Bordeaux
"Ehi!? T'è caduta la lingua nel vicolo? Che t'è preso Grandier? Hai visto un fantasma!?".
Risate smargiasse e un poco ebbre accompagnarono la chiosa del soldataccio che a sua volta accompagnò l'affondo con una manata sulla spalla della malcapitata vittima dello sproloquio, seduto in disparte, muto, quasi avesse davvero visto un fantasma.
"Lascialo in pace Marcel!* Si vede che il nostro soldato triste non ha trovato la giusta compagnia…e domani si parte!" – sputò Dante*.
"Nessuna fanciulla di suo gradimento?!" – rincarò suadente Gustav*.
"Dubito si tratti di fanciulle!" – ci tenne a sottolineare Marcel, imponendo allo sguardo degli astanti, intenti a ridacchiarsi addosso l'un l'altro, a sollevarsi un poco dubbiosi e sorpresi, che l'affermazione in sé era alquanto singolare.
Che così fece anche il diretto interessato, colpito dalla chiosa, la gola asciutta...
Il soldataccio stavolta, anziché mollare una pacca sulla spalla dell'altro, s'avvicinò abbracciandolo per le spalle, mimando una posa aggraziata a dispetto delle braccia irsute e la faccia rubiconda e ilare.
"Ti ho visto sai come ti sei girato prima!" – sibilò Marcel suadente.
Sussultò il soldato, quello silenzioso, che avrebbe voluto liberarsi dalla presa ma l'affondo aveva colpito nel segno.
Che diavolo intendeva l'altro…
"Sì…mentre passavamo accanto a quel bellimbusto d'un nobile svedese…e dietro a quello c'era un tizio! Uh…anche a me pareva davvero bellino! E allora…tu sei rimasto indietro…t'ho visto come l'hai squadrato…abile…senza farti notare!" – concluse Marcel, ghigno di compatimento misto ad ammissione che l'ultimo arrivato non era poi così sprovveduto.
Il freddo corse nelle vene…
Lui l'aveva scorta…
Lei no o forse sì ma non aveva avuto il coraggio d'avvicinarsi.
In fondo lui se n'era andato senza uno straccio di spiegazione, a troncare ogni sussulto di recondito affetto da sempre scorso tra loro.
Lei avrebbe avuto mille ragioni per passare oltre e fingere di non vederlo.
Un passo dietro al conte…
"Non dirmi che sei uno a cuile belle fanciulle non danno da pensare!?" – chiosò Marcel – " Nulla in contrario alla questione…per me potresti scoparti chi ti pare…ma mi permetto…fossi in te…mi darei da fare…quel tizio pareva proprio preso dal conte…non è che lo dava ad intendere…ma insomma…gli stava dietro…".
"Stai dicendo solo sciocchezze! Sei ubriaco! Quello non m'interessa!" – la reazione esplose non tanto inaspettata seppure contratta, nemmeno era chiaro se per difendere il proprio onore, oppure l'onore di quell'altro, quello che i soldati avevano incrociato poco prima nel vicolo del molo di Brest, poco lontano dall'edificio che ospitava alcuni ufficiali che sarebbero salpati il giorno successivo a bordo della Jason.
"Eh…chi disprezza compra! Diceva mio nonno!" – redarguì Marcel finalmente ringalluzzito dalla reazione della malcapitata vittima – "E secondo me…da come ti sei voltato a guardarlo…tanto lo disprezzi quanto te lo faresti uno così! E sì, direi che quello potrebbe esser capace di consolarti in vista della partenza…".
"Senti…".
Il soldataccio scorse con le nocche alla testa dell'altro…
Spinse sino a far male…
Risero i compari…
André Grandier – destinatario dei sollazzi - finse di cedere.
Ribellarsi e cacciargli un pugno in pieno viso non avrebbe avuto senso.
Almeno quegli avanzi di galera non s'erano avveduti che la persona ch'era al seguito del conte non era un uomo ma una donna.
Dio, se l'avessero compreso…
Che però a star dietro a quelli…
"Sentite…e se ci mettessimo d'impegno a cercarlo noi per te!?" – rincarò Marcel Duval in un impeto tanto spontaneo quanto pruriginoso, che non si capiva se l'avesse fatto per bontà oppure per assistere a chissà quale strambo incontro di sessi – "Magari lo troviamo e lo convinciamo! In fondo saremo i tuoi compagni in questo viaggio! E i compagni fanno questo e altro…se ti senti solo…".
"Dannazione…finitela con queste idiozie!".
Si alzò di scatto André Grandier…
Si morse il labbro…
Pensò con terrore che quegli avanzi di galera sarebbero davvero stati capaci d'uscire da lì per mettersi a gironzolare per il porto e cercare quel tizio…
Lei…
Avrebbero rischiato di svegliare mezza guarnigione…
E se per caso l'avessero scorta davvero…
E se lui l'avesse davvero avuta davanti...
"Ve lo ripeto! Non m'interessa!".
"E…mi sa che il nostro Grandier è più saggio di quel che sembra!" – abbozzò Dante Renard, quello della compagnia che godeva d'un eloquio un pochino più sciolto, degno forse di un intelletto più fine o forse semplicemente di una lingua più ardita.
"Che vuoi dire …spiegati…" – chiese risentito Marcel grattandosi la testa, nell'apprendere che la sua proposta non aveva suscitato l'interesse depravato dei compari.
André fissò i due interlocutori, terrore misto a disprezzo…
"Sì…forse ha ragione! In fondo…anche se il qui presente Grandier ha tutta l'aria d'essere un nobile e di quelli più altezzosi…mi sa che quell'altro, quel damerino biondo per capirci, non lo degnerebbe neppure d'uno sguardo!" – proseguì il buon Dante, imbarcandosi in una filippica puntigliosa e dettagliata, con lo stesso piglio d'un maestro che si mette a spiegare agli studenti una certa teoria filosofica oppure il tratto d'un pennello d'un grande maestro di pittura – "C'è che il damerino stava appresso a quel nobiluomo con la puzza sotto il naso d'un colonnello svedese! Quello sì che le donne le attira come il miele! Ma l'altro che gli stava dietro…pareva un ragazzino…belloccio…aggraziato…ma pur sempre un damerino! Che ci faceva appresso allo svedese?! Insomma…quel che intendo è che se il conte si sollazza con gente simile…secondo me il damerino è davvero un nobiluccio…uno che non va mica a farselo mettere in bocca da chiunque! Deve avere almeno un titolo…conte…duca…marchese…e che diavolo! O sarà ricco!? Ecco…per farla breve...non credo che il nostro compare Grandier, qui presente, che pure io stesso trovo particolarmente bello...".
"Glabri histriones!"** – chiuse la filippica Gustav Dumas, il più giovane del drappello, tossicchiando, che di solito toccava a lui sciorinare qualche possente e altolocato appellativo, dandosi il caso che quello avesse rivelato d'aver studiato latino e greco.
Questo perché, senza padre né madre e neppure un soldo in tasca, aveva avuto la fortuna d'essere accolto in un orfanotrofio di monaci che almeno a leggere e scrivere gliel'avevano insegnato e lui s'era dato da fare e ne aveva ricavato di rintanarsi spesso nella grande biblioteca della scuola dove aveva imparato anche qualcosa in più.
L'arte di sgranare ossa rotte, rammendare ferite, mescolata al rancore rancido verso le nobili famiglie di Parigi e di mezza o forse tutta la Francia, di cui si vantava di conoscere a memoria effigi e stendardi, ma questo nel caso in cui, così sosteneva, gli sarebbe accaduto, forse mai o forse chissà quando, di appendere uno degli esimi rappresentanti di tali famiglie a un bel cappio di corda spessa...
"Gentiluomini che paiono donne...ma sono ben uomini eh! Così mi pareva dicesse..." - che Gustav non riuscì a completare la chiosa, che i compari scoppiarono in una risata fragorosa, mimando boccacce e boccucce, lisciandosi i fianchi, aggiustandosi camicie e maniche come fossero appena usciti da una sartoria d'un grande maestro di tessuti, avvicinandosi ad André, facendo l'occhiolino -"Plauto!" – concluse con un sorrisetto di soddisfatto sarcasmo.
"Idioti!" – sputò Dante ch'era stato interrotto sul più bello – "Intendevo che il qui presente André Grandier non potrebbe mai competere con il nobile sollazzo svedese! E' pur sempre un misero soldato di fanteria! Ce ne vuole perché quel giovane biondo dall'aria così nobile e altolocata accetti di farsi scopare dal qui presente soldato che ha tutta l'aria d'essere un nobile ma non lo è! E' nobile come mia nonna era la regina d'Inghilterra!".
"Basta!" – André s'avvicinò al compare…
Montava la rabbia, avrebbe preferito mille volte mettersi a fare a pugni con quelli.
Chissà forse a farci davvero a pugni, la rabbia che gli annebbiava il cervello e gl'incendiava il sangue avrebbe trovato pace.
Dio, lui credeva d'averla tradita e invece lei...
Credeva d'averla relegata nel fulgido bene che non ammette ripensamenti o rese...
Quelli, avanzi di galera, concepivano di fare a pugni al più per una partita a carte truccata o per l'onore d'una sottana maltrattata o insultata…
Ma difendere un perfetto sconosciuto che – a quel punto ad André fu molto chiaro – non avrebbe dovuto esser lì e per giunta nessuno avrebbe mai dovuto sapere chi fosse…
Che se quelli avessero scoperto che lei era…
Lei…
Un pugno sbattuto sul tavolo, un'altra maledizione sibilata tra i denti…
Tentò d'abbozzare André, scendere al compromesso…
Ma che diavolo di compromesso!?
Stavano parlando di lei...
Lei...
Presa per un damerino!?
Fortuna o pazzia!?
"La questione non m'interessa! E non m'interessano i nobili…e non m'interessano né gli uomini, né le donne…tutto qui!".
"E che spreco!" – l'apostrofò Marcel – "Non venirmi a dire che in una simile notte non avresti voglia di tenere le tue gambe al caldo?! Tra le braccia d'una dama o quel che è!? E le tue grazie al sicuro tra le cosce d'una puttana? E quello là fuori…che io sia dannato…aveva una pelle bianca che pareva...diavolo…era proprio bello!".
"No!".
"Però…avevo ragione io idiota!" – sibilò Dante apostrofando Marcel – "André è saggio! Niente a che spartire con i nobili! Le minestre riscaldate non piacciono a lui, come non piacciono a noi! Che lo svedese vada a…fottersi…chi gli pare! A noi non s'addicono quelli che se ne stanno rintanati nel letto caldo d'un conte!".
"Modera il linguaggio!" – stavolta la voce montò severa dal fondo della tavolata.
Un altro soldato, all'apparenza giovanissimo, forse l'ultimo arrivato, che però pareva aver scalato in fretta i gradini più bassi ove solitamente erano relegati i pivelli appena arruolati, e che pareva davvero il più alto in grado dello scombinato drappello di avanzi di galera, sollevò lo sguardo schifato alla rozza conversazione.
La gerarchia distorta dunque non viaggiava di pari passo all'età e nemmeno al grado della ciurmaglia.
"Siamo pur sempre soldati del Reggimento Francese che andrà a combattere in America. Quell'uomo, quel colonnello svedese, ci darà ordini...dunque…vedi di non farti sentire a dire idiozie sul suo conto!".
"Alain…non ti facevo così rispettoso…" – gracchiò Marcel…
Si alzò il soldato ch'era seduto in fondo al tavolo, si stirò le spalle…
Era magro e asciutto, forse dell'asciuttezza dovuta alla giovane età o forse della penuria che scorreva tra le strade della Francia e della capitale. Poco pane, niente carne, uova solo se ci s'azzardava a rubarle dalla cova con il rischio d'essere accoltellati dalla padrona delle galline o presi a beccate dal gallo…
Era magro perché non aveva di che sfamarsi.
E così s'era arruolato.
S'avviò verso il compare…
L'afferrò per il bavero della giacca…
"Nessun rispetto! Quel nobile svedese lo prenderei volentieri a calci in culo fino in America! Ma è meglio non farglielo sapere! Un buon equipaggio riconosce l'autorità, così che quell'autorità non mandi a puttane l'equipaggio e a fondo la nave che porta quell'equipaggio! Meglio tacere dunque e evitare che a quello gli venga detto da chissà chi che al suo equipaggio interessa sapere chi si scopa e quando e perché…".
Il compare rifilò al giovane soldato uno sguardo di sfida…
Il giovane soldato rifilò al compare un pugno nello stomaco, ben piazzato, là dov'esso avrebbe mozzato il respiro, ma senza andare a compromettere la buona salute dell'omone. Che quello era già ubriaco fradicio e barcollò. Sarebbe finito a terra se non fosse stato per quelli attorno che lo tennero su per le braccia.
Anche così si trascorreva il tempo prima di partire per una guerra da cui non si sapeva se si sarebbe tornati vivi.
Un'occhiata di sbieco all'altro soldato…
Alain Soisson fissò per qualche istante André Grandier, l'ultimo arrivato.
Anche se l'altro era maggiore d'età, non si lasciò sfuggire uno sguardo di commiserazione alla strana disperazione dell'altro.
Non li sopportava i damerini veri…
Figuriamoci quelli fasulli come Grandier, silenziosi e rispettosi e…
Stranamente disperati!
"Al diavolo…me ne vado a dormire…" – grugnì Alain Soisson infastidito – "Domani sarà una giornata pesante!".
§§§
Se non fosse stato per il Conte Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes avrebbe cacciato un grido di rabbia e stizza e…
Fino a che punto s'era spinto André Grandier pur di non infangare o chissà cos'altro la buona reputazione di chissà quale dama, sdolcinata e pudica?!
Se avesse almeno compreso chi era l'altra, l'avrebbe affrontata e l'avrebbe convinta a…
"Resta…".
Il conte s'era messo tra lei e la porta.
Lo sguardo severo misto al terrore.
Restare solo, in quel momento, sarebbe forse equivalso a scivolare giù nella pozza dello smarrimento viscido ch'era dilagato alla notizia della gravidanza di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.
Dunque l'animo del Conte di Fersen non era poi così saldo.
Non sempre in un messaggio di speranza vi è la speranza di chi lo riceve.
Non sempre nella luce il buio riesce a farsi strada.
Resta…
Strinse i pugni, Oscar François de Jarjayes.
Fuori, da qualche parte, c'era André.
Lì, ad un passo da sé, il Conte di Fersen.
Non era questione di far calcoli o scegliere. Non c'erano alternative.
Fersen se n'era andato per testimoniare il profondo affetto che lo legava a Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, un amore talmente intenso da costringerlo a recidere il legame.
André se n'era andato via, non una parola sui motivi a lei e solo qualche mezza verità accennata al Generale Jarjayes, solo per crearsi un alibi, una ragione valida che avrebbe indotto Jarjayes ad acconsentire alla partenza.
Annuì, Oscar François de Jarjayes e al cenno intravide un lieve sorriso di distensione solcare il volto tirato del conte.
"Grazie…" – ammise Fersen, allargando il braccio destro a far strada – "Ti va un bicchiere di Bordeaux? Me ne hanno regalato una bottiglia…credo sia un ottimo liquore…non ne abuseremo!".
Rise Fersen, come se fosse lì a conversare davvero con un amico di vecchia data, un conoscente ch'era venuto a colmare le ultime ore che l'uomo avrebbe trascorso in terra francese.
L'accenno al fatto che nessuno avrebbe osato varcare la soglia del consentito sferzò i sensi.
Sulle prime essa sarebbe potuta apparire come una sorta di compiacente galanteria da parte d'un uomo che avesse invitato una donna a conversare e bere vino privatamente.
Ma che un uomo accennasse al fatto che nessun limite sarebbe stato oltrepassato…
La chiosa suscitò un'insolita asperità nella gola.
Ammettere la volontà di non oltrepassare una certa soglia avrebbe potuto significare che se entrambi avessero voluto farlo, quel passo poteva essere compiuto.
Il conte s'affrettò a spiegare la ragione dello scrupolo, forse una sorta di cortesia verso l'ospite, quanto in realtà era una mera precauzione in vista degli impegni per il giorno dopo.
E perchè non invece un valido movente a oltrepassarlo, quel limite?
"Sai…dovrò imbarcarmi tra nemmeno venti ore…".
L'accenno all'imbarco ripiombò i pensieri all'altro.
André si era arruolato. André era a Brest. André…
Si sarebbe imbarcato anche lui…
Il giorno dopo era prevista la partenza delle navi da guerra...
Un brivido inondò i muscoli…
L'avrebbe cercato…
Dove…
Il fuoco ravvivato catturò i sensi, lo sguardo si ficcò lì a lasciarsi ammaliare dalle fiamme calde e rosse, a tratti arancio, sin a degradare al bianco, a sprigionare un pallido fumo. Forse nel camino c'era finita legna nuova, umida, poco adatta a tenere al caldo una stanza e capace solo d'intorbidire l'aria e i pensieri.
Errava la volontà a particolari tesi e severi.
L'avrebbe cercato…
Avrebbe avuto solo poche ore il giorno dopo…
E chissà l'altro dov'era. Forse in qualche bettola, forse giù al porto…
Forse…
Nell'istante il corpo tremò, sferzato dall'immagine…
L'abbiamo incrociato poco fa. Forse nemmeno lui ti ha visto…altrimenti credo si sarebbe fermato…
Lei non se n'era accorta...
Oppure...
Gli occhi riportarono ciò ch'era scorso allo sguardo ma che la mente aveva, per qualche suo recondito e inspiegabile motivo, accantonato.
Forse era stato per via della rabbia, forse per timore, forse per semplice alterigia…
Nell'incrociare il gruppo di soldati vocianti e garruli, lei si era voltata ma la mente aveva catturato l'effige, il profilo, il passo, il silenzioso incedere...
Lo sguardo si spalancò…
Era André quello che aveva incrociato poco prima. Ora ne era certa…
L'aveva sfiorato per un soffio dunque ma la stizza aveva giocato un brutto tiro e l'aveva spinta a procedere oltre.
Chissà se lui, al contrario, s'era accorto di lei?
Chissà se l'aveva veduta ma non aveva ritenuto di fermarsi?
Perché?
Dunque fino a quel punto era giunta la smania di André!?
Non solo allontanarsi da lei ma stare lontano da lei, recidere di netto il legame!?
Quale legame!?
Le dita della mano sinistra strinsero il bracciolo della poltroncina su cui s'era seduta di nuovo.
La destra fece ondeggiare ancora un poco il liquore vermiglio ove brillavano lievi i riflessi delle lingue di fuoco.
Giù tutto d'un sorso…
Dannazione a te André Grandier!
Dove diavolo sei!?
Alzarsi…
Andare via da lì…
L'impercettibile esitazione le fece comprendere che la stanza in realtà era immersa nel silenzio.
Si riebbe, ammettendo che nemmeno il conte aveva avuto animo di tessere chissà quale conversazione.
Si voltò a osservarlo, anch'egli in silenzio a fissare le lingue di fuoco.
Il bicchiere in mano, scaldato sì d'ammorbidire il sentore del vino e apprezzarlo meglio.
Il fuoco davanti agli occhi pareva gareggiare con l'oceano scuro nello sguardo dell'uomo.
"Perdonami…" – sussurrò Oscar, a scusarsi dell'incapacità d'avviare una conversazione.
Nella testa il dannatissimo André…
"Sei perdonata…" – ammise Fersen voltandosi, stavolta un mezzo sorriso di compiacimento, comprendendo il motivo – "Ammetto di non esser di compagnia neppure io ma…".
"Sua Maestà…anche lei temeva la tua reazione…non era sua intenzione recare una notizia del genere per affliggervi…".
"Si, l'ho compreso…ma in questo momento quest'avvenimento…mi pare d'essere in balia d'una tempesta! Non riesco a dominarne i venti e le correnti marine! Credo che quando osserverò la questione con più distacco…allora sarò capace di comprendere e soprattutto d'accettare il destino. Oscar…ti supplico…parlami di lei! Parlami di Maria! Dimmi che aspetto aveva quando l'hai lasciata…tu puoi farlo…".
"Io…" – si stupì Oscar François de Jarjayes.
"Si…rammento l'ultimo ricevimento…hai accolto la Regina di Francia al tuo fianco come fosse una regina e al tempo stesso una comunissima donna. Hai danzato con lei, l'hai osservata e giuro d'averti invidiato. L'hai ammirata e io l'ho guardata attraverso te. Se mi fossi avvicinato troppo…sarebbe stato evidente a tutti ciò che provavo ma così…vi ho ammirato entrambe…dunque…".
"Conte…".
Un sorso di liquore, l'ultimo, il bicchiere vuoto appoggiato in fretta al tavolino, Fersen si alzò e si sporse andando ad inginocchiarsi davanti all'altra.
"Sei una donna di rara bellezza e intuito acuto…ammetto sia del tutto ingiusto e scortese chiederti di parlarmi di Maria…ma con te posso farlo…credo che potrei…ti prego…onora la mia persona…non sono soltanto un conte…".
Credo che potrei…
Le parole colpirono…
Fersen allungò la mano ad afferrare quella di lei, di nuovo, che poco prima quella s'era divincolata e s'era sottratta...
La strinse…
L'istinto dettò di sottrarsi, di nuovo, la coscienza e l'affetto forzarono i muscoli a lasciarsi chiudere nel desiderio dell'altro.
Le dita s'intrecciarono e Fersen portò la mano al volto e poi lentamente il palmo alla bocca.
Sussultò Oscar al gesto intenso e sorprendente.
"Ti chiedo scusa…chiedere a una donna di parlare di un'altra donna…è una richiesta di pessimo gusto…".
Si sentì in trappola Oscar François de Jarjayes.
Racchiusa nell'istoriata gabbia dell'amicizia, fatta d'invisibile groviglio di desiderio e scrupoli, avventatezza, compiacenza e repulsione ad essere troppo compiacente.
I sensi come corolla che si schiude alla luce del sole ma rischia di bruciarsi ai raggi troppo intensi.
Avrebbe voluto chiedere il senso delle parole interrotte. Si limitò a scendere al compromesso e a recitare la parte che chissà come le era stata cucita addosso.
Quella d'un amico…
Dell'un amante e dell'altro.
Eppure…
Eppure Fersen era lì ad ammettere che lei era una donna, chiosando come non fosse galante chiedere a una donna, seppur s'era atteggiata ad amico, di un'altra donna.
La sottigliezza rivelava comprensione, affetto…
La differenza stupiva, che Fersen in fondo era stato il primo a parlarle come si parla a una donna.
Senza troppe smancerie o sdolcinatezza…
Le aveva domandato se lei si fosse mai sentita sola…
No, tanti anni prima aveva detto di no!
Ora…
Inspiegabilmente tornò alla mente la conversazione con André, nel pomeriggio piovoso che aveva preceduto il ricevimento.
Era stato proprio lui a spronala a recarsi al ricevimento, sfruttando lo specchio liscio e fulgido dell'amicizia con Sua Maestà la Regina Maria Antonietta e con il Conte di Fersen.
D'improvviso il senso del dialogo richiamò tutto l'insano e infernale potere dell'altro.
André l'aveva spinta ad andare e lei l'aveva fatto, accollandosi il dovere d'essere amico solidale degli amanti, annullando ciò che sentiva per il conte e che difficilmente l'uomo avrebbe scorto dietro il velo dell'abnegazione verso Sua Maestà la Regina Maria Antonietta e l'istintivo intento di proteggere la donna dallo scandalo.
Già una volta Oscar François de Jarjayes aveva svolto questo compito tanto egregiamente quanto crudelmente.
L'amicizia esibita con tanto disinteresse sarebbe stata considerata la più autentica.
Dunque…
Nell'istante risorse l'avversione all'amico che l'aveva spinta ad essere ciò che lei non avrebbe voluto.
La tensione che aveva indotto la mano a staccarsi da quella di Fersen d'improvviso mutò verso risalendo in fretta al braccio, sì che fu quello adesso a sforzarsi di tenere la mano lì, stretta a quella del conte, beandosi del contatto lieve in cui l'altro pareva aver messo una supplica e al tempo stesso una speranza.
"Sua Maestà era semplicemente radiosa quando l'ho lasciata…" – prese a raccontare – "Era seduta vicino alla finestra, nei suoi appartamenti, a osservare i giardini. C'era poca luce ma quella poca era superata e oscurata dalla lievità del suo sorriso. Forse era preoccupata…credo accada questo quando si attende un figlio…eppure...il suo sguardo brillava di una luce intensa e lieve...".
"Lo credo anch'io…come vedi…non hai nulla da temere dalla tua visione della vita…sei una donna intelligente e…".
Oscar interruppe le parole di Fersen. Non riuscì a trovare il coraggio di lasciarlo andare fino in fondo.
"La speranza di dare un erede alla Francia e soprattutto…portare in grembo una creatura figlia del Re di Francia…credo la riempia d'una gioia difficilmente descrivibile…".
Un respiro…
Altre parole sarebbero state inutili.
"Dunque non mi sbagliavo…" – annuì Fersen adagiandosi sui talloni, in ginocchio, la mano sempre stretta a quella di lei.
Poi le mani scesero giù adagiandosi entrambe in grembo.
Il pollice prese a carezzare il palmo della mano dell'altra…
"Come…" – chiese Oscar sempre più sorpresa e dubbiosa.
"Si…tu devi saperlo bene cosa sia la felicità…".
"Non…capisco…".
"Quando te lo chiesi…tre anni fa…mi dicesti ch'eri felice, senza spiegare perché. Poi mi hai chiesto scusa per avermi consigliato di lasciare la Francia, ammettendo d'aver usato parole di Stato e non sentimenti. Eppure…adesso…ascoltando la descrizione di Maria… non hai parlato di lei come di una regina. Non ti sei soffermata su quale fosse la sua vita adesso…chissà forse gl'impegni di corte saranno stati diradati per non affaticarla…chissà quali vestiti indossa…non hai parlato di tutto ciò ma dei suoi occhi…della sua preoccupazione. Quale donna non lo farebbe!? E come non osservare dietro questa descrizione il senso di felicità che immagino pervada Maria e che dunque tu hai saputo cogliere!?".
"Io non credo di sapere cosa sia la felicità…" – ammise Oscar abbassando lo sguardo, in ascolto del lento incedere del pollice dell'altro che pareva scavare un solco lieve non solo nella mano ma sin nel cuore stesso.
Solo che il cuore non era più muscolo che batteva, senza comando, in modo regolare, ordinato, sistematico ma pareva prendere a scorrere in disarmonia col resto dei sensi e dunque a indurre disorientamento, vergogna, stizza, disprezzo, dolore ed infine curiosità. Stupore d'esser lì, il lieve solco impresso nel palmo capace di dilatarsi fino a scendere giù nelle viscere e colmare del vago senso del piacere, da sempre relegato a mero vezzo di cantori di quart'ordine.
La delicatezza del tocco induceva fiducia e rispetto.
No, lo scavo lieve rivelava l'oscura sensualità dell'uomo, non becera, non esibita.
Nulla voleva strappare all'altra se non catturarne i sensi e ammaliarli dolcemente.
Poteva essere quella la felicità?
"La mia vita…è sempre scorsa a servire la famiglia reale…intuire i possibili pericoli che avrebbero potuto attentare alla loro sicurezza…".
Quale fosse stata la felicità, Oscar François de Jarjayes non lo sapeva…
"O minarne l'onore…" – spiegò Fersen, poi sollevando gli occhi ad ascoltare l'altra.
"Ecco…non so se in tutto questo mi sia stato possibile scorgere la felicità, dunque cosa sia davvero…".
Un respiro fondo…
"Nemmeno io so cos'è!" – concluse in conte – "Ma so per certo che non si tratta d'un sentimento assolutamente visibile. La felicità…è ciò che si scorge nei gesti, negli sguardi…ammetto ch'è difficile…non sempre siamo in grado di comprenderla…quella altrui e persino la nostra!".
"Io non lo so…".
"Avevi detto…" – chiese il conte perplesso – "Di saperlo…e che lo eri…".
"No… non lo ero…".
Sussultò il Conte di Fersen, le dita strinsero ancora di più la mano dell'altra.
La pressione indusse un'acuta vibrazione, i palmi uniti convogliarono calore che s'espanse riverberandosi nelle viscere.
Inutile reprimere ciò che provava adesso, anche se non avrebbe mai potuto rivelarlo.
Forse, intuendo lo scostamento della coscienza, avrebbe potuto solo ammettere di non essere stata sincera, suo malgrado, in passato, ma solo per ignoranza.
"Ora posso affermarlo con certezza…perché ora provo infelicità…ed è lo stesso che provavo anche allora…" – respirò piano, come illuminata dalla oscura luce della certezza.
Fersen intuì…
"Dunque anche allora…".
"E' possibile che ne fossi convinta…è possibile che in fondo…rispettare l'onorabilità della propria famiglia renda orgogliosi e se ci si riesce allora si potrebbe anche pensare d'essere felici…ma adesso…".
"Non eri felice dunque…e non lo sei nemmeno ora?".
Era troppo…
Oscar François de Jarjayes scostò il capo correndo al fuoco che ardeva nel camino.
"E lo stesso vale per la solitudine?" - prese a insistere Fersen, forse nel tentativo di accomunare i destini, che sussultò Oscar François de Jarjayes – "Sei infelice per via della solitudine?".
Il vino liquoroso pareva aver generato effetti peggiori di quelli d'un vino maturo e forte.
Forse il colore ambrato e il sapore dolciastro avevano ingannato, proprio come le parole e i pensieri erano stati ingannati dalla seduzione impressa dalle parole del padre, dal senso del dovere inculcato oltre ogni limite.
Un effetto oscuro che ora si mescolava e si confondeva nell'attrazione verso l'altro.
"Io…non…".
Non era stata felice dunque Oscar François de Jarjayes.
Non lo era stata in passato e non lo era nemmeno in quel momento.
"Davvero…mi sarei aspettato che avresti negato con generosa responsabilità! Non neghi dunque di sentirti sola…è per questo che sei infelice?".
Parlare di sé risultava anomalo e strano.
Non l'aveva mai fatto con nessuno. A pensarci bene solo André s'era addentrato in certi discorsi con lei, ma sempre mediando i ragionamenti attraverso l'esperienza di altri.
La tal dama che s'era sposata con il tal gentiluomo…
O la nobildonna che aveva avuto una tresca col segretario d'un ministro…
Accenni rozzi…
Ci avevano riso su.
Perché adesso finiva per abbinare alla vita sentimentale di perfetti sconosciuti la propria vita?
Perché immaginare che solo scacciando la solitudine, con ogni mezzo, che fosse stato un matrimonio o una tresca amorosa, si sarebbe potuti dirsi felici?
O forse era l'esatto opposto?
La tresca e il matrimonio in sé non avrebbero rivelato nulla, fungendo solo da coperchio all'infelicità che alberga, unica e sovrana, nell'esistenza dell'essere umano!?
Se lei fosse nata sola, lo sarebbe stata per il resto della sua vita. Finora non se l'era mai chiesto…
Tutto appariva distorto e lontano.
Aveva cercato la solitudine in quel viaggio frenetico, il respiro corto, la mente a esaudire il desiderio di sua maestà.
Ammise dunque che esaurita la faccenda, adempiuto al dovere, la vita ridiventava una specie di sentiero un poco vuoto, forse istoriato di svariati arbusti, tronchi, edere, felci, cespugli di rose o ginestre…
Ma inesorabilmente solitario…
"Non credo d'essere in grado di parlare neppure di quella…adesso semplicemente…non lo so…" – ammise Oscar François de Jarjayes.
Un passo…
Uno sguardo…
Il Conte di Fersen ammise lo straniamento tra la figura dell'altra, severa e ferma, di tre anni prima e quella che appariva lì, ora.
Una donna bellissima certo, fiera e risoluta, attraversata dall'ombra della solitudine, sferzata dal dubbio che la felicità non risiedesse davvero nell'onore della propria famiglia da difendere a fil di spada.
Un abisso dunque…
Impossibile colmarlo lì, in quel frangente.
Troppo vivo il senso dell'onore, troppo recente la ferita all'orgoglio del conte…
"Perdonami…" – ammise Oscar François de Jarjayes, stavolta forzando la presa della mano.
Che Fersen si riebbe e no, strinse di più la mano e guardò l'altra e…
"Tu…".
"E' meglio…che…mi ritiri…" – sussurrò l'altra soffocata, per tagliar corto, perché la vicinanza s'assottigliava ed il vino aveva preso a battere nelle tempie – "Domani sarà una lunga giornata…".
Fersen non lasciò la mano, un ginocchio puntato a terra, si alzò e poi tirò a sé l'altra per consentirle di alzarsi.
Una risolutezza degna del conte, bello e sensibile, gentiluomo e ragionevole.
"Hai ragione…ma mi ha fatto bene parlare con te…è sorprendente come io sia qui…con te…con una donna intendo…e riesca a conversare così tranquillamente…".
"Sorprendente?! Non ti capisco…vorresti dire che…" – abbozzò Oscar, ormai in piedi, dritta di fronte a Fersen, la mano nella mano… – "Che avresti preferito qualcun altro?".
"No…non fraintendermi! Oscar…sei una donna…" - tossicchiò il conte – "Perdonami…sei una persona leale e sincera…ecco…intendevo dire che è la prima volta che mi fido così a fondo di una donna…forse è accaduto solo con Sophie, mia sorella minore. Ma con altre donne…eccetto Maria…non ho mai azzardato ad accettare una simile vicinanza…".
Prese a balbettare…
"Insomma…non posso negare che tu sia una bella persona…adesso sono qui…con te…non avrei potuto desiderare compagnia migliore…sei un vero amico…".
Un amico…
D'istinto crebbe la voce, la domanda eruppe prima ancora di poterci pensare e trattenerla in gola, tra le labbra.
"Prima…hai detto…credo che potrei…cosa…intendevi?".
Sorrise Fersen, tirò a sé la mano, sfiorò il palmo con la bocca.
Stavolta la risolutezza s'infuse nel contatto.
Che però a quel punto riemerse la figura della giovane incrociata nel boudoir, nel presagio che altro sarebbe potuto accadere.
Che Oscar François de Jarjayes guardò il Conte Hans Axel von Fersen e a lui non sfuggì la tacita domanda dell'altra, ch'era forse un'accusa, indotta dallo scenario severo.
Disgiungere il sesso dai sentimenti…
Rappresentava un regresso degli uomini oppure una conquista!?
E per quanto l'altra fosse comandante algido e severo, votato al dovere, in quel momento appariva davvero in preda al disorientamento…
"Credo che potrei…" – sussurrò Fersen, mostrando una sciolta sicurezza, tenendo stretta la mano, tirando a sé l'altra – "Innamorarmi…".
La mano libera scorse al fianco dell'altra per appoggiarsi dietro la schiena.
"…".
In silenzio l'altra glielo chiese…
Pessima idea…
Di chi?
Di chi mai si sarebbe potuto innamorare il Conte di Fersen se era già innamorato di una donna?
Negò il Conte di Fersen, intuendo il baratro che s'apriva davanti a sé.
Colmare la propria solitudine azzardando un volo rapido su futuri sentimenti…
Osservò Oscar François de Jarjayes davanti a sé, l'affondo del cuore s'era permesso d'eludere la logica e la ragione.
Inutile illudersi…
Inutile illudere l'altra…
Che poi, Oscar François de Jarjayes non si sarebbe mai lasciata illudere…
Per un istante il Conte Hans Axel von Fersen ammise che la fulgida figura di Oscar François de Jarjayes avrebbe potuto davvero ammaliare un uomo, persino lui stesso.
Scacciò l'ingrato pensiero, si costrinse a farlo.
"E' tardi…hai ragione…e domani dovrò alzarmi all'alba…gli equipaggi saliranno a bordo. Ti sono grato d'avermi dedicato questo momento…a pensarci bene…ti chiedo perdono per lo spettacolo a cui hai assistito prima…so che…".
La presa si slacciò, stavolta la mano si staccò di scatto.
La visione della damina discinta colpì i sensi…
Ancora di più, assurdo a dirsi, il fatto che non avrebbe avuto il giorno successivo e la notte per cercare André…
Se quel dannato si era arruolato e aveva davvero intenzione d'imbarcarsi…
"Prego…" – la destra del Conte di Fersen s'aprì per lasciar passare l'altra – "Ti ho fatto preparare alcuni indumenti per la notte…".
Oscar fece un passo, scorse a lato del conte, fece per avviarsi alla porta.
L'uomo fece un passo, anche lui, accompagnandolo col gesto d'appoggiare la mano sulla schiena di lei. Leggera, senza imporre una direzione all'ospite. Come a sincerarsi che la conversazione non avesse lasciato sgradevoli strascichi.
I muscoli s'irrigidirono d'istinto. Impossibile far finta di nulla che quel contatto fu come un fiammifero acceso accanto alla miccia.
Oscar François de Jarjayes strinse i pugni…
Non abbastanza…
La mano dell'uomo scorse alla schiena per adagiarsi al fianco, poco sotto il termine delle costole.
Un abbraccio lieve…
Colta di sorpresa Oscar si fermò e l'altro le fu di nuovo davanti e stavolta anche il braccio sinistro chiuse il corpo, chiudendolo in un abbraccio.
Si lasciò abbracciare l'altra, per la prima volta si ritrovò impressa in un corpo maschile, più alto, più forte eppure in quel momento piegato dall'addio ad un amore impossibile, stranito dalla notizia, ingoiato dall'abisso della solitudine.
"Ti sono davvero grato…" – sussurrò il conte.
"Non…devi…l'ho fatto…".
Strinse di più l'uomo, il corpo s'impresse…
"L'hai fatto per Maria…".
Avrebbe voluto rispondere Oscar François de Jarjayes che l'aveva fatto per Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.
Sarebbe bastata una sola parola in più…
Non solo per lei…
Non c'era più tempo.
Oscar François de Jarjayes si concesse di ricambiare l'abbraccio, imprimendo alle braccia la direzione di chiudersi attorno al corpo dell'altro. Un abbraccio lieve, non fondo.
Di più non avrebbe potuto…
Un respiro …
Fersen indietreggiò.
Nessuna parola scorse e l'ospite scivolò fuori dalla stanzetta, chiudendosi la porta alle spalle.
Gli occhi misero a fuoco il corridoio. Le avevano spiegato che la sua stanza era al piano di sopra.
I gradini percorsi in fretta, la rapida occhiata a cercare la giacca ch'era stata ripiegata con cura su di un manichino.
Le borse riposte nell'angolo. Tutto era stato composto con discrezione e cura.
Afferrò la famosa borsa in fretta…
Dio…
Che stai facendo?
Perché non sei rimasta?
Avresti potuto…
I passi condussero fuori. Nonostante fosse estate, una foschia densa di legna bruciata, salsedine e odori di cucina imbrattava le pareti delle case, insinuandosi nei vicoli neri e lerci.
Lo sguardo si volse nella direzione contraria, orientandosi ai sentori acri del porto, la mente tentò di ritrovare la strada che aveva percorso assieme al conte, qualche ora prima.
Fersen le aveva detto che l'avevano incrociato in un vicolo poco lontano.
L'unico istante in cui lei non aveva fatto caso alla strada era stato quando avevano incontrato il gruppetto di soldati che arrivava in direzione contraria a lei e al conte.
Di certo soldati…
Forse in libera uscita…
Certo, prima della partenza…
Prese a correre. Era tardi…
Anche i soldati in libera uscita prima o poi sarebbe rientrati. Anche se non per via del coprifuoco…
E se quelli invece fossero rimasti fuori…
Dovette guardare a terra Oscar François de Jarjayes perché le parve che il viso fosse divenuto caldo e rosso. Lei incapace di controllare l'istintiva reazione al pensiero che André era lì, poco lontano, ma forse non era solo…
Dante, Marcel e Gustav s'arrestarono, impietriti, alla visione del tizio che veniva loro incontro.
Una fortuna insperata, che loro non avevano dato retta a quel bellimbusto di Alain, e nemmeno a quello schizzinoso di André, e s'erano messi davvero a cercarlo, il damerino.
Così, a tempo perso, che chissà dov'era quello a quell'ora…
Sempre a tempo perso, visto che avevano già concluso poi non così bellamente la serata, avevano preso ad immaginarselo, il tizio, fin dall'istante in cui l'avevano squadrato di sbieco, mentre gli erano passati accanto.
Nessuno di loro era rimasto insensibile allo sguardo che André gli aveva lanciato. Che André era quasi sussultato…
E allora anche loro s'erano voltati e non l'avrebbero mica immaginato che il Colonnello Von Fersen si sarebbe tirato dietro, la notte prima della partenza per la guerra, un tipetto simile.
Insomma prima della partenza, a meno che non si fosse stati il cappellano che aveva giurato castità a Sua Santità il Papa, tutti, dai conti ai colonnelli, dagli sguatteri ai mozzi e ai nocchieri, si sarebbero dati da fare…
E mica gli si sarebbe potuto rimproverare nulla al povero conte se quella sera non aveva trovato di meglio che il damerino biondo…
Davvero un bel tipo…
Marcel diede una gomitata a Dante e quello quasi una manata piantata in faccia a Gustav.
"Diavolo…".
"Già…parli del diavolo…".
"Glabri histriones!" – replicò Gustav.
"Altro che diavolo e glabri e quel che è! Cavolo…sai che André non aveva mica tutti i torti! Ha buon gusto…" – masticò Marcel – "Anche se quello lì…insomma…la pelle ce l'ha liscia e bianca come quella di una donna!".
"Senti…non vorrai mica farti avanti tu!? Siamo qui per tirar su il morale ad André!" – sputò Dante.
"Già...il morale!" – rimbeccò Gustav, grattandosi la testa – "Tiriamogli su quello allora!".
"Insomma! Dovevamo trovare un buon diversivo per André…che almeno questa notte se la spassi…e guarda te chi andiamo a scovare…ma che diavolo ci fa fuori a quest'ora!?".
"Il nostro bel conte svedese forse ha fatto in fretta! Che ne sappiamo? A questo punto forse gli piacciono troppo le donne e solo con quelle tira tardi fino al mattino! Che ci importa! Meglio così!".
I tre soldati s'arrestarono, trattenendo il fiato, gli occhi puntati al damerino che avanzava severo e scuro, lo sguardo alle insegne altrettanto nere che ondeggiavano cigolando al vento della sera.
Locande e osterie…
Bordelli e dormitori…
Un magazzino buio…
Le tre sagome, per quanto si fossero ammutolite e impietrite, non passarono inosservate.
Il chiaro di luna e le lanterne cieche facevano a gara, spiegazzando opachi brandelli di morbide ombra, annegate in una sorta di brodaglia fumosa e incerta.
Alla fine Oscar si avvide dei tre uomini che la guardavano, l'occhiata non troppo invadente ma nemmeno opportuna.
Parevano aver visto un fantasma.
Forse erano gli stessi soldati che aveva incrociato…
Forse altri…
Fece finta di nulla.
Tentò di proseguire, lo sguardo in alto alle insegne, la luna unico punto chiaro e fisso e intensamente lieve e pulito.
"Pardonnez-moi…monsieur…".
Era già passata oltre, il richiamo indusse ad arrestare il passo. Anche se aveva fretta, anche se il sangue aveva preso a ribollire dalla rabbia e dall'angoscia, sì, anche quella, perché Brest era un porto vasto e intricato e sarebbe stato difficilissimo trovare André e non avrebbe nemmeno potuto esporsi, non al punto da rivelare chi era lei, che lei era una donna per giunta…
Non avrebbe rischiato nulla, che c'era una sola donna in tutta la Francia che vestiva i panni di un soldato e viveva a Versailles. Quella era lei e lei lì a Brest, e lei lì non aveva ragione di essere.
Si voltò, squadrando i tre bellimbusti.
"Dite a me…",
"Sì…perdonate…ecco…voi sembrate davvero quello che abbiamo incontrato poche ore fa…in Rue Magazine Particulier…rammentate?".
Fosse stata in uniforme avrebbe squadrato i ceffi imponendo di mettersi sull'attenti e di tacere prima d'esser loro a fare domande.
Non portava l'uniforme, non era Oscar François de Jarjayes in quel momento. E nemmeno quelli era il caso d'appellarli come tali!
Lei era Oscar e basta…
"Dunque…" – chiese per comprendere dove volessero andare a parare gli altri.
Nella testa prese a ronzare l'accenno, l'insperata fortuna l'aveva gettata proprio nelle braccia di quelli…
"Ci chiedevamo…ecco…".
"Parlate…ho fretta…non posso stare tutta la notte ad ascoltare soldati balbettanti…".
"Soldati? Come avete fatto…" – chiosò Dante stupito – "A comprenderlo?".
"Parlate! Poche chiacchiere!".
"Sì!" – sussultarono i tre, quasi mettendosi sull'attenti, come se davvero gli fossero piombati addosso improrogabili ordini e quella non fosse affatto una semplice conversazione tra estranei affettati.
"Ecco…ci chiedevamo…se avreste la compiacenza d'accordare un favore a un nostro amico…".
S'ammutolì Oscar François de Jarjayes. S'incuriosì che però ammise che stava perdendo tempo e non era da lei…
"Vedete…il poveretto…s'imbarcherà domani e probabilmente…" - Marcel diede una gomitata a Dante ch'era incapace di proseguire.
Il soldato tirò un respiro fondo: "Sentite…venite con noi. Ve lo presentiamo…poi deciderete…non è lontano da qui…".
"V'imbarcherete domani?".
"Si per l'America monsieur…e se avete a cuore la sorte dei soldati francesi…che ne dite di sacrificare un'ora del vostro prezioso tempo per venire in soccorso d'uno di noi? Fatto a noi questo favore, sarebbe come farlo alla Francia intera!".
"Ch'esagerato…" – sputò Oscar François de Jarjayes rimettendosi i guanti che cominciava a far freddo.
Se non si fosse voltata in quel vicolo li avrebbe visti in faccia gli altri compari e probabilmente li avrebbe trovati con maggior facilità. Ma se quelli si rammentavano di lei, allora quelli erano davvero i compari di André e forse lui era con loro.
Ingoiò lo sprezzo che saliva dallo stomaco per l'indecente proposta.
Chissà di chi stavano cincischiando?
Ma se li avesse seguiti forse avrebbe ritrovato André.
"Va bene…solo…".
Le facce dei tre s'allargarono in un sorriso serafico per l'insperata fortuna.
Diavolo, aver trovato il damerino così in fretta e quello poi era stato così magnanimo d'accettare altrettanto in fretta la proposta...
Doveva essere uno di mestiere…
Non erano solo les mesdames dunque a rallegrare i giovani sodati prima della partenza.
"Dite monsieur…tutto quel che volete!" – sprizzò gioia Marcel.
"Quando ci siamo incrociati nel vicolo…come voi dite…mi pareva foste di più…".
"Avete una buona vista…monsieur…sì…ecco vedete…".
"E dove sono gli altri?".
"Se ci seguite…è proprio d'uno di questi che stiamo parlando…".
Al diavolo le coincidenze, che il caso non esiste.
Oscar François de Jarjayes ebbe un tuffo al cuore. Ricacciò in gola la serie di strozzati ordini e rimproveri con cui avrebbe voluto ricoprire la baldanza dei tre…
Prese a seguire i tre soldati che s'avviarono, loro davanti e lei dietro. Non voleva noie, non voleva che la studiassero oltre il dovuto.
Sì, il cuore davvero si perse quando scese i gradini unti e neri della bettola, proprio di fronte al mare, e nel fumo della stanza, giù, non troppo lontano dal camino, lo scorse, André…
Il suo André…
Il viso basso, il bicchiere tra le mani…
Il caos attorno, vociare, risate, grida, cinguettii di comari e cameriere, ancora non era scemato, nonostante la mezzanotte fosse prossima.
Il caos avrebbe concesso aiuto, confondendo le acque, ma poi no, non avrebbe agito a favore…
Troppi occhi addosso, troppe congetture…
E poi…
I tre bellimbusti, oramai Oscar François de Jarjayes l'aveva compreso, l'avevano presa per un giovane damerino.
Idioti…
A quel punto sarebbe stato meglio lasciarglielo credere.
Che però…
Se lei si fosse avvicinata ad André…
Diavolo…
Un soldato alle prese con un giovane damerino…
Che figura…
Un gesto di stizza…
Si sfilò i guanti. Le mani erano fredde nonostante fosse ormai estate, fu costretta a prendersele per scaldarle un poco.
Di nuovo la mente tornò alla dannata questione delle briglie, al gesto insolente dell'altro che, dopo averle ammorbidite, gliele aveva ficcate nelle mani.
Anche allora nel cuore di André albergava il pensiero per la misteriosa giovane?
L'unico dubbio sarebbe stato comprendere quale fosse il compare che i tre bellimbusti avevano deciso di onorare con una serata diversa dal solito…
Che per poco il respiro si strozzò nella gola.
Dante sollevò il braccio, indicando proprio André: "Ecco, lo vedete quel poverino laggiù? A noi ci si stringe il cuore a saperlo tutto solo prima d'un viaggio così importante. Sapete vero che forse da certi viaggi non si ritorna più!?".
Le parole bruciarono come sale s'una ferita.
Era vero.
Oscar non l'aveva mai messo da parte, tale scenario.
Ma aveva avuto così poco tempo per trovare André e adesso che l'aveva trovato, ne aveva ancora meno per comprendere cosa gli fosse accaduto e cosa gli passasse per la testa e soprattutto…
Ma come gli era saltato in testa a quelli che André potesse essere interessato a uno come…
Lei…
Fersen aveva detto che André s'era voltato quando si erano incrociati nel vicolo.
I bellimbusti credevano che lei fosse un damerino, l'occhiata non era sfuggita, e da lì i compari avevano immaginato…
Le parve davvero che lì attorno il vociare si fosse affievolito, come se avventori e cameriere e marinai e mozzi e chissà chi altro si fossero ritrovati davanti ad un palcoscenico, uno spettacolino un poco rozzo, messo su in quattro e quattr'otto da un'improvvisata compagnia di ventura.
Tutti zitti in attesa dell'inizio della rappresentazione.
"Se poteste fare qualcosa per lui…vedete…nel vicolo, quando s'è voltato…insomma dopo non pareva più lui. Pareva avesse visto chissà chi...un fantasma…beh…c'è che non ha mica tutti i torti…".
Il balbettio dell'uomo iniziava ad infastidire…
"Ho capito…basta così…" – s'affrettò a tagliar corto lei che le moine dell'uomo avevano il solo pregio di sollevare la stizza.
Aveva necessità di parlare al suo attendente ma lì, con gli occhi di tutti addosso, sarebbe stato impossibile.
Un respiro…
Prese a camminare verso il tavolo, che il resto della masnada non avrebbe intuito altro che capacità di recitare un ruolo ben rinforzato da anni d'esercizio.
Era stata educata come un uomo, ora tutti avrebbero saggiato la capacità di Oscar François de Jarjayes di essere un uomo.
O meglio...
Un giovane damerino...
Quelli volevano procurare un poco di compagnia per André e lei non si sarebbe certo fatta pregare.
Gli avrebbe parlato, atteggiandosi nel modo i cui l'avevano declinata i buzzurri della bettola, avventori, soldati, comari, vecchi marinai ammuffiti e tutta la curiosa e variopinta e puzzolente gentaglia che pareva essersi disposta a cerchio adesso, silenziosamente scostata dal suo tragitto e ammutolita. E allora sarebbe stato meglio il caos, il chiacchiericcio, capace di coprire le scarne parole che avrebbe sputato addosso all'altro.
Che André non si era accorto di nulla così uno dei compari aveva fatto un balzo, superando lei, agguantando lui per le spalle, scuoterlo e mostragli trionfante l'esito della rapida ricerca.
Un altro passo, la presa stretta alla spalla...
"Ehi Grandier! Guarda un po' chi c'è?" – sentenziò Marcel tutto contento.
Lo tirò su quasi pigliandolo per il bavero della giacca.
André Grandier era abbastanza ubriaco da rischiare di perdere l'equilibrio ma non abbastanza da non aver forza di sollevare gli occhi e prepararsi a ricacciare indietro il fastidioso compare.
Che però la vide e davvero credette fosse stato il vino, cattivo consigliere e pessimo compagno di sventure.
S'irrigidì André Grandier, un sobbalzo minimo tranciò il respiro.
Era lì a struggersi per averla veduta poco prima, immagine suadente e nefasta al tempo stesso, lei, un passo dietro a Fersen, lei a Brest, dove non avrebbe mai dovuto essere.
Lei...
Per un istante si sorprese…
Fu solo un istante.
Masticò amaro imponendosi di non dare soddisfazione alcuna.
Oscar era libera e liberamente sceglieva…
S'era venuta fin lì avrebbe compreso presto ch'era stata tutta fatica sprecata.
L'odio esaltava i sensi, spingeva a sfidare e a sfidarsi…
Dio...
Quando...
Gli occhi di Oscar François de Jarjayes erano lì, addosso.
I suoi occhi un poco freddi ma al tempo stesso caldi.
Intensi ma distanti…
Lo guardava ma pareva cercare André, l'altro André, che lì seduto c'era solo un giovanotto parecchio alticcio e parimenti un poco puzzolente come il resto della combriccola.
Spettacolo davvero indegno.
André Grandier tentò d'alzarsi, riuscendoci grazie all'aiuto dell'insperato salvatore.
Fece un passo e il vino parimenti il suo dovere, che barcollò e Marcel lo sorresse fino a quando non furono di fronte all'ospite.
"Vedete, poverino come s'è ridotto!" – prese a spiegare Marcel con piglio piagnucoloso, forse per commuovere l'altezzoso damerino che non pareva gradire lo stato pietoso in cui versava il soldatino – "Che se un povero soldato finisce così, è senz'altro perché ha il cuore spezzato! Se vi va di far qualcosa…offriamo noi…anzi…".
Oscar rimase a fissare André.
André la guardò, di rimando, osservando il profilo severo e netto, lo sguardo ghiacciato ma rovente di rabbia.
Muta…
Pietra...
Ma alle volte anche le pietre – sapientemente lavorate – hanno potere di parola infinita, quando la mano dello scultore riesce a cavarci fuori il respiro di un dio greco o l'estasi di una santa che ascende al cielo.
In quel caso, il difetto d'eloquio, come la mutezza granitica d'un pezzo di marmo, la diceva lunga sulla smania che lo scalpello incidesse vene, riccioli, braccia, dita, insomma che finisse per cavare dalla pietra una qualsiasi espressione, una qualsiasi parola.
Si scostò Marcel facendo segno agli altri di procurare una bottiglia.
"Vino…che sia buono per D…" – chiosò, beccandosi l'occhiataccia del damerino che alzò la destra a frenare la linguaccia insolente del soldataccio.
"Non è necessario scomodare alcun dio…" – rintuzzò Oscar – "E' sufficiente un luogo meno…affollato…".
"Ma certo…certo…" – si fregò le mani il soldato, mentre i compari s'affrettavano a passare la bottiglia e a far strada, che il luogo stava altrove, su per la scaletta ripida che s'intravedeva alla spalle.
Gli occhi non si staccarono…
Muta gli parlò e lui, altrettanto muto anche.
S'immaginò che le stesse domandando che diavolo ci faceva lì, che diavolo di intenzioni aveva e perché mai si stesse prestando ad un gioco ridicolo e soprattutto oltraggioso per la sua famiglia.
"No!" – sputò secco all'esito della muta conversazione André Grandier, suscitando la mormorata riprovazione della combriccola – "Non mi interessa!".
Il corpo ondeggiò come a sottrarsi all'incontro – o forse allo scontro – con il damerino.
"Ma come…noi si è stati così solerti e…" – balbettò Marcel tentando di trattenere l'amico per il braccio – "E tu adesso fai lo schizzinoso!?".
Oscar non batté ciglio.
La posta si alzava dunque, come in una sorta di duello muto, che fu lei a quel punto a sollevare la mano al viso dell'attendente.
La destra afferrò il volto, strinse un poco le guance ruvide di barba di due o forse tre giorni, quasi cacciandolo indietro.
Come a dire, come diavolo sei conciato?!
André davvero si ritrovò senza respiro…
Non rammentava più l'ultima volta in cui lei l'aveva toccato in viso…
Forzò a restare lì, su di lei.
Come a dire, che diavolo vuoi ancora da me?
"A essere sinceri…nemmeno a me va di tenere compagnia a un ceffo ridotto così male…" – sibilò sarcastica – "Mi fa quasi pena!".
André vide il volto di Oscar, osservò le labbra muoversi, riconobbe il timbro, il piglio, lo sprezzo vero misto forse al tentativo di convincerlo. Per parlargli…
Doveva essere senz'altro così.
Ma lui non aveva nessuna intenzione di parlare.
Né con lei, né con nessun altro.
Eppure, lei era lì, davanti a sé, i sensi ripiombati dentro di lei.
Ne aveva sussurrato il nome più e più volte, aveva finito per detestarne l'esistenza, l'aveva quasi mandata all'Inferno...
Dio, stava tentando in tutti i modi di non odiare una donna...
Lei, lei che non l'amava e non l'avrebbe mai amato e lei, quella donna era lì...
Cosa poteva esserci di più semplice e al contempo di più assurdo!?
Vacillò, dandosi dell'idiota…
Il mormorio crebbe, l'incontro stava sfumando, il malcontento si sollevò, che l'immaginazione si ritrovava defraudata di chissà quali peripezie amorose consumate nella cameruccia al piano superiore. Nessuno avrebbe mai osato sbirciare ovviamente, ma la coscienza avrebbe avuto la sua parte e qualche animo forse si sarebbe acquietato, condividendo un poco di calore, anche se solo di riflesso, di cui il compare più fortunato avrebbe goduto.
"Pardonnez-moi monsieur…avete ragione…" – prese a balbettare incattivito Dante rivolto al damerino per tentare di salvare il salvabile – "Vedete…il nostro amico…non è che ce l'ha con voi…semplicemente è giù di morale e forse è troppo disperato per accettare la vostra compagnia!".
Lo sguardo correva furtivo dall'ospite al soldato triste come a tentare di rabbonire le ragioni dell'uno e dell'altro...
"Però, di contro, dovrete ammettere ch'è sincero…" – respirò a fondo il soldato, tentando di proseguire – "Che non si sta approfittando di voi, così, come se nulla fosse. Punta i piedi ma insomma è un bravo giovane. Da quando è venuto nella nostra guarnigione non ha mai dato grattacapi…lavora dalla mattina alla sera e se devo essere sincero non l'ho mai visto correre dietro alle sottane d'una donna…ecco perché forse…le donne forse a lui non interessano…".
Che sussultò Oscar François de Jarjayes, perché quelli davvero l'avevano scambiata per un giovane damerino.
Che ad André non interessavano le donne…
E allora perché André aveva deciso di arruolarsi?
S'era stato proprio per colpa di una donna!
"Ma va bene sapete!" – cincischiò imbarazzato Dante – "A noi ci sta bene…"
"La questione non deve star bene a voi…"– sibilò Oscar François de Jarjayes che stava perdendo la pazienza – "Ma a lui!"
No, André Grandier pareva irremovibile…
Che si morse il labbro l'altra e decise di cambiare strategia…
Imporre la compagnia o con le buone…
O con le cattive!
La regina indietreggiò...
"Dunque messieurs…" – riprese cinica, mezzo passo indietro, come a ridiventare preda delle occhiatacce dei presenti.
L'esordio raggelò, che André conosceva il tono della voce dell'altra, fin nelle più imperscrutabili note.
Stizza e sfida ecco cosa ci intuì…
"Non sono qui per restare a mani vuote…" – occhi negli occhi come a dire all'altro che se non fosse stato al gioco, tutti e due si sarebbero fatti male.
"Monsieur…" – balbettarono Dante e Marcel – "Che intendete?".
Un altro passo indietro, ancora più fondo.
Poi di nuovo uno in avanti, si ritrovò sotto il naso di André.
"Intendo dire che se il vostro compare non gradisce la mia compagnia…non è necessario perdere altro tempo! Ma allora…" – la chiosa colpì nel segno – "Se qualcun altro avesse in animo di sentirsi davvero solo…".
André comprese. L'altra giocava col fuoco, avrebbe rischiato di bruciarsi davvero.
Se non avesse accettato lui, davvero avrebbe offerto i suoi servigi a qualcun altro!?
I servigi…
Che diavolo hai in mente…
Dannazione, Oscar François de Jarjayes…
Una strana partita...
Quale vittoria in gioco?
E allora avrebbe vinto chi per primo avesse accettato di perdere?!
Lei lo stava incastrando...
André lo comprese, si maledisse, che così sfacciata e al tempo stesso arrogante non l'aveva mai conosciuta.
D'altra parte, l'altra era stata educata a gestire situazioni ben peggiori, attentati, maldicenze, agguati verbali, figuriamoci articolare una difesa a parole che in realtà era un attacco bello e buono nei confronti dell'ex attendente.
Il brusio si sollevò…
Ancora qualche istante…
Due omoni nerboruti ma disinvolti, entrati da poco nella bettolaccia, si alzarono dalle sedie, da un tavolaccio poco distante, forse invogliati dalla storpia discussione.
Le giacche delle uniformi - che quelli invece le portavano - un poco più sdrucite, rattoppate e sporche, erano appoggiate sulle spalle mentre le camicie mezze sbottonate rivelavano pelle scura solcata da svariate cicatrici.
Ferite di guerra o risse, vai a saperlo.
"Caz…" – sputò Marcel, intuendo la piega ingenerosa che stava prendendo la faccenda.
I due non appartenevano alla loro guarnigione.
Ne dedussero ch'erano stranieri o peggio ancora mercenari, i peggiori, piegati solo al proprio tornaconto, ch'era poi solo il denaro e per di più declinato alle cifre più generose.
Non avevano altri principi, non avevano altri valori, non avevano nessun ideale.
Quelli presero ad arrotolarsi le maniche.
Dunque nessuno disdegnava nulla da quelle parti, anzi, se c'era da divertirsi sfogando un poco gli istinti e la merce fosse stata lì, a disposizione, nessuno si sarebbe messo a fare lo schizzinoso.
Il tempo d'un respiro…
La regina accerchiata...
André s'accorse dello spostamento dei due…
Si ritrovò addosso gli occhi di Marcel che, a quel punto, l'imploravano di spicciarsi perché i due non ci avrebbero pensato due volte a farsi avanti e il damerino aveva già reso loro la strada più che libera. Persino quello forse si rendeva conto del pericolo.
Tutto ribaltato…
André abbassò lo sguardo agli occhi di Oscar…
Che però lei non tradì nessuno stupore, seppure una rapida scintilla d'impalpabile rabbia scorse subitanea…
I due energumeni fecero un passo…
"Noi ci stiamo!" – affondarono all'unisono – "Se il qui presente signor damerino intende onorare i soldati francesi…noi saremo onorati d'accontentarlo! Come preferisce poi…da soli o assieme…a noi va bene tutto! Starà a lui reggere il passo!".
La rozza chiosa eruppe alle spalle, fece sussultare lo sguardo come colpito da una scheggia di smarrimento.
I soldati che avevano architettato la messinscena si guardarono stupiti ma anche inevitabilmente rassegnati. In fondo se non ne avesse approfittato André, poco male che l'avessero fatto altri.
Anche se nessuno di loro avrebbe potuto garantire sui modi che gli altri avrebbero riservato al damerino.
Il ghigno sul viso dei due parlava da sé.
S'immaginarono che sarebbe potuto accadere il peggio. Chissà se quel biondino così esile e orgoglioso avrebbe retto alla rudezza che i due parevano aver scritta in faccia e poi là, nelle brache luride!
Quelle braccia l'avrebbero stretto, piegato e…
E se il damerino si fosse un poco ribellato…
Ecco, quei due forse non avrebbero atteso altro…
L'avrebbero tenuto lì, forzato a chissà quali gesti…
Marcel tornò al viso di André. Un moto di compassione e la spalla stretta forte, che quello si spicciasse a parlare, perché sennò non era certo in quale guaio si sarebbe cacciato il damerino.
Oscar domandò muta ad André se davvero lui avrebbe lasciato correre…
"Forse…"– replicò quello spazientito e spaventato, che lei non avrebbe potuto tirarsi indietro, che invece solo lui avrebbe avuto piglio di cavarla dal contorto scenario che lei si era ritagliata addosso – "Avete ragione…".
Di nuovo si sentì in trappola.
Lei lo sapeva bene che lui non le avrebbe mai fatto correre un simile rischio, dunque se non fosse corso ai ripari lui, cedendo, e se non l'avesse fatto in fretta, sarebbe persino potuta scoppiare una rissa.
Che difatti i due sgranarono gli occhi, avanzando d'un passo…
"Come?!" – sputò uno dei due omoni – "Adesso avresti cambiato idea?".
Le maniche arrotolate presero a scorrere ancora di più. Stavolta il gesto non era per liberare le braccia e intrattenersi con il damerino ma scoprire i muscoli per menar meglio le mani.
Uno dei due le arrivò accanto e l'afferrò per un braccio…
Se lei si fosse rivoltata, se lei fosse stata scoperta…
"E…i miei compagni pagheranno la stanza e…" – si morse il labbro André, assurdo sputare tal genere di parole – "Insomma voi siete due…e non credo che il denaro sarebbe sufficiente!".
"Amico…noi i soldi li abbiamo…" – grugnì l'energumeno tentando di tirarsi dietro il damerino.
La rabbia, giusto un istante dopo la stretta al braccio, salì repentina, che lei si voltò di scatto, imponendo alla mano che la stringeva analoga rotazione, sì da costringere le dita a mollare la presa…
Un istante, l'energumeno si sentì beffato che non era evidentemente abituato a lasciarsi sfuggire una preda…
Tentò di riacciuffarla, la sua preda, che però a quel punto fu André a fare un passo e a mettersi in mezzo e a cacciarsi l'altra dietro le spalle, così che l'uomo non le fosse più accanto…
Un gesto oltremodo galante, seppure un poco assurdo, perché se tutti credevano che il damerino fosse un uomo, quello avrebbe avuto forza e modo di difendersi da solo.
Che ci provò in effetti il damerino a ricacciarsi in avanti, vai a capire se per difendere l'onore strattonato oppure per evitare che André fosse scoperto, che quello che stava proteggendo non era un uomo bensì una donna, o forse più semplicemente perché quella era Oscar François de Jarjayes che mai aveva permesso ad alcuno, energumeno o gentiluomo che fosse, di metterle una mano addosso.
L'assurda e pericolosissima danza suscitò l'entusiasmo e l'ovazione del pubblico…
Al mormorio seguirono risate d'incitamento, che lo spettacolo d'un amante conteso, era assai più interessante delle finte moine messe in scena dalle mesdames del porto alle prese con le leziose lusinghe ai probabili clienti.
Marcel decise di mettersi in mezzo…
Così Dante e anche Gustav.
"Sentite…la compagnia…è André che ne ha bisogno…non voi!" – gracchiò Marcel con lingua più altolocata - "E lui ha deciso che gli sta bene! Non è mica come voi che appena potere, saltate addosso a chiunque…magari avrà avuto necessità di pensarci…è sempre solo…che ne sappiamo…magari non gli si rizza e ha paura…".
La chiosa bislacca affondò altisonante questa volta, in un rimbalzo di risate e sgomitate.
I due compari invece erano rimasti seri, fissando dal basso verso l'alto l'uomo che aveva beffato gl'intenti e i pruriti e che parimenti a loro non si era lasciato coinvolgere dal concerto irriverente. Che quando un uomo non segue le risate del branco di simili è quanto meno probabile abbia altro a cui rimuginare o, peggio ancora, recriminare.
Marcel tirò un respiro fondo, forse ai due balordi era già andato il sangue alla testa, o meglio…
Il sangue era già rimbalzato giù, in mezzo alle brache, e chissà come avrebbero fatto quelli a darsi una calmata.
André invece guardò altrove, voltandosi e si ritrovò l'altra di fronte a sé, che lei aveva chiuso gli occhi, solo per un istante, ch'era abituata a tanto ma non a tutto.
Voleva solo andarsene ma a quel punto non da sola.
E se André non fosse andato con lei…
Tirò un respiro fondo, tornando agli occhi dell'attendente che adesso stava lì a scrutarla, senza muovere un passo.
Si ritrovarono stranamente complici, i corpi vicini eppure un poco dispersi…
Nelle settimane precedenti era accaduto il contrario.
Erano stati lontanissimi eppure…
Oscar s'immaginò che André in qualche modo fosse tornato, anche solo per qualche istante, alla loro vita, le giornate scandite dal sole al mattino che li accompagnava a Versailles, le cavalcate, gli addestramenti.
Così come aveva fatto lei, chissà se anche lui si era chiesto quale fosse stata la sua vita in quel tempo e come aveva vissuto la reciproca lontananza.
Per un istante s'immaginò di non essere più Oscar François de Jarjayes ma solo…
Un damerino di nome Oscar…
Per un istante…
La destra si sollevò di nuovo, stavolta afferrò la giacca dell'altro, stringendo forte la stoffa.
Se doveva recitare una parte, seppur declinata a soggetto, tanto valeva andare fino in fondo.
Tirò un poco a sé, scandendo le parole, basse ma ferme: "Non t'azzardare a rifiutarmi! Non perdono quelli che mi prendono in giro!".
Le sillabe suscitarono l'ennesima risata e poi applausi e un coro d'incitamento e ringraziamenti, che lo spettacolo aveva avuto pregio d'intrattenere e divertire e lusingare gli animi e solleticare un poco le viscere.
A quel punto volgeva a conclusione e sarebbe proseguito sì, ma con altre scene, recitate altrove.
Che nessuno in realtà aveva sospettato che i due si conoscessero già, dunque la chiosa altro non era che conferma che il damerino avrebbe fatto sul serio e l'altro non avrebbe avuto modo alcuno di tirarsi indietro.
Anche i damerini allora avevano una dignità, un onore da difendere…
Il volto di André, sceso d'un paio di pollici...
Oscar lo vide davvero, riconobbe lo sguardo docile ma severo e silenzioso.
E chiaro ma al tempo stesso del gelido chiarore d'una distesa di ghiaccio, lontana e fragile, sul punto di spezzarsi da un istante all'altro.
André non aveva dunque gradito l'intromissione o forse anche lui s'era calato a tal punto nella parte...
D'improvviso…
André Grandier non tentò di sottrarsi ma s'avvicinò ancora di più, sfiorando il viso dell'altra, respirando piano all'orecchio, sfidando la platea di ridanciani guardoni.
Era come se fossero stati soli, che Oscar sussultò…
"E tu non t'azzardare a tirarti indietro…stavolta anch'io farò sul serio!".
La sfida era stata lanciata. Dante s'impossessò di nuovo delle spalle del riluttante soldato, afferrandolo e strattonandolo via per spingerlo verso le scale.
Alle spalle passò la bottiglia e un secchio colmo di carbone a rimpinguare il camino.
Il pubblico s'arrese, liberando una risata scrosciante, schioccando proposte di brindisi e poi fischi e incitamenti a darsi da fare si mescolarono agli auguri al damerino lezioso e al soldato schizzinoso a non lesinare carezze e morsi…
Nessuno fece più caso agli energumeni beffati…
Gustav, con sollievo, li vide infilarsi le giacche e uscire, seppure la visione rimase lì, a galleggiare nello stomaco, come una pietanza rancida.
Le scale in legno un poco roso dal tempo e dai tarli scricchiolarono sotto i passi pesanti.
Tremò Oscar François de Jarjayes che alle spalle giunse un grido, ch'era minaccia e goliardia al tempo stesso.
La masnada, almeno al soldatino, gli avrebbe contato i segni addosso…
Dunque che non si fosse azzardato a lesinare pelle e bocca…
Che il damerino pareva sano e in salute e dunque non era il caso di mostrare cura smodata della bella pelle chiara e lieve del giovanetto.
"Idioti!" – la chiosa si perse nel buio della scala.
La lanterna cieca, che moccoli di candela non ve n'erano, venne appoggiata al tavolo.
Qualche istante ancora e la porta si chiuse alle spalle.
Oscar si ritrovò dentro, André dietro di lei…
A terra il secchio con le braci di carbone, la bottiglia appoggiata vicino al camino, il vino ad intiepidirsi.
Così da far effetto e sciogliere ogni remora e ogni stilla di ghiaccio che scorreva nelle vene.
* I nomi dei soldati, Dante, Marcel e Gustav sono ispirati ad analoga scelta compiuta nel romanzo giallo "Ninfee nere" dall'autore Michel Bussi.
** Victor Hugo "William Shakespeare" – Ed. Feltrinelli.
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