Noi leggevamo un giorno per diletto
Di Lancillotto, come amor lo strinse:
Soli eravamo e senza alcun sospetto.

Per più fiate gli occhi ci sospinse
Quella lettura, e scolorocci il viso:
Ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso
Esser baciato da cotanto amante,
Questi, che mai da me non fia diviso,

La bocca mi baciò tutto tremante:
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse;
Quel giorno più non vi leggemmo avante.

Dante, Commedia, Inferno, Canto V

Kiss me hard before you go

Summertime sadness

I just want you to know

That baby, you the best

I got that summertime, summertime sadness

Summertime sadness

Lana del Rey

Baiser d'adieu

Port du Brest, nuit…

André…

Gli occhi lo cercarono...

Lo vide, appoggiato al muro della scuderia, braccia consente, aria severa, in attesa, come al solito.

Aggrappato alla vita di lei, ai suoi ordini, alle sue balzane pensate.

Stavolta i passi la portarono ad avvicinarsi.

Non udiva rumori, nessun rimestare di ferri o nitriti di cavalli o grida di fabbri o inservienti…

Nessun andirivieni nonostante fosse quasi il tramonto.

Luce lilla ammantava le cime dei pioppi poco più in là, le betulle agitavano al vento le tenere foglie, le fontane zampillavano esigui getti, le condotte chiuse dal mastro fontaniere, in previsione della notte.

Il mastro fontaniere…

Chissà se ci aveva parlato lo strano scienziato…

Perle liquide schizzate sul selciato di mattoni rossi, asciugate dal calore della pietra e dissolte in un istante.

Le dita si strinsero attorno al bavero della giacca dell'altro…

André aprì gli occhi e la guardò severo.

Ad un pollice da lei ma lei non sentiva nessun odore di sapone, nulla…

Intravide disprezzo, quello sì, lo stesso disprezzo che lui le aveva riservato nella scuderia.

Salì il proprio sprezzante intento di cavargli dalla faccia quell'espressione…

Il tempo di sporgersi e catturare le labbra…

Il tempo di scorrere alla nuca e tenere lì la testa, mentre il corpo, senza peso, s'adagiava su quello di lui, attirato dalla presa, tenuto fermo dal bacio…

Le labbra corsero lungo l'arteria del collo a disegnare rintocchi lievi...

Morsero i denti...

Morsero la pelle, le curve dell'anima, gli anfratti insondati del sesso, a dirigere il respiro dapprima disarmonico, poi ricomposto entro una sorta di cadenza roca, intaccata solo dallo stacco secco d'un secondo respiro, tremante e fulgido…

E poi un altro ancora…

Risalirono dalle viscere...

Baci d'orgoglio...

Geometrie d'abbracci e morbidi graffi...

Lo sguardo chiuso al nero fondo del tremore, le forze avvinghiate entro spire verticali sempre più strette e livide…

Per un istante gli occhi s'incontrarono…

Nessun cedimento…

Nessuna vertigine…

Il rispetto relegato negli antri delle antiche convenzioni.

Caddero i corpi, giù, nell'istinto dell'incedere intenso…

Nell'insondato desiderio d'appagarsi…

L'impalpabile tela che aveva retto l'incontro prese a stracciarsi, dapprima sospinta, poi strattonata, infine lacerata dal fremere della forza, dall'affondo che ruppe il silenzio…

Grido muto...

Sgraziato respiro...

Persi nell'alba nebbiosa e sfatta...

Il riposo ormai sconfitto dalla smania d'un corpo da colmare e così trafiggere lo smarrimento del giorno nuovo.

Che giunse infine l'alba…

Cigolii di carretti lungo le stradacce sconnesse…

Voci dapprima basse, come sospese al sollevarsi del chiarore del sole…

Legna arsa e ormai distrutta…

Strida d'uccelli…

Camini fumanti…

Odore di pane appena sfornato e farinosa rabbia…

Rintocchi lontani annunciavano le lodi del mattino…

Poche domande ancorate ai brandelli di sonno ormai rotto e svanito…

Dimmi che ne sarà di noi…

§§§

Gli occhi s'aprirono piano e la luce colmò lo smarrimento.

S'accorse d'aver dormito…

Quanto…

Una specie di scampanellio prolungato, da lontano, richiamava la mente allo scopo unico di quel giorno.

Intuì il corpo dell'altra, accanto a sé, allungò la mano per toccarla.

Un istante di esitazione, che così avrebbe rischiato di svegliarla.

Ritrasse le dita, limitandosi a osservare il volto.

Dormiva…

Il respiro muto, il corpo immobile…

Il profilo bello e abbandonato, le labbra dischiuse, anch'esse lievi e un poco bianche, asciutte…

Il corpo rannicchiato, come a nascondersi dagli sguardi sbiechi di attimi estranei alla sua vita.

Non resistette e l'abbracciò, la tenne stretta ancora un poco, mentre l'indice ripassava il profilo della bocca, piano però che sennò l'avrebbe davvero svegliata.

S'abbandonò al respiro muto, al corpo molle e lieve, al sonno che aveva ancora in pugno la coscienza e gl'intenti bellicosi.

Amare non significa sacrificarsi…

Amare significa imporre un sacrificio alla persona amata.*

E nessuno con un poco d'amore in corpo potrebbe mai arrivare a tanto.

Potrai mai comprenderlo Oscar?

Potrai mai giungere a comprendere un amore così grande?

Così spaventosamente fondo che il solo pensiero di separarsi dall'altro fa tremare il sangue nelle vene mentre un grido straziante imprigiona la gola?

Nascondersi nell'altro…

Fondersi all'altro…

Morire persino nell'altro…

Se tutto ciò fosse il bene dell'altro...

Allora questa sarebbe la soluzione.

Ci si nasconde assieme…

Ma i cuori saranno sempre due.

E nessuno potrà nasconderci per sempre.

Perché se l'altro ama, allora anche noi siamo liberi di amare.

Se l'altro muore per noi, allora anche noi moriamo per lui.

E se noi moriamo, anche l'altro muore.

Si muore assieme…

Dunque è bene non amare più…

E' bene che nessuno chieda all'altro di nasconderlo o nascondersi in lui.

E' bene non rischiare d'essere amati e non rischiare d'imporre all'altro alcun biasimevole sacrificio.

André Grandier...

Potresti non tornare più.

Dunque colei che ami sarebbe libera…

Mai le imporresti alcun sacrificio.

Forse è questo l'amore più grande…

Forse è questo l'amore più puro che potrai mai offrire.

André Grandier scivolò fuori dal letto.

Qualche istante immobile per comprendere se davvero sarebbe andato fino in fondo.

La luce dell'alba annichiliva gl'intenti, frantumava le residue forze, graffiava l'orgoglio che mai s'era sollevato a quel modo negli anni addietro.

Poi lo sguardo si sgranò alla visione di una camicia appoggiata sulla seggioletta.

Era uno dei suoi indumenti ma non rammentava d'averlo portato con sé.

Si voltò, scorse di nuovo al volto dell'altra, scorse la camicia indossata, una tela un poco grezza, stavolta lo stupore fu non riconoscerla come una delle sue.

Scorse la borsa, ci rovistò dentro intimorito dal contenuto familiare. Erano altri indumenti, suoi.

Ne riconosceva la tela, ne intuiva il viaggio, dalle mani pietose di sua nonna, sin lì, a mezzo della messaggera dormiente.

André Grandier afferrò la stoffa appoggiata alla seggiola, se la mise addosso, in fretta.

Intuì la contrazione del cuore, che quella camicia fredda, pur essendo la propria, pareva recare con sé, come rosa del mattino appena baciata dal sole, l'odore di lei, sentore di pelle conosciuta, sprigionata lieve, come davvero lei fosse ancora stretta tra le braccia.

Si contrasse l'orgoglio.

S'incrinarono gli intenti.

Poi la mente decise d'imboccare il bizzarro sentiero dell'astio e della ripicca, relegando nell'angolo il buon senso.

Chissà com'era accaduto che alla fine lei fosse riuscita a trovarlo!?

Pura casualità, che - se si considerava che lei era giunta fino a Brest - il motivo doveva essere stato conferire con il Conte di Fersen.

E lì, per pura casualità, doveva aver saputo che anche lui era parimenti a Brest.

Punse dunque il pensiero che lei era lì, davvero vicina, ma chissà dov'era stata prima, chissà chi aveva veduto, con chi aveva parlato...

Senz'altro il Conte di Fersen…

Fersen...

Dunque, se lui non fosse partito…

Se lui non avesse deciso d'imboccare davvero la strada dell'oblio, tutto sarebbe rimasto come prima. Anzi, forse sarebbe stato peggio, perché adesso André Grandier era certo che Oscar François de Jarjayes non l'avrebbe mai amato.

Oscar François de Jarjayes amava il Conte Hans Axel von Fersen.

Il viaggio era stato intrapreso per Fersen, qualunque ne fosse il motivo.

E quel pensiero avrebbe ucciso l'amore che lui provava per lei.

Che idiozia…

L'amore che soffoca l'amore…

L'amore che distrugge l'amore…

Che idiozia!

E...

Dannazione...

Chissà com'era accaduto che lei avesse indossato la sua camicia anziché una delle proprie!?

Dunque le aveva portate con sé...

Chissà...

Sua nonna doveva aver così insistito che lei l'aveva sicuramente accontentata, per ammansirne l'angoscia...

E...

Dannazione...

Ormai era tardi…

Lui aveva scisso le esistenze…

Lei gli aveva chiesto con insistenza di quella donna, la donna di cui lui si era perdutamente innamorato.

Non aveva colto il senso delle risposte, del vuoto scavato dall'amore impossibile.

Dunque non aveva alcun senso restare e torturarsi ulteriormente.

Avrebbe rischiato di tradirsi.

Avrebbe rischiato d'annientare lei, se non si fosse più fatto bastare solo gli sguardi, solo gli ordini, solo le chiacchierate alla sera o le chiose e i pettegolezzi.

Amare non significa sacrificarsi…

Amare significa imporre un sacrificio alla persona amata...

Era il giorno fissato per l'imbarco.

André ricompose la coperta, coprendo il corpo addormentato, raggomitolato e stretto a sé.

Si chinò avvicinandosi al viso, contemplandolo quasi senza respirare, per non svegliarla.

Fuggi di nuovo, fuggi da lei e da ciò che siete stati e da ciò che non sarete mai.

Fuggi prima di distruggerla e distruggere te stesso.

Fuggire non è la soluzione, questo l'hai sempre saputo…

Ma avere la forza di fuggire...

E' possibile, da qualche parte, trovare quella forza e provarci, a fuggire?!

Fuggendo non risolverai nulla.

Ma fuggi ugualmente…

Oscar...

Dimmi che sarà di noi?

Oscar...

Non dimenticarmi…

La retorica dei pensieri si schiantò nella testa...

Fuggiva per dimenticarla...

Fuggiva perché lei lo dimenticasse.

Il cuore si contrasse come straziato...

Oscar...

Non dimenticarmi...

Si chinò ancora di più, le labbra sfiorarono la fronte, una ciocca scomposta rimessa in ordine…

La borsa afferrata in fretta…

§§§

Port du Brest, nave da guerra Jason…

Il sole delle otto lambiva gli alberi ritti del veliero, le vele sapientemente imbrigliate e pronte per essere spiegate non appena le imbarcazioni si fossero trovate in mare aperto.

La passerella era affollata dal via vai di mozzi e marinai, a imbarcare le ultime vettovaglie, frutta fresca, carne secca, barili d'acqua, gallette per la lunga traversata.

E poi polvere da sparo, fucili…

Cordame…

Indumenti pesanti…

Era quasi estate…

Il viaggio sarebbe durato all'incirca due mesi e mezzo, forse tre con venti avversi e tempeste e…

Nulla era certo, né il luogo che lasciava, né quello in cui sarebbe approdato.

L'unica certezza era che stava fuggendo.

L'unica certezza era che stava strappando la tela di quella storia.

Una storia che non gli apparteneva.

Sarebbe stato molto più semplice restare e farsi bastare ciò che s'era fatto bastare per tutti gli anni addietro.

Sarebbe stato più semplice soffocare l'orgoglio, magari affogarlo in un buon bicchiere di vino, nel calpestio sordo del susseguirsi dei giorni, senza infamia, senza colpi di testa, senza respiri o lacrime.

No…

Lo sguardo si sollevò alla maestosità della nave…

André Grandier comprese che ormai era tardi per tirarsi indietro.

Tardi verso se stesso, perché avrebbe perduto la faccia…

Tardi verso di lei, perché se fosse rimasto, avrebbe dovuto replicare alle domande e prima o poi la verità sarebbe emersa.

Aveva tentato di dissuaderla dalla verità ma essa era, per sua essenza, la sola verità.

E' troppo tardi…

Non puoi imporle alcun sacrificio!

"Guarda che faccia!" – sgomitò Marcel Duvall contro Dante Renard alla vista del soldato che si fiondava a grandi falcate verso la lunga passerella – "Mi sa che non hanno combinato nulla quei due!".

"Tse! Io dico che André avrebbe dovuto cercarsi una bella dama! Te lo ripeto…i suoi gusti a me non interessano ma insomma…" – convenne Dante, fermo, il sacco di patate a penzoloni sulle spalle, in attesa d'osservare meglio l'infingardo ch'era rimasto a terra più a lungo del solito e loro lì a farsi in quattro anche per lui e ancora un poco e sarebbe saltato all'occhio che il soldato André Grandier non era a bordo.

Il sottufficiale di comando alle operazioni di carico della Jason colmò la distanza che lo separava dai due bellimbusti fermi, lì, come statue di sale…

"Che avete da guardare? Continuate a caricare…si salpa fra due ore…ancora un'insubordinazione e passerete la prima settimana di viaggio con una galletta a testa e mezzo bicchiere d'acqua in due!".

I soldati si guardarono sbuffando e ripresero il lento lavorio, come formiche che a file appaiate entrano ed escono dal ventre del nido, scomparendo nel buio della stiva, mentre altri soldati risalivano, braccia lungo i fianchi e passo lento, così da riposare almeno per il tempo del tragitto che sarebbe scorso prima di mettersi sulle spalle altri sacchi.

"Chissà perché non usano i muli per questo lavoro?!" – sputò Dante, scansando il soldatino Gustav Dumas ch'era invece sulla strada della discesa.

"Sic et simpliciter!" – obiettò quello, grattandosi la testa e ficcandosi la berretta sul capo. Che di nuovo gli toccava aggiustare l'eloquio perché a parlar troppo forbito poi nessuno l'avrebbe compreso.

"La finisci?!" – rimbeccò Dante fermandosi appaiato all'altro.

"Perché i muli sono più intelligenti!" - chiosò Alain Soisson severo, passando accanto a quelli e sfilando veloce verso la stiva – "Se un mulo decide che non gli va di salire, non sale nemmeno con le frustate! Invece noi siamo dei codardi e pur d'avere la nostra razione di gallette siamo disposti a spaccarci la schiena!".

"Ecce!" - fece spallucce Gustav – "Sic et simpliciter!".

"Dannazione!" – grugnì Dante.

I tre soldati s'affrettarono così da ritrovarsi di nuovo lì, ad incrociare poi non tanto casualmente i passi, così da disfare una tela di parole intrecciate senza senso, pur di guadarsi in faccia e rimuginare muti sulla bravata ch'era consistita nello scovare un degno sollazzo al soldato triste.

Che però quello pareva essere ancora più triste di prima.

E allora s'era passati a cercar di capire se André Grandier ce l'aveva proprio cucita addosso la severa melanconia oppure si trattava di una colossale e trionfante stanchezza mescolata agli effetti di una altrettanto indicibile sbronza!

Un'occhiata torva lanciata al compare che risaliva sulla passerella, con i due sacchi di patate issati sulle spalle che parevano pesare come macigni di solida pietra al punto da stranire lo sguardo un poco assente.

André Grandier non accennò a saluti o salamelecchi. Scomparve anche lui nella stiva.

Anzi, pareva che da quella stiva non ne sarebbe più uscito fuori.

"Va'…secondo me non l'avete proprio azzeccata!" – cincischiò Dante in tono conclusivo, lisciandosi le unghiacce sulla camicia – "Ecco, André non mi pare poi così triste! Anzi, deve averci dato dentro questa notte. Secondo me tra dieci sacchi crolla a terra e altro che una galletta e mezzo bicchier d'acqua! Non lo tirano su nemmeno se gli promettono di metterlo ai ferri per tutto il resto del viaggio! Sai che forse così conciato sarebbero pure capaci di lasciarlo a terra?!".

"Non lasceranno a terra nessuno idiota! La Francia vuole la sua fetta d'America e ogni uomo è importante…" – s'intromise Alain Soisson con disprezzo, sbucando dalla stiva – "Alla Francia non frega nulla dell'America e di quei coloni che vogliono vivere per i fatti propri. Alla Francia interessa solo di mettersi di traverso...con quella dannata isola e quei dannati inglesi…e prendersi più terra degli altri! Quindi nessuno verrà lasciato a terra! Tutti saranno utili! Persino Grandier!".

Alain Soisson l'aveva veduto passare, l'altro, uno scarso segno del capo da che non si erano rivisti dalla sera precedente, che Alain se n'era davvero andato a dormire, ma Grandier pareva non aver davvero chiuso occhio o forse doveva aver già attraversato l'oceano, seppur solo con la mente.

Alain Soisson si volse indietro, come a richiamare alla mente l'effigie del soldato, inghiottita dal buio della stiva, bocca gigantesca capace di fagocitare gli uomini e i loro pensieri e i loro amori e le loro fughe.

Ecco, al soldato Soisson pareva proprio che l'altro fosse in fuga...

"Solo che…" – azzardò Alain sovrappensiero.

"Solo che!?" – replicarono in coro i compari…

"Solo che…" – si contrasse Alain.

La conversazione s'arenò alla vista del sottufficiale in seconda e poi, sul cassero di poppa dell'uniforme sgargiante e severa del Capitano della Jason.

E dietro a quello…

"Deux griffons..."- saltellò Gustav, disegnando nell'aria l'effige dell'animale – "Et trois flèches d'or... et deux épées d'argent garnies d'or passées en sautoir dans une couronne d'or...".

"Ma che stai dicendo?!" – stizzosi d'ignoranza si ribellarono gli altri.

Gustav mantenne lo sguardo verso l'alto – "Le blason von Fersen..." – spiegò trottando via a ripescare altri sacchi di patate.

I soldatacci issarono gli occhi scorgendo il Colonnello dei Dragoni di Svezia, Conte Hans Axel von Fersen, che mostrava, anche quello, un'aria piuttosto contrita, seppur il viso bello contro il vento del mattino spaziava impettito allo scenario sotto di sé mentre, i capelli legati alla meno peggio, scompigliati dalle spire d'aria che si divertivano a infastidire la vista.

L'atteggiamento era severo e sprezzante ma di fatto anche l'ufficiale appariva un poco sulle spine, ammutolito alla visione dei bastioni in pietra del porto, come se da quelli stesse tentando di trarre la forza per scacciare l'immagine di sé, di lì a breve disperso in mezzo all'oceano, non più la terra ferma sotto i piedi, bensì il pavimento arcuato e scivoloso d'una nave da guerra.

Alain Soisson squadrò gli ufficiali, sputò a terra, come a scrollarsi di dosso il senso di compatimento che sgorgava inevitabile contro di quelli, ossia contro tutti quelli che portavano in guerra soldati che non ci sarebbero mai andati in guerra, se non fosse stato per la paga promessa.

Soldi contro vite umane.

Le guerre in fondo erano e sarebbero state perpetrate solo per motivi di conquista, che – questo sì – a loro poveracci non fregava davvero un accidente di nulla.

Riprese a scendere verso la stiva Alain Soisson e i compari un poco contrariati rimasero lì, appesi alla chiosa perduta e senza seguito, come troncata da pensieri senza senso e inutili da spendere.

Si domandava, in effetti, Alain Soisson, chi mai avrebbe dimostrato una tale insensatezza d'animo da partire per una guerra che non importava a nessuno, se non per un motivo interiore e sfuggente, se non per sfuggire a chissà quale disfatta, amorosa e pubblica?!

Si domandava da chi stava fuggendo André Grandier, che quello aveva riservato che poche parole quando s'era arruolato.

Un guaio con una donna...

Una bella donna...

L'andirivieni proseguì per un'altra buona ora.

Frenesia variopinta di mercanzie, casse di polvere da sparo, cordame, gabbie di polli, contro la luce del sole che sorgeva alto...

Chiacchiericcio di gente che iniziava a radunarsi attorno alle navi che a breve avrebbero lasciato Brest, contro le grida secche dei marinai che imbastivano le sartie così da averle in pugno una volta che fosse stato necessario liberare le vele…

Madri e padri, figli e fratelli, amanti e mogli…

Gente che annusava l'orgoglio…

Gente che magari non aveva nessuno sulle navi ma ci teneva a esser parte del grandioso meccanismo della guerra, così da poterne poi riportarne il racconto in giro per la Francia.

Il sonno pesava come una coperta spessa sugli occhi.

L'agitazione dei muscoli sfatti colpì i sensi e la luce ferì come una lama, così come i suoni più intensi riportarono al giorno.

La mano s'allungò d'istinto mentre alla mente riemergevano i frammenti distorti e scomposti della giornata precedente, il volto di Fersen, la corsa, l'incontro…

"Monsieur…è tardi…" - la voce del moccioso sbattuta in faccia - "Madame di sotto dice che non attenderà oltre…che v'ha consentito di restare anche troppo e che se restate vuole altri soldi…".

Il solerte domestico pensò bene di fare da sé e cercare prima che l'ospite fosse del tutto in sé.

Le monete allungate la sera precedente avevano commosso i sensi e reso abili le mani.

S'infilò lesto sotto la coperta, certo di trovare il sacchetto con le monete, ben custodito, perché altrove, di altro denaro non ve n'era ombra.

Che per poco non cacciò un grido...

Che anche l'altra si ritrovò sveglia, gli occhi sbarrati, l'immagine della stanza sconosciuta e poi quella del ragazzino ch'era ad un passo da lei…

Occhi sgranati e mano destra nella mano sinistra dell'altro, rapida e furente...

"Che fai?" – chiese Oscar minacciosa…

Il moccioso non fece a tempo a scansarsi…

"Monsieur…".

Tutto si scompose e tutto si ricompose…

I capelli scompigliati, l'espressione minacciosa, la domanda che sibilò tra i denti, la dannazione…

"Dove sei?".

Oscar si tirò su, non aveva avuto tempo di ricomporsi secondo il consueto abbigliamento…

La camicia era aperta, aperta si…

Le mani corsero ai lembi stringendo la stoffa.

Liberamente...

La bocca baciata...

"Dov'è andato?".

Liberamente...

Le braccia dell'altro ad abbracciarla...

"Monsieur…" – balbettò il moccioso che rimase impietrito – "Madem…voi…".

"Dov'è andato?!" – ripetuto veloce e secco, mentre si voltava e tentava di chiudere i lacci della camicia, le dita intorpidite dalla stanchezza e dallo smacco che il mocciosetto avesse compreso attraverso modi del tutto inconsulti la declinazione del sesso…

"Dov'è!?" – gridò di nuovo, secca, voltandosi, che il moccioso comprese, e anche se fino a quel momento non avrebbe mai potuto immaginarlo...

Ma la faccia di quella che si trovava davanti…

Il viso…

Il moccioso era grandicello…

Si passò la manica sul viso, si pulì il naso con la mano…

"Mademoiselle…per servirvi…devo trovarvi le ton fidéle ami?".

"Le mon fidéle…".

Oscar appoggiò i piedi a terra, s'accorse che la borsa era scomparsa e così la camicia che aveva lasciato sulla sedia.

"Dove...".

I tasselli presero a risorgere nella mente.

Svegliati!

Nulla...

Inaudito!

Si era addormentato...

André si era bellamente addormentato...

Non s'era nemmeno degnato di restar sveglio!

"Quello...se ci tenete...credo sia andato al porto..." – sputò il moccioso con un sorrisetto, come a gongolare, che l'altra s'era fatta fregare per benino e le fidéle ami se l'era svignata – " Scommetto che non vi ha pagato?!".

Gli occhi strabuzzati...

Pagato...

Che...

Chi è quella donna?

Lei deve vivere...

Non merita di sopravvivere e basta...

La sua luce...lei...tutto scomparirebbe...

"Che tu..." – ammise ch'era stata beffata dall'altro e da se stessa, più da se stessa, rapita dal sonno antico, come se non avesse dormito da secoli e dunque non era stata abbastanza all'erta da accorgersi che André s'era svegliato prima di lei e se n'era andato...

Nemmeno una parola...

Di nuovo...

La granitica e sprezzante convinzione del soldato a mantener ferma la propria scelta indusse stizza e rabbia, mescolate all'insano pensiero d'essergli stata, lei, così vicina da non rammentare più se quelli che riemergevano erano brandelli di sogno oppure atti e gesti e...

"Fammi strada…devo raggiungere il porto…devo trovarlo!".

Congetture estreme sbattevano nelle tempie e montavano di pari passo al dolore acuto, strascico causato dal dannato vino.

Nelle dita e nelle viscere il marchio di ore mute eppure impresse a fuoco…

Nei muscoli lo smarrimento d'essere stata lasciata lì, di nuovo, dall'altro che pareva essersi preso gioco di lei, di nuovo…

§§§

"Certo che questi nobili…se la passano proprio bene!" – i soldati a far la spola tra la terra e il ponte squadrarono il gruppo di ufficiali che sostava poco lontano – "Non fanno mica fatica loro…".

Che però, d'improvviso, Alain e gli altri sussultarono.

Uno degli ufficiali si staccò dal gruppo, dirigendosi all'apparenza verso di loro.

Pochi passi, che anche uno dei soldati che si stava avviando di nuovo nella stiva, appoggiato il sacco giù dalla spalla, si diresse verso l'ufficiale.

Nessun cenno del capo eppure i due si ritrovavano uno di fronte all'altro.

"Caz…ma quei due si conoscono?!" – sputò Marcel alla vista dell'incontro – "Vatti a fidare del diavolo!?".

"Alain…che ti sembra di questo?"- rincarò Dante.

"Le griffon…" – sussurrò Gustav – "Et le soldat mélancolique!".

Alain Soisson rimase muto, un respiro fondo, lo sguardo tagliente ad ammettere che forse anche lui s'era fidato della persona sbagliata.

"Dico che vi avevo avvertito…" – sibilò sprezzante – "Se non state attenti a quello che dite potrebbe essere che qualcuno di cui ci si fida poi finisca per fare il doppio gioco!".

"Ma...parli di Grandier!? Quello...non aveva detto d'essersi arruolato per dimenticare una donna? E che non aveva nulla a che fare con i bellimbusti nobilucoli dei superiori!?".

I soldati s'ammutolirono alla vista dello scambio.

André s'era mosso intuendo il cenno dell'altro, onde evitare di farlo avvicinare troppo, che gli avanzi di galera non avessero avuto in animo di ascoltare discorsi indiscreti, né sull'altra, né su null'altro.

Oscar François de Jarjayes era giunta sino a Brest.

Lui l'aveva vista…

Un passo dietro al Conte Hans Axel von Fersen.

Oscar François de Jarjayes amava il Conte Hans Axel von Fersen...

André rimase in silenzio, un solo impercettibile cenno del capo.

Fersen parimenti non pretese omaggi e salutò con analogo mutismo.

Incomprensibile il linguaggio dei due.

Alain Soisson, sempre più stupito, digrignò rabbia. Si sentì d'improvviso defraudato di quella parte di sé che aveva sempre riservato agli amici più fidati.

Del soldato triste s'era fidato, forse erano stati i modi gentili ma non affettati, forse la sobrietà delle parole.

Ma che quello conoscesse il bellimbusto svedese…

"Quindi avete deciso…" – abbozzò Fersen solo per spezzare il silenzio.

Era ovvio, se André Grandier era lì, anche se il conte non era a conoscenza del motivo di una simile scelta.

"Si…" – ammise Fersen tra sé e sé, mentre André restava in silenzio, ch'era lui a non sapere il motivo per cui Oscar François de Jarjayes fosse giunta sino a Brest, o meglio, il motivo lo immaginava e allora avrebbe voluto strapparglielo dalla faccia quello strano sorriso, quasi sinistro, che illuminava l'espressione del conte – "Siete a bordo…è evidente!".

"Pensavate non sarei partito?".

"Ecco…in effetti…ieri sera…".

André intuì che l'altro doveva averlo scorto nel vicolo.

E Fersen ammise di aver riconosciuto André, ma di contro non era certo e non sapeva se André li avesse visti, loro due assieme, il Conte Hans Axel von Fersen e Oscar François de Jarjayes.

E c'era che, dopo la cena della sera precedente, dopo la conversazione accorata, lei aveva accennato di volersi ritirare ma poi era scomparsa.

Al risveglio non l'aveva più trovata.

Il Conte Hans Axel von Fersen intuì un brivido correre lungo la schiena.

Se l'altra fosse rimasta…

I pugni chiusi…

Non era accaduto.

Chissà dov'era finita Oscar François de Jarjayes?

Si domandò, il Conte Hans Axel von Fersen, se l'altra fosse davvero andata in cerca dell'attendente d'un tempo, visto che era stato proprio lui a rivelarle che il soldato André Grandier era a Brest e che l'indomani si sarebbe imbarcato.

Si domandò André Grandier che cosa fosse accaduto prima, invece…

Prima di trovarsela davanti…

Nessuno dei due uomini dunque sapeva tutto ma ciascuno era bieco possessore d'un misero brandello dello strano groviglio di congetture.

Il Conte di Fersen aveva da perdere l'onore di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, dato che nessuno avrebbe dovuto sapere che Oscar François de Jarjayes era giunta a Brest per comunicare a lui e soltanto a lui, la gravidanza della regina.

Nessuno, nemmeno l'attendente d'un tempo del Colonnello Oscar François de Jarjayes.

André Grandier aveva da perdere solo la sperduta conoscenza di ciò che forse era occorso tra i due.

Saperlo non avrebbe mutato i suoi sentimenti…

Meglio tacere dunque, così che il conte non avesse pensato che Oscar fosse infine giunta a cercare proprio lui, l'attendente d'un tempo, André Grandier.

E che fosse accaduto di ritrovarsi a dormire assieme…

Dormire…

La fulgida immagine dell'altra, i capelli biondi scomposti e sparsi sul misero cuscino, il corpo magro e lieve, l'odore sensuale e acerbo del suo dannatissimo orgoglio…

Il respiro del sonno…

Le labbra dischiuse…

Baci d'orgoglio...

Geometrie d'abbracci e morbidi graffi...

S'irrigidì André Grandier soggiogato dalla visione e al tempo stesso distratto dal pensiero che lei, prima di quegli istanti, fosse stata di fronte al conte.

L'odore del suo orgoglio…

Gli pareva non fosse più lo stesso…

"Ieri sera vi ho visto nel vicolo…" – attaccò Fersen.

"Si…anch'io…" – ribatté secco André, che era inutile girarci attorno.

Scoprirsi per imporre all'altro di scoprirsi a sua volta.

"Avete visto me!?" – sussultò l'altro sorpreso, implicita la domanda.

Solo me e nessun altro!?

Chissà a che gioco voleva giocare Fersen?

Se lo chiese André Grandier.

Forse voleva sapere se André Grandier aveva scorto solo il Conte Hans Axel von Fersen…

Perché se André avesse ammesso d'aver veduto anche Oscar François de Jarjayes, ne sarebbe venuto fuori uno strano scenario.

L'attendente di un tempo, fedele amico e servo da una vita, che lascia la casa del padrone e sfugge allo sguardo della donna che ha servito da sempre?!

Che però l'altra non aveva scorto lui, André, ma poi se l'era ritrovata davanti, dunque che André fosse stato a Brest qualcuno doveva averglielo detto a Oscar…

Chissà se Fersen sapeva che Oscar era arrivata sino alla bettola!?

Chissà se s'immaginava che lei fosse venuta a cercare proprio il suo attendente d'un tempo!?

Chissà, magari lo sapeva già, ma il fatto che avesse esitato a rivelare sin da subito la presenza di Oscar a Brest e che facesse domande così ambigue…

"Si…" – tagliò corto André laconico, senza scendere in altri particolari.

Oscar non aveva rivelato perché fosse giunta a Brest.

Se era stato per vedere il conte, qualsiasi fossero stati i motivi, eran affari suoi, e lui non aveva interesse a rivelare che sapeva del loro incontro, che li aveva visti.

Non aveva interesse…

Eppure bruciava l'idea che gli altri due si fossero incontrati.

E poi lui se l'era ritrovata davanti.

E bruciava il pensiero che lei l'avesse cercato…

Voleva essere scoperto André Grandier!?

Voleva che l'altra lo smascherasse?

A che scopo?

La gelosia annichilì ogni ragionamento…

André si vide sospinto sul ciglio d'un burrone.

Avrebbe voluto sapere ma perché continuare a farsi del male!?

Avrebbe voluto chiedere all'altro, ma la semplice visione dei due, assieme, offuscò la smania, lasciando prevalere l'amor proprio, il risentimento per esser venuto dopo l'altro…

Detestabile sentimento, la gelosia, capace d'annientare sé e l'altro, pur di non accettare il bene dell'altro…

"Non preoccupatevi…il viaggio sarà lungo…avremo tempo di parlare ancora…" – tagliò corto Fersen, intuendo che l'altro non avesse poi una gran voglia di offrire altre parole - "Sapete…il fatto d'avere a bordo almeno una persona che ha conosciuto i severi meccanismi che regolano il grande orologio della corte di Francia da una parte mi conforta…".

Strinse i pugni André Grandier….

Lui stava partendo per dimenticare, che senso avrebbe avuto rivangare gli odiosi meccanismi da cui tentava di mettere più spazio e distanza possibili da sé?

Sperò che, alle spalle, nessuno avesse udito…

D'improvviso lo sguardo di Fersen si scostò dall'interlocutore.

Gli occhi si sgranarono un poco…

"Perdonate André…"- si scansò Fersen, prendendo a correre a grandi passi verso la passerella.

Mancava poco meno di un'ora alla partenza, solo a un ufficiale sarebbe stato consentito scendere dalla nave, di gran carriera…

André ebbe un tuffo al cuore…

Si voltò e scorse il motivo per cui l'uomo era corso via.

Un brivido risalì lungo la schiena…

La vide, Oscar François de Jarjayes, che sbucava dalla folla assiepata sul molo, sguardo puntato alla fregata da guerra, alla ricerca…

Chi stai cercando Oscar?

Me…

Oppure…

Rimase immobile André Grandier, quasi sordo, che non si accorse che i compari avevano assistito alla scena e chissà forse nel tramestio dell'andirivieni avevano scorto il nesso che legava i due uomini.

Quando anche non ci fossero riusciti, sarebbe stato evidente comprendere che i due avevano almeno un punto in comune.

Una persona per l'esattezza…

Quella che stava giungendo…

"Porca miseria…guarda…Alain…è il damerino di ieri sera!" – gridò Marcel.

"Ieri sera? – domandò Alain stupito – "Quello che abbiamo visto passare nel vicolo…e allora?".

"Eh…ma tu non sai tutta la storia!".

"Che intendi dire idiota? Quale storia!?".

"Eh...sapessi! Vedi…dopo che te ne sei andato…io e Dante…insomma…Grandier era davvero giù di morale...".

"Di morale sì!" – annuì Gustav...

"Taci tu! Insomma siamo usciti a cercargli un poco di compagnia…e indovina un po' chi abbiamo trovato!?".

"No…non lo indovino?!" – negò un poco stizzito Alain Soisson…

"Allora…non lo indo…" – prese a ridacchiare Dante – "…vini!".

Che Alain Soisson, l'afferrò per il bavero dell'uniforme, stringendo la stoffa e spingendo l'altro contro l'albero maestro…

Il colpo attutito dai fasci di cordame…

"Non vorrai davvero dirmi che avete incontrato quel damerino laggiù!? E che con tutte le puttane che ci sono al porto di Brest…proprio quello…" – scandì Alain.

"Eh…ma allora sei duro di comprendonio!" – gracchiò Dante risentito – "Al nostro compare là…non piacciono le donne! Dovevi vedere che faccia ha fatto quando s'è trovata davanti quella specie di farfalletta bionda e lieve!".

"Glabri histriones!" – replicò Gustav con aria sognante.

Alain rimase zitto…

Un respiro fondo, tacito invito a proseguire…

Dante gonfiò il petto e Marcel si fregò le mani: "Ma vedi…ci siam detti che quei due dovevano essere davvero ben assortiti! André è diventato bianco come un cencio…perché secondo me deve aver sentito una tale frustata! Era così spaventato che stava quasi per dire di no! Lo sai anche te vero che se qualcuno fa quest'effetto poi si rischia di fare cilecca!".

Alain alzò gli occhi al cielo, che Marcel proseguì: "Dai Alain…sarà capitato anche a te! Vuoi talmente infilartici là dentro…che finisci per sbagliare…".

"Basta!" – digrignò l'altro un poco disgustato dal linguaggio che scadeva nell'esplicito.

"Ma ti sei rammollito!?" – chiese Dante – "Marcel intendeva dire che anche quello laggiù è un tipo tosto! Siccome non se ne voleva andare a mani vuote, s'è messo a dire che avrebbe offerto i suoi servigi a chi si fosse fatto avanti…e siccome a quel punto son intervenuti due idioti…due soldatucoli…".

"Chi…" – chiese Alain Soisson preoccupato.

"Ah…vai a saperlo! Ma li ho visti salire a bordo…non credo siano dei nostri…o forse…boh…ma che t'importa?!".

Alain Soisson negò, che la faccenda si complicava…

"Comunque…a quel punto… dovevi vedere come hanno preso a litigarselo il damerino…" – proseguì Marcel che gongolava all'evoluzione del proprio racconto – "E alla fine André è capitolato! Ha accettato perché forse gli bruciava che quel bel ragazzo biondo se ne sarebbe andato con i due soldatacci! Che poi a pensarci bene…André non è proprio un tipo da buttare…che secondo me anche quell'altro, il damerino, deve averci visto un bell'affare! Gli deve essere venuta voglia, che non s'è mica fatto pregare ad andar su con il bel moro piuttosto che prendere doppia mancia dagli altri due!".

Il soldato abbozzò uno sguardo serafico per la soddisfazione d'aver compiuto un'opera di bene…

Sghignazzarono i compari, sgomitandosi e cacciando gridolini di soddisfazione…

"Caz…" – s'impietrì d'improvviso Dante.

"Che c'è adesso?" – ruggì Alain Soisson, che stava perdendo il filo, che l'altro compare incespicava ogni tre parole e non riusciva a proseguire.

Dante guardò Marcel…

L'altro fece spallucce che non capiva…

"Ma…quello là…non l'abbiamo mica pagato?! Io ho messo qualche spicciolo per la stanza…ma per i suoi servigi!?".

I due soldati si guardarono sorpresi…

Ecco allora perché il damerino era giunto sin lì, che tutti quanti lo videro mentre tentava di farsi strada tra la folla di spettatori in attesa della partenza.

Voleva il suo denaro…

"Ma io non ho più nulla…ho speso quel che restava della paga…ieri…il resto l'ho già spedito a casa!" – chiosò Dante.

Tutt'e due i soldati si voltarono verso Alain che li guardava, il compatimento a scadere nell'impossibilità di comprendere una tale ignoranza.

"Cavolo! E adesso?!" – cincischiò Dante in preda al panico…

Marcel scattò e Alain gli rifilò una dannazione!

"Quello non mi convince!" – sibilò mollando la presa e tornando con lo sguardo oltre la balaustra della nave, prendendo a osservare la scena.

"Noi andiamo a parlare con André…" – spiegò Dante, avviandosi con Marcel – "Magari ci ha pensato lui!? Che figura ci facciamo…".

"La figura degli idioti!" – sputò Alain – "Che secondo me nessuno ha capito davvero come stanno le cose…".

"Che intendi?".

"Andate a parlare con André…ditegli che non avete dato un soldo a quello con cui ha passato la notte. In fondo vi eravate offerti voi di pagarlo, mica lui! Non accennate ad altro! Voglio vedere che farà…e poi…vi dirò cosa penso di questa faccenda…adesso lasciatemi guardare…".

Il moccioso fece una specie di piroetta, bloccandosi finalmente sui talloni.

Indicò con l'indice la nave da guerra che avrebbe ospitato il contingente di soldati più numeroso.

Le altre navi che avrebbero fatto parte della flotta erano più piccole e avrebbero ospitato animali, altre vettovaglie ma non soldati.

"Quella è la Jason…" – ammiccò soddisfatto d'aver condotto il suo ospite là dove quello voleva arrivare – "Quel soldato…con i suoi compari...potrebbero essere già lassù!".

L'animo in subbuglio, la vista offuscata dal groviglio di pensieri e sensazioni, inciamparono nel groviglio di cordame che disegnava un quadro impressionante.

La folla ondeggiava scomposta…

Grida di bambini…

Fazzoletti agitati forse prima del tempo, così che a bordo chi di dovere avrebbe scorto e tenuto a mente il punto esatto in cui guardare, quando la nave avesse iniziato ad allontanarsi e la vista non sarebbe stata più in grado di individuare la persona cara ma la mente avrebbe saputo ch'essa era lì e sarebbe stata lì, ancora per un po', fino a quando tutto sarebbe scomparso.

Era faticoso farsi strada tra la folla…

L'attenzione al bordo della nave, gli spintoni di quelli che facevano ressa sul lato che dava sulla banchina…

Abbassò gli occhi un istante, per vedere dove metteva i piedi, e poi si sentì tirare per un braccio, indietro, di lato, ficcata in uno spazio esiguo dove però pareva possibile respirare e parlare e comprendere…

"Oscar…".

La voce del Conte di Fersen le giunse diretta.

L'altro non aveva gridato ma il nome era uscito distinto e chiaro.

Il suo nome dalla bocca dell'altro…

Vide Fersen, si raddrizzò e l'altro rimase lì, la presa al braccio, senza imporre forza, seppur chiusa, come a desiderare che le dita stringessero per l'ultima volta qualcuno di familiare e amabile.

Oscar invece tentò di scansarsi, sottrarsi, lo sguardo tornò su, alla balaustra, cercando di scorgerlo, lui…

L'altro…

André…

"Ti ho cercato questa mattina…".

"Perdonami ma…".

"In realtà…" – esitò Fersen…

Oscar fu costretta a sollevare gli occhi a Fersen, il dubbio che l'altro non si fosse accorto della scomparsa solo al mattino.

"In realtà…ho notato che dopo che ci siamo salutati…".

L'altra rimase zitta, intuì che Fersen era tornato sui suoi passi, era venuto a cercarla e dunque non l'aveva trovata.

"Perdonami…ho preteso troppo…e non ho il diritto di essere indiscreto…ma…".

Oscar rimase immobile…

Fersen si avvicinò…

La folla attorno aveva preso ad agitarsi sempre di più, le voci più alte, i pianti più decisi…

La nave era pronta per salpare…

Se ne accorse Oscar e lì, in quella presa…

La mente divisa tra lo sguardo di Fersen e lo sguardo dell'altro…

"Si…è incredibile che Dio ti abbia fatto donna!" – il respiro sospeso – "Se un giorno dovessimo mai incontrarci di nuovo…se dovessimo rivederci…".

"Fersen…tornerai…ne sono certa!" – la risposta più immediata, non c'era tempo di soffermarsi sulla chiosa dirompente che l'altro aveva appena pronunciato, i sensi ghermiti dal tempo esiguo e soprattutto dall'assoluta incapacità di prevedere il destino.

Di vita o di morte…

Eppure…

Lo sguardo del conte pareva estasiato, colmo della presenza dell'altra…

Oscar si specchiò in esso, come in una lastra splendida che le riportava l'immagine di sé, lieve ed intensa, donna bellissima e desiderata.

Intuì desiderio, intuì vicinanza, intuì che lei era forse riuscita a scalfire il granitico amore del Conte Hans Axel von Fersen per la Regina Maria Antonietta.

Quando era accaduto e perché e…

"Io lo spero davvero…ma vorrei che tu…ti prenderai cura…".

"Di Sua Maestà…" – di nuovo rispose nella maniera più ovvia. Ammise ch'era una risposta stupida, non era da lei – "Lo farò!"

Intuì ch'era la paura dunque a dettare le parole.

Paura, ch'era la prima volta ch'era appellata come una donna e, soprattutto, era la prima volta che si sentiva come tale.

"Certo…anche di Maria…" – balbettò Fersen stentando a proseguire, la voce ad accarezzare il nome amato – "Ma vorrei che tu ti prendessi cura di te…ti chiedo di farmi una promessa…così che al mio ritorno potremo incontrarci…e vorrei…".

Strinse la presa Fersen…

Il cuore sobbalzò, battito stonato incapace di procedere nella direzione imposta dalla consuetudine dell'esistenza.

Fersen le stava chiedendo di avere riguardo per se stessa.

Quando mai…

"Vorrei che un giorno, quando ci rivedremo, facessi una cosa per me…".

Non seppe che dire Oscar, ignara del senso della domanda.

Attese in silenzio…

Si ritrovò divisa…

L'attenzione al conte…

Di contro al tempo che scorreva, ormai troppo esiguo…

Il desiderio di ascoltare l'altro, perché nel tono dell'altro s'intuiva una strana mescolanza di note sorprendenti, vuoi perché l'altro era ormai prossimo a partire e forse la contrazione del cuore invitava a lasciar scorrere pensieri mesti, vuoi perché davvero la vicinanza s'imprimeva addosso, come un vestito nuovo, bello, che si sarebbe voluto indossare più spesso, perché l'animo si ritrovava elevato e benestante dentro quella stoffa…

Di contro al desiderio di correre via…

Non per sé ma per trovare l'altro…

Il cuore batteva veloce…

La testa girava…

Immaginò fosse stato il vino ingoiato la sera precedente, la stanchezza, lo smarrimento, che lei non era mai giunta a ritrovarsi in tale bilico, in tale baratro, col rischio di cadere.

Il cuore balzò nel petto…

"Mi piacerebbe che tu indossassi un abito…per me…".

"Un…" – il respiro sospeso – "Abito…".

Sorrise Fersen: "Si…hai compreso…un abito per danzare con me…un abito che renda finalmente onore alla tua figura così sorprendente e fiera e bella…".

Lo scampanio scalmanato annunciava la partenza…

Suono scomposto, stonato di contro alla dichiarazione…

Fersen negò: "Non devi rispondere adesso…anzi…perdona le mie parole azzardate…ma questo pensiero…il pensiero che un giorno potrò rivederti…e che forse potremo…danzare insieme…ecco si…mi consentirà di affrontare con più coraggio questa impresa. Sai…nell'ultimo ricevimento a Versailles…quella sera…avrei voluto danzare con Maria. E allora ti ho invidiato è vero, avrei voluto essere te…ma al tempo stesso…avrei voluto essere accanto a te…".

La presa delle dita iniziò ad allentarsi…

"Perdonami…sono un'egoista…avanzo una domanda del genere in un simile momento, sapendo bene che non ti concederò tempo per rispondere…".

Un istante…

Fersen s'immaginò che sarebbe bastato un cenno del capo, un sussurro sgusciato dalle labbra sensuali dell'altra per accogliere la richiesta.

Non accadde nulla di tutto ciò…

"Ebbene…affronterò questo viaggio immaginandomi che un giorno tutto ciò potrà accadere…immaginandomi come potrà essere…così la mia mente sarà impegnata e sollevata…".

Oscar si ritrovò libera dalla presa ma sapientemente allacciata allo sguardo dell'altro, alle sue parole, alla dirompente richiesta, affettuosa e fulgida al tempo stesso.

Si contrassero cuore e respiro….

Il Conte Hans Axel von Fersen fece un passo indietro, i tacchi scattarono e la mano corse al saluto militare.

Corse via l'uomo, senza neppure attendere una parola, uno sguardo, un respiro che avesse offerto il barlume d'una concessione alla richiesta.

Che fosse paura, che fosse codardia…

Che fosse perché temeva la risposta o forse la propria stessa domanda…

Di nuovo Oscar François de Jarjayes si ritrovò annientata, in balia della forza della folla che aveva iniziato a gonfiare e ondeggiare più decisa adesso verso il possente scafo della nave.

Mazzi di fiori spumeggiavano su, alti, stretti dalle mani grasse delle comari, così che le rose e i tulipani e le margherite e le petunie e le ortensie avrebbero richiamato gli occhi dei soldati e dei marinai, una sorta di labile ponte variopinto, a legare coloro che sarebbero partiti con quelli che restavano.

L'augurio di ritornare…

Tentò di restare in piedi Oscar, nella testa le parole del conte, nel cuore la contrazione silenziosa che batteva, inciampando nei pensieri, nelle congetture.

Fece un passo…

Si scansò per evitare un gruppo di mocciosi scalmanati e i berretti tirati in aria…

Un piede in fallo che a terra c'erano alcune ceste…

L'equilibrio minato, graffiato dalla smania, dalla stizza, dal dolore…

Cadde quasi, il corpo afferrato e stretto, scomposto e raccolto, si ritrovò chiuso nell'abbraccio…

Seppur a occhi chiusi, riconobbe la presa, riconobbe il marchio…

"Vieni…" – la voce ferma…

Obbedì l'altra, che davvero non comprendeva come mai i passi pestassero il terreno sabbioso del molo ma era come se fossero ingoiati da sabbie mobili, quelle che aveva veduto passando accanto a Mont Saint Michel…

Mi Ka – el…

Chi è come Dio…

Obbedì che si ritrovò senza respiro e per poco non rischiò di restare schiacciata dalla folla…

E poi, d'improvviso, il corpo ritrovò il senso di sé, lo spazio anelato dall'esistenza, esiguo e indispensabile frammento per vivere…

Sollevò lo sguardo e riconobbe quello dell'altro.

I corpi vicini, seppur raccolti nello spigolo d'un anfratto sudicio d'un voltone scuro, nelle orecchie le grida, i saluti, i pianti, i richiami…

Lo scampanellio ancora più lungo, quasi impazzito…

Non partire…

Avrebbe voluto dirglielo…

La testa colma delle parole del conte, del suo sguardo, della richiesta che minava l'esistenza così com'era stata coltivata e vissuta sino ad allora.

Il conte l'avrebbe voluta donna, vestita come una donna, aggraziata in una danza degna d'una donna…

André sollevò la mano…

Non era certo che qualcuno dei bellimbusti fosse riuscito a seguirlo quando lui, dopo aver ricevuto la dritta da Marcel e Dante sul fatto che tutti s'erano scordati di pagare i servigi del damerino per la notte che aveva trascorso assieme al soldatino triste, confabulando con i due, s'era detto dispiaciuto del malinteso e aveva sentenziato che mai avrebbe lasciato la Francia, indebitato per via di ciò che gli era stato offerto, l'ultima notte trascorsa così intensa e sensuale e…

S'era ammutolito André a quel punto, proprio sul più bello, che gli allocchi erano rimasti a bocca aperta, basiti nell'apprendere ciò che fino a quel momento era rimasto sapientemente avvolto dal mistero.

Null'altro avrebbe rivelato, così da lasciar credere agli altri quello che avrebbero voluto cedere.

S'era dunque fiondato giù dalla nave, il soldato, sgusciando via dalla vista del conte che stava ritornando su, ripercorrendo a grandi passi l'asse di legno ch'era ormai confine tra il passato noto e l'ignoto futuro.

S'era fatto strada tra la folla, impregnato del desiderio di vederla, l'ultima volta, che gli allocchi gli avevano regalato quell'assurda possibilità, senza neppure averne contezza.

Per loro sarebbe stato solo onorare un debito…

Per lui, essere l'ultima persona che le avrebbe stretto la mano.

Alle spalle il richiamo dei compagni, lo sprezzante ordine del comandante in seconda di tornare indietro, che altrimenti davvero sarebbero stati guai….

E poi lo sguardo silenzioso del soldato Alain Soisson che, parimenti, l'aveva seguito…

E poi quello del Conte di Fersen, che l'aveva scorto passagli accanto e il cuore era sussultato in una sobbalzo…

André afferrò la mano dell'altra, ci cacciò dentro una moneta.

Oscar intuì la sagoma del disco metallico, inorridì al pensiero del significato.

Avrebbe voluto gridare, che gli occhi tornarono a quelli di André, minacciando di farlo davvero.

"Sssh…prendila e non avercela con me! Scusa…sono parole ben sciocche le mie…ma mi hanno detto che nessuno ha tirato fuori il denaro necessario per ciò che è accaduto…questa notte…e poi...non ricordo un accidente! Mi sono addormentato! Una pessima figura!".

"André…" – il respiro lì lì per essere tranciato dalla rabbia – "Che sarebbe accaduto!? Che diavolo stai…".

Sorrise André, lieve e triste al tempo stesso…

"Non posso partire con un debito del genere sulla coscienza…è poco lo so…".

Negò Oscar, scandalizzata, arrossendo, balbettando, impuntandosi…

La mente rovinata giù nel caos assoluto…

Non era accaduto nulla…

Quella moneta era un vero insulto…

Una dannazione…

E poi lui era André…

Che aveva fatto…

Che aveva fatto lei?

Che diavolo era accaduto?

"Riprendila!" – ordinò lei, afferrandogli la mano, cercando di stringerla come a tenerlo lì, che forse, dunque, quella moneta non c'entrava nulla – "Non t'azzardare a tirare fuori debiti...".

Ascoltò la mano di lui chiusa nella propria, la sensazione di potenza impressa nel proprio gesto insinuato a trattenere l'altro, tenerlo lì, come ad impedirgli di lasciarla.

Il misero metallo intiepidito dal calore di entrambi…

"Non posso…forse ci stanno guardando…è bene essere cauti…".

"André…che tu sia dannato…non voglio questo denaro…non mi devi nulla…".

Sorrise di nuovo l'altro…

Intuì l'equivoco, ci giocò cinicamente su.

I compagni avrebbero avuto prova che era accaduto ciò che doveva accadere, mentre lei non avrebbe avuto prova di nulla.

O forse chissà, magari…

Chissà se quella specie d'equivoco sarebbe stato in grado d'insinuarsi nella mente e lei davvero avrebbe potuto credere, solo per un istante, uno solo, che altro fosse accaduto…

Altro…

L'importante era che gli altri non avrebbero mai compreso davvero chi fosse lei e lei chi era davvero.

André tagliò corto. Si spinse contro Oscar, afferrò le spalle piantandole contro il muro…

L'ultimo impietoso scampanio…

Oscar si ritrovò lì, contro la parete sbrecciata e ammuffita del voltone…

Gli sguardi in ombra…

André colse il tremore, la mente disorientata, il dannato orgoglio sparito di nuovo, chissà dove.

Che però era dannatamente intenso e bello vederla così, nuda, spogliata dal dannatissimo orgoglio…

Che così, nuda e lieve, André trovò il coraggio di sussurrarglielo, scendendo verso il viso, accostandosi piano all'orecchio, perché il caos attorno era indescrivibile e lui non avrebbe desistito dal farle sapere ciò che sentiva.

Forse per l'ultima volta.

"Sei bella…non dimenticarlo mai…ti ho visto…".

"Tu…eri sveglio!?" – punta, colpita, le guance arrossirono…

"Dunque…se non mi fossi mosso…che sarebbe accaduto? Che avresti fatto!?".

"Io…tu…" – il groviglio di sensazioni, che le immagini erano ancora sfocate, annebbiate dall'alcool e disorientate dall'oscurità della notte.

La bocca aveva colto il sentore minerale della pelle, un poco forte, eppure potente, capace d'inebriare e distruggere al tempo stesso ogni brandello di residua vergogna…

Le dita s'erano aperte a graffiare piano il petto, per cogliere anch'esse la consistenza morale dell'altro, il suo essere altro da sé.

"Non ricordo bene…ma so per certo che ieri sera eravamo soli…" – le parole s'insinuarono nella testa – "E a meno che tu non te ne sia andata lasciandomi in balia di chissà chi, c'eri tu quando mi sono addormentato! Lo so, inammissibile da parte mia! E c'eri tu accanto a me quando mi sono risvegliato, eri tu!".

"Dannazione!" – che lei non ci credeva, non era accaduto nulla e lui si stava prendendo gioco di lei e le guance avvamparono ma no…

La mano era scorsa sul petto, accarezzando astratte geometrie circolari.

Le dita s'erano beate del tocco ch'era corso oltre, regalando l'intenso incedere nei sensi dell'altro.

"Si…hai detto bene…è questa la dannazione che ho tentato di spiegarti…" – ammise André, come a virare poderosamente dall'impacciata visione, che lui non amava prendersi gioco di lei e non era giusto farlo lì, in quel momento, forse gli ultimi istanti in cui l'avrebbe avuta davanti.

"Dovevi dirmi ch'eri sveglio!" – l'apostrofò Oscar, tremando, che nemmeno lei era certa di nulla, l'unica certezza era che non c'era più tempo e André stava partendo e…

Risalirono dalle viscere...

Baci d'orgoglio...

Geometrie d'abbracci e morbidi graffi...

"Perché?" – chiese André, anche la sua voce tremava, nel fondo dell'anima il desiderio che tutto fosse stato reale, che tutto fosse accaduto, per tenerla lì, a sé, ancora qualche istante, per beffarsi di lei allora, ma al tempo stesso sperare che lei comprendesse che non era accaduto nulla e che era tutto ciò che sarebbe potuto accadere.

Nulla…

Perché era questo che lui desiderava…

Il nulla…

Un amore così puro e intenso e assoluto che nulla sarebbe stato capace di scalfirlo.

"Ti sei approfittato di me!" – sibilò l'altra, che non ci credeva, ma intuiva che quello fosse ormai l'unico appiglio.

Il senso di colpa, l'immaginarsi l'inimmaginabile, che da André mai nessuno si sarebbe aspettato una simile bassezza e dunque rinfacciarglielo avrebbe forse incrinato quell'insana follia di lasciare la Francia.

Le labbra bruciavano….

Doveva essere stato il vino…

Tutto bruciava in realtà…

Le dita…

Le guance…

Eppure non era tepore…

Non era mancanza d'aria…

Era calore gelido…

Brivido silenzioso…

Muscoli scossi…

Lampo oscuro…

Occhi sgranati…

"Io!? Io mi sarei approfittato di te!?" – rimbeccò piano André, gli occhi chiusi a rammentare ciò che era davvero accaduto, il sorriso accennato in un'espressione sfacciata - "Ne sei proprio sicura!?".

Aveva chiuso gli occhi…

L'aveva sentito muoversi ancora…

Aveva ascoltato il calore della pelle…

La mano allungata, scivolando oltre il braccio.

L'aveva cinta piano, di nuovo, senza alcun rumore, senza neppure una parola…

Le labbra s'erano schiuse, la bocca s'era aperta lentamente…

"Tu che ti ostini a nascondere ciò che sei…chi sei davvero!?" – sputò severo – "Tu…sei tu che stai approfittando di chi sei davvero…e allora…io non posso restare a guardare ciò che stai facendo alla tua vita!".

"Cosa c'entra adesso la mia vita? Stiamo parlando di te! Stiamo parlando di ciò che avresti fatto! Stiamo parlando del fatto che stai lasciando la Francia! Non hai detto che parti per colpa di una donna!?".

Un respiro fondo…

André osservò l'altra, lì, schiacciata contro il muro.

Era più alto e le pareva che l'altra, nonostante fosse una donna discretamente alta, si fosse d'improvviso rimpicciolita, lì, di nuovo a rovesciare addosso quell'insensata affermazione.

Di nuovo Oscar François de Jarjayes a combattere contro il proprio orgoglio che però, non c'era nulla da fare, non ne voleva sapere d'essere quello d'una donna ferita.

"Ebbene sì, parto per colpa di una donna! Io sono un plebeo…un uomo del popolo…cosa mai potrei offrire a una giovane che non appartiene al mio stesso disgraziato rango!? E poi…in fondo…sono anche peggio d'un plebeo!".

"Che diavolo…" – non comprendeva l'altra.

Dunque nemmeno la questione del rango c'entrava più!?

"Sono solo un uomo…non ha importanza chi io sia per questo paese…e non ha importanza chi sia lei…ti basta?".

"Che significa? Vuoi spiegarti?".

"Non capisco…non sei mai stata un'ingenua e hai sempre dimostrato di conoscere bene le regole…regole che non ho stabilito io…devo adeguarmi e anche tu! E se quella donna sapesse di me…".

"Se non hai nulla da rimediare….".

"Non ho nulla da rimediare! E ho deciso di non aver nulla a cui porre rimedio! Amare non significa sacrificarsi…ma imporre un sacrificio a chi si ama…e io non potrei mai farle un simile torto! Sono un uomo…un uomo che ama…non potrei mai imporle il mio amore…non potrei mai imporle un simile sacrificio! Il mio amore ucciderebbe lei…e ucciderebbe me!".

"Stai fuggendo!" - di nuovo la stessa accusa, ultimo disperato appiglio - "Stai lasciando la Francia! Stai lasciando la tua vita!".

"L'hai detto! Non mi pare difficile!".

"Dunque l'amore si può mettere a tacere semplicemente abbandonandolo!? Dunque per non imporre un sacrificio a qualcuno…l'abbandoni? Che razza di amore sarebbe questo?!".

La parola eruppe finalmente come una specie di tuono, pronunciata dalle bocche, sillabata dalle voci, sfuggente nella testa, impetuosa sul cuore, mentre intorno roteavano barili e grida e schianti e risa e imprecazioni di una tempesta di cui per il momento non v'era nemmeno l'ombra…

André non ebbe modo di rispondere.

Aggirò la domanda con un'altra domanda…

Dalla nave, alle spalle, giungevano fischi e incitamenti a spicciarsi, che se lui avesse voluto un augurio di buon viaggio, che se lo prendesse lì, seduta stante.

"Alain…sai che ti dico…che un po' André l'invidio! Cavolo…sarà anche un maschio quello laggiù ma…".

"Idiota! A me piacciono le donne…e quello…" - s'ammutolì Alain alla visione di ciò che stava per accadere e, seppur per pochi istanti, ammise, suo malgrado, che se fosse stato al posto di André…-"Quello non è un uomo!" - sibilò severo il giovane soldato.

"Cosa?" – coro sbigottito...

"Quello che avete incontrato ieri sera…non può essere un uomo!".

"E tu come lo sai? Mica lo conoscevi già!?".

"No…ma so per certo…a Parigi girava voce che il conte svedese fosse un abile amante… un uomo che aveva una donna a ogni angolo della città! Dicono che abbia persino conquistato il cuore della regina di Francia. Mi spiegate come potrebbe un simile cicisbeo accostarsi a un damerino!? Anche se a me non frega un accidente e potrei pure essere d'accordo che sui gusti di ciascuno non si discute…e...dannazione...quello laggiù è davvero bello! Troppo bello!".

La scena esplose ammutolendo le parole…

L'atto finale…

Scacco alla regina…

Le spalle afferrate e sospinte…

Le figure sapientemente libere dal cono d'ombra del voltone, sbucate allo scoperto, illuminate dalla luce del sole ormai alto, gli occhi per un istante abbagliati…

"Ci stanno osservando…dunque…non vuoi augurarmi buona fortuna?" – chiese André tornando serio – "In fondo sei venuta sin qui…mi hai trovato…".

Oscar intuì la terra cedere sotto i piedi. André non aveva mutato intenzioni, sarebbe partito, lei non era riuscita a fargli cambiare idea.

"No!" – sputò stizzita…

"No? Sei crudele!".

"Pensala come ti pare! Non ti augurerò buona fortuna! Disapprovo ciò che stai facendo e soprattutto i motivi per cui lo fai! Sarò anche crudele ma non sono un'ipocrita! Non posso augurare buona fortuna a chi sta compiendo una pazzia! Posso solo tentare di dissuaderlo…ma se non ci riesco…non ti augurerò buona fortuna! La responsabilità di ciò che compi…è solo tua!".

"Va bene! Sarai soddisfatta adesso!".

"Di cosa?".

"Hai espresso il tuo punto di vista…ma…tuo padre mi ha dato la sua benedizione…".

"Io non sono come mio padre! Lui e il suo smisurato senso dell'onore…".

"Lui ha il suo onore, tu, il tuo orgoglio! Una figlia degna di suo padre! Sei tale e quale a lui! Anche tu e il tuo dannatissimo orgoglio avete eretto un muro…dunque…attraversalo…e augurami buona fortuna!".

"No! Dimmi chi è quella donna?".

"Te l'ho già detto! E' una persona onesta…pura…".

"André…se tieni più alla sua purezza che al tuo amore per lei…allora forse non ne sei così innamorato!".

La chiosa s'abbatté sul soldato…

L'uomo non arretrò…

"E tu…tu che ne sai dell'amore!?" – sputò sprezzante, infastidito – "Quali strade percorre? Quali strade ci costringe a percorrere? Augurami buona fortuna!".

"No!".

"Sei testarda!".

Un guizzo…

André si sporse….

Che lei si ritrovò chiusa…

Catturò le labbra, dolcemente chiuse e poi di colpo lambite piano, morse…

Liberamente baciò la bocca…

Rigida, si ritrovò chiusa e come ammansita dal gesto…

Liberamente accolse l'abbraccio dell'altro…

Alle spalle l'ultimo funesto richiamo, una specie di boato, grida, risate…

I soldati a bordo, curiosi e sfrontati, accolsero il bacio come una specie di rivincita…

Il soldato aveva avuto la meglio sullo schizzinoso avversario…

Il soldato s'era preso l'altro, tenendolo lì, colpendolo senza colpo ferire…

Un istante…

La luce abbagliò nuovamente gli occhi che d'istinto s'erano chiusi e poi…

Si ritrovò il viso di André su di sé, ombreggiato e lieve…

"Ti avrei chiesto di augurarmi semplicemente buona fortuna ma visto che sei contraria a questo viaggio e visto che ti ostini a negarmi almeno questo augurio…dunque mi sono permesso di prendermi la mia buona stella…perdonami…ma volevo così!".

"Sei…" – le labbra dischiuse e poi morse…- "Pazzo!".

Sorrise André…

"E poi…adesso davvero mi aspetterebbe la forca! Ho osato baciare una contessa…davvero sì, scoppierà uno scandalo! Non potrei mai rimediare a questo affronto…non potrei neppure…sposarti…".

"André…cosa…".

"Si…una donna come te non si sposerebbe mai perché costretta da uno scandalo! Non si sposerebbe mai se non per amore…dunque non potrei nemmeno se lo volessi io o te l'imponessero...".

"Stai davvero vaneggiando! Io...sposarmi!?".

André si zittì.

Il respiro sospeso…

L'abbaglio del sole…

Resta…

E sia...te l'ho già detto…

Resterei…se fosse lei a chiedermelo….

E solo se me lo chiedesse spontaneamente…senza costrizione da parte di nessuno…

"Au revoir!".

L'abbraccio s'allargò, il corpo si ritrovò in bilico, non più sorretto dalle braccia dell'altro.

Oscar François de Jarjayes s'accorse di non riuscire più a stare in piedi, le gambe tremavano, così come i muscoli e il respiro…

Dovette appoggiarsi al muro, incapace di fare un passo, la vista annebbiata, le orecchie colme dei molesti rumori che precedevano la partenza.

Le grida dei marinai addetti alle sartie che reggevano le vele s'imposero sulla strida della folla variopinta e ormai piangente.

Le piccole imbarcazioni che avrebbero condotto la Jason fuori dal porto, già a vele spiegate, presero a solcare faticosamente le acque calme e sicure, che a poco a poco sarebbero state divorate quelle dell'oceano.

La nave da guerra Jason salpava…

Se ne accorse, sollevò lo sguardo, prese a camminare…

Le ultime parole di André nelle orecchie…

Riferisci a nanny che le voglio bene.

Ci sono imbarcazioni che ogni tre mesi faranno la spola con la Francia…le scriverò durante il viaggio e non appena sarò giunto in America…e anche dopo…abbi cura di lei…

"André…".

Il nome pronunciato piano…

E anche di te…

* Citazione da "Kaze To Ki No Uta", Il poema del vento e degli alberi – Takemya Keyko

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