Ognuno di noi ha dentro di sé il proprio diavolo che morde e distrugge le notti e ciò non è un bene né un male, è la vita: se non lo avessimo non si vivrebbe. Dunque ciò che Lei maledice dentro di sé è la sua vita.

Franz Kafka

Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti

Luigi Pirandello

Alter ego

Amare non significa sacrificarsi…

Amare significa imporre un sacrificio all'altro…

Dunque se tu l'avessi amata - se l'ami - l'avresti stretta a te…

Senza imporle alcun sacrificio e dunque - visto che l'ami - senza abbandonala.

Alla fine, un sacrificio gliel'hai imposto ugualmente.

L'hai lasciata…

Lei è libera…

Che tu l'ami o no…

Che strategia assurda!

§§§

Le dita scorsero al cravattino in seta, aggiustata alla ben e meglio, così da recuperare un aspetto degno del rango e delle mansioni che s'era messo sulle spalle, assieme alle mostrine e all'uniforme dei Dragoni di Svezia.

Era quasi l'alba. Ancora poche ore e la Jason sarebbe salpata lasciando definitivamente Ponta Delgada e l'Isla Sao Miguel.

Da quel momento nulla sarebbe stato più come prima.

Da quel momento nessuno sarebbe tornato indietro.

Dunque urgeva avere contezza che tutto l'equipaggio fosse al completo e che tutti gli uomini, soldati e marinai che fossero, avessero ripreso la via maestra, rientrando a bordo.

"Colonnello Fersen…".

Il messo s'avvicinò all'uomo ch'era intento a fare colazione, l'ultima che si concedeva sulla terra ferma.

Uova di quaglia fatte sbarcare appositamente dalla nave, pane fragrante assieme a marmellate e qualche frutto fresco recuperato sull'isola.

Un cenno del capo dell'ufficiale e il messo appoggiò sul tavolo diversi fogli.

Il primo elencava le merci ch'erano state caricate a bordo, soprattutto viveri e acqua, il secondo attestava che ciò che era a bordo non era stato né trafugato, né consumato nei bivacchi dei soldati in libera uscita.

Il terzo…

Elencava quelli appunto.

Soldati in libera uscita che non erano ancora rientrati.

Pochi nomi…

Che il Colonnello Hans Axel von Fersen non batté ciglio alla lettura rapida.

Mancavano all'appello cinque persone.

Due, spiegò il messo con supponente solerzia, erano già state acciuffate mentre tentavano d'imbarcarsi su di una specie di bragozzo da pesca che le avrebbe portate al largo, in attesa che la Jason ripartisse, così da evitare la cattura e il trasbordo.

I farabutti avevano già incassato una parte della diaria assegnata ai soldati per l'arruolamento così che, ripartita la flotta per le Americhe, quelli avrebbero fatto bellamente ritorno in Francia facendosi beffe del giuramento fatto a Sua Maestà di difendere l'onore e il prestigio dell'appoggio francese contro il Re d'Inghilterra.

Un disonore inimmaginabile…

Quelli, se Dio voleva, li avevano già ripresi…

Sugli altri tre…

Un respiro fondo…

Tiberius Mallerbé…

Guglielmo Pointers…

André Grandier…

"Li avete cercati?" – abbozzò Fersen, pulendosi la bocca con il candido tovagliolo, istoriato di merletto, lasciato poi cadere sul tavolo.

"Li stanno cercando colonnello. Mancano da ieri pomeriggio. A parte le piccole imbarcazioni di pescatori, quella mattina è salpata per la terraferma una sola imbarcazione di piccolo cabotaggio per il trasporto di lettere, documenti. Si dubita siano riusciti a salpare con quella. Dunque è probabile si siano incamminati verso la parte più interna dell'isola. La partenza è fissata per mezzogiorno e se a quell'ora non saranno di ritorno…".

"Attendiamo prima di dichiarare la diserzione…potrebbe esserci stato un imprevisto. Ponta Delgada è accogliente…".

"Forse per qualcuno lo è troppo!" – chiosò il messo calcando sulla scomparsa dei tre e soprattutto sui motivi non propriamente edificanti dietro la sparizione.

"Verrò subito al porto…mi metterò anch'io alla loro ricerca…".

"Signore…non credo sia necessario. Ci sono già diversi drappelli comandati …".

"La questione non mi pesa! Anzi! Uno dei tre è una mia conoscenza. So per certo che è sempre stata persona esemplare e di specchiata levatura morale! Non credo dunque abbia avuto in animo di mettere in pratica un gesto tanto disdicevole da rischiar d'infangare la famiglia da cui proviene. Piuttosto potrebbe essere incappato in qualche disgrazia…".

"E perché non invece nelle sottane di qualche smorfiosa isolana?!" – abbozzò il messo maliziosamente scontato, che forse non conosceva nessuno dei protagonisti della sparizione.

Si alzò Fersen, un respiro fondo, le posate quasi gettate nel piattino.

Tintinnarono i cocci tra loro, che il messo un poco rimase sorpreso della foga imposta ai gesti.

Le maniche riassettate, il cravattino aggiustato così come la spada al fianco e in pochi passi il conte uscì all'aria via via intensamente carica dell'umida calura dell'estate oceanica.

"Non mi parrebbe parimenti degno!" - incise, stirandosi il collo e gonfiando il petto pronto a fiondarsi fuori alla ricerca dei disperati fuggitivi – "Ma su questo di certo non potrei giurare su nessuno dei tre!".

Il via vai, ennesimo, consuetudine dei porti di mare, risuonava di ordini secchi ad affrettarsi a stivare le botti e le ceste di frutta, così come di mormorii bassi e risentiti, stupore mescolato a stizza, per quanto aleggiava nella stessa aria.

Dante e Marcel si aggiravano tra le casse, un po' per schivare lavori oltremodo pesanti, un po' per comprendere cosa fosse accaduto e dove fosse finito il nuovo compare, il soldato triste, come ormai era stato appellato la recluta Grandier.

Alain Soisson venne loro incontro. Senza girarci tanto attorno chiese conferma.

Gli altri annuirono, un poco mesti, lo sguardo torvo a guardarsi attorno, come se sentissero sul collo il fiato degli altri soldati, quelli che ormai avevano appreso dell'amicizia sorta tra i giovani e la recluta.

Che poi la recluta era persino più vecchia dei veterani…

Quelli avevano all'incirca vent'anni, Alain Soisson addirittura solo diciotto.

La recluta ne aveva invece ventiquattro.

Non era certo una bella sensazione.

Il dubbio che loro c'entrassero con la sparizione di André s'intuiva nemmeno poi così tanto impalpabile.

"L'hanno trovato?" – chiese Alain Soisson.

Negarono gli altri due…

Un respiro fondo…

"E sarebbero spariti anche i due bellimbusti?!".

Dante e Marcel annuirono.

"C'era da immaginarlo…" - chiosò Alain.

Un richiamo dalla prua della Jason…

I tre soldati erano convocati innanzi al Colonnello Hans Axel von Fersen.

Un mezzo sorrisetto isterico scorse sulle labbra.

"Che vorrà adesso il nobilucolo!?" – sputò Marcel…

"Attento a come parli!" – lo rimproverò Alain – "Te l'ho già detto! Quello è il nostro superiore…vediamo di non farlo adirare più di quanto non lo sia già!".

"Adirato quello!? E perché mai dovrebbe esserlo?! " – sbottò Dante, che proprio non ci arrivava.

"Siete duri di comprensione…ve l'ho già spiegato che i nobili non amano dividere ciò che è loro con altri. Men che meno se si tratta di plebei!".

"E allora?" – Dante e Marcel si fecero avanti, arrestando il passo dell'altro che si stava incamminando verso la cabina degli ufficiali – "Mica ce lo siamo scopato noi il damerino…a Brest!".

"Non trovate strano che quello ch'è sparito sia proprio André!?" – sibilò Alain severo, masticando una sillaba per volta, così da tenere gli altri due sulle spine.

C'era che nemmeno lui aveva le idee chiarissime, dunque azzardava.

Come a dire ch'era un'ipotesi. Nell'ignoranza delle reciproche indoli, degli alterni caratteri, i plebei giudicavano i nobili per quel che apparivano.

Nobili pieni di sé, aristocratici ligi a se stessi e al proprio blasone.

Arrivisti e senza scrupoli.

Perché il bellimbusto svedese avrebbe dovuto fare eccezione?

"Che…vorresti dire che il nobilucolo avrebbe fatto fuori la recluta triste?!".

Alain Soisson fece spallucce…

"Mettiamola così…" – spiegò aggiustandosi il fazzoletto al collo prima di bussare – "Ciò che hanno in comune quei due…potrebbe essere la ragione stessa della loro rivalità. Se questo colonnello ha osservato quel che è accaduto sul molo, il giorno della partenza, e non gli è andato giù…è possibile abbia voluto ripristinare le dovute distanze di rango…".

"Per la miseria…Alain…quello che dici ha un senso!" – sputò Dante, aggiustandosi anche lui il fazzoletto.

"Ha un senso…ma a me fa anche paura! Se un nobile può arrivare a tanto…".

"Alain…e se invece fossero stati i due bellimbusti? Anche loro sono scomparsi!".

"Già…allora…ragionando così…potrebbe anche essere stato uno di noi! Anche noi avevamo un conto in sospeso con Grandier!".

"Io non ho fatto niente!" – gridò Marcel stizzito – "Ho dormito questa notte!".

"Si, lo confermo!" – rise Dante facendosi aria al naso con la mano – "S'è sentito ch'eri là sotto! S'è sentito eccome! Devi smetterla di farti sempre due razioni di fagioli!".

"Idiota! Ho fame! E poi a non far niente tutto il giorno…mi viene sonno!".

"Già…fame…sonno…e…" – precisò Dante, che Marcel gli cacciò una mano sulla bocca e l'altro tentò di scansarsi, che quando s'aprì la porta, nel riquadro scorso dagli ufficiali all'interno della cabina, spuntarono manate sghembe e finti manrovesci, uno spettacolo davvero indecente.

"Sull'attenti!" – gridò Alain Soisson, a richiamare gli altri due a un minimo di decoro. Erano plebei ma a nessuno piaceva sfigurare davanti ad altezzosi ufficiali.

"Riposo…" – annuì Fersen tentando di cogliere un segno che gli avesse rivelati quale dei tre fosse il più sveglio.

Non il più loquace, che di solito chi è più intelligente e acuto tende sempre a parlare il meno possibile.

C'è inversione di proporzione tra lingua e cervello in effetti.

"Il soldato André Grandier non è tornato a bordo questa notte. E nemmeno questa mattina. A mezzogiorno la nave salperà, dunque entro un paio d'ore ne verrà ufficialmente dichiarata la diserzione. So che voi siete i suoi compagni di drappello…se sapete dov'è o che fine ha fatto…".

La domanda si snodò asciutta, preambolo necessario, conseguenze, e infine richiesta di chiarimenti.

Negarono Marcel e Dante che avrebbero aperto bocca subito per sfilarsi da qualsiasi scenario oscuro che pareva aleggiare sulla recluta scomparsa.

Alain Soisson fece un passo avanti: "Se posso permettermi…".

"Parla…" – l'incitò Fersen andando a squadrare l'altro, ammettendo che anche s'era stato il primo ad aver parlato non era detto fosse il più loquace e dunque il più stupido.

A correggere la tesi, c'è infatti la chiosa che chi parla per primo spesso è proprio colui che vuole occultare qualche responsabilità.

Chi parla per primo esibisce di certo disponibilità ma forse semplicemente per confondere le acque.

"Ieri siamo scesi tutti".

"Questo lo sappiamo già!" - ammise Fersen – "Ma André Grandier non è rientrato".

"Non è da lui infatti!" – proseguì Alain in tono confidenziale, che però la confidenza aveva come unico scopo quello d'aggirare la diffidenza del nobile, per comprendere se quello e André si conoscevano.

Scivolare sull'indole di un uomo, sul carattere e sui modi poteva esser fatto solo da chi l'avesse conosciuto bene.

"Si…lo so…" – rispose il conte.

Lo sguardo del Soldato Alain Soisson s'illuminò. Era la risposta che cercava.

Quel nobile, il Conte Hans Axel von Fersen e André Grandier si conoscevano.

Bene o male non aveva molta importanza.

C'era dunque che André aveva mentito e che loro avevano visto giusto a dubitare di lui.

Dunque…

"Sapete dov'è?" – chiese di nuovo Fersen.

Negò Alain Soisson: "Permetteteci di scendere a cercarlo. Come avete detto…evidentemente lo conoscete…non è da lui…".

Fersen annuì.

Alain Soisson non comprese s'era per dare il consenso a scendere oppure perché il conte confermava effettivamente di conoscere l'altro.

Il soldato fece un passo indietro…

"Andremo tutti!" – concluse Fersen calcandosi il tricorno in testa.

§§§

I passi condussero attraverso le straducole del porto, fonde incisioni tra case alte e variopinte e aridi squarci di terra nera trapuntati di reti stese ad asciugare e filari di merluzzi essiccati.

I passi imboccarono i sentieri a rovescio, così d'allontanarsi dal chiasso che copriva le voci, l'andirivieni di casse, ceste, botti…

Colpi misti a imprecazioni, ordini sopraffatti da richiami.

Alain Soisson tentò di ripercorrere la via dell'altro.

L'aveva veduto scrivere, s'immaginò forse una lettera.

Dunque per spedirla, doveva essersi avviato alla ricerca dell'ufficio delle poste.

Marcel batté il pugno sul bancone alle parole dell'ometto che aveva discusso esattamente il giorno prima con un soldato come loro, disquisendo su indirizzo, tempi e destinatario della missiva.

Che quella era già partita, imbarcata sul piccolo postale salpato qualche ora prima.

"Vuoi vedere che quello ci ha preso per i fondelli!? Tutti quanti?!" – ghignò il soldato sputando a terra il soldato – "Gli serviva sapere se c'era qualche imbarcazione che avrebbe lasciato l'isola…".

"E noi che lo credevano uno con la testa sulle spalle!" – fece eco Dante – "Quello!".

"Aspettate…" – intervenne Alain – "Non può essere…André…non mi pareva proprio il tipo…perché arruolarsi…seguire l'addestramento…imbarcarsi…e poi tornare indietro?".

"Gli sarà venuta nostalgia del damerino! Chissà che gli ha fatto?!" – sibilò Marcel, sgomitandosi con Dante.

Uscirono i tre, la luce del sole alto e brillante ferì un poco gli occhi, ch'erano giorni ch'erano rimasti sottocoperta, per via dello scarso spazio sul ponte principale così come della tempesta, e dunque lo sguardo non era abituato al chiarore sfolgorante del mattino, mescolato al riverbero astioso delle rocce nere di calura biancheggiante.

Si guardarono attorno.

Scorsero un drappello di soldati che confabulava, sgranandosi e poi ricompattandosi, come a ricevere ordini e poi correre via per eseguirli.

S'avvicinarono…

Gli occhi riconobbero le effigi di due uomini, parimenti vestiti in uniforme, i due energumeni per l'esattezza, circondati dagli altri.

S'agitavano, si sbracciavano, incomprensibile sapere s'era per difendersi oppure affannarsi a giustificare l'assenza, la propria, e la scomparsa, di quell'altro.

Tiberius Mallerbé…

Guglielmo Pointers…

C'erano solo loro.

Che s'avvicinarono i tre soldati, si squadrarono i due gruppetti.

Tiberius Mallerbé ghignò alla vista di Marcel e Dante, quelli della bettola di Brest.

Alain no, quelli non l'avevano mai veduto, ma sapevano che faceva parte dello stesso drappello.

La presenza dei due inquietava al pari dell'assenza del terzo soldato scomparso.

Il sergente stava lì, sbraitando domande addosso ai due, chiedendo dov'erano stati, perché non erano rientrati…

I due negavano, sputavano scuse…

Dal vicolo sbucarono tre ufficiali.

Le straducole e lo scarso tempo non avevano permesso di recuperare cavalli.

Il Colonnello von Fersen s'avvicinò che i due erano nell'elenco dei soldati che rischiavano l'accusa di diserzione.

Si squadrarono i due quasi disertori e l'ufficiale. I respiri sospesi. Erano soltanto in due.

Fersen impose nuovamente la stessa domanda, il tono fermo e freddo.

Alain Soisson respirò ogni sillaba, alla ricerca d'un moto di compassione.

Se l'ufficiale conosceva la recluta, se aveva ammesso che non era da lui sparire a quel modo, la compostezza dell'eloquio feriva.

Ma forse i nobili erano così, freddi, altolocati, poco inclini a isteriche sceneggiate.

"Noi abbiamo visto un soldato…" – gracchiò Tiberius Mallerbé, tono di sufficienza, per niente intimorito dal gruppetto di compari che li attorniavano – "L'abbiamo visto salire la collina…".

"Perché l'avete seguito? Chi è?" – Fersen si fece addosso, gelido ma incombente al tempo stesso – "Era il soldato Grandier?".

"Non lo so come si chiama…loro lo sanno!" – l'indice puntò ai due soldati, Dante e Marcel – "Era assieme a loro in una bettola a Brest…".

Sussultò Alain Soisson, lo sguardo dei presenti falciò i due soldati che presero a torcersi le mani, restituendo occhiatacce di rimprovero ai due bellimbusti tramutati in spie, sputacchiando sinistri balbettii di disapprovazione.

Alain Soisson prese a ripercorrere i passi.

Tutto si complicava, inutile tergiversare, inutile far finta di non sapere.

Dunque i due smargiassi ammettevano di sapere chi era André, se lo rammentavano dalla sceneggiata messa in atto in quella fatiscente bettola, al porto di Brest – così almeno gli avevano raccontato Dante e Marcel – e adesso lo confermavano, sputando addosso il verdetto al Conte di Fersen, che parimenti, solo poche ore prima, lui stesso se l'era incrociato nel vicolo a Brest, assieme al damerino biondo, che poi s'era presentato al mattino al molo e quell'idiota di André l'aveva persino baciato, davanti a tutti.

Che diavolo gli era preso a Grandier di sparire così!?

Era davvero sparito per i fatti suoi…

Che fu la volta del Soldato Alain Soisson di scoprirsi, allentando la presa sul groviglio di congetture miste a diffidenza che orchestravano gesti e pensieri.

I due compari non si azzardavano a dare spiegazioni.

Toccò a lui, che poi non era il capo dei bellimbusti solo per caso, di sbrogliare la matassa e il guaio.

"Allora si…è possibile che sia André" – ammise Alain, lo sguardo scattò contro quello del conte – "Era con noi quella sera…a Brest…".

Tentò di scorgere un guizzo, una seppur minima reazione, così da carpire altro, oltre al fatto che il conte conosceva André.

Quella notte, giù, nel fondo più nero della dannata bettola, al porto di Brest, era accaduto un fatto, un incontro.

Non il semplice accordo tra un soldato e un giovane damerino che offriva compagnia e sesso.

Era accaduto altro…

Alain Soisson non aveva assistito ma gli era stato raccontato e dunque adesso occorreva unire i labili brandelli della strana storia a ciò che invece gli era sfilato sotto gli occhi al porto, il giorno successivo.

Ciò che era accaduto dopo gettava sull'incontro una luce diversa.

Avrebbe potuto chiarire o ingarbugliare ancora di più.

"Eh…ci siamo contesi un bel damerino!" – sputò il soldato Tiberius Mallarmé – "Ma tra noi e quell'altro…ha vinto quell'altro…quello che se l'è filata! Noi siamo rimasti a bocca asciutta, invece quello…chissà che hanno combinato assieme!? Che poi…a noi c'è parso di vederlo al molo il giorno della partenza – il damerino - che allora dovevan esser rimasti soddisfatti entrambi se hanno trovato il tempo di baciarsi davanti a tutti!".

Idioti…

Le parole grandinarono giù come pioggia torrenziale o lapilli sputati da un vulcano che si risveglia dopo secoli di sonno.

Come una specie d'accidente che turba la tranquillità della notte, la sonnolente mestizia d'un pomeriggio d'estate, la calma annoiata di gesti quotidianamente ripetuti.

Un'incisione del legno, una cicatrice sulla pelle…

Un corpo estraneo entro la perfezione della bellezza.

Seppur impercettibilmente, sussultò lo sguardo di Fersen, mutandosi entro la verde gradazione d'una pozza putrida e marcescente.

Alain Soisson se ne accorse.

La deduzione scorse rapida.

Il damerino non era estraneo al Conte di Fersen.

Li avevano visti camminare nel vicolo, il conte un passo avanti, il damerino un passo indietro.

E lo stupore sul volto del nobile rivelava che anche l'incontro tra André e il damerino non fosse avvenimento del tutto indifferente.

Dunque quello – il damerino s'intendeva – non era estraneo a nessuno dei due.

Non in quel momento.

Chissà da quando…

Forse da sempre.

"Dannato…" – sibilato secco tra i denti, seppur l'imprecazione rimase lì, appesa tra stizza e paura.

Fersen non replicò altro all'affondo, mantenendo lo sguardo ai due fuggiaschi.

"Scortateli alla nave. Metteteli ai ferri per tre giorni. Potranno bere e mangiare una volta sola al giorno…".

Alain Soisson tornò a guardare i due energumeni.

"Dove si è diretto?" – concluse Fersen – "Siete stati con lui?".

Negarono i due, forse risentiti della punizione, ma senza tentare neppure d'attenuarla, magari rivelando gli spostamenti dell'ultimo soldato che mancava all'appello.

"L'abbiamo perso…ognuno è andato per la sua strada…" – concluse Guglielmo Pointers senza scomporsi.

Tutto ovvio e al tempo stesso sorprendente.

"Continuate a cercare…" – gridò Fersen, tornando sui suoi passi – "Tutti! Se non lo troviamo…".

Un respiro fondo…

Si voltò…

I soldati erano già scomparsi, dispersi nella ricerca.

Alain Soisson ammise che non v'era nulla di casuale in quella storia.

Ma era tale la rabbia, per esser stato raggirato…

Che anche tacere significa prendere per il naso…

Che tutto sommato non avrebbe avuto remore ad esser proprio lui a volerlo conciare per le feste, quell'altro…

Si bloccò a un certo punto, che la strada terminava, come tutte le straducole sghembe che finivano inghiottite da pendici sempre più ardite, odorose di rosmarini, ortiche, ginepri, pini bassi…

Il sole a picco…

Si voltarono tutti e tre i soldati, rigirandosi e rigirandosi ancora, gli occhi a scorgere tra le fronde l'azzurra distesa, piatta e chiara, di vapore salmastro, brandelli d'ali, screzi di spuma, solcata di tanto in tanto da sagome scure, miseri legni spelacchiati che apparivano e poi sparivano alla vista.

"Troppo tranquilli!" – spiegò Dante – "Non pare anche a te?".

Annuì Alain.

"E quanta fretta! Che quello svedese fosse così ligio al rispetto della disciplina, non l'avrei immaginato!" - rimarcò Marcel – "Se quelli l'hanno veduta…potevano venire con noi a cercarla, dico io, la recluta triste. Alla punizione ci si poteva pensare dopo e invece…".

"Ormai li avranno già riportati a bordo…" – sentenziò Alain alla ricerca del soldato scomparso, così come di un senso alla propria stizza – "Inutile tornare indietro per domandare altro. Hanno detto di aver seguito André ma poi di averlo perso…".

"Chissà che hanno fatto? Anche se sono plebei…non avranno mandato giù la storia del damerino…".

"Ve l'ho detto…" – respirò a fondo Alain – "André è sempre stato accorto e silenzioso…".

"Uno che reca noia, direi!" – ghignò Dante, sgomitandosi col compare.

"Sì…noioso…eppure…" – che Alain Soisson si massaggiò la faccia – "Eppure siamo arrivati a questo!?".

"Idiota!" – contravvenne Marcel, fingendo di spingere Dante – "Alain non c'era e non ha visto nulla…ma tu sì! Tu c'eri quella sera a Brest! Cavolo…si stava lì lì sul punto di rischiare la rissa! Se quelli non si fossero tirati indietro!?".

"Macché tirati indietro!" – rimbrottò Dante – "C'è che André alla fine ha pensato bene di darsi da fare…noioso certo…ma insomma…ma l'hai veduto pure tu il damerino intendo! Visto come se l'è tirato dietro le spalle?! Credi sia stato un caso?!".

"No ti dico!" – abbozzò Marcel – "Il damerino ha fatto il suo gioco! Doppio direi! Quello ha alzato la posta e André s'è visto pungolare nell'orgoglio! Ma te lo sei visto bene? Ha tirato fuori un piglio che mai avrei immaginato! Altro che noioso e silenzioso…".

"Che intendi?" – chiese Dante.

"Uno come noi…non se lo sarebbe fatto ripetere due volte l'invito a spassarsela con un damerino del genere! Per di più senza versare un soldo!".

"Eh si…André è proprio stupido!".

"Invece lui prima ha rifiutato…tutto sdegnato…che l'altro era davvero bellino ma no…il soldato triste ha fatto lo schizzinoso…quasi fosse schifato d'avvicinarsi alla farfalletta…".

"Ma non capisci!" – obiettò Dante – "Forse non gli piacciono i damerini…".

"O forse gli piacciono troppo!".

"Secondo me gli idioti siete voi!" – sibilò Alain stanco di quel tira e molla – "Chi ci dice che quello fosse davvero un damerino!?".

Negò Marcel, in realtà paradossalmente ad ammettere che la tesi del compare aveva un senso.

"Ma appena si sono fatti avanti quei due idioti…André ha cambiato idea…subito!" – proseguì il soldato quasi gli scorresse la sceneggiata lì, sotto gli occhi – "Insomma…prima rifiuta e poi accetta! Non li conosceva, dunque non penso ce l'avesse su con quelli! Una ripicca? E per quale accidente di motivo!? Invece…penso davvero che l'abbia fatto per venire in aiuto al damerino. Come avesse intuito una sorta di mala partita. Se quello se ne fosse andato assieme ai due idioti…non so che sarebbe accaduto! André s'è disgustato più per questo che non per via che il damerino gli sarebbe finito addosso. Come se…".

Un respiro fondo…

I tre si guardarono, occhi sbarrati e sorriso disperso nell'acre odore di salsedine…

"Il damerino fingeva!" – sputò Marcel schifato – "Ha finto di puntare i piedi, casomai André si fosse incaponito a rifiutarlo. E André allora ha messo su quella specie di sceneggiata per portarselo via…come se…come se…insomma…per…".

"Che ti sei messo a balbettare adesso!?" – contestò Dante – "Non ti viene più da tirar fuori una parola di seguito all'altra?".

"Come se volessero far credere a tutti che non si conoscevano! E invece…".

Alain Soisson sfoderò una specie di pietoso ghigno…

"Come se non lo conoscesse!" – concluse tentando di tirare le fila di una storia che stava in piedi peggio di uno dei filari di merluzzi messi ad essiccare – "E' probabile invece che quei due si conoscano! Rammentate che André nel vicolo si era fermato un istante dopo aver visto passare il damerino assieme al conte?! Dunque non credo ci sia nulla di casuale in ciò che sta accadendo. Se davvero il Colonnello Fersen conosce André e se tutt'e due conoscono il damerino…".

"André lo conosceva!" – gridò Dante dandosi una manata sulla fronte – "Dannato! Lo conosceva già quel bel biondino!".

"Ecco perché s'è affrettato a portarselo via! Temeva che quei due…l'avrebbero conciato male! Non credo si sarebbero accontentati d'una bella scopata…insomma sono due animali in fondo! Ad un certo punto…insomma…m'è venuto un colpo…e però…insomma…ecco…" – sputò Marcel – "Pure io m ne sarei andato col damerino se avessi potuto…e mica mi sarei accontentato…".

"Sei davvero un mezzo avanzo di galera!" – contestò severo Alain – "Però credo tu abbia esposto i fatti nel modo più semplice…".

"Esemplare sì!" – gongolò Marcel, riconoscente dell'insperato complimento – "Ma questo non ci dice dove sia finito André…potrebbe essersi davvero imbarcato per tornare indietro…".

"Non lo so…non mi pare possibile…perché arrivare fino a Ponta Delgada…perché non fuggire subito con quello?"

Fuggire con quello…

Fuggire da quello…

Fuggire…

Si può fuggire da se stessi?

Se dentro, nel fondo delle viscere, l'amore è piantato come un chiodo lungo e nero che arrugginisce piano piano e corrode la carne, giorno dopo giorno…

E se giorno dopo giorno, chiodo e legno divengono materia unica, un tutt'uno l'uno con l'altro, così amore diviene carne e carne muta in amore puro…

Come fare per scavare e strapparsi di dosso la propria stessa carne arrugginita e morta!?

Paragone impietoso e ridicolo…

Non si può fuggire da se stessi.

I passi ripresero la via del ritorno, giù, verso il porto, rincorsi da riverberi di luce verdastra mescolati a olezzi di pesce e schiuma salmastra.

Non v'era traccia del passaggio di alcuno che non fossero isolani, carrettieri piegati dalla salita faticosa, volteggi di stoffe cerulee agitate dal vento, cani randagi annoiati e stanchi di rincorrere spelacchiati gatti.

Nell'odiosa calma che preme sull'agitata smania di ritrovare il filo della storia e smarrisce la rabbia e spezza l'orgoglio, i passi s'arrestarono alla visione d'un nugolo di mocciosi.

Quelli, di contro, alla vista dei soldati, indietreggiarono, aprendosi come petali di fiore, raggi di sole, piombi d'una rete gettata a mare.

I passi sparsi, seppur in direzioni precise, le une lontane dalle altre, le une opposte alle altre, entro un inevitabile ordine geometrico, condussero gli sguardi al centro, all'origine, al fulcro della dispersione, al punto da cui i marmocchi avevano preso a fuggire, gridando imprecisate sillabe spagnolesche, mischiate a strilli di paura o forse scherno.

Corsero i tre soldati, gli occhi contro la ruvida piattezza d'un muro di mattoni a vista, malta secca tra fessure di pietre nere, immobili contro gradazioni rosate e striature scure, rosse, la coscienza abbandonata lì, trafitta da raggi bianchi e fondi, labili lame a ornare il profilo nero dell'effige.

La sagoma raggomitolata, immobile, sorretta a mala pena dalla parete sbrecciata, trafitta dalla luce cangiante…

"Per la miseria…" – imprecò Marcel alla vista…

"E'…".

Lo chiamarono, nome e cognome da recluta, che però quello non si mosse.

S'avvicinarono per comprendere.

Il volto ammantato di sole, coperto di sangue, gli occhi chiusi, gonfi, le labbra rotte, lividi di sotto ai brandelli di ciò che restava della camicia bianca e dell'uniforme scura di soldato, che aveva tentato di fuggire ma non c'era riuscito.

Da lei, da se stesso, vai a saperlo…

Lo chiamarono.

Nessuna risposta.

Chi era divenuto André Grandier che pareva guardarli ma non vederli…

Ascoltarli ma non sentirli…

Chissà che s'aggrovigliava nella testa…

Forse un solo pensiero, oscuro a tutti.

Il pensiero di un sentore, l'odore di lei, impresso nella stoffa stracciata della camicia che lei aveva indossato solo per poche ore, ormai scomparso, affogato e stravolto dal sentore metallico del sangue, di sé, ch'era voluto fuggire e non c'era riuscito.

Lei, gliel'avevano strappata di dosso, annullando il suo profumo.

Lei ora stava solo nella mente, nel battito lieve che s'era unito al proprio, nel marchio impresso sulla pelle, nel pensiero d'averla avuta accanto e per un istante aver vinto la propria solitudine, guadagnando almeno un banale ricordo da portare con sé.

Dante fece un passo indietro stravolto…

Un altro passo indietro…

S'allontanò gridando che sarebbe corso a cercare altri soldati.

S'avvicinarono invece gli altri due compari, appena in tempo per sorreggere il corpo esausto e chiuso, muto, nudo, disfatto.

Alain pensò che il corpo di André Grandier si sarebbe frantumato lì, tra le sue mani, non appena l'avesse afferrato e stretto.

Così si morse il labbro e s'impose, in un moto d'inusitata pietà, d'afferrarlo sì, ma con forza gentile, intrisa di pietosa commozione, forse la sola in grado di trattenere in vita l'altro.

Cadde il corpo, disperdendo il groviglio statico delle forze, come avesse intuito finalmente di poter cadere, che ora non era più solo e qualcuno forse l'avrebbe tenuto lì, impedendogli di morire.

Marcel sorresse la testa, che quella scorse di lato, un poco abbandonata.

Seppur esposta al sole, la luce non pareva avere capacità di ferire la vista, come se essa in realtà non fosse più senso vivo dell'uomo.

"Che…" – Alain Soisson non riuscì a balbettare che poche sillabe – "…ti hanno fatto?".

S'avvicinò al viso, scorse alle mani e le vide sporche di sangue, le nocche intatte, non sfregiate, così che s'immaginò che André non aveva avuto modo di difendersi, opporsi all'aggressione.

Rammentò i volti ghignanti dei due energumeni, sudati e sghembi seppur anch'essi puliti e ben intatti.

Difficile immaginarsi tale lindore, se fossero stati proprio quelli a contrapporsi ad André.

Non si era difeso…

Non c'era riuscito…

Non aveva voluto…

"Non possiamo riportarlo a bordo in queste condizioni!" – riprese Alain.

"Che…vorresti…dire?" – Marcel guardava il compare e poi guardava André e…

"L'acqua è razionata. E se usassero quella di mare per lavare queste ferite…sarebbe terribile…oppure rischierebbe d'essere lasciato così fino alla fine del viaggio…".

"Si…" – si alzò Marcel…

Il peso del corpo piombò tutto sulle braccia di Alain…

Marcel prese a scrutare attorno.

"Acqua…una fontana… un pozzo!".

"Datti da fare!".

"Agli ordini Alain!".

Corse via Marcel, anche lui.

Lo sguardo del soldato tornò a quello della recluta, il viso immobile, lividi e sangue a oltraggiare i lineamenti.

Nel silenzio rotto dalle afose grida che piombavano alle orecchie dalla stradina…

"Coraggio!" – sussurrò Alain in un moto di pietà.

Nel silenzio…

"…".

"Che…" – si stupì Alain – "Stai dicendo…".

Un sussurro incomprensibile…

Ripetuto, ancora più incomprensibile…

Labbra gonfie…

Viso sfatto, occhi chiusi…

Un sussurro incomprensibile…

Un nome…

Poche sillabe…

"Che?" – chiese di nuovo Alain tentando di comprendere e farsi comprendere.

Un nome…

Un nome…

Un nome…

"Che stai dicendo?" – che il soldato aveva preso a spazientirsi, alle spalle si susseguivano grida a guadagnare l'esiguo spazio che ancora li divideva dagli altri soldati.

"…".

"…" – risposta muta, della stessa consistenza muta del nome, il soldato Alain Soisson rimase appeso alle sillabe disperate e confuse, declinanti un uomo, giovane o vecchio, fratello o amico, padre o amante non era dato saperlo, effige sconosciuta invocata nell'istante orribile e dunque muta preghiera o forse dannazione.

Allora…

Che la donna di André, quella che gli aveva dettato d'abbandonare la Francia, fosse tutta un'invenzione!?

Che quella donna non esistesse affatto, che lì, pestato a sangue, mezzo morto, la coscienza si fosse liberata dal dominio del pudore così d'appellare la propria salvezza solo a quel nome?

"Non sarà che…" – le labbra morse a trattenere la congettura meno ovvia ma più sorprendente.

Nessun'altra parola se non quella.

Ripetuta ancora e ancora quella parola - quel nome - che lì, il corpo vinto dall'odio di chissà chi, solo quel nome aveva pregio di tenere in vita, rammentare chi era stato.

Non ciò che era lì, ma soltanto ciò che era stato.

Era stato André, perché Oscar esisteva.

Era stato André, perché amava Oscar.

Senza di lei, senza il nome, non sarebbe stato nessuno.

Sarebbe anche potuto morire in santa pace e nessuno si sarebbe mai lagnato della sua scomparsa.

Il nome però, quel nome, e la persona ch'esso rammentava, sferzava mente e cuore.

Il nome…

Il nome…

Il nome…

"Sssh!" – Alain Soisson impose di tacere.

Marcel s'era precipitato informando che c'era un pozzo, aveva già chiesto di tirar su almeno tre secchi d'acqua.

Se lo issarono su i due soldati, l'altro, quasi fosse un sacco vuoto, fino alla fonte, gli occhi sgranati dei paesani lì a osservare la scena, il corpo trascinato e lacerato…

"Taci!" - l'esiguo avvertimento dato dal soldato moro a quello che pareva morto - "Laviamo via il sangue…poi…a bordo…proveremo a rammendare le ferite…resisti!".

Il dubbio…

Che l'altro soldato non aveva nemmeno aperto bocca, pareva non respirasse neppure.

Pareva morto…

Che senso avrebbe avuto ripulire un morto!?

Lo scroscio d'acqua ammutolì tutti, forse ancora di più di prima.

Nessuno sputò parola, il respiro trattenuto a chiedersi se il corpo si sarebbe avveduto dello scarto di temperatura, come un battesimo improvvisato capace di resuscitare cuore e respiro.

Un grido…

L'acqua gelata…

Le ferite chiuse dal sangue rappreso, punte da acuti spilli ghiacciati, brillarono d'una consistenza più chiara.

Stillava il sangue, il corpo prese a dimenarsi, la gente attorno ad agitarsi di rimbalzo al secondo grido.

Che quel Battesimo avesse resuscitato un demone anziché un uomo!?

Indietreggiarono gli sguardi, qualcuno preso dalla paura si chinò a raccogliere un sasso.

Marcel se ne accorse e guardò Alain stravolto.

In due faticavano a tenere André…

Un altro grido…

"Continua!" – ordinò e Marcel caricò un'altra secchiata.

Stavolta l'effetto fu un lungo e silenzioso sibilo…

Si sollevarono attorno le mani, le dita strette ai sassi…

"Alain! Si mette male! Questi ci hanno preso per indemoniati tutti quanti!" – balbettò Marcel in preda alla paura.

"Altra acqua…non c'è tempo!".

Alle spalle…

Il drappello di soldati frantumò la ressa di isolani, ordinando alla folla incredula di andarsene, sgranarsi, allontanarsi, fare spazio, così da consentire l'ingresso degli ufficiali.

Fersen s'avvicinò velocemente, che però il passo s'arrestò, lo sguardo aperto, muto, fisso al corpo dell'uomo con cui aveva conversato non più tardi della sera precedente.

Aveva ascoltato le parole, il giudizio su se stesso, oscuro, ripiegato entro severe leggi che non gli avevano permesso d'accettare la proposta fatta dall'ufficiale.

Nulla era trapelato sui motivi del viaggio.

I pugni stretti, Fersen si precipitò arrivando quasi in ginocchio. Sorresse il capo dell'altro, lo guardò…

"Che ti hanno fatto…André?".

In quell'istante, Alain Soisson ebbe certezza assoluta che i due si conoscevano, da quanto e perché era ancora un mistero.

Ronzava nella testa quel nome ripetuto, come un'ossessione, da André…

Un amico…

Un fratello…

Un figlio…

Un amante…

Dio…

Che importava?!

"Non permetterò che ti facciano ancora del male!" – disse piano Fersen – "Glielo devo! Lo devo a lei!".

Alain Soisson si rialzò trafitto dalla chiosa.

I due – l'ufficiale nobile e il soldato plebeo – non solo si conoscevano ma veniva fuori che avevano una conoscenza comune, qualcuno a cui forse tenevano entrambi o a cui teneva di certo il nobile, chino sull'uomo, soldato plebeo, che, ripulito alla meno peggio dal sangue, pareva avrebbe davvero esalato l'ultimo respiro.

"Signore…" – esordì Alain Soisson – "Lo riportiamo a bordo…come vedete…deve essere stato vittima di un agguato…forse gente che voleva derubarlo…o forse…".

Fersen non tolse gli occhi dal volto di André.

"Si! Lo porterete nel mio alloggio…".

"Signore…con tutto il rispetto…André…è un soldato semplice…" – a bruciapelo, senza nemmeno ragionarci su, Alain Soisson si stupì dell'interessamento del nobile e, di contro, della propria ritrosia ad ammettere da parte di quello, pura e semplice generosità.

Stavolta il volto del conte si sollevò.

Controluce, Alain non riuscì a intravedere smorfia di disprezzo, se non, chiaro e limpido, sprezzo nella voce.

"Chiunque sia stato…non posso escludere nessuno. Neppure uno di voi!".

"Ehi…" – sputò Marcel indignato – "Con il vostro permesso…signor ufficiale colonnello delle mie brache! State parlando di un nostro compagno! Perché dovremmo esser stati noi a conciarlo così!? E chi ci dice invece che non potrebbe esser stato proprio…non potreste esser stato…" - un calcio allo stinco, una manata in faccia da part dell'altro soldato – "Voi!" – smorzò Marcel, ritrovandosi la faccia di Alain piantata addosso.

"Bada a quello che dici! Le nostre sono supposizioni! A pensar male d'un nobile ci si mette un istante…lo stesso istante che c'impiegherebbe quello a metterci ai ferri se venisse a sapere che sospettiamo di lui! Ce lo faremo dire da André chi è stato…per il momento…sta zitto!".

Marcel squadrò il compare per nulla soddisfatto dell'imposta ritirata.

Plebeo umile e infingardo avrebbe anche potuto accettarlo, ma non ci teneva a passare per picchiatore.

D'un compare di ventura per giunta…

Sputò a terra Marcel…

Alain Soisson s'inginocchiò di nuovo, afferrando André per le braccia.

"Non date retta al mio amico…siamo sconvolti…e nel dubbio…".

"Io sospetto di voi!" – sibilò Fersen quasi feroce, seppur quasi rassegnato – "Direi che a questo punto converrebbe a tutti giocare a carte scoperte…".

Alain si morse il labbro. Il giudizio sui nobili, via via elaborato nel corso della giovinezza, si andava rafforzando ogni giorno che passava.

Anzi, peggiorava ogni volta che gli toccava imbattersi nella liscia protervia, nell'inevitabile boria d'un aristocratico.

Però, convenne che in quel frangente, per lo meno il conte non se l'era presa del fatto d'esser sospettato d'aver dato lui stesso l'ordine di massacrare la recluta e ridurla a quel modo.

Che poi il nobile avesse intenzione di prestare cure e aiuto, non avrebbe spostato d'un pollice il giudizio di generico disgusto verso la tronfia sollecitudine che trasudava persino dagli affettati e sobri gesti di braccia e gambe.

Infastidiva la presenza del nobile.

Infastidiva si dovesse fare quel che aveva ordinato.

S'afflosciò il corpo sul giaciglio pulito entro la cabina occupata dall'ufficiale.

I due soldati tentarono di ricomporre gli arti.

"Signore…un nostro compagno s'intende di ossa rotte…" – Alain tentò d'imbastire una strategia, ritirandosi accanto alla porticina della cabina – "Lo faccio chiamare…per vedere…insomma…".

"Non serve! Faremo chiamare un medico! Abborderemo la terza classe Bourgogne!".

L'orario della partenza era stato rispettato, si era in alto mare…

"Con il vostro permesso…" – s'impose Alain, per compassione o dispetto, vai a saperlo, che dovette mordersi il labbro un'altra volta – "Si perderebbe troppo tempo…".

Che senso aveva aiutare André, quando il nobile esibiva sulla faccia il fondato sospetto d'esser stato lui ad averlo ridotto così!?

"Sta bene allora! Fallo venire subito! Visto che sospettate di me…" – s'ammansì Fersen chinandosi su André – "Spero di dimostrarvi…anche se non ne avrei alcuna necessità e nemmeno obbligo…che André merita tutto l'aiuto possibile…".

Chissà magari quelli che avevano fatto il lavoro sporco non s'aspettavano che André sarebbe sopravvissuto e dunque, adesso, sarebbe stato meglio dimostrare compassione, non certo ostilità?!

Sì, però…

Se davvero avessero voluto chiudergli la bocca, per chissà quale oltraggio commesso, sarebbe bastata una coltellata nella pancia.

Quindi se André era lì, seppure il volto irriconoscibile, se era vivo…

Alain Soisson ammise che il nobile sapeva il fatto suo.

Anziché inscenare un'isterica rimostranza e respingere le accuse - accusando a sua volta i due soldati di lesa maestà, insulto al casato e chissà quali altre nefandezze si sarebbe inventato per farli tacere, metterli ai ferri, ai lavori forzati, a pane e acqua, a testa in giù o altra punizione, pur di dar loro una lezione e soprattutto far comprendere chi è che comandava – il bel conte Fersen aveva scoperto tutte le carte, intenzionato a non barare, forse a dimostrare invece di voler davvero cercare la verità sul pestaggio di André.

Oppure semplicemente confondere le coscienze, gettando ombre su altri, sui soldati plebei che avevano pari nomea di finir per menar le mani per un nonnulla.

Se fosse stato quel nobile a ridurlo così, allora voleva dire che la colpa di André era oltremodo grave.

Un bacio dato di sfuggita a un damerino che forse era il preferito nelle simpatie di un altro uomo nobile, non avrebbe potuto essere colpa così grave e atroce e…

Alain ordinò a Marcel di far chiamare il soldato Gustav Dumas.

Ora più che mai, ora che si doveva tentare di salvare a tutti i costi la recluta pestata a sangue - vai a sapere per mano di chi e dunque tutti quelli che non avevano colpe dovevano dimostrare di non averne per amicizia o chissà persino per rivalsa contro l'avversario…

Ora che dunque l'arte di sgranare ossa rotte, rammendare ferite, mescolata al rancore rancido verso le nobili famiglie di Parigi e di mezza o forse tutta la Francia, di cui Gustav Dumas si vantava di conoscere a memoria effigi e stendardi, ma questo nel caso in cui, così sosteneva, gli sarebbe accaduto, forse mai o forse chissà quando, di appendere uno degli esimi rappresentanti di tali famiglie a un bel cappio di corda spessa…

Ora tornava assai utile appellarsi alle dita fini d'un plebeo, a rimarcare la differenza di rango e di ideali, che con loro forse André avrebbe parlato, gliel'avrebbe detto a loro chi era stato il vigliacco…

"Dovremmo procurarci bende…e…" – proseguì Alain…

Un respiro fondo…

Inaspettatamente fu lo stesso Conte di Fersen ad alzarsi e a spiegare che sarebbe andato lui, personalmente, a procurarsi il necessario.

Pareva in buona fede il nobile…

Che Alain Soisson ebbe un solo scrupolo, salito a galla da chissà quali recondite profondità.

S'avvicinò al volto dell'altro non appena furono soli.

"André…sei nella cabina di quell'uomo…il Conte di Fersen. Non so che ti è accaduto…per quel che mi riguarda solo tu puoi saperlo. Noi non siamo stati! Te lo posso giurare! Ma la stessa cosa ti dirà quello…quindi…".

André udì la voce, tentò d'aprir gli occhi, la bocca si schiuse…

"Non parlare!" – proseguì Alain – "Non dire niente! Niente di niente! Nemmeno…".

André allungò la mano, l'altro d'istinto gliela prese e gliela strinse.

"Hai ripetuto un nome…tante volte…".

"…".

Di nuovo…

Alain s'avvicinò ancora di più: "Si…ma devi rimetterti in sesto…non parlare…non ripeterlo più. Tu sai chi è…mentre quell'uomo…quello ha detto che non può permettere che qualcuno ti faccia del male…che lo deve a leilei chi? Allora c'entra una donna? Chi è…".

"Tutto!".

Sgusciate dalla bocca, tese, morbide, poche pallide sillabe, le stesse del nome, dunque non era necessario spiegare le differenze.

Lei era tutto…

Quel nome era tutto…

"Che…".

André comprese il senso delle parole di Alain.

Dunque neppure il nome avrebbe potuto ripetere.

"Tutto…".

"Tutto!?" – chiosò Alain – "Di chi stai parlando? Di una donna? Quella a cui Fersen deve la tua salvezza!?".

Fulgido equivoco…

Infernali sillabe…

André respirò piano, Alain tentò di comprendere.

Se non era una donna allora…

Il nome…

Il nome…

Il nome…

"Ma non sarà per colpa di quello che te ne sei andato?".

Un amico…

Un fratello…

Un figlio…

Un amante…

"Ma davvero te la intendi con i maschi!? Ma non sarà che tu e quel conte vi siete incapricciati dello stesso damerino?!".

Che davvero il volto di André assunse un'espressione strana, smorfia a preludio d'una risata infernale intrappolata in gola, seppur la contrazione dei muscoli inflisse l'ennesima stilettata, tramutando il riso in tosse e la tosse in lacrime.

"Calmati…" – lo rimproverò Alain che procedeva a tentoni.

André era sempre stato persona riservata, silenziosa al limite della noia mentre ciò che era accaduto dall'ultima sera trascorsa al porto di Brest ne riportava un'immagine sorprendente, del tutto diversa dall'idea che lui e gli altri s'erano messi in testa.

Passi, alle spalle. Alain Soisson si tirò indietro, l'ultima raccomandazione -"Sta zitto! Finché non ci capiremo qualcosa…".

Si alzò il soldato…

Dalla porticina entrarono il soldato Gustav Dumas, un domestico che reggeva un catino d'acqua e le bende, e per ultimo il Conte di Fersen.

"Dann…ma che gli è accaduto?" – balbettò Gustav impietrito.

"Non c'è tempo da perdere!" – s'affrettò a incalzarlo Fersen – "Potete controllare se ha ossa rotte? E le ferite…quelle…".

"Quella mi sa tanto che gli porterà dei guai!" – esordì Dumas, l'indice al volto di André, all'occhio sinistro tumefatto – "Mentre quelle…" – il dito corse alle ferite alle braccia – "Se avete ago e filo ve le rammendo…dovete tenerlo fermo però…mica possiamo dargli un'altra botta in testa! Io rammendavo ali di pollo…non braccia!".

"Cercherò un medico…deve essercene uno!" – sputò Fersen stizzito all'obiezione del soldato.

Fece per uscire…

Alain Soisson parlò di nuovo. Troppo tempo sarebbe stato perso…

"Se permettete…Gustav Dumas…l'ho visto ricucire ferite anche peggiori…lasciatelo fare…io l'aiuterò e anche i miei compagni…".

"Voi siete soldati…" – obiettò Fersen.

"Esatto! Siamo soldati! Se ci facessimo intimorire da una simile visione, non andremmo sui campi di battaglia".

"E sia…attenderò fuori…lo lascio nelle vostre mani".

"Dunque vi fidate di noi!?" – concluse Alain, come a rinfacciare al conte la chiosa velenosa scorsa sulla responsabilità dell'aggressione.

Misera vittoria…

"No!" – secco – "Ma d'ora in avanti…se gli accadrà qualcosa…saprò chi saranno i responsabili! Per quel che invece è già accaduto…non sia mai che lascerò impunito un simile crimine! E' un soldato dell'Esercito Francese…ciò che è stato fatto a lui è come se fosse stato fatto a tutta la Francia!".

"Ah…adesso…ci si mette pure con la Francia!" – biascicò Marcel stizzito, ch'era rimasto di fuori, che dentro la stanzetta davvero non c'entrava più neppure la penna d'un gabbiano – "Un soldato è solo merce! Se accade di perderne anche uno solo…chi ci manderanno poi a combattere per il buon nome del Re!?".

"Faremo del nostro meglio!" – si risolse Alain Soisson che adesso aveva fretta, rifilando un'occhiataccia al compare, che però il riferimento alla Francia avrebbe potuto spiegare la strana chiosa udita sull'isola.

Lo devo a lei…

Forse quella non era una donna ma la Francia!?

Forse era Sua Maestà la Regina Maria Antonietta?

Ma a quale regina sarebbe mai importata la sorte di una recluta plebea?

Che idiozie!

Alain Soisson si diede dell'idiota!

Uscì Fersen.

"Prima o poi tu finirai davvero ai ferri!" – sputò Alain Soisson all'indirizzo di Marcel.

"E quello non me la racconta…a me non la si fa!" – digrignò l'altro andando ad aiutare il compare a togliere dalla recluta gli ultimi brandelli di vestiti – "Ma l'hai sentito? Hanno massacrato un uomo e quello si preoccupa del fatto che è un soldato prima ancora d'un povero Cristo! Tutti uguali questi nobili. Per loro noi siamo solo carne da cannone…".

"Te l'ho già detto…nessuno si fida di nessuno!" – lo rimproverò Alain – "Nemmeno io mi fido di quell'uomo. Ma quello ha in mano i nostri destini…come hai detto tu siamo carne da cannone! Vediamo di tenere in salvo la nostra pelle il più a lungo possibile. Se ci considerano solo soldati…beh questo lo sappiamo già e questo va a nostro vantaggio!".

"Che significa?".

"Che sappiamo già che nessuno ci considera uomini. Che siamo solo soldati e della peggior specie. Che quando saremo comandati di andare sui campi di battaglia, nessuno penserà a salvaguardare la nostra vita. Lo dovremo fare da soli! Non devi aspettarti niente da nessuno! Questo è il senso!".

"Tse…e guarda com'è ridotto il destino di questo allora! Ancora un poco e gli avremmo scavato la fossa s'una bella altura sul mare…là…a Ponta Delgada!".

Avrebbero continuato i due…

Gustav Dumas, anche se giovane, anche se di linguaggio e modi altolocati, li zittì, che le mani presero a scorrere lungo le braccia di André.

Doveva ascoltare con le dita e con le orecchie, semmai le ossa, da sotto i muscoli, avessero rivelato un percorso anomalo, una terribile verità.

Che però non fece a tempo, che André, caduto in una specie di torpore, intuì lo scorrere delle mani.

Di scatto, si riebbe, tentò di scostare da sé l'altro, afferrando le mani del compare, indietreggiando, suoni disarticolati e sghembi scorsero dalla profondità della gola, che il movimento condusse al disallineamento dei lembi delle ferite ch'erano state tamponate e dunque avevano cessato di sanguinare.

Indietreggiò davvero André, lo sguardo s'aprì e i tre uomini si ritrovarono trafitti dall'espressione stupita e vuota, macabro riflesso d'un ignobile tortura.

Alain tentò di calmarlo.

Gustav ammise che così non sarebbe riuscito a combinare nulla.

Marcel provò a prendere André, stringere i polsi.

Si rivelarono i tre, spiegandogli chi erano e che volevano solo accertarsi che gli avessero fatto.

Nell'oscura reminiscenza, per infierire ancora, s'immaginò André.

Non aprì bocca, le mani corsero al viso…

Indegno d'un uomo…

Che era accaduto…

"Fermati!" – gridò Alain – "Fermati!".

Il soldato Dante Renard udì il trambusto…

Entrò, vide lo strazio…

Si gettò sulla recluta…

Gridò quella di nuovo…

"Calmati!" – s'avvicinò all'orecchio Alain, afferrano la testa di André, stringendogliela, mentre gli altri stringevano le braccia e i piedi – "Dannazione…così le ferite si riapriranno!".

André non ascoltava, non voleva o forse non poteva…

"Oscar…" – sussurrò Alain d'istinto, avvicinandosi il più possibile – "Oscar…".

Il nome, come lampo che acceca e impone di chinare il capo e fermarsi…

Il nome, rimbalzato su un'altra bocca, come nuovo e mai sporcato…

"Oscar…" – ripeté André come in preda al delirio della febbre.

"Sì…chiunque sia…troverebbe indegno ciò che sta accadendo. Se non stai fermo…Gustav non potrà comprendere che ti hanno fatto…e questa persona…forse non la rivedrai mai più! Hai detto che è tutto per te…".

Gustav e Dante si guardarono stupiti, che loro, di tutte quelle questioni son sapevano proprio nulla.

"Lascia che fasciamo le ferite…".

Il respiro veloce parve riappacificarsi al suono della voce di Alain.

Il suono del nome…

Fece per aprir bocca André…

"Taci!" – lo prevenne Alain – "Te l'ho detto…non siamo qui per farti del male…ne riparleremo quando starai meglio. Conoscevi quel conte…".

Il respiro si fece di nuovo intenso, seppur stavolta imbrigliato tra i denti, trattenuto da sghembe smorfie di lugubre rabbia.

Gustav proseguì l'ispezione…

Che si ritrovò i polsi strattonati e stretti, di nuovo, in prossimità del costato…

"Non sembri nemmeno più André! Va bene…peggio per te…" – si risentì Gustav, arrendendosi, buttandosi indietro, sullo schienale della seggioletta dove s'era seduto – "Passatemi quelle bende e l'ago e il filo. Pare non ci siano ossa rotte ma le ferite vanno chiuse".

I compari ammisero di non sapere più chi fosse il soldato pestato a sangue.

Non era il volto sfigurato…

Non era la rabbia, che pareva accantonata chissà dove…

Il muto terrore avvolgeva la figura…

Era comprensibile…

Eppure…

Marcel passò tutto, tutto bagnato con rhum di fortuna recuperato chissà dove.

Non erano note le ragioni ma gli ordini impartiti durante l'addestramento erano stati di lavare ferite e qualunque arnese fosse stato usato per rammendare ferite, con qualsiasi intruglio alcolico a disposizione, che da qualche tempo s'era compreso che a quel modo le ferite non finivano per marcire e se si era fortunati non si rischiava di perdere né dita, né braccia, né gambe.

Uno spreco, nella testa dei tanti, una necessità nella testa di altri.

"Stavolta dobbiamo tenerti fermo per forza!" – digrignò Marcel, versandosi a sua volta un bicchierino dell'alcolica mistura, che però, dubbioso, finì per porgerlo all'altro che rassegnato lo mandò giù.

Un respiro fondo, André si zittì, forzandosi a distrarre la mente che di contro s'impuntava ad ascoltare il lento affondo dell'ago nella carne.

Prese a soffiare mentre l'arnese entrava portandosi dietro il filo e poi usciva e rientrava di nuovo.

Pochi punti, spasmo d'uno scatto istintivo per allontanare l'inusitata tortura.

I tre compari continuarono a forzare la presa, che però essa diveniva via via simile, se non addirittura sovrapposta all'infernale tortura.

Vacillava la mente colpita da brandelli di sillabe, parole inferte contro la carne, mute preghiere, scherni di sé e diabolica colpa. S'intestardivano a venire a galla, ricacciate indietro, impossibili d'accettare.

Tempo infinito…

Tre ferite richiuse e lavate con quel che restava della bottiglia di rhum.

Aria satura di alcool e sangue…

Volti stremati, stoffe imbrattate…

Vinse infine il dolore, i sensi rassegnati a tenerlo a bada, indietro, così che i dannati ricordi scivolarono via, nell'incoscienza capace di salvare dalla disperazione.

"Ha perso molto sangue…" – concluse Gustav.

"Però dobbiamo chiedergli chi è stato!" – sputò Marcel – "Non sia mai che ci tocca pure esser guardati come quelli che l'avrebbero conciato così!".

"Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all'altro…" – sussurrò Gustav – "Frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente. Gli si farà la stessa lesione che egli ha fatta all'altro!".*

"Ma che vai dicendo…" – s'impuntò Marcel che gli pareva che il compare lo stesse prendendo per i fondelli.

Gustav Dumas si alzò, un respiro fondo, immaginando la poca dimestichezza del soldato semplice con le scritture sacre.

"E'…" – lì lì per precisare ma poi convenne che non sarebbe servito a molto.

"Vorresti dire che chi gli ha fatto questo…che sarebbe una vendetta?!" – gli angoli della questione appena appena smussati dall'altro soldato.

"Nel Levitico non si parla proprio di vendetta…ma di proporzione tra torto e punizione…".

"Ah! Finiscila! André è sempre stato con noi! E' un tipo serio, noioso fin quasi alla morte…chi mai…potrebbe…" – che le parole via via inciamparono per ritrovarsi lì, specchiate nella stramba sceneggiata scorsa nella notte prima della partenza e poi al porto.

Il damerino balzò agli occhi…

Dannazione…

Non era indietreggiato…

Come se quel bacio l'anelasse, come non avesse remore a mostrare alcun pudore…

Come se il soldato l'avesse baciato chissà quante volte…

Come se si conoscessero da sempre…

"Sarebbe bene lasciarlo riposare e più tardi imporgli di bere e mangiare…" – convenne Gustav Dumas rassegnato all'errabondo dialogo solitario quando si trattava di speculare sugli insegnamenti dettati dai testi antichi – "Rammento che quando accadeva a qualche animale di ferirsi, se la bestia non serviva veniva abbattuta, altrimenti si usava così per rimetterla in forze…".

Un uomo paragonato a una bestia.

Le bestie non raccontano nulla…

Un uomo che per la Francia era buono solo come soldato.

I soldati servono a combattere battaglie, non importa se alla fine muoiono.

Non fecero in tempo, s'aprì la porta, e Fersen rientrò, come ammettendo che il tempo concesso era stato anche troppo.

Alain Soisson, che a quel punto s'era compreso essere il portavoce degli altri, tentò di forzare la situazione.

L'istinto gli diceva ch'era meglio portarselo via da lì, André. Ch'era meglio essere in tanti a tenerlo d'occhio, piuttosto che una sola persona.

Negò Fersen alla richiesta del soldato.

Alain provò a insistere.

"Ha detto chi è stato?" – chiese Fersen freddo.

"No…in realtà non siamo riusciti a chiederglielo…"

Il conte guardò l'altro: "Non ne faccio una questione di fiducia…l'avete curato…dunque dovrei presumere non venga da voi quel che gli è stato fatto…".

Marcel Duval prese ad agitarsi di nuovo, tutte quelle insinuazione gli facevano prudere le dita.

Alain Soisson invece rimase zitto, per niente intimorito, per niente convinto, tentando solo di prevenire qualche altra idiozia sputata dal compagno insofferente.

Un sorrisetto ironico si dipinse sul volto del conte, a convenire che i soldati, al contrario del nobile, non erano disposti a cedere, mantenendo alta la guardia e fondo il dubbio.

"Sta bene…" – soffiò piano, il tono per nulla convinto – "Non sappiamo chi è stato! Converrete con me che là sotto…nella stiva intendo…André sarebbe esposto al passaggio di chiunque…e se chi ha fatto questo è su questa nave…".

"Ci staremo noi con lui!" – s'impose Alain.

"Soldato…sospetti di me?!" – Fersen fece un passo contro l'altro, sguardo silenziosamente ammantato dal rancore suscitato dalla crescente calunnia – "Che potrebbe accadergli qui?".

"Va bene…" – fu costretto a cedere Alain a malincuore, che il ragionamento filava – "Comprendo la vostra preoccupazione…se permettete…verremo a visitarlo…".

"Certamente…siete i suoi compagni…siete soldati come lui. E' nota la solidarietà che lega persone dello stesso rango…".

Stavolta fu Gustav Dumas ad agitarsi, che il tono un poco saccente e presuntuoso da parte del nobile che avevano di fronte, degenerava nell'insulto.

Erano plebei mica idioti!?

Non aveva senso continuare quella diatriba.

"Sull'attenti!" – ordinò Alain Soisson che pur essendo il più giovane era pur sempre il portavoce del drappello di cui facevano parte i compagni.

Che quelli scattarono un po' controvoglia, un po' indispettiti d'aver perso quella specie di battaglia per accaparrarsi il ferito.

"Vi ringrazio!" – rispose Fersen.

Un'ultima occhiata ad André…

"Prendetevi cura di lui!" – ammise Alain uscendo – "Ho ascoltato le vostre parole…nella piazza…evidentemente voi e André avete qualcuno di molto caro che difficilmente sarebbe capace di sopportare il dolore di saperlo in queste condizioni…dunque…comprendete…né lui…né nessuno di noi è soltanto un soldato…".

Parole spese per comprendere e al tempo stesso informare.

I soldati tenevano ad André e avrebbero tenuto alta la guardia.

Fersen era avvertito…

"Avete buone orecchie soldato!" – rispose quello, un'impercettibile nota di contrarietà nella voce apprendendo che i soldati avevano fatto caso e attenzione alle sue parole – "Si…devo molto a questa persona…e devo a questa persona che ad André non accada null'altro. Ne morirebbe…ne sono sicuro!".

Parole concesse per spiegare e al tempo stesso confondere.

Anche Fersen teneva ad André e anche lui avrebbe vigilato…

I soldati erano avvertiti…

Alain Soisson uscì, le viscere colpite dalle congetture della stessa consistenza dell'impenetrabile ghiaccio.

Si pulì la mano nella camicia.

Si guardò le mani sporche di sangue.

Il sangue di André…

Dunque c'era una persona che sarebbe morta ad averlo saputo ridotto in quella condizione!?

Chi?

Una donna…

Il damerino…

Che importava?

Un tempo, anni addietro, gli era accaduto di ritrovarsi per strada, una di quelle vie un poco storte che andavano a perdersi nel groviglio di cortili e casacce, muri scrostati e finestre rotte, tra il marcio silenzioso di una città che languiva di tisi e blatte.

Ma il tempo era bello, l'aria appena lavata di pioggia, e in quella piazzetta aperta come squarcio tra casupole sghembe, levigata da morbide pozze ove si specchiavano tremanti e ingentiliti gli edifici affacciati…

Risa…

Applausi…

Fischi…

Mocciosi seduti a terra a gambe incrociate…

Comari a strattonare poveri galletti appena comprati al mercato…

Facce disgustate…

Occhi sgranati…

Un uomo – era un uomo poi – camminava buffamente su e giù sopra un improvvisato palcoscenico – che lo spazio ove si muoveva, così s'appellava.

La faccia di cipria bianca pareva morta in realtà mobilissima e guizzante di gote arrossate, labbra lucide…

Gorgheggiava parole lisce, sguainando una spada di legno, e s'avvicinava a quella che pareva una donna, la sottana ampia e variopinta…

Chissà se lo era…

Che importanza aveva?

Erano attori, saltimbanchi di comica disperazione…

Erano maschere…

Alain Soisson si massaggiò la faccia.

Erano maschere…

Nessun volto…

André…

Alain Soisson ammise che il suo volto non lo conosceva.

§§§

Tutto…

Risorse la parola sulle labbra, nel mezzo del sonno, appena sussurrata per non infangare il nome, miele sulle ferite.

Tutto…

Vagò la parola, nel limbo che avvolse la coscienza, impedendo d'annegare nella disperazione del corpo violato e frantumato.

Fortunatamente, lei non gli fece visita.

Né l'effigie risorse dai ricordi e nemmeno la sua pelle, che aveva ornato d'inusitata dolcezza le prime ore del viaggio, giunse ad affacciarsi, almeno per lenire la colpa, la vergogna, il disprezzo.

André Grandier non pronunciò più il suo nome ma ne ascoltò il suono, sussurrato dalla bocca di Fersen, mentre intuiva i gesti di quello che s'aggirava nella stanzetta, la faccia fissa al corpo martoriato, l'istinto di curarlo.

Gli cambiò la pezza sulla fronte.

Tentò di fargli bere del succo d'arancia…

Bruciava…

Tentò con l'acqua…

Bruciava anche quella…

André Grandier ascoltò le voci dei compagni, che di tanto in tanto lo raggiungevano e restavano lì a contemplare lo scempio, il silenzio, il vuoto che scavava nel corpo dimagrito e stanco una voragine sempre più ampia e fonda, capace d'inghiottire le fibre dell'essere, le consuetudini dei gesti e del timbro della voce, chi era stato, impasto di ricordi e tempra, carattere di mesta socievolezza.

Non morì André Grandier.

La corporatura giovane e sana, le cure dei compari e del conte, attutirono i colpi inferti e la discesa verso gl'Inferi.

Seppure non fu il corpo a precipitare, bensì l'anima.

In fondo era ciò che aveva sempre desiderato.

Quando non si può anelare all'Empireo, perché si è senza Battesimo, perché non si ha addosso lo stesso marchio di purezza dell'anima amata, allora si scivola giù, in basso, nella parte più fonda e nera degli Inferi, che altro non è che la parte più oscura e nera di sé, groviglio di pensieri e ricordi, dove coscienza e anima rifuggono da se stessi, dalla compassione, dall'amore, dal rispetto.

Si diviene altro da sé, anche se si resta gli stessi.

Anima altra prigioniera dello stesso corpo.

Dunque l'oltraggio aveva avuto potere di scacciare la pelle.

La colpa aveva eclissato il bacio, dato per amore, imposto a lei, ch'era pura e non l'avrebbe mai meritato.

Emendare al peccato d'aver amato…

Emendare al peccato d'aver imposto l'amore…

Che amare non significa sacrificarsi ma imporre un sacrificio all'altro.

S'immaginò, nelle ore di febbre e d'agonia, che forse non era poi così remoto che ad un'azione di scherno, un bacio rubato ai sensi d'una donna pura, fosse seguita una sorta di punizione, così da rammentare al colpevole di non azzardare ad avvicinarsi mai più.

Poco male…

Non l'avrebbe più rivista. Non dopo ciò che era accaduto.

Non dopo ciò che aveva subito.

Aveva lasciato la Francia a causa di una donna.

Il viaggio aveva riservato una dura lezione.

Lei era finalmente libera. Ora lo sarebbe stato anche lui.

Libero da lei…

Libero dal nome…

Libero dalla pelle…

Libero dal fango, dal magma di sangue e terra, di graffi e rabbia.

§§§

André Grandier aprì gli occhi nel pomeriggio inoltrato di un giorno della fine di giugno dell'anno 1778.

La Jason navigava verso le Americhe, ad appena un terzo del viaggio.

Il primo volto che vide e riconobbe fu quello del Conte Hans Axel von Fersen.

Severo e commosso al tempo stesso.

Il conte afferrò la mano, la strinse.

"Sono contento…" – annuì fermo – "Se fosse accaduto di perdere un soldato...che dico…una persona valente come te…d'ora in poi non permetterò che ti accada nulla. Questa volta la mia richiesta sarà un ordine. Non tornerai più laggiù, tra quell'accozzaglia di plebei. Resterai al mio fianco…ti nominerò mio segretario personale…non accetto un diniego!".

Le parole scorsero con la stessa consistenza d'una specie di rivolo di fango.

Poco nobile in sé ma di fatto generoso d'umidità e nutrimento per la terra arida che attraversa.

Silenzio…

André Grandier annuì col capo.

"Eh…non sia mai!" – rimarcò Fersen – "Quando anche non avessi accettato, te l'avrei imposto! Non so chi ti abbia ridotto così ma al mio fianco non accadrà più!".

Silenzio…

Accozzaglia di immagini, lembi di memoria feriti, oltraggio alla carne e all'anima…

Tutto si sgranò come sottoposto alla sollecitazione della memoria che voleva la sua verità.

Sfuggivano i contorni dei volti, il suono delle parole, il muto spasmo della gola, il respiro trattenuto e distrutto.

"Rammenti chi è stato?" – la domanda ripetuta, la stessa che gli avevano fatto i compari.

Negò André…

Non lo rammentava, forse non voleva rammentalo…

Forse…

"E sia…" – respirò a fondo Fersen, ingabbiando la rabbia, destreggiandosi tra la compassione che si deve a un uomo ferito e lo sprezzo per la ferita – "Oramai è tutto finito! Sei salvo…l'occhio…mi hanno detto che ci vedi…dunque…il peggio non è accaduto!".

"Lo debbo a voi…".

"Dannazione André…ti sei scordato che avevamo detto d'abbandonare i modi imposti dal rango!? Siamo entrambi soldati! Anzi, d'ora in avanti sarai il mio segretario personale".

"Perdonate…" – un colpo di tosse, una mano al volto – "Perdonami…".

"E sia! Ti rimetterai in senso! Non accetto obiezioni! Mademoiselle non me lo perdonerebbe mai se sapesse che non ho aiutato a dovere il suo attendente!".

Straziarono le parole, come fossero state capaci di divorare in un solo istante miglia e miglia di distesa oceanica.

Come se l'agguato fosse occorso in un vicoletto di Parigi e Fersen avesse soccorso il malcapitato servo, bene prezioso della famiglia Jarjayes, in nome dell'amicizia che lo legava alla padrona, la Contessa Oscar François de Jarjayes.

Bruciava la visione ma quello era lo stato delle cose.

"Allora…".

"No…non parlare…sei stato giorni senza mangiare e bere quasi…devi riposare. Per fortuna mancano ancora due mesi per arrivare a destinazione. Saranno indispensabili per rimetterti in senso! E appena starai meglio ti metterò al corrente del sistema di controllo del denaro che custodiamo sulla nave".

Le parole sgusciarono dalle labbra, a fatica, come quando si prende a intuire la foggia d'un ferro battuto, incandescente, che si piega inevitabilmente al lavorio incessante del fabbro, fino a che il metallo recalcitrante non assume la forma imposta dai colpi.

Il fabbro era stato abile, il ferro vinto dai colpi inferi con abilità.

"Starò al tuo servizio allora…".

"Non intendevo questo!" – si schermì Fersen, abbozzando tiepida ritrosia alla inevitabile visione del servo a disposizione del padrone, un nuovo padrone in quel caso – "Con la nomina a mio segretario…sarai libero di agire con la stessa libertà che ho io…".

"Una libertà che deriva dalla libertà di un altro uomo…" – l'obiezione sgusciò bassa ma ferma – "Non è vera libertà…".

"Ma…".

André Grandier si voltò dalla parte del conte: "Mi hai salvato in nome dell'amicizia che ti lega a lei…dunque sarà mio onere ed onore, quando le forze me lo permetteranno, mettermi al tuo servizio. Io non sono nobile…non potrei mai agire e muovermi con gli stessi modi di un nobile…ma la mia coscienza si piegherà al pensiero che ciò che faccio sarà per onorare lei e l'amicizia che vi lega…".

"André…".

"Lo farò! Metto la mia vita al tuo servizio…non ho libertà che mi appartenga…".

"Non…intendevo…" – tentò di correggersi Fersen, che però l'altro diede tre colpi di tosse e lo sforzo si riverberò sulle ferite, ch'erano in via di rimarginarsi.

Fersen si zittì, intuendo che non avrebbe avuto senso continuare la conversazione, neppure trovando poi così sorprendenti le parole dell'altro.

André era nato servo.

Un servo è tale se appartiene ad un padrone, altrimenti si ritrova senza ragion d'essere.

Dunque lui sarebbe diventato la ragion d'essere di André Grandier, come un tempo lo era stata Oscar François de Jarjayes.

Il Conte di Fersen lasciò la piccola stanza per risalire sul ponte principale.

L'aria umida sferzava il viso, onde fonde tagliavano a tratti la visuale degli altri vascelli che pure procedevano in formazione.

Il ricordo corse alle ore trascorse a Brest.

L'incontro con Oscar François de Jarjayes, la confessione della propria solitudine e poi di quella ancor più sorprendente di lei, i gesti inusuali ch'erano seguiti, il desiderio sorto dal fondo delle viscere d'investigare quella solitudine che affascinava e strideva al tempo stesso, corazza vitrea e ghiacciata che ammantava lo sguardo e la vita dell'altra.

D'improvviso, l'altra aveva preso a rifulgere d'una luce intensa e diversa, lieve e fonda al tempo stesso, una luce non comprensibile agli occhi ma palpabile allo scorrere delle dita.

Poi lei era scomparsa.

L'aveva ritrovata al porto, il giorno dopo. Era sceso in fretta e furia dalla Jason per salutarla.

Non aveva pensato a dove fosse stata quella notte.

Le parole dei due energumeni…

I due e il soldato André Grandier s'erano contesi un damerino…

Un damerino…

Oscar scambiata per un giovane uomo…

Sarebbe stato possibile.

Dunque André Grandier aveva trascorso la notte assieme a lei…

Lei pura e…

Nel risalire a bordo, Fersen s'era voltato, nell'istante l'aveva scorta, il guizzo d'intuire che anche il Soldato André Grandier era sceso.

Dapprima aveva pensato che fosse corso da lei per salutarla, visto che per un soffio non si erano riconosciuti, nel vicolo.

Ma lei era scomparsa la sera prima…

Ed il Soldato Grandier aveva trascorso la notte con un damerino…

Le mani scorsero alla balaustra del ponte principale, le dita strinsero il legno, come a compensare una sorta di rabbia crescente.

Il Conte Hans Axel von Fersen provava rabbia, per la prima volta nella sua vita, a causa di una donna che non era Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.

La regina, tutto sommato, non avrebbe mai potuto scegliere di liberarsi dai lacci che la legavano al marito, al Re di Francia, e a se stessa, in quanto devota osservante del sacro vincolo che la univa al sovrano.

Ora attendeva un figlio da lui…

Il nome di Maria scorse soffocato tra le labbra, alla visione della donna, la pelle chiara e bianca, le gote appena rosate di trucco e vergogna, le dita un poco piene, bianche anch'esse, nervosamente tenute a bada dall'etichetta, mentre gli si avvicinava, nei rari momenti in cui le solitudini di entrambi avevano pace, incontrandosi per scambiarsi un battito di cuore oppure un solo sguardo.

Ad esso seguì un altro nome, quello di Oscar François de Jarjayes, creatura a metà strada tra una divinità dell'Olimpo, eterea e irraggiungibile e una donna reale, intensa e vera, colma di sprezzante solitudine.

Spogliare l'altra del peplo e della veste di seta…

Ascoltare il cuore accelerare il battito…

Svelarne il rossore, scuotere la pelle tra le dita e suggellare lo spasmo del sesso attraverso un bacio.

Il Conte Hans Axel von Fersen si stupì del proprio stesso pensiero, irriverente certo, seppur assolutamente umano.

Quando l'avesse incontrata di nuovo…

Così sarebbe accaduto.

Cogliere la purezza e marchiarla, imponendo al cuore e alla coscienza la propria pelle e la propria coscienza.

L'unico dubbio…

Era già accaduto?

*Levitico – Antico Testamento

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