I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!

Noir

"Padre…dove si trova André? Avete detto che si è arruolato…dove…".

"Adesso basta!".

"Non ha senso ciò che sta accadendo…ciò che si dice…".

"Ciò che si dice a corte è falso…ti ho già spiegato…".

Si alzò Jarjayes…

Fece per uscire dalla tenda…

Oscar fece un passo, un altro…

Non aveva ottenuto molto se non che adesso sapeva della sorte di André. Dove fosse e perché avesse preso una simile decisione…

"Si tratta di una donna?!" – fu lei ad anticipare il passo, a bruciapelo, nemmeno seppe perché rivelare una simile sciocchezza.

Sempre per quel dannato onore si disse tra sé.

Se André aveva commesso un errore e l'errore fosse stato quello…

C'era che se lei fosse stata un soldato, agli occhi di un soldato, quel guaio sarebbe stato quasi un vanto.

C'era che no, lei così non lo concepiva e le pareva un'eresia e…

"Che stai dicendo!?" – il tono del padre sussultò raffreddato.

Per quanto Jarjayes fosse un uomo severo, certi argomenti pungevano…

"Se sapete perché…nanny non sa nulla…nanny difende André e anch'io voglio fidarmi ma…".

Era l'imbrunire…

L'ultimo raggio di sole morente svanì, lavato via dalla coltre scura che si rovesciava addosso ai corpi e alle coscienze.

Gli occhi avrebbero voluto vedere, il buio scuro s'imponeva, precipitando il cuore in una sorta di limbo infernale.

Lo spazio tra la tenda e il paesaggio fuori cadde in un'ombrosa solitudine, rotta solo dalle strida dei gabbiani, dallo sciacquio delle onde lontane e dalle congetture infuocate della figlia.

Un barlume…

"Padre…".

"Ebbene…".

Oscar François de Jarjayes si ritrovò quasi senza respiro, che l'esitazione del padre deponeva per la veridicità dello scenario.

"André mi ha confessato di provare affetto per una persona…" – sibilò piano Jarjayes.

"André…" – il respiro immobile, dunque…

I pugni stretti, Oscar ammise che lo scenario era quello che, seppur a brandelli e senza una visione chiara, era riuscita a ricostruire. Quanto c'era di vero e quanto era frutto delle sue paure…

"Mi ha spiegato di non voler compromettere l'onore di questa giovane…".

Esiguo spiraglio…

Una crepa nel castello serrato…

Un soffio di vento…

Un debole raggio di luce…

"Chi è?" – di nuovo, a bruciapelo.

Una donna non sarebbe stata una donna se non le si fosse dato un nome, un volto, un aspetto, un rango o al più una storia.

Una donna non sarebbe stata che un'evanescente ombra, nera e senza esistenza, relegata al rango di mera congettura.

Una donna…

"Non lo so…su questo posso assicurarti che non ho idea di chi sia…" – masticò Jarjayes infastidito.

"Perché non gliel'avete chiesto?".

Il dialogo scivolava nell'insolenza ma l'orgoglio…

Il dannatissimo orgoglio o chissà cos'altro corrompeva i sensi, annebbiava la lucidità…

Oscar avrebbe voluto sapere…

"L'ho fatto! Per il bene di quella giovane André ha ritenuto di non rivelarne il nome, neppure a me. Mi ha assicurato che non c'è stato nulla di compromettente…ma proprio per evitare in futuro che il nome di questa giovane venisse scoperto e macchiato…".

"Ma perché? Se non è accaduto nulla…perché tutto dev'essere messo a tacere!? Un nome infangato da cosa? Se non…e perché André non potrebbe…".

Le parole morirono in gola…

Innamorarsi…

Amare una donna…

Un'altra…

Donna…

"Lui è stato chiaro! Preferisce allontanarsi! E questo gli fa onore! Perché così nessuna tentazione finirà per indurlo a commettere un errore e a disonorare una povera fanciulla e con essa la famiglia Jarjayes! Ma non ha voluto dire nulla a nessuno proprio perché così nessuno farà domande…io non gliene ho fatte e ritengo d'essere d'accordo con lui. Mi fido e devo riconoscere ch'è stato esemplare nel tenermi a parte della sua questione senza coinvolgere nessuno. Abile sì…e questo è tutto ciò che posso dirti…sei soddisfatta!?".

No…

Nessuna soddisfazione…

Una vittoria di Pirro quella!

Oscar aveva saputo e di fatto non aveva saputo nulla.

Oscar era personaggio pratico.

Lei s'era innamorata di un uomo.

Un volto, un'effige, un corpo…

Mani lievi e forti…

Occhi severi e limpidi…

E il timbro della voce…

La risata composta ma sincera…

Commenti mesti e accorti…

Tutto imbrigliato dall'impotenza d'amare…

Persino i silenzi dell'altro avevano parlato e rivelato l'altro, il Conte di Fersen.

Dio…

Se anche André s'era accorto dell'esistenza di una donna…

Che volto aveva quella, che movenze, che coscienza…

Che razza di cuore…

Dunque come avrebbe fatto a dirsi soddisfatta se nulla sapeva di quella famigerata giovane!?

Nulla…

Ciò che avesse saputo di lei avrebbe dato forma e consistenza al gesto di André.

Il nome dell'altra sarebbe equivalso a entrare nella vita di André.

"Padre…dove si trova André?".

No, Oscar non era soddisfatta. Era fuori di sé, minuscola barca in mezzo al mare improvvisamente in mezzo alla tempesta…

Il perché si sentisse così…

Il senso dell'onore calpestato…

Il proprio…

La fiducia dell'altro in lei…

Calpestata anche quella.

André non aveva accennato a nulla…

E quando l'aveva conosciuta quella famigerata fanciulla!?

E dove…

E perché lei non s'era mai accorta di nulla?

L'altra era nobile?

L'onore macchiato?

Dunque era nobile…

O forse no…

Forse allora l'onore macchiato avrebbe potuto essere quello dei Jarjayes, che se André era solo un servo...

Che un servo deve obbedienza al proprio padrone al punto d'essere inammissibile rischiare d'infangare il nome del casato per cui si lavora invaghendosi d'una fanciulla qualsiasi?!

Gli uomini non sono tutti uguali…

No…

Nessuna risposta diretta, il padre espose le sue conclusioni - "Ho dato a André il permesso di arruolarsi. Se e dove l'abbia fatto, questo non ha voluto rivelarlo. Ed io non ho fatto domande. Ti ho fatto riservare una tenda, un poco distaccata dal resto dell'accampamento. Non dovresti stare qui e sai bene il perché! Il tuo compito è proteggere Sua Maestà la Regina Maria Antonietta e dunque dovresti essere alla reggia ad occuparti della sua incolumità!".

Jarjayes sollevò il lembo di stoffa della tenda – "Si sta facendo buio. Domattina all'alba riprenderai la strada per Parigi…non voglio altre interferenze nei miei impegni. E quando sarai tornata…i registri delle nuove reclute vengono continuamente aggiornati. Forse avrai le tue risposte…".

Roteavano davvero adesso nella testa fulmini e saette. S'aggrovigliavano i pensieri ai dubbi, sferzavano gl'intenti, impedendo una visione netta, che lei, così, nel mezzo della tempesta non s'era mai trovata per davvero, magari una tempesta inscenata da altri sì, ma non originata da lì, dentro di sé, gorgo infernale capace di risucchiare gl'intenti.

Finora era sempre stata capace di trovare in fretta la strada per uscirne e scostarsi dall'incedere del vento e della bufera...

Ecco…

Lo smacco di non avere scelta...

Uscire da lì, da quell'accampamento, da quella regione, da quella decisione…

Uscire da lì per avere una risposta…

Subito…

E per farlo…

Ridivenne calma Oscar François de Jarjayes.

S'accorse che il Tenente Girodel aveva forse udito una parte del discorso.

S'avvicinò l'uomo, al padre e alla figlia.

La figlia doveva uscire da lì…

Dall'assurda situazione…

Che non era poi così assurda ma lei aveva un compito da svolgere e quel compito non ammetteva altri spettatori.

Doveva comunque proseguire, arrivare sino a Brest…

Brest…

Che però, così facendo, non avrebbe avuto modo di sapere dove fosse André…

Aveva un messaggio da recapitare…

Sì ma poi André…

"Padre…debbo chiedervi un favore…" – esordì cauta.

"Un altro?!" – replicò Jarjayes stizzito.

"Si tratta della nostra famiglia…".

Silenzio…

La chiave per ottenere l'attenzione di Jarjayes era sempre quella.

"Vi chiedo di sollevare il Tenente Girodel dalla promessa che vi ha fatto…occuparsi di me…".

Udirono la richiesta i due uomini…

Jarjayes rimase zitto.

Victor Girodel, stavolta chiamato in causa personalmente, avrebbe voluto replicare ma aveva imparato a conoscere l'altra. Ancora una volta se avesse opposto veemenza avrebbe ottenuto l'effetto esattamente contrario. Su di lei ovviamente, non sul padre.

Victor Girodel comprese che non avrebbe mai potuto avere il favore del padre e della figlia, assieme e alle stesse condizioni.

Scelse dunque la figlia, attendendo la richiesta di quella, che un po' forse l'aveva intuita.

"Il Tenente Girodel appartiene a una delle famiglie più importanti della nobiltà francese. Trovo oltremodo irriguardoso che il loro figlio cadetto – pur dando atto dell'abnegazione e della correttezza – sia costretto ad occuparsi di…".

Silenzio…

Jarjayes osservava lo scorcio di mare che spumeggiava insolente e cupo giù, nel fondo del paesaggio.

Era quasi buio, l'oscurità screziata dai colori cangianti e fondi del tramonto.

Carminio, indaco, vermiglione, Siena…

L'imbrunire…

"Insomma…occuparsi di mansioni che non sono e non dovrebbero essere affidate a lui!" – affondò la figlia.

"Intendi dire che l'onore dei Girodel ne verrebbe compromesso?!" – azzardò il padre.

"E' sempre lo stesso discorso padre. Anche l'onore dei Jarjayes!".

Che quando la figlia metteva sul piatto l'onore della famiglia, Jarjayes ne rimaneva sempre favorevolmente colpito. Quasi affascinato, che l'altra era sempre stata di poche parole e con tutti i colpi di testa di cui s'era macchiata da quando ne aveva quattordici di anni, c'era da star certi che a lei, dell'onore dei Jarjayes, fosse sempre importato molto poco.

Ma il ragionamento in quel caso era corretto: sarebbe stato difficile non ammettere che un figlio cadetto che si occupa del figlio d'una famiglia di pari blasone, non avrebbe generato una pessima valutazione da parte di chiunque avesse affrontato la questione.

I Jarjayes serviti dai Girodel…

Non un bene per i secondi ma nemmeno per i primi.

"I Jarjayes e i Girodel…" – ammise Oscar severa, la testa in pieno subbuglio, la smania di levarsi di dosso l'attenzione del mondo, il desiderio spasmodico di mettersi a pensare ad André, al suo colpo di testa…

André dov'era…

André, perché…

André, chi era quella giovane…

"Sono casati antichi e prestigiosi…che il figlio dell'una sia servito dal figlio dell'altra…" – tremò la voce, intuendo d'esser riuscita a far breccia nelle granitiche convinzioni del padre, seppure lei non aveva mai tollerato quel genere di discorsi – "Un conto è per via delle nostre cariche militari ma così…".

"Ho capito!" – la interruppe Jarjayes.

Victor Girodel era rimasto immobile.

Anche la sua coscienza prese a ruminare, che a quel punto le geometrie si ridefinivano di nuovo.

Aveva imparato che con l'altra non c'era da abbassare mai la guardia.

Che, in verità, Victor Girodel non aveva calcolato nulla ma l'inaspettata e inspiegabile partenza dell'attendente dell'altra gli aveva offerto l'opportunità d'avvicinarsi a lei.

Non l'aveva mai considerata una persona docile e accondiscendente, Oscar François de Jarjayes, ma nemmeno con la vicinanza era stato in grado di ottenere il suo favore o il suo benestare.

Perché di fatto la vicinanza era stata imposta come un dovere.

Adesso tutto era messo di nuovo in discussione.

Il punto stava nel comprendere quanto Victor Girodel avrebbe abdicato al suo ruolo e quanto Oscar François de Jarjayes avrebbe accettato un altro ruolo…

Quello che Victor Girodel si sarebbe presto risolto a impersonare.

"Tenente Girodel…mia figlia ha ragione. Nella fretta e nell'impossibilità di trovare un valido sostituto ho accettato la vostra gentile offerta…" – esordì Jarjayes, anche se poco convinto.

"Non prendetela come un affronto generale…per me è stato un onore…ma se la mia decisione vi causa imbarazzo…".

"Mi pare opportuno sciogliervi dal vostro vincolo…".

"Generale…".

"Forse il mio ruolo di padre ha prevalso su quello di generale…dovete perdonarmi se vi ho costretto ad accettare la mia debolezza…".

"Tutt'altro…la vostra debolezza è proprio ciò che più vi fa onore…ma se la vostra decisione è presa per il bene delle nostre famiglie…acconsentirò a ritenermi sollevato dall'incombenza di assistere…il Colonnello Jarjayes…".

Oscar François de Jarjayes aveva ottenuto ciò che voleva.

Troppo presa dalla smania di sapere perché diavolo André avesse preso la sua decisione…

André, dov'era…

André, perché…

André, chi era quella giovane…

Sfuggì l'estrema accondiscendenza di Girodel alla richiesta di Oscar e alla conclusione del Generale Jarjayes.

Girodel s'era arreso troppo in fretta, all'apparenza lasciando campo libero all'altra, come incapace d'approfittare della diagonale ormai libera.

Oscar non se ne avvide subito…

§§§

La tenda scostata con rabbia.

Non aveva ottenuto nulla se non una bieca e nebulosa conferma ai suoi sospetti.

Non sapeva dove fosse André, se non che si era arruolato e l'aveva fatto in ragione d'una misteriosa donna, verso cui provava affetto…

Affetto…

Termine docile, evidentemente edulcorato dalla freddezza del padre verso certe sceneggiate.

Chissà che gli aveva detto davvero André a suo padre?!

Si slacciò la cintura, spada e fodero gettati sulla nuda branda, senza una coperta o un lenzuolo.

Un respiro fondo…

L'altra borsa, quella che s'era portata dietro, appoggiata a terra, in un angolo.

Oscar spaziò con lo sguardo a quello che sarebbe stato il proprio alloggio, per quella notte.

Spartano il necessario, abbastanza isolato dal resto dell'accampamento.

Forse prima del suo ingresso era stato una sorta di magazzino per armi e polvere da sparo. Ancora se ne percepiva il sentore nell'aria mentre a terra evanescenti striature nere lasciavano intendere che i barili erano stati fatti rotolare per essere imbarcati.

Armi e polvere da sparo giungevano a Brest via mare, soldati e cavalli via terra.

Altri tre o forse quattro giorni a cavallo…

La candela accesa illuminò la Cassini, tenuta aperta allo scorcio di Bretagna che andava da Saint Malò a Brest.

Gli occhi cercarono la strada…

Quella lungo la costa a nord, forse più sicura ma col rischio d'imbattersi in chissà chi ed essere dunque riconosciuta. Lei a Brest non aveva ragione di metterci piede. Che se qualche malalingua avesse riportato laggiù la sua presenza…

L'onore di Sua Maestà doveva esser preservato ad ogni costo.

Gli occhi presero a percorrere la strada incastonata dentro foreste fitte e scure, il sentiero nero, intervallato dalle stazioni di posta.

Anziché scendere verso sud avrebbe attraversato la regione in maniera obliqua, diretta sulla costa, a costo di farsi strada tra le foreste con il machete.

Che idiozia…

Il proprio compagno di viaggio avrebbe espresso sicura riprovazione.

Ma Oscar François de Jarjayes aveva già deciso.

L'ombra scura che chiudeva il respiro non avrebbe avuto alcuno spettatore.

Intuiva davvero il desiderio di cercare la solitudine, che credeva esser stata compagna esclusiva della propria vita.

Era stato proprio Fersen a domandarle se lei non si fosse mai sentita sola. La replica era stata netta e severa. Una replica un poco assurda, che lei aveva ammesso di non avere tempo di sentirsi sola.

Ma non si può scegliere d'esser soli…

Lo si è o non lo si è, e basta.

La solitudine era parte di sé, intimamente legata alla sua stessa essenza, eppure adesso davvero non sapeva più se lei non si fosse mai sentita sola per via del proprio incarico o per via del fatto che accanto a sé c'era sempre stato André.

Ora era sola…

Sentiva d'esser davvero sola.

Il frusciare della tenda alle spalle indusse l'istintivo gesto di chiudere le carte e nasconderle sotto la giacca appoggiata sul misero tavolino.

Un poco si stupì di vedersi comparire il Tenente Girodel.

S'era immaginata che l'esser stato dispensato dall'incarico, per quanto mascherato dall'ovvia necessità di preservare l'onore del casato dei Girodel, avrebbe tenuto l'altro lontano, almeno quel tanto che sarebbe bastato forse a tentare di smaltire lo smacco.

No, Victor Girodel entrò, un paio di coperte sottobraccio, un cesto in una mano e una scacchiera nell'altra.

"Che diavolo significa?" – sputò Oscar stizzita, che la necessità di restare sola premeva e la coscienza davvero non avrebbe tollerato altre intrusioni – "Credevo che le parole di mio padre avessero definitivamente sgombrato il campo dalla necessità di starmi appresso…non ho mai disprezzato un solo gesto ma…".

"Ebbene…" – Girodel respirò a fondo perché adesso non aveva più alcuna ragione per stare lì, dunque adesso di ragioni ne avrebbe avute da vendere – "Adesso è certo che la mia famiglia non avrà più alcun danno nell'esser io – figlio cadetto dei Girodel – incaricato di attendere alle necessità di Oscar François de Jarjayes, figlia del casato Jarjayes!".

"Ma che diavolo…".

"Debbo ringraziarti per il tuo intervento…e visto che abbiamo accertato che il tuo attendente ha tenuto alto l'onore della famiglia Jarjayes allontanandosi di proposito per non compromettere la vostra integrità di rispettabile famiglia...e debbo dire ciò gli rende merito...".

Oscar davvero si ritrovò senza parole.

"Adesso tutto ciò che compirò sarà affar mio! Tutto dipenderà da me e non più da un desiderio di tuo padre o dal dubbio che il tuo attendente decida di tornare! Non tornerà così presto!" – sentenziò Girodel appoggiando cesto e scacchiera sul tavolo traballante.

Che poi fece un passo indietro, si guardò attorno, recuperò un pezzetto di legno che avrebbe funzionato da zeppetta, s'inchinò solerte a sistemarla saggiando poi la tenuta del povero tavolo che miracolosamente guadagnò un insperato equilibrio.

Oscar si ritrovò trafitta dalla chiosa dirompente, incapace di rassegnarsi, instupidita dal vuoto...

"Bene! Direi ch'è perfetto!".

Che Girodel si mise a tirar fuori il contenuto del cestino, pane, un pezzetto di carne secca, un'arancia…

"Senti…io non ho chiesto nulla!" – sibilò l'altra acida, che non voleva rivelare lo smarrimento e al tempo stesso intuiva il disgregarsi progressivo delle forze.

Cercare André...

Andare a Brest per incontrare Fersen...

"Senti tu!" – che Girodel sollevò gli occhi e per la prima volta s'arrogò il diritto di riservare all'altra un'occhiata severa – "D'ora in avanti ciò che deciderò di fare sarà una mia libera scelta!".

"Ma la tua libertà non può sconfinare nella mia scelta d'arrangiarmi!".

"Giusto! Ma a me non importa! Ho trovato questi…immagino avrai fame!".

"Non t'importa…ma che…Victor…di grazia…".

"Mademoiselle Oscar…di grazia…una mia scelta non implica il vostro consenso. Non mi conoscete davvero a fondo se non immaginate tal genere di contorto carattere. Ma io sono fatto così! Starò lontano, non interferirò nelle tue decisioni…ma permettimi di occuparmi di te…mentre mangiamo…discuteremo del viaggio di ritorno a Parigi…".

Fu costretta a sedersi Oscar, ammettendo che la caparbietà dell'altro induceva un'inaspettata sensazione.

Lei, roccia granitica e solitaria…

L'altro, fervido carpentiere intestardito a costruire un passaggio per giungere…

Dove?

Chissà se la marea sarebbe stata capace di cancellare la striscia costruita dalle mani del giovane ufficiale, facendo ripiombare lei nell'orgogliosa solitudine e l'altro nell'isolamento cangiante di un tramonto madreperla?!

Mont Saint Michel era così, solitario e irraggiungibile.

E lei?

La cena fu sobria e veloce.

Victor Girodel rimase a consumare qualche pezzo di carne, occhi bassi e coscienza impegnata a districarsi nel groviglio di congetture. L'altra era stata abile a sciogliere il nodo dell'impegno che lui s'era preso con il padre. Ora non c'erano più appigli…

Il gioco procedette altrettanto spedito, inaspettatamente capace d'alleggerire la tensione e tenere la mente impegnata, almeno per lo scorcio d'una partita, alle rispettive mosse.

Dietro ogni gesto c'era dunque il tempo per pensare alla mossa successiva e al giorno successivo e alla migliore strategia per ingannare l'avversario.

"Hai in previsione di partire molto presto?" – chiese alla fine Girodel riponendo i pezzi nel cassettino al bordo della scacchiera.

"No…".

"Oh…bene…allora…".

"Ci vediamo domattina…".

Il re in scacco…

Scambio asciutto, quasi ruvido…

Girodel fece per uscire…

"Victor…".

Si voltò l'uomo, sorpreso d'esser appellato per nome…

"Ti ringrazio…".

Scacco matto in una mossa!

Il Tenente Girodel ammise che quando l'altra scivolava nei panni di una donna sapeva essere davvero sorprendente.

Il tono morbido indusse una specie di contrazione, i sensi si ritrovarono ammaliati dalla voce, inusitatamente dolce e lieve, forse malinconica.

S'immaginò Girodel come sarebbe stato, se l'altra avesse potuto vivere come una donna.

Al di là degli abiti o della gestualità o dei vezzi o delle abitudini, Girodel ammise che Oscar François de Jarjayes non sarebbe stata una donna docile, svenevole, pavida.

Sottomessa alla volontà d'un padre o d'un marito, avrebbe comunque mantenuto un fulgido rispetto di sé, capace dell'evanescente slancio d'un mesto ringraziamento.

Punse l'orgoglio…

L'onore fatto a brandelli…

"Non importa…l'ho fatto volentieri…".

La luna di fuori era al culmine. Disco di miele ambrato, inondava il paesaggio di una luce fredda e piatta, disegnando contorni netti ma opachi che degradavano via via scomparendo nell'oscurità della campagna da una parte e del mare nero e buio dall'altra.

Il vento era cessato e l'aria s'era liberata dell'odore aspro della legna arsa nei falò, della carne arrostita, del vino travasato…

Fluttuava continuo e imperterrito il sentore marino, portando con sé l'immagine di luoghi lontani, sperduti e sconosciuti.

"A domani…" – si permise di sperare Victor Girodel, tirandosi su il bavero.

Punse l'orgoglio sulla punta delle dita...

§§§

Salsedine aspra…

Nuvole nere addensate nel cielo a nascondere la luna, dissolta in scaglie argentate cangianti di nebbia…

Vago sentore di rum…

Il bicchiere scolato in fretta…

La mano passata sulla bocca per pulirsi…

Gesto ruvido ma non sgraziato...

La bocca s'aprì di nuovo per afferrare la pelle, morderla e succhiarla…

La bocca s'invaghì dell'incavo del collo, soffermandosi a consumare una specie di vacuo pasto, d'impalpabili contrazioni capaci d'addensare il sangue, rimescolarlo, incendiarlo quel tanto che sarebbe bastato ad ammansire il pensiero fisso dell'amore inconquistato e inconquistabile.

S'imposero le mani sul corpo bianco e morbido, sapientemente adagiato sulla pancia, si da consentire all'altro di penetrarlo ed evitare fastidiose conseguenze.

Non aveva sempre mantenuto tutte quelle precauzioni ma adesso, inspiegabilmente, la mente s'era incupita e s'era risolta alla prudenza. Con ciò non avrebbe rinunciato alla spasmodica ricerca della bieca conquista d'un effimero orgasmo...

Che l'altra era altro.

L'altra era futuro e passato…

L'altra era conquista e disfatta…

Turbinarono nella mente gli status, vittoria e sconfitta, scacciati infine dalla foga dell'incedere, carne tesa accolta da contrazioni sempre più intense e fonde…

Tutto s'annebbiò mescolandosi per poi dissolversi e scomparire in un istante sospeso e nero, in quell'istante di vera disfatta che eleva e colpisce e annienta…

Tutto si perse nel sonno nero e cieco, freddo di lontananza, appena sporcato da un sospiro ardito...

Tutto riemerse entro il tiepido sentore salmastro del mattino.

Il vento insinuato addosso, attraverso il mantello agitato dalla corsa…

Victor Girodel respirò a fondo…

Bussare a una tenda sarebbe stato assurdo, così - un cortese permesso gracchiato a voce un poco alta - si risolse a entrare.

Gli occhi s'adattarono al buio.

La prima stranezza, che a quell'ora l'altra avrebbe dovuto esser già in piedi, fu l'insolito silenzio, l'aria pregna del sentore scuro e aspro della polvere da sparo misto al sapore acuto e fresco di un'arancia sbucciata evidentemente quella stessa mattina.

Il luogo era in ordine, la candela spenta, la branda vuota, le coperte ripiegate ai piedi.

Degno del più solerte e impeccabile soldato…

Che una donna…

Le conosceva le donne, il Tenente Victor Girodel o almeno credeva di conoscerle.

Raramente aveva assistito al gesto di riassettare una stanza da parte di una di esse, una di quelle ch'era solito frequentare ovviamente.

Le incombenze venivano rimesse alle domestiche che, come formiche svegliate di buon'ora, provvedevano a ripulire e riordinare toeletta, lenzuola, armadi, così da rendere presentabile ed in armonia la stanza.

Ma Oscar François de Jarjayes…

Una donna capace di porgere un ringraziamento con lo stesso acume sensuale d'una farfalla che sceglie, tra i tanti, il fiore su cui posarsi, per consumare silenziosa il proprio pasto e poi volar via, dimentica di tutto, libera…

Una donna che non si sarebbe mai fatta scrupolo d'ingannare il prossimo…

"Dannazione!" – l'imprecazione uscì di getto.

Pochi passi fuori, lo sguardo al groviglio di tende e uomini che si stavano risvegliando, i soldati impegnati negli ultimi preparativi…

"Dov'è andato!" – chiese Girodel, afferrando per la giacca un soldataccio che passava di lì, un sacco di farina sulla spalla e un fascio di corde sotto l'altro braccio.

"Chi…".

"La persona che occupava questa tenda?".

"Se n'è andato…".

"Dannazione!" – che Girodel davvero si sentì preso in giro – "Dove?!".

"Questa mattina…era da poco passata l'alba…s'è presentato da noi…ci ha detto di riferire alla persona che sarebbe venuto a cercarlo di leggere la lettera…".

"Quale…" – occhi sgranati, Girodel fece un passo indietro – "Lettera?".

Che l'altro fece spallucce…

Che Girodel rientrò nella tenda e la vide la lettera, misero foglietto appoggiato sul tavolo, accanto al rotolo delle preziose Cassini.

Dunque l'altra aveva lasciato lì anche quelle. Perché?

L'aprì, poche scarne parole…

Ci rivediamo a Parigi.

Ti lascio le mappe.

A me non serviranno.

"Ma dove diavolo…".

Un pugno sul tavolo, l'imprecazione stretta tra i denti…

Che adesso nemmeno sapeva dove l'altra si sarebbe diretta. Sola…

Tornava a Parigi?

Oppure…

La strada pareva perdersi nella boscaglia più folta. A tratti scompariva proprio e allora era necessario fermarsi, attendere, ascoltare.

Di nuovo a orientare il passo furono i suoni, echi di campane provenire da grovigli di casupole immerse nella foresta e unico punto di riferimento il campanile a sbucare dagli ammassi verdi, a rammentare ai paesani ed ai viandanti destinazione e partenza al tempo stesso.

La solitudine a cui tanto aveva anelato.

Quella vera, spessa, cruda, senza scampo.

Non quella dell'anima ma quella del corpo, attaccato al cavallo che trottava oppure galoppava in mezzo ai boschi, schivando rivoli gonfi d'acqua e paludi insidiose ai bordi dei campi coltivati.

L'unico appiglio dunque era l'animale…

Una carezza al collo, una parola sussurrata per confortare la bestia ch'era un poco stanca dopo aver cavalcato per quasi tre giorni, quasi senza sosta, se si eccettuavano poche ore per notte e l'unico pomeriggio in cui un temporale aveva sorpreso cavallo e cavaliere.

L'unico pensiero, quando avrebbe incontrato Fersen…

Lo sguardo puntava su, al cielo, mentre intorno la compattezza di alberi e rovi annerita dal progressivo calare d'un sole nero e tetro, imponeva reverenziale silenzio.

Il nome dell'uomo scorreva nella testa, nella mente gli occhi chiari e lo sguardo severo e un poco malinconico.

Di nuovo Oscar François de Jarjayes avrebbe interpretato il ruolo del messaggero. La notizia avrebbe recato con sé la recisione, forse definitiva, di ogni residua speranza del conte.

Sua Maestà la Regina Maria Antonietta attendeva un figlio…

Il tempo procedeva e il destino divideva inesorabilmente la sorte degli amanti.

Ai sentori asciutti e profumati d'erba e di terra si sostituirono quelli nuovamente salmastri del mare, odore di marcio e legno e corde e sabbia.

Lo sguardo s'arrestò a osservare l'imponente Castello, al di là de la Riviere de Penfeld che tagliava in due il porto di Brest.*

E ancora più in fondo l'Arsenale, adagiato nella rada che sinuosa e fonda proteggeva le fregate ed i velieri da guerra in procinto di salpare.

Alberi asciutti questa volta, dritti e robusti, intrecciati di cordame e vele issate disegnavano il paesaggio, stagliandosi verso l'alto, entro un'intricata geometria, quasi a voler toccare e bucare il cielo gonfio di nuvole bianche e prossime a rovesciare sulla città un nuovo temporale.

Era quasi estate…

Era quasi l'imbrunire…

Non sarebbe stato difficile trovare il quartier generale dove alloggiavano gli ufficiali, tra cui i Dragoni di Svezia, Fanteria Leggera.

Fersen si sarebbe imbarcato sulla nave da guerra Jason…

A piedi Oscar François de Jarjayes prese a inoltrarsi nella folla del porto, intricato di drappelli di soldati, per lo più appartenenti alla Marina Francese, ma anche gendarmi con il compito di controllare chi s'aggirava da quelle parti.

Il nome dell'altro che non sapeva dove fosse alloggiato…

Brest era un porto militare…

"Cerco Monsieur Hans Axel Conte di Fersen, Colonnello dei Dragoni di Svezia…".

Il nome altisonante…

Il cavaliere un poco stravolto dal viaggio…

La richiesta di chiarire la necessità di conferire con l'ufficiale.

"Ho un messaggio da recapitare. Riguarda il suo viaggio in America…".

"..." – ennesima domanda muta.

Oscar comprese che non l'avrebbero fatta passare: "Sentite…vi chiedo di raggiungerlo ed informarlo che c'è una persona che vuole vederlo…".

"Non si può! Non è consentito a estranei d'entrare...".

"Soldato…se hai compreso la mia richiesta…converrai che se informerai l'ufficiale sarà lui stesso a concedermi d'entrare. Non è necessario che declini il mio nome. Se sarò costretto a farlo poi sarai tu a rispondere di questa mancanza! Conosco bene gli ordini sulla sicurezza dell'Arsenale e non sarò certo io a importi di violarli. Non entrerò…ma se spiegherai al conte che è atteso…insomma…".

"Sta bene…".

Il rapido confabulare dei due piantoni indusse una moderata calma.

Il viaggio era stato lungo e piuttosto serrato. Le mani dolevano ed erano un poco arrossate. I guanti li aveva tenuti poco dunque…

Si morse il labbro Oscar François de Jarjayes.

Come una dannazione, il pensiero delle redini riportò all'altro pensiero.

André…

Di nuovo ciò che aveva appreso indusse un'istintiva contrazione delle mani.

La scena vissuta sulla pelle ora si stagliava netta di fronte a sé.

Oscar si vide, spettatrice dello scambio severo tra sé ed il suo attendente d'un tempo. Le redini ammorbidite ficcate dentro il palmo della mano con inusitata altezzosità, incurante di qualsiasi riguardo verso la sua vita, con stizza ripetuta e sbattuta in faccia come un mantra.

Chi si credeva d'essere André?

E dopo…

André che lascia tutto per arruolarsi, per colpa di una donna…

Il pensiero…

Il guizzo…

Arruolarsi…

Il ragionamento indusse davvero i muscoli a contrarsi.

Oscar riprese a camminare nervosamente su e giù, per ingannare l'attesa, per colmare il vuoto.

Era sola, lo era sempre stata ma adesso…

Neppure s'accorse che uno dei due piantoni l'aveva squadrata in cagnesco per poi partire a tentare d'eseguire l'ordine.

L'ospite pareva conoscere bene le procedure di sicurezza, dunque sarebbe stato meglio accontentarlo.

Il tempo parve arrestarsi, che la stanchezza era ormai fonda e l'impietosa missione assolutamente non facile da eseguire.

Il volto di André, la voce…

Fu costretta a scacciarle dalla testa per imprimersi di nuovo le sobrie parole della regina.

E la visione di quella fece riemergere la visione dell'altro…

Oscar François de Jarjayes ammise che rivedere il Conte di Fersen non sarebbe stata impresa facile.

La vicinanza dell'altro aveva preso a insistere nella testa, come un tarlo che lavora imperterrito a minare la solidità del legno, bucando a fondo la sua consistenza, rendendola più fragile e difficile da proteggere.

Si sentiva corrotta, per via di Fersen e per via di ciò che gli avrebbe detto e per come avrebbe reagito.

E ancora perché Sua Maestà le aveva affidato un messaggio importante e lieve…

Il tempo parve arrestarsi. Immersa nei pensieri s'accorse che si era fatto buio. Il porto, presidiato dall'interno, piombava nell'oscurità e nell'immobilità della sera, che alla gente di Brest il passo, in quella zona, era precluso e dunque quella si radunava altrove, a far bisboccia, a inscenare risse e battibecchi.

La testa s'appoggiò al collo del cavallo…

I passi spediti riecheggiarono più intensi nel crescendo del silenzio ch'era calato ora nel porto.

I piantoni si davano il cambio e Oscar vide scomparire quello ch'era rimasto lì a sbarrarle il passo.

"Monsieur…".

Lo sguardo sollevato, riconobbe il primo soldato.

"Potete entrare…il Colonnello Fersen è stato informato di uno straniero che chiede d'esser ricevuto. Al momento è impegnato con altri ufficiali…ma mi è stato detto di farvi passare…".

Un cenno del capo, Oscar annuì ma l'altro sollevò il braccio…

"Se avete armi con voi…".

Una smorfia…

Si che le aveva con sé le armi…

La pistola estratta e consegnata al dannato piantone.

"E le borse?".

"Ci sono solo indumenti…potete controllare…".

"No…va bene…".

Fare anticamera non le era mai piaciuto.

Attendere non le era mai piaciuto.

Aveva sempre pensato che l'attesa fosse tempo perduto, inutilmente scorso, senza combinare nulla, fosse stato anche semplicemente dormire o allenarsi o…

L'atrio era spartano, arredato come un qualunque edificio che ospitava ufficiali e sottufficiali.

Il vezzo d'una tavola di radica, tendaggi spessi alle finestre, qualche stendardo, il camino ben rifornito di legna, un servizio da tè in porcellana adagiato su un tavolino.

Stare lì era una follia…

Non aveva molte conoscenze nella Marina Francese ed era noto che la gerarchia degli ufficiali era molto ristretta. Si conoscevano tutti e molti di quelli conoscevano le gerarchie degli ufficiali dell'esercito.

Il vociare dal fondo del corridoio s'intensificò, segno che la riunione era terminata.

La porta si spalancò.

Le dita fremettero e davvero Oscar sentì l'impulso di alzarsi e scansarsi dalla saletta d'attesa da cui molto probabilmente sarebbero transitati gli ufficiali riuniti.

Un guizzo, la prima porta alla sua sinistra. L'imboccò senza pensarci su…

Un respiro fondo…

L'oscurità nera della stanza appena rischiarata da una luce fioca…

L'oscurità nera, screziata di soavi fragranze, mughetto forse o rosa o camelia…

Non era luogo per lei...

"Monsieur…".

La voce alle spalle indusse a voltarsi.

Intravide sei giovani donne comodamente sedute in divanetti, abbigliate in modo sontuoso ma non eccessivamente ricercato.

Più che abbigliate, parevano discretamente svestite, le scollature più o meno generose, sapientemente contenute ed esaltate da busti stretti abbelliti da merletti e pizzi, le braccia scoperte, le gambe coperte da candide calze abbellite da fiocchi.

Chissà se quei fiocchi stavano lì per impreziosire il tutto oppure...

Una di quelle si alzò avvicinandosi…

"Prego…".

Il fare pareva cortese e flautato, i modi aggraziati. Il fine abbastanza evidente. Oscar comprese.

L'abbigliamento non avrebbe tradito lei ma la foggia di quello dell'altra parlava da sé.

"Perdonate mesdames…credo d'aver sbagliato…".

Neppure il tempo di scusarsi e riprendere la via di fuga che la porta s'aprì di nuovo e il corpo s'impietrì alla vista del gruppo di uomini che vociando e ridendo, mostrine al petto, mustacchi sulle guance, avanzava baldanzoso, evidentemente in cerca di ciò che le fanciulle avevano appena tentato d'offrire al primo ospite che aveva varcato la soglia.

Gli occhi del gruppo corsero all'estraneo, quelli dell'estraneo al gruppetto.

La reciproca diffidenza s'innalzò, che però, le donzelle, alla vista degli ufficiali, s'alzarono tutte, garrule e invadenti ad afferrarne almeno uno a testa e portarselo a braccetto nel proprio angolo.

Una specie di guerra tra le poverine ad accaparrarsi il più alto in grado, il meno vecchio, il più affascinante, forse il più ricco, ma in questo caso ci sarebbe voluto un po' a comprenderlo.

Una fanciulla rimase immobile, quasi in attesa, ch'evidentemente chi cercava non era ancora giunto.

Che Oscar fece in tempo a scansarsi e a fare un passo per sgusciare via…

Che Oscar tentò di scappare…

Che le parole gli morirono in gola, perché lei lì non avrebbe dovuto esserci, dunque lei lì avrebbe dovuto fingere di non conoscere nessuno.

Che però lei, il Conte di Fersen lo riconobbe, e l'altro, di contro, riconobbe lei e fu lì lì per apostrofarla…

Che Fersen, anche lui si morse il labbro…

"Madem…".

Gli occhi spalancati dell'altra indussero il conte a zittirsi, alle spalle il vociare sommesso e vizioso delle coppie che s'erano scelte, si smorzò, come catturato dalla ben più appetitosa visione del giovane ufficiale svedese ch'era entrato e si era trovato di fronte chissà chi, probabilmente conosciuto.

La fanciulla no, quella era rimasta lì, lo sguardo un poco torvo all'indirizzo dei due che evidentemente si erano incontrati, che forse davvero si conoscevano…

Un respiro fondo, Fersen si passò una mano tra i capelli. Un'occhiata severa e veloce alla stanza in penombra, ricambiata dall'occhiata lasciva e soddisfatta dei compari, che erano riusciti nell'intento di trovare la compagnia adatta per proseguire la serata.

Oscar comprese, lo sguardo rimase fisso a quello del conte che per parte sua sussurrò poche parole, una specie di scusa che in ogni caso lei sarebbe stata capace di comprendere benissimo da sola.

L'altro era un soldato ma anche un uomo.

Lei era pur sempre una donna.

In quel caso, le parole avrebbero avuto duplice effetto…

"Prima della partenza…agli equipaggi viene consentito…" – abbozzò il conte.

"Di divertirsi…" – annuì Oscar, concludendo la frase – "Conosco le pratiche prima di una battaglia e credo che prima di un viaggio così lungo e pericoloso, non sia dissimile concedere una certa libertà…".

"Voi…" – balbettò Fersen, non troppo imbarazzato, che la dimestichezza dell'altra con certe pratiche e certi ambienti, da una parte lasciava interdetti ma dall'altra confortava.

Una qualsiasi altra donna avrebbe storto il naso apparentemente un poco schifata, più che altro perché il divertimento insano messo lì, sotto il naso, non sarebbe stato appropriato.

Anche se poi certe pratiche non erano disdegnate neppure dalle nobildonne.

"Dovrei parlarvi…" – tagliò corto Oscar.

"Non qui…" - convenne Fersen allargando il braccio destro così da indicare la strada.

Un cenno, Oscar fece un passo…

La damina, dal fondo della stanza, stavolta intese che la serata non sarebbe andata come lei aveva sperato. Che anche lei fece un passo dunque…

"Monsieur!" – gridò angosciata a richiamare l'altro…

Oscar proseguì, che l'appellativo non era rivolto a lei, che lei lì non conosceva nessuno. Immaginò che il destinatario della richiesta fosse il conte, perché la giovane s'avviò verso di lui, afferrò il braccio, lieve ma ferma, e corse agli occhi, a supplicare di non andare e…

"Mi spiace…ma ho un ospite che deve conferire con me…" – replicò secco l'uomo, il tono tra il compassionevole e l'infastidito, chissà forse di veder sfumare una serata lieta prima d'imbarcarsi per l'America o forse perché accadeva che proprio Mademoiselle Oscar François de Jarjayes si fosse ritrovata ad apprendere tale risvolto della vita del nobile ufficiale.

"Monsieur…avevate promesso…" – tentò d'obiettare la giovane.

Fersen respirò a fondo.

Oscar ascoltò il freddo nervosismo dell'altro che tentava di rimediare all'imprevisto.

Chiuse gli occhi. Il Conte di Fersen avrebbe trascorso la notte con quella giovane.

Anche se il conte aveva ammesso di amare la regina al punto d'abbandonare la Francia e la regina stessa per evitare il dilagare dello scandalo…

Improvvisamente Oscar François de Jarjayes si ritrovò sull'orlo d'una strana voragine, divisa tra l'essere un soldato e essere una donna.

Mai come in quel momento era accaduto. Mai prima di allora…

Mai così forte udì lo strappo, nelle viscere…

Comprese di non essere un soldato, in quel frangente, che, per assurdo, lei lo sapeva bene che i soldati prima di salpare o scendere in battaglia hanno necessità d'annegare il dolore del distacco, l'angoscia della perdita, il tarlo della lontananza e forse anche quello della morte, nel calore di un altro essere umano, foss'anche il corpo d'una sconosciuta.

Ma proprio perché non era un soldato, la visione s'impose acuminata.

Colse una sorta d'immagine di sé, imprigionata fugacemente in uno specchio dalla superficie sbilenca, capace di riflettere la parte meno nobile di lei, quell'essere donna che tanto lei rifuggiva, per dovere, per educazione e forse perché essere una donna sarebbe stato faticoso.

In quel momento più che in qualunque altro momento.

Pensò come una donna…

Si stizzì, che s'intuì tale.

Fosse stata davvero un uomo, per di più un soldato, avrebbe compreso e accolto e accettato la visione.

Fosse stata davvero un uomo, un soldato, gli avrebbe pure rifilato una pacca sulla spalla all'altro, invitandolo a proseguire la serata, che gli affari di Stato avrebbero potuto attendere.

Ma una donna…

"Conte…sarà questione di poco…" – abbozzò Oscar, quasi a scusarsi.

"Non sia mai! Se siete arrivato sin qui!".

Il genere declinato al maschile fece sussultare Oscar.

Fersen aveva preferito non rivelare che lei era una donna, chissà forse per non insospettire i presenti oppure non ingelosire la fanciulla.

Che si sa, una donna messa in disparte potrebbe esser capace di tutto.

Meglio che l'altra avesse pensato d'aver come rivale un ufficiale pari grado piuttosto che una donna…

Che una donna messa da parte per colpa di una donna…

I passi avanzarono cauti nel buio, nell'aria sentori di carne arrosto, misti alle note un poco metalliche e fruttate dei chiodi di garofano, aggrovigliati a istanti d'imbarazzante silenzio rotto a tratti da risate a quattro ganasce, bestemmie e rutti…

Il conte camminava un passo avanti…

L'ospite un passo indietro.

Il conte immerso in pensieri acuti e un poco angosciati, forse a ragionare come offrire all'ospite un alloggio degno del rango e…

L'ospite lì a fare i conti con la propria natura, quella d'una donna che aveva solcato miglia e miglia per riportare un messaggio segreto della regina di Francia all'uomo che quella amava.

Quello stesso uomo che, per natura o disperazione, o per via d'entrambe le condizioni, avrebbe continuato a vivere la sua solitudine annegandola forse tra le braccia di altre donne.

Pungeva il pensiero e a mano a mano che esso avanzava, di contro, montava la rabbia ed al tempo stesso la compassione e con essa la comprensione.

Fersen era un uomo…

Era un soldato per giunta…

Gli occhi si sollevarono, attratti da un gruppetto di commilitoni che avanzava sbracato e ridanciano.

Manate sulle spalle, scommesse sbraitate, sibili e sberleffi.

Non indossavano uniformi ma la chiacchiera rozza era davvero inconfondibile...

Soldati che probabilmente erano in libera uscita. Facile dedurlo dalla sgraziata allegria, come di chi deve per forza esserlo per non ritrovarsi il volto imbiancato dal terrore di morire.

I passi li avrebbero forse condotti ad annegare l'angoscia latente per la partenza in qualche bettola, di quelle che costellavano la fila di edifici proprio di fronte al mare, ultimo baluardo del calore umano e dell'abbraccio di una donna, prima che il mare inghiottisse la vita di quelli per i mesi a venire.

Oscar voltò lo sguardo contro le mura sbrecciate d'un sghembo magazzino.

I soldatacci s'ammutolirono al passaggio del conte, evidentemente era conosciuto.

Zitti passarono oltre, che uno di quelli si sgranò dal gruppo, rallentando il passo, il corpo teso e lo sguardo fisso ai due personaggi che proseguirono di buon passo.

Brezza di rose e note di gelsomino…

Acuto acciaio capace di mozzare il respiro…

Nero incedere della notte intrecciato alle ciglia brune...

Una risata grassa e rozza spezzò la fugace visione…

Il cuore davvero si perse questa volta, che era lei…

Lei era lì…

Lei…

Lì, a Brest!

Che ci faceva…

Lì, un passo dietro al Conte di Fersen…

Impossibile fermarla, chiamarla…

Era lei…

Il nome inghiottito quasi strozzò il respiro.

Credeva d'aver messo abbastanza miglia tra sé e lei.

Invece lei era lì…

Anche se in fondo sapeva bene che nemmeno un oceano avrebbe potuto mettersi in mezzo, tra sé e lei.

"Siamo arrivati!".

Lo sguardo si alzò a spaziare la facciata d'un edificio solido e scuro, le finestre al piano terra illuminate, poi via via scure e buie ai piani superiori.

Quattro piani per l'esattezza.

Una dimora quasi principesca se si considerava che si era nel cuore del porto di Brest, stretta tra costruzioni enormi, a fungere da riparo per le navi più massicce, a cui necessitavano nuove bitumazioni o rammendi di vele e sartie, e altri edifici istoriati di manifesti e locandine, probabilmente sede di scambi di merci e prodotti che giungevano o partivano dal porto.

Tutto buio, tutto chiuso, se si eccettuava un minuscolo ufficietto dove forse ancora si trattava delle scorte da imbarcare per consentire agli equipaggi di non morire di fame prima d'essere giunti nelle terre d'oltre oceano.

"Venite…perdonate…vi farò preparare una stanza…non è il caso d'andare in giro a cercare alloggi a quest'ora…ho già dato ordine di andare a prendere i vostri bagagli…".

"Sono spiacente…".

"No…Oscar…conosco il vostro valore…" – ammise Fersen – "Se siete giunta sin qui…temo solo ciò che siete venuta a recare…".

Fersen si fermò, in mezzo alla stanza.

Lei era alle spalle, un passo indietro. Pensò con fugace delusione che l'altro non aveva ammesso altri scenari, se non che lei, il Colonnello Oscar François de Jarjayes, fosse lì per qualche seria ragione.

Che lei, il Colonnello Oscar François de Jarjayes fosse giunta sin lì perché forse amava il Conte di Fersen…

Non era scenario ammissibile…

Impossibile…

"Ci sono cattive notizie?" – chiese Fersen sulle spine, senza voltarsi – "Dalla corte…".

Oscar perse il respiro…

Poi, istintivamente, la coscienza leggera e libera e lieve, ammise che no, un bambino concepito e che dunque giungerà a vivere non può essere una cattiva notizia.

No, nemmeno se quel bambino rappresenta la salvezza per la Regina di Francia ed al tempo stesso la fine della speranza per colui che ama follemente la Regina di Francia.

"No…credo di no…" – ammise neutra – "Se volete…".

Avrebbe voluto parlare subito, togliersi il peso, appropriarsi dell'istante…

Il ruolo di messaggera non le si addiceva, si sentì inspiegabilmente sollevata e triste e…

"No…allora…perdonate...sarete stanca per il viaggio…" – l'interruppe Fersen – "Vi faccio preparare una stanza. Avrete necessità…".

Un respiro fondo, di cosa avrebbe avuto necessità un soldato: "Acqua?".

"Va bene…".

"E si…immagino avrete fame…".

"Conte…".

Fersen fece un passo, per spostarsi, allontanarsi.

Per assurdo quella che recava l'altra non era una cattiva notizia, ma vai a capire come intendere nelle intenzioni del Conte di Fersen una cattiva notizia piuttosto che una buona.

"Ci vedremo più tardi!" – tagliò corto l'uomo e sparì, inghiottito da stanze buie e un poco odorose di carne arrostita. Forse le cucine…

Oscar si ritrovò al piano superiore. La stanza buia conobbe il chiarore d'un paio di sparuti candelabri che disegnarono la geometria di pareti grezze, un letto senza baldacchino, coperte di lana ruvide, una brocca vuota di porcellana.

Si aggiunsero, portati da un'anziana domestica, due teli e un secchio d'acqua tiepida ed un pezzo di sapone altrettanto ruvido, recuperato chissà dove.

L'acqua calda strappò al saponcino un vago sentore di lavanda, forse le striature scure erano proprio sparuti fiorellini scuriti dal tempo e dalla macerazione, rimasti imprigionati nella massa grassa e bianca.

Gli occhi si posarono alla borsa di cuoio ch'era stata recuperata.

Misero bagaglio preparato in fretta.

Solo che dentro non c'era vestiario adatto a lei. Non aveva portato nulla per sé. Gl'indumenti non erano suoi.

Oscar accarezzò la fibbia della cintura che chiudeva la borsa.

L'aprì e le dita affondarono nel tessuto candido e lieve di alcune camicie.

Ne spiegò una, la stoffa fredda s'appoggiò alla pelle nuda, appena odorosa di lavanda.

Non avrebbe cavalcato per il resto della giornata, dunque non avrebbe avuto necessità d'indossare altro.

Seduta sul misero lettino, attese che il corpo riprendesse il senso di sé e i muscoli allineassero fibre e forze verso il prossimo colloquio.

Attese, e mentre attendeva poté ascoltare il calore del proprio corpo restare imprigionato nel tessuto spesso e forte della camicia. Era la camicia di André.

Prima di partire per Saint Malò ne aveva fatte preparare alcune, d'accordo con nanny, così da infondere alla governante almeno la speranza – casomai la sua padrona fosse riuscita a trovare lo scapestrato nipote – di poter offrirgli quegli indumenti, ovunque lui fosse stato e in qualunque situazione si fosse cacciato.

Esile stoffa a fungere da esile filo tra sé e l'altro.

"Conte…non mangiate?" – chiese seduta a tavola, pochi bocconi di carne nel piatto, mentre quello dell'ospite era pressoché vuoto.

Negò il Conte di Fersen, un mezzo sorriso di compatimento, chissà se verso di sé o verso la propria vergogna, che un uomo avrebbe voluto sapere subito, avrebbe preteso d'esser messo al corrente di ciò che stava accadendo, nell'immediatezza in cui avesse saputo che qualcosa stava accadendo.

Oscar appoggiò le posate.

Un respiro fondo…

Lo sguardo si sollevò a quello del conte e l'altro si zittì…

"Sua Maestà…".

"Sta bene?" – l'interruppe Fersen a bruciapelo.

"Si…per quel che ne posso sapere io e per quel che mi è dato intuire…credo stia bene…l'ultima volta che l'ho vista era serena, lo sguardo era lieve, gli occhi sorprendentemente brillanti…".

Inusuale e fulgida la descrizione di una donna da parte di una donna che però aveva sempre indossato i panni d'un soldato.

Fersen si scurì in volto, le sopracciglia s'aggrottarono in una posa contratta, come a domandarsi come fosse stato possibile che la separazione avesse prodotto nella donna amata una sorprendente serenità.

"Sua Maestà attende un figlio…" – ammise Oscar François de Jarjayes senza girarci troppo intorno, come a sollevare l'altro dal dubbio ma al tempo stesso infliggere presto e subito la stilettata.

In quell'istante…

Silenzioso e subdolo s'insinuò il pensiero greve che lei era una donna e stava rivelando a un uomo -colui verso cui lei stessa provava affetto - che la donna che quell'uomo amava era incinta.

Di un altro uomo.

Ruoli e titoli e ragioni di stato in quell'istante scomparvero e lei si ritrovò a essere come un alberello spoglio perso in mezzo alla nebbia a contemplare altri alberelli spogli come lei.

Silenzio…

Lo sguardo del conte si sgranò.

Oscar rimase zitta, un istante, anche lei, accogliendo la reazione dell'altro, permettendosi di studiarla per comprendere.

L'onore di Sua Maestà la Regina di Francia era lì, nelle sue mani e nella reazione dell'altro.

Sorpresa…

Inusitata sorpresa…

Fersen non sembrò né adirato né angosciato, quanto sorprendentemente sorpreso.

"Sua Maestà…".

"Maria Antonietta è in attesa di un figlio. La notizia era e deve restare segreta. Almeno per qualche tempo. Per evitare che su Sua Maestà si addensino pressioni o chissà quali maldicenze…".

Lo sguardo si fece insolitamente freddo, degno di un soldato ma anche degno di una donna, la più fedele delle amiche.

Maria Antonietta non aveva chiaramente spiegato i motivi per cui la notizia della sua gravidanza sarebbe dovuta restare segreta.

Il Colonello Oscar François de Jarjayes era abbastanza abile da comprenderlo da sola.

Come soldato e come donna…

Era quest'ultima visione che adesso sorprendeva Oscar stessa.

"Sua Maestà attende un figlio…" – ripeté Fersen, come rapito dalla sorprendente notizia.

Silenzio…

"Sua Maestà…sta bene?" – chiese di nuovo.

"Sua Maestà è felice…" - ammise Oscar François de Jarjayes, avanzando d'un passo sulla visione dell'altro, come a rimarcare adesso la recisione completa di qualsiasi speranza.

Nessun rimpianto, nessuna recriminazione.

Al Conte di Fersen non sarebbe mai spettato nulla in quanto amante, forse neppure la consolazione di restare un dolore nascosto nel fondo dell'anima.

L'anima ora si sarebbe colmata della presenza d'un figlio, capace forse di scacciare per sempre la visione dell'amante perduto.

Cosa sarebbe stato preferibile dunque per un amante…

Essere dolore perpetuo oppure essere scacciato dalla mente e dal cuore così che l'amante sarebbe tornata ad essere felice?

"Sì, posso immaginarlo…" – ammise Fersen contratto alle parole di Oscar – "E' la Regina di Francia…il suo ruolo…".

Venne scomodata dunque la visione più pubblica e severa della faccenda.

"Conte di Fersen…Sua Maestà voleva che voi lo sapeste…prima di altri. Mi ha incaricato di dirvi che lei è felice adesso…".

"Si…".

"E che vorrebbe che anche voi lo foste. Non desidera che ciò che accadrà possa nuocere alla vostra reputazione…".

Si permise dunque, Oscar François de Jarjayes, di rivelare il segreto intendimento di Sua Maestà.

Non solo regalare all'uomo che amava una simile notizia ma generare attraverso di essa la recisione della speranza e al tempo stesso la liberazione e dunque la possibilità che quell'uomo potesse a sua volta cercare la propria felicità.

No, Fersen comprese ma non volle accettare la visione.

L'affetto e il senso di devozione si mescolarono alla devastante visione della donna che amava, moglie del Re di Francia e futura madre forse del prossimo Re di Francia.

"Dio…lei si preoccupa per me…sono io che ho sbagliato…io l'ho esposta allo scandalo e lei si preoccupa per me…".

"Se avete altro da riferirle…" – tagliò corto Oscar.

Fersen si alzò in piedi.

Allo stupore iniziale, seguito da un insolito moto di compassione, seguì un cenno dolente e scuro…

"Potete dirle che ho compreso e che sono immensamente felice per lei e che auguro di tutto cuore che questo figlio potrà renderla felice e orgogliosa di essere la Regina di Francia…posso chiedervi di riferirle questo…"

"E sia…".

Parole nette e fonde.

I pugni si strinsero ancora di più, che il volto dell'uomo si girò per non esser visto dall'altra.

La voce tradì lo schianto…

Amare una persona oltre il proprio destino e quello dell'altra che si sarebbero separati per sempre. Anzi, forse erano sempre stati separati.

Il destino reale non quello del cuore…

Ma il cuore fatica a comprendere, il cuore è capriccioso e insolente come un bambino.

Il cuore vuole tutto…

Si voltò di nuovo Fersen, gli occhi un poco lucidi, quasi ebbri di folle dolore abilmente mascherato dal senso di devozione.

Troppo grande lo struggimento.

Così, com'era accaduto nel passato…

"Adesso comprendo perché la regina ha chiesto a voi di venire sin qui…".

Oscar si stupì, rimase a guardare l'uomo…

"Un tempo vi chiesi se non vi sentivate sola…se avreste avuto intenzione di vivere la vostra vita…senza conoscere le gioie che conoscono le donne…vestirvi come loro...rammento la vostra risposta...siete stata cresciuta come un uomo per seguire le orme di vostro padre…il Generale Jarjayes…e che non vi siete mai sentita sola…".

Colpirono nel segno le parole che adesso Oscar ammise non era più così.

Aveva sperimentato la solitudine, se l'era imposta annidandola entro le pieghe del cuore, ricercandola in quel viaggio severo e solitario, come a rammentare a se stessa che lo era sempre stata ma che quella solitudine non dipendeva dal fatto che André non c'era più.

S'era sforzata d'imporsi quella visione…

S'irrigidì Oscar…

Colpì il pensiero…

André non c'era più.

S'avvicinò Fersen…

Prese la mano dell'altra…

Un guizzo…

Strinse la presa…

Oscar s'immaginò di dover reagire e staccarsi ma le parole colpirono ancora di più.

Dunque era quella la vera reazione del conte.

Apparente distacco e amabile e superficiale felicità per la sorte che il destino aveva riservato alla donna amata ma nel profondo…

"E che eravate felice…Oscar avete detto proprio così! Com'era possibile…ditelo anche a me! Come fate a non sentirvi sola…vi prego…devo saperlo…o impazzirò!".

Dannazione…

Essere una donna…

Pensare e sentire come una donna…

Che una donna avrebbe dovuto saperlo che diavolo rispondere…

Fersen strinse la mano…

La strinse forte e la tirò a sé, piano, avvicinandola alla bocca, appoggiando le labbra al dorso della mano in un gesto d'inusitata e folle disperazione.

Dunque il senso di devozione non sarebbe stato capace di colmare il vuoto, il senso d'abbandono, la recisione.

Lui per primo aveva deciso di allontanarsi dalla regina.

Adesso, sapere che lei attendeva un figlio…

La gioia non sarebbe stata in grado d'arrestare la disperazione…

Oscar tentò di forzare la mano per liberarsi dalla presa ma l'altro strinse, forse in un moto d'egoistica disperazione cacciata lì, nell'esile consolazione d'avere una mano da stringere, forse una mano qualsiasi, forse no, forse davvero quella d'una persona che conosceva tutta la storia e che non l'aveva mai giudicato.

Lì, la mano stretta nella mano dell'altro, Oscar intuì cosa avesse significato dunque la solitudine…

Non quella dei grandi eroi e dei magnifici miti…

Non quella dei cantori erranti…

No…

La solitudine del corpo isolato e vuoto.

La solitudine della carne che vuole solo respirare un respiro altro dal proprio e volgere lo sguardo verso uno sguardo diverso dal resto del mondo estraneo…

Forzò…

Un istante…

La mano rimase lì.

La forza imbrigliata dalla disperazione del Conte di Fersen.

"Sua Maestà…" – tentò d'abbozzare Oscar che adesso si vide e comprese cosa sarebbe accaduto. Non era più messaggera - "Sua Maestà…io credo abbia a cuore la vostra felicità…ma lei è la Regina di Francia…".

"Non è necessario rammentarmelo…lo so molto bene. Io…vorrei saperlo da voi…non avete risposto alla mia domanda…" – Fersen sollevò lo sguardo, la mano stretta alla mano dell'altra – "Vi ammiro Oscar…perdonami…ti ammiro…".

Sorprese il passaggio...

L'istante…

Il guizzo…

Fersen forzò un poco la presa e voltò la mano appoggiando il palmo al viso, che lei conobbe dunque, finalmente, il senso dell'altro, almeno quel poco che il contatto riuscì a regalare.

Ascoltò la statica e meravigliosa sensazione d'essere sul volto di un uomo…

Comprese dunque d'aver portato disperazione all'altro, ritrovandosi un poco stranita all'idea d'esser proprio lei, lì, attraverso quel banale contatto, a esser lei stessa, consolazione.

Ci aveva pensato spesso…

Non avrebbe mai immaginato sarebbe stato così.

Oscar François de Jarjayes non riuscì a rispondere perché le parole di un tempo non sarebbero state più valide.

"Perdonatemi…" – la resa fu lieve e sorprendente al tempo stesso.

"Per cosa?" – chiese Fersen sorpreso.

"Avete rammentato le mie parole di un tempo…".

"Ti prego…ormai è tutto così lontano…io sono lontano da lei…vorrei…vorrei poter parlare liberamente…con te…".

Silenzio…

Annuì Oscar…

"Perché dunque mi chiedi perdono?" – chiese il conte – "Le tue parole di allora sono state piene di coraggio!".

"Si…ma io sapevo ciò che voi…" – s'interruppe Oscar, forzò la coscienza a cedere alla tacita richiesta del conte – "Io sapevo ciò che provavi per lei…e importi di lasciare la Francia…".

"Si…ma non sempre le ragioni del cuore coincidono con la ragion di stato…ormai l'ho capito…".

"Le ragioni del cuore…" – ripeté Oscar incapace di restare sul volto del conte – "Ecco dunque perché devo chiederti perdono. Il mio gesto e le mie parole di allora non erano dettati dal cuore ma dal dovere...da nere ragioni di stato".

"L'avevo inteso…ma adesso…anche ora la tua vita è dettata dalle medesime ragioni?!".

Eruppe la domanda…

Una specie di saetta che abbaglia e scuote i muscoli e la coscienza, imponendo d'alzare la guardia di fronte all'avanzare della tempesta, che potrebbe nuocere, in ogni caso scuotere dal torpore, modificare le geometrie…

Con essa, implacabile s'impose il ricordo di quel giorno…

Alle ragioni del cuore s'erano aggrovigliate le ragioni di stato.

Di ritorno dalla visita al Conte di Fersen…

Il ricordo costrinse Oscar forzare la presa dell'altro.

Il ricordo eruppe…

I polsi stretti dalle mani di André, il corpo di André, gli occhi atterriti di André che le imponeva di non cedere alla rabbia.

Negli occhi di lei, la pozza di sangue che macchiava implacabile il selciato polveroso d'una strada di Parigi.

Il sangue d'un bambino ammazzato lì, come un cane, da un nobile disumano…

Le mani, le sue mani...

Le sue dita a stringerla...

Colpì il ricordo capace d'annullare per un istante lo smarrimento generato dalla presenza del Conte di Fersen.

A differenza di quel giorno però, in cui lei stessa aveva chiesto a Fersen di lasciare la Francia per il bene di Maria Antonietta, divenuta Regina di Francia, Fersen adesso era lì e…

"Resta…" – abbozzò il conte…

Restate…

Come quella sera…

Che Fersen spiegò: "Stavolta…non credo potresti andare altrove…sei un eccellente ufficiale ma…".

Fersen impose di sollecitare l'orgoglio dell'altra ma anche il buon senso.

Resta…

Oscar s'ammutolì…

Nel silenzio Fersen insinuò la chiosa finale, sorprendente e incredibile, senza neppure saperlo.

"E' pur sempre un accampamento questo! Anche se distribuito per tutto il porto! Ci sono soldati ovunque…non passeresti inosservata…nemmeno vestita così!".

"Sono una donna…non sarebbe sorprendente per me!" – rispose l'altra infastidita.

"Potresti avere delle noie…se ti mettessi a camminare per le strade…siamo già in due a conoscere la tua vera identità!"

"Due…" - il respiro sospeso, aveva fatto attenzione a non farsi riconoscere - "Due hai detto?".

"Si due! Ma non te ne sei accorta?! Pensavo ne fossi al corrente?!".

"Due?! Che intendi…" – chiese quasi senza respiro…

"Io e…l'ho scorto prima…mentre rientravamo a casa. Pensavo l'avessi riconosciuto…il soldato André Grandier!".

"Il soldato…André è qui…André…".

Il nome ripetuto…

Il conte un poco sorpreso dalla sorpresa dell'altra…

"Credevo lo sapessi…".

"No!".

Evidentemente agli occhi del mondo era tutto perfetto e invece no, dunque non tutto era così scontato…

Oscar l'ammise e di nuovo punse l'orgoglio…

E chissà che altro…

"Dove si trova?".

"Non so di preciso dove alloggi. Ma…l'abbiamo incrociato poco fa. Forse nemmeno lui ti ha visto…altrimenti credo si sarebbe fermato…".

Spiegazione logica…

Ormai la logica non funzionava più.

André si era sottratto a qualsiasi confronto. Era partito senza concedere uno straccio di spiegazione.

Oscar aveva impiegato settimane per ottenere qualche sparuta ammissione da suo padre.

Dunque sarebbe stato possibile che André non l'avesse scorta.

Ma sarebbe stato altrettanto plausibile che, avendola scorta davvero, lui avesse fatto finta di non vederla…

"Dannazione!".

Eruppe l'imprecazione, le mani a sistemare il colletto della giacca, il bavero alzato e richiuso, la posa protratta a fiondarsi fuori…

"Non vorrai uscire a cercarlo?!" – domandò Fersen un poco stranito parandosi davanti – "Non è davvero il caso…".

"Che ci fa qui a Brest?" – che il respiro incespicò nella terribile ipotesi.

"E' chiaro…partirà per l'America…si è arruolato per questo…".

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