foglia d'insalata…quelle che buttano via al mercato…ma era già tutto finito. Les Halles era deserto…i poveri a Parigi…siamo tanti…avevo fame…e vagavo per le strade…avevo fame…e…e mi hanno detto che se avessi voluto…mi hanno detto che mi avrebbero dato da mangiare e un letto per dormire...mi sono fidata! E sono...".

Lo sguardo s'abbassò...

"Che vi importa? Se volete saperlo solo per giudicarmi?!".

"Io non giudico te ma chi ti ha usato...".

"Usato? Io sarei stata usata? Vi farebbe comodo pensare che sarei stata usata?! Così da lavarvi la coscienza e dire a voi stessa ch'è un bene esserci incontrate?! Così potrete essere ancor più caritatevole...".

Colpì la chiosa...

Ancora più...

Un paragone implica la presenza di due o più situazioni, due o più gesti, due o più baratri...

Oscar François de Jarjayes sarebbe stata ancora più caritatevole...

Di chi...

L'altra pareva un fiume in piena, non comprese che stava parlando troppo o troppo a sproposito.

"E se vi dicessi che io invece stavo bene?! Che mi piaceva dare ciò che altre donne non sanno offrire?" – sputò Amalie Jenevieux, come a volersi ammantare del fervido e sacro ruolo della puttana di strada.

Oscar si ritrovò colpita dalla chiosa sferzante. Si ritrovò spiazzata al pensiero d'aver già giudicato la giovane per ciò che era accaduto e di ritrovarsi lei stessa ad intercedere per l'altra e la piccola solo perché aveva il dubbio che le due avessero qualcosa a che fare con...

André...

Il nome stretto tra le labbra...

La congettura chiusa nella testa.

Sono una donna a dispetto dell'uniforme che indosso…

Siete voi?!

Che cosa vuoi dire? Mi conosci? Qualcuno ti ha parlato di me?

Il labile vincolo del balbettio d'una povera sguattera si era impadronito della coscienza. Un esile filo, che, ancora più assurdamente, la mente aveva tentato di tessere, per crearsi un appiglio...

Una tela strappata e senza colore...

Amalie Jenevieux conosceva Oscar François de Jarjayes...

Il bivio...

André...

Di nuovo il respiro mozzato...

In mancanza di quel labile vincolo, lei si sarebbe mai interessata a una giovane come Amalie Jenevieux?!

L'avrebbe mai degnata d'un pensiero che non fosse stato di disprezzo per ciò che i benpensanti s'affrettavano a decifrare come uno dei mestieri più deprecabili e al tempo stesso rincorso per i vicoli zozzi della città?

Amalie s'avvicinò, lo sguardo furioso, la voce rotta, che quasi Victoire si spaventò.

"Voi siete una donna...vi è mai accaduto d'immaginarvi a dare piacere a un uomo? A desiderarlo per puro piacere?! Senza pensare che lo amate, senza pensare che quello potrebbe amarvi...che quello un giorno vi sposerà? Solo per sentirlo dentro di voi e...".

"Smettila!" – che l'altra fu costretta a indietreggiare, confusa dalle parole, ancor più stranita per aver pensato che tra Amalie Jenevieux e André Grandier potesse essersi mai dipanato un sottile filo che li aveva fatti incontrare e conoscere e...

Era stato André a parlare ad Amalie di lei?

Le tempie battevano...

Il disprezzo e lo stupore...

"No! Non la smetto!" – continuò ad avanzare Amalie come fuori di sé dalla rabbia o forse dall'insana lucidità che conferisce la miseria, che con quella le parole o le grandi peripezie indotte dall'amore valgono poco o nulla – "Amare non serve a niente! Si soffre e basta! Io ho dato ciò che avevo e chi voleva un poco di compagnia si è preso ciò che voleva. Vi ripugna tutto ciò?"

La piccola Victoire appoggiò le manine sul viso della madre, come a contenerne la rabbia, come ad interrompere la dannata discesa verso l'Inferno, dove il sesso è nulla più che sesso, e dove nulla ha colore se non quello della volontà di fare dell'altro tutto ciò che aggrada all'intelletto, perverso o meno che sia.

"Che importanza ha...amare?!" – mormorò Amalie – "E' accaduto…dopo la prima volta…se hai fame…tutte le volte sono uguali…dunque io non lo so chi è il padre di Victoire…".

Silenzio…

Inconscio dispiegarsi di congetture e rime…

Sempre le stesse storie, sempre gli stessi ritornelli quando c'erano di mezzo il denaro e il rango e la fame.

"Ho fatto tutto da sola…nella mia stanza…".

Le domande serrarono gl'intenti…

Sarebbe stato difficile fare tutto da soli…

"Come hai fatto a sopravvivere? Possibile…".

"Ve lo ripeto! L'ho messa al mondo…l'ho nutrita…in silenzio…al buio…ecco perché Victoire sembra…più piccola. Non ha mai parlato con nessuno…non ha mai visto nessuno. Conosce solo me e facevo in modo che lei non mi disturbasse quando arrivavano quelli che stavano con me!".

"Vorrei crederti…" – Oscar sollevò lo sguardo, severo, quasi sprezzante, nemmeno lei sapeva se per via del racconto ignobile o per il fatto che in esso nulla avrebbe mai potuto riguardare la figura dell'altro e dunque lei era al punto di partenza e si malediceva perché non aveva scoperto nulla e si disprezzava ancora di più per aver immaginato di scovare altro di così terribile entro l'esistenza di André – "E' solo che…è difficile immaginare che tu sia riuscita a mettere al mondo una figlia e a sopravvivere…".

L'insinuazione punse l'orgoglio…

Amalie Jenevieux si sentì scoperta.

Secco, quasi senza respiro, quasi a voler colpire l'altra in chissà quale oscura maniera: "Qualcuno arrivava fin sulla porta e lasciava un cestino di frutta, pane, farina…qualche soldo…sono vissuta così!".

"Cosa? Chi era?".

Ondeggiò la coscienza, colpita di nuovo...

Un passo e il filo si strappava, un altro passo e la corda diventava spessa a stringere fin quasi a far mancare il respiro.

"Non lo so…".

"Come…".

"Non lo so!".

Il pianto eruppe…

"Non lo so!" – ripeté livida Amalie, che la mocciosa di nuovo s'impietrì alla vista della madre pietosamente disperata.

Il racconto aveva il sapore d'essere veritiero…

Quelle erano madre e figlia e non semplicemente sorelle.

La prova stava lì, in quella sorta d'invisibile legame che lega le madri ai figli, che in qualche caso esso può essere reciso, persino dalla madre stessa, che se del figlio non ne vuole più sapere o lo abbandona o, peggio ancora, lo affoga nella Senna.

Oppure il legame diviene assoluto, così che se la madre piange lo fa anche la figlia e se la madre ride…

Quel legame dunque era sopravvissuto grazie ad un benefattore...

"No…piccola…non è colpa tua!" – Amalie tentò d'ammansire la bambina regalandole un sorriso abbozzato.

"Conoscerai almeno il volto di questa persona…" – Oscar François de Jarjayes tentò di mantenere l'altra ancorata alla realtà.

Forse colui ch'era stato spinto dall'inspiegabile moto di generosità era proprio il padre della piccola.

Amalie tirò su col naso, negò…

"Non lo so che faccia avesse…".

"Cosa? Ma se…".

"Vi prego…basta…è accaduto…".

"Hai detto che qualcuno veniva a portarti denaro e pane…".

Tutto assurdo, le domande rotolavano giù come pietre sull'esile fusto della giovane vita…

Un racconto senza senso…

"Poteva essere chiunque…qualcuno ch'era stato con me…oppure qualcuno che ha avuto pietà di me! E poi…".

"Amalie…chi era questa persona?".

"Non ho mai aperto la porta…per timore poi di tradirmi. Se non so niente, non posso dire niente a nessuno. Nessuno potrà mai temere nulla da me!"

"Tradirti? Amalie, che significa?".

Che così l'altra si stava tradendo davvero…

"Dove sei vissuta a Parigi?".

La testa di Amalie era sprofondata nel petto. Il luogo faceva parte del passato reietto.

"Dunque è stato un caso se sei giunta fino a Versailles?".

Silenzio…

Forse non era stato solo un caso…

"Perché allora sei venuta alla reggia? Perché sei venuta proprio qui? Se stai cercando quella persona…potrebbe essere ovunque…e se non sai nemmeno che faccia ha e neppure come si chiama…".

Contestazioni ovvie…

Parole come pietre…

"Nelle cucine...ho compreso che mi conoscevi...".

Sono Oscar François de Jarjayes…puoi fare il mio nome…e se qualcuno avrà qualcosa da obiettare digli pure di venire a conferire con me!

Voi…siete…voi…

Che cosa sai di me?

Nulla…

Chi ti ha parlato di me? Conoscevi già il mio nome!?

Monsieur…tutti…tutti sanno chi siete!

Amalie Jenevieux si sentì scoperta.

Si strinse la mocciosa addosso: "Ho sbagliato lo so! Ma ho pensato che se questa persona non voleva far sapere nulla di sé…ho pensato che fosse una persona importante…e se aveva avuto pietà di me…".

"Potrebbe essere che sia qui, alla reggia? Potrebbe essere un nobile!?".

La congettura creò la frattura insperata.

Annuì Amalie, un poco esausta.

Era una persona semplice, il ragionamento era ampio e bislacco, le conclusioni infernali ma non così inverosimili.

Il vicolo cieco in cui la giovane s'era messa spontaneamente aveva eroso la coscienza e forse minato per sempre l'intelletto.

Da qui la deduzione lieve e ovvia.

Forse la corte attraeva spontaneamente, senza un nesso fondato, o forse chiunque avrebbe pensato di finire lì, perché lì c'era più possibilità di sopravvivere e da lì era giunta la silenziosa generosità che le aveva consentito di sopravvivere.

"Sei sicura di non rammentare nulla?" – l'ultima obiezione – "Tu sai chi sono...chi te lo ha detto?".

Oscar si ritrovò al punto di partenza.

Aiutare una giovane in difficoltà senza mostrarsi in volto, senza dichiararlo apertamente…

Chiunque fosse, forse abitava alla reggia dunque…

Forse era proprio il padre della mocciosa.

Oppure era soltanto qualcuno che aveva voluto lavarsi la coscienza, emendare con un tozzo di pane e una moneta allo scempio di una vita sfruttata e poi gettata via come non valesse nulla.

"Era gentile…" – sussurrò Amalie senza rispondere in maniera diretta alla domanda ma di fatto, a modo suo, rispondendo ad essa.

"Cosa?" – stupore, la chiosa sferzò dirompente ricomponendo l'iniziale congettura – "Nonostante quello che ti ha fatto?".

Oscar si ritrovò innervosita e spazientita.

La nausea chiuse lo stomaco...

Afferrò l'altra per le braccia. La tenne stretta e la bambina in mezzo un poco stranita.

"Ma come fai a dire che era gentile se non rammenti neppure la sua faccia? Come avrebbe fatto…".

Si divincolò Amalie Jenevieux che evidentemente la chiosa feroce era incisa in profondità.

"Come faccio…come faccio?!" – tremò la voce, lo sguardo semplice trafisse l'altra - "Non lo so!".

"Ti ha preso con la forza?!" - arrancarono le congetture – "E tu dici ch'era gentile?".

Serrato interrogatorio…

"No! Non volete capire! Me ne vado!" – gridò Amalie – "Non accetterò un solo granello di sale da voi!".

Afferrò la figlia, Amalie Jenevieux, cominciò a slacciare la vestina, strappando quasi i legacci, per spogliarla…

"Vi piacerebbe se ammettessi d'esser stata presa con la forza! Così davvero...pensereste a me come una poverina che non ha avuto scampo e invece...".

Victoire si spaventò, il mento prese a tremare, le labbra inarcate emisero un gemito di terrore...

Amalie Jenevieux pareva invasata...

"E se invece vi dicessi d'aver provato piacere, che l'ho scelto io...".

"Aspetta!".

Oscar tentò di fermarla, sorpresa dalla rabbia dell'altra.

Dunque quale sarebbe stato il peggior giudizio morale...

Quello d'essere stati artefici del proprio destino e aver scelto di accogliere tra le braccia e nel ventre chiunque fosse stato piacevole accogliere...

Oppure d'averlo fatto per sopravvivere e mangiare, finanche di non aver avuto sufficiente forza d'opporsi a una violenza, così che quel difetto di coraggio sarebbe ugualmente equivalso a una colpa?

In tutti i casi, qualcuno che Amalie Jenevieux aveva dipinto come di buon cuore e gentile, si era premurato di aiutare la giovane ma lo aveva fatto in silenzio, senza mostrarsi in volto, senza appropriarsi della bontà del gesto, vai a sapere se per opportunismo e mancanza di coraggio oppure perché nulla trapelasse della sua autentica generosità e della sua origine?!

La coscienza ingenua della madre era stata alla fine forgiata dall'anonima generosità dello sconosciuto benefattore, che doveva aver fatto presa sulla giovane, affinché quella, in un misto di vergogna, risentimento o pietosa gratitudine, avesse accettato di tacere sul volto e sul nome.

Nessuno spiraglio dunque…

"No!" – fu Oscar a gridare – "Perdonami! Non andartene!".

Comprese che a forzare la situazione l'altra sarebbe scomparsa e la ricerca e i dubbi e quel cuore sospeso sarebbero rimasti lì, a battere senza sosta sino allo sfinimento.

Tentò di richiudere la veste alla bambina, afferrando le mani della giovane, stringendogliele per evitare che l'altra continuasse nella furiosa svestizione.

"Non ti chiederò altro…resta…almeno qui sarai al sicuro…e poi…io andrò via per qualche giorno…dunque non ti disturberò…".

Amalie rallentò i movimenti, il capo abbassato, i capelli un poco arruffati per via della sgraziata reazione s'afflosciarono ricadendo sulla fronte.

Il profilo ridivenuto statico…

"Andate via?" – chiese un poco laconica, quasi spaventata.

"Non preoccuparti…potrai restare…qui…non ti farò altre domande...lo prometto...".

Amalie Jenevieux sollevò gli occhi.

Il viso dell'ospite era severo, un poco freddo, come sull'orlo di un precipizio in cui si è finiti per sbaglio ma indietro non si può più tornare.

La giovane ammise che anche solo un'altra parola e il baratro si sarebbe spalancato di fronte all'altra.

"Grazie…" – un sorriso mesto, la destra a risistemare i capelli – "Non chiedetemi nulla!".

Annuì l'altra...

Una battaglia assurda...

Amalie si sedette un istante, le mani strette in grembo.

Poi la destra andò a sistemare un ricciolo sulla fronte della bambina.

"Ora torniamo giù, altrimenti ci sgrideranno…a Victoire farò sgusciare i piselli…sta diventando brava…".

La porta si chiuse…

Implosero i sensi travolti dallo scenario.

Una storia come tante oppure…

139