Quel cuore che batteva…
Era il suo o il mio?*
Relations dangereuses
Perché quel bacio non avesse finito per tradire chi erano davvero…
Quel bacio fu esibito.
Sfacciato…
Lieve, intenso e sfrontato al tempo stesso.
Che lo videro in tanti.
Gli avanzi di galera, i compari del soldato triste…
Quelli smargiassi e anche l'altro, quello più giovane di tutti, che s'era imposto come capo degli avanzi di galera.
E i mozzi sì, appesi lassù, sulla punta più alta dell'albero maestro, le sartie strette tra le mani e gli occhi puntati giù, a osservare la folla variopinta, il marasma, il caravanserraglio abbagliante di volti umidi di lacrime e corpi ondeggianti e braccia scomposte ad agitare stracci…
Ad ascoltare grida…
Buon viaggio!
Buona fortuna!
Tornate sani e salvi!
A trattenere tutto, almeno con gli occhi della mente, così da portarlo con sé nella lunga traversata, così da immaginare che una terra, un tempo non troppo lontano, c'era stata sotto i piedi e che una terra ci sarebbe stata ancora.
Così da aver meno paura di morire annegati, affondati da navi nemiche, inghiottiti da squali o voragini d'acqua…
Così da non aver paura d'impazzire, nel silenzio muto di mare, senza più alcun odore umano addosso, senz'altra pelle da accarezzare che la propria, di barba irsuta.
E altri occhi ancora…
Lividi…
E altri occhi ancora…
Un poco stupiti…
Straniti forse dalla visione sorprendente.
Ciascuno ad immaginarsi un frangente differente, ciascuno ad immaginarsi una storia altra da quella reale.
Il tempo necessario a risalire a bordo, il Conte Hans Axel von Fersen s'era voltato per cercarla, in mezzo alle vele spiegate a imbrigliare il vento caldo del mattino e catturarlo per costringerlo a trascinare la Jason oltre i confini del porto di Brest, oltre i confini della Francia.
S'era voltato e l'aveva veduta laggiù, in mezzo alla folla, rispuntata da chissà dove.
Non era sola.
Quando dunque era accaduto che il soldato André Grandier, con cui un istante prima stava rabberciando un discorso a singhiozzo, avesse avuto tempo e coraggio necessari per scendere e trovare l'altra e insinuarsi nell'esile pertugio di tempo, così da disegnare sulla bocca dell'altra…
Un bacio…
Un bacio sì, sorprendente e intenso!
Anche il Conte Hans Axel von Fersen, dunque, l'aveva veduto quel bacio.
Quel bacio che lui, il Conte Hans Axel von Fersen, non aveva avuto in animo di spiccare sulla bocca di colei che aveva veduto come tenue miraggio di un sogno infranto.
Quel bacio che l'altra non aveva osato chiedere.
Quel bacio che nessuno dei due s'era azzardato a mettere tra loro.
Il soldato André Grandier, in un istante, aveva afferrato il tempo, proprio come quelle vele avevano afferrato il vento, e se l'era preso per sé, quel tempo, e l'aveva costretto a piegarsi al proprio istinto.
Chissà poi se il soldato André Grandier lo sapeva se e quanti occhi l'avevano veduto quel bacio.
"Allora?".
I compari s'avvicinarono, accerchiando il loro portavoce, tutti risucchiati giù, sottocoperta, che loro erano soldati di fanteria e semplici granatieri, mica marinai capaci di governare una nave.
Così che il viaggio sarebbe stato assai noioso, le ore a tentare di dormire, ammansire i pensieri, rispolverare i ricordi e i volti di quelli ch'erano rimasti a casa.
Il soldato Alain Soisson, steso nella branda, una specie di pagliericcio fetido, simile a tutti gli altri pagliericci che avrebbero accolto i pensieri e le preghiere di tutti quelli ch'erano salpati per l'America, assieme ai sogni, agli incubi, alla paura di morire spazzati via da una tempesta, oppure da una pallottola inglese…
Un respiro fondo…
"L'avete visto anche voi…se i miei sospetti sono sensati…" – esordì quello titubante, non si capiva se per lo sprezzo della visione o per il fatto di sentirsi, in qualche modo subdolo e inconscio e non ancora del tutto chiaro, preso in giro, forse addirittura tradito….
André Grandier s'era presentato all'arruolamento come un disgraziato uomo del popolo, un plebeo che aveva chiesto di mettere la propria vita al servizio della causa francese contro l'Inghilterra.
Molti di quelli che non avevano nessuna arte d'arrangiarsi, né denaro, né altri vezzi per guadagnarsi un tozzo di pane, finivano per risolversi a quella scelta.
Solo che, di contro ai dannatissimi plebei, autentici, che non avevano mai messo mano a una penna o a un foglio e a cui nessuno s'era mai preso il disturbo d'insegnare a sillabare una lettera o a contare almeno fino alle zampe d'una gallina, quello pareva silenziosamente arguto, anzi…
Silenzioso apposta per non apparir fin troppo arguto.
L'unico tra di loro a vantare di saper leggere e scrivere talmente bene al punto da poter competere con l'altro, era Gustav. Anche se poi c'era da comprendere se quel che diceva Gustav era vero e corrispondeva alla realtà oppure, come i vecchi pazzi dei paesi di campagna, andava in giro a raccontare storie, azzardando di sapere di latino e greco solo per prender per i fondelli quelli che, al contrario, sapevano a mala pena leggere e scrivere.
I modi semplici ma sobri, il linguaggio severo ma non sgraziato…
Aveva tutta l'aria d'essere un nobile, André Grandier!
Ma non lo era, non lo sarebbe stato neppure per via di certi oscuri azzardi stupidamente commessi da nobile decaduto, magari privato del titolo perché perduto per via del gioco d'azzardo o per correr dietro alle sottane di qualche giovane dama.
No, André Grandier non pareva avere mai stretto tra le mani né titoli, né denaro.
Aveva solo l'aria del nobile, solo quella, e quella non faceva testo, non valeva nulla, nemmeno la scusa per prenderlo a calci e dargli una lezione.
Almeno fino alla sera precedente e almeno fino alla mattina della partenza, quando nella testa e sotto gli occhi del Soldato Alain Soisson s'era fatto strada il sospetto che quella recluta non avesse detto tutto di sé – che non era poi del tutto necessario, ognuno di loro aveva i propri segreti – o, peggio ancora, avesse taciuto altro che lo legava a un mondo che non era il loro e a un rango a cui nessuno di loro apparteneva.
Se André non era nobile, non significava che i nobili gli fossero sconosciuti o non avesse mai fatto parte dell'entourage d'uno di essi. Magari solo per contendere le grazie d'un damerino che aveva annusato l'odore delle stanze d'un ufficiale altolocato come il Colonnello dei Dragoni di Svezia, Conte di Fersen.
Ecco allora…
Che questo, questo sì, sarebbe bastato a destare il sospetto e stabilire d'impartire all'altro una lezione.
André Grandier era arrivato addirittura a sfidare l'ordine di restare a bordo, che nessuno poteva più scendere, una volta stipato il carico e liberate le vele ciondolanti dalle sartie.
Per baciare quell'altro poi…
Ecco dunque che il bacio era divenuto chiavistello per aprire molte porte.
Che l'altro fosse davvero un damerino…
Che la notte precedente l'avevano visto accodato al nobile svedese, ch'era considerato un amabile seduttore di dame e damigelle, che però evidentemente non si faceva scrupolo di camminare appresso a un giovane bello sì, ma pur sempre un giovane damerino…
"Dunque credi davvero che quello non fosse…" – sputò Dante un poco risentito, che a nessuno piaceva essere presi in giro da nessuno, men che meno dall'ultimo arrivato – "Insomma…quello non sarebbe un damerino!?".
"Io dico solo che per quel che ho veduto…e per quel che so…il conte svedese non ha mai nascosto il suo debole per le grazie femminili…".
"Magari non avrà trovato niente di meglio!" – rintuzzò Marcel – "Alain…magari le donne di Brest non gli piacciono! E siccome quello non era niente male…era assai belloccio…lo riconosco anch'io…se lo sarà fatto bastare! Io non ne so molto ma pare che se i damerini ci sanno fare…insomma…te lo fanno rizzare anche loro…".
Una risata sguaiata squarciò il silenzio sospeso…
Marcel Duval si sgomitò con i compari, infastidito dall'allusione celata nel fondo dell'ilare incomprensione…
Alain Soisson abbozzò un astioso disprezzo per la visione.
"Si! Non sarai mica geloso!?" - contestò Dante, aspirando le labbra a forma di cuore – "Ma tu che ne sai com'è scoparsi un uomo? L'hai mai fatto?" –
"Idiota! No!" – sbuffò Marcel – "Non l'ho fatto! Ma non significa che…".
"Che?!" – gridarono in coro i compari – "Lo faresti?!".
"Insomma…gli sarà andato bene un damerino qualsiasi!" – rimarcò Marcel arrossendo.
Sputò il Soldato Alain Soisson, per davvero, a terra, calcandosi il berretto in testa e aggiustandosi il bavero dell'uniforme.
Dante e Marcel rimasero lì, assieme ad altri soldati, stizziti dalle scarne considerazioni che il compare aveva riservato.
"Sentite…" – concluse il giovane alzandosi – "Io ho solo esposto i miei dubbi. In fondo…a noi importa poco chi sia quello! Se lo svedese ha deciso di passare l'ultima notte in Francia con un damerino…che importa a noi?! Ma dopo stamattina e semmai accadrà altro…".
"Che!?" – saltò su Dante – "Altro?! E che altro potrebbe accadere ormai? Tra qualche ora saremo in mare aperto!".
"Idiota! Hai veduto anche tu chi c'era a osservare la scena?".
"Si…" - cincischiò Marcel – "C'era quell'uomo…lo svedese…".
"Bene…prima li abbiamo visti parlarsi, lo svedese e la recluta triste, e poi lo svedese è sceso ed è corso dal damerino…e poi André ha fatto altrettanto! Dunque se anche prima non si conoscevano…beh adesso non si può dire la stessa cosa! Lo svedese è un nobile mentre André ha sempre detto a tutti di non esserlo…eppure…".
"Alain…André secondo me è semplicemente sceso per salutare il damerino!" – abbozzò Dante che stava perdendo il filo esile della congettura – "E poi ci ha detto di non voler lasciare la Francia con un debito sulla coscienza! Chissà magari è proprio come ha fatto il conte…magari nessuno dei due sa dell'altro e il damerino si è giocato la serata con entrambi! Forse tra i tre è stato il più furbo! Doppio guadagno! Ma di certo dev'essere bravo, se i due bellimbusti, il nobile e il soldato triste intendo, si son sentiti in obbligo di scendere e salutarlo e…".
"Sarà…ma per quel poco che immagino dei nobili…gli aristocratici non amano dividere con altri ciò che è loro! Men che meno con un plebeo! Quel damerino come lo chiamate voi…l'abbiamo visto appresso al conte e poi vi ha seguito nella bettola. Quel che ha fatto nel frattempo sono affari suoi. Ma v'immaginate un conte, un nobile, che sta a guardare mentre un plebeo gli soffia la preda da sotto il naso?! Vi avevo detto di parlare con André per vedere se sarebbe sceso…e quando è accaduto mi sono messo a osservare la faccia di quello svedese…pareva sorpreso…no, anzi, quasi contrariato!".
"Cavolo…quindi…" – s'intromise Gustav intuendo la piega un poco oscura della questione – "André…".
"Pare che il nostro Grandier abbia una capacità tutta sua di cacciarsi nei guai! Per quanto non lo faccia con intenzione…" – sibilò Alain severo – "Oppure chissà…noi abbiamo dato per scontato che quei tre non si conoscessero…e se invece non fosse così?! Ecco perché la questione non mi pare affatto conclusa…".
"Lo terremo d'occhio allora!".
"Fate quel che volete!".
Il soldato Alain Soisson era abituato agli olezzi di città.
Quelli là sotto invece, incuneati fin nel midollo dell'ossatura più fetida dell'imbarcazione, gli parvero d'improvviso insopportabili.
Decise di uscire, sul ponte, ch'era ormai giorno inoltrato, ma forse, buttando lo sguardo lontano, la fortuna d'intravedere la terra, un qualsiasi profilo grigio od ocra, avrebbe restituito un briciolo di serenità.
La stizza per il probabile tradimento della nuova recluta non era ancora giunta al punto tale da impedirgli di dimenticare che anche lui aveva lasciato in Francia, a Parigi, sua madre e sua sorella minore.
E poi aveva voglia di prendere aria.
La gradazione struggente del chiarore all'orizzonte che correva più veloce della nave da guerra, a risucchiare ed estinguere il residuo brandello di luce della prima giornata di viaggio indusse il cuore a contrarsi.
Alain si avvide che non era solo, sul ponte c'erano altri.
Vide il soldato André Grandier, poco distante, che, come lui, guardava nella stessa direzione della terra ormai lontana, impossibile distinguerla tra i flutti alti e grigi che a breve avrebbero inghiottito la vista e i sensi tutti.
Quella sarebbe stata la prima notte su una nave, lo stomaco in subbuglio, la testa chissà dove, i pensieri rimescolati tra ciò ch'era stato abbandonato e ciò che li avrebbe attesi.
Non fece in tempo ad avvicinarsi.
Di certo se l'avesse fatto, la stizza avrebbe tradito qualsiasi intento amichevole e chissà che avrebbe finito per dire.
Non fece in tempo…
Il soldato André Grandier si avvide del soldato Alain Soisson…
Fece anche lui per andargli incontro, preceduto d'un soffio da una sorta di messo, un mozzo che recava un messaggio.
Alain Soisson vide allontanarsi l'altro soldato.
Fece in tempo però ad afferrare per la stoffa della camicia il mozzo, strattonarlo quel tanto che sarebbe bastato a far sputare il fatidico messaggio.
Si sorprese Alain Soisson…
Le dita s'aprirono liberando il povero ambasciatore che tossicchiò e lo maledisse, correndo via.
Dunque ci aveva visto giusto.
I nobili, per quel che sapeva lui, non si lasciano sfuggire così bellamente una preda, senza combattere o almeno annusare l'odore di colui che si fa avanti, sino al punto da strappare un bacio alla stessa preda.
André bussò al legnaccio ridipinto di fresco della cabina che si trovava giù, al secondo ponte, quello riservato agli ufficiali.
L'invito a entrare…
Lo spazio era angusto ma arredato con discreto gusto, un sobrio braciere spento in un angolo, poco più che una cassettina di metallo adeguatamente ripulita dalla cenere e rimpinguata di tozze schegge di carbone pronte per essere accese.
Un candelabro a tre bracci, i moccoli lunghi e puliti…
Una brocca di porcellana, teli di lino finemente ricamati…
Sul tavolino aperto, penzolante dal pertugio della parete a cui era agganciato, stazionavano due bicchieri vuoti.
"Entrate André!" – esordì Fersen alzandosi dalla specie di poltrona che all'occorrenza fungeva anche da giaciglio.
Entrò l'altro, in silenzio.
Da che se n'era andato da casa era la seconda volta in poche ore che gli accadeva d'incrociare il Conte Hans Axel di Fersen.
I bicchieri disposti in bella mostra sul tavolino indussero ad ammettere che l'incontro, questa volta, non era casuale.
André si era arruolato per andare in America.
Dodici vascelli di linea, cinque fregate e circa diecimila marinai a bordo di contro a un migliaio di soldati di fanteria, che la guerra si sarebbe combattuta non solo per mare ma anche per via terrestre.
Re Luigi XVI, sovrano di Francia era ben consapevole che la propria flotta equivaleva a un centesimo di quella inglese ma aveva convenuto di correre ugualmente il rischio.
Sulla Jason era stata radunata una parte degli ufficiali dell'esercito e André, come recluta, s'era ritrovato lì, proprio sulla Jason.
E non avrebbe avuto molto da fare durante il viaggio, al pari del Conte Hans Axel von Fersen, ch'era appunto un colonnello di fanteria ed entrambi sarebbero stati solo d'impiccio ad aggirarsi sul ponte di comando tra ufficiali di marina, mozzi e marinai.
Perché poi il nobile svedese avesse preferito la compagnia d'un soldato plebeo appena entrato nell'esercito francese, piuttosto che quella degli altri ufficiali a bordo, il capitano di vascello, il nocchiero, il sottufficiale in seconda e via via tutti i subordinati per lo più di origine parimenti nobile come Fersen, non era dato saperlo.
Non lì e non in quel momento.
Forse era solo per via del fatto che il Conte Hans Axel von Fersen conosceva già André Grandier.
O forse perché entrambi avevano una conoscenza in comune.
André Grandier s'era detto che avrebbe finito per incrociarlo l'altro, ma addirittura esser convocato così in fretta, che non erano salpati che da un giorno soltanto…
"Signore…" – esordì severo.
"Aspettate…intanto…chiariamo subito!" – l'interruppe l'altro – "Che ne dite se bandissimo dalle nostre chiacchiere informali le assurde declinazioni di rango?! Ormai ci conosciamo da anni! E poi non siamo più a corte! Se ti chiamassi André…potresti chiamarmi semplicemente Hans?!".
Rimase impassibile André. Non che non si fidasse ma trovava la proposta sorprendente e un poco pericolosa.
Rischiare d'esibire una discreta conoscenza con personaggi d'alto rango avrebbe compromesso la credibilità agli occhi dei compagni che lo credevano un plebeo.
Che razza di credibilità poi…
André lo era un plebeo. Lo era per davvero!
Non era un nobile ma l'aveva osservata anche lui la spocchia che i compari gli avevano riservato al suo ingresso nel plotone destinato alla spedizione per la guerra contro l'Inghilterra e così aveva evitato d'apparire oltremodo esuberante o esibire conoscenze che non sarebbero state appropriate per un plebeo.
In fondo, ad andare davvero a fondo della questione, lui era un plebeo che s'atteggiava alle maniere d'un nobile, ma di nobile non aveva nulla se non essere cresciuto accanto ad essi.
Non era dunque né l'uno, né l'altro…
Era difficile non essere nulla e per giunta non andare a genio a nessuna delle due parti.
E la questione non sarebbe giovata neppure al conte.
C'era che André Grandier non si era mai vantato d'esser vissuto in casa di nobili. Per via del carattere schivo forse, per via dell'innata parsimonia che aveva sempre orchestrato gesti e pensieri, almeno fino ad allora.
Per evitare d'apparire, che se avesse sollevato l'attenzione avrebbe finito per sporcarsi e sporcare lei, che lui aveva avuto sempre un unico e integerrimo pensiero.
Restare accanto a lei.
Non un passo avanti e neppure uno dietro.
Solo mezzo passo…
Come si declina l'ombra, che non può esistere né troppo vicina, né troppo lontana, se non ruotando attorno a ciò che concede forma all'ombra stessa.
"Perdonate signore ma credo sarebbe inopportuno! Scusate la franchezza…voi siete…".
"Certo…d'accordo! E' tutta una questione di rango! Ma noi ci conosciamo! Suvvia André…te lo chiedo come favore personale! Il viaggio sarà abbastanza lungo e se ci concederemo qualche pettegolezzo…mi suonerebbe strano darvi del voi…e suonerebbe strano a me sentirmi appellare in tal foggia…".
"Conte…".
S'avvicinò l'altro versando il liquido ambrato nei bicchieri…
"Brindiamo alla Francia!" – riprese porgendo il calice all'ospite.
André afferrò il vetro andando con lo sguardo al colore scuro del liquore.
Brindare alla Francia…
Nulla di male…
Se si fosse trattato solo di quello…
"Promettetemi che ci penserete!" – riprese il conte, dopo aver buttato giù d'un sorso la mistura.
André sorseggiò più lentamente.
La tempra era spessa e intensa, si chiese se l'altro fosse abituato a tracannare simili fuochi oppure s'atteggiasse a mezzo avanzo di galera per tentare di mettere a tacere la disperazione, da seppellire entro i miasmi dell'ubriacatura e del timbro stonato e distante dal consueto.
L'aveva veduto da lontano Fersen, in qualche occasione, laggiù, nel ventre di Parigi, inghiottito dalle pareti anonime di un'anonima bettola, sì da essere, almeno per una volta, sconosciuto a tutti e dunque anche a se stesso.
Scomparire…
Un intento comune…
Scomparire inghiottiti da Parigi!
Fersen distolse lo sguardo, si passò la manica della camicia sulla bocca, per pulirsi. Altro gesto alquanto insolito. André non aveva mai osservato i modi del conte ma ora gli apparivano di nuovo oltremodo insoliti.
Chi era dunque il Conte Hans Axel von Fersen?
Era ovvio che nei salotti buoni della società francese, fin anche quelli ospitati negli antri più licenziosi della reggia, il conte avesse mantenuto maniere consone al rango.
Ora invece pareva un'altra persona.
Non arrogante, non smargiasso ma insolitamente rozzo, quasi a volersi spogliare di quell'aura di bellimbusto algido e sensuale, che gli era stata cucita addosso e che forse non gli rendeva giustizia.
Quasi volesse essere un altro, forse era sempre stato così.
Forse voleva dimostrare d'esserlo per l'occasione, dunque cucirsi addosso un nuovo abito di scena, sì da conquistare la fiducia dell'ospite.
"Anzi no!" – s'impuntò Fersen alzando la voce e sbattendo il bicchiere sul tavolino – "Pretendo una risposta adesso! Considerami un arrogante ma ti chiedo davvero di rivolgerti a me…non mi va d'affrontare questo viaggio sapendo di non potermi rivolgere ad alcuno in maniera più diretta! Passi per i miei pari grado ma…con te non sarebbe lo stesso. Noi ci conosciamo da tempo…puoi accordarmi questo favore?".
Il tono era mesto e sprezzante al tempo stesso.
Annuì André anche se nella testa avevano preso a ingigantirsi dubbi e grovigli di considerazioni distorte.
"Bene!" – sorrise Fersen, allungandosi ad assestare una pacca sulla spalla all'altro che però continuava a restare rigido – "E va da sé che qui sei il benvenuto! Non dovrò esser io a chiamarti ma se ti andrà di scambiare due opinioni sul viaggio…o altro…non esitare a farti avanti! Ci siamo arruolati ma fino a quando non toccheremo terra avremo molto tempo libero. Ho carte da studiare e libri da leggere ma la conversazione con un amico resta sempre insperata fortuna e balsamo per la mente!".
André mandò giù un altro sorso di liquore. L'appellativo bruciò al pari della mistura.
Che si ritrovò a tossicchiare perplesso…
Esser declinato amico pareva davvero un'eresia.
Una parola di raro spessore, al tempo stesso chiave per aprire chissà quali porte, insinuare chissà quali curiosità, carpire segreti di un'esistenza che in quel momento non era lì.
Il dubbio galleggiò nella gola, bruciante come il liquido ch'era corso giù, a rovistare nelle viscere e nei dannati ricordi.
Il Conte Hans Axel von Fersen era sempre stato un'anima diretta, quasi candida a suo modo.
Non aveva mai fatto mistero di aspirare ai piaceri della vita, forse l'unica ombra che oscurava il suo prestigio e che gli correva accanto era proprio il disperato affetto verso la prima donna di Francia.
Un affetto ch'era mirabile e irraggiungibile fenice e al tempo stesso scudo, dietro cui ripararsi per schivare le livide occhiate delle tante Meduse che lo corteggiavano.
"Conte…" – tentò di ribattere.
"Hans…Fersen…meglio Fersen…sì…manteniamo almeno la distanza delle nostre origini. Comprendo che un'eccessiva dimestichezza potrebbe crearti disagio…".
Pareva ormai ubriaco il Conte Hans Axel di Fersen e André ammise che in quello stato non sarebbe stato corretto infierire.
"Chiedo perdono…" – sibilò André – "Non sono abituato a tale dimestichezza…non vorrei creare disguidi…".
"Beh, certo…con me non sei abituato ma con Mademoiselle Oscar…".
Il nome ebbe potere di squarciare il cielo…
Che il cielo era la mente di André e il nome, saetta che l'attraversa d'improvviso.
Il cielo…
Il cielo e i suoi occhi…
Il nome…
Il nome…
Il nome…
Saetta che squarcia la coltre trasparente…
S'irrigidì André che di tutto avrebbe voluto discorrere con il Conte Hans Axel von Fersen tranne che di lei.
Continuò l'altro, versando altro liquore, che stavolta André negò. Doveva restar sobrio che ancora non aveva smaltito del tutto gli effetti della sbronza della notte precedente.
Il nome rievocò brandelli di ore ormai perdute nel passato.
Il risveglio improvviso, il silenzio della stanza, il respiro dell'altra, la bocca lì, appoggiata alla spalla, le labbra dischiuse.
Era rimasto immobile André, quasi senza respirare, per non svegliarla.
Si era voltato piano così d'averla di fronte a sé, osservarla, lo sguardo chiuso, addormentato, le labbra disegnate lievi e abbandonate.
Nessuno schema, nessuna ostentata rigidezza…
A memoria non rammentava più quando era accaduto loro di restare così, distesi assieme, liberi, inermi.
Si riebbe André, che Fersen l'aveva invitato a sedersi.
Il dubbio di comprendere dove volesse arrivare il conte.
Conoscere quanto fosse occorso tra sé e l'altra oppure esibire ciò che forse era accaduto tra il conte stesso e lei…
Quel bacio che André s'era permesso di esibire in maniera così smaccata…
Il filo del rasoio correva tra restare e ammettere che moriva dalla gelosia di sapere e andarsene per evitare di esporsi e rivelare a sua volta ciò che c'era stato e ciò che mai ci sarebbe stato.
Il morso della notte riemerse…
Il braccio allungato ad abbracciarla…
I petti vicini, così che il battito del cuore dell'uno si era allacciato a quello dell'altra, riecheggiando assieme…
Un guizzo…
Quel cuore che batteva…
Era il suo o il mio?
Per un istante, gli parve davvero che i battiti, i loro, non si fossero semplicemente sovrapposti, bensì si fossero uniti, risuonando come suono unico, cadenza unica…
Un solo battito a unire ciò che erano stati…
Lui…
Ombra…
Lei…
Luce…
Lui era stato ombra in effetti.
Ombra, né un passo avanti a lei, né un passo indietro.
Ombra che esiste perchè generata dalla luce…
Ombra che ha ragion d'essere solo se ruota attorno a ciò che concede esistenza all'ombra stessa.
"Perdona tu…so che siete cresciuti assieme… me l'ha detto la vostra governante…e da quel che ho potuto osservare eravate affiatati…siete…affiatati! Credo sia naturale…" – riprese Fersen puntando lo sguardo dritto all'altro – "Dunque alla fine l'hai incontrata?!"
Che André comprese che la strana partita a scacchi, schermaglia meramente verbale, era iniziata.
Il conte voleva sapere e forse esibire se stesso dunque, seppur attraverso le reazioni e i gesti dell'altro.
"Sai perché è venuta a Brest?" – proseguì Fersen che André restava zitto.
"Immagino per conferire con qualche ufficiale…" – ammise l'interlocutore neutro, dando ad intendere che nulla sapeva e nulla aveva saputo – "Presumo…".
"Hai visto giusto…sei perspicace…si…mademoiselle cercava me…".
Risuonò la giustificazione nelle viscere, colme d'alcool e vuote di pietà per la propria inferiore gelosia.
Strinse i pugni André domandandosi fin dove sarebbe arrivato l'altro, che diavolo avesse voluto dimostrare oppure che diavolo avrebbe voluto sapere.
Oscar non aveva rivelato la ragione del viaggio a Brest.
Nulla era trapelato e sì che loro due si erano sempre detti tutto.
André convenne ch'era stato lui ad aver tirato troppo la corda.
Una corda invisibile che forse si era strappata e allora lei si era ritrovata libera dall'accortezza di rivelare ciò che le accadeva, com'era sempre stato nel passato e come ormai non era più, da che lei si era ritrovata il cuore appesantito dall'affetto verso un uomo.
Lei non ne aveva fatto parola con nessuno, figuriamoci con lui…
Dunque che fosse giunta a Brest per vedere Fersen era ormai certo.
Il motivo…
Il motivo sarebbe stato importante…
Ma ormai…
"Gliel'ho detto io ch'eri a Brest!" – affondò Fersen cinicamente serafico – "Anzi…pensavo t'avesse scorto nel vicolo e dunque sono rimasto sorpreso che non sapesse nulla di te! Ma quella più sorpresa era proprio lei! Anche se nel suo modo così silenzioso…non sapeva che eri qui. Mentre tu in effetti…mi hai detto che non l'avevi scorta…".
Rimase zitto André.
S'accorse e convenne che anche l'eccessivo silenzio sarebbe apparso sospetto.
Solo che le parole faticavano ad uscire.
All'altro non avrebbe rivelato nulla.
Lui l'aveva scorta, era vero, ma sarebbe stato assurdo ammetterlo e poi ammettere che non si era fermato, non l'aveva chiamata, non aveva cercato d'attirare la sua attenzione.
Né un saluto, né un cenno…
Nulla…
Meglio ammettere che nessuno aveva visto nulla.
"Non ho rivelato a nessuno ch'ero a Brest!" – tagliò corto.
Giustificazione neutra ma tranciante…
"Spero di non essere stato inopportuno a dirle che ti avevo scorto…" – tergiversò Fersen che aveva intuito il nervosismo dell'altro. Conosceva André ma lo conosceva solo attraverso Mademoiselle Oscar.
Un passo…
Mezzo passo dietro l'altra…
Ombra dell'altra, che ruotava attorno all'altra, ma non aveva mai mostrato la vera faccia di sé, l'intendimento della coscienza.
"Ma è proprio questo in effetti che m'ha stupito. Dalla vostra dimestichezza…che viene da anni di conoscenza…ecco…mi sarei aspettato che lei l'avesse saputo che eri a Brest. Ma nemmeno lei mi ha detto molto. E poi ho compreso che quando lei stessa ha appreso ch'eri qui…subito…m'è sembrata sulle spine! Comunque vi siete visti…".
Dimestichezza…
Pareva il segno con cui si misura l'affiatamento tra un cavallo e il suo cavaliere.
Tra un cane e il suo padrone…
Il vetro nelle mani parve diventare lava incandescente.
André strinse il bicchiere, s'immaginò che ancora un poco e l'avrebbe mandato in frantumi.
La mente, coscienziosamente, negava tutto, girava attorno, imbrigliando parole e pensieri.
Il corpo no, non era abituato a restare fermo, immobile.
Nel passato c'era sempre stata una via di fuga, un incarico da svolgere, un tramonto da osservare in solitudine, il soffitto nero da rimirare nella notte.
Ma lì…
Quella donna, disegnata nella mente, aveva un poco alla volta, preso le fattezze di lei.
Una donna che gli aveva dettato di partire, muovere la propria vita lontano da quella di lei…
Si chiese André, se non avrebbe potuto spenderne la visione anche con il Conte di Fersen, che forse era ubriaco…
E la smania ondeggiava tra gelosia e rabbia…
"Non importa…" – si schernì André – "Anzi…in fondo arruolarmi e partire per l'America è stata una decisione abbastanza sorprendente. A lei non l'ho detto…forse ho taciuto per timore che si opponesse…per via della nostra governante. Mia nonna ha solo me al mondo e abbandonarla a questo modo…Oscar non avrebbe esitato a manifestarmi il suo disprezzo…".
Fu la volta di Fersen di tacere.
André si sorprese che l'altro non avesse dato replica alla scarna ma solida spiegazione.
Forse non ci aveva creduto, forse non si aspettava che la recluta avesse una giustificazione così idonea e tranciante.
"Appunto!" – affondò d'improvviso Fersen fissando l'altro, stavolta il tono era serio – "Proprio perché il tuo gesto avrebbe comportato un mutamento così importante nella tua vita mi sarei aspettato che ne avessi parlato almeno con lei. Ma forse ho ecceduto nell'immaginarvi complici d'un simile passo. Sì…forse lei si sarebbe opposta…eppure…".
Il bacio…
Il dannato bacio eruppe come lama affilata e beffarda…
André Grandier ebbe un sussulto.
Muto, rimase appeso alla sospensione del conte che aveva evidentemente fatto affidamento sull'affiatamento degli altri due, che però adesso pareva disatteso.
Non negato, semmai semplicemente tradotto in altro bene più profondo e compromettente.
Non era realistico quell'affiatamento oppure semplicemente l'ospite non aveva in animo di mostrare il vero sentire che lo legava alla padrona d'un tempo!?
E' risaputo che negare implica imboccare due strade, l'una opposta all'altra.
Negare per davvero…
Oppure affermare proprio ciò che si vuol negare.
Il bacio galleggiava nella mente di entrambi gli uomini…
Il bacio…
André avrebbe voluto gridare in faccia all'altro ciò che sentiva…
L'amore rimase incastrato nella gola…
"Conte…Fersen…" – un respiro fondo, il bicchiere posato sul tavolo – "Lei…mi è molto cara…questo non potrò mai negarlo. Separarmi è stato difficile. Ammetto dunque d'aver preferito negare spiegazioni, così come non vorrei indugiare in altre spiegazioni che vi annoierebbero…".
André non voleva sapere…
Fersen invece sì!
"Comunque…lei era qui per vedermi. Me l'ha confermato e questo mi ha stupito e al tempo stesso…" – le parole sospese, André tremò, silenzioso intuendo la crescente complicità ch'era scorsa tra Oscar e Fersen, che quest'ultimo fissò l'altro per scorgere lo scarto del cuore - "Mademoiselle… un amico prezioso ma ancor più una donna intelligente e scaltra…dannatamente bella…".
André strinse i pugni, era troppo…
Perché rovesciare addosso a lui – proprio a lui – le dannate lusinghe a Oscar François de Jarjayes, che tutto si meritava tranne ch'essere destinataria di tali scontate lusinghe?!
"L'incontro con lei…è stato…" – abbozzò Fersen…
André fece per alzarsi, così da sottrarsi al dialogo, come se esso sottintendesse che Fersen aveva compreso chi fosse davvero Oscar François de Jarjayes, come se solo l'innato pudore che guidava le maniere del conte gli avrebbe impedito di rivelare ciò che era accaduto.
Dannatamente bella…
André avrebbe voluto sapere ma non poteva chiedere. Straziante e assurdo…
Fersen avrebbe voluto spiegare ma senza eccedere, senza minare la solida reputazione del Colonnello delle Guardie Reali, una bellissima donna…
E Oscar…
Lei avrebbe davvero voluto essere ed esistere così, descritta solo come una donna bellissima!?
"Piuttosto…" – s'affrettò a correre ai ripari Fersen, intuendo di non poter forzare troppo il gioco, seppur tenendo l'altro sulle spine – "Là dietro…vedi quelle carte…".
Si voltò André, come sollevato dallo scarto del dialogo, andando a estrarre, quasi meccanicamente, da una specie di scaffale di legno, alcuni rotoli giallognoli, carta un poco consumata, venata di cerchi e tratteggi…
Carte nautiche insomma…
Tutto pur di scansare da sé le odiose insinuazioni!
Fersen scostò i bicchieri e ne stese una sul tavolino. André tenne fermo il bordo…
"Questa è la baia dell'Hudson. Entrare da qui non sarà facile. Pare che New York sia ancora lealista...".
"Ossia…".
"Legata al sovrano inglese. Non c'è compattezza tra chi vuole affrancarsi dall'Inghilterra, così in una stessa città si possono trovare lealisti e indipendentisti. In ogni caso si sa che i britannici hanno nominato un nuovo comandante, Sir Henry Clinton, e quello ha deciso di spostare il conflitto a sud per sconfiggere prima Georgia e Carolina. Credo che la strategia sia sfiancare l'avversario da lontano, così poi da provare a sconfiggere il New England…".
L'indice percorse i territori che spaziavano dalla Nuova Francia sino alle colonie del sud.
"E quindi…noi arriveremo a New York…" - obiettò André – "Per affrontare gli inglesi proprio in quella città?".
"Numericamente parlando i francesi hanno una flotta più esigua…ma possono disturbare i britannici…tagliare le vie di rifornimento di viveri e munizioni. Da quel che ho compreso persino addentrarsi nelle regioni interne…le Sei Nazioni… per troncare sul nascere le alleanze tra le tribù indiane e gli inglesi…".
"Le tribù indiane sono schierate con il sovrano britannico…ne avevo sentito parlare…" - ammise André severo – "Ma so anche che è accaduto perché intendono difendere i loro territori. Con gli inglesi avevano stabilito patti molto severi sullo sfruttamento delle loro terre ma pare che i coloni non intendano più sottostare a quegli stessi patti. Gli indigeni dunque non hanno potuto far altro che allearsi con gli inglesi…".
"A noi interessa poco da quale parte si schierano le tribù indigene…l'importante che non siano contro di noi…".
Gli occhi rimasero a osservare la cartina istoriata.
Linee diritte e poi curve, confini immaginari che corrispondevano però a terre di nascita e luoghi che avevano accolto l'esistenza di uomini e donne, che ormai da decenni, avevano visto sgretolarsi sotto i piedi le rocce e gli speroni di montagna, strappate dalle mani degli avi le foreste e i laghi e le cascate e i campi.
Tutto scavato e ridotto a brandelli di sangue e sassi acuminati.
"Comunque…" – riprese Fersen con un respiro fondo, tornando a sedersi e a stirarsi sullo schienale della poltroncina – "Non dobbiamo dimenticare che il contingente maggiore della flotta inglese si trova qui, in America…".
Un altro respiro fondo, una chiosa apparentemente avulsa dal contesto di una guerra oltreoceano.
André proseguì: "So cosa volete intendere…se la Royal Navy è in America…chi difenderà le coste inglesi?".
"Sei davvero perspicace!".
"Nulla di eccezionale!" – si schernì André – "Ho assistito a diverse lezioni di storia e strategie militari…quando Oscar…insomma quando mademoiselle studiava con il suo precettore. Rammento uno dei motti più celebri di un conflitto…divide et impera!".
Sorrise Fersen…
"Filippo il Macedone la sapeva lunga…".
"Dunque noi dovremo contrastare gli eserciti britannici impedendo loro di ricompattarsi e riunirsi…".
"Proprio così…sia in America…sia in Inghilterra! Pare che la Francia stia trattando l'alleanza con gli spagnoli…anche a loro fanno gola le nuove terre, anche se sono sempre rimasti più a sud…".
"E allora se non ho compreso male…a nessuno importa davvero che gli americani si sottraggano al gioco degli inglesi…".
"Si, hai compreso bene! Quanto piuttosto che gli inglesi cessino il loro strapotere nel nuovo mondo. Questo importa a quasi tutti gli alleati e chi si metterà in mezzo…".
Il silenzio scese nella piccola cabina.
La forza del mare sferzò il veliero, inducendo la struttura lignea del minuscolo guscio a gemere, una sorta di lamento fondo, quasi umano, come quello dei sensi, tutti, colpiti dalla forza del destino che non lascia scampo.
Un'onda gigantesca e immobile ricondusse la mente alla scelta, la propria, al vuoto ch'essa aveva creato dentro di sé, e al silenzio colmato, in quel momento, dal battito lieve del cuore di lei, intuito sul proprio, come fosse stato davvero entro il proprio petto.
Si era nascosto in esso e adesso quello tornava a battergli addosso.
Un istante…
Le labbra sibilarono il nome…
La coscienza maledisse di nuovo Oscar François de Jarjayes.
Lui avrebbe voluto dimenticare, mentre lei, cosciente o meno, s'era insinuata ancora più in profondità, nella carne. Una sorta di spina difficile levarsi dalla testa e dalle viscere.
Le parole di Fersen evocavano l'incedere incessante dell'altra, il suo girovagare mistico tra i pensieri, come se lei fosse rimasta impigliata nella coscienza e così pure il suo profumo, rimasto impresso addosso…
"Devo andare adesso…" – concluse André mesto, il rimbombo del mare fondo a risuonare dentro come gigantesco monito.
Nulla sarebbe mutato, la distanza non avrebbe attenuato il fuoco…
"Approderemo a New York…poi da lì è probabile dovremo risalire verso nord…" – concluse parimenti Fersen richiudendo la carta.
"Perché? Se gli scontri si stanno spostando verso sud…".
"Dovremo rifornire di munizioni e denaro i nostri avamposti che al momento si trovano ancora a nord. Comunque potresti tornare domani? Vorrei esporti alcune questioni…".
"Domani…".
Domani…
Che cos'è domani, adesso?
Domani non la vedrai, domani accadrà di scorgere solo il livido ingombro del mare, fluido e compatto, grigio e nero, screziato forse all'orizzonte d'irritanti striature azzurrognole che…
Dannazione…
Dannatamente chiare come i suoi occhi…
E saranno là, proprio dove sorgerà il sole, là dove quell'azzurro s'ammanterà dell'oro colato di raggi infausti e splendidi…
Là dove l'hai lasciata.
E se anche ci fosse stato un domani in cui avresti potuto vederla…
Un domani così non avrebbe avuto comunque senso.
E dannazione anche a te André Grandier…
Cacciarti in questa situazione non ti aiuterà a dimenticare.
Ammesso che tu abbia voluto davvero questo.
Oppure no, chissà…
Magari sei finito qui per poterti lagnare in pace con te stesso.
Per commiserare quel dannato ingombro che logora testa e cuore…
Così lontano, non ci sarà modo di errare, né respingendola né accogliendola…
"Per il momento ci stiamo dirigendo verso sud…" – precisò Fersen – "Anche se il viaggio durerà più del previsto…servirà a non ritrovarci addosso le navi inglesi. Altrimenti rischieremmo di non arrivare mai in America. Tra una settimana dovremmo approdare a Ponta Delgada, a l'Isla Saint Miguel …".
"Le Azzorre…da quello che so…sono sotto il dominio del Portogallo…".
"Il discorso è sempre quello. Anche il Portogallo ha interesse ad approdare nelle Americhe. Se vinceranno gli indipendentisti…tutti coloro che li avranno sostenuti potranno partecipare alla spartizione dei territori…e così…".
"I portoghesi ci lasceranno entrare…" – convenne André, intuendo che la sosta a Ponta Delgada era funzionale a collezionare una nuova collaborazione con il regno portoghese – "E dovrei tornare…domani!?".
Fersen si alzò…
"Sei una persona in gamba André. Sei sprecato là fuori con quella gente. Se sarai d'accordo avrei da proporti alcuni incarichi. Ma…va pure adesso…e grazie per la compagnia…".
Ripose le carte il conte, voltò le spalle, senza indugiare in saluti o altri ringraziamenti.
Si versò un altro bicchiere di liquore…
André ne aveva abbastanza.
Fersen era inevitabilmente legato a Oscar e lei era legata all'altro. Ne aveva avuta conferma lì, in quel colloquio.
Oscar era giunta a Brest per vedere Fersen e così era accaduto.
E per quanto il conte si fosse dimostrato interessato alla presenza dell'altro, l'altro invece avrebbe voluto scomparire, che dolente lo sguardo si rivolse al mare ormai nero una volta tornato sul ponte principale.
In alto, i mozzi accendevano lanternine di posizione, così, tanto per far comprendere all'equipaggio almeno la dimensione del vascello, così da non far perdere l'orientamento a chi non era avvezzo ai viaggi in mare.
"Ehi…damerino!".
Sussultò André, all'appellativo.
Ch'esso era stato riservato ad altri, non a lui, così, la migrazione a se stesso indusse a voltarsi, inevitabilmente, che quel nome ormai l'aveva sentito spesso negli ultimi due giorni. Così era stata ignobilmente soprannominata l'altra.
S'avvide del crocchio di personaggi, soldati ben piazzati.
La mente corse all'antro fumoso che aveva accolto lo sgraziato siparietto tra sé e lei, che tutti l'avevano creduta un damerino e lei non aveva mosso un dito per distogliere da sé la distorta visione.
I due erano lì, imbarcati anche loro.
Quelli che avevano colto al volo il disprezzo del soldatino verso la graziosa compagnia che i compari di battaglia s'erano affrettati a scovargli.
Quelli che altrettanto al volo avevano afferrato la pubblica offerta a chiunque avesse voluto approfittare dei servigi che il damerino s'era imputato ad offrire, a mò di ripicca verso l'insolente e ingrato soldato.
Quelli che però avevano subito lo smacco del ripensamento e forse non l'avevano mandata giù proprio bene.
André non rispose.
Quelli, al contrario, tentarono d'avvicinarsi ma il soldato si ritrovò circondato dai compari che evidentemente avevano tenuto a mente le parole del loro rappresentante.
"André…" – Dante si fece avanti – "C'è la chiamata per il rancio…".
I due squadrarono il gruppetto che s'allontanava, il ghigno muto ma sprezzante.
Il pasto fu stranamente silenzioso, vuoi perché era il primo giorno di viaggio, vuoi perché i compari ancora non si conoscevano così bene.
Gustav attese che tutti avessero finito.
"Alain vuole parlarti…dice di andare su…fuori…" – chiosò alla fine il soldato, con tono un poco impietosito verso la recluta.
André lo guardò, tentò di chiedere, l'altro, che fino a quel momento pareva aver parteggiato per la nuova recluta, gli appoggiò la destra sulla spalla, forzando un poco l'andatura, segno che non ci si sarebbe potuti sottrarre.
Pareva una specie di corte di giudizio, quella che si ritrovò davanti.
André guardò i giudici accusatori e i difensori, che non pareva fossero intenzionati ad aprir bocca.
Non aveva idea di quale avrebbe potuto essere l'accusa…
"Senti un po'…" – Alain Soisson, seduto su un barile, fece cenno alla recluta d'avvicinarsi.
André era più vecchio di ben sei anni ma il soldato Soisson non avrebbe avuto remore a trattarlo come un pivello alle prime armi.
"Che vuoi?" – replicò, un poco sprezzante, ch'era stanco e non c'era verso di levarsi dalla testa quel battito.
E a quel punto, piuttosto che combatter contro di esso, si sarebbe lasciato ammaliare da esso, decidendo di tenerselo per sé, incatenarlo al ricordo del bacio, dell'instupidito volteggio del cranio, delle tremule labbra che s'erano schiuse.
Tutto gliela rammentava…
Stava vincendo lei…
Al diavolo…
L'indice del soldato puntò contro l'altro: "Non mi fido…che voleva quell'aristocratico da te?".
"E questo…cosa potrebbe mai interessarti!? Ammesso io decida di dirtelo!?".
La risposta sulfurea provocò stizza nell'interlocutore come nei compari. La frattura oscura s'incuneava nell'usuale connivenza che orchestrava le relazioni tra la gente del popolo.
"Se deve interessami o meno, è affar mio!" – sputò Alain irrigidito – "Sei un plebeo…se ti accompagni a un aristocratico ma sei anche un nostro compare di battaglia, credo sia nostro diritto saperlo! Dunque…ieri ti sei divertito con quel damerino…chi è!?".
"Questo cosa c'entra!? Prima mi chiedi del colonnello e poi vuoi sapere di quell'altro?!" – impossibile appellarla a quel modo – "Che t'importa?!".
L'ennesima replica stizzita, sempre la stessa, indusse la smorfia nel capobranco.
Il guizzo, colto dai compari, impose a quelli di serrare lo spazio attorno alla recluta, che quello non avesse in animo di tirare troppo la corda.
Alain Soisson l'aveva accolto con rispetto, quel rispetto che adesso non doveva mancare nei confronti del capo.
Tutto poteva esser lasciato correre…
Davvero tutto…
Eccetto le strane colleganze con il rango aristocratico, maldigerito, mal sopportato, anzi…
Ove fosse stato possibile, fieramente avversato.
Dante si piantò davanti alla faccia di André: "Anche se non ti aggrada…vogliamo sapere che hai combinato con il damerino, ieri sera…se te lo sei scopato…oppure…".
André Grandier ghignò di rabbia all'eloquio rozzo dell'altro.
Non poteva farci niente. Per quanto avesse avuto in animo di proteggerla, davvero l'affondo riservatole, nell'ignoranza dei compari, sferzava sino a far ribollire il sangue.
Non avrebbe aperto bocca, ma l'incedere degli interlocutori stava mettendo a dura prova la ferma intenzione.
"Non vedo perché dovrebbe interessarvi…" – replicò tentando di fare un passo indietro.
Si ritrovò la fuga sbarrata, Gustav dietro a lui e Marcel di lato…
"Senti…forse non hai capito…non sembri stupido…ma se non ci arrivi…" – attaccò Marcel – "Alain…e noi tutti…non ci interessa sapere quanto ci sei stato con quello…e se te l'ha preso in bocca e se te l'ha succhiato…".
S'incendiò il sangue, davvero…
André non ebbe necessità di fare un passo. Si voltò semplicemente, caricando il destro.
Il colpo scorse veloce, così veloce che Dante non ebbe il tempo d'afferrare il pugno se non quando tutta la forza s'era ormai piantata in faccia a Marcel. Che anche Dante ci finì contro, trascinato dalla forza del colpo e tutti e tre finirono a terra.
Un ghigno corse sul volto affatto stupito del soldato Alain Soisson. Raro osservare una simile reazione in difesa d'un damerino qualunque, incontrato appena un'ora prima di scoparselo…
"Basta!" – gridò il soldato – "O ci finiremo davvero tutti quanti ai ferri!".
A terra, André tentò di sottrarsi e scansarsi…
Gli occhi stravolti, l'espressione schifata, che la sua reazione aveva parlato molto più di mille parole.
Dannati gli altri e dannato lui stesso…
Marcel tentò di restituire il colpo…
Alain fece un cenno e Gustav s'avventò sul compare prendendolo per le spalle ed evitando un nuovo assalto.
"Idiota!" – gridò il soldato tentando scansare André, che avrebbe voluto continuare a picchiare l'altro, per sfogare la rabbia, la distruzione indotta dalla lontananza, la smania d'aver fallito ed essersi, alla fine dei giochi, scoperto.
Il linguaggio dannatamente scurrile incendiava il sangue…
"Senti…" – l'apostrofò Alain – "Come avrai compreso gli aristocratici non ci piacciono!".
"Te l'ho già detto che non sono nobile…"- sputò André – "E' solo che non mi piace sentir parlare a questo modo di qualcuno. Non m'interessano i nobili e proprio per questo non m'interessano commenti del genere su di loro o su chiunque altro…
"Ma a quanto pare non disdegni di frequentarli…e farti saltare i nervi per un damerino che li frequenta!?".
"Che ti salta in mente? Quello dell'altra sera…me l'avete cercato voi…io non sapevo...nemmeno…".
"Davvero non sapevi chi era?!" – insinuò Alain sogghignando.
Silenzio…
Difficile trovare le parole, evitare di scoprirsi.
André non aveva paura per sé, ma, per assurdo che fosse, e per quanto lei fosse ormai lontana, aveva paura davvero per lei, Oscar, come se lei fosse stata lì, che lei era lì, lì, il battito agganciato al proprio, le labbra appoggiate alla pelle…
La sua pelle…
Le sue labbra…
"E a meno che tu non sia andato da quel nobile per riferirgli altro su di noi o su chissà chi…vuol dire allora che te la fai anche con lui!? Se, a quanto è dato immaginare, quello s'è fatto il damerino, non vedo perché non dovrebbe disdegnare uno come te!".
"Alain sei pazzo! Che vai a pensare?!".
"Se non sono pazzo allora spiegati! Chi era quello di ieri sera? Perché era al porto questa mattina? Hai parlato con lo svedese, poi quello è sceso, e poi sei sceso anche tu! Tutti e due appresso al damerino biondo…".
"Questi imbecilli mi hanno detto di non averlo pagato! Forse tu sei così disonesto da lasciare un debito prima di partire senza sapere se tornerai mai per onorarlo!?".
"Già…buona come scusa! Talmente buona che sono stato io a offrirtela! Gliel'ho detto io a questi idioti di avvertirti che nessuno l'aveva pagato quello…e tu sei sceso…e l'hai persino baciato…ma se quello conosce lo svedese e…".
"Alain Soisson…stai vaneggiando! Sono sceso…ciò che ho detto e fatto non sono affari tuoi! E ciò che ha detto e fatto il Colonnello Fersen con quello…".
Implosero i sensi…
Oscar François de Jarjayes era giunta a Brest per vedere proprio il Conte Hans Axel von Fersen.
Perché?
Non aveva compreso perché?
"Già…chi è…quello?" – ghignò Alain.
"Te lo ripeto…non sono affari tuoi! Mettiamola così…mi ci sono divertito! E' stato un gran bel servigio!".
"Spiegati!".
La chiosa s'abbatté fulminea…
Se avesse voluto salvare la faccia, André avrebbe dovuto rivelare ciò che era accaduto…
Ossia tutto ciò che in realtà non era accaduto…
"Cosa…" – balbettò André Grandier…
"Si…spiegati! Che avete fatto?".
"Niente…di particolare…non credo sia corretto…".
Un passo…
Alain Soisson s'avvicinò all'altro…
I compari afferrarono André per le braccia, bloccandole da dietro…
Il soldato s'avvicinò ancora, appoggiando una mano sulla camicia, stringendo la stoffa…
Se si doveva capire chi era il damerino, si doveva chiedere che aveva fatto…
"Dimmi…come si è mosso? Ha preso lui l'iniziativa o tu?".
"Sei un imbecille!".
"Forse…" – che la mano scese ancora, tranciando il respiro dell'altro che strattonò i compari e quelli strinsero ancora di più la presa – "Ma non mi piace essere preso in giro!".
Le dita s'aprirono…
Lo sguardo si fuse, fulmineo, a quello della recluta…
"Però…sarò magnanimo…e ti dirò quello che penso…".
André fu costretto a mordersi il labbro, la mascella serrata in una smorfia di disgusto, i muscoli irrigiditi dall'incedere rozzo del compare più giovane.
Mordeva la rabbia di non poter parlare e dunque sottostare all'assurda messinscena…
"Se sei uno a cui piacciono gli uomini…non ci trovo nulla di male. Ognuno ha i suoi gusti…io ho i miei e tu i tuoi…" – lo provocò Alain – "Ma se…come penso…quello di ieri non era affatto un damerino…allora non capisco perché dovresti mentire ed esser preso per ciò che non sei! Ma soprattutto sono io che non voglio essere preso per i fondelli da nessuno! Lo svedese lo conosceva quello. Ce l'aveva appresso…l'abbiamo visto tutti! E tu lo conoscevi. O l'hai conosciuto ieri sera, oppure lo conoscevi già. Ci sei andato a parlare con quel nobile…quindi…parla!".
Silenzio…
La chiosa del soldato sferzò i muscoli.
Chissà come il soldato Alain Soisson era giunto all'assurda conclusione che altro fosse nascosto nelle pieghe di quella storia, nei lineamenti così lievi e sensuali del dannato damerino…
Forse per via dell'innata avversione dei soldati plebei verso i sollazzi degli ufficiali nobili…
Forse per via che André avrebbe potuto essere una spia…
C'era dunque che il patto di lealtà che orchestrava la lineare fiducia tra i compari, figli del popolo, non poteva essere leso.
Una questione di rispetto e di onestà reciproca.
L'incedere delle dita prese a distorcere il senno, imprigionato nel buio appena solcato dalle luminarie appese alle sartie dell'albero maestro.
Il vento sferzava la faccia, la rabbia ribolliva il sangue, le viscere lambite e scosse dall'assurda accusa e poi ancora dal battito ch'era rimbalzato dentro, eco infinita di lei e di ciò che aveva lasciato.
Tutto avanzò sino a strappare un tremito, mentre il ricordo avanzava sapiente e scaltro, mentre il soldato gli piantava gli occhi addosso e lo teneva lì, per cavargli di bocca le parole e la verità dalla carne e dal cuore.
"Siamo…" – sibilò André – "Siamo stati assieme…era giovane…".
Ghignò l'avversario, stringendo la presa, mentre i compari trattenevano André…
"E perché…se quello era un giovane…" – contestò Alain – "Un uomo…".
Addosso…
André si morse il labbro, che la questione stava bene così…
"Stava appresso allo svedese? Questa mattina si sono salutati…e perché sei andato a parlare con quel nobile?".
Difficile elaborare una spiegazione.
Nell'oscuro fondo del baratro, André Grandier s'immaginò di difenderla a qualunque costo.
Mille volte avrebbe preferito che l'avessero pensata uomo, damerino cicisbeo capace di portare un uomo al folle godimento d'una notte, piuttosto che immaginarla donna e così forse riveduta e scrutata con occhi diversi, sino a rischiare di sporcare la sua dannata e orgogliosa purezza.
"Non so che abbia fatto con il colonnello…con me è stato esemplare…ha fatto tutto da sé…s'è spogliato e mi ha baciato…ovunque…che quasi sarei…".
Parole a brandelli, che i compari dovettero inghiottire saliva…
Dannati idioti…
André affondò nell'esistenza mai esistita…
"Ed io…l'ho baciato…non mi pareva giusto sprecare il denaro…ma alla fine quella moneta valeva un tempo ben più lungo…e quello…".
Alain Soisson rimase impassibile.
Il senso non era indagare i gesti dell'altro ma comprendere se il damerino fosse stato davvero un uomo.
Che se non era un uomo, ben si sarebbe spiegato il legame con il conte svedese.
E se si fosse spiegato il legame, anche l'altro, quello tra Fersen e la recluta, ben avrebbe avuto un senso ben più fondo, non legato a chissà quale sordida tresca tra i tre, ma forse al ben più becero e legittimo spionaggio messo in pratica dalla recluta verso i compagni.
Così degno a giustificare quella sonora scarica di legnate che i compagni s'apprestavano a scatenare addosso alla recluta traditrice.
"Quello è riuscito a tenermi lì…non si è accontentato…" – furia contro sospetto – "Mi ha portato dove voleva e dove forse ha intuito volessi andare io…che ad un certo punto ho persino pensato di perdere il senno. La sua pelle era morbida e chiara, liscia…sì…avete ragione…una bellezza sensuale…".
Diede sfogo all'immaginazione, André Grandier, che la mente cadde giù in un pozzo scuro, quasi senza fondo, nel quale si ritrovò ad annaspare.
Gesti e parole ricercati, all'apparenza senza senso, in realtà ricami della mente…
Pensieri fulgidi e intensi ch'erano sempre rimasti tali…
"Il suo corpo…era lieve e bello…e le sue mani mi hanno accarezzato…sapeva bene quel che faceva…".
"Dunque…non era un pivello!?" – gracchiò Dante stranito.
"Non so che dirti…non ho molta esperienza…e non sono così idiota da andare a raccontarlo in giro…ma di certo ci sapeva fare…e poi…".
"Finisci il tuo racconto!" – sibilò spietato Alain Soisson, che non pareva esser mosso da alcun sentimento, né insana curiosità, né silente vergogna.
André, che aveva abbassato gli occhi, incapace di raccontare di lei, sollevò la faccia verso il compare.
Il disgusto si mescolò allo strazio dell'immaginazione.
Raccolse il respiro, rammentò quel battito lieve fuso al proprio.
S'immaginò che sarebbe stato così, i corpi uniti…
Nessun dolore, nessuna vergogna…
Che fosse stato amore oppure…
S'immaginò che lei sarebbe stata capace di portarlo ovunque avesse voluto…
"Mi ha fatto godere…" – digrignò André sprezzante…
I tre compari muti…
"Credo…si…due volte! O forse…".
Che quelli che tenevano André si ritrovarono le dita improvvisamente pesanti…
"La prima volta…non ricordo nemmeno come è stato…stava giù, nemmeno vedevo la faccia…ha fatto tutto…di sua…iniziativa…".
"Che figlio di…" – sputò Marcel, preso dal racconto – "Ci sa fare…".
André ingoiò la chiosa…
"Sei soddisfatto?" – gli occhi feroci su Alain.
"Abbastanza…e la seconda?".
"Idiota…che t'importa!".
Alain sputò a terra.
Ancora non era convinto. C'era gente che sapeva far bene il suo mestiere di mentitore e André non gli pareva il tipo.
Insistendo avrebbe scoperto se fino a quel momento aveva mentito oppure davvero…
"Allora?" – arrogante.
"L'ho…".
Silenzio…
André abbassò il capo di nuovo, gli pareva assurdo parlare a quel modo. Di sé, di lei…
Disgustoso…
"La seconda volta è stato…come accadrebbe tra due…uomini…insomma…se non ci arrivi da solo…".
"No!" – sibilò Alain cinico.
"Era davanti a me…sopra di me…è…entrato…si è mosso così da godere…lui stesso…ha continuato più lentamente…ho creduto d'impazzire…sono venuto anch'io…poco dopo…e dopo…".
Tanto sarebbe valso mentire…
Spudoratamente e disgustosamente…
"Si è chinato e mentre venivo ha continuato a…".
Un colpo al cuore che quasi si fermò…
Alain tirò un respiro fondo…
L'altro era stato poco convincente ma era credibile che non avesse dimestichezza con certo genere di discorsi. E non era forse tipo d'andarsene in giro a vantarsi della questione.
"Credi che quel colonnello…".
La chiosa d'essere accostato a Fersen mordeva la coscienza…
André sputò a terra: "Io parlo per me! Non ho idea di quel che abbia fatto con quell'altro! Chissà…magari tutto e niente! E questa mattina…sono sceso è l'ho baciato perché mi andava di farlo! E gli ho detto che semmai ci saremmo rivisti…ci sarei tornato a letto ancora!".
"Diavolo…se l'incontrassi uno come quello ci andrei anch'io a letto! – blaterò Marcel – "Caz…quando m'hanno detto di tornarmene dabbasso…lo sapevo che stavo facendo uno sbaglio…chissà che vi siete detti…".
"Non ha parlato molto, se può interessarti…" – sibilò André un poco stravolto – "E nemmeno io!".
"E certo…" – che il contraddittore ancora un poco e avrebbe perso il respiro – "Quello la bocca l'aveva impegnata a tenertelo stretto…e chissà tu…spero non ci avrai fatto fare brutta figura!".
André non ebbe più fiato, raccolse le forze e tirò con tutto l'orgoglio che gli era rimasto in corpo.
I compari mollarono la presa e lui si ritrovò libero, la mente stravolta, obbligata a ricordare ciò che non era accaduto, imbastire una scena assurda e becera a beneficio degli avanzi di galera, scovare dettagli che si era ritrovato addosso, non la notte precedente, ma forse tutte le notti in cui era stato con quella donna…
L'aveva amata si…
E nemmeno si era reso conto di quanto intensamente l'avesse fatto…
Quell'amore era sporco e puro al tempo stesso…
Infernale e beato al tempo stesso…
"Non t'azzardare!" – masticò severo, che questa volta fu Alain a restare sorpreso dalla chiosa sulfurea sputata dal soldato triste.
"Che vorresti dire?" – ruggì Marcel – "Se quello è un damerino come ci hai fatto intendere…non vedo perché non dovrei approfittarne?! Adesso ho un motivo in più per tornare…se riesco a restare vivo da questa faccenda della guerra contro gl'inglesi…con i soldi che mi daranno…lo scoverò e quanto meno gli darò il doppio! Voglio proprio vedere se…".
"Non…" – André si piantò in faccia all'altro – "T'azzardare!".
I compari s'avventarono di nuovo ma stavolta il soldato triste fu più lesto a scansarsi…
"Facciamo che quello, se ritorno vivo e lo ritrovo…adesso è mio!" – digrignò furente – "Non è adatto a gente rozza come voi!".
"Amico…ma tu davvero…cerchi rogne!".
Marcel e Dante sollevarono i pugni…
Stavolta fu Alain Soisson a mettersi in mezzo…
Non comprendeva, la smania dell'altro pareva ondeggiare tra sprezzo e vergogna.
Gli pareva che la recluta non avesse dimestichezza con certe faccende ma poi no, non lesinava scenate di gelosia finanche a rischiare di finire ai ferri pur di difendere l'oscuro onore d'uno sconosciuto damerino.
Sì, certo, poteva anche essere che quel biondino gli avesse fatto davvero un bel servigio alla recluta però…
André sputò a terra, di nuovo…
Si passò una mano sulla bocca, respirò a fondo, che la messinscena sapientemente aggrovigliata alla sceneggiata messa in atto dagli avanzi di galera aveva colto nel segno.
Mica c'era nulla di male a essersi dichiarato poco esperto in certe faccende e alla fine essersi ritrovato invaghito fino al midollo del damerino ch'era stato capace di solleticare e sollecitare i sensi fino a quel punto…
Fino al punto che André sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
S'era talmente calato nella parte che quella gli era piombata addosso, come un vestito di seta pura, ad accarezzare la pelle e lasciar intravedere la sinuosa curva della schiena, la spalla nuda…
"Siete voi che ve le andate a cercate!" – ringhiò quasi pazzo – "E chiunque si metterà in mezzo tra me e quello…dovrà vedersela con me!".
"Anche il nobilucolo?!" - tagliò corto Alain per vedere fin dove si sarebbe spinto l'altro.
Silenzio…
André doveva rischiare…
Che poi la verità, in fondo, era esattamente quella.
"Si! Non sono abituato a dividere nulla con nessuno! Anche se sono solo un plebeo…".
S'avvicinò Marcel, stavolta rifilò all'altro una sonora pacca sulle spalle.
"Ben detto amico! Così si fa! Se quel nobile da quattro soldi si metterà in mezzo se la vedrà con noi! Tu difenderai il tuo damerino con le unghie e con i denti e noi staremo dalla tua parte!".
"Idioti!" – sibilò Alain facendo un passo indietro, nello stomaco la contezza d'aver raggiunto una verità che però non era certo fosse quella vera…
"Si…" – ridacchiò Gustav – "In verità per ora nessuno farà un bel niente! Siamo in mezzo all'oceano…mi spiegate che senso ha accapigliarsi tra di noi se tanto il damerino è rimasto in Francia!? E che ce ne facciamo del nostro orgoglio di plebei a difendere questa recluta e il suo cicisbeo biondo…se tra due mesi saremo morti?!".
Marcel gonfiò il petto…
"Vorrà dire che non moriremo! Prometto solennemente di non morire! E prometto solennemente che qualunque cosa accadrà, se ci sarà fatta la grazia di tornare…".
Gli occhi, tutti, si voltarono verso André…
"Questa è una promessa che ti faccio!" – attaccò imperioso Marcel – "Così chissà che la mia buona stella mi risparmierà la vita! Ti aiuterò con il tuo damerino! Quando torneremo te l'andremo a prendere noi e se quello tirerà calci e non vorrà saperne…uh…te lo porteremo legato mani e piedi! Però poi dovrai pensarci tu a fargli cambiare idea! Dico…sei un bel giovanotto…ma tra te e quel nobilucolo d'un colonnello svedese…insomma…dicono che di quello si sia invaghita persino l'austriaca, la nostra beneamata regina di Francia…ecco…dovrai darti da fare!".
"Basta!".
André fece un altro passo indietro…
Non sapeva s'era perché non era abituato al rollio d'una nave che navigava nelle acque fonde dell'oceano oppure per via dell'assurda recita che s'era ritrovato a imbastire su due piedi e che pure gli aveva rivoltato la bile nelle viscere…
Gli veniva da vomitare.
Non una parola, si voltò andandosene.
Un respiro fondo, Marcel guardò Alain…
"Ma tu ci hai creduto?" – domandò al giovane soldato.
L'altro rimase zitto, fece spallucce.
"Se mente è stato davvero bravo! E direi che s'è capace di mentire in questo modo…potrebbe averlo fatto spesso…quasi da sempre…".
"Beh…ti dirò che a me ha fatto pena…" – chiosò Dante – "Non so se mentiva…ma se non è così…allora quel damerino deve averlo proprio preso. A me sarebbe accaduto con una donna…a me gli uomini non piacciono…ma chissenefrega! Certo se ci fossi stato io…".
"Ammesso che quel damerino…lo sia davvero!" – sputò Alain, tirando un respiro fondo – "André ha raccontato una bella storia…eppure…il conte svedese non ha fama d'intrattenersi con gli uomini…dunque…".
"Alain…" – intervenne Marcel – "Ma se quel damerino fosse arrivato fino al porto per vederlo? Per vedere André intendo! Noi abbiamo pensato subito al conte…ma se non fosse stato così?!".
"Non m'interessa! André e quel colonnello svedese hanno qualcosa in comune! Che quel damerino sia stato bravo…ripeto…non m'interessa…ma se invece ci fosse altro dietro…se quei tre si conoscessero già…vorrebbe dire che André ci ha mentito! E non gliela farò passare liscia! Tenetelo d'occhio…e se ritorna dal conte…".
Anche Alain se ne andò, inghiottito dal cunicolo che riportava ai ponti inferiori.
I due soldati si sgranchirono le spalle, Marcel si massaggiò la guancia: "Caz…però…picchia sul serio quel dannato! Sarà che con quell'aria da nobile, tutti abbiamo pensato che fosse uno smidollato e invece…guarda te! Un damerino lo concia per le feste a tal punto che se gli si parla male, la nostra recluta è capace di staccare gli occhi a chiunque lo faccia!".
"E' questo che non capisco…" – convenne Dante – "Un tizio incontrato per caso…una scopata di una notte…e che diavolo…o André davvero non è mai stato con un uomo o una donna…e allora ha davvero perso la testa per quello…".
"Oppure lo conosceva già!" – sputò Marcel, andando con lo sguardo all'orizzonte nero – "Non dimenticarlo…André ha detto che voleva lasciare la Francia per via d'una delusione…".
"Ma per via d'una donna! Allora…tu credi…".
"Quando l'abbiamo incrociato nel vicolo…André era sbiancato e questo mi fa dubitare che sia stato solo perché l'altro era bellino…sul serio. Se a me fosse accaduto d'incontrare una donna che m'avesse fatto lo stesso effetto…mi sarei voltato e le avrei dato una bella pacca sul sedere!".
"Idiota! E così ti saresti beccato un ceffone da lei o un pugno in faccia dal suo accompagnatore!".
"E chissenefrega! Voglio dire…siamo in mezzo all'oceano adesso…non sappiamo nemmeno se torneremo vivi…che vuoi che sia una pacca sul sedere, una sberla o un pugno in faccia!"
"André è diverso da noi. Non si comporta così!" – concluse Dante.
"Già…è proprio questo che m'insospettisce. E' un plebeo ma non si comporta come noi!".
"E mica tutti sono avanzi di galera come noi!" – ridacchiò il compare – "Tu ragioni poco…mio caro Marcel…mica abbiamo la testa fatta di pareti che non si muovono! Ci sono nobili idioti e plebei da strapazzo…come ci sono nobili educati e plebei avanzi di galera!".
"Per me i nobili sarebbero tutti da buttare a mare!".
"Bene…" – tirò un respiro fondo Dante – "Se André ci ha mentito, vorrà dire che accadrà esattamente questo!".
"Che…" – fu Marcel stavolta a ritrovarsi disarmato alle parole del compare.
"Lo butteremo a mare! Così la prossima volta ci penserà su prima di raccontare idiozie a noi e al nostro capo!".
*Kaze To Ki no Uta
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