I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!
E' la loro certezza di essere diversi a renderli uguali
David Foster Wallace
Brise
André…
Il nome…
Il viso paffuto dell'altro, sbucato giù, sul fondo della scalinata.
L'espressione atterrita dall'architettura imponente e massiccia della casa dov'era giunto.
Gli occhi sgranati a lei che invece stava su, in cima alla scala e scendeva, occhi scuri e freddi a scrutare il nuovo arrivato.
Lei, mocciosa figlia del Generale Jarjayes, allevata con le sorelle finché era stato possibile e poi separata e isolata e quelle spedite, una dalla zia, un'altra dalla cugina, e un'altra ancora maritata appena era giunto il tempo, così da evitare che anche solo per sbaglio gli occhi dell'ultima figlia, la più piccola, si fossero per disgrazia posati su di un pizzo, s'un ricamo un poco fiabesco, su di un fiocco più istoriato di un altro, così da rischiare d'ammorbare la gemma pura dell'animo, tagliata con precisione, incisa di fiera solitudine e caparbia durezza d'intenti.
Ogni faccia perfettamente levigata, ogni riflesso perfettamente uguale.
Pura…
La solitudine esiste?
E' altro da sé oppure essa esiste solo quando la si percepisce cucita addosso, ingoiata come mistura velenosa che imputridisce l'animo oppure udita come melodia soave che alleggerisce la pazzia!?
Cinque anni, trascorsi da sola, nella grande casa, le ore impegnate a star ritta a cavallo o a imparare a maneggiare lo spadino.
Pura…
Sola…
Dunque, la solitudine era stata compagna silenziosa e solidale dell'animo, tanto che essa era divenuta parte di sé, materia fatta di sangue e carne, sbadigli e risate solitarie, pensieri prima d'addormentarsi e sogni liquidi al mattino, inseguiti come pesci nello stagno da catturare prima di vederli guizzare via.
La solitudine d'ogni cosa riempita di sé, del suono della propria voce, della eco dei propri passi, della pelle d'una mano, osservata, in giardino, tesa e morbida, contro un raggio di sole che ne cangiava la linea, oppure sghemba, immersa nell'acqua della fontana.
La solitudine estrema, feroce, con le sorelle a rincorrersi nel prato, le gonne sontuose incapricciate di fiocchi e perle, ondeggianti e tonde, e bambolette di pezza strette nelle mani e sorrisi un poco sciocchi e lei lassù, nella grande stanza da studio, le gambe a penzoloni sulla sedia, rannicchiata nell'animo, come un ranocchio dietro una pietra, in attesa di scampare un pericolo oppure tendere un agguato.
Fino a quel giorno…
L'esistenza s'era spezzata.
Prima e dopo…
Senza e con…
Ombra e luce…
Lei era stata ombra, fino ad allora, anche se non lo sapeva.
Lui era divenuto luce, da quel momento, anche se non lo sapeva.
Che poi i ruoli s'erano rovesciati.
Lei, era divenuta donna luminosa e severa, scura d'espressione e limpida di sentimenti. D'arrogante ingenuità, fervida bellezza, sinuosa capacità di vivere sottraendosi agli sguardi, alla fama, all'attenzione degli occhi…
Livida figura che incedeva fredda.
Lui, s'era plasmato uomo oscuro, caparbio, d'arrogante saldezza, invisibile severità e sottile capacità di vivere imponendo gesti e possenti armonie.
Le vite s'erano colmate, la solitudine era stata scacciata, le ore riempite, quelle a venire e persino quelle ch'erano trascorse, quando ancora non si conoscevano.
Oscar si sforzò di ricordare.
Forse era troppo piccola…
Non c'era coerenza nei ricordi. Ogni immagine, direttamente o di sbieco, riportava un gesto, un'occhiata, un moto, un sorriso…
Tutto di André…
Giunse alla conclusione di non avere più ricordi di quand'era stata sola.
Giunse ad ammettere che ogni ricordo era di sé e di lui, dunque la sua vita s'era divisa tra se stessa sola e se stessa assieme all'altro ed ora che l'altro non c'era più…
Quando era accaduto dunque che il sentiero unico si fosse diviso nuovamente?
Dove s'era manifestato quel dannato bivio che aveva condotto i passi entro strade differenti?
Che tu sia dannato!
Eruppe la chiosa, mentre lo sguardo si sollevava al paesaggio trionfante e lieto, libero da ingombri che non fossero sparuti grappoli di case, ammassi di catapecchie, stalle scalcinate, luoghi di chiesa o perdizione.
Da poco aveva lasciato Guyencourt, diretta a sud ovest.
La stagione estiva brillava, regalando aliti di calore asciutto e profumato d'erba appena tagliata o sterpaglie bruciate per liberare i campi coltivati dalla soffocante coltre dei rovi parassiti.
Raggi lavati scioglievano la vista al sentiero rotto da pietre miliari, rovi di more ancora acerbe, drappelli di fiordalisi e margherite e papaveri, screziati e lucenti.
Gli occhi seguivano i campanili scuri, sentinelle silenziose che s'animavano però allo scoccare delle ore, indicando la strada e scandendo il tempo interiore.
La coscienza divisa…
Le tappe del viaggio parimenti scandite da un percorso secco.
Cercare il padre, farsi indicare i reggimenti da cui attingere reclute, possibilmente francesi.
Guardie e soldati mercenari potevano andar bene per difendere presìdi e confini.
La famiglia reale aveva diritto a beneficiare di gente fidata...
Che idiozia! - se lo ripeté Oscar – Se dovevi trovare una ragione per sapere che fine ha fatto André avresti potuto attendere il ritorno di tuo padre, invece…
Te lo dirà dove si trova e che sta facendo…
Ennesimo tentativo di restare aggrappata alla realtà…
Andare fino a Brest…
Lo rivedrai…
Fersen…
Lo sguardo s'abbassò contro la lama di luce radente che a poco a poco scompariva dietro le colline.
Il silenzioso accompagnatore aveva tenuto fede alla promessa, che poi era stata strappata come condizione perché quello potesse seguirla, che lei l'aveva quasi trafitto, sguardo truce, quando aveva appreso che lui, il Tenente Victor Girodel, non aveva accettato l'incarico di sostituire il Colonnello Oscar François de Jarjayes, ossia lei, ma, al contrario, aveva spiegato che sarebbe stato proprio lui ad accompagnarla in quel viaggio.
La stima verso Victor era ondeggiata paurosamente.
L'altro non demordeva…
Il Tenente Victor Girodel aveva però iniziato a comprendere.
Che l'altra era di poche parole e chi avesse accettato d'arrendersi a tale inclinazione non avrebbe subito strali di disprezzo. Tutt'altro…
Avrebbe iniziato a far breccia nella scorza dell'altra, l'avrebbe messa con le spalle al muro, che prima o poi sarebbe stata l'altra a ritrovarsi costretta ad aprir bocca.
"Siamo a buon punto…di questo passo potremmo essere a Chartres questa notte…" – eruppe la voce bassa.
Azzardare la possibilità di coprire in così breve tempo un così ampio tratto di strada sarebbe stata un'ingenuità indegna d'un personaggio così previdente come il Colonnello Oscar François de Jarjayes, che dunque non disdegnava di saggiare il terreno attraverso una provocazione quasi ridicola.
Victor Girodel dovette sforzarsi di star zitto.
S'immaginò che ci sarebbe voluto un istante, se fosse stato Victor Girodel, quello consueto, a saltar su ammettendo che sarebbe stata una pazzia viaggiare di notte.
E nell'istante successivo sarebbe stato trafitto dall'altra, per di più attraverso una mera posa cinica e indolente, tanto per rimarcare la sua ridicolaggine.
Dunque Victor Girodel prese ad immaginare.
S'immaginò davvero che il compagno d'armi dell'altra dovesse essere abituato a tali chiose, l'animo forgiato da ore, giorni, anni trascorsi in solitudine.
Solitudine assieme all'altra.
Erano così diversi Oscar François de Jarjayes e André Grandier…
Sarebbe stato possibile parlare di solitudine tra due persone!? Tra di loro?!
Così diversi, d'apparire pressoché avulsi dall'intero contesto che li circondava!?
Così diversi d'apparire pressoché uguali?
Disturbava quest'evidenza, che Victor Girodel non ci teneva ad apparire come l'altro ma nemmeno ridicolo al punto da non obiettare nulla – dando l'impressione d'essere insensato pure lui – alla supponente chiosa del suo superiore.
Un respiro fondo…
"Se lo ritieni necessario…" – ammise con una punta di rammarico. Non era certo quella la risposta che avrebbe voluto dare ma la sfida era lungi dall'essere vinta.
Non aveva ancora abbastanza coscienza dell'altra per poterla sfidare e vincere sullo stesso piano.
Che però il tono della voce, quello non mentiva, impossibile addomesticarlo alla resa.
Che dunque dal tono si comprendeva benissimo che la concessione alla visione d'uno sforzo così estremo – Chartres era ancora lontana – era pressappoco ridicola, dunque buttata là tanto per non contraddire il superiore.
Che però così l'effetto ne era uscito esattamente a rovescio!
"Ossia preferiresti concludere la tappa di oggi e trovare un luogo sicuro ove desinare e riposare!?" – obiettò Oscar, adagiandosi sulla chiosa dell'altro, pungendo l'intento ironico ma al tempo stesso dandogli credito.
"Se ritieni necessario anche questo!" – ribatté Victor, che però aveva già sentore d'esser lì per spazientirsi.
Pareva d'essere nel mezzo d'una partita a scacchi…
Ogni mossa era al tempo stesso difesa del proprio ruolo e attacco all'agire dell'altro.
Una strana sfida…
Che di solito con le altre dame Victor Girodel si limitava a disquisire di etichetta, favole, caffè, biscotti, cerimonie, completi da cavallo, stagioni di pioggia o sole, taglio dell'erba e delle siepi - s'esso era stato troppo drastico o al contrario poco incisivo - vendemmia notevole od asciutta, petto d'oca, nuovi giochi con le carte…
Il dio della guerra in mezzo agli animali d'una fattoria…
Oche, per l'esattezza!
Chiose e commenti come mangime da gettare alla rinfusa, buoni per l'intelletto della maggior parte delle damigelle che frequentavano i salotti di Versailles, pronte a ridacchiare dietro il sapiente sventolio del ventaglio ma anche a metter su il muso qualora fosse parso loro d'essere state attaccate su un argomento di cui si reputavano esperte o peggio ancora quando si ritrovavano messe da parte, lasciate a sobbollire come patate ormai troppo cotte e disfatte dall'invidia.
Si disquisiva anche d'amore…
Quello dei grandi poeti e dei cantori greci.
Il tutto al solo scopo di colmare le ore della mattinata al fine d'accedere alla colazione del mezzogiorno e poi…
Ingannare le ore del pomeriggio al fine d'arrivare pronti per il ricevimento della sera, la cena, il ballo…
Un'esistenza davvero degna del dio della guerra.
Ora no…
Victor Girodel ammise d'averci preso gusto a stuzzicare l'altra.
Accondiscendere all'ironia, accompagnare le strampalate provocazioni…
Insinuarsi dunque, diversamente dall'altro, che non voleva essere come l'altro…
Strappare un sorriso, dimostrare all'altra che a esser così rigidi, prima o poi, si sarebbe finiti con lo spezzarsi.
Disarcionati da cavallo insomma!
O ancora finire con l'essere spezzati!
L'accompagnatore rimetteva dunque la decisione al superiore. Entrambi erano abbigliati da comuni viaggiatori, dunque, se si escludeva una pistola ciascuno e polvere da sparo e una spada al fianco, non vi sarebbe stato modo d'affrontare un qualsiasi imprevisto all'aperto.
La sfida era rimandata…
Oscar François de Jarjayes si sentiva inspiegabilmente stanca.
Non per il viaggio, non per la compagnia dell'insolito accompagnatore…
Si ritrovava senza respiro, senza coscienza, senza appigli…
Tutto era nuovo, diverso, strano.
Tutto gridava l'incoerenza di ciò ch'era lei…
Gli spazi attorno…
Le pareva d'aver a disposizione molto più spazio sì, e questo per assurdo generava una sorta di caduta plumbea in un antro vuoto e libero.
Le pareva d'aver a disposizione molto più tempo, come se la vita vissuta sino ad allora fosse stata scandita da rincorse, pause, intervalli, dettati da altri e solo in parte da lei.
Tutto il resto…
Il paesaggio, le persone, i suoni, i silenzi…
Oscar François de Jarjayes accusava il progressivo disgregarsi della coscienza…
Inspiegabile e dannatamente fastidioso.
Uno sguardo all'alberghetto…
I cavalli affidati allo stalliere, le poche borse issate a tracolla.
Girodel ammise che Oscar François de Jarjayes era pur sempre una donna e per fortuna pareva essere consapevole di dover gestire il viaggio allo stesso modo in cui l'avrebbe gestito una donna. Vestiario sufficiente a svariati cambi, compresi eventuali acquazzoni che li avessero sorpresi per strada, una giacca pesante per affrontare le serate umide e fredde vicino alla costa, camicie leggere per affrontare i sentieri più impervi addentro ai grovigli di foreste che costellavano i dintorni delle città.
La saletta poco oltre l'ingresso era affollata.
Le ore della sera, seppure la stagione calda avanzava, imponevano una sorta di rito collettivo da sbrigare sempre al chiuso, lì sotto, specie di covo di pirati intenti a stabilire nuove rotte da battere e nuove navi d'assaltare.
Dialetti un poco estranei…
Forse tutto era estraneo…
"Cena pure senza di me…" – la chiosa stanca tagliò i buoni intendimenti.
"Non sia mai…al più vedrò di farti portare una bottiglia di buon vino…e altro che dovessi trovare…".
"Non devi disturbarti…non è tuo compito…".
"Nulla di tutto ciò che faccio rientra nei miei compiti…se lo faccio è perché intendo farlo! A meno che non ti sia di disturbo…" – reagì severo Girodel.
"No…certo che no! Intendevo se non fosse inopportuno prodigarti a recuperare vino o altro…".
"Inopportuno…hai uno strano concetto di ciò che può essere opportuno o no! Certo sei attenta conoscitrice delle regole dell'etichetta…ma siamo arrivati a un punto in cui dell'etichetta possiamo fare volentieri a meno…".
"Siete un conte…Tenente Victor Girodel…lo riterresti tanto sbagliato da parte mia evitarti d'appesantire il tuo ruolo…".
"Me l'appunterò al petto come una medaglia, il mio ruolo!" – esclamò ridendo Girodel – "Che ne sai se non faccio tutto questo per apparire migliore agli occhi del Generale Jarjayes?".
La chiosa ironica gelò un poco gl'intenti bellicosi…
Oscar si ritirò nella sua stanza. Non si cambiò se non rinfrescandosi il viso e riponendo i guanti in una borsa. Non li aveva usati, non era stato necessario.
Il pollice scavò un poco nel palmo della mano, liscio e affatto arrossato.
Il pellame morbido dei finimenti era stato trattato adeguatamente e lei non ne aveva risentito.
"Dannazione!" – un'altra imprecazione…
Ogni cosa la riportava a lui…
§§§
"Domani dovremmo oltrepassare Chartres e giungere fino ad Alençon…".
"Intendi attraversare la foresta!?" – la domanda eruppe spontanea, Victor Girodel s'accorse d'esser caduto di nuovo nel tranello. Da Chartres ad Alençon, per via diretta, si sarebbe dovuta attraversare la foresta per forza di cose, che ad aggirarla ci si sarebbe impiegato almeno un giorno in più – "Sono…".
"Parecchie miglia è vero! Credo un centinaio…temi forse qualche strana diceria sul passaggio all'interno delle foreste!?".
Cantori girovaghi avevano spesso decantato gli abissi e le strane visioni che visitavano le coscienze dei viaggiatori che s'addentravano nelle oscure foreste che procedevano entro una precisa direzione.
Paris…
Chartres…
Alençon…
Mont Saint Michel…
Si narrava di fiumi sotterranei che scorrevano a disegnare una sorta di rete invisibile capace di attrarre le menti, indurre a perdere lucidità…
Ch'erano tutte stupidaggini, infine.
Victor si arrese.
Era evidente l'interesse dell'altra a forzare le tappe del viaggio. Impossibile comprendere perché.
Oscar François de Jarjayes non aveva accennato ad altre ragioni del viaggio se non raggiungere il padre che, avevano saputo, era a Saint Malò, a coordinare altri drappelli che si sarebbero avvicendati nell'imbarco da Brest diretti in America.
Avrebbe voluto chiedere il motivo della fretta…
"Pensi di non riuscire a raggiungere il generale?" – azzardò per aggirare l'ostacolo d'una domanda diretta.
"Lui non sa che gli sto andando incontro. E' possibile che abbia in animo di spostarsi ulteriormente. Dunque non potrei mettermi a star dietro a mio padre per tutta la Francia…".
"Mi pare ovvio…forse potremmo inviare un messo…per raggiungerlo ed annunciargli il nostro arrivo…".
Così, come un fulmine cade all'improvviso, seppur lontano, annunciando l'arrivo della tempesta…
Così Oscar François de Jarjayes trattenne il cavallo, arrestando la marcia…
"Buona idea!" – sentenziò sarcastica – "Però purtroppo conosco mio padre e so che quando è in missione non ama essere disturbato. Se gli annunciassi il mio arrivo sono sicura che rimanderebbe indietro il nostro messo a calci nel sedere con il perentorio contrordine a noi di girare i tacchi e tornarcene a Parigi. Non ho intenzione di fare un solo miglio a vuoto".
"Devo dedurne che la questione è davvero importante se stai prendendo tutte queste precauzioni per non incorrere nelle ire di tuo padre. L'intento è lodevole eppure comprendo che avresti benissimo potuto attenderlo a casa…".
"Già, ma non ho inteso farlo. Hai forse cambiato idea e preferisci tornare? S'è così non me ne avrò a male…anzi…".
La chiosa ironica…
Stavolta il Tenente Victor Girodel si ritrovò ad aver esaurito la pazienza.
"Non sia mai!" – sibilò stizzito – "Vedrò di starti dietro...".
"Se ci riesci?!" – eruppe la provocazione…
Un colpo alle reni del cavallo, stavolta il guizzo colse di sorpresa il tenente che vide l'altra attendere solo pochi istanti per accertarsi che il cavallo avesse sufficiente forza per intraprendere la cavalcata.
Un'occhiata veloce…
Una sorta di scherno o sfida…
"Aspetta!" – le gridò dietro che l'altra già schizzata via.
Minacciava pioggia…
Che davvero arrivarono stremati alla locanda successiva, fradici e senza respiro…
"Tu sei davvero pazza!" – fu la conclusione neppure troppo trattenuta, sputata addosso da Victor, inebriato dalla corsa, a pezzi per aver dovuto continuamente variare il percorso, a tratti su strada battuta, a tratti su erba un poco alta.
"Hai davvero un notevole senso dell'orientamento!" – che Victor Girodel s'avvide che la strada era stabilita, netta, sicura.
"Ho semplicemente studiato le carte…mio padre ne ha di molto recenti nello studio e le altre…ho pregato Sua Maestà di lasciarmele consultare. La sua collezione non ha eguali. Possiede le ultime cartografie di Cassini e devo dire che le strade sono riportare con un'esattezza quasi perfetta!".
"Le Cassini? Non ci avevo pensato!".
Un sorrisetto…
"Ma tu che diavolo fai tutto il giorno? Parlotti e bisbigli con dame e ministri?! Immagino la noia…".
Dunque era questo che Mademoiselle Oscar François de Jarjayes pensava esattamente di Monsieur Victor Clement de Girodel…
Il vino versato con parsimonia…
La locanda di Alençon offriva agli ospiti salette meno affollate e più riservate.
"Davvero pensi che la mia vita sia noiosa?" – affondò Girodel…
Lo sguardo si sollevò all'altra che dopo la cena aveva preferito restare accanto al camino della saletta, i vestiti ancora un poco umidi, i capelli arruffati, una specie di Erinni sbucata da chissà dove.
I pensieri adagiati a chissà quasi arzigogolati dubbi…
Oscar non rispose.
Che fu l'altro a proseguire…
Ammise Victor Girodel che il silenzio dell'altra alle volte pareva davvero inutile, una sorta di forzatura a sfidare un ipotetico avversario e la consueta necessità d'intrattenersi reciprocamente durante un momento di noia, un viaggio…
"Devo dedurre che disprezzi l'arte del pettegolezzo?!" – rimarcò Victor per dare un senso alle parole dell'altra.
"Definire arte tale attività?!" – sputo gelida – "Dovrei disprezzare te solo per aver messo assieme, in un unico concetto, tali gesti! Arte e pettegolezzo! Pensavo apprezzassi l'arte…quella vera intendo!".
La risposta piccata eruppe…
L'umido della stanza improvvisamente prese a muoversi più intensamente, similmente a quegli strani esperimenti sui moti celesti – per lo più su buffi modellini - che spesso Sua Maestà Luigi XVI si divertiva ad inscenare nei propri studioli.
"E invece ti sbagli!" – replicò suadente Victor, il vino mandato giù in fretta, così d'aver minor tempo per lasciarsi confondere le idee dall'abbraccio silenzioso dell'alcol e rispondere a tono, tagliente insomma, che la lama ormai era già affilata da un pezzo.
Le ore trascorse in silenzio avevano regalato al tenente tempo per pensare e comprendere. Spesso dai silenzi si traggono maggiori deduzioni che da infiniti panegirici di vuote facezie.
"E' necessario acquisire una discreta capacità per discernere il pettegolezzo falso da quello che merita d'esser tenuto per vero! Ed anche quando s'apprendesse che una diceria è palesemente falsa, varrebbe senz'altro la pena accertare quale dose di verità reca con sé la falsità ossia la motivazione che può aver indotto a spenderla ed al contempo quale dose di falsità è insita nella verità che si cela dietro alla prima! Vedi, basta un piccolo particolare, una nota stonata, una parola che scivola s'un vocabolo errato…una chiosa troppo aspra o troppo melensa per avere un quadro veritiero d'una qualsiasi faccenda che sollazzi la corte…".
"Hai detto bene! Dunque tu saresti genere di persona che trascorre il tempo con i sollazzi di corte?! Rammenta…sei un soldato…".
"Anche un soldato deve avere buone orecchie per ascoltare le pallottole che gli fischiano contro! Non sempre una pistola viene puntata direttamente in faccia!" – spiegò Girodel.
"Molto più spesso alle spalle!" – convenne l'altra con un mezzo sorriso.
"Vedo che sei perspicace…non è necessario possedere ampie conoscenze militari per sapere che i peggiori nemici spesso amano nascondersi proprio dietro le spalle…".
Lo sguardo si mantenne al fuoco...
"Oppure col viso rivolto a noi!" – sibilò Oscar – "Ebbene preferisco non immischiarmi!".
"Oh…lo so…te l'ho sentito dire spesso…ma questo non significa che tu non possa essere oggetto di pettegolezzi! Anche tu!".
"Io?".
"Certo! In molti si sono chiesti a corte che fine ha fatto il tuo attendente!?".
Il nome messo lì, Oscar mandò giù, l'aspra considerazione ghermì i sensi.
"E se per caso non sia stata tu a mandarlo via…".
Un respiro fondo, Oscar ammise che a quel punto avrebbe voluto sapere ma l'azzardo avrebbe anche potuto costarle caro. Non aveva ancora saputo che fine avesse fatto André.
Victor Girodel si ritrovò inaspettatamente in vantaggio.
Si sorprese ma poi non troppo. Era evidente che il suo superiore aveva un certo affiatamento con il suo attendente d'un tempo, se non altro perché quello aveva trascorso con lei praticamente quasi tutta la vita.
Un respiro fondo…
Oscar si zittì. Inspiegabilmente il nome di André apriva uno scenario dolente.
"Qualcuno l'avrebbe affermato…" – affondò Girodel.
"E' falso!" – sputato là, occhi bassi, non si capiva s'era perché la famiglia Jarjayes non avrebbe tollerato simili dicerie, neppure s'un proprio servo, oppure perché davvero la questione inquietava.
Victor proseguì, intuendo la breccia, ammettendo che le parole schiette e severe, di contro all'atteggiamento ritroso del corpo, quasi affossato nella poltroncina, recavano con sé una stonatura evidente. Dunque l'accenno al destino dell'attendente recava con sé insospettabile ansia.
"Certo!".
Che però di certo non c'era poi un granché.
Però almeno adesso di certo c'era che André Grandier non era stato cacciato via dalla casa dei Jarjayes.
"Questo è ciò che ho sentito in giro!" – affondò Victor Girodel – "Si dice sia stato cacciato via…o comunque che se ne sia andato a causa d'una imprecisata relazione…".
La freccia parve centrare il bersaglio.
La freccia silenziosa penetrò nell'intreccio di rami, infliggendo uno schiocco d'inusitato sprezzo.
Oscar sollevò gli occhi stavolta…
"Una relazione…dunque…" – balbettato, che adesso nemmeno lei sapeva più quale fosse la falsità nella verità o quale fosse la verità nella falsità.
Victor s'avvicinò un poco: "Non avrei voluto parlartene fin quando non avessi scoperto di più ma poi siamo partiti. Al mio rientro…".
"Che cosa sai di preciso?".
"Poco, te l'ho detto! E non so nemmeno quanto di ciò che ho appreso sia la verità oppure sia una notizia falsa…che però c'è da chiedersi perché allora sarebbe stata messa in giro!".
L'altra avrebbe voluto chiedere e poi no…
Se avesse chiesto si sarebbe scoperta…
Se avesse chiesto avrebbe dovuto rendere conto all'altro e soprattutto a se stessa.
Di certo aveva aggiunto un altro spunto. Vai a capire poi se esso era distinto dagli altri oppure aveva la stessa origine degli altri e dunque faceva il paio con le analoghe congetture in cui lei stessa s'era avventurata.
Suo padre doveva saperlo che diavolo era accaduto.
Forse davvero suo padre aveva mentito: aveva cacciato via André, mascherando il gesto con un fantomatico incarico. Per proteggere la famiglia dallo scandalo, per proteggere nanny…
Il Generale Jarjayes s'era sempre dimostrato accorto nei confronti della vecchia governante.
Un altro filo…
Un altro ancora, nella visione che avrebbe dovuto rappresentargli l'altra.
Procedeva per tentativi.
Trama per conoscere l'altra e ordito perché l'altra lo conoscesse.
L'aveva immaginato che l'altra avesse un'opinione singolare di lui, sicuramente di efficiente ufficiale ma quanto al resto…
Ed effettivamente, Victor Girodel si era sempre prodigato a gestire con amabile distacco l'ondivaga corte di Versailles, con i suoi pettegolezzi e le sue luminose cadute di stile.
Un gioco sottile, difficile a volte ma l'obiettivo era sempre stato uno soltanto.
Apparire integerrimo e avere a disposizione il maggior credito possibile.
"Ti lascio…io almeno sono stanco…" – si alzò Girodel – "Immagino che domani potremmo persino riuscire ad arrivare a Saint Malò!".
La chiosa pareva azzardata e quindi assolutamente ironica.
Silenzio…
Un inchino…
Fuori aveva preso a piovere forte, la pioggia inondava la campagna, infiltrandosi cadenzata e compatta nelle gronde dell'edificio come nei pertugi dell'anima.
Un'occhiata di sbieco…
Oscar François de Jarjayes annuì, come perduta nell'ascolto del concerto crescente, che forse anche nella piega lontana di roboanti schianti di nuvole s'annidavano immagini capaci di suscitare ricordi sbiaditi ma veri.
"Se dovesse continuare a piovere così intensamente…" – sibilò Girodel…
Che l'altra non lo fece neppure concludere.
"Sia chiaro! Non ti ho chiesto io di venire…se non sei d'accordo puoi…".
"No…hai frainteso…se dovesse piovere…mi troverai pronto domattina…presto! Ho inteso che hai necessità di raggiungere al più presto tuo padre. Non ho inteso il perché ma di certo avrai le tue ragioni…".
Lavava la pioggia adesso…
Vetri, mattoni, coppi, camini, fronde, foglie giovani, erba nuova.
Pieno e ondeggiante s'imponeva nella mente il crescendo dell'acqua che stizziva gl'intenti, venendo ad interrompere il flusso delle azioni, come una mannaia che mozza la testa d'un povero agnello, come un'ascia intenta a scardinare il fusto d'una robusta quercia.
Gli schianti delle saette illuminavano pensieri sbiaditi e stanchi…
A forza di pensar sempre alle stesse stupidaggini, prima o poi, la coscienza viene ad annoiarsi.
Poi, fu la volta dell'odore d'erba bagnata che prese a pungere i sensi, impresso negli antri più scuri e violacei della ragione, quella ancora acerba che si era formata, giorno dopo giorno, attraverso le pieghe del tempo, i discorsi annoiati alla finestra, i dubbi sulle immagini raffigurate nei libri della biblioteca, tutte e due rannicchiati davanti al camino.
Tutti e due…
Era già dopo dunque.
I ricordi erano ammantati della presenza dell'altro, dunque dovevano essersi impressi nella coscienza, dopo che lei aveva incontrato André.
Fili, ancora fili…
Infiniti come le gocce di pioggia, invisibili come stille di luce…
Eppure capaci di lavare, ammansire, scuotere la coscienza.
Il banale temporale la tenne sveglia.
Di nuovo sentì freddo, nonostante si fosse cacciata sotto la coperta, la testa incassata tra le spalle, gli occhi chiusi, un tremito capace di sconvolgere le viscere.
Un'imprecisata relazione...
André che parla di amanti...
André che sparisce di notte...
Tentò di scansare la figura dell'attendente.
S'annidò allora il pensiero all'effige del conte, come una serpe s'attorciglia attorno al povero topo ormai finito.
S'immaginò lo stupore di quello, quando avesse appreso che Sua Maestà era in attesa d'un figlio.
Avrebbe imprecato, avrebbe riso, avrebbe pianto?
Che fa un amante quando apprende che la donna che ama attende un figlio dal legittimo marito e ch'è il solo bene per lei e per un paese intero!?
Che fa un uomo quando apprende che la donna che ama è stata di un altro – nella legge di Dio – ma pur sempre di un altro, che è addirittura il Re di Francia!?
Che fa un uomo quando può ascoltare dentro di sé l'amore impossibile, illegittimo, oscuro e tetro, che solo nella testa è capace di sorreggere i muscoli e consentire al sangue di scorrere nelle vene ma nelle viscere distrugge ogni rispetto di sé?
Che farai tu quando osserverai il volto di Fersen, tentando di scorgere in esso quell'amore lontano e soffocato che vorresti scorgere per te?
Che farai di fronte allo struggimento dell'altro o magari al suo disprezzo, non verso la donna che ama, ma verso di sé, che non potrà mai amare lei?!
E forse verso di te che gli rechi una così sorprendente novella?!
Gioco ignobile e sottile…
Approfittare del disorientamento dell'altro…
Intrufolarsi come una ladra nello sgomento incredulo del conte.
Avrebbe pianto Fersen…
Di gioia e rabbia al tempo stesso…
Avrebbe imprecato…
Avrebbe…
Le mani si strinsero l'una all'altra.
Si cacciarono lì, a scaldarsi, sfregandosi l'un l'altra.
Il tepore del sesso trattenuto in una carezza plumbea, grigia come il cielo che annuncia pioggia, tetro e gonfio.
La smania imprigionata nei pensieri, alla visione dell'altro, alla posa severa, al petto appena sollevato dal respiro fondo, all'ondeggiare delle mani, alla lieve torsione del busto proteso, ai fianchi appoggiati piano…
Cercare...
L'altro appoggiato al muro della scuderia, braccia consente, aria severa, in attesa, come al solito.
Aggrappato alla vita di lei, ai suoi ordini, alle sue balzane pensate.
Chiuse gli occhi...
Nulla da fare...
La mente rincorse l'antico sogno...
Avvicinarsi...
Nessun rumore, nessun rimestare di ferri o nitriti di cavalli o grida di fabbri o inservienti…
Nessun andirivieni nonostante fosse quasi il tramonto.
Il sonno s'adagiò sulla coscienza, avvolgendo gl'insani pensieri, le subdole speranze.
Il respiro s'asciugò, liberandosi a poco a poco dalle dannate visioni, terrene e reali, per immergersi nella liquida quiete del sogno, impossibile d'ammaestrare.
Luce lilla a tingere le cime dei pioppi poco più in là, le tenere foglie di betulla agitate dal vento...
Zampillare di fontane, esigui getti, le condotte chiuse dal mastro fontaniere, in previsione della notte.
Perle liquide disegnate sul selciato di mattoni rossi, asciugate dal calore della pietra e dissolte in un istante.
Le dita strette attorno al bavero della giacca dell'altro…
Vide se stessa, lì, il respiro quasi assente.
Percepì l'ondeggiare impossibile del desiderio, appagato da gesti sapienti di mani ignote…
Le sue o quelle di un altro…
Gli occhi aperti, lo sguardo severo.
A un pollice da lei ma lei non sentiva nessun odore di sapone, nulla…
Disprezzo, quello sì...
Di nuovo disprezzo. Forse ancora più di prima, perché adesso era sola...
Lo sprezzante intento di cavargli dalla faccia quell'espressione…
Il tempo di sporgersi e catturare le labbra…
Il tempo di scorrere alla nuca e tenere lì la testa, mentre il corpo, senza peso, s'adagiava su quello di lui, attirato dalla presa, tenuto fermo dal bacio…
Stavolta, intuì l'incedere…
Dentro…
Sfrontato e distruttivo…
Il ritmato incedere, la pelle sfregata contro il sesso…
La bocca sapientemente morsa e chiusa, sì da contenere il respiro crescente e poi la repentina illusione…
Uno squarcio nel cielo…
La saetta cadde vicina, abbagliando la stanza vuota, schioccando istantanea sui poveri mobili, lo spessore lieve delle tende incapace di trattenerla.
E poi sullo specchio.
Il chiarore raddoppiato ed espanso alla rinfusa schizzò ovunque, macchiando pareti e vestiti, corpo e mente…
Spalancò gli occhi Oscar, il corpo frustato dalla scarica invisibile e tonda d'una impalpabile discesa dentro di sé…
L'ombra china su di sé…
Lo sguardo severo e sprezzante…
André…
Vide André, chiamò il suo nome…
Intuì che l'altro stava lì, a osservarla, muto…
La stanza ripiombò nell'oscurità tremante di roboante schianto…
Gli occhi tentarono di mantenersi alla figura…
Punto di riferimento e al tempo stesso fonte di sprezzo…
Una saetta meno luminosa, la stanza illuminata vuota, nessun respiro, nessun rimprovero…
La visione dell'altro la schiacciò per un istante, che lui non aveva ragione d'esser lì, piantato lì nella sua mente.
Essa non apparteneva ad André e lui non apparteneva alla sua mente.
Forse il cuore sì, il bene, l'affetto…
Ma non la mente.
Tentò di richiudere gli occhi.
Il lento incedere della tempesta che rotolava via s'impose alle palpebre divenute pesanti e nervose.
Si strinse a sé, immobile, ad ascoltare il lento disgregarsi del corpo, immobilizzato dall'assurda contrazione che aveva tremato, incosciente e tonda, dentro di sé, in un luogo di sé del tutto ignoto e sconosciuto.
Non poteva ammettere d'essere soggiogata da tale ignominia…
Che non consisteva nella docile perdita del possesso di sé, ma nell'essere – o almeno percepirsi - in quel preciso istante, priva di coscienza, priva di forza, insomma come se fosse stata in balia di altro d'inusitato e inconcepibile.
§§§
Il tempo di sporgersi e catturare le labbra…
Il tempo di scorrere alla nuca e tenere lì la testa, mentre il corpo, senza peso, s'adagiava su quello di lui, attirato dalla presa, tenuto fermo dal bacio…
Che tempo era quello dei sogni?
Un tempo misurabile?
Un tempo indefinito?
Davvero la rabbia di scacciare da sé la eco liscia ed impalpabile della propria caduta, impose di non concedersi né respiro, né soste, se non per far riposare i cavalli che una mera mezz'ora.
Lo sguardo spaziò, ch'era ormai di nuovo sera, alla spianata sabbiosa e liquida che deteneva il primato della terra sul mare, ma solo per poche ore, perché poi, complice le invisibili braccia argentee della sinuosa luna, l'oceano non avrebbe accettato d'esser messo in disparte, riprendendosi in fretta il suo regno, inghiottendo isolotti sabbiosi, pietre, strade, alle volte persino persone, circondando la montagna solitaria, piramide di granito in mezzo all'oceano, come un amante abbraccia la propria amata.
Mî – ka – El…
Chi è come Dio?
Nessuno può essere come Dio…
Solo chi crede d'avere in sé una potenza che non ha paragoni umani potrebbe credersi come Dio.
Solo chi distoglie da sé il folle dubbio di riuscire a somigliarGli...
Dio, roccia…
Mont Saint Michel, roccia che non si sgretola…
Né terra né mare…
Baluardo della ragione umana contro l'inevitabile tempesta della natura.
Solo pochi istanti per ammirare lo scenario, il santuario granito pece, fermo e statico, eppure all'apparenza in continuo movimento, circondato dal mutevole limbo sabbioso, contro il cielo lavanda, striato di ammassi rosa e bianchi, a rincorrersi annunciando forse altre piogge che avrebbero inondato la vista e cancellato il paesaggio.
La tavola madreperla appena sporcata da orme fonde e veloci…
Sentieri evanescenti e beffardi...
La brezza lieve che s'era alzata portava con sé le voci dei pellegrini, le grida a restare uniti, le corse col cuore in gola per sfuggire al mare che avrebbe inghiottito tutto, uomini, carretti, galline, bagagli sparsi.
Dune di sabbia roteavano immobili eppure vive, come sottane gigantesche e mobili ad abbracciare la solida grana di roccia, immensa dama corteggiata dalla sontuosa corte d'azzurro e grigio.
Di nuovo lo spettacolo generò inquietudine, per via dell'accostamento.
Lo sperone acuto di roccia le apparve come la propria vita, severa, intensa, caparbia e solida ma circondata adesso da una mobilissima laguna instabile, senz'appigli, ogni sentiero conosciuto improvvisamente inghiottito da materia sconosciuta che ne avrebbe cancellato la direttiva.
Se avesse fatto un passo e la marea avesse concesso la grazia di ritirarsi, gli occhi sarebbero rimasti abbagliati dalla miriade di rivoli cangianti e lucenti, da percorrere o no, a lei non era dato saperlo.
E se si fosse imbattuta in una pozzanghera, quella avrebbe potuto esser talmente fonda da inghiottirla.
E se invece avesse messo piede su un'isola ricoperta di ciuffi d'erba sporchi e prossimi a morire perchè assediati dalle acque salate, non si sarebbe salvata lo stesso.
La marea montava veloce…
La sua vita adesso era così…
In preda all'avanzata dell'oceano.
Un banale errore avrebbe potuto esserle fatale.
Un uomo...
Un oceano...
Oscar riprese la marcia, i pensieri sempre più fitti, le domande sempre più urgenti, i dubbi sempre più fondi.
Saint Malò…
Acqua, roccia, pietra…
Nido di corsari e avventurieri…
Granito grigio contro il grigio dell'oceano…
Geometriche squadrature decumane componevano gli accampamenti dei soldati in procinto di partire per Brest.
Il Generale Jarjayes non era lì, si era spostato poco più a nord.
Saint Jouan…
Cittadella meno conosciuta, forse meno appariscente della fortificazione sul mare, adattissima a ospitare il quartier generale degli ufficiali.
Che si sa, quelli avevano da salvare la pelle in caso di attacco navale a Saint Malò, mentre lì, un poco più dentro alla terra, nessuno avrebbe osato avvicinarsi.
Dunque un quartier generale meno altolocato e appariscente forse ma più adatto ad essere immune da agguati e ruberie.
Nella mente, come serpente nascosto tra le rocce, s'annidava il percorso successivo.
Un guizzo…
Oscar François de Jarjayes s'immaginò che avrebbe dovuto distanziare il proprio compagno di viaggio che a Brest non avrebbero dovuto esserci spettatori, che il Colonnello Oscar François de Jarjayes non aveva nessuna ragione di raggiungere Brest.
Il tragitto per Saint Jouan fu breve, poche altre stazioni di posta.
L'ingresso avvenne tra svariate misure di controllo.
I due viandanti, senz'uniforme né particolari vessilli, abbozzarono poche richieste.
Una su tutte…
Oscar François de Jarjayes aveva il cuore in gola, non era mai accaduto.
Lì per conferire con il padre sui drappelli da interessare per attingere nuovi uomini da destinare al corpo di Guardia dei Sovrani…
Lì, ritta, sull'attenti, ad attendere il padre ch'era chissà dove e ch'era stato fatto chiamare dietro l'annuncio ch'era atteso…
Non si smentì Jarjayes alla vista della figlia.
Senza particolare belletti, giacca un poco sdrucita e stropicciata, che se l'avesse visto Madame Glacé così conciato avrebbe cacciato un urlo…
Maniche della camicia arrotolate…
"Che diavolo ci fai qui!?" – eruppe la domanda arcigna, di fronte a tutti, sottoposti e soldateria varia che quelli, un istante, si ritrovarono impietriti e pur tentando di non prestare attenzione, quasi s'immobilizzarono per carpire chi fosse il visitatore ch'era stato capace di suscitare lo sdegnato disprezzo dell'ufficiale.
"Lieto di vedervi padre…" – ribatté Oscar inculcando nella voce una nota d'umile sottomissione, così da rivelare il rapporto di parentela al resto dell'uditorio ed al tempo stesso indurre il sangue del padre a sbollir più in fretta, come accadeva ogni volta che lei lasciava la reggia abdicando di fatto al suo incarico di proteggere la famiglia reale.
Casato e incarico erano la stessa cosa.
Oscar François de Jarjayes, casato e incarico anche.
Avanzò d'un passo Jarjayes, mani conserte, giacca sulle spalle…
"Che ci fai…qui?!"- ripeté feroce.
"Padre…devo conferire con voi per via della Guardia Reale!".
Il chiavistello per accedere alle segrete stanze della mente del padre poteva essere uno e uno soltanto.
La mansione di Colonnello della Guardia Reale e la necessità di svolgere al meglio tale incarico, ch'era un'uniforme, un casato, il senso dell'onore, la vita stessa per il padre di Oscar François de Jarjayes.
"Il Conte d'Artois è colui al quale avresti dovuto rivolgerti!" – replicò l'altro stizzito ch'era assurdo che la figlia fosse giunta sin lì per una necessità che avrebbe potuto esser soddisfatta altrove.
Oscar François de Jarjayes conosceva sul padre, l'aveva prevista l'obiezione e aveva stabilito di calcare proprio su quella, rivoltandola contro il genitore.
"Il Conte d'Artois è un…conte!" – chiosò Oscar – "Per quanto abbia mansioni che lo vedono al comando della Guardia Reale…si tratta di un nobile… non ha piena contezza delle necessità della guarnigione che ho l'onore di comandare. Dato che invece avrei necessità di colmare al più presto i vuoti creati dalla spedizione di uomini in America…ho chiesto a Sua Maestà la Regina il permesso di raggiungervi!".
"Sua Maestà è stata sempre troppo generosa con te! Io…".
"Vorreste forse dire che Sua Maestà ha peccato di generosità!? E che voi vi ritenete superiore a Sua Maestà!?".
"Sei insolente!".
"Padre…non ho fatto tutta questa strada per mettermi a disquisire sul mio carattere! Della mia insolenza potremo ben riparlarne al vostro ritorno. Non vi recherò troppo disturbo…ma ho davvero necessità di parlarvi…".
Tutt'intorno la caotica e screanzata animosità degli ascoltatori riprese più o meno frenetica.
Al campo fervevano i preparativi per il prossimo viaggio a Brest e il successivo imbarco.
La lampada a olio venne posizionata al centro del tavolo d'una tendaccia gigantesca ed un poco sbilenca, il tessuto grezzo e spesso impediva alla luce di penetrare dentro e l'interno era arredato in maniera piuttosto spartana. Stuoie e tappeti a terra, arazzi monocromatici alle pareti più che altro per trattenere il calore e impedire al freddo d'insinuarsi nelle ore più fonde della notte.
L'odore salmastro dell'oceano…
Quello era appiccicato ovunque, sulle carte, sugli arazzi, fin nei pertugi più infimi, che fossero anfratti o fessure delle casse di legno o mostrine dell'uniforme appesa all'attaccapanni…
I volumi aperti sul tavolo…
I borbottii del generale…
Oscar si sedette, intinse la penna nel calamaio che il padre le porse con un gesto ruvido: "Dovrai scrivere da te! Questo è un campo d'addestramento non un ufficio della Guardia Reale!".
Il tono aspro non indusse desistenza.
Oscar si mise a scrivere, sotto la dettatura del padre.
Scorsero svariate guarnigioni, alcune dislocate anche in avamposti verso l'Austria oppure verso l'Italia, decine di uomini centellinati dall'una o dall'altra, al fine di ricomporre un numero adeguato di reclute o soldati già addestrati da far confluire a Parigi.
Beninteso, quegli uomini non erano gente del popolo, che solo il generale era a conoscenza del numero esatto dei personaggi provenienti da famiglie nobili con i figli mandati a occupare le fila di guarnigioni di prestigio che avrebbero potuto svolgere il delicato incarico presso la Guardia Reale.
Jarjayes s'accese la pipa.
Volute dolciastre turbinarono invisibili combattendo contro la brezza salmastra.
"Se abbiamo finito…" – chiosò immobile, seduto sullo scranno rustico ma ampio e comodo.
Oscar chiuse il taccuino, la coperta di cuoio ripiegata con le preziose informazioni contenute all'interno.
André non era un nobile. Non avrebbe mai potuto incrociare il suo nome tra quelli sciorinati dal padre.
Dove diavolo era finito?
Si diede della pazza ad aver anche solo immaginato che sarebbe stato facile.
André non era lì…
Un respiro fondo…
"C'è un'altra questione…" – esordì piano, sguardo basso, cuore in subbuglio.
Temeva l'ostracismo del padre, temeva che il viaggio sarebbe stato valido per la questione delle reclute ma inutile per ciò che adesso forse premeva più del resto.
Si morse il labbro…
"Madame Glacé non è stata bene…" – lo sguardo si sollevò al generale – "E' in pena per suo nipote…".
La stizza del padre s'ammutolì come inghiottita dall'altra stizza, quella d'esser nuovamente sollecitato su un argomento che non era degno d'una simile perdita di tempo.
"André mi ha promesso che le avrebbe scritto! Non l'ha fatto!?" – la risposta gelò gl'intenti.
La difesa del padre era dunque erta al massimo delle possibilità. Neppure un accenno di compassione alla povera governante, la risposta pronta a spiegare che non c'era necessità di stare in pena.
"L'ha fatto si…".
"Dunque…".
"Dunque padre…se permettete…".
Che fu Jarjayes a sollevare gli occhi sulla figlia, lanciando un'occhiata feroce e definitiva, come a imporre d'evitare inutili sceneggiate.
La fermezza pareva davvero esagerata. Mai veduto l'uomo così attento a evitare di tradirsi, che a quel punto la questione doveva essere senz'altro fonda e severa, se Jarjayes se ne stava sulle sue.
Certo il padre era orgoglioso e se era stato chiaro fin dall'inizio che lui non avrebbe spiegato nulla di quella faccenda, adesso, non aveva proprio senso che quel segreto fosse mantenuto in maniera così ferrea se non perché quel segreto celava davvero una situazione oscura.
"Se permettete…e se è lecito…" – riprese Oscar stizzita e morbida e severa e stanca e ansiosa e…
Non poteva darla vinta al padre…
Non poteva darla vinta ad André, ch'era sparito così, lasciando dubbi e…
André non c'era…
Il pensiero s'era talmente ingigantito in quelle settimane di assenza che una risposta Oscar François de Jarjayes l'avrebbe trovata ad ogni costo, se non altro per esibire a se stessa ed al proprio orgoglio ferito una parvenza di soddisfazione.
Si trattava dell'orgoglio…
La conclusione a cui era giunta, malgrado tutto, era quella.
"Una donna come Madame Glacé, la governante della nostra famiglia, avrebbe tutto il diritto di sapere che fine ha fatto suo nipote!".
"Non è mio compito rivelarlo…se non lo fa lui…".
"Ma voi lo sapete!" – la mano sbattuta sul tavolo – "E dunque fa lo stesso! In fondo André è un…".
"Servo della nostra famiglia?!" – la rimbeccò Jarjayes per verificare fino a che punto l'altra si sarebbe spinta. L'appellativo sprezzante avrebbe avuto il potere di raffreddare l'arroganza, che Jarjayes sapeva benissimo che la figlia non aveva mai considerato André…
Un servo…
"Padre…" – tagliò corto Oscar alzandosi – "Non ha senso ciò che sta accadendo! A corte circolano strane voci sul conto di André…e questo potrebbe nuocere alla nostra famiglia. Che sta accadendo!? Se lui ha commesso…se avesse fatto qualcosa di male…".
Che anche lei fu costretta a tirar fuori la storia della famiglia…
Che altro avrebbe potuto spendere per smuovere il padre?!
L'onore innanzi tutto, il prestigio dei Jarjayes, chiave rozza e senza senso per lei, una chiave universalmente riconosciuta lassù, al pelo dell'acqua putrida e marcia in cui si dibattevano le vane esistenze della nobiltà francese.
Victor Girodel ch'era rimasto in disparte sussultò muto, che dunque si ritrovò beffato, che in fondo l'appiglio glielo aveva suggerito proprio lui.
Le voci sul conto dell'attendente le aveva sentite certo ma poi non così allarmanti...
"Che idiozie!" – sentenziò Jarjayes per nulla intimorito – "E tipico della corte…quando non si sa cosa pensare di qualcuno se ne pensa sempre male! André non ha fatto nulla per disonorare la nostra famiglia! Tutt'altro! E' proprio perché ha a cuore il bene dei Jarjayes che ha scelto di…".
Un tiro aspirato alla pipa…
Un soffio…
Il sentore dolce del tabacco…
L'alone bianco dissolto nella brezza salmastra…
Oscar rimase lì, fiato interrotto, corpo impietrito, sospesa…
Il corpo del padre ammansito dalla chiacchierata un poco assurda e dallo spauracchio dell'onore dei Jarjayes in qualche maniera infangato…
"Arruolarsi…".
Silenzio…
La brezza gonfiava vele e spuma…
La eco lontana di fischi…
Grida…
Schianti…
Un barile caduto a terra…
Imprecazioni miste a risate…
"Cosa?" – il corpo si contrasse, per scivolare incredulo in una posa statica e stremata.
La voluta di fumo della pipa si disperse, come l'aroma asciutto capace di scavare nella mente e suscitare e rievocare antichi ricordi.
Il padre aveva acceso la pipa…
Oscar aveva scostato di poco la porta, mettendo almeno l'udito dentro la stanza, le dita piccole appena appoggiate allo stipite e il cuore in gola, allora come adesso, in ascolto di ciò che avrebbe detto il Generale Jarjayes, suo padre.
Gli occhi avevano scavato nella stanza conosciuta.
Tutto era al suo posto, tutto in ordine, arredamento sobrio e scarno, se si eccettuava colui che se ne stava seduto di fronte al generale, dando dunque le spalle alla porta, sulla sedia di fronte al tavolo.
Un bambino, appena giunto nella casa, seduto sulla sedia, gambette penzoloni ch'erano corte e non arrivavano a toccare terra se non con la punta dei piedi e che si torturavano l'un l'altra, impercettibilmente, sfogando forse il nervosismo dovuto a quella specie d'interrogatorio.
L'occhio a sbirciare, l'attenzione a cercare il moccioso, l'orecchio teso a carpire il senso del discorso…
La speranza istintiva che a quel moccioso sarebbe stato consentito di restare…
Un istinto infantile…
Sai leggere?
Il fumo aspirato e poi lasciato sfogare dalle narici…
Era un mostro marino quello seduto avanti a sé, non un uomo…
Un mugugno - Un poco…
E scrivere?
Un altro mugugno, il moccioso sulle spine, labbra strette…
Mmmh - la testa negò…
Non sai scrivere?! – il tono alterato…
No…si… – balbettio per colmare la vergogna ma non è che il figlio d'un falegname avrebbe avuto modo di colmare la propria cultura in un paesello sperduto della Bretagna – Un poco…lavoravo con mio padre…era un falegname…e all'occorrenza era anche fabbro….
Come a dire, quando mai avrei avuto tempo e modo d'imparare a leggere e scrivere come si deve?!
Ti esprimi correttamente però! Non sembri proprio il figlio di un falegname…
Maman mi ha insegnato! Diceva che anche se anche non si è signori…mica si dev'essere ignoranti...
Tua madre era saggia! Peccato sia morta….
Una voluta di fumo…
Una pausa…
La testa del moccioso reclinata…
Un tremito…
Sì, il Generale Jarjayes era sempre stato poco incline alla compassione. Né a parole, né a gesti…
La testa del moccioso incassata nelle spalle…
Senti…è inutile piangere. Tua madre è morta. Potrai restare qui…aiuterai tua nonna…
Duplice sussulto soffocato…
Uno, imploso nel corpicino del moccioso seduto a gambe penzoloni e l'altro impresso nelle dita piccole della bambina, attaccate allo stipite.
Grazie signore…
Sai cavalcare?
No…signore…
Tuo padre ferrava i cavalli e tu non sai cavalcare! Che razza di situazione! Va bene…imparerai al più presto! Ti affiderò mio figlio…
L'attenzione catturata…
La testa del moccioso rialzata…
Un piede pestato a terra da parte della mocciosa di fuori…
Vostro…figlio?!
Si…anzi…tua nonna ti avrà già spiegato quindi sarà meglio esser chiari. Oscar è mio figlio…ma è una femmina per intenderci. L'ho designata mio erede dunque un giorno sarà un soldato. Sua Maestà prenderà in considerazione la sua candidatura come Comandante delle Guardie Reale…ed anche se ciò non dovesse avverarsi, mio figlio dovrà comunque essere in grado di onorare il casato dei Jarjayes nelle gerarchie militari più vicine alla famiglia reale!
Il fiume di parole s'era abbattuto il sul moccioso che ne aveva compreso si e no un paio.
E' tutto chiaro?
La mocciosa non aveva scorto il volto del bambino dapprima impassibile, che a rispondere di no ci avrebbe fatto la figura dello sciocco e dell'ignorante, ma a rispondere di sì quella del bugiardo.
Il bambino aveva convenuto di scegliere la seconda. Prima o poi l'avrebbe trovato qualcuno che gli avrebbe spiegato quella faccenda in termini più semplici.
La mocciosa aveva intuito la testa ricciuta e nera dell'altro annuire e questo istintivamente l'aveva sollevata. Finalmente qualcuno a cui non avrebbe dovuto spiegare tutta quell'assurda storia.
Non dovrà mai accaderle nulla…ma di certo non avrai il compito di reggerle la sottana o cogliere fiori per lei…
La destra del generale volteggiava in aria, come a scacciare simili visioni nefaste, fumo negli occhi immaginare la figlia vestita da damina intenta a intrecciare ghirlande.
Nessuna replica…
La testa era rimasta ritta, l'attenzione piena dunque ma il corpicino pareva impietrito alle parole…
Impietrita…
Sì, Oscar François de Jarjayes era impietrita, adesso come allora, quando aveva ascoltato il padre convenire che André Grandier sarebbe diventato il suo attendente, una specie di aiutante più che altro a tenerla lontana dai guai.
Allora i muscoli erano rabbrividiti di gioia mista a stupore e a smania d'avere finalmente un avversario, una voce, un corpo con cui scontrarsi o andare d'accordo.
Discutere o litigare…
Annoiarsi o volare in corse a perdifiato nei boschi attorno a casa…
Alter ego di sé…
L'altra parte di sé…
Nessun pensiero in quel senso, ovviamente, nessuna valutazione sui gesti, che a cinque anni sarebbe stato impossibile. Ma la mente, istintivamente e inconsciamente, aveva preso a nutrirsi della sottile smania di non essere più sola e di non esserlo più per il resto dei giorni.
Ora…
L'assenza di André prendeva forma e aspetto sinistri.
Non era come s'immaginava…
L'assenza di una persona non determina una deminutio della propria esistenza…
L'assenza di André in realtà mutava tutta la sua esistenza, la cambiava radicalmente in altro di sconosciuto ed incomprensibile.
"Arruolarsi?!" – un filo di voce – "Quando…avrebbe…perché?" - balbettò Oscar, incespicando nella visione arrogante e terribile e senza senso.
Di nuovo le stesse inevitabili richieste.
"Non spetta a me spiegare i motivi…" – sentenziò Jarjayes severo – "Ho già infranto la promessa fatta ad André…e non ne vado fiero…ma lui mi ha chiesto il permesso di arruolarsi e io gliel'ho concesso. Vuole difendere il proprio paese e i nostri ideali e non vedo perché non avrei dovuto essere d'accordo con lui. Te l'ho detto solo per farti comprendere come le voci che circolano a corte sono del tutto fasulle…anzi mi viene da pensare che siano state messe in giro proprio per colpire la nostra famiglia. E' solo invidia verso la correttezza dei Jarjayes! Una famiglia che si distingue per abnegazione e senso dell'onore! Di tutti i suoi componenti, persino dei suoi domestici!".
Nella testa presero a rotolare pensieri assurdi…
Come s'erano abbattuti addosso nei giorni precedenti i tuoni e i fulmini delle consuete tempeste che agitano i cieli prossimi all'estate…
Una folata di vento, improvvisa e beffarda, spazzò via tutte le questioni sull'onore e la correttezza e…
"Al diavolo!" – sputò Oscar inviperita – "Non m'interessano le voci della corte!".
Era superato conoscere quello ch'era accaduto…
Premeva adesso sapere…
"Perché?!" – eruppe severo e folle…
Perché…
Dove sei?
Perché?
Che hai fatto?
Jarjayes sollevò lo sguardo…
"Non sono affari nostri! Per quanto André sia un domestico della famiglia Jarjayes e io abbia su di lui potere di vita e di morte…rispetto la sua scelta…e dovresti farlo anche tu!".
"No! Rispetterò la sua scelta se saprò perché l'ha compiuta!".
Rotolavano fulmini misti a saette…
"Io non mi opporrò…ma voglio sapere perché!".
"Non ne hai il diritto!".
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