Adorabile strega, li ami tu i dannati? Dimmi, conosci l'irremissibile? Conosci il Rimorso dai dardi avvelenati cui il nostro cuore serve da bersaglio? Adorabile strega, li ami tu i dannati?

L'Irreparabile rode col dente avvelenato il pietoso monumento della nostra anima e sovente ne attacca, simile alla termite, l'edificio alla base. L'Irreparabile rode col dente maledetto.

Ho visto qualche volta, in fondo a un teatro da quattro soldi che un'orchestra, sonora, infiammava, una fata accendere in un cielo infernale un'aurora miracolosa. Ho visto qualche volta, in fondo a un teatro da quattro soldi, un essere tutto luce oro e velo abbattere l'enorme Satana: ma il mio cuore, mai visitato dall'estasi, è un teatro in cui si attende sempre, sempre invano, l'Essere dalle ali di velo.

54 - L'Irreparabile I fiori del male

Charles Baudelaire

Serre moi fort I

Amare non significa sacrificarsi…

Amare significa imporre un sacrificio all'altro…

Dunque se tu l'avessi amata - se l'ami - l'avresti stretta a te…

Senza imporle alcun sacrificio e dunque - visto che l'ami - senza abbandonala.

Alla fine, un sacrificio gliel'hai imposto ugualmente.

L'hai lasciata…

Lei è libera…

Che tu l'ami o no…

Che strategia assurda!

Non aveva vomitato nulla.

La cena era stata sobria, asciutta, il vino ingerito, evidentemente per via della fatica del giorno stesso e di quelli precedenti, s'era asciugato, come pioggia s'un selciato arido.

Gli occhi si chiusero, la visione della claustrofobica e sudicia trama legnosa del soffitto della nave era di per sé orrida ma lo era ancora di più se si pensava che la scelta d'esser lì era stata sua.

Non era pentito, non ci si può pentire quando non si ha scelta e lui non aveva avuto scelta.

Eppure lì, in quel momento, gettati davvero a mare, gli scontri con i compari, le insinuazioni del dannato Alain Soisson, le oscure domande del Conte di Fersen…

Tutto perdeva consistenza, rivelandosi dannatamente insensato e lontano.

André Grandier si ritrovò finalmente solo.

L'aveva voluto lui.

Ora era solo e in quella solitudine non avrebbe più potuto detestare nessuno.

Non avrebbe colto sbalzi d'umore, stanchezza, levità di sorrisi al mattino o sguardi fugaci ai viali geometrici della reggia.

Tutto ordinato nella mente, tutto confuso dalla lontananza, con i ricordi che si affastellavano affollandosi.

S'impose di dormire alla fine.

Eppure il pensiero fisso stava lì, impossibile da scacciare.

Pensò che nemmeno ventiquattro ore prima, nonostante la decisione, presa per via che non avrebbe avuto scampo da lei, lui se l'era ritrovata lì, tra le braccia, e ora il marchio di lei, impresso addosso, bruciava e gelava al tempo stesso.

I ghirigori disegnati sulla spalla un poco scoperta, prima con gli occhi e poi con l'indice, lieve…

Chissà se lei se n'era accorta?

In fondo era stata lei ad avvicinarsi.

Era stata lei ad appoggiargli le labbra lì, sulla pelle della spalla, la sua…

Bruciava il lembo di pelle…

Inaspettatamente accarezzato, assurdamente libero, quel brandello vivo pareva prigioniero d'una malattia invisibile.

E gelava ora il vuoto, il corpo reclinato sullo stesso fianco della sera precedente, raggomitolato e chiuso, come a chiudere ancora un poco il corpo dell'altra.

Dio…

I ricordi sono così effimeri, eppure nessuno può nuocere ad essi, racchiusi nella coscienza, imprigionati in un limbo inaccessibile a chiunque.

La memoria li custodisce.

Ma la consistenza della materia, ciò ch'è ancora più effimero e fugace al mondo, corruttibile dal tempo e dalla morte, è invece così potente.

Il corpo dell'altra indusse la contrazione dei sensi.

Aveva fatto di tutto per allontanarsi da lei e lei adesso era lì, gli era addosso.

Lui muro sbrecciato, a tal punto corrotto, lì lì per crollare, e lei roseto abbarbicato addosso, soave come brezza di primavera, intensamente sbocciato dei raggi caldi dell'estate, aggrappato a impedirgli di rovinare a terra, ma al tempo stesso insinuato tra le crepe, grondante di peso vivo che a poco a poco quelle crepe si sarebbero aperte sempre di più.

Che dannazione è l'amore…

Allieta e atterra…

Concede speranza e induce sorda e sordida paura.

E non c'è sollievo, esso batteva nelle viscere, sempre, ora contraendo i muscoli, ora inducendo le dita a muoversi per sottrarsi all'odioso formicolio, al vuoto stretto a pugno che non avrebbe concesso tregua.

Se avesse potuto si sarebbe davvero buttato a mare e avrebbe ripreso la strada per la Francia.

Sarebbe annegato di certo, oppure sarebbe stato divorato dagli squali, e quando anche, chissà per quale grazia divina, fosse riuscito a toccare terra, l'avrebbe atteso la diserzione oltre al beffardo oltraggio all'onore d'una contessa.

Gli venne quasi da ridere.

Rise davvero André che nell'ordine si ritrovò bersaglio degl'improperi dei soldati sconosciuti che gli dormivano accanto, assieme agli sguardi stupiti di quelli che invece lo conoscevano.

S'immaginò che quelli s'erano immaginati che prima o poi lui sarebbe diventato pazzo.

Chissà, magari fingersi folle, gli avrebbe consentito di tornare indietro.

Fu costretto a darsi del pazzo, per davvero questa volta.

Tornare indietro sarebbe equivalso a perdere se stesso. Per sempre.

Lasciare la Francia per non rischiare di compromettere il buon nome della donna amata era in fondo la sola e unica verità in tutta quella faccenda.

La donna amata…

Quale donna…

Amare non significa sacrificarsi…

S'immerse nel residuo aroma della camicia che aveva ancora addosso.

Il lontano sentore del Marsiglia mescolato all'altro profumo.

Si concentrò, si stizzì, non comprendeva.

Non si capacitava perché in quella che aveva addosso, lui sentisse quasi la forma del corpo dell'altra, mentre negli indumenti ch'erano nella borsa no, non c'era nulla di diverso dalle camicie che sua nonna lavava, stirava, e riponeva con cura nel cassettone della sua stanza.

Rise di nuovo…

Forse lei l'aveva indossata…

Perché?!

Gli accadde di svegliarsi spesso durante la notte, per via della scomodità del giaciglio, per via del russare discontinuo e fastidioso della compagnia di ventura con cui s'era ritrovato.

Quando non ci fu più verso di riprendere sonno, all'ennesimo risveglio, per via d'un rantolo sgraziato rimbombato tra le travi zozze dello stanzone, si alzò, cacciando via coperta e piedi e gambe di quelli che gli erano finiti addosso dormendo.

Imboccò la scaletta che avrebbe portato sul ponte principale, all'aperto, così che lo sguardo si sarebbe colmato del chiarore che precede l'alba, appena aggrovigliato all'umida nuvolaglia fumante dal pelo dell'acqua e vorticante di sinuose geometrie, curve e sprazzi di luce indotti dalla brezza mattutina.

La contemplazione dell'oceano aperto fece un poco meno male, gli occhi ficcati nel nulla, i sensi sferzati dalla grandiosità dello spazio che non aveva confini precisi, se non quello essenziale che divideva il cielo dal mare.

Comandi gridati in linguaggio marinaresco, voci sgraziate e acute, richiamarono i sensi alla crescente agitazione dell'equipaggio, in procinto di governare la nave attraverso manovre che avrebbero consentito di sfruttare appieno i venti del mattino.

Da lontano intravide le sagome degli altri vascelli che veleggiavano sicuri, a distanza, così che nel caso si fossero incrociate navi avversarie, la strategia sarebbe stata quella di sgusciare via, il più velocemente possibile, in ordine sparso.

I velieri di linea erano tali solo se in assetto da combattimento, ossia disposti in una linea ideale capace d'impedire alle navi avversarie di avanzare.

Decise ch'era il caso di radersi.

Sì, almeno quello glielo doveva.

Sorrise tra sé e sé al pensiero che lei l'aveva giudicato un pessimo soldato.

Capelli lunghi e barba incolta…

Ma così usava tra i soldati del popolo, mica come quelli della Guardia Reale che i capelli li potevano tenere lunghi ma dovevano almeno avere la faccia adeguatamente rasata.

E si stupì che, di nuovo, s'era messo nella condizione di obbedire a fantomatici ordini, deformazioni mentali, forse indotte dalla consuetudine d'esserle stato accanto da tutta una vita.

Gesti consueti, odore di sapone, acqua fredda…

Difficile non rischiare di tagliarsi.

I suoi palmi…

Le sue mani…

Sei un pazzo…

Le dita lunghe e flessuose a torturare i sensi, insinuate attraverso il suono ovattato e schiumoso del sapone spalmato sulla faccia.

Il ricordo s'impose ondivago mentre il rasoio seguiva docile la linea curva del viso.

Marsiglia…

Cuoio…

Lo sguardo a trafiggerla…

La mano allungata a prendere la sua mano.

Composta delicatezza nella leggera forzatura per vincere la resistenza, che lei non comprendeva e quando non comprendeva non c'era verso che si lasciasse guidare.

La presa sarebbe sgusciata via, per colpa del sapone, se lui non l'avesse stretta un poco di più...

La mano stretta, che non lo rammentava più ormai, da quanto tempo non le aveva preso la mano per stringerla…

La mano lieve, morbida, la mano di una donna…

Pochi istanti per trattenere l'uno il calore dell'altra…

Dio, lì, la faccia bagnata di Marsiglia e salsedine, s'immaginò che sarebbe accaduto se avesse stretto quella mano e si fosse portato il palmo addosso, sul viso, beandosi dell'odore racchiuso nell'incavo, dello stridore dei sensi e della perduta incoscienza.

Un gesto improvviso, impercettibile forse, seppur in grado di spezzare per sempre il filo sottile che li aveva legati da sempre.

Un respiro fondo…

Gli occhi chiusi…

Il vento sulla faccia…

Gli occhi fissi al viso, insolenti, a imbastire il filo sottile del disprezzo per lei e per la pochezza del dannato discorso, un filo capace di unire lo sguardo alla mano…

Nessuna parola, nessuna preghiera di prendersi più cura di se stessa…

L'amava ma non poteva dirglielo e…

Dannazione…

Il gesto secco, i finimenti ammorbiditi cacciati nel palmo.

Nessuna risposta all'acida constatazione precedente.

L'attesa che lei comprendesse.

L'istante in cui le dita avevano afferrato le redini…

Nello stesso istante, la presa s'era slacciata.

Nessun'altra concessione, a indugiare nella stretta.

Avrebbe voluto…

Comunque dovresti controllare le briglie! Ho trovato il cuoio particolarmente coriaceo!

Nemmeno questo sarebbe mio compito – ammorbidirle e rendere migliori - ma va da sé che briglie troppo rigide potrebbero infastidire il cavallo che ne risentirebbe!

Mettiamola così…se non è un mio dovere preservare la tua vita…vorrà dire che lo farò per il tuo cavallo. Spero che almeno la bestia apprezzerà e non avrà di che risentirsene!

André!

Il nome, il proprio dannato nome scandito dalla voce, risuonò nella testa.

L'illusione scomparve spiegazzata dal vortice salmastro, dagli schizzi d'acqua che lambivano il parapetto del veliero.

Ondeggiò l'equilibrio…

Lo sguardo sferzò un poco inquieto…

Sì, gli venne difficile scansare i due uomini, ormai conosciuti, che gli passarono accanto, girandogli attorno, scontrandosi apposta, che il rasoio ondeggiò e solo la prontezza di riflessi di richiudere in fretta l'arnese, gli evitò d'imbattersi in un curioso quanto silenzioso alterco.

Anzi, se avesse alzato la voce avrebbe rischiato una rissa...

Comprese che la sceneggiata nella taverna, al porto di Brest, non era stata accantonata, dunque i due, ch'era la seconda volta che se li ritrovava davanti, avevano voglia di attaccare bottone.

Attese, la poca acqua a disposizione per la pulizia personale gettata via sotto vento, lo sguardo sempre al mare fondo e scuro e poi agli altri vascelli in lontananza.

La solitudine, per quanto ci si trovasse s'un guscio di legno che ospitava altre centinaia di persone, mordeva i sensi.

La noia avrebbe presto avvolto i pensieri ed essi sarebbero finiti di nuovo lì.

Sempre lì…

Il Conte di Fersen non si era fatto vedere.

Nessuno l'aveva invitato a scendere di nuovo per via d'una richiesta dell'altro.

André si convinse che non avrebbe accettato la proposta d'esser lui a cercare il nobile. Un po' perché non aveva nessuna necessità di farlo, poi perché se fosse accaduto, il resto degli avanzi di galera avrebbe orchestrato chissà quale congiura.

E infine…

Che senso avrebbe avuto conversare amabilmente con colui ch'era in fondo a tutti i ragionamenti, la ragione della sua scelta!?

Forse no, forse era solo una scusa addossare a Fersen una responsabilità che non aveva.

Non si sceglie di amare e non si sceglie d'essere amati.

Che colpa ne aveva il conte s'era stato lui, per primo, a far breccia nella mente e nel cuore di Oscar?

E se nemmeno ne era consapevole?!

Pensieri erranti…

Si stupì della chiosa ch'eruppe fulminea.

Si chiese se davvero il conte fosse stato del tutto inconsapevole dei sentimenti di Oscar.

Non era questione del tutto scontata, né certa.

Non avrebbe approfondito, non avrebbe avuto senso farlo.

Che senso avrebbe avuto sapere, se ciò a cui anelava era non sapere più nulla!?

Il vento scompigliò i capelli lasciati liberi.

Anche quelli tornarono costretti nel nastro, ordinati.

Che però anche quel gesto, gliela rammentò.

Non c'era dunque un solo istante della propria vita che non fosse libero.

Si diede dell'idiota…

Non aveva mai avuto una vita tutta sua, non aveva mai fatto un passo che non fosse stato per lei, anzi sempre mezzo passo dietro a lei.

Ora che lei non era lì, ora che lui era lì, nella solitudine ambrata d'un vascello che navigava verso una terra completamente diversa e quasi sconosciuta, verso un destino niente affatto lieve, André Grandier prese a immaginare come sarebbe riuscito a sgombrare la mente da lei e colmarla d'altro.

Dimenticare quella donna…

Quale donna?

Ordinare i pensieri…

Tenerli stretti e al tempo stesso lasciarli liberi.

Imprigionarli almeno sulla carta, sì che avrebbero potuto fungere da monito a sé e all'André che sarebbe diventato nel futuro.

O forse un bieco espediente per trascorrere il tempo ed evitare che quello, trascorrendo, avesse generato l'infausta conseguenza della perdita del passato, di ciò ch'era stato lui, di ciò che non era e non sarebbe mai stato.

Cercò un luogo riparato dal vento fastidioso e umido. Estrasse i fogli che aveva portato con sé.

Una piccola ampolla d'inchiostro nero e una pennetta d'oca, levigata a dovere, minuscola, capace di vergare altrettanto delicatamente il biancore ruvido del lieve supporto.

S'accorse ch'erano giorni che non aveva più scritto, per via delle settimane di addestramento e i preparativi per il viaggio.

Le dita erano un poco stranite, tremanti, che sì, sapeva ancora scrivere ma gli pareva di non saperlo più fare con la consueta leggerezza, come se ciò che andava a scrivere non fosse più per diletto o studio ma per riportare su carta ciò che scorreva stridendo e litigando nella testa.

Il destinatario sarebbe stata comunque sua nonna.

Così che, una volta giunti all'Ile Saint Miguel, avrebbe affidato al servizio delle poste la sua prima missiva, che dunque sarebbe giunta in Francia nelle settimane successive, colmando in fretta il tempo trascorso da che l'aveva lasciata.

Così che quel tempo sarebbe stato trapuntato d'un tassello, una specie di pietra miliare capace di imbrigliare lo spazio che stava mettendo tra sé e il proprio passato, così da tessere il passato come trama entro cui andare a comporre l'ordito del proprio futuro.

Cozzarono dunque gli intenti…

Dimenticare e al tempo stesso tenere a mente i volti, gl'impegni che avrebbero continuato a scandire le giornate di colei che aveva lasciato.

Non ci volle molto da che la pennetta, intinta di nero, lasciasse sul foglio le prime parole e subito la coscienza fu colma della giornata che non c'era più.

Le cure ai cavalli, la pulitura dei finimenti…

Le dannate redini ammorbidite…

Le dannate redini…

Le redini ficcate nel palmo con sprezzo…

Le sue mani…

Océan Atlantique deuxième jour de navigation…

Ma chère grand-mère…

L'esordio faticoso…

Ma chère grand-mère…

La pennetta rimase lì, a un pollice scarso dalla carta, rigirata nelle dita.

L'inchiostro inevitabilmente s'asciugò per via della brezza indotta dalla navigazione.

Siamo partiti da nemmeno un giorno e già sento la tua mancanza. Me ne dolgo, mai potrò fare ammenda del torto d'averti lasciato, che ti sarà parsa, la mia, una decisione incomprensibile e crudele.

Posso solo chiederti di continuare ad accettare il mio affetto e di accettarmi così, incosciente e di perdonare il dolore che ho causato.

Oggi, qui, lontano dai luoghi che mi hanno accolto fin da bambino, così come dalle braccia che mi hanno amato, mi pare d'esser in grado di vedere la mia vita in maniera più nitida e di comprendere ancora più a fondo il tenero e grande amore che hai nutrito per me.

Così come l'amore che mi ha spinto a lasciarti. L'uno ricambiato, legato dal sangue che scorre nelle nostre vene.

L'altro intenso e libero, forte del legame che mi tiene a sé, così che solo l'oceano e il tempo mi concederanno di sapere quanto esso sia puro e se mai un giorno avrò scampo dalla sua luce.

S'esso morirà allora la mia scelta sarà stata giusta, né alcuno avrà patito invano.

Se sopravvivrà, allora io vivrò fino a che esso avrà respiro.

Ti chiedo di aver cura della donna che amo.

So che adesso, leggendo queste righe, appoggerai il foglio in grembo, solleverai lo sguardo per guardarti attorno e chiederti come sarà possibile.

Sorrido a immaginarti e confido nella tua saggezza.

Ti parlerò di lei, così che non ti sentirai troppo sola, che in questo modo sarà come se io fossi lì, a guardarla attraverso i tuoi occhi, a mostrarti quanto sia bella e tu l'ammetterai, che lo è davvero.

Tornerò sano e salvo, per abbracciarti e baciarti.

Tuo nipote André

Il foglio ripiegato e chiuso con cura.

André Grandier sarebbe sceso a Ponta Delgada per cercare l'ufficio postale e spedire la lettera.

S'immaginò lo stupore di sua nonna che molto probabilmente nel giro di qualche settimana avrebbe ricevuto le prime notizie.

André Grandier ammise che quello non era e non sarebbe mai stato il miglior sistema per dimenticare.

Vuoi davvero dimenticare?

O forse semplicemente mettere alla prova questo dannato amore?!

Ch'esso davvero non avesse finito per soccombere di fronte alle prove che si sarebbe trovato di fronte?!

Se fosse accaduto…

Un mezzo sorriso isterico...

Dunque avrebbe sfidato se stesso e quell'amore, così da comprendere s'esso sarebbe stato più forte o, di contro, più stupido lui a continuare a inseguirlo?!

Dannato pazzo ad amare…

Un amore puro, mai inzozzato dalla passione, dalla gelosia, dal rammarico, dal desiderio…

Da nulla di tutto ciò che di quell'amore è linfa e veleno al tempo stesso.

S'accorse d'essere osservato.

Di nuovo i due uomini della taverna.

Richiuse la scatolina di legno riponendovi pennetta e fogli.

Fece per alzarsi….

I due si mossero venendogli incontro.

Lo sguardo non amichevole, André sentì l'impazienza rodergli i muscoli.

Non si era arruolato per sfigurare come un codardo.

Non aveva fatto nulla di male se non cedere, per un solo istante, alla rabbia di non consentire a lei, in quella dannata taverna, di governare la sua vita.

Di fatto era sempre stato così, e lei, di fatto, aveva sempre governato la sua vita incurante di quel che accadeva attorno o di quel che sarebbe potuto accadere a lei.

Ma in quel caso, se fosse stato così, che lei avesse davvero continuato a governare la sua vita, sarebbe potuto accadere l'inimmaginabile.

Dunque per salvare lei, aveva dovuto cedere a lei.

L'istante colto al volo dai due uomini che allora non avevano mandato giù d'esser stati scartati, messi da parte…

André ammise che in quel frangente finire a menare un po' le mani non gli avrebbe fatto poi così male.

Ma il viaggio era appena iniziato…

Si stupì del tempismo di nuovo sorprendente.

Che il solito mozzo lo raggiunse e l'invitò, per conto del Colonnello von Fersen, a scendere giù, sotto coperta, per disquisire d'una faccenda di cui voleva parlargli l'altro.

André Grandier ammise che in quel caso l'invito di Fersen avrebbe avuto il pregio di sollevarlo da un guaio.

Un respiro fondo, lo sguardo dritto ai due idioti, s'avviò sprezzante.

Prudente sì ma non certo vigliacco.

Fersen l'attendeva, anche questa volta.

Sul tavolino, oltre ai soliti bicchieri, erano appoggiati cestini con pane e piccoli dolcetti tondi e fragranti. Nulla a che vedere con la brodaglia che servivano ai soldati semplici e al resto dell'equipaggio, se si eccepivano gli ufficiali di marina.

L'invito a sedersi e servirsi fu di nuovo declinato, che il Conte di Fersen stavolta fu costretto ad andare a fondo alla questione.

"Comprendo bene il tuo scrupolo…" - esordì – "Immagino che i tuoi compagni, così come altri soldati non vedano di buon occhio che tu finisca per intrattenerti spesso con un ufficiale…un nobile…che tu non lo sei…".

Stizzì la chiosa, André strinse i pugni.

Era stanco e la curiosità stava cedendo il passo alla noia.

"Se avrai la pazienza di ascoltarmi…credo non ci saranno più problemi in futuro…" – concluse Fersen stirandosi sulla seggioletta e andando ad apparecchiarsi un piattino con un paio di croissant e una generosa tazza di tè.

Silenzio…

André Grandier non comprendeva…

"Siediti…" – il tono virò verso l'imposizione, forse nel dubbio che un uomo che era stato sempre servo nella sua vita, non avrebbe compreso altro che ordini e dunque solo a una sorta di ordine gentile avrebbe obbedito.

André si sedette alla fine. Tanto valeva sapere che diavolo avesse da dirgli l'altro, così che da lì se ne sarebbe uscito in fretta.

"Immagino tu sappia leggere e scrivere…" – l'esordio scontato…

"Si…direi discretamente…" – la risposta scontata…

"Oh…credo molto più che discretamente! Bene…ecco ciò che ho da proporti…mi servirebbe il tuo aiuto…".

Un respiro fondo…

Fersen addentò un dolcetto…

Porse il cestino all'altro.

André Grandier di nuovo declinò.

Fersen dunque inghiottì dolcetto e rifiuto.

Un altro respiro fondo…

"Ho al mio seguito…" – il conte fissò l'interlocutore così da esser certo che l'altro ascoltasse e comprendesse – "Una discreta somma di denaro destinata a finanziare le spese della spedizione…".

Una discreta somma di denaro destinata a finanziare le spese della spedizione…

Le parole rimbalzarono nella testa inducendo la stizza a ribattere…

Dodici vascelli di linea e cinque fregate…

Diecimila marinai e un migliaio di soldati…

Un conteggio abbastanza rapido, che tenesse conto anche delle scarne notizie sulla situazione dei soldati francesi già impegnati dall'altra parte dell'oceano…

"Credo molto più che discreta…." – soffiò André ricalcando la chiosa dell'altro – "Se deve servire davvero a finanziare una simile spedizione…".

Che Fersen sorrise, ammettendo, seppur in silenzio, che l'altro non era affatto stupido.

"Si…hai colto nel segno!" – annuì alla fine – "Luigi e doppi luigi…in oro…".

"Coniati a Parigi?" – proseguì André sempre più curioso.

Fersen negò, non lo sapeva, non era importante.

"Come in tutte le guerre…il denaro è raccolto dalle tasse del popolo…qualche nobile benefattore avrà fatto la sua donazione, immaginandosi d'apparire magnanimo agli occhi del re…ma senz'altro ci saranno anche monete di nuovo conio. Comunque ne sono responsabile e mi occorre qualcuno di cui fidarmi per controllare il denaro….".

"Serve qualcuno?!" – abbozzò André un poco stupito – "Non c'è nessuno al tuo seguito…capace di attendere a questa incombenza!?".

"Si…ma non intendo avvalermi di semplici gendarmi che tengano d'occhio le casse. Intendo una persona fidata, nel caso mi accadesse altro, capace di muoversi in un simile frangente. Avevo già pensato di portare con me un paio di valenti segretari ma uno era troppo vecchio mentre l'altro non ha accettato di affrontare un simile viaggio. Dunque, quando ho letto il tuo nome nell'elenco dei soldati che si erano arruolati per partire, ho immaginato che avrei potuto proporti questo incarico…".

"Dunque sapevi già che mi ero arruolato…perché non me l'hai chiesto quando eravamo ancora in Francia?".

André Grandier non avrebbe accettato di girare ulteriormente attorno alla questione.

Troppe incongruenze, troppi punti deboli nel racconto dell'altro.

Troppe coincidenze dissimulate dall'abile capacità di soprassedere all'ovvio.

Fersen sorrise ammettendo che anche se l'altro era un servo ed era sempre stato trattato come tale, aveva acquisito modi e arguzia di colei che aveva servito da tutta una vita, colei che non s'era mai fatta scrupolo, pur ammettendo modi sempre rispettosi, di domandare la ragione di certe scelte.

L'attendente non era dunque da meno dell'altra.

"Mi aspettavo una simile domanda ed è proprio per questo che ho visto giusto nel domandarti se vorrai aiutarmi. Sei una persona intelligente ma capace di riconoscere i punti deboli dell'avversario…perché mi pare di comprendere che tu adesso mi consideri un avversario…".

Si sentì scoperto André Grandier, sussultò, che la chiosa eruppe fulminea, a sottolineare uno stato d'animo che lui credeva d'aver ben nascosto, chiuso nelle profondità più recondite dell'intelletto.

Lo sguardo imbrigliato, il respiro quasi troncato nell'intuire il semplice volgersi degli occhi dell'altra al conte…

Credeva d'essere stato abbastanza diligente e attento.

Che Fersen avesse compreso…

Cosa…

"No…non intendevo…" – balbettò André tentando di non lasciar trapelare altro, che se Fersen si riteneva avversario, allora lui avrebbe dovuto far di tutto per non essere considerato tale.

Rise Fersen…

"Perdonami…avversario nel senso che so che questo incarico potrebbe metterti in cattiva luce presso i tuoi compagni! Ma davvero…mi sono trovato all'improvviso in questa situazione…avrei voluto parlartene prima…ti ho anche cercato…".

"Mi avresti cercato!? Quando?!".

Fersen agitò la mano in aria, come a scacciare l'invadenza della domanda – "Ma non ho avuto coraggio di farmi avanti! Cerca di comprendermi! Nel dubbio che i tuoi compagni avrebbero potuto poi considerarti una specie di spia. Ci siamo arruolati tutti ma ciascuno combatte per i propri ideali, finanche per un semplice stipendio. C'è gente su questa nave a cui non importa nulla di ciò che accadrà in America, altri hanno sentimenti persino contrari alla guerra. In generale però…so per certo che i soldati francesi non vedono di buon occhio d'esser comandati da un conte svedese…figuriamoci se un soldato di fanteria finisse per lavorare per un conte svedese! Dunque comprendo…".

"Ho accettato di arruolarmi non certo per andare in una terra sconosciuta ad ammazzare gente…" – sibilò André che almeno quella questione voleva fosse chiara – "Credo che nessuno abbia in animo di arruolarsi per questo motivo…".

"Eppure accadrà questo André! Se ti daranno l'ordine di sparare tu dovrai farlo!" – convenne Fersen severo – "E ciò che affermi qui, adesso, mi conferma che ero certo non avresti accettato una simile visione! Ecco perché avevo pensato a te. Accettando questo incarico, di fatto potresti evitare di finire s'un campo di battaglia…".

Silenzio…

"Poi ho ricevuto la visita di mademoiselle e non ho più avuto l'occasione d'incontrarti. Avrei voluto fermarmi nel vicolo…ho avuto l'impressione che l'avessi veduta bene ma che tu abbia preferito…".

La nota dolente eruppe…

"No!" – sibilò André spazientito.

La questione tornava di nuovo a quella sera, al brevissimo scambio di occhiate.

L'aveva scorta sì, assieme al conte.

Il sangue s'era risollevato incendiandosi, che aveva pensato d'annegare in quella visione, come il fuoco muore nel vino.

Incosciente spina a proteggerla, soprattutto da se stesso…

Il bacio aleggiava tra sé e lei…

L'altro non aveva accennato a nulla…

L'aveva veduto quel bacio?!

Gl'importava?!

"Temo…" – tagliò corto André tentando di ritrovare lucidità e fermezza – "Di non essere la persona più adatta…".

"Senti…sto parlando di circa un milione di livres in luigi d'oro e quasi novecentomila livres in doppi luigi…" - l'incalzò Fersen, quasi non avesse ascoltato il diniego.*

"Un milione e novecento…" – si contasse André Grandier mordendosi il labbro, che aveva compreso il tranello in cui stava scivolando – "Dunque all'incirca…sessantamila…".

Tossicchiò…

Già pareva una cifra spropositata…

Anche solo a immaginarsi il semplice numero delle monete!

Il Conte di Fersen voleva spuntarla, puntando tutto sull'onestà, il senso del dovere, l'abnegazione al rispetto del proprio nome e soprattutto di quello della famiglia che il soldato plebeo aveva servito per anni.

E, in fondo a tutto, sul legame con lei, l'altra…

"Esatto!" – chiosò Fersen soddisfatto.

Dimenticare sarebbe stato assurdo…

Vivere il viaggio accanto all'uomo di cui s'era innamorata l'altra sarebbe stato ancora più assurdo.

Non negò André, che un altro diniego sarebbe apparso stonato e fuori luogo.

"Ti chiedo almeno di pensarci…" – insistette Fersen.

"Ci penserò!" – si limitò a concludere l'altro alzandosi.

"André…" – lo richiamò il conte, che lui si fermò in attesa - "Sai…Oscar…mademoiselle…lei…".

"Mi stai dicendo che lei non avrebbe esitato ad accettare?" – livido confronto che pure André Grandier ammise che fino ad allora aveva sempre ragionato come lei, vissuto come lei, pensato e…- "Ma io non sono come lei…".

"Si…lo so! Comunque…ho notato…mi pareva diversa…quando l'ho rivista…".

Insisteva Fersen…

André era rimasto lì, immobile, la mano sulla maniglietta.

Più tentava di dimenticare, più l'altro pareva infierire, consapevole o meno non era dato saperlo, minando l'intento, minacciando la volontà.

"L'avevi compreso anche tu?" – la domanda giunse alle spalle, André era rimasto con il viso alla porticina, così da non lasciar trapelare altro di sé.

Che lei fosse cambiata dunque se n'era accorto anche Fersen.

"Oscar…il colonnello…" – sussurrò André, che mademoiselle un poco gli andava di traverso mentre colonnello sarebbe stato senz'altro appellativo molto più gradito all'altra ma poi il nome tra le labbra richiamava la nostalgia di lei e la rabbia dovuta all'assenza – "Per quanto la sua vita sia sorprendente e singolare…non sempre le decisioni che ha preso sono state semplici…".

"Si…" – continuò Fersen, lo sguardo lasciato vagare nel vuoto o forse chissà all'ultima visione dell'altra.

Nel tratto di silenzio, André si voltò davvero per osservare l'altro.

"Quando le ho rammentato la mia domanda…quella che le posi tre anni fa…se lei si fosse mai sentita sola e se avrebbe accettato di trascorre tutta la vita in solitudine…" – spiegò il conte – "All'epoca mi aveva risposto che non aveva tempo e modo di chiedersi se lo fosse. Dunque l'aveva ammesso anche lei di non essersi mai sentita sola e che era felice per ciò che era la sua vita…quella di erede della famiglia Jarjayes…quella di un soldato…".

Ammise André, in silenzio, che quella era davvero una risposta degna di Oscar François de Jarjayes. Una risposta sorprendente, seppur scontata.

Lui non aveva mai accettato quella sorta di felicità che lei pareva essersi cucita addosso.

Una felicità discreta, silenziosa, ornata degli elogi del padre e della riconoscenza della famiglia reale.

Non ci aveva mai creduto…

"Ma quando gliel'ho chiesto di nuovo…".

Si contrasse André, il respiro trattenuto…

"Mi ha detto che non lo era. Non lo era adesso e non lo era allora…" – sussurrò piano Fersen – "Ecco…il fatto dunque che lei sia arrivata fino a Brest…quando l'ho vista…ti ho già detto che l'ho trovata bella…converrai con me che mademoiselle…".

André strinse i pugni.

Inspiegabilmente il cuore prese a battere veloce, impossibile rallentarne la corsa.

Dunque Oscar non era felice e non lo era stata nemmeno nel passato.

Per assurdo che fosse, lui lo sapeva già, l'aveva sempre compreso ma pure era sorpreso d'apprendere che lei si fosse spinta a rivelare quella verità ad un uomo come Fersen.

Però lei era innamorata di Fersen…

Lei e Fersen…

Che era accaduto dunque a Brest…

S'irrigidì André.

Sentiva, ora dopo ora, le forze disgregarsi.

Gli pareva di non aver mai conosciuto alcuna donna di nome Oscar François de Jarjayes e che la sua vita fosse stata solo una farsa, vissuta all'ombra di una ricca famiglia nobile e nulla più.

Sentì il pavimento della nave sotto i piedi ondeggiare, pensò che non sarebbe riuscito a restare in piedi.

Oscillazioni d'un legno in mezzo all'oceano oppure i suoi muscoli disfatti sotto i colpi d'una solitudine marcia e senza scampo…

Lo sussurrò tra i denti…

Tienimi…non lasciarmi…

Avrebbe voluto chiederlo a lei di non lasciarlo ma ormai lei era lontana, dispersa tra i flutti, annientata dalla propria stessa accidia.

Fersen guardò André.

Attese, immaginandosi che l'uomo che aveva di fronte avrebbe senz'altro dato una giustificazione alle parole.

André rimase in silenzio. Non avrebbe mai tradito l'altra, la riservatezza capace di rasentare quasi disprezzo.

Aveva stima di lei e se lei aveva rivelato di non essere felice forse l'aveva fatto perché il conte comprendesse da sé, non certo perché qualcuno lo facesse al posto suo.

Se Fersen non aveva compreso…

"Siamo stati bene…" – affondò Fersen, forse per squarciare il velo del mutismo dell'altro.

André sentì la terra aprirsi sotto i piedi, anche se forse era solo un'altra oscillazione più imponente della Jason.

Il cuore ebbe un balzo…

Il respiro incespicò nell'assurda visione.

Lei lo amava, il Conte di Fersen.

Era giunta sino a Brest per lui.

Erano stati bene assieme…

Eppure lei s'era messa a cercare l'attendente di un tempo e aveva tentato di convincerlo a restare.

Per senso di lealtà verso la propria famiglia, infangata dalla fuga d'un dannato servo che chissà cosa aveva fatto e di cui con vergogna aveva tentato di lavarsi la coscienza…

Perché gli aveva chiesto di restare?

Perché era giunta fino a Brest?

Oscar François de Jarjayes e il Conte Hans Axel von Fersen…

Lei l'avrebbe amato d'un fulgido e sensuale amore…

Lui le avrebbe spezzato il cuore…

Ma Oscar François de Jarjayes non aveva mai accettato d'essere salvata da alcuno!

E Oscar François de Jarjayes si sarebbe lasciata spezzare il cuore pur di perseguire il proprio sentimento!

"Se prenderai la tua decisione, l'accoglierò, qualunque essa sarà!" – concluse alla fine il conte.

Che André si riebbe e salutò con un cenno, uscendo, il cuore in subbuglio, pungolato dalle chiose del conte, dalle mezze verità apprese come fossero gocce d'acqua cadute sul deserto di sabbia.

Di nuovo ebbe la sensazione d'esser sbattuto a terra, il respiro si sollevò colpito da un guizzo di mare, una folata di vento impetuosa e umida…

Risalì in fretta sul ponte esterno. Uscì all'aperto. S'accorse che il mare s'era fatto minaccioso…

Le onde lontane parevano muri mobili pronti a crollare addosso al vascello e travolgerlo.

Quanto tempo era trascorso da quell'alba lieve e sensuale capace di graffiare la pelle come stilla di piacere che risale le viscere…

Si ritrovò nella baraonda dell'equipaggio che organizzava l'imbarcazione a prepararsi alla tempesta.

In alto i mozzi recuperavano le vele, imbrigliando le tele nelle sartie, così che le folate di vento non avrebbero rischiato di rovesciare la nave.

Nello spazio umido lo sguardo corse agli altri vascelli che, parimenti a vele richiuse, avevano rallentato l'andatura, avvicinandosi e disponendosi a distanze tali da consentire una sorta di controllo visivo gli uni verso gli altri.

Ordini gridati imposero a chi non fosse stato esperto di rientrare sottocoperta o al più mettersi a disposizione dell'equipaggio che avrebbe dato le disposizioni per non subire danni irreversibili.

La tempesta spumeggiava lontana preceduta da vortici d'acqua e boati minacciosi.

Stranì l'accostamento che adesso il cuore e la testa si ritrovarono parimenti in balia dei vortici naturali, senza via d'uscita…

Siamo stati bene…

Siamo stati bene

Siamo stati bene…

§§§

Sorprendentemente il tempo prese a rallentare, incatenato come quelle stesse vele all'albero maestro della nave.

La tempesta inchiodò equipaggio e passeggeri - che i soldati di fanteria in fondo esattamente quello - sottocoperta per una serie interminabile di ore che, di fatto, divennero giorni.

Amache e assi divennero giacigli di tutti quelli che non avevano necessità di uscire sul ponte principale, mentre gli ordini erano comunque di tenere all'asciutto la polvere da sparo e le armi accatastate nella stiva e di mantenere in asse le colubrine, che quelle non avessero finito per strapparsi dai bulloni che le ancoravano al pavimento, così da sfondare le pareti delle navi.

Nonostante le forze avverse, i vascelli mantennero la rotta, seppur accumulando qualche giorno di ritardo.

La noia e la rabbia s'impadronirono delle menti.

La forzata immobilità e la convivenza gomito a gomito, imposero al fastidio d'elevarsi quasi a mettere in discussione le regole imposte dalla navigazione.

Accadde allora che per avere il primato sul numero di dame corteggiate, sottane rovistate, amanti presi a calci, pinte di birra tracannate e via dicendo, i soldati finivano per sfidarsi e fare a botte.

In qualche caso le sfide portavano i compari ad accerchiare i contendenti e scommettere sul vincitore oppure il perdente. In palio pochi spiccioli e razioni di rancio che non suscitava l'entusiasmo di nessuno.

Il tempo, scandito solo da tali abitudini, si dilatò, la luce del giorno inghiottita dalle nubi, il nero della notte parimenti nascosto sotto la spessa coltre.

Le parole risuonarono nella testa.

Siamo stati bene…

Siamo stati bene

Siamo stati bene…

Gli accadde di dormire molto.

Gli accadde di svegliarsi colpito dalle poche parole, instupidito dal giudizio speso per entrambi, che dunque Fersen aveva parlato anche per lei, avvolgendola nella sensazione che il conte aveva provato, come se l'uomo avesse assaggiato dall'altra lo stesso sollievo nella reciproca presenza.

Siamo stati bene…

Siamo stati bene

Siamo stati bene…

Per non rischiare di finire in mezzo alle feroci diatribe verbali oltre che alle scazzottate inscenate dai compari, per non affogare nelle dannate parole, si voltò dall'altra parte, imponendosi di non ascoltare.

Imponendosi di non pensare…

Era più difficile non pensare.

Tentò di scrivere ancora dunque, seppure le oscillazioni del vascello inducevano spesso la mano a fermarsi in attesa dell'istante di tregua, della posizione almeno orizzontale del povero legno.

Per giunta l'umidità arricciava la carta, slavava l'inchiostro.

Per giorni e giorni il rischio d'essere ingoiati dall'acqua tenne impegnati muscoli e menti.

La conta delle ore scandita dal giornale di bordo e dalle scarne informazioni che trapelavano dalla cabina del capitano.

Persino il rancio a un certo punto finì per essere sistematicamente rifiutato, che nello stomaco non c'entrava più nulla.

Nove giorni in balia dei capricci del mare.

Il cielo nero e freddo, appena scorto nei rari istanti in cui era necessario uscire, per comprendere se si era ancora sul vascello e se si era davvero vivi.

Che là sotto, pareva davvero d'essere in una specie di sarcofago, quasi ignari d'esser morti.

No, erano tutti vivi. Il decimo giorno il cielo tornò ad aprirsi. Il dodicesimo la vedetta gridò che la terra era finalmente in vista.

Isla Saint Miguel, la maggiore delle Azzorre…

E Ponta Delgada, città e porto sicuro ove attraccare e fare scorta di acqua dolce per la successiva traversata, quella che non avrebbe avuto altre soste, quella che avrebbe portato la flotta nello specchio di mare di fronte a New York.

§§§

Fu necessario attendere altri tre giorni prima di poter entrare in porto.

L'arena d'acqua non era vastissima e per giunta Ponta Delgada non era in grado di accogliere il consistente numero di viaggiatori. Non tutti assieme.

Così che i primi vascelli svolgevano i necessari rifornimenti e poi uscivano nuovamente in rada per consentire ai successivi di entrare e accostarsi al molo che poteva contenerne al massimo tre.

Gli ufficiali, al contrario dell'equipaggio, avevano la fortuna d'alloggiare al Forte Sao Bras che guardava la rada, una specie di fortezza ch'era stata destinata ad accogliere le personalità più importanti, capitani di vascello e sottufficiali, generali dell'esercito e graduati.

Era necessario rimarcare la diversità di rango.

Era necessario riconoscere maggiori comodità a chi si sarebbe occupato di guidare la spedizione.

L'equipaggio avrebbe avuto invece buon diritto di scorrazzare attraverso le viuzze di Ponta Delgada.

La libertà di contro agli agi, che i più disgraziati forse ne hanno fin in eccesso, della prima, di contro ai nobili che ne hanno ben più dei secondi.

André scorse al portone scuro del forte che ingoiava, come un antro infernale, ufficiali e servitori e bagagli vari.

Il serpente variopinto si completava con giovani vestite in modo sobrio, pelle chiara di contro ad acconciature libere, risate sussurrate e mani strette a trattenere le stoffe contro il vento che gonfiava pensieri e respiri.

Un mezzo sorriso…

Monsieur le Comte Hans Axel von Fersen non sarebbe mai venuto meno alla sua fama…

I pugni stretti…

Se lei lo sapesse?

Magari lo sa…

Magari non le importerebbe…

Lei era lontana…

L'incombenza di proteggerla restava lì, muta voce a guidare i passi, eco infernale da cui non sarebbe mai stato libero.

Se n'era andato per via di quella eco e la eco era lì, rimbombava dentro.

Siamo stati bene…

Siamo stati bene

Siamo stati bene…

Ferivano le parole…

Lei, lì, tra le braccia…

Lei gli aveva chiesto di restare…

Chi era la donna che ti ha chiesto di restare?

A chi lei ha chiesto di restare?

Così che i passi condussero presto a sfilarsi dalla compagnia dei bellimbusti, dalla visione del forte, dalla vita altra che continuava a scorrere, nonostante lui, nonostante il suo amore fastidioso e soffocante.

André non era mai stato persona loquace, non lo era stato per via della vicinanza a una donna che doveva restare lontana dalla curiosità morbosa dei nobili e dalla sprezzante indifferenza dei plebei.

Così l'animo s'era forgiato a bastare a se stesso, ad arrangiarsi nelle situazioni più disparate.

Ma nel fondo della questione c'era un'unica verità, ossia che c'era sempre stata lei al suo fianco e lei aveva colmato ogni pertugio, occupato ogni pensiero, dalle prime luci dell'alba, quando gli occhi si schiudevano e la mente correva a elencare le incombenze che gli spettavano, fino a sera, quando, di nuovo, gli era consentito intrattenersi con lei, disquisire sulla giornata, magari davanti ad un buon bicchiere di vino.

Chissà che stai facendo adesso?

Il misero foglietto stretto tra le dita e i passi che s'incamminavano verso la salita che conduceva oltre i magazzini del porto. Lì era ubicato quel ch'era stato definito una specie di ufficio di posta.

Certamente sotto il regno del sovrano portoghese ma sempre ufficio di posta era.

Sarebbe stato necessario sincerarsi dunque che il sovrano portoghese avesse in animo di far rispettare, da parte degli addetti alle spedizioni di missive, anche le parole scritte da un popolano francese e che la lettera sarebbe stata effettivamente recapitata in Francia…

Impresa non facile…

André tentò di farsi comprendere.

Il Portogallo non era poi così distante dalla Francia.

Oltretutto l'arrivo di navi francesi era sempre stato visto con favore.

I francesi avevano scelto Ponta Delgada come luogo di sosta prima di affrontare l'oceano aperto per giungere in America e portare sostegno ai coloni americani nella loro battaglia di affrancamento dall'Inghilterra.

Chiunque si fosse messo di traverso contro l'Inghilterra – di fatto - sarebbe stato visto con favore, per via che gl'inglesi avevano sempre fatto valere ovunque e con chiunque l'altezzoso primato d'esser stati navigatori e conquistatori sin dalla notte dei tempi.

Nuove terre sarebbero state liberate dal dominio inglese…

Nuove terre a disposizione di tutti.

La trattativa tenne banco per una manciata di minuti.

L'ufficiale postale acconsentì a chiudere la lettera in una specie di busta, anche se non era usuale farlo perché di solito le lettere viaggiavano come fogli liberi, aperti, così che coloro che le recapitavano dovevano semplicemente aprirle e leggere il nome del destinatario.

I soldati erano tanti, in pochi sapevano scrivere.

Alcuni di loro lo sapevano fare e dunque lo facevano anche per gli altri. Così, per non rischiare scambi di destinatari e lungaggini, stava entrando in voga l'uso di una specie di sovraccoperta, una busta dove segnare indirizzo e rendere più facile il recapito della missiva.

Il prezioso brandello di carta venne siglato con una firma che attestava la segretezza del piccolo plico.

Il soldato che invocava la spedizione assicurò per parte sua che il contenuto non metteva in pericolo la sicurezza dell'isoletta, non comprendeva la descrizione dei luoghi, né recava notizia alcuna sugli arsenali a disposizione della marineria portoghese.

Era solo la lettera d'un nipote a una nonna lasciata sola, in Francia.

Che l'ufficiale della posta effettivamente quasi si commosse alla spiegazione e poi storse il naso, che da una parte era lodevole per il giovanotto partecipare alla liberazione delle terre americane dai dannati inglesi onnipresenti ma dall'altra era senz'altro da biasimare l'abbandono a se stessa d'una povera vecchietta indifesa e sola.

Sorrise André alla descrizione di Madame Glacé…

Indifesa e sola…

L'effigie della vecchina indifesa e sola tenne occupati i pensieri, sì che i passi, anziché imboccare la strada di ritorno verso il porticciolo, ripresero la via della salita, seguendo il sentierino che a poco a poco s'inoltrava nel fitto delle casupole incastonate a corolla attorno alla baia, come se la mente e l'animo avessero avuto necessità di trovare un punto fermo, i piedi ben piantati a terra, da cui avere visione di ciò che c'era attorno, boschi, pinete d'arbusti bassi e ancora oltre, la distesa azzurra e piatta del mare finalmente calmo.

Ancora poche ore e il viaggio sarebbe ripreso, questa volta senza altre terre su cui riposare i sensi un poco straniti dalla navigazione ma soprattutto dall'assenza imposta a se stesso.

Un masso a picco invitava a sedersi e fermarsi a osservare il cielo azzurro, fondo, acuto e quasi trasparente.

Non c'erano nuvole, nemmeno quelle ch'erano solite comparire nelle prime ore del pomeriggio, cumuli d'umidità aggrovigliati dalle correnti d'aria sviscerate dalla terra nera e soda.

Un respiro…

Il silenzio accarezzato dal frusciare dell'aria tra i rami…

Suoni tozzi, tondi e bassi…

Strida di rondini e voli radenti e acuti a ingentilire il paesaggio vuoto, battuto dal vento e dalle strane cadenze di gabbiani ridanciani…

Un passo…

Chissà che stai facendo adesso?

Siamo stati bene…

Siamo stati bene

Siamo stati bene…

Un pomeriggio assolato…

Una cavalcata lungo Le Gran Canal, giù, fino alla parte più sperduta e selvatica della reggia…

Chissà chi c'è con te adesso?

Chissà se hai accettato qualcuno accanto a te oppure no, oppure hai mantenuto la tua solida e stolta solitudine appena sporcata dalla presenza d'un silenzioso attendente?

La mente scese nuovamente all'abbraccio, i corpi appaiati, il respiro annichilito dalla tiepida curvatura del collo…

Siamo stati bene…

Siamo stati bene

Siamo stati bene…

Le parole di Fersen rimbombarono nella testa, mescolate allo sguardo furioso di Oscar, al proprio vergognoso tentativo d'allontanarla da sé, all'incedere senza scampo di lei e del suo sensuale amore che si era rivelato nella vicinanza dei corpi.

Un respiro…

Un altro passo…

Se ne accorse infine di non essere solo.

L'istante di scostare lo sguardo e voltarsi…

Lo sguardo si colmò d'altro…

Il guizzo istintivo di scansarsi…

La mente colma dei gesti già patiti sin dall'istante in cui l'aveva avuta tra le braccia, per non lasciarla in balia dell'orgoglio che l'aveva indotta a osare troppo, rischiando la mala partita, rischiando d'essere scoperta…

La roccia a picco impose cautela…

Un passo falso e sarebbe volato giù dalla scarpata.

Un altro passo…

In bilico….

Se avessero voluto ammazzarlo, sarebbe bastato spingerlo giù.

No…

Le parole rimbombarono nella testa, di nuovo, distraendo la guardia già distratta dalla scelta infernale e definitiva…

Siamo stati bene…

Siamo stati bene

Siamo stati bene…

Forse qualcuno l'aveva visto contrattare con l'ufficiale postale, lui aveva estratto del denaro…

Forse qualcuno l'aveva seguito sin lì per derubarlo…

Forse i suoi compari volevano davvero dargli una lezione per aver taciuto il suo passato e non aver rivelato di conoscere il colonnello svedese e quello, quell'altro che s'ea che aveva baciato, il giorno della partenza, e con cui quella stessa notte…

Gli parve di riconoscere il ghigno…

La voce forse…

Solo poche sillabe…

Noi ci stiamo!

Se il qui presente signor damerino intende onorare i soldati francesi…noi saremo onorati d'accontentarlo!

Come avresti potuto lasciarla nelle mani dei due demoni?

Oh, lei l'aveva sempre saputo e allora s'era spinta sin oltre il limite, sì da costringerlo a finire con lei oltre il limite e riprendersela con sé…

Il colpo alla testa inflisse la straziante consapevolezza del dolore che s'allargava come sangue s'un tessuto, olio su un tavolo di marmo liscio, acqua sulla sabbia arida…

L'acuta aggressione ai muscoli impose di gridare…

Una mano corse repentina a bloccare la voce…

Un altro colpo, uno straccio ficcato in bocca…

Le mani chiuse, le gambe serrate da una presa che, dapprima umana poi forse d'una corda, impedì di fuggire e gridare e salvarsi.

Il corpo e i muscoli percossi…

Lo strazio rimbombò nelle viscere, mentre intuiva il progressivo disgregarsi delle forze…

Insulti sgraziati a ciò che era, a ciò che aveva fatto…

Che hai fatto se non salvarla dalla tragica fine!?

Le voci…

Come preferisce poi…da soli o assieme…a noi va bene tutto! Starà a lui reggere il passo!

Le tempie battevano così forte ch'era impossibile riconoscere i suoni attorno…

Il sangue sgorgato inondò la vista, gli occhi chiusi…

Quando anche avesse voluto, comprese che gli occhi non s'aprivano…

Siamo stati bene…

Siamo stati bene

Siamo stati bene…

Si ritrovò al buio, il corpo che tentava di divincolarsi come impazzito, come incapace di andare nella direzione utile a liberarsi.

Sempre più chiuso…

Il cuore straziato…

Siamo stati bene…

Siamo stati bene

Siamo stati bene…

Le parole del conte…

Lame taglienti…

Alla fine di tutto disorientarono, dilaniando la miserrima coscienza, ultimo baluardo alla follia, che la mente di contro tentò di restare lucida, alla ricerca d'un motivo, d'una ragione a ciò che stava accadendo.

Da essa avrebbe forse tratto qualche indizio per comprendere chi fossero quelli.

L'odore metallico del sangue inondò il naso, la bocca…

Il tepore acido e ferroso scorse nella gola…

Non riuscì dunque più a comprendere dove si trovava.

Sapeva solo ch'era scorso un tempo interminabile da che aveva ricevuto il primo colpo.

Trascinato chissà dove, comprese ch'era buio attorno, dunque forse era finito in un luogo chiuso, una casa, un magazzino…

Il denaro era ancora al suo posto…

Nell'istante successivo sentì il respiro bloccarsi, la gola stretta e chiusa forse da una corda, forse da un altro straccio.

Non respirava più…

D'istinto provò a dimenarsi. Se non fosse riuscito a trovare un punto libero sarebbe morto.

I nodi bloccavano il respiro…

Sarebbe morto…

Freddo…

Il freddo scorse addosso ma l'istinto di respirare dettava i gesti…

Doveva respirare, doveva vivere.

Nessuna parola da parte degli aguzzini…

Nessuna spiegazione, nessuna richiesta.

Un altro colpo, allo stomaco, i muscoli attinti e straziati…

Tentò di prendere il respiro…

L'aria non entrava.

Prese a tossire ma l'aria non entrava…

Sarebbe morto…

Oscar…

Siamo stati bene…

Siamo stati bene

Siamo stati bene…

Unico volto, unico pensiero…

Tienimi stretto…

Nascondimi…

Aiutami…

Un altro colpo, un altro ancora…

I capelli trattenuti e tirati…

Freddo…

Addosso…

E poi silenzio…

La corda al collo leggermente allentata…

Nessun pensiero, nel pertugio il respiro riprese a inondare d'aria i polmoni…

Avrebbe respirato più in fretta e a fondo ma tutto doleva e pulsava.

Forse gli avevano rotto una costola…

Forse…

"Ti sei divertito con quel damerino…a Brest?!".

La domanda eruppe, seppure un poco ovattata dal ronzio che gravava in testa…

Poche sillabe, definitivo suggello di ciò che stava accadendo.

Silenzio…

L'aria non entrava, la voce non usciva…

La domanda era retorica, nessuno di quelli aveva in animo d'ascoltare una qualche risposta.

I capelli di nuovo tirati all'indietro, così che il volto fosse esibito…

Non vedeva l'avversario…

Gli occhi chiusi e gonfi di sangue…

"Visto che ti piacciono tanto i damerini…non ti sarà sgradito se saremo noi a divertirci un poco con te?!".

André Grandier non rispose, non poteva.

Comprese solo, come unico appiglio alla propria sopravvivenza, che aveva fatto bene a cedere a lei, a portarla via con sé, che evidentemente quelli erano davvero gli uomini che avevano incrociato nella bettola.

Chiunque fosse stata Oscar François de Jarjayes, quando anche lei non l'avesse mai amato, quando anche lei avrebbe amato per sempre il Conte Hans Axel von Fersen…

Lei si era salvata e questo era bastevole.

Strinse i denti…

Provò a liberarsi…

Risate smargiasse…

Provò ancora…

Un altro colpo…

Nel buio…

Le mani scorsero alla tiepida pelle, accarezzando lievi la consistenza serica e bianca…

Nel buio…

I fianchi afferrati e attratti a sé, liberi, pieni, intensi, così da indurre a godere del contatto, sprofondare nel calore minerale dell'amplesso.

Scivolò piano, dentro…

Il contatto indusse inusitata contrazione dei muscoli, quasi essi avessero dovuto resistere ancora un poco all'assalto o forse solo orchestrare un'ambigua tattica, tergiversare, al solo al fine d'imbastire un desiderio più fondo, un incedere agonizzante di lussuria…

La forzata esigenza d'accogliere l'ospite impose movimenti docili, la schiena inarcata e tesa, così da indurre il ventre ad adeguarsi, appiattirsi, aderire al ventre dell'altro.

Combaciarono e s'avvolsero i muscoli, sfregandosi l'un l'altro, accendendosi d'ingombrante e spedita foga.

S'inebriarono i sensi, colmi dell'incedere e poi d'attesa e poi di nuovo…

Attesa e fuga…

Risa di piacere e respiri rochi…

Tormentati cerchi liquidi s'innalzarono avvolgendo sensi e occhi…

I corpi strappati da sé, dall'ordinaria consuetudine, dalla coscienza, dalle regole…

I corpi adattati, uniti…

La foga eruppe salmastra, mescolata al sentore marino insinuato tra le lenzuola e le membra degli amanti.

Asprezza oscura di stranieri paesaggi risaliva su, dalla baia sottostante, sino alle finestre piccole e chiuse della fortezza chiusa.

Il chiarore delle fiaccole scorse lungo il bastione più alto a suggello del cambio della guardia, a riprova dello scorrere delle ore scivolate ormai silenziose e calme entro la quiete della notte.

L'amante scostò il corpo un poco raffreddato ed estraneo da sé, spostandosi dal lato del giaciglio che dava verso la finestra.

Il braccio allungato scorse alla maniglia e l'anta s'aprì lasciando filtrare la luce pallida e stanca della luna piena, alta nel cielo.

Nessuna nuvola a sporcare il lattiginoso torpore che ammantava le fronde addormentate, abbarbicate sulle rocce.

Nessun rumore a richiamare i sensi al tramestio del giorno…

L'uomo richiuse l'anta.

Si alzò…

Un respiro fondo. Raccolse i propri indumenti dalla seggiola. Si rivestì in fretta.

Una moneta, un luigi d'oro, tintinnò lieve sulla ruvida superficie del comò, ai piedi del letto.

Il bavero della giacca alzato, per proteggersi dallo sguardo dei gendarmi che avrebbe incrociato nel cammino di ritorno.

Quella non era la sua stanza.

Non aveva accettato d'aprirla a passi estranei, a presenze sgradite al ricordo della donna amata.

Aveva altre incombenze da curare.

Uscì…

Un paio di corridoi e una sala istoriata di armature e spadoni appesi alle pareti.

Uno sguardo ad antichi guerrieri con mustacchi e turbanti…

Avrebbe atteso nella propria stanza, ove la luce del giorno avrebbe disegnato altre geometrie nella propria vita, così come in quella di altri…

L'uomo entrò nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle.

Si sdraiò sul letto, al buio, senza accendere candele o torce.

Attese…

Nel buio…

Nel buio, la terra fredda scolpì il fetido olezzo nella testa…

Nel buio, il corpo immobile…

Nel buio…

Sentore di sabbia e foglie marce e risate asciutte…

Ghigni bastardi a lambire la pelle, percuotere i sensi…

Nel buio…

Frusciare di vesti e cinture…

Nel buio…

Il corpo libero e nudo, immobile, attinto da gesti secchi…

Ordini sputati addosso…

Impossibile adeguarsi e seguirli…

Nel buio…

Il rifiuto...

Che però la corda si strinse di nuovo e l'aria smise d'entrare…

E il sangue rappreso, impresso sul viso, bruciò l'esigua vista...

E la gola inondata di rabbia, chiusa, impossibile emettere alcun suono…

Nel buio…

Incedere di mani rozze a imporre un consenso…

Nel buio…

Un altro rifiuto, anche se l'aria non entrava…

Nel buio…

L'odore della morte, addosso, ficcato nella coscienza che dapprima rifiuta d'adeguarsi e poi comprende che il rifiuto equivale alla morte…

Inusitato desiderio d'averla addosso, rivederla, almeno una volta…

Barlume accecante dettato dalla sua pelle, dai seni piccoli, puntati addosso, accarezzati piano…

Gemito lieve respirato lì, nell'incavo, tra collo e spalla…

Pensieri erranti, ultimo baluardo alla pazzia…

Nel buio…

L'odore della morte infiltrato in ogni pertugio della carne e della coscienza…

Il corpo immobile…

La risata smargiassa…

L'odore della morte…

Non voleva morire, non poteva morire…

Non senza averla vista un'ultima volta. Solo un'altra volta.

Nel buio…

Il corpo cedette.

Nel buio…

La coscienza intuì la forza estranea, ruvida, livida…

Ogni residuo intento di salvezza piegato e distrutto…

Nel buio…

Morì piano…

Il corpo piegato, spezzato…

La carne straziata e lesa…

Nel buio…

Morì piano…

Progressiva e inevitabile consapevolezza dell'insulto…

Spinte ripetute…

Agonia delle viscere…

Gola chiusa…

Le mani s'aprirono, le dita graffiarono aria e sabbia, nuda essenza dello sporco pavimento…

Nessun appiglio…

Nessuna salvezza…

Sussulto sgraziato…

La bocca muta…

Pregò piano, in silenzio, il nome sigillato nelle labbra, il corpo violato e sferzato da inconcepibile danno…

Nell'istante la mente straziata piombò nel buio, graffiata dall'inconsapevolezza, annientata dalla vergogna…

Morì piano…

Respirò e morì piano…

Oscar…

Tienimi stretto…

Nascondimi…

Il rivolo freddo di sudore scorse sul viso caldo.

Lo sguardo s'aprì sbarrato al soffitto del letto, stoffa istoriata di broccato floreale, nero di guizzi di luce pallida che sbucava dalla finestra aperta.

Stava soffocando…

La gola chiusa…

Stava cadendo…

D'istinto allargò le braccia come per aggrapparsi.

Le dita strinsero il lenzuolo.

Uno scarto istintivo a riprendere l'equilibrio minato da ciò ch'era scorso nella coscienza addormentata, mossa da un palpito, spezzata da un respiro soffocato, svegliata dall'incubo.

L'effige dell'altro irriconoscibile, muta, il volto scuro di sangue rappreso, il ghigno sbilenco, come percosso da inusitata follia…

La bocca aperta, senza suono…

Almeno non le pareva d'aver emesso sillaba…

Eppure lo strazio della visione colpì ugualmente.

Dovette respirare piano, per riprendere coscienza di sé, ammettere ch'era sveglia, ch'era stato solo un dannatissimo sogno, che pure i sogni coltivano paure già seminate nella testa e nel cuore.

Si sollevò un poco, si sedette.

La pelle fredda, umida, percorsa da tremore sconosciuto…

"André…" – sussurrò piano, prima d'asciugarsi il viso con il lenzuolo.

Si risolse a tirare su la coperta leggera ai piedi del letto.

Era estate inoltrata eppure aveva freddo.

Un freddo intenso e mai ascoltato nella banale e rassegnata esistenza.

* Somme "elaborate" da stime personali, basate su cifre di massima reperite da fonti non ufficiali e dedotte dai costi complessivi che la Francia affrontò per sostenere la Guerra d'Indipendenza Americana. Qui ripartite in quote purtroppo difettose, laddove chi ne avesse di più precise potrà comprenderne la discrepanza.

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