"Il nemico è l'amore. Sì.
I poeti fraintendono l'amore continuamente e qualche volta in buona fede.
L'amore è il più antico degli assassini. L'amore non è cieco.
L'amore è un cannibale con la vista estremamente acuta.
L'amore è un insetto che ha sempre fame".
"Che cosa mangia?" domandai senza pensare.
"L'amicizia", mi rispose George Lebay
Christine
Stephen King
Do tu des
Il nome…
Il nome…
Il nome…
Lei era tutto…
Il nome…
Fulgido equivoco…
Infernali sillabe…
Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all'altro. Frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente. Gli si farà la stessa lesione che egli ha fatta all'altro.
Lo devo a lei…
Le mani al viso…
L'attesa, al buio…
Odore di terra ammuffita, sabbia marcia, salsedine strappata al mare dal vento, calata addosso come manto di spine…
Gli era accaduto di recuperare, brandello dopo brandello, il senso delle cose, i gesti inflitti per infliggere.
La memoria non era stata sconfitta, non del tutto, e nella voragine, gli era parso che proprio quelli che avevano inflitto il torto peggiore gli avessero dato – inconsapevolmente o meno – la ragione per sopravvivere e continuare a orientare i passi.
Difficile sopravvivere quando i passi non hanno direzione, laddove i passi ne hanno sempre avuta una, imposta o scelta, casuale o ragionata.
I passi riportavano a lei.
Anche se non l'avesse rivista mai più, i passi conducevano lì, nella coltre salmastra dell'ultima ora, dell'ultima notte, dell'ultimo giorno, tassello inciso sulla pelle, cicatrice d'una ferita immaginaria, capace di pulsare al mutare del giorno in notte e della notte in alba.
L'attesa…
Attese ancora, nel buio del giaciglio comodo ma freddo, conosciuto ma ignoto.
Attese se stesso e quella memoria che avrebbe voluto relegare nell'immonda ingiustizia, lì era rimasto inchiodato e fino a quando non l'avesse ammessa, non l'avrebbe mai cancellata.
Dare un senso ai gesti…
Aveva senso cercare il senso ad ogni costo!?
Il corpo immobile…
Sentore di sabbia e foglie marce e risate asciutte…
Ghigni bastardi a lambire la pelle, percuotere i sensi…
Frusciare di vesti e cinture…
Il corpo libero e nudo, immobile, attinto da gesti secchi…
Ordini sputati addosso…
Impossibile adeguarsi e seguirli…
Il rifiuto...
La corda s'era stretta, non era quasi più riuscito a respirare.
Il sangue rappreso, impresso sul viso, aveva bruciato l'esigua vista.
E la gola inondata di rabbia, s'era chiusa, impossibile emettere alcun suono…
Nel buio…
Incedere di mani rozze a imporre un consenso…
Il nome…
Il nome…
Il nome…
Lei era tutto…
Il nome…
Fulgido equivoco…
Infernali sillabe…
Nel buio…
Un altro rifiuto, anche se l'aria non entrava…
Nel buio…
L'odore della morte, addosso, ficcato nella coscienza che rifiuta d'adegua ma poi comprende che il rifiuto equivale alla morte.
Non solo la propria…
Il nome…
Il nome…
Il nome…
Inusitato desiderio d'averla addosso, rivederla, almeno una volta…
Barlume accecante dettato dalla sua pelle, dai seni piccoli, puntati addosso, accarezzati piano…
Gemito lieve respirato lì, nell'incavo, tra collo e spalla…
Pensieri erranti, ultimo baluardo alla pazzia…
Nel buio…
L'odore della morte infiltrato in ogni pertugio della carne e della coscienza…
Il corpo immobile…
La risata smargiassa…
L'odore della morte.
Se anche avesse voluto…
Non poteva morire.
Non poteva morire più.
Nel buio…
Il corpo cedette.
Cadde seppur aggrappato al rozzo giaciglio, che si riebbe, per rifuggire dallo strazio e rifugiarsi nel groviglio dei sensi vigili.
Lo sguardo sbarrato al soffitto di travi intrecciate, basso, nodoso, unto di respiri e preghiere.
Pregò piano, in silenzio, il nome sigillato nelle labbra.
La consapevolezza d'essere vivo s'impose, come macigno al collo, che ci sarebbe affogato assieme e al tempo stesso sarebbe stato utile appiglio per non cadere e restare indenni, aggrappati ad esso, così da non rovinare giù.
Rivedeva se stesso, ora immobile, ora teso, ondeggiante, il corpo sconfitto e distrutto, eppure non domato.
Avrebbe voluto lasciarsi andare, uscire fuori, sul ponte, distogliere lo sguardo dal legno scricchiolante in balia delle onde e tuffarsi e scomparire.
Le parole incombevano…
Il volto dell'altra anche…
La trasfigurazione s'aggrovigliava ma lui ormai aveva scelto di vivere, chinando il capo, accettando la superiorità degli eventi, imponendosi di esistere nonostante tutto, per non farle il torto di morire.
Nel fondo del cuore residuava la sola e flebile speranza dettata d'averla veduta a Brest, d'averla ascoltata addosso, nel sonno antico, come se lei, da quando si erano divisi, da quando lui l'aveva lasciata, non fosse più stata capace di dormire e soltanto lì, accanto a lui, ci fosse alla fine riuscita.
Sottile s'insinuò la chiosa…
Per non darle la soddisfazione di morire…
Vacillava l'abnegazione ma s'imponeva più forte conoscere la verità.
Non avrebbe accettato alcun limite e sarebbe tornato servo non più di Oscar François de Jarjayes ma di quelli che la conoscevano e anche di quelli che avevano solo immaginato di conoscerla.
§§§
"Che ti prende?" – Marcel si parò davanti alla recluta, ormai divenuta compagno di sventura e, conseguentemente, compagno e basta.
Il silenzio ch'era seguito alla richiesta di tornare ad occupare il posto che gli competeva tra le fila degli sventurati soldati arruolati per andare a combattere in America aveva un poco urtato la suscettibilità dei compari.
André Grandier era stato zitto.
A essere sinceri, André Grandier, che proprio loquace non lo era mai stato, s'era fatto ancora più silenzioso.
I compari, dopo averlo tenuto tra le braccia, quel dannato giorno in cui l'aveva ritrovato, quasi morto, su per la stradina stretta di Ponta Delgada e poi averlo tenuto d'occhio, nella cabina riservata del Colonnello Hans Axel di Fersen, che pure s'era comportato egregiamente, prendendosi cura dell'altro, avevano atteso di accoglierlo tra loro.
Di fatto era stato ammesso nella loro scalcinata cerchia di sventurati, appellati carne da cannone, ma pur sempre uomini.
Si sarebbero aspettati una sorta di riconoscenza, che poi avrebbero dovuto carpire dalla recluta triste i particolari di quel ch'era accaduto.
Com'era stato che André Grandier fosse finito conciato a quella maniera, quasi morto, che avrebbe pure rischiato di passare per disertore.
Chi era stato, se gli fosse accaduto di riconoscere qualcuno…
C'era che i soldati sapevano bene che quelli che si avventuravano su per le straducole strette e puzzolenti d'una qualsiasi cittadina di mare, d'un qualsiasi paese si fosse stati, avrebbero rischiato di non uscirne vivi.
Ma Andrè Grandier era vivo.
O era stato capace di difendersi oppure chi l'aveva pestato aveva in mente altro.
Mantenergli salva la vita…
"Da questo momento…" – abbozzò laconico la recluta André Grandier – "Sono al servizio del Colonnello Fersen…".
"Saresti - al servizio - di chi?!" – sibilò Marcel, d'improvviso ritrovandosi le dita prudere.
Loro, soldati francesi, avevano accettato la recluta triste come compare e quello si permetteva di sputarci sopra?!
"Sei uno smidollato!" – sputò Dante, mentre Alain Soisson si manteneva silenzioso, al pari di quello che, a quel punto, tornava ad essere avversario e non più alleato.
"Quell'uomo…mi ha salvato la vita…" – spiegò André severo, senza convinzione, senza scendere nei particolari dello scambio e soprattutto nei motivi che l'avevano indotto ad accettare la proposta del conte.
"Anche noi s'è per questo!" – saltarono su Dante e Marcel in coro – "Solo che noi non abbiamo una cabina tutta nostra…e non abbiamo pane bianco da mangiare…".
"Non lo faccio per questo! Non mi conoscete…".
Lo scambio era a singhiozzo.
I due soldati avrebbero voluto prender l'altro per il collo e cavargli fuori spiegazioni e scuse, profondissime.
Il soldato, di contro, non aveva alcuna intenzione di elaborare discorsi che avessero previsto una sola sillaba in più di giustificazione.
La navigazione era un poco rallentata negli ultimi giorni. Il vento era calato e i vascelli procedevano pochi nodi all'ora.
La lentezza innervosiva perché il viaggio non era che a metà.
Il mare calmo piombava addosso assieme all'umidità che appiccicava la stoffa alla pelle, intorbidiva i pensieri e anneriva le congetture.
"Senti…a quello non gli devi niente! T'ha salvato perché altrimenti avrebbe rischiato lui di perdere un soldato! Tu sei un soldato e quello ci deve portare tutti e tutti interi in America. Se ne perde uno…".
"No…" – sibilò André indietreggiando, che la luce del sole feriva un poco la vista, così come pareva infastidire la presenza dei compagni – "Non è per questo. Comunque…non debbo spiegazioni a nessuno…".
"Pezzo di…" – Marcel s'avventò contro André che indietreggiò ancora...
Il soldato tentò d'afferrare l'altro per la camicia…
André indietreggiò, scostandosi di lato, afferrando a sua volta il polso di Marcel, stringendolo così da immobilizzarlo e poi condurlo, con poca forza, lontano da sé.
Marcel imprecò, tentò di liberarsi e contrattaccare, rivoltandosi contro André.
"Finiscila!" – gridò secco Alain Soisson – "Sono fatti suoi come vuole vivere e chi vuole servire!".
"Alain…" – gli replicò Marcel – "Quel che non mi va giù è che questo poteva anche esser morto se non fosse stato per noi. Nemmeno ricorda chi è stato a conciarlo a quel modo…forse è per questo allora che ha accettato di finire nella cabinuccia del bel conte! Non si fida di noi e magari pensa che siamo stati noi che gliel'abbiamo fatta pagare…oppur che non siamo stati abbastanza abili da difenderlo!".
André era indietreggiato ancora…
Marcel non era riuscito ad appioppargli neppure un tocco di sbieco.
Alain Soisson scese dal barile dov'era seduto. - "Non lo ricorda…oppure ha paura di ricordare!".
S'avvicinò di pochi passi ai due contendenti.
"Evidentemente ha fatto meglio i suoi calcoli e avrà pensato che gli conviene adattarsi a servire un ufficiale piuttosto che far la fame con i suoi compari. Non siamo stati noi a fargli la pelle…questo gli dovrebbe bastare. Ma non ci deve niente e da questo momento nemmeno noi gli dobbiamo niente!".
André ascoltò, muto, distante abbastanza da osservare i tre che ora lo guardavano di sbieco.
"Però…sono davvero curioso questa volta…" – abbozzò Alain.
Silenzio…
"Dimmi un po'…sei abile…sei riuscito a scansare Marcel con la forza di una mano…come mai… a Ponta Delgada…che è accaduto…".
Alain voleva sapere.
Gli aggressori erano uno, due…
Erano i dannati bifolchi che avevano incrociato sulla salita o chi altro…
Una smorfia…
André rimase zitto.
Implacabile, il ricordo tagliava i sensi, le immagini erano graffi nella mente, le cicatrici erano lì, mute testimoni dei gesti e di quel che a poco a poco risaliva a galla dalla memoria straziata.
Il cuore prese battere mentre le sillabe rimbombavano nella testa…
Dio…
Se davvero fosse accaduto…
"Non mi ero accorto d'essere seguito…" – abbozzò sprezzante di sé, quanto bastava per non concedere agli altri d'immaginarsi la minima compassione – "I miei riflessi sono stati lenti. Come vedi non sarei poi un granché come soldato…".
"Già! Allora facci il favore di restare lontano da noi! Pivello!" - Marcel sputò a terra, inviperito dall'ennesimo tradimento – "Che se in battaglia t'avessi accanto non vorrei rischiare i tuoi riflessi lenti e rimetterci la mia pellaccia!".
"A quello piacciono gli uomini!" – blaterò tra sé e sé arretrando a grandi passi – "Si vede che quel conte la sa lunga e oltre al damerino biondo…adesso vorrà farsi anche quello moro!".
La frase riecheggiò spietata.
L'appiglio invisibile offerto quasi intenzionalmente…
Meglio coglierlo al volo!
André Grandier aveva già volto le spalle ai compagni, si girò di nuovo.
Pochi passi e fu accanto a Marcel, il bavero della camicia stretto con forza.
Parole provocatorie…
Tutto sommato non gl'importava nulla d'essere provocato.
Damerino biondo o moro…
Appellativi senza senso…
Non sentiva nulla, nessun rimorso per ciò ch'era accaduto, nessuna rabbia per ciò che non era riuscito ad allontanare da sé.
Solo…
Lì, in mezzo ad un oceano d'acqua e disillusione, lì, il suo nome, il nome di lei, seppur declinato nel rozzo appellativo, seppur avvicinato al pensiero di ciò che poteva essere accaduto tra lei e Fersen…
No…
Era ciò che lei provava per Fersen a suscitare rabbia…
E dunque, ovunque lui fosse finito, l'Inferno piuttosto che il Nulla, lei sarebbe stata sempre lì, lei e il suo amore per il conte, lei, dolce spina ficcata a fondo nella carne.
Le parole uscirono masticate e misurate.
Uscirono ugualmente…
"Non t'azzardare più a nominare…" – balbettò André – "Nessuno dei due!".
Intuì le lacrime chiudere la gola – "Nessuno!".
"Sennò che mi fai?" – contestò Marcel in segno di sfida, attaccandosi al bavero dell'altro.
Non attese altro Andrè Grandier…
Tirò, come a farsi cadere addosso l'altro, il piede contro il piede e Marcel inciampò nei suoi stessi piedi e cadde a terra, sbilanciato dalla spinta lieve.
"Porca puttana!" – gridò Dante, tentando di raggiungere il compare.
Indietreggiò André, gli fu addosso l'altro, così come Marcel che s'era rialzato…
"Finitela!" – intervenne Alain Soisson – "Basta! Oppure ci spediranno a far compagnia ai due idioti sotto il ponte di coperta!".
Sputò anche lui…
"Da questo momento…vedi di starci alla larga!" – contro André – "Sei libero di fare quel che vuoi ma lontano da noi! Non staremo più a farti la guardia e se per caso ci accorgeremo che qualcuno sta pensando di farti la pelle…beh…sappi che staremo a guardare finché non avrà terminato! Chi sta al servizio dei nobili…".
"Liberi di fare ciò che credete…" – fu l'altro a sputare a terra, pulendosi la bocca con la mano, negli occhi il guizzo d'una stilettata, che forse, nello sghembo scambio di gesti, una qualche ferita doveva essersi riaperta.
Si prese il fianco André Grandier, un passo indietro, scomparve tra il groviglio ordinato di sartie e velame raggrumato a terra.
"Che se lo porti via il Diavolo!" – grugnì Dante.
Marcel si ripulì la camicia impolverata…
Tentarono di scorgere André, più che altro per riservare un'ultima occhiata di sprezzo.
"Spero che quando usciranno quelli là sotto…" – digrignò Marcel – "Voglio proprio vedere che accadrà!?".
"Forse è già accaduto!" – sibilò Alain tornando a sedersi sulla botte.
"Senti, adesso mi hai stancato!" – replicò Marcel inviperito – "Sempre con le tue mezze parole lasciate a metà! Se non mi dici che accade o quel che pensi sta accadendo…giuro che prendo a calci anche te! Io sono più vecchio…dannazione…e da quel che rammento una bella lezione non te l'ha mai data nessuno! Forse è ora di cominciare!".
Alain sfidò il compare ricambiando l'occhiataccia.
"Se debbo spiegarti tutto io…è perché tu non arrivi a comprendere proprio niente! Sei stupido! Altrimenti non sarei io quello che vi copre sempre le spalle!".
"Finiscila e parla!" – gridò Marcel, prendendo Alain per il collo della camicia.
Si guardarono i due…
Dante prese a sudare freddo. Ci mancava solo che quei due si mettessero a litigare tra loro per colpa della recluta triste.
"André avrebbe potuto atterrarti in un istante! Non te ne sei nemmeno reso conto!" – prese a spiegare Alain – "Significa che non è poi così idiota o smidollato come vuol far credere!".
"Qui mi sa che tutti vogliono far credere d'essere altro!".
"Ecco, bravo! Vedi che arrivi a comprendere adesso? Ti sembra possibile che uno come André…se la intenda con uno come quel conte…Fersen!?".
"No! Nemmeno per un istante! E tu mica avrai creduto che l'abbia detto perché ci credo!?".
"Eh…Marcel…allora anche tu ogni tanto metti a frutto le tue congetture…tutto riporta a quel tizio…chiunque esso sia…" – sputò Alain, spingendo via l'altro – "Se…è un tizio!".
"Dunque quello non sarebbe…".
"Se quello fosse una donna…se quello davvero fosse una donna…".
Una donna…
Muto richiamo, il corpo sensuale corse ad accarezzarlo…
Pelle contro pelle…
Un istante solo, unico e sfolgorante battito della stessa durata d'un respiro senz'aria…
Il sudore corse giù, dalla tempia al collo, mentre il brivido attraversò il corpo abbandonato, disteso sul pagliericcio che l'aveva accolto, di nuovo, distrutto, spezzato dall'immobilità degli arti, ancora piegati dal dolore, le suture rozze capaci d'infliggere fondi spasmi, non appena avesse mosso un passo.
Ferite evidenti, tagli della carne visibili e rossi, cicatrici ancora fragili, tanto quanto fondo era il buco nell'anima.
Il tremito costrinse a portare le mani al viso, nascondere ciò che nessuno avrebbe dovuto vedere.
La porta s'aprì, André si alzò rapidamente, sedendosi sul giaciglio.
"Sei sveglio? Come ti senti?" – domandò Fersen entrando.
"Meglio…".
"Bene…dunque…debbo…debbo conferire con gli ufficiali a bordo della Duc de Bourgogne…".
Stupì un poco l'insolita affermazione.
André rimase zitto. Era stato servo e in quanto tale sapeva che non era dato chiedere ragione delle scelte del padrone.
Tossicchiò Fersen…
"Se non te la senti…".
"No…resto io. Vorrà dire che questa sera farò il mio primo conteggio…così comprenderò come funziona…".
"Sei sicuro?"
Annuì André Grandier, che dopo un poco comprese.
La Jason era uno dei vascelli principali, capofila delle altre imbarcazioni.
Vi alloggiavano svariate personalità, così come sulla Duc du Bourgogne.
S'era deciso però d'imbarcare solo sulla seconda servitù adeguata a prendersi cura delle personalità al comando.
Camerieri, maggiordomi…
E forse anche…
Una donna…
Muto richiamo, il corpo sensuale corse ad accarezzarlo…
Pelle contro pelle…
Un istante solo, unico e sfolgorante battito della stessa durata d'un respiro senz'aria…
André Grandier uscì per il tempo necessario ad assistere all'avvicinamento dei due vascelli.
Le corde dell'arrembaggio serpeggiarono sicure attraverso l'aria umida, animali guizzanti e famelici avvinghiati ai velieri, così da consentire la posa delle passerelle.
Il mare era agitato, si doveva fare attenzione affinché i due legni non finissero per cozzare tra loro e colare a picco, per via delle ambasciate che gli ufficiali si erano prefissate durante la lunga navigazione.
La vista era tornata un poco più chiara, seppure l'occhio sinistro era ancora mezzo chiuso e gonfio, infastidito dall'umidità e dalla salsedine aspra che correva a posarsi sulla palpebra e sulla pelle, ad ogni folata, imponendo spasmi sottili alle ferite corrose dal sale che poi s'asciugava impietoso tra i punti ancora freschi.
Vide Fersen camminare deciso e solcare il confine che divideva i due velieri e salire a bordo della Duc de Bourgogne.
In quell'istante, in quel trasbordo che decretava una momentanea uscita di scena, André fu colto dal balzo della mente, risucchiato dallo spasmo della memoria.
Si domandò allora in quale tempo quell'uomo avesse preso e rapito la coscienza di lei e parimenti in quale istante avesse iniziato a insinuarsi sulla pelle, forse prima che nel cuore.
E poi quale gesto avesse compiuto, quale parola avesse pronunciato, oppure, quale silenzio dell'altro l'avesse indotta a indugiare su di lui e finalmente ad accorgersi del battito estraneo, diverso, intenso e fondo, che precede lo sguardo del cuore.
Si domandò allora se e quali silenzi, gesti, respiri, pensieri avesse avuto, invece, di lui, André Grandier.
Se la immaginò, allora, pensare al conte.
Se la immaginò parimenti, pensare a sé, André Grandier.
Si chiese se lei si sarebbe mai soffermata, nei giorni seguiti alla separazione, al pensiero del conte e se il conte fosse stato immaginato uomo puro e fiero.
Si chiese se sarebbe accaduto anche per lui, oppure lui invece si sarebbe rivelato semplice spazio vuoto, tempo non vissuto.
Forse mai vissuto.
Si ritrovò diviso da lei e al tempo stesso ingranaggio oscuro che muoveva l'insana pesatura delle anime, la sua e quella del conte, entro l'oscura coscienza della donna amata.
Che però lei era giunta fino a Brest.
Aveva veduto Fersen…
E allora lei davvero aveva cambiato il destino.
Quell'uomo…
Fersen le avrebbe spezzato il cuore…
Non poteva permetterlo.
Dio…
Di nuovo si ritrovò abbracciato alla fulgida e gelida esistenza dell'altra.
Amarla attraverso un altro uomo, proteggere quell'amore che sarebbe andato in frantumi, quando lei avesse inteso di essere solo una donna tra le tante, forse più bella, forse più sensuale, ma mai l'unica, la sola…
André Grandier convenne che lei lo avrebbe disprezzato, pensandosi difesa e protetta, quando lei non glielo aveva mai chiesto, quando nemmeno lei stessa conosceva ogni piega del proprio animo mentre lui pretendeva di conoscerla meglio di lei stessa.
Idiota e presuntuoso!
Ciò ch'era sempre stato…
Immaginarsi che lei ambisse a essere unica donna…
Immaginarsi così di proteggere un pensiero che nemmeno sapeva se fosse dell'altra.
Ma era l'unica sua certezza – di poco conto – unica zattera malconcia e tarlata, capace di tenerlo a galla.
La canicola del giorno aggredì i sensi.
Da una parte gli sguardi sprezzanti dei compagni che assistevano parimenti al trasbordo degli ufficiali, invidiosi, che a loro sarebbero toccate solo altre ore vuote, spasmi silenziosi della carne, indotti da pensieri erranti e sguardi languidi, solo immaginati come pungolo che strazia la coscienza.
Scorse Alain Soisson.
Anche l'altro lo guardava, nessuna espressione particolare sul volto, né di sprezzo, né di compassione.
Ecco cosa cercava davvero André Grandier.
Né disprezzo, né compassione.
Ci fosse riuscito con lei, avrebbe raggiunto il suo scopo.
Che suscitare disprezzo in una donna sarebbe stato abbastanza facile.
Così come suscitare compassione.
Ma ritrovarsi negati entrambi, in egual misura, dunque respinti e rifiutati dai pensieri erranti d'una donna…
Non una donna qualunque…
Lei…
Essere respinti o rifiutati, sarebbe equivalso ad esistere.
Esistere…
Lei…
Dopo lunghe giornate dolorose, in preda a spasmi di rabbia e fitte lancinanti, quando lei era stata sapientemente tenuta lontano dalla coscienza e dalle viscere…
Dopo la furia dei gesti imposti alla carne, quando coscienza e ragionamento erano tornati a riprendere il controllo dei pensieri…
Tornò, Oscar François de Jarjayes.
Prepotente e fredda, immaginata e lieve, sicura e cinica com'era sempre stata.
Un passo avanti a sé, anzi, mezzo passo, e lui lì, a osservarne le spalle, a immaginare il piglio severo, gli occhi veloci a cogliere lo spazio avanti a sé, ad annusare la solida fierezza e la vitrea distanza del suo silenzio.
Che André Grandier - un cenno alla guardia che stazionava sul profilo scuro della porticina ove era racchiuso il peso aureo della spedizione - entrò e si chiuse la porta alle spalle.
Per restare solo…
Solo con lei…
Al riparo dal vento, dall'azzurro del mare, dalla salsedine, da tutto ciò ch'era movimento, groviglio, incomprensione, volo dell'anima…
Solo con lei, lontano da tutto ciò che non era mai stato e non sarebbe stato più.
Tre candele accese, si sedette sullo sgabello e prese a sciogliere i lacci del primo sacco che conteneva trenta pezzi, luigi d'oro, e poi un altro da venti pezzi, doppi luigi d'oro.
Il contatto freddo con il metallo indusse rabbia.
Un respiro fondo…
Maneggiare monete era ben estraneo esercizio a tener imbrigliato un amore impossibile.
Maneggiare monete, fredde e lucide, allora, per dimenticare la pelle lieve e calda della curva della spalla, l'impercettibile scorrere del sangue sotto il muscolo piatto e morbido del collo.
Estrasse dalla cassetta che stazionava nell'armadio imbullonato alla parete un piccola pesa che sarebbe servita a controllare il calibro di ciascuna moneta.
Ad una ad una le avrebbe esaminate, registrandone il peso s'un apposito quaderno.
Un'operazione che avrebbe occupato molte ore e necessaria perché una volta giunti a destinazione, il carico sarebbe stato suddiviso e destinato alle guarnigioni di terra, così come alle flotte impegnate a combattere sulle coste delle colonie più a sud.
Sarebbe bastato contare le monete ma no, solo contarle non sarebbe stato sufficiente.
Tutto pur di compensare lo spasmo della noia…
L'oro balenò calore…
L'inchiostro della penna d'oca stillò acida consistenza sul ruvido foglio bianco…
L'oro…
L'oro…
L'oro…
La mano tremò percorsa dall'insidioso brandello di sudicia violenza, riaffacciato prepotente alla memoria…
Luigi, poveretto, sgusciò dalla presa delle dita, come indispettito dell'inesperienza del servo a maneggiare ricchezze, piroettò due volte, rimbalzando tre volte, fuggendo via, tintinnando allegramente come una sorta di segno del destino.
Il buon Re di Francia non era un guerriero, non lo era mai stato, e ritrovarsi la propria effige a mo' di merce di scambio d'una guerra forse lo indisponeva e l'induceva a giocare a nascondino!
L'occhio ancora un poco gonfio perse di vista il cerchio metallico.
La mente tornò alle balbettanti scuse dell'allora Delfino rifugiato, nascosto, entro la coltre fumante della stanza del maniscalco, ove c'era fuoco a sufficienza per lavorare il metallo mentre il silenzio ea rotto solo dalle martellanti incisioni contro l'incudine.
Un tocco alla porta…
André sussultò, un istante sovrappensiero.
Si alzò per andare ad aprire.
La guardia annunciava una visita che però, là sotto, non erano ammessi visitatori.
Annuì André Grandier, chiedendo solo qualche istante per sistemare la stanza.
Bilancia e sacchetti vennero riposti nelle rispettive casse richiuse e occultate sotto spesso telame.
Luigi rimase dov'era, nascosto chissà dove, rotolato via a prendersi gioco della bruttezza della guerra.
Il visitatore mise la faccia dentro la stanza.
Un po' sorpreso André Grandier si ritrovò davanti la figura del Soldato Alain Soisson.
"Ma lo sanno che sei sceso qua sotto per vedere me!?" – avanzò André, nota di cinico compatimento nella voce, tanto per far comprendere che la contrapposizione di vedute tra il soldato ed i compari non era passata inosservata – "E che dunque...secondo quel che vi fa tanto rabbia...te la intendi con me?!".
"Che lo sappiano o meno…" – Alain Soisson rimase interdetto che non lo rammentava l'altro così spavaldo e corrotto – "Non m'interessa! Faccio quel che m'aggrada! Non devo renderne conto a nessuno!".
Un respiro fondo…
André si rimise a sedere nel punto più in ombra della cabina, quello a mala pena raggiunto dal flebile chiarore dell'unico moccolo che aveva deciso di lasciare acceso.
Ondeggiò la luce al passaggio lieve dei corpi, che anche l'altro soldato si sedette.
Alain Soisson non era mai stato di molte parole. Ne aveva sempre dispensate poche, sufficientemente taglienti al solo scopo d'apparire utili.
Non gli erano mai piaciuti dunque quelli che le parole le sprecavano…
L'altro neppure era stato loquace o prodigo di ciance e spiegazioni.
Dunque l'attrazione reciproca era stata immediata, seppur al netto delle opposte vedute sul senso della propria esistenza, sul pregio di servire i nobili, piuttosto che la Francia, finanche la propria pancia.
Non perse tempo Alain Soisson…
"Hai davvero intenzione di fare da tirapiedi a quell'uomo? Credevo ti fossi arruolato per andare a combattere?!".
Silenzio…
"Lo sto facendo…per dirsi combattenti non è necessario avere di fronte a sé un plotone di soldati con baionette spianate o imbracciare un fucile...".
"Stai combattendo? E contro chi…o cosa? Quell'uomo ha già al suo servizio un discreto numero di servi…un altro lacchè non credo gli sia necessario! Dunque…già ti saresti pentito d'esserti imbarcato? Già t'è salito lo schifo per la vita che conduciamo noi soldati plebei!?".
"Definirmi lacchè solo perché ho deciso di mettere il mio intelletto al servizio di un conte...non mi pare appropriato. Non mi aggrada d'esser definito tale!" – puntualizzò André – "E comunque non sono affari tuoi!".
A bruciapelo, che la prima via era sbarrata…
"Chi è Oscar?" – domandò Alain sporgendosi, perché, dannazione, l'altro pareva averlo fatto di proposito a ficcarsi nell'angolo più scuro della cabina e a una domanda simile non sarebbe bastato attendere la risposta. Ci voleva di cavar fuori anche l'espressione…
E André si fece ancora più indietro allora, come fosse stato morso da una serpe…
"Che t'importa?" – altrettanto secco, che però André convenne d'essere caduto in trappola.
Mai contestare di voler ficcare il naso in ciò che non riguarda l'interlocutore, perché così, si finisce per dare importanza a quello in cui si ficca il naso!
"E' ciò che t'accomuna a quell'uomo vero!? Te lo sei fatto…quel tizio…e se l'è fatto anche lui!? E poi è stata la volta del damerino a Brest?! E adesso per la miseria...voglio sapere che c'entra con voi?".
"Bada a come parli…non tollero queste insinuazioni!".
"E non mi frega niente di quel che tolleri o no! Ammetterai che quel che è accaduto a Brest la dice lunga sui tuoi gusti! E siccome quell'uomo pare averli simili ai tuoi…insomma…non mi frega un accidente sapere che faccia ha questo Oscar, né se sia bravo a scopare o meno…m'interessa comprendere chi è?! Per te! E se c'entra quell'altro, il conte?! E perché ti sei ridotto a fargli da servo…lo fai per quello!?".
Le congetture strapparono un mezzo sorriso di compatimento…
Le congetture erano come lava incandescente nel magma delle idiozie…
Come granello di sabbia lucente in mezzo alla mota…
Lo fai per quello?
Si…
L'ammise André Grandier dentro di sé, anche se non avrebbe mai potuto ammetterlo all'altro, che faticava ad ammetterlo persino di fronte a se stesso.
Negò dunque…
La smania saliva…
Il pensiero di lei…
Ciò che era accaduto a Ponta Delgada…
Era stato per proteggere lei…
Sillabe infernali corrosero il cuore…
La coscienza le aveva infine afferrate e la coscienza s'era smarrita…
"Sei strano…Alain Soisson…" – ghignò freddo André, tono neutro a imbrigliare lo sprezzo per via dei modi dell'altro e per il terrore di tradirsi – "Sempre a parlare di sesso e scopate…credi che il mondo sia fatto solo di quello?! Che si prendano decisioni solo pensando al sesso? Che t'importa…".
"No…ma…" - sibilò Alain, mezzo sorrisetto che non riusciva a smuoverlo l'altro ma gli pareva che da qualche parte la verità fosse lì, pronta a farsi beffe di tutti, compreso lui stesso – "Hai pronunciato quel nome così tante volte…e il conte, quel giorno, ha detto che non avrebbe mai permesso che qualcuno ti facesse del male…che lo doveva a lei…dunque…".
Lei…
Fersen aveva speso lo stesso pensiero…
Fersen ammetteva che Oscar era una donna…
Fersen aveva speso un pensiero per lei, proteggere ciò che le era caro.
"Marcel dice che io e lui e te siamo solo carne da cannone…che il conte dunque intendeva che sarebbe stato uno spreco per la Francia perdere anche un solo soldato!? Significa averne uno in meno da far massacrare una volta scesi in terra americana!? Dubito sia solo per questo! Beh…ho detto a Marcel che è un idiota!".
"Per una volta sono d'accordo con te…Marcel è un idiota!".
L'idiozia del comune compare per un istante diede ad André modo di sviare il discorso – "Comunque Fersen non dovrebbe essere uno di quei comandanti che manda a morire i suoi uomini!".
"Quello è un nobile! I nobili sono i padroni…i soldati sono plebei e sono loro proprietà! Non prendere in giro te stesso!".
"Pensala come ti pare…ho deciso di servirlo…".
"Ti sei venduto! E' un'idiozia!".
Un respiro fondo…
André sentì il sudore correre lungo l'arteria del collo, il calore inondare la gola, faticava a respirare. Accadeva spesso da quando era stato ferito, forse erano l'umidità e il dolore continuo indotto dalle suture a fiaccare la volontà.
Le domande dell'altro, la sua presenza mettevano a dura prova la sopportazione.
Sarebbe voluto uscire, scappare…
"Vedo che non demordi…che vuoi a tutti i costi una risposta…" – glissò tenace per interrompere il pulsare strozzato delle tempie – "Allora diciamo che anch'io ho compiuto questa scelta per il bene di una persona. Se accadesse altro al conte, questa persona ne soffrirebbe. E siccome Fersen mi ha, di fatto, salvato la vita, credo di dovergli almeno d'accettare la sua richiesta! In questo modo potrò ripagarlo del favore che m'ha fatto e al tempo stesso onorare una persona a cui lui è molto caro!".
"Una persona…" – chissà come la spiegazione non convinceva e quando anche avesse convinto, c'era sempre che un uomo che china la testa di contro a nobile dimostra un pessimo esempio, una pessima scelta.
"Se non ti metti al servizio di qualcuno non sei soddisfatto vero!? Sembra quasi che tu sia stato servo per tutta la vita e che non ti senta d'essere altro!" – sibilò Alain insoddisfatto – "Quindi...saresti disposto a cedere la tua libertà...".
"Si…" – ribatté André freddo.
"Dunque quel nobile t'ha aiutato e tu adesso gli guarderai le spalle così che nessuno gli faccia la pelle? Per chi? Chi sarebbe questa persona…sai…sono nato a Parigi…".
Alain si sporse - "Chi è? Dalle mie parti si dice che nessuno fa niente per niente!?".
"Non dunque chi è…" – lo corresse André, sporgendosi anche lui – "Ma perché!?"
"Cosa…che…".
Il viso apparve nel cono di luce fioca…
"Do ut des!" – l'affondo…
"Che…do…vuol dire? Mi stai prendendo in giro?!" – s'inalberò Alain che non amava quelli che spargevano sapienza – o saccenteria - spendendo capacità apprese attraverso pratiche ch'erano in voga solo tra i nobili o la borghesia, mentre se la plebe restava nella santa ignoranza era un bene per tutti, e lui era appunto santamente ignorante…
"Do ut des…" – ripeté laconico e freddo André – "Nessuno fa niente per niente! A Parigi la sanno lunga e a ragione! E mi sa tanto che sia così ovunque! Esattamente ciò che ho detto! Si fa ciò che conviene, si concede solo per quanto viene concesso, si dà ciò che si ha in cambio. Nessuno fa niente per niente! Io aiuto te se tu lo farai con me!".
"Altrimenti!?" – punse Alain inviperito, che un conto era se l'affondo lo plasmava lui, popolano pretestuoso, un conto se la chiosa gliela rigiravano in una sorta di lingua sconosciuta, ascoltata forse distrattamente in una di quelle funzioni religiose la sera del Santo Natale oppure alle funeste esequie di qualche sconosciuto.
Gli parevano simili alle sillabe che di tanto in tanto sciorinava Gustav, ma Gustav lo si sapeva che aveva studiato e dunque non sciorinava quella roba così per darsi importanza, ma perché necessario.
"Altrimenti...toccherà cavarsela da soli! Non ci sarà beneficio per alcuno!".
"Non mi sembra un grand'affare! Così si finisce per ritrovarsi prigionieri…".
"Prigionieri?!" – che André si ritrovò scoperto, il lato pratico della questione in fondo era magnificamente riassunto dalla visione di una libertà abdicata, dunque una libertà corrotta e inutile e tale solo all'apparenza.
Si morse il labbro André Grandier.
Da quando era diventato così cinico?
"Quindi tu saresti uno che non fa nulla per nessuno se non ha qualcosa in cambio?!" – sibilò Alain che il latino non lo sapeva ma aveva ben compreso il senso dello smaccato affondo dell'altro.
"Vedila come ti pare…".
"Solo se c'è un tornaconto personale…dunque…" - giro di parole anomalo e fuorviante, chiosa spietata – "E quale sarebbe il tuo tornaconto? Questa cabina? Il pane bianco e la minestra che sa di carne? Stare lontano dalla zozzuria e dai pidocchi che invadono la stiva…".
"Potrebbe anche essere così!" – feroce…
"Che idiozia!".
Silenzio…
"Stavolta sei tu che mi sorprendi Alain Soisson…non ti facevo così sognatore!" - dovette insistere André, più con se stesso che con l'altro.
Silenzio…
L'incastro o il cappio si chiudeva piano piano attorno al collo.
Alain Soisson non lo voleva ammettere ch'era così.
Non gli pareva dignitoso o leale muoversi per tornaconto, ma poi, a pensarci bene, chi mai s'era mosso per altri motivi che non fossero il proprio tornaconto?!
Alla fine, a pensarci bene, in un certo qualcuno, c'è sempre un interesse…
"Io sarò anche un sognatore…" – si schermì il soldato, balbettando, che anche lui la pensava così ma non lo voleva ammettere fosse proprio così – "Allora…allora…per amicizia sì…si potrebbe…".
Recondita salvezza, l'amicizia…
Accadeva, alle perdute, di riempirsi la bocca anche con quella, non immaginando che in fondo dietro ad essa ben poteva celarsi l'affermazione di sé, il puntiglio del primato.
"L'amicizia non c'entra…" – lo gelò l'altro – "S'esistesse l'amicizia…".
"Dannazione…io sarò anche un sognatore…" – sibilò Alain – "Ma davvero tu sei così…cinico?!".
Negò André Grandier, non era semplice, Alain aveva ragione e aveva torto al tempo stesso – "Non credi che s'esistesse davvero – l'amicizia intendo - non ci sarebbe necessità di alcun tornaconto? E' semplice…".
Le mani passate tra i capelli, la testa tenuta stretta che aveva preso a dolere…
D'improvviso, il volto dell'altra squarciò la coscienza.
D'improvviso riemerse il profumo di fragole, quando da bambini, andavano in cerca dei preziosi frutti selvatici, nel sottobosco di primavera inoltrata.
Distesi a terra, in mezzo all'erba, a piluccare fragoline dolci e poi lei si sollevava, per sedersi e il sole s'intrufolava tra i rami a catturare i raggi che incorniciavano il viso.
Il viso voltato, lei lo guadava raramente, mentre sembrava osservare chissà quale tempo, chissà quale epoca perduta nella mente.
"Semplice un accidente! Do ut des…" – ripeté scettico Alain – "Non mi capirà mai nessuno!".
"Che importanza vuoi che abbiano le parole?! Ciò che conta è ciò che si è…".
"No! T'aggrada d'essere servo! Guardare le spalle a quel dannato nobile perché qualcuno non decida di fare la pelle a lui!? Perché glielo devi, perché t'ha salvato la pelle e perché lo devi a qualcuno che tiene a quel dannato nobile!? Così come lui tiene a quello?!".
Silenzio…
Il cappio si stringeva…
"E chi sarebbe…quello intendo…quello per cui lo svedese deve tenerti al riparo dai guai? Questo…Oscar!? Dunque anche al conte non dispiacciono gli uomini?!".
L'equivalenza stonava, il distinguo era oltre la portata di qualsiasi spiegazione.
Meglio il silenzio, meglio lasciar credere che quel nome fosse un nome caro a entrambi – che poi era così – e che quel nome fosse quello del damerino – che poi era così – e che quel damerino biondo avesse fatto girare la testa a entrambi – che poi era così - e che allora una delle due teste si era chinata in ossequio al rango dell'altro, e il passo aveva ceduto, cedendo il trofeo.
Una smorfia di disgusto, Alain Soisson non aveva stima dei nobili e men che meno dei plebei che li servivano, quando non fosse stato che per guadagnarsi da vivere, dunque per obbligo inevitabile, non per scelta, non per riconoscenza, che in tutta quella storia lui proprio non ce lo vedeva il flebile lume della riconoscenza.
La sagoma di André Grandier guadagnò l'ombra che ora aveva la meglio sull'oscurità calata nella stanzetta priva di finestre.
Il profumo delle fragole s'incise nella coscienza.
Meglio lasciare che i pensieri decantassero e producessero il rancido succo d'un vino nefasto e indigesto.
"Pensala come ti pare…non ho né tempo né voglia di spiegare ciò che non ti è dovuto!" – sputò André Grandier esausto.
"Non hai risposto alla mia domanda…chi è Oscar…".
"L'ho fatto…" – sussurrò l'altro.
Chi è Oscar?
Chi è stata per te?
Tutto…
E' stata ciò che sono stato io…
Istante…
Respiro…
Battito…
Sguardo…
Uno soltanto…
Non uno in più.
Quanto tempo perduto ad amare, senza senso, senza scampo…
Quanti respiri nascosti…
Quante dannazioni a osservare il soffitto della stanza, lo sguardo volto a un luogo senza tempo e senza ragione, che lei colmava solo con un suo respiro…
"Che ti hanno fatto….ricordi chi è stato…adesso intendo?!" – Alain Soisson tentò ancora, l'ultimo assalto, concentrandosi sui fatti e non più sui voli radenti di gabbiani che ormai da giorni nessuno aveva più veduto.
La faccia di André Grandier rimase nell'ombra – "Lo hai visto…".
"Senti…" – avrebbe voluto osare Alain Soisson ma la parola rimase inchiodata in gola, che l'altro non lo conosceva poi così a fondo e se la congettura era fondata, sarebbe stato impossibile farselo dire così. Era vivo André Grandier, sopravvissuto a chissà quale tortura abdicata nella mente…
"Vattene…e lasciami in pace…".
Un respiro fondo…
Alain Soisson si rassegnò ad andarsene, le pive nel sacco, così come il carico di domande e mezze scoperte.
Lo schiocco della porta, sbattuta con rabbia, André c'impiegò qualche istante a ripiegare i dannati pensieri entro i gesti svogliati della conta e della pesatura delle monete.
Sei sacchi di luigi d'oro e altrettanti di doppi luigi produssero la noia sperata.
Non aveva acceso altre candele, così quelle rimaste vigili, a poco a poco s'assopirono, lasciando riemergere il tedio angoscioso che poi era sempre stato lì, dietro l'angolo del tormento, in agguato dei sensi adagiati sulle ferite chiuse ma dolorose.
L'occhio sinistro prese a dolere, forse sollecitato a scorgere particolari e riprodurre numeri che nell'oscurità imponevano troppo sforzo.
La conta s'interruppe.
La piccola penna intinta nel calamaio prese a ricamare parole nere sulla carta inumidita dall'aia salmastra.
Océan Atlantique, vingt-quatre juillet 1778
Ma chère grand-mère…
La pennetta stretta tra le dita, ruotata di tanto in tanto, i pensieri accavallati al pensiero che tra le righe sarebbe potuto scorrere, incosciente e dannato, il danno inferto, il temibile assalto della violenza.
Doveva scrivere André Grandier.
Scrivere di sé, che stava bene.
Scrivere di sé per non impazzire, per evitare d'immaginarsi che sua nonna sarebbe potuta impazzire se non avesse ricevuto sue notizie. L'aveva lasciata e già questo era dolore enorme, inflitto per giunta senza una spiegazione.
Era pomeriggio, ormai quasi sera.
L'ora dell'ombra crescente, l'ora ove il cuore tornava ad ascoltarsi solitario.
E allora s'immaginò ciò che di solito accadeva nel pomeriggio, nella grande cucina di casa Jarjayes, al mattino inondata di sole, dunque un po' buia verso sera, anche se era estate, le finestre lasciate aperte, così che il profumo dolce della frolla che cuoceva nel forno andava a intrecciare luminosa schermaglia col sentore potente delle rose gialle, abbarbicate lì, proprio accanto alla porta della cucina.
Rose scolpite d'etereo calore ghermito all'astro, che dal pomeriggio prendevano a spandere la fragranza loro propria…
Rose mute al frusciare d'erba, baciate dalla pioggia che batteva sui vetri…
L'ora in cui tutto ciò che d'impalpabile e sacro poteva lievitare nella mente dei bambini, in attesa della libertà e dei giochi.
Nella cucina, sua nonna sarebbe stata intenta a spiumare un'oca o a massaggiare nel profumato grasso di rosmarino e timo il grasso petto dell'anatra.
S'immaginò André che lì, custodita nella tasca del grembiule un poco sudicio, sarebbe finita prima o poi quella lettera, magari ricevuta al mattino, e che per via delle incombenze sua nonna non avrebbe avuto tempo di leggere.
O forse sì, avrebbe anche potuto, ma poi il desiderio di prolungare l'attesa per la lettura, avendo avuto il prezioso testo da leggere nelle proprie mani e non più immaginato chissà dove - insaccato a una stazione di posta oppure perso nel fango da un postino distratto - l'avrebbe indotta a proseguire nelle faccende, per metterle tutte al sicuro, alle spalle, così che, una volta terminate, si sarebbe finalmente seduta e senza che nessuno fosse venuta a infastidirla, avrebbe finalmente dato sfogo alla lettura, il capo un po' chino, gli occhialetti sul naso, il foglio vicino agli occhi, così da non perdere neppure una battuta del racconto, neppure uno sgarbo della grafia.
S'immaginò André, che Madame Glacé l'avrebbe immaginato, a sua volta, d'averlo lì, accanto a sé, magari seduto a terra, le spalle appoggiate al muro, accanto al tripudio del roseto, in ascolto della voce dell'altra, come se lei fosse stata intenta a leggere le note di qualcun altro, un parente lontano, un vecchio zio sconosciuto emigrato chissà dove, nella quiete del pomeriggio che volge alla sera, al termine di una giornata intensa, che non sarebbe proseguita altrove, ad una festa od ad un ricevimento alla reggia o nella principesca dimora di chissà quale potentato francese, ma si sarebbe dolcemente conclusa con la cena raccolta di nonna e nipote e forse una chiacchiera con lei…
Sì…
S'immaginò André, che la nonna avrebbe tirato un respiro fondo, alla fine della lettura, e che, stupita e intimorita, avrebbe finalmente cominciato a comprendere.
Avrebbe dunque appoggiato la lettera in grembo e seduta fuori dalla porticina della cucina, avrebbe davvero atteso, con gli occhi, di vederla rientrare, dopo che lei avesse portato il cavallo nelle scuderie.
Perché André le avrebbe chiesto di lei…
La donna che amava…
Senza dirglielo…
Perché Madame Glacé avrebbe preso malissimo la questione.
E per di più, visto il gesto sconsiderato e doloroso che lui aveva portato a termine, partire e lasciare la Francia, si correva il rischio di ritenerla responsabile.
Océan Atlantique, vingt-quatre juillet 1778
Ma chère grand-mère…
Dopo giorni di mare calmo, vento lieve e dunque assolutamente deleterio perché inutile, la navigazione è ripresa con sollievo dei marinai che pure sono abituati a tali frangenti.
Confido nella tua buona salute e che la mia assenza non t'imporrà di svolgere anche le mansioni che un tempo spettavano a me.
Lo spero e prego che tu non dia sfogo alla tua intransigenza verso te stessa, impedendo alla famiglia Jarjayes di venirti in aiuto, così che la mia assenza non ti sia di peso.
E ti chiedo se l'hai veduta oggi?
Hai ascoltato il tepore della sua stanza ancora chiusa al mattino?
Silenziosa magnolia mescolata al Marsiglia.
Metallico acciaio intessuto di lino.
E l'hai scorta, alla sera, mentre assorta osserva le ortensie fiorite al di là delle finestre?
I pensieri alla giornata scorsa, i dubbi d'aver composto al meglio i doveri e poi la scelta delle incombenze per la giornata che verrà?
Abbi cura di te e di lei.
Se lo farai sarà come aver cura di me!
Tuo nipote André Grandier
Solo per il tempo della scrittura, André Grandier tornò a essere quello di un tempo, il servo di casa Jarjayes, il nipote di Madame Glacé, così che la distanza che lo separava da sua nonna sarebbe stata colmata da semplici lettere incise su un pezzo di carta.
La pennetta rimase sospesa in aria per il tempo necessario all'asciugatura dell'inchiostro.
L'occhio sinistro doleva da impazzire.
Chiuse gli occhi André e la mente non potè non correre davvero al pomeriggio inoltrato d'estate e di more, all'odore della frolla, al fieno selvatico d'oro e senape.
Chiuse gli occhi…
Ascoltò il battito sulla pelle, scorso attraverso il petto.
Ascoltò la carezza indotta dal contatto d'un essere diverso da sé, lei, creatura nascosta tra le braccia, che lui, solo, aveva nascosto dentro di sé per il tempo d'un battito, nell'istante che precede il tempo che, avido e cinico, continua a scorrere.
Riecheggiò il battito e nell'istante lo percepì puro, incontaminato.
Riecheggiò il battito e nell'istante ammise ch'esso sarebbe stato sempre così, puro e incontaminato, quand'anche fosse accaduto di battere su un altro petto.
Non il suo.
Il corpo prese a tremare inondato dal terrore indotto dal riverbero dei colpi…
La mente orientò la coscienza a rincorrere altri battiti, altri colpi, altri passi.
Nella luce del tramonto, ascoltò dunque, di nuovo, i suoi passi giungere dal fondo del corridoio, la figura dapprima in penombra poi via via più chiara, fino a che la vide, avanti a sé, nella mescolanza di deboli saette luminose, stelle opache, lividi rossi di sangue.
Rivide lo sguardo azzurro cupo e intransigente, la stessa domanda fatta più di una volta.
Chi è quella donna?
E lui non aveva risposto.
Non era lei quella donna, dunque…
Che gli occhi di lei s'erano illuminati di rabbia e la mano s'era sollevata per schiantarsi sul viso ed erompere nel dolore acuto dello spasmo.
Si svegliò André, di colpo, scosso dalla reazione ricostruita a fatica dalla memoria, tasselli evanescenti che avevano lasciato il corpo fradicio e freddo, pulsante di rabbia e sensuale morbidezza.
Gli parve di cadere…
André Grandier s'immaginò che non sarebbe tornato.
Mai più.
Tornare e rivederla…
Ammettere che non era lei quella donna…
Oppure ch'era lei, sì, per addossarle la colpa di ciò che gli era accaduto.
Non poteva farle il torto di morire…
Non le avrebbe mai dato la soddisfazione di morire…
La coscienza s'impose di dimenticare, accantonare la separazione, la memoria si riebbe rammentando di Luigi ch'era sfuggito alla conta.
La vista si sgranò alla ricerca, il corpo prese ad appiattirsi contro il pavimento di assi nodose mentre la luce della candela invadeva spazi nascosti e mai illuminati, se non forse nei giorni della costruzione del veliero.
Un soffio…
Luigi era laggiù, poveretto, aveva tentato di nascondersi ma poi non così bene…
La mano lo riacciuffò, interrompendo così la regale fuga.
Stavolta il cuore ebbe un balzo, un rivolo di sudore imperlò la fronte stanca.
"Che…".
La moneta soppesata e scorsa, l'effige mica tanto riconoscibile…
Il moccolo riverberò chiarore lieve adagiato sul profilo del sovrano.
§§§
Si risolse a uscire, alla fine, per consentire ai muscoli d'acquietarsi, e alla mente di fuggire, di nuovo, da lei, da ciò che non sarebbe mai stata.
Era l'imbrunire, intorno solo il cupo scorrere e rincorrersi di onde alte, spume mute e giocose a dare compattezza all'orizzonte.
Nessun altro sibilo se non quello del vento, intrecciato al gemito del fasciame del veliero e degli alberi che s'opponevano all'aria, reggendo le vele piene e gonfie, anch'esse a emettere suoni muti, come gigantesche lenzuola appese ad asciugare nella quiete della sera.
Il mesto volgere del giorno stese il suo sudario sull'anima contratta, sulle ferite acute, sul brivido di sudore che scorse freddo mentre nelle viscere pungevano rugginosi aculei di veleno.
Si ritrovò seduto all'aria aperta, dietro il cordame ammucchiato salmastro e ruvido.
Attese che il cuore riprendesse il suo battito, mentre s'immaginò il giorno in cui avrebbe scritto l'ultima lettera, l'ultima riga da regalare a sua nonna.
Stranì la dissonanza…
Non v'erano canti d'uccelli…
Né richiami d'oche o nitriti di cavalli…
Muggire di buoi…
Scarrocciare di ruote a calpestare il sentiero secco e polveroso.
Non s'udivano le campane della sera o i trilli dei bambini attaccati alle sottane delle madri che rientravano stanche dopo aver spigolato campi e raccolto erbe da cuocere per sfamare i figli.
Solo il vento, suadente e pieno.
Solo lo scricchiolare del legno e delle corde ora tese ora molli…
Solo ordini gridati dalla sentinella su, sull'albero maestro…
Ordini…
Fu così per i giorni a venire.
E per i giorni ancora successivi.
Dapprima la conta…
Che però la conta lo fece ammattire!
Poi il pensiero a sua nonna, e agli occhi di nanny a osservare l'altra, qualche riga scritta per ingannare i pensieri, rammentare a se stesso che ovunque fosse stato…
Chissà se si sarebbe perso davvero?
Chissà se sarebbe riuscito a tornare, da lei, e se allora…
Se avrebbero avuto mai il coraggio di amarla e continuare a vivere per lei?
Lo sguardo corse a sollevarsi al cielo terso e brillante e fondo, nessun appiglio a cui aggrapparsi per scorgere il futuro, per scacciare via il passato.
Poi tornò a osservare la geometria dei vascelli.
S'avvide che i mozzi parevano più allegri del solito.
Le botti fatte rotolare sul piano curvo del ponte principale produssero un rimbombo sordo, come quei tuoni che riecheggiano nelle campagne poco lontano e la eco s'infila beffarda lungo il fiume e percorre da ponte a ponte tutta la lunghezza livida e scura della Senna, che continua a scorrere senza tregua, senza inganno, senza curarsi degli affanni di chi ci cammina accanto e magari incespica in un sasso e maledice il fiume, oppure si sofferma a osservare la sua instancabile quiete.
L'agitazione tradiva la smania della terra che s'avvicinava.
Le botti disposte a mò di tavoli, imbandite con botticelle più piccole di birra - chissà dov'era stata custodita - vassoi di carne arrosto, pane bianco per tutti…
Dunque s'imbandiva una specie di festa per ringraziare la buona sorte e gli dei del mare d'essere stati graziati del viaggio.
Non v'erano dame con cui danzare…
Non v'era che un violino scordato a intonare una melodia ritmata.
Un bicchiere di troppo a tentare d'annegare nell'alcool la smania accumulata nel viaggio e al tempo stesso la paura della sua fine, che quella non era una traversata in cerca di fortuna, che li attendeva la guerra.
Un bicchiere di troppo, il violino prese a sminuzzare una gracchiata canzonetta.
Non c'erano dame con cui danzare, almeno non lì, sulla Jason, e semmai ci fossero state, non sarebbero state degne del sollazzo di beceri marinai ed ancora meno di spiantati soldati.
Solo quelli ch'erano a bordo della Duc du Borgugnone, ove erano stati radunati gli ufficiali e i nobili al comando della spedizione, avrebbero goduto delle lisce carezze di mani femminili.
Un bicchiere di troppo…
Una spinta…
Il violinista cambiò solerte il ritmo, per accompagnare il combattimento fatto di scontri a pugni alti e ghigni smargiassi come accadeva spesso al porto di Marsiglia.
Risero di sbieco gli avversari…
Sulle spalle mostrine sfatte di guarnigioni lontane.
C'era campanilismo tra le regioni e dunque anche i soldati, anche s'erano tutti francesi, inneggiavano alla propria terra, alla Borgogna piuttosto che all'Alsazia, alla Normandia piuttosto che alla Piccardia.
I contendenti si misero in posizione, leggermente bassi per andare a parare il colpo che fosse giunto da parte dell'avversario, un calcio oppure una presa a cui rispondere con una presa opposta.
Attorno presero a radunarsi quelli che parteggiavano per il primo e quelli che invece scommettevano per il secondo.
Grida, insulti, inneggi alla terra e alle virtù ch'essa doveva aver infuso nelle braccia e nelle gambe, in forza di chissà quale sortilegio, rendendo forti, forsanche invincibili.
André ammise che lo spettacolo non faceva per lui, non credeva molto nella forza infusa da una terra piuttosto che da un'altra, forse ammetteva ch'era più l'ignoranza a farla a padrone in quei frangenti e dunque era quella a smuovere le coscienze un poco sghembe dei contendenti.
Indietreggiò per voltarsi e rientrare sottocoperta.
Il passo sbarrato, lo sguardo si sollevò a quello dell'energumeno che aveva incrociato nella bettola a Brest.
Sempre lo stesso…
Lo stesso che…
Il vociare alle spalle aumentava…
"Ci si rivede…" – abbozzò quello che si chiamava Guglielmo Pointers.
André strinse i pugni, il dolore all'occhio era un poco scemato, ma l'aveva in testa anche lui l'assoluta certezza che se avesse preso un altro colpo, avrebbe rischiato davvero di non vederci più nulla. Un soldato cieco non serve a nessuno, un uomo cieco neppure.
Tentò d'arretrare…
I due avanzarono, ormai nemmeno intimoriti dal fatto che non si era più in un angolo sperduto d'un paese incastonato sulla spalla d'una collina, in un'isola in mezzo all'oceano, ma lì, sul ponte d'una nave, dove chiunque avrebbe potuto assistere a ciò che accadeva.
La posta evidentemente s'era alzata.
"Vieni…" – sibilò l'altro ceffo, Tiberius Mallerbé – "Vedo che non ti diverti. Stavi per andartene? Che ne dici se ti teniamo compagnia!?".
Un altro passo indietro…
André sputò a terra, alzò i pugni…
"Oh…allora stavolta ti va di fare qualche storia prima di cedere!?" - ghignò Guglielmo Pointers spuntando anche lui a terra – "Ti piace fare il difficile?".
Nessuna risposta, André attese, pugni alzati, rabbia sollevata dalle viscere.
Il nome…
Il nome…
Il nome…
Lei era tutto…
Il nome…
Fulgido equivoco…
Infernali sillabe…
Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all'altro. Frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente. Gli si farà la stessa lesione che egli ha fatta all'altro.
Lo devo a lei…
Le mani al viso…
L'attesa, al buio…
Odore di terra ammuffita, sabbia marcia, salsedine strappata al mare dal vento, calata addosso come manto di spine…
Brandello dopo brandello, il senso dell'offesa, i gesti inflitti per infliggere, erano stati recuperati. La memoria non era stata sconfitta e nella voragine ora sapeva che proprio quelli che gli avevano inflitto il torto peggiore, gli avevano dato – inconsapevolmente o meno – la ragione per sopravvivere e continuare a orientare i passi.
Ormai non poteva più morire.
Aveva finto di amare un'altra donna e se n'era andato per colpa di una donna.
Quell'amore sottile e di poco accennato avrebbe consentito la sfida all'onore calpestato e al tempo stesso soddisfatto la sete di vendetta.
Tutto per finzione…
Dunque la sua vita, alla fine di tutto, era in realtà solo una grandiosa e diabolica farsa.
Il silenzio scese tra gli avversari, rotto solo dalle risate di poco lontane dei marinai che avevano preso a tracannare birra, mentre il vento ingarbugliava i pensieri e annebbiava un poco la vista, e nel cielo, lassù, nuvole erranti scorrevano libere e azzurre contro la coltre scura.
L'avrebbe pensata lì, come se lei fosse stata lì, e lui lì a salvarla da chissà quali demoni, forse quelli che aveva davanti, forse soltanto quelli che lei aveva ficcati nel cuore.
Oh, da quelli sarebbe stato difficile salvarla…
Un passo…
Tiberius Mallerbé avanzò all'unisono con Guglielmo Poitiers…
In due…
S'avventò il secondo, la recluta schivò il colpo, tentando d'afferrare l'altro, ritrovandosi però le spalle contro l'albero di mezzana e di lato Tiberius che affondava il destro.
Il pugno scorse di striscio, il tempo d'accusare l'ennesima stilettata, André riprese fiato, piegatosi un poco, tentando di rovesciarsi addosso all'avversario.
Caddero entrambi, l'unica salvezza sarebbe stata sollevare caos, richiamare l'attenzione, anche se aveva rifiutato l'aiuto dei compari e quelli gliel'avevano giurata che non sarebbero mai più accorsi ad accapigliarsi per cavarlo dai guai.
E se fosse morto…
Dio, non poteva morire…
Ormai non poteva più morire.
E anche se non fosse tornato mai più, doveva proteggerla.
Se fosse morto…
Non poteva neppure morire…
Il passo pesante e veloce rimbombò da sinistra.
Alain Soisson scese dalla cassa che si trovava poco dietro l'arena dell'insolita zuffa.
Tre balzi e fu dentro il cerchio dei contendenti…
Marcel sgomitò Dante.
Tutti e due accorsero, schifati alla vista di André, perplessi che Alain Soisson, che parimenti aveva ammesso non avrebbe mai aiutato l'altro, alla fine s'era buttato proprio lì, in mezzo alla mischia.
"Che vuoi?!" – gridò André sprezzante – "Nessuno ti ha chiesto aiuto!".
"Proprio per questo!" – sibilò Alain schivando un colpo di Tiberius – "Se l'avessi fatto, t'avrei lasciato crepare per mano di questi idioti! Sarei stato qui solo per vedere di gonfiarti di botte! Io stesso assieme a loro…ma siccome te ne sei ben guardato dal chiedere aiuto, alla fine questa scelta è mia…"
"Finirai per farti ammazzare…e per niente!".
"Lascialo decidere a me! E se fosse per mio tornaconto?!".
Un colpo più forte…
Alain spinse a terra Tiberius Mallarmé, che però, agile e forte, riuscì ad assestare un destro al soldato che si ritrovò frastornato.
Guglielmo Pointers afferrò la mano del compare che si rialzò, di scatto, e furono in due questa volta a schiantarsi contro André che sotto il peso dei due gridò, rantolo soffocato inciso sulla carne, che le ferite s'erano appena rimarginate…
"Dannazione!" – sputò Marcel avventandosi contro Tiberius per levarlo di dosso dall'altro – "Guarda che mi tocca fare! Se non era per Alain!".
S'avventarono allora, Dante e Gustav contro Guglielmo Pointers, che parimenti era ancora lì, sopra André, il destro carico per la seconda volta, che già un primo colpo aveva raggiunto lo zigomo e riaperto una ferita fonda…
Lo zigomo sinistro, l'occhio sinistro…
Il dolore lancinante per poco fece vacillare.
Era abituato al dolore ma quello era troppo, era devastante sapere di non potersi opporre con tutto se stesso, dover fingere di ribellarsi ma non troppo, come se fosse stato s'un palcoscenico, a rispettare un ruolo che gli andava stretto.
Aveva recitato per tutta la vita, s'era calato nella parte assegnata nel modo migliore…
Aveva recitato, aveva finto…
Era fuggito per non continuare a recitare più.
Solo che, dannazione, se fuggire fosse stata la soluzione…
Non si può fuggire da se stessi, che lei era lì, dentro di sé, istante dopo istante, respiro dopo respiro.
Si rialzò…
Il destro caricato, assestato sulla faccia di Tiberius Mallarmé…
Il caos della rissa si sollevò attirando l'attenzione di marinai, soldati, sottufficiali che accorsero gridando di fermarsi, ch'era ormai chiaro a tutti che quella non era una zuffa per gioco e dunque a nessuno sarebbe stata risparmiata la cella d'isolamento, ch'era ancora peggio, s'una nave, una specie di loculo stretto e fetido dove si faticava persino a respirare per via della zozzuria di quelli ch'erano stati rinchiusi in precedenza.
Gli ordini imposero a chi non partecipava alla rissa di bloccare quelli ch'erano ripiombati di nuovo a capo teso e basso, braccia avvinghiate, spinte e manrovesci a chiunque s'avvicinasse.
I fischi di richiamo agli altri vascelli, seppur nell'oscurità della notte, indussero a poco a poco ad abbassare l'orgoglio e i pugni.
Da lontano il chiarore delle lanterne appese ai pennoni si fece più intenso, quasi fossero lucciole che danzavano in aria, sdoppiate e riflesse sul pelo dell'acqua, sì che da nero e senza confine, divenne specchio di stelle tremanti a richiamare i contendenti al rispetto per il luogo.
La flotta prese a ricompattarsi per consentire agli ufficiali che nei giorni precedenti erano passati su altre imbarcazioni di riprendere il posto e il comando che competeva loro, così che sarebbero stati i rispettivi comandanti delle guarnigioni a prendere provvedimenti contro quelli che s'erano azzuffati.
Nessun processo, solo una sommaria valutazione di chi avesse acceso la miccia del litigio, col rischio che qualche prezioso soldato restasse ferito e dunque col rischio di perdere uomini utili alla battaglia.
Il respiro incespicò nel bagliore della lanterna cieca, sollevata senza riguardo a illuminare la rassegna dei sette personaggi ch'erano stati messi in fila, uno accanto all'altro.
André s'avvide che la vista dell'occhio sinistro s'era velata di nuovo.
Le gambe avrebbero ceduto ma l'orgoglio spinse a restare in piedi.
Questa volta nessuno gli avrebbe evitato la punizione che pure, a seguito di ciò ch'era avvenuto a Ponta Delgada, gli era stata risparmiata.
A prescindere dalla colpa d'aver acceso o subito una rissa, c'era finito in mezzo e questo non era tollerato se si era soldati.
Lo sapeva bene André…
Lo sapeva…
Il respiro fondo…
Il mormorio dei compagni accanto…
Dante e Marcel erano lividi e inviperiti, immaginandosi la punizione appioppata per venire in aiuto di quell'André Grandier a cui avevano giurato eterna vendetta.
Certo, in realtà era stato per dar manforte ad Alain Soisson che s'era gettato nella mischia e c'era da giurarlo – che loro due non erano poi così stupidi – che il soldato l'avesse fatto apposta, che da solo non sarebbe mai riuscito a vincere contro i due energumeni, e così, per salvare André dalla furia dei due, c'era finito anche lui a fare a cazzotti, proprio per tirarsi dietro i compari, Dante e Marcel e poi Gustav, così da essere in maggioranza contr Tiberius Mallerbé e Guglielmo Poitiers.
L'unica soddisfazione…
Tutti…
Tutti sarebbero finiti ai ferri…
Tutti…
No…
"Voi…in cella d'isolamento!".
La voce di Fersen riecheggiò severa nel silenzio rotto dal solito sibilare del vento umido e pacato.
Nell'ordine, l'implicita separazione del soldato André Grandier dal resto del gruppo.
Nell'ordine, la punizione inflitta ai quattro soldati, così come ai due energumeni che secondo sommaria ricostruzione avevano iniziato la rissa.
L'unico che non sarebbe stato punito pareva proprio André.
Un assurdo favoritismo di cui nessuno comprendeva le ragioni, se non che André Grandier doveva avere qualche ascendente sull'ufficiale.
Alain Soisson sollevò lo sguardo, così come Dante e Marcel.
"Un momento!" – bofonchiò il secondo, la rabbia che montava per via ch'era punito per essere intervenuto in soccorso di un soldato che pure disprezzava profondamente – "Perché solo noi?!".
La domanda eruppe, che Marcel fece un passo avanti, così come Dante, mentre Alain Soisson, ch'era comunque sveglio, rimase al suo posto, assieme a Gustav, a tentare di comprendere ciò che scorreva tra il soldato André Grandier e il Conte Hans Axel von Fersen.
I gendarmi incaricati di separare i contendenti sbarrarono la strada ai due soldati recalcitranti.
"Se non vi sta bene…anziché due, i giorni d'isolamento diventeranno tre!" – sibilò severo Fersen.
"Signore…come sarebbe a dire!?" - sbraitò Marcel stranito – "Siamo intervenuti perché stavano massacrando un soldato! E dobbiamo essere puniti anche noi!?" –
"Quattro!" – sputò severo Fersen, alzando la posta, implicitamente rispondendo al soldato.
"Cosa?" – Marcel Duval rimase impietrito.
Ad ogni contestazione, l'ufficiale aggiungeva un giorno di punizione.
"Conte…Fersen…" – tentò d'intervenire André che pure faticava a reggersi in piedi – "I giorni di punizione devono valere anche per me…ma non puoi…non potete punire solo loro…".
S'accorse d'aver abolito la distanza imposta dal rango e non era un bene fosse accaduto lì, in quel momento.
"Cinque!" – proseguì Fersen sprezzante, come non avesse neppure ascoltato le parole di André, che lui, anche lui, rimase impietrito, che se avesse continuato a parlare, la punizione sarebbe divenuta spropositata e per giunta solo per sua colpa.
Si zittì, correndo allo sguardo gelido e spietato di Fersen.
Pareva in collera l'altro, forse per essere stato disturbato, seppure André non rammentava che Fersen fosse mai stato così intransigente e spietato.
Incomprensibile poi l'accanimento, se non forse per imporre il grado di comando, ristabilire l'ordine.
Eppure rimarcare il discrimine tra le conseguenze patite da tutti i contendenti da una parte e un unico soldato dall'altra avrebbe mutato il divario in voragine, scavando un solco ancora più fondo nell'avversione che i primi sentivano per il secondo.
"Te la farò pagare cara!" – sibilò Marcel Duval livido all'indirizzo di André, mentre gli venivano legate le mani dietro la schiena per essere portato nella cella d'isolamento.
Gli altri non fiatarono.
Alain Soisson si limitò a lanciare un'occhiata di disprezzo verso André, che sentì la terra venir meno sotto i piedi.
I colpi ricevuti erano stati pochi ma andati a segno, perché gli avversari conoscevano alla perfezione i punti da colpire, quelli già stati offesi nella precedente aggressione.
La vista prese a vacillare…
Sentì che stava crollando…
Sotto il peso dell'aggressione e, parimenti, sotto il peso del rancore che i compagni avevano maturato contro di lui.
Si ritrovò in ginocchio.
Fersen si avvicinò, restando in piedi, seppur ordinando ai gendarmi ch'erano rimasti lì accanto, di sollevare l'altro e aiutarlo a tornare sottocoperta.
"Stai commettendo un errore…" – sibilò André – "Fare preferenze tra i soldati significa indebolire il loro senso di appartenenza ad un unico esercito, anche se in tanti provengono da terre diverse…".
Tentò di guardarlo, s'avvide d'uno strano sorriso, forse compatimento, forse noia, che scorse sul volto dell'uomo.
"Vedi…tu sei diverso da tutti loro…te l'ho già spiegato. Ciò che non mi spiego è come mai tu finisca sempre in mezzo a queste risse. E sì che avrei immaginato fosse mademoiselle a cacciarsi più spesso nei guai…invece…".
"Non hai risposto…" – tentò d'insistere André, che non aveva né voglia né tempo di rammentare chi tra lui e mademoiselle fosse stato il più testardo, intransigente e veloce a prender fuoco di fronte a un'ingiustizia. Perché era solo per quello, reagire a un'ingiustizia, che mademoiselle avrebbe reagito con veemenza, finanche capitolare in una rissa - "A prescindere da chi ha iniziato…e non sono stato io…".
"Ecco…vedi dunque!" – chiosò Fersen tagliente – "Perché mai avrei dovuto punirti se non sei stato tu a iniziare la discussione?! Sarebbe stato ingiusto da parte mia!".
"Non intendi comprendere!" – sibilò André sempre più stanco e sempre più sconvolto – "La questione vale anche per i miei compagni. Sono venuti in mio soccorso…non devono finire in isolamento per questo. Loro sì e io no?! Penseranno ch'io venga trattato con favore per chissà quali ragioni! E ragioni non ce n'è!".
"Si invece…c'è una sola ragione a fondamento della mia decisone…" – s'inginocchiò Fersen stavolta, i gesti sobri, misurati, nobili, per quel che di nobile avrebbe potuto annidarsi nella generosa spiegazione paternamente offerta, che dunque l'altro, da solo, non ci arrivava - - "Mademoiselle Oscar François de Jarjayes!".
Negò André, non voleva più saper nulla di lei.
Negò André, che c'entrava lei adesso?!
Lei tornava sempre…
Lei gli era addosso, appiccicata alla pelle come l'umidità dell'oceano, come il vento che sfiora compatto i sensi, di continuo, fino a far impazzire la coscienza che vorrebbe solo eclissarsi in un qualunque pertugio dove non arrivasse né aria né luce.
Dove non arrivasse più lei.
Che lei era aria, lei era luce.
Dannazione come si può vivere senza!?
"No…che c'entra…Oscar…lei…lei non ha mai fatto favoritismi…".
"Sbagli!" – lo corresse Fersen quasi spietato – "Rammenti quando Sua Maestà…quand'era ancora Delfina…cadde da cavallo!? Tutti eravamo là…tutti vedemmo che fu per colpa dell'inesperienza di Sua Maestà che l'animale s'imbizzarrì, partendo al galoppo. Tu avevi trattenuto le redini fin quasi a farti trascinare per il viale…eppure…nonostante tu non fossi colpevole, un colpevole doveva esserci. E rammento che mademoiselle non esitò un solo istante a proporsi d'essere processata e finanche giustiziata al posto tuo, perché la colpa del suo servo era anche e innanzi tutto la sua colpa. Teneva a te e credo, anzi ne sono certo, tenga a te immensamente. Sei stato un prezioso alleato, un compagno fidato…potrei mai io non avere cura di questa amicizia? Così che se avrò cura di te sarà come se avessi cura di lei?!".
Servo…
André era un servo, una proprietà della famiglia Jarjayes.
Un servo così prezioso che la sua padrona aveva chiesto d'esser giustiziata al posto suo.
André non aveva mai veduto l'accaduto sotto quel punto di vista.
Aveva sempre pensato che Oscar si fosse offerta di prendere il suo posto perché teneva a lui, a prescindere da ciò che era a lui.
Per lui, Oscar era solo Oscar.
Per Oscar, lui era solo André.
Non un servo, non una merce preziosa…
E André non avrebbe voluto essere neppure un amico.
Perché ad una amico si salva la vita…
Per amicizia appunto, per compassione…
Non per amore…
Amare non significa sacrificarsi.
Amare significa imporre un sacrificio all'altro.
Ecco dunque che tutto aveva un senso.
Oscar si sarebbe sacrificata per lui…
E questo non sarebbe stato amore…
André sentì le gambe cedere, così come il cuore contrarsi quasi, come sotto la sferzata d'inique martellate indotte dalla condizione, dalle ferite che parevano riaprirsi, dalla visione del passato da cui forse non sarebbe mai riuscito ad affrancare se stesso.
Quasi cadde…
Tanto che fu proprio Fersen ad afferrarlo per un braccio per trattenerlo…
"Mi spiace…" – chiosò laconico il conte – "D'ora in poi ti ordino di stare lontano da quella gente…lo devo a mademoiselle…devo proteggere la persona a cui tiene…".
Feriva lo scopo dell'intento. All'apparenza nobile e degno della massima stima, André, in fondo a tutto il ragionamento, in fondo alle viscere, ascoltò l'irriconoscente ignominia di quella proposta.
André non avrebbe mai immaginato di finire lui stesso sotto la protezione d'un nobile. Che poi così era sempre stato nella sua vita.
André non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato proprio Fersen un giorno ad esibire quella sorta di benevolenza di fronte agli occhi di lei.
Sorrise André, tra sé e sé. In fondo sarebbe stato un bene. Fersen avrebbe avuto la sua rivincita.
Fersen avrebbe fatto del bene, com'era nella sua indole e nella sua natura.
Fersen avrebbe vinto, apparendo il migliore.
Ma in fondo sarebbe stato André con la sua ignominia d'esser solo un servo, calata sulla spalle come un manto sudicio e vecchio, a rendere possibile la metamorfosi dell'altro.
§§§
Lo sguardo spalancato al soffitto rimase fisso, sgranato, mentre il corpo disteso sul giaciglio, parimenti immobile, pareva trafitto da mille spine, stritolato in spire soffocanti.
Aveva dormito, chissà quante ore, distrutto dalla lotta, sopraffatto dalla visione di sé, senza scampo da ciò che era e da ciò che non avrebbe mai potuto essere.
Le strida sorprendenti di gabbiani.
Si sedette André, si mise all'ascolto…
Erano settimane, mesi ormai, che non aveva più udito il canto degli uccelli.
Si rivestì in fretta, risalendo la scala che portava al ponte principale.
Gli occhi si ritrovarono immersi in una fitta nebbia, lattiginosa e umida, nessuna possibilità di scorgere gli altri vascelli.
Eppure…
Un gabbiano, forse due, solcarono il cielo nebbioso, fendendo l'aria, scomparendo nella coltre per poi ritornare, disegnando geometrie infinite con lo scopo di sondare la chiglia della nave, nei punti in cui fossero rimasti attaccati molluschi o granchi, nel caso in cui branchi di pesci, attirati dai resti gettati in mare, si fossero approssimati ai vascelli.
I voli indussero la contrazione del cuore, ch'essi rivelavano la fine del viaggio e al tempo stesso l'inizio d'un altro viaggio.
La coltre ovattata prese a dissolversi rivelando la sagoma della flotta disposta in linea, come avesse assunto l'assetto da combattimento.
Seppur le battaglie infuriavano verso sud, New York era ancora saldamente nelle mani degli inglesi dal 1776.
Long Island, la prima isola, la maggiore che s'incontrava, a delimitare la baia, comparve all'orizzonte, dapprima una linea nera, poi via via più chiara e morbida, sotto la luce del giorno che vinceva l'umidità della notte e del mare.
La Duc du Bourgogne rimase ad aprire la fila, seguita dalla Jason.
Le imbarcazioni si chiamarono l'un l'altra.
Brevi fischi in codice avvertivano di prepararsi allo sbarco - anche se l'imboccatura stretta della baia era sbarrata da catene collegate a imbarcazioni che fungevano da prigioni, così che chiunque le avesse prese a cannonate avrebbe corso il rischio di ammazzare altri francesi, rinchiusi là dentro.
Così come d'allertarsi in caso di attacco da parte degli inglesi.
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