Dovrete imparare a fare con la parola arguta quello che non potete fare con la parola aperta;
a muovervi in un mondo, che privilegia l'apparenza, con tutte le sveltezze dell'eloquenza,
a esser tessitore di parole di seta.
Se gli strali trafiggono il corpo, le parole possono trapassare l'anima
Umberto Eco
L'isola del giorno prima
À samedi prochain*
Amanti…
Notte…
Vento odoroso di rose pronte a sbocciare…
Il sibilo tra gl'infissi…
André…
L'aveva cercato con gli occhi.
L'aveva veduto, appoggiato al muro della scuderia, braccia consente, aria severa, in attesa, come al solito.
Aggrappato alla vita di lei, ai suoi ordini, alle sue balzane pensate.
I passi l'avevano portata ad avvicinarsi.
Non udiva rumori, nessun rimestare di ferri o nitriti di cavalli o grida di fabbri o inservienti…
Nessun andirivieni nonostante fosse quasi il tramonto.
Luce lilla ammantava le cime dei pioppi poco più in là, le betulle agitavano al vento le tenere foglie, le fontane zampillavano esigui getti, le condotte chiuse dal mastro fontaniere, in previsione della notte.
Il mastro fontaniere…
Chissà se ci aveva parlato lo strano scienziato…
Perle liquide schizzate sul selciato di mattoni rossi, asciugate dal calore della pietra e dissolte in un istante.
Le dita s'erano strette attorno al bavero della giacca dell'altro…
André aveva aperto gli occhi e l'aveva guardata severo. Era ad un pollice da lei ma lei non sentiva nessun odore di sapone, nulla…
Aveva intravisto disprezzo, quello sì, lo stesso disprezzo che lui le aveva riservato nella scuderia.
Era salito il proprio sprezzante intento di cavargli dalla faccia quell'espressione…
Il tempo di sporgersi e catturare le labbra…
Il tempo di scorrere alla nuca e tenere lì la testa, mentre il corpo, senza peso, s'adagiava su quello di lui, attirato dalla presa, tenuto fermo dal bacio…
Quel sogno…
Che razza di sogno…
Il tempo di sporgersi e catturare le labbra…
Il tempo di scorrere alla nuca e tenere lì la testa, mentre il corpo, senza peso, s'adagiava su quello di lui, attirato dalla presa, tenuto fermo dal bacio…
Brandelli equivoci dissolti e spazzati via, la realtà cruda e vera, come marchio di fuoco, s'era incisa addosso, sottile e piena, intensa e unica, la parola incapace di cantarla appieno, il gesto capace di squarciare e scompaginare tutto.
Liberamente...
Aveva baciato la bocca…
Liberamente...
Aveva accolto l'abbraccio dell'altro…
Travolta e distrutta anche quella, la realtà, il vento scorso inevitabile, alla stessa stregua del tempo, aveva asciugato la pelle accaldata, che quella s'era ritrovata fredda, lontana, sola…
Il suo nome…
Oscar…
Tienimi stretto…
Nascondimi…
Il rivolo freddo di sudore era scorso sul viso caldo.
Lo sguardo s'era sbarrato al soffitto del letto, stoffa istoriata di broccato floreale, nero di guizzi di luce pallida che sbucava dalla finestra aperta.
Stava soffocando…
La gola chiusa…
Stava cadendo…
D'istinto aveva allargato le braccia come per aggrapparsi.
Le dita avevano stretto il lenzuolo.
Uno scarto istintivo a riprendere l'equilibrio minato da ciò ch'era scorso nella coscienza addormentata, mossa da un palpito, spezzata da un respiro soffocato, svegliata dall'incubo.
L'effige dell'altro irriconoscibile, muta, il volto scuro di sangue rappreso, il ghigno sbilenco, come percosso da inusitata follia…
La bocca aperta, senza suono…
Almeno non le pareva d'aver emesso sillaba…
Eppure lo strazio della visione aveva colpito ugualmente.
Aveva respirato piano, per riprendere coscienza di sé, ammettere ch'era sveglia, ch'era stato solo un dannatissimo sogno, che pure i sogni coltivano paure già seminate nella testa e nel cuore.
S'era sollevata un poco, s'era seduta.
La pelle fredda, umida, percorsa da tremore sconosciuto…
André…
Sussurrato piano…
S'era risolta a tirare su la coperta leggera ai piedi del letto, colpita da freddo intenso e mai ascoltato nella banale e rassegnata esistenza.
§§§
I passi risuonarono leggeri lungo il corridoio di piastrelle marmoree tirate a lucido, intarsiate di mute venature rosse e bluastre, di contro alle tinte pastello ma parimenti fredde delle pareti.
Tutto era ornato da delicati ghirigori di luce che filtrava dalle ampie vetrate, specchiate d'olio di gomito, a disegnare su pareti e pavimenti linee e percorsi che avrebbero guidato il visitatore a seconda dell'orario della giornata, chiarore al mattino, ombra fresca al pomeriggio, aloni di candele durante le ore notturne.
Le stanze, un tempo fredde, erano state ridipinte da poco, tappezzate con variopinte carte da parati, addobbate con tende di organza leggera, abbinate a velluti più scuri e spessi.
Sua Maestà la Regina Maria Antonietta s'era decisa in fretta.
Il dono di nozze sarebbe stato d'ora in avanti la sua nuova residenza, poco distante dalla reggia.
Il parto - ore e ore d'indicibile sofferenza, sotto gli occhi dei cortigiani curiosi, da cui la regina era separata solo da una pietosa tenda d'organza per impedire l'impietosa esibizione di pianto e dolore e nudità - e poi, dopo, il pellegrinaggio di omaggi e congratulazioni alla madre e al neonato che però era una bambina - dunque senza possibilità alcuna di salire al trono, così che, di fatto, Maria Antonietta s'era ritrovata addosso l'odiosa critica d'aver messo al mondo una femmina anziché un maschio, unico genere capace di ereditare la stirpe dei Borboni e procrastinare così il Regno di Francia - avevano messo a dura prova la pazienza della sovrana.
Pochi mesi dopo la nascita di Madame Royale, complice l'apprensione per il re, che non avesse finito per prendersi il morbillo che aveva ancora più fiaccato e abbattuto sua moglie, in una sera di pioggia, lo sguardo un poco spento e affaticato, Maria Antonietta aveva fatto chiamare il Colonnello delle Guardie Reali, Oscar François de Jarjayes, comunicando la sua decisione, dopo aver consultato e ottenuto l'approvazione di Sua Maestà Re Luigi XVI.
Maria Antonietta si sarebbe trasferita a Le Petit Trianon, per allontanarsi dal re dunque, ma senza tenerlo lontano, per cambiare aria, ma senza mutar troppo l'aria della corte, per accudire al meglio la figlia, ma consentendo solo al re, suo marito, e a pochi fidati cortigiani, d'interrompere le giornate che volgevano a diventare intensamente colme della cura a Madame Royale da una parte e al progetto, per ora ancora immaginato, della costruzione d'una fattoria minimale con orticelli e giardinetti ricolmi di fresche verdure e variopinti arbusti floreali, che avrebbe nei giorni a venire allestito personalmente.
Dignitari di corte, ministri, ambasciatori, personalità importanti, per non parlare poi del temibile Gilbert du Motier de La Fayette – Kayewela, così soprannominato in America -, e di tutti i tronfi e noiosissimi ufficiali. ch'erano rientrati a gennaio dalla spedizione di guerra sarebbero stati ammessi alla presenza della regina con sapiente e puntigliosa parsimonia.
Che ci avesse pensato il re, a onorare i reduci di guerra, che la guerra era terribile ed era stata la guerra, in fondo, a portarle via la vista e la presenza dell'amato Fersen.
Che la decisione era stata presa e nulla aveva potuto obiettare il Colonnello Oscar François de Jarjayes che dunque, nelle settimane a venire, aveva rivisto i turni di guardia per la sicurezza di Sua Maestà e della neonata Madame Royale, trasferite, con domestici e dame di compagnia, nella nuova residenza.
Assistendo, impassibile e senza poter far nulla, agli effetti di quello ch'era stato definito un colpo di testa, una straordinaria ribellione alla soffocante e metodica e noiosa vita di corte, geometricamente imbastita dall'etichetta che controllava ogni passo, così come ogni respiro, impedendo alla regina d'essere libera, come invero ella avrebbe voluto, ossia respirare, camminare, accudire la figlia, correre, inscenare commediole, ricevere poeti e artisti…
Una fuga dunque!
Un'altra fuga…
Incomprensibile per molti…
Un oltraggio per altri!
Uno scandalo…
Una reggia senza regina…
Un re senza moglie accanto…
Oscar François de Jarjayes aveva pensato spesso in quei mesi a ciò che era accaduto alla sua vita.
Aveva ammesso che le decisioni prese da altri ne avevano condizionato l'andamento, la leggerezza o la pesantezza.
La decisione di Fersen di lasciare la Francia.
L'uomo, alla notizia della gravidanza di Sua Maestà, appresa quando ormai si trovava a Brest, era apparso sorpreso e commosso e contratto e indiscutibilmente triste e sollevato al tempo stesso.
A ripensarci, era verosimile immaginare la sua buona fede, l'amore sincero per Maria Antonietta, declinato nell'unica intensa e sensuale passione che s'era nutrita di sguardi, respiri, inchini, parole sobrie e incontri fugaci.
Nulla d'irreparabile, nulla di sporco doveva mai essere occorso nelle esistenze degli amanti, ammesso che dall'amore vero sarebbe mai potuto sgorgare un solo pensiero immondo.
Oscar aveva ammesso di amarlo.
Fersen…
S'era ritrovata quella spina nel cuore, senza neppure sapere quando ne fosse rimasta trafitta, senza neppure rammentare quale roseto avesse mai sfiorato per finirne attinta a quel modo.
Oscar aveva ammesso di amarlo, quando Fersen se n'era andato.
Dapprima, nell'eterna lotta tra il proprio senso del dovere, ostinatamente orientato a proteggere Sua Maestà - persino da se stessa - dallo scandalo di un sentimento verso il bel conte svedese e la visione della malinconia della sovrana che, alla vista dell'uomo, d'improvviso mutava in un battito insano e folle del cuore, aveva avuto il sopravvento il primo.
Ci aveva provato ad allontanare dal capo della regina l'infausta diceria d'un affetto segreto e inconfessabile, inducendo il conte a lasciare la Francia, dopo l'incoronazione, tentando di spezzare un legame all'apparenza silenzioso, d'insolita comunione di pensieri e desiderio che avrebbe rischiato di gettare nel fango l'onore e il buon nome di Maria Antonietta.
E per farlo, era giunta sul limitare di quel roseto impalpabile e dal profumo così intenso da esserne rimasta avvinta.
O meglio, a pensarci bene, era stato Fersen a prenderla per mano, a mezzo d'una semplice ma sorprendete domanda, se lei si fosse mai sentita sola e se fosse stata felice, nessuno mai s'era permesso di condurla sin oltre la soglia di quel labirinto.
Non aveva dimenticato, ma aveva provato ad accantonare la questione, che non le competeva, che lei non aveva mai avuto in animo di cadere in una simile diatriba sentimentale.
Fersen era tornato e a Brest glielo aveva chiesto, di nuovo, come se entrambi fossero stati segretamente accumunati dalla stessa sorte, restare separati e distanti dal bello di un amore luminoso ma capace di bruciare l'anima degli amanti.
Dunque era stata lei ad allungare la mano, inconsapevolmente forse o più semplicemente desiderando farlo senza alcuno scopo ed era rimasta trafitta.
Persino oltre quanto avrebbe mai immaginato.
Nella pozza liquida del ricordo, come una sorta di strappo d'una stoffa impossibile da rammendare, s'era inciso nei mesi a venire, il nero sogno, esito nefasto d'una notte ubriaca, senza congruenza, inutile, fuorviante come sono tutti i sogni, eppure capace di schiantare la coscienza.
Il tempo di sporgersi e catturare le labbra…
Il tempo di scorrere alla nuca e tenere lì la testa, mentre il corpo, senza peso, s'adagiava su quello di lui, attirato dalla presa, tenuto fermo dal bacio…
Le labbra erano corse lungo l'arteria del collo a disegnare rintocchi lievi...
La pelle morsa piano e con essa le curve dell'anima, gli anfratti insondati del sesso, a dirigere il respiro dapprima disarmonico poi ricomposto entro una sorta di cadenza roca, intaccata solo dallo stacco secco d'un secondo respiro, tremante e fulgido…
E poi un altro ancora…
Brandelli spezzati…
Ch'erano risaliti dalle viscere...
Baci d'orgoglio...
Geometrie d'abbracci e morbidi graffi...
Lo sguardo chiuso al nero fondo del tremore, le forze avvinghiate entro spire verticali sempre più strette e livide…
Per un istante gli occhi s'erano incontrati…
Nessun cedimento…
Nessuna vertigine…
Il rispetto relegato negli antri delle antiche convenzioni.
Incedere intenso…
Immemore desiderio d'appagarsi…
Impalpabile tela che aveva retto l'incontro, stracciata, dapprima sospinta, poi strattonata, infine lacerata dal fremere della forza, dall'affondo che rompeva il silenzio…
Che aveva fatto…
Che aveva fatto lei?
Che diavolo era accaduto?
La bocca aveva colto il sentore minerale della pelle, un poco forte, eppure potente, capace d'inebriare e distruggere al tempo stesso ogni brandello di residua vergogna…
Le dita s'erano aperte a graffiare piano il petto, per cogliere anch'esse la consistenza morale dell'altro, il suo essere altro da sé.
Sono solo un uomo…non ha importanza chi io sia per questo paese…e non ha importanza chi sia lei…ti basta?
Che significa? Vuoi spiegarti?
Non capisco…non sei mai stata un'ingenua e hai sempre dimostrato di conoscere bene le regole…regole che non ho stabilito io…devo adeguarmi a esse ed anche tu! E se quella donna sapesse di me…
Se non hai nulla da rimediare….
Non ho nulla da rimediare! E ho deciso di non aver nulla a cui porre rimedio! Amare non significa sacrificarsi…ma imporre un sacrificio a chi si ama…ed io non potrei mai farle un simile torto! Sono un uomo…un uomo che ama…non potrei mai imporle il mio amore…non potrei mai imporle un simile sacrificio! Il mio amore ucciderebbe lei…e ucciderebbe me!
Stai fuggendo! Stai lasciando la Francia! Stai lasciando la tua vita!
L'hai detto! Non mi pare difficile!
Dunque l'amore si può mettere a tacere semplicemente abbandonandolo!? Dunque per non imporre un sacrificio a qualcuno…l'abbandoni? Che razza di amore sarebbe questo?!
Aveva chiuso gli occhi…
L'aveva sentito muoversi ancora…
Aveva ascoltato il calore della pelle…
La mano allungata, scivolando oltre il braccio.
L'aveva cinta piano, di nuovo, senza alcun rumore, senza neppure una parola…
Le labbra s'erano schiuse, la bocca s'era aperta lentamente…
Ecco allora…
Mancava la sua voce.
La mente era tornata ossessivamente alle sue ultime parole.
Non per carpire un qualsiasi significato. Non solo, che fino ad allora non c'era riuscita.
Semplicemente per rammentarne il timbro.
La voce di André…
Il volto, lo sguardo chiuso, impassibile, del sogno, e poi aperto e poi sfrontato e poi dilaniato, di nuovo, in sogno.
Rammentò d'aver frugato nella mente, nei ricordi, d'aver esaminato dettagli silenziosi, passi, occhiate di sbieco, presenze e assenze a corte.
Ma tutto s'era dipanato nel solito ordine, geometrico andirivieni, calma serafica di vita destinata ad essere fine a se stessa, come se André non se ne fosse mai andato, o forse, come non fosse mai esistito, se non fosse che lei, solo lei, tentava di trattenere a sé la voce e il volto, i silenzi e le parole.
S'impose di rassegnarsi, così come aveva tentato di fare più volte nei mesi successivi alla partenza.
S'impose di scacciare l'insana gelosia, che non comprendeva se fosse davvero tale, oppure bieca curiosità di sapere chi fosse la donna che aveva costretto André a lasciare la Francia.
A lasciare…
Lei!
E quanto fosse stata stupida quella e cieca e…
Lo sguardo si sporse un poco.
La destra trattenne l'elsa della spada così che quella non avesse finito per urtare un mobile o la gamba d'una sedia e provocare rumore.
Lo sguardo si sporse e gli occhi scorsero la guancia tonda e rosa della piccola Marie-Thérèse Charlotte de Bourbon-France, Duchesse d'Angoulême, Madame Royale.
La piccola dormiva beata nella sua culla. Gli occhi chiusi e la bocca a mimare forse il sogno d'un pasto regalato dalla balia, che Sua Maestà Maria Antonietta s'era stancata presto delle pretese della mocciosa e aveva ritenuto necessario, per saziarla, avere a disposizione almeno tre giovani robuste e generose con cui condividere l'allattamento della piccina.
Madame Royale era piccola e perfetta, la testolina coperta da una pelurietta bionda che, baciata dal sole, mutava in impercettibili guizzi rosati, a rammentare l'origine austriaca della madre.
I lineamenti morbidi e pieni, segno di floridezza e beatitudine, richiamavano invece quelli meno appariscenti ma lievi del padre che, alla notizia del desiderio della consorte di lasciare Versailles, era sussultato, dapprima aveva negato il consenso ma poi, alla vista della moglie oppressa dagli impegni di corte e soprattutto, dopo aver tenuto in braccio la figlia, in solitudine, chiuso in una stanza, come Maria Antonietta aveva voluto per far comprendere anche al padre, cosa avrebbe significato vivere e crescere da soli la propria figlia, aveva acconsentito, promettendo a Maria che nei rari momenti di libertà avrebbe raggiunto lei e la figlia.
La distanza tra la reggia e le Petit Trianon non era eccessiva, poco meno di una mezz'ora.
Ma l'esigua distanza sarebbe stata colmata da svariati sbarramenti così da impedire che la famiglia reale fosse oggetto di continuo disturbo da parte delle noie di corte.
Osservò il visino paffuto della bambina, Oscar François de Jarjayes.
Alle spalle, immersa nella visione, non udì i passi dell'uomo che s'avvicinava, accostandosi parimenti alla culla.
"Sono buffi i neonati…" – esordì il Tenente Girodel alla vista della bambina – "Le dame e le nutrici di corte erano tutte preoccupate che Madame Royale avrebbe risentito del mutamento di luogo. Invece pare che i bambini molto piccoli siano in grado di adattarsi egregiamente all'ambiente che li circonda".
"Lasci intendere d'invidiare questa creatura per il suo spirito di adattamento?" – chiese Oscar, un poco cinica.
"Beh…in un certo senso…" – ammiccò l'altro con un respiro fondo, tanto da indurre l'interlocutrice a voltarsi e squadrarlo – "L'innato egoismo credo sia un tratto distintivo di ogni essere umano ma in queste creature direi s'apprezza in maniera esaltante. Egoismo inteso come voglia di vivere a discapito di ciò che accade loro intorno. Quella è la loro missione o che dir si voglia…virtù! Vivere…".
Da mesi ormai il Tenente Victor Clement de Girodel seguiva i passi del Colonnello Oscar François de Jarjayes, in maniera discreta, senza essere invadente o pretendere d'insegnarle nulla.
S'era limitato a eseguire ordini, conversare amabilmente sulle abitudini della reggia, stabilire turni di guardia, adoperarsi per selezionare al meglio le nuove reclute provenienti dalle famiglie più prestigiose della Francia che ambivano a prestare i figli, specialmente i cadetti, al corpo di guardia parimenti più prestigioso del paese.
All'apparenza era parso che Victor Girodel avesse avuto in mente d'essere semplicemente un degno sostituto. Forse questo era stato il pensiero iniziale, indotto dall'idea che i mutamenti nella vita dell'altra non fossero graditi né indolori.
Dunque era stato cauto, discreto…
Di tanto in tanto però, emergeva, dalle parole e dai gesti, una sorta d'insolenza, come se Victor Girodel fosse stato una specie di pietra grezza, pezzo di carbone o pirite, vai a saperlo, ma forse davvero un diamante ancora in attesa d'essere scovato, ripulito e lavorato.
Aveva mostrato una o due facce particolarmente brillanti, nulla più.
Eppure, sotto lo strato spesso d'educazione intransigente e severa, pareva essere nascosta una superfice pura, d'altro calibro appunto, intensa e cinica, così da rivelare un personaggio interessato alla vita, ai pettegolezzi, nella misura in cui da essi avrebbe potuto ricavare tutto quanto gli avesse fatto oltremodo comodo.
"In…quale…senso?!" – scandì Oscar che davvero non potè evitare di domandare la ragione della chiosa.
"Questa bambina…è davvero una creatura quasi irreale…bellissima…capace di attirare lo sguardo di chiunque si avvicini a lei. Pare un angelo. Ma in fondo credo sia semplicemente una creatura come qualsiasi altra, capace di adattarsi all'ambiente che la circonda e trarre da esso il massimo godimento…".
"E tu vorresti assomigliarle?" – sputò Oscar un poco allibita dalla strana piega del discorso.
Nei lunghi mesi, le parole che avevano accompagnato le conversazioni, si erano via via declinate secondo forme sempre più confidenziali e profonde.
Seppur sapientemente capaci d'aggirare alcuni rari accidenti della vita - come la partenza del Conte di Fersen e del servo di casa Jarjayes, che quelli erano gli unici argomenti mai toccati nelle chiacchierate tra il tenente ed il colonnello – le parole avevano avuto capacità di colpire i sensi, scavare le ore della solitudine, così che, a poco a poco, la voce era divenuta chiara ed unica, i gesti consueti e noti.
I mesi erano scorsi e ciascuno di loro aveva imparato ad accettare l'altro, le colpe dell'altro, i silenzi, il freddo della solitudine dell'una e il caldo abbraccio vuoto dell'altro.
Così, i discorsi avevano iniziato a vagare entro pieghe più oscure, ombre intime di sensi e coscienza.
"Diciamo che…non sono altrettanto bello…" – sussurrò Girodel divertito, a voce bassa così da non rischiare di svegliare la mocciosa – "Ma so per certo d'essere in grado di adattarmi all'ambiente che mi circonda esattamente come farebbe…".
"Un moccioso appena nato?!" - stupefatta e quasi quasi divertita pure l'altra.
"Si!" – tossicchiò Girodel – "Ma con la particolarità che un neonato non può ancora sfruttare l'ambiente che lo circonda se non per il proprio benessere, se non per il semplice nutrirsi e godere dell'agiatezza dell'essere amato. Al contrario…".
Oscar si voltò verso l'altro: "Saresti capace di sfruttare l'ambiente che ti circonda per il tuo tornaconto…questo l'avevo compreso…".
"Si…e non mi vergogno d'ammetterlo. Non vedo che male ci sia a diventare abili a usare il prossimo per ottenere il proprio benessere…".
"A qualsiasi prezzo?" – obiettò Oscar scostando lo sguardo.
"Il prezzo lo stabiliscono le parti. Se va bene a entrambe…".
Oscar si scostò.
L'altro intuì d'aver oltrepassato l'invisibile muro che il Colonnello Oscar François de Jarjayes aveva eretto tra sé e gli altri.
Aveva fatto di tutto per scovare una breccia, scorgendo di là da esso, il malinconico silenzio dell'altra, sola. Aveva compreso che avrebbe dovuto essere così.
"Devo andare adesso…" – sussurrò Oscar, filo di voce, forse sul punto di cadere a terra, che l'altro avrebbe voluto afferrarla per un braccio e tenerla su e…
Se ne uscì con una banale proposta – "Propongo…" – riprese Girodel cauto, un respiro fondo - "Propongo di andare a scovare un posto dove bere un buon bicchiere di vino…".
"Puoi benissimo recarti nella tua residenza…" – obiettò l'altra che avrebbe voluto andarsene - "I Girodel hanno vigne rigogliose e una cantina ben fornita…".
"Sì, ma si dà il caso che in questo momento i Girodel non abbiano molti parenti nei paraggi e la mia casa al momento è particolarmente desolata e vuota. Mia madre è tornata nei suoi alloggi di campagna. Mio padre è alla residenza di Parigi, a Place de Vendome, e mio fratello sta egregiamente svolgendo il suo dovere di primogenito, impegnandosi negli studi, come si conviene alla famiglia a cui appartiene…".
"Dunque…" – ammise Oscar François de Jarjayes scovando nella triste descrizione della casa, un altrettanto desolato palcoscenico ove si svolgeva la vita dell'altro.
Ammise che dentro di sé aleggiava lo stesso desolato palcoscenico.
Ora che su quel palcoscenico, paradossalmente, non era più sola.
Ci erano saliti altri personaggi, macchie di colore scuro, a recitare parti assolutamente sorprendenti, una trama sconosciuta e non era certa di volerne accettare il senso.
Quel palcoscenico…
Alcune scene s'erano già svolte, ma lei non l'aveva compreso.
"Dunque mi onoreresti di un buon bicchiere di vino?!" – la spuntò Girodel – "Se non vuoi andare fino a Parigi…".
"E perché non fino a Parigi!?" – punta nell'orgoglio d'immaginare che fosse impossibile raggiungere la città a quell'ora.
"E'…" – abbozzò Girodel che dovette mordersi il labbro.
Troppo distante…
Si sta facendo sera…
Tenne per sé le considerazioni - "Intendo, non è detto che a Parigi potremmo trovare…una locanda che abbia la grazia di servire del buon vino…".
"Non ha importanza! Questa volta sarò io a scegliere. Se ti fidi di me…" – respirò piano l'altra, un poco sorniona e un poco fredda.
Era vero in effetti.
Fino ad allora Oscar François de Jarjayes s'era lasciata quasi guidare dal Tenente Victor Girodel, come se non avesse avuto in animo di effettuare alcuna scelta. Come se un luogo o l'altro fossero stati differenti.
Quel giorno però…
Il disgraziato palcoscenico aveva preso ad animarsi di voci nuove e di sorprendenti racconti.
Uno di essi trovava origine proprio a Parigi.
Dunque perché non approfittarne…
§§§
À samedi prochain…
23, Rue Vivienne, Paris…
Il Tenente Victor Clement de Girodel intuì dove avrebbero condotto i passi.
Sulle prime pensò fosse solo una coincidenza, poi, radunando tutti i sorprendenti pezzi e ricami del sorprendente arazzo, ammise che il luogo non avrebbe dovuto sorprenderlo e che essere finiti lì, lo sguardo a leggere l'insegna che penzolava sbilenca dal ferro piantato nel muro dell'edificio…
"Conosci davvero un posto del genere…" – sibilò Girodel niente affatto convinto – "A Parigi?"
Oscar non rispose.
Girodel di nuovo trattenne il respiro perché a parlar troppo e a chiedere troppo, all'altra sarebbe bastato un attimo, e proprio nell'esile volo del tempo d'un attimo, lui si sarebbe ritrovato fuori dalla breccia, a terra, le ossa spezzate e l'orgoglio a pezzi.
Ammise che era abbastanza insolito lasciarsi guidare da una donna alla ricerca d'una locanda nel cuore della capitale dove bere un buon bicchiere di vino.
Ma Oscar François de Jarjayes era donna davvero sui generis.
Le ore trascorse assieme all'altra, rigorosamente distante, un passo indietro, solo un passo, l'avevano reso partecipe della silenziosa esistenza dell'altra.
Contrariamente a quanto sarebbe accaduto con una donna diversa, non una donna qualsiasi ma semplicemente diversa, le moine per conquistarne le grazie finanche il sesso, sarebbero dovute essere aggraziate ma non subdole.
Con Oscar François de Jarjayes sarebbe stato necessario adeguare i precetti dell'ironia e della sagacia, sapientemente mescolati a una buona dose d'arrendevolezza, che non significava affatto darla vinta all'altra, ma semplicemente saper cogliere l'istante giusto per affondare la critica o lodare il ragionamento corretto.
Era tutto stravolto con Oscar François de Jarjayes.
Una donna educata a muoversi e pensare e ragionare come un uomo, che pure conservava l'intelletto, la grazia e l'acume di una donna, forse solo banalmente sporcato dal fatto che non avrebbe potuto godere della leggerezza d'esporre le sue idee come fossero miracoli scesi dall'alto – come accadeva per la maggior parte delle donne – ma come obbligo insito alle sue inevitabili incombenze.
Era stata abituata a pensare e ragionare in fretta, Oscar François de Jarjayes, e chiunque non fosse stato al suo passo, avrebbe presto recato noia alla sua sorprendente e intensa perspicacia.
Eppure, esser finiti proprio lì…
À samedi prochain…
23, Rue Vivienne, Paris…
Non poteva essere un caso.
Victor Girodel trattenne un moto d'istintivo nervosismo, convenne che l'altra fosse arrivata sin lì, per un motivo, ma che non potesse essere stata così scaltra.
No, Victor Girodel negò.
Non aveva nulla da temere il Tenente Victor Clement de Girodel, che - a dispetto della persona curata e impeccabile, dell'intelligenza sapientemente coltivata in anni di studio assennato e severo, delle mostrine fieramente esibite, che parevano essere più sostanza che orpello di ciò che era – era comunque un uomo e come tale non avrebbe potuto che atteggiarsi a essere un uomo, con tutti i pregi e tutti i difetti degli uomini.
Le sue abitudini non avrebbero scalfitto la sua figura e l'immagine che aveva di se stesso, come pure di quella che esibiva con immacolata superbia al resto del mondo.
Anche al Colonnello Oscar François de Jarjayes.
Anche se l'altra era una donna.
Una donna diversa, non una donna qualunque.
Il Tenente Girodel si guardò attorno e comprese che l'altra doveva aver già varcato la soglia della bettola.
Si chiese quando e si chiese perché tornare lì dunque, immaginandosi vi fosse stata in passato, non da sola.
Ormai erano trascorsi nove mesi da quel giorno.
Victor Clement Girodel lo rammentava bene.
Aveva avuto l'ardire di accompagnare Oscar François de Jarjayes fino a Saint Jouan.
L'ardire sì, che dopo aver imparato a conoscerla bene – almeno così gli era parso d'aver fatto – s'era immaginato che quella doveva aver avuto una pazienza infinita per sopportarlo fino a Saint Juan, perché poi, il giorno dopo il loro arrivo, dopo che lei aveva parlato con suo padre, se n'era andata, lasciandolo lì, come un'idiota, con tutti i suoi bei propositi di proteggere l'altra da chissà quali demoni, orpelli buoni per ammansire i sensi di una donna diversa, non una donna qualunque, ma comunque una donna diversa da Oscar François de Jarjayes.
Era tornato a Versailles da solo, Victor Clement Girodel.
E aveva ripreso le sue abitudini, immaginandosi che prima o poi l'altra sarebbe tornata.
Era accaduto, l'aveva rivista di ritorno da chissà dove.
Ci aveva ragionato su e l'unico luogo dove quella poteva essersi andata a cacciare…
Brest…
Victor Girodel s'era immaginato che Oscar François de Jarjayes fosse riuscita a raggiungere Brest e lì avesse cercato qualcuno, uno sconosciuto indicato dal padre come referente per le nuove reclute da ingaggiare come Guardie Reali oppure…
Che altre due persone erano a Brest.
Il Colonnello Hans Axel von Fersen e André Grandier.
Il primo…
Si sapeva che si era arruolato e che sarebbe partito da Brest per l'America.
Il secondo…
Nel tempo in cui l'aveva attesa, Victor Girodel era riuscito a farsi ammettere nelle stanze del Ministro della Guerra. Ci aveva confidenzialmente chiacchierato qualche ora e tra un invito alla prossima stagione della caccia alla volpe e un gentile omaggio dalle rifornite cantine della famiglia Girodel, ossia un ottimo Champagne di non tarda annata, ch'era stato consumato subito, e che aveva appunto sciolto la lingua del ministro, aveva avuto il permesso di far visionare a un proprio soldato, l'elenco degli uomini che si erano arruolati per l'America.
Gli aveva detto di cercare un nome e alla fine era rimasto sorpreso, Victor Girodel, nell'apprendere che di quella lista faceva parte anche André Grandier, l'attendente di mademoiselle, servo della famiglia Jarjayes.
Ma così era dunque spiegato il motivo per cui il padre, il Generale Jarjayes, aveva insistito per trovare un'altra persona d'encomiabile lignaggio, che avrebbe avuto l'onere e l'onore di affiancare la figlia nelle incombenze del proprio ruolo.
Victor Girodel s'era immaginato che l'altro non avesse deciso di lasciare la Francia così, di punto in bianco, ma che doveva esserci stata una ragione grave e che dunque di quella ragione grave, Oscar François de Jarjayes, per come la conosceva e l'aveva conosciuta lui, doveva esserne per forza di cose a conoscenza.
E se non fosse stato così, Victor Girodel, per come la conosceva, l'altra, Oscar François de Jarjayes, ci avrebbe scommesso la sua vigna più famosa e ricca e fertile, che l'altra avrebbe fatto di tutto per apprenderla, quella ragione grave.
Fosse stato anche finire all'Inferno.
Non che a nessuno sarebbe mai importato di sapere perché un servo avesse deciso d'arruolarsi, ma Oscar François de Jarjayes non era proprio una donna qualunque, una contessa, un colonnello…
E quel servo non era per lei proprio un servo qualunque.
Non lo era affatto.
Quel servo…
Se André Grandier era a Brest, forse l'altra era finita laggiù per incontrarlo.
Non aveva fatto domande Victor Clement Girodel, quando l'aveva vista tornare.
L'aria più fredda e distaccata del solito, implacabile nelle decisioni e nelle valutazione dei turni di guardia, come nella scelta degli uomini da assegnare ai vari turni.
Non aveva fatto domande, si era limitato a eseguire gli ordini, ammettendo che il silenzio dell'altra, per quel che riguardava ciò che era accaduto, avrebbe dovuto essere scalfitto un poco per volta, magari attraverso analogo silenzio, così come con domande sapientemente infilate nel pertugio di una occhiata meno severa delle altre o nell'esiguo spazio del momento del giorno che muore oppure in quello d'una una severa giornata di pioggia.
Erano passati mesi prima di riuscire a scovare quegli spazi, miseri istanti, che lui l'aveva osservata, ma non aveva potuto farlo con insistenza, nemmeno facendo leva sul proprio status.
Per assurdo era finito addirittura per invidiare il servo, che quello, al contrario, in quanto servo, non avrebbe nemmeno potuto alzare gli occhi su di lei, ma la confidenza evidentemente coltivata fin dall'infanzia, era divenuta fonda e intensa, nonostante il rango, al punto che André si permetteva di parlarle apertamente, convenire con lei, contraddirla.
Era un servo eppure…
Lui, al contrario, Tenente della Guardia Reale, e conte, a sua volta, al pari di lei, s'era detto che avrebbe dovuto stare attento e non indugiare troppo nello sguardo, nella movenza del collo, nell'ondeggiare dei capelli, lasciati sciolti, liberi, non domati né dall'etichetta, né dalla moda.
Un po' come lo era lei.
Non domata…
Erano trascorsi nove mesi e per assurdo, quell'esile pertugio s'era rivelato dalla visione della buffa e tonda guancia d'una neonata, Madame Royale, e lui, osservando il colonnello, lei lì, assorta alla visione della bambina, aveva finalmente intuito quella specie di accordo dell'anima, segreto e inconfessabile che può nascere nel cuore di una donna alla visione d'un neonato.
Non aveva mai pensato al Colonnello Oscar François de Jarjayes nell'accezione di madre e, semmai un giorno gli sarebbe accaduto d'accostarsi a lei, anche la visione di lei, madre, non avrebbe affatto sfigurato.
Un giorno…
Così s'era dipanata la questione ma, di nuovo, mai si sarebbe immaginato, il Tenente Victor Clement Girodel, di ritrovarsi in quella locanda, proprio quella.
Sulle prime aveva pensato che la strada da Versailles a Parigi avrebbe condotto a Fabourg Vaugirard, il primo quartiere che s'incontrava, ancora piuttosto selvaggio e incolto, dove i parigini più facoltosi avevano deciso di trasferirsi per sfuggire all'olezzo e al sudiciume della città.
Poi però aveva intuito il percorso.
Aveva tentato di osteggiare la scelta.
Aveva proposto la locanda de Les Séraphins, nelle vicinanze de La Caserme des Gardes Françaies, un ameno bistrot che serviva ottima carne arrosto, intinta in sapienti legature di brodi e fegatelli.
Nulla da fare.
S'era zittito, che insistere avrebbe indisposto la sua accompagnatrice, dopo che quella gli aveva riservato un'occhiataccia silenziosa.
À samedi prochain…
23, Rue Vivienne, Paris…
Poco dietro Palais Royal…
Che lì, poco distante, si trovava la Salle du Palais Royal, uno dei pochi palcoscenici cittadini blasonati, fin a poter ospitare cortigiani d'alto lignaggio e persino i reali di Francia.
Un respiro fondo…
À samedi prochain…
23, Rue Vivienne, Paris…
La scelta del luogo non poteva essere casuale.
Il luogo non era poi così malfamato e tragico come si sarebbe potuto immaginare.
Il Tenente Victor Clement Girodel si tolse il tricorno, entrando, e corse con lo sguardo alla comare ch'era intenta a raccogliere le comande dei commensali.
La gentaglia non era d'infimo rango, per lo più commercianti, lo s'intuiva dal vestiario rigorosamente scuro, grezzo, ma non di cattiva fattura, bottoni d'osso e non d'argento, maniche della camicia relegate all'interno del polsino della giacca.
Che i commercianti rischiano d'impigliarsi il pizzo ovunque, che sono sempre indaffarati con pesi e pacchi e forbici e cordame e dunque non se lo possono permettere il vezzo di vestirsi come chi il lavoro non sa nemmeno cosa sia, ossia quei nobili la cui massima occupazione è proteggere la famiglia reale, gravitare attorno all'orbita dei loro bisogni, necessità e capricci, tenere saldo il groviglio di poteri e status, così che la Francia non finisca per sgretolarsi come argilla mal lavorata e cotta al sole caldo dell'equatore.
Per essere servitori del re occorreva distinguersi dal resto del popolo, anche dal pizzo leggermente strabordante d'una manica.
Lì, dunque, in quel luogo, non v'erano nobili, nonostante si fosse in prossimità di Palais Royal, che i nobili appunto preferivano le tiepide stanze della piccola reggia di città, i corridoi istoriati d'arazzi e armature, le maniere civettuole delle sciantose di primordine e non quelle che si sarebbero potute trovare lì…
À samedi prochain…
Era pressappoco l'imbrunire.
Il cicaleccio dei commensali intorbidiva l'aria un poco fumosa così come i pensieri e i gesti meno impostati e più sciolti.
Un respiro fondo…
Un'occhiata veloce…
Madame La Croque** s'arrestò nell'istante in cui, avvicinandosi al tavolo scelto dagli ospiti appena entrati, vide uno dei due, inaspettatamente, alzarsi andandole incontro.
Impassibile la donna fece un sobrio inchino, impercettibile, e anziché osservare l'ospite che s'era alzato, rimase con lo sguardo a quello ch'era ancora seduto, un ufficiale altero e silenzioso, snello e lieve.
Se non fosse stato per l'uniforme, le mostrine, la sciarpa annodata alla vita…
Madame La Croque scrollò le spalle, allungò il collo sinuoso e libero, avendo però l'accortezza di non esibire con troppa sfacciataggine il decolté, di fronte all'ospite che attendeva severo ch'ella gli rivolgesse l'attenzione e anche la parola.
Un cenno…
La geometria dei gesti fu rapida e discreta.
Il Tenente Victor Girodel chiese quali tipologie di vino avrebbero potuto gustare quella sera, lui e il suo gentile ospite.
E Madame La Croque elencò alcune annate di pastosi e intensi rossi oppure d'aggraziati e gioiosi bianchi.
La trattativa a poco a poco prese a scostarsi in un angoletto, proprio accanto a una severa botte un poco ammuffita e scura, su cui stazionavano svariate caraffe e alcune bottiglie ancora ben chiuse.
"Dunque…".
"Dunque monsieur…è come v'ho già detto l'altra sera e due settimane fa…e il mese scorso e il mese ancora prima e…via dicendo! Vi dico che quella non c'è più! Qui no di sicuro…e l'ho fatta cercare, come vossignoria m'ha comandato, in lungo e in largo…".
L'espressione dell'altro, scura, non tradì alcuna commozione o moto di pietà. Se si chiede d'una persona e quella persona non si trova o s'è contenti perché è un bene o ci si dispera perché è un male.
Vallo a sapere…
"Se n'è andata…oppure si sarà gettata nella Senna!" – concluse Madame La Croque indicando una bottiglia di rosso – "Ma non l'hanno trovata neppure lì! Forse è rimasta impigliata nelle reti e i topi…quelle bestie immonde se la saranno divorata senza lasciarne nemmeno un ossicino!".
Scenario raccapricciante, di chiunque si stesse parlando.
Annuì Victor Girodel, senza dare a intendere se fosse stato un bene o un male, tornandosene al tavolo e stirando leggermente le braccia prima di sedersi.
L'interlocutrice sollevò lo sguardo, severo anch'esso, silenzioso, mentre anche lei aveva preso a guardarsi attorno, come per cercare…
"Hai scelto?" – soffiò quasi esausta.
"Oui! Avevi ragione…ottime annate e di certo vini assolutamente dignitosi…" – convenne Victor fingendo distrazione nell'ammirare il variegato popolino che animava il chiacchiericcio di sottofondo, così come incredulità che la sua avversaria conoscesse un luogo simile.
Che lì, in quel momento, per una manciata d'istanti e chissà per quali recondite ragioni, Oscar François de Jarjayes era divenuta avversaria.
"Conosci un luogo del genere…" – esordì alla fine l'uomo per spezzare il silenzio che aleggiava severo al tavolo, dopo che la comare aveva servito la bottiglia aperta e versato un abbondante sorso di Borgogna sapientemente arieggiato così da sprigionare aromi intensi e veritieri – "Intendo…ci sei stata ancora prima d'oggi?".
Era difficile chiacchierare con l'altra.
Per quanto avesse detto e fatto, era impossibile per Victor Girodel, non anteporre la propria visione del mondo a quella di lei.
E per quanto lei fosse Oscar François de Jarjayes, lei era una donna, e una donna che conosceva un simile luogo…
"Solo una volta…di ritorno da una visita di Sua Maestà da le Théâtre du Palais-Royal. Rammento fosse stata rappresentata l'Orphée et Euridice. Avevo suddiviso le guarnigioni e noi siamo stati gli ultimi a lasciare il teatro dopo che la carrozza reale aveva fatto rientro a Versailles…".
Spiegazione ovvia ma non tanto ovvia, ch'era difficile immaginarsi che la carrozza reale non fosse stata scortata dal Colonnello delle Guardie Reali.
"Sì, ora rammento…nemmeno io me ne sono andato subito…" – ammise Girodel sornione. Gl'interessava sapere ma non voleva esporsi.
"Ci siamo fermati qui…" – concluse Oscar, il primo sorso di vino, lo stomaco che accoglieva la mistura e comunicava al cervello e ai sensi lo straniamento indotto dall'alcool.
Che però poi il cervello iniziava a mettere assieme immagini e voci e ricordi, secondo un ordine niente affatto gradito né alla logica né al cuore.
Un respiro fondo…
Anche Oscar François de Jarjayes, nei mesi successivi alla svolta ch'era stata imposta forzatamente alla sua vita aveva avuto modo di pensare a ciò ch'era accaduto.
Il cuore balzò all'indietro, d'improvviso…
Erano trascorsi quasi nove mesi…
Cosa dovrei fare!?
Minacciare con la spada tutti quelli che sparlano di loro?! Accecare gli occhi di quelli che li fissano?!
Potrebbe essere una buona idea! Facciamo un tentativo?!
La chiosa strappò un sorriso di sprezzo.
Ora, a ripensarci, avrebbe davvero potuto farlo.
Così, a spada sguainata, in mezzo alla Sala degli Specchi, nessuno avrebbe sospettato di lei, lei che sempre più spesso s'era ritrovata a osservare il conte, dentro di sé, così intensamente che prima o poi qualcuno avrebbe finito per accorgersene.
Forse Sua Maestà…
Maria Antonietta conosceva il Conte di Fersen, forse meglio di chiunque altro.
Maria Antonietta se ne sarebbe accorta che lei, il Colonnello Oscar François de Jarjayes, lo osservava il Conte di Fersen e, come una ladra, aveva libertà di godere delle sue parole, degli scambi di opinioni, così come esser depositaria, suo malgrado, di quell'amore sospeso e spezzato che mai avrebbe potuto ottenere che uno struggente e malinconico epilogo.
Il Conte di Fersen…
Lo sguardo dell'uomo si fece strada e la guardia mantenuta solitamente alta si ritrovò un poco scalfitta dall'alcool.
"Ho incontrato il Conte di Fersen…" – ammise laconica Oscar François de Jarjayes, tanto che fu la volta di Victor Girodel di stupirsi e sgranare un poco lo sguardo, non si comprendeva se per via che anche un conte – quel conte - avesse frequentato tal genere di luogo, oppure perché in realtà già era circostanza che tutti oramai sapevano.
"Per caso…" – precisò Oscar, mandando giù l'ennesimo sorso di vino.
"Per caso, certo!" – chiosò Girodel niente affatto convinto. Non dell'incontro fortuito di allora, quanto, a quel punto, del fatto che lì, in quel frangente odoroso di vino e fumo e chiacchiere scurrili, ci fossero finiti non più casualmente.
In quel luogo, in quella locanda, quella sera Oscar François de Jarjayes aveva incontrato il Conte di Fersen, forse per un puro caso dal momento che nemmeno l'uomo aveva scelto di rientrare dopo aver assistito al dramma del povero Orfeo che tradisce Euridice, perché in fondo d'un tradimento si trattava.
Lo stesso dramma a cui avevano preso parte la regina e il re.
Lo stesso dramma in cui, ora Oscar François de Jarjayes lo rammentava, Sua Maestà la Regina Maria Antonietta non aveva fatto altro che osservare, per tutto il tempo, persino a palcoscenico rischiarato dalle torce, il luogo ove era seduto il Conte di Fersen, in solitudine.
E l'altro aveva fatto altrettanto, osservare verso il palco ove era seduta Maria Antonietta, accanto al sovrano.
Oscar François de Jarjayes a poco a poco aveva iniziato a comprendere.
Era stato allora che aveva maturato la decisione di parlare con Fersen e chiedergli di lasciare la Francia.
A quanto pare la lontananza non era servita a molto e l'uomo era stato costretto a mettere ancora più spazio tra sé e la donna che amava e ancora più tempo tra sé e quell'amore impossibile.
Quella sera…
Allora, Oscar François de Jarjayes non sapeva ancora d'avere una spina nel cuore.
Era rimasta sorpresa, mentre il conte era stato capace d'ammansire la propria malinconica solitudine, ammantandola d'altrettanta sorpresa per l'insolito incontro.
Quella spina aveva iniziato a stillare l'insistente senso d'angoscia di ritrovarsi innamorata d'un uomo, quell'uomo.
E adesso…
Era finita lì, in quella dannata locanda, alla ricerca d'un istante…
Erano trascorsi quasi nove mesi.
Nessuna tragica notizia dal fronte, nulla che avesse indotto la fine della speranza.
Eppure…
Il battibecco di quel pomeriggio piovoso…
Il ricordo ripiombò i sensi all'indietro, ancora più indietro, parole che adesso rimbalzavano come sospinte da invisibili correnti e a poco a poco, attratte l'una dall'altra, prendevano a unirsi e poi a separarsi di nuovo in un insistente ma vago susseguirsi di pensieri e ragionamenti.
In quel luogo, come in tanti altri luoghi c'era giunta assieme ad André.
André era assieme a lei, com'era stato sempre.
Come sempre…
Nell'istante rammentò cosa era accaduto quando avevano incontrato Fersen.
Nell'istante rammentò che André aveva preferito non unirsi a loro ma alzarsi e sedersi un poco più appartato, lontano, come avesse inteso lasciar loro la possibilità di parlare e parlarsi.
Ammise, Oscar François de Jarjayes, di non avere, allora, fatto troppo caso al gesto. Ora invece esso acquistava un'indefinita sfaccettatura e lei intuiva d'essere stata sconfitta, d'aver perduto istanti preziosi per comprendere ciò che adesso stava tentando disperatamente di ricostruire.
Dunque s'era ritrovata ad amare Fersen.
E adesso…
Era finita lì, in quella dannata locanda, alla ricerca d'un istante di lui…
Non del conte, non Fersen…
Non stava cercando lui, bensì l'altro.
André Grandier…
Che l'altro era lì, sulle labbra.
Esse erano fredde e poi d'improvviso, al ricordo del bacio impresso, parevano animarsi e intiepidirsi, come trattenute per il tempo d'un fugace palpito che bucava il cuore.
E quel dannato bacio non faceva che pungere a rammentare ciò che lei non era riuscita a comprendere prima della partenza dell'altro e che non era stata capace di comprendere neppure dopo.
André Grandier aveva opposto ragioni vaghe alla sua partenza, la prima e più forte di tutte, la brava giovane di cui s'era invaghito non avrebbe dovuto subire l'onta del nome sporcato da un amore impossibile.
Il Generale Jarjayes era stato informato e aveva plaudito all'intento del servo di proteggere il buon nome della giovane e al contempo la famiglia Jarjayes, che anche se André Grandier era un servo – e proprio perché lo era – faceva parte dell'aggrovigliato familiare e non sarebbe stato opportuno associare il nome del servo a uno scandalo.
Nanny era stata informata ma solo un poco…
Aveva pianto nanny, ancora di più quando Oscar era tornata da Brest, rivelando d'aver veduto André e d'esser riuscita a consegnargli le preziose camicie.
Quel bacio…
Chi era quella donna?
Quella-donna!
Era accaduto tutto dopo ch'era rientrata da Brest.
Oscar François de Jarjayes era tornata in cerca di Amalie Jenevieux, la giovane sguattera giunta a Versailles, sbucata da chissà dove, figlia della dannata città che abbraccia i poveri malcapitati e ingenui viandanti della campagna, per succhiar loro anima e corpo e poi, una volta ch'essi divengono inutili, risputarli nell'oblio della zozza miseria.
Chi non ha nulla, non è nulla.
Qualcuno s'era preso la virtù della giovane, qualcuno l'aveva usata e poi abbandonata, lei e la figlia Victorie che aveva poco più di tre anni, che sapeva balbettare che poche parole e dunque era difficile comprendere quando fosse nata, forse solo estate o inverno, con i narcisi oppure i pungitopo.
E la giovane, pur nel muto silenzio che l'avvolgeva, giorno dopo giorno, aveva iniziato ad accettare l'aiuto di quell'ufficiale lieve e severo.
Un aiuto discreto e sobrio.
Una pagnotta, un paio di calzette per la piccola Victorie, un pugno d'uvetta, un dolcetto abbandonato sui numerosi piatti della colazione. E poi il privilegio d'una passeggiata, al mattino, prestissimo, prima ancora che si svegliassero giardinieri e fontanieri, mentre Victorie dormiva beata nel letto della mansarda della famiglia Jarjayes.
Quando era nata Madame Royale, Amalie Jenevieux aveva gioito, lo sguardo s'era illuminato di speranza e le mani s'erano torte l'una contro l'altra, nervosamente, come a tentare di trattenere un pensiero, a cui la gioia aveva dato aria e sfogo, e che sarebbe anche potuto sgusciar fuori dalla bocca, per alleggerire la coscienza e rivelare il segreto.
E non sarebbe stato bene.
Avrebbe voluto immaginare che un giorno la piccola paffuta e lieve sarebbe anche potuta diventare regina. Chissà, una giovane regina forse avrebbe fatto tanto e meglio dei secolari re, maschi, che l'avevano preceduta.
E la visione aveva indotto speranza e la speranza aveva indotto a rivelare il marcio che pareva via via allontanarsi dall'esile vita di Amalie Jenevieux.
Ma poi no, le era stato detto che in Francia solo i discendenti maschi possono diventare Re e allora Amelie Jenevieux si era detta che la buffa neonata in fondo era come la sua Victoire.
L'una ricca e l'altra disperata ma in fondo di nessuna importanza e valore per alcuno.
Poi però, le dita s'erano slacciate, ch'erano spesso tagliate, per via delle montagne di pommes de terre che la sguattera si ritrovava a pelare e per via delle oche ch'era costretta a spiumare, che poi le piume andavano raccolte, lavate, asciugate e ficcate dentro cuscini e coperte.
La giovane Amalie Jenevieux, a testa bassa e sguardo a terra, un passo più lungo dell'altro, era tornata ai suoi doveri, rimuginando il pensiero.
Oscar François de Jarjayes non le aveva domandato più nulla forse perché aveva compreso che ove fosse riuscita ad inculcare nell'altra la fiducia, allora grazie a quella, l'altra avrebbe rivelato qualcosa di sé.
Oscar François de Jarjayes aveva iniziato ad affezionarsi alla giovane Amalie Jenevieux e aveva ammesso che l'iniziale smania di sapere, dettata dallo smacco d'essere stata messa da parte dalla scelta di André - così che davvero aveva pensato che André si fosse innamorato di una giovane e che per via di quell'amore non corrisposto lui se n'era andato - si era a poco a poco declinata nel desiderio d'esser comunque d'aiuto alla sfortunata Amalie.
E poi André aveva detto che la donna – quella-donna - era nobile.
Amalie Jenevieux, per quanto lieve, docile e graziosa, non era nobile.
Erano trascorsi quasi nove mesi…
Amalie Jenevieux non aveva mai mancato di ringraziare Oscar François de Jarjayes per la compassione dimostrata verso di lei e verso la piccola Victorie.
Era accaduto qualche volta, dopo una giornata di duro lavoro, dopo che Oscar passava a farle visita, fuori dalle cucine, da cui la piccola cuoca riemergeva come dall'antro di Efeso, che la bocca di Amalie si fosse mossa, muta, a mimare un discorso importante, lì lì per rivelare quella verità che pure Oscar sapeva essere nascosta nel fondo dell'animo dell'altra, coperta dal velo spesso della vergogna, seppellita sotto la coltre oscura delle maldicenze.
Non era mai accaduto.
Erano trascorsi quasi nove mesi…
Amalie Jenevieux aveva continuato a recarsi nella piccola mansarda, su, all'ultimo piano della reggia.
Fino a una sera, gli occhi lucidi, il volto rosso, quando s'era gettata in ginocchio afferrando una delle code della giacca dell'uniforme, come fosse stata una Maddalena di fronte al Salvatore.
Doveva lasciare la Reggia…
Era accaduto altro e lei non poteva restare.
Nessuna spiegazione, solo singhiozzi…
Oscar François de Jarjayes era stata insolitamente dura eppure insolitamente dolce.
Il fatto che André non fosse coinvolto l'aveva sorprendentemente resa più libera e contemporaneamente più coinvolta. Avrebbe voluto aiutare Amalie.
Altre sguattere, l'aveva compreso da nanny, non sarebbero state necessarie a casa Jarjayes e dunque Amalie avrebbe lasciato Versailles, dov'era rimasta sino ad allora silenziosamente laboriosa nelle cucine o nelle dispense dove s'aggirava con discrezione e leggerezza.
Amalie Jenevieux, se non fosse stato per la voce trillante della piccola Victorie, che spesso la precedeva o la seguiva, quando l'altra si muoveva veloce e scaltra tra gli scaffali della dispensa e la carbonaia, si sarebbe detto fosse in realtà una sorta di statua di sale o pietra o una bambola di stoffa.
Che è accaduto…
Nulla! Devo andare via!
Se non è accaduto nulla perché devi andartene? Comprendi che non ha senso ciò che dici!? E se davvero fosse accaduto altro…
Oscar l'aveva guardata, sollevando il mento, fissandola per far comprendere all'altra che non aveva senso prendere in giro nessuno. Né lei, né se stessa.
E se fosse accaduto altro di grave te ne saresti andata e basta! Non saresti venuta da me a piangere e a dire che devi andartene!
Sono una sciocca!
Sì, stavolta devo ammettere che sei sciocca! Perché dovresti andartene?
No, non ha senso che ve lo spieghi!
Se non me lo spieghi debbo dedurre che non ti fidi di me!?
Mi fido invece!
Allora spiegati!
Era seguito un lungo silenzio, i singhiozzi ricacciati in gola, mentre la piccola Victorie allungava un fazzoletto alla giovane maman Amalie e strofinava il viso dell'altra.
Amalie Jenevieux aveva stretto la stoffa della coda dell'uniforme, come avesse voluto strapparla, come avesse voluto restare lì, per sempre.
Non parlava Amalie, forse per vergogna, forse perché non era giusto…
Qualcuno…sta cercando di farti del male?
Gliel'aveva chiesto Oscar, come ultima soluzione all'assurdo strazio.
Conoscete un uomo che si chiama André…André Grandier?
Il caro nome aveva raggelato il sangue…
Mi avevano detto che l'avrei trovato a Versailles…l'ho cercato tanto in questi mesi. Avevo sperato d'incontrarlo…ma…ho saputo che è partito…
Le parole sgusciate dalla bocca di Amalie erano risuonate nella testa, attingendo la gola come il morso d'una bestia feroce, stringendo lo stomaco come il laccio d'una tagliola.
Quel nome, esattamente quello…
Erano trascorsi quasi nove mesi.
Oscar François de Jarjayes non aveva mai chiesto nulla all'altra dopo le scarne conversazioni occorse quando s'erano conosciute, dopo la singolare coincidenza della partenza di André dalla Francia e la conoscenza di Amalie Jenevieux giunta a Versailles.
Da quando?
Non aveva chiesto più nulla. Non ne aveva avuto modo. Non ne aveva avuto il tempo. Non l'aveva fatto.
Forse davvero aveva temuto…
Forse davvero a quel punto era mancato il coraggio che non mancava mai…
Perché le accadeva di perdere il coraggio quando c'era di mezzo André?!
Con lui tutto era sempre stato geometricamente corretto, normale, quasi prevedibile.
Dunque era forse la crescente imprevedibilità di ciò che via via avvolgeva la figura dell'altro a suscitare debolezza, perdita d'orgoglio, insana mistura fatta di smania di sapere e d'insofferenza di sapere e di rifiuto di sapere!?
Dopo ch'era tornata, dopo che André le aveva rivelato che la donna di cui s'era innamorato era nobile, aveva scartato la possibilità che quella donna fosse Amalie Jenevieux.
Ma era stata proprio Amalie Jenevieux che aveva pronunciato quel nome, il suo nome, dunque un nome conosciuto, un volto che lei aveva già visto ma di cui non aveva mai voluto rivelare nulla.
Oscar François de Jarjayes si era sentita sprofondare.
Aveva ammesso, prima ancora di sapere altro, che lei era vissuta così, senza sapere nulla.
Aveva ammesso che, dopo la partenza dell'altro, i pensieri avevano preso a rincorrere la sua immagine, i suoi gesti, i suoi silenzi, persino i momenti in cui André non c'era, finito chissà dove, come era accaduto sempre più spesso negli ultimi tempi.
Ecco, erano state quelle assenze a pesare sempre di più.
Ma se André avesse mai conosciuto una donna…
Perché non rivelarglielo?
Perché non ammettere d'essersi innamorato?
Perché…
La mano s'era posata sul capo dell'altra. Ormai la conosceva da mesi e l'istinto aveva dettato il gesto. In esso celato il dubbio che quel gesto fosse appartenuto ad altri, a lui, ad André.
Oscar s'era immaginata che semmai André avesse amato una donna, l'avrebbe fatto con gentilezza, con onestà, con animo severo ma impavido.
Ora…
Conosci André?
Gliel'aveva chiesto, Oscar François de Jarjayes, all'altra, se l'avesse conosciuto André. Aveva rammentato la prima volta in cui l'aveva conosciuta…
Sono una donna a dispetto dell'uniforme che indosso…
Che Amalie era quasi sbiancata…
Che non era parsa stupita del fatto che l'altra fosse una donna…
Siete voi?!
Mi conosci? Qualcuno ti ha parlato di me?
Aveva negato Amalie, un poco spaventata…
Dunque, l'insolita reazione ora tornava a galla e così Oscar le aveva chiesto se davvero l'aveva conosciuto André. Se era stato lui a parlarle di lei.
Poteva essere stato chiunque altro ma ora, lo stupore d'averla incontrata, unito allo stupore generato dal nome di André, proprio André Grandier, sgusciato dalla bocca dell'altra, non potevano non deporre per una conoscenza.
E ora che André non c'era più, che non era lì a prendersi un'occhiataccia di rimprovero oppure un gelido silenzio, la solitudine, amara compagna ch'era era tornata a colmare gli spazi e il tempo, a consumare la coscienza, come un tarlo consuma il legno, s'era fatta sentire, emergendo prepotente, così come al nome emerso era seguito un grido silenzioso.
André…
Il nome ripetuto piano, ingoiando la foga di chiedere subito tutto, che l'altra si sarebbe spaventata…
Lo conosci?
Non aveva osato proseguire, non aveva osato chiedere…
Conosci André?
E' lui che…
André è stato buono con me…
André…ma come…dove l'hai conosciuto?
I pugni stretti, Oscar s'era morsa il labbro…
Io…non…
Chi è André per te?
Amalie Jenevieux non era apparsa da subito giovane particolarmente intelligente. Ingenua forse, poco avvezza a ragionare per presupposti da cui dedurre conseguenze e gesti.
Quel giorno…
Aveva negato Amalie Jenevieux…
Non posso dire altro, non posso dire niente. Devo andare via!
Che Oscar François de Jarjayes l'aveva afferrata per le spalle, l'aveva stretta, forse addirittura strattonata.
Niente non sarebbe stato più sufficiente! Oscar François de Jarjayes era stanca dei niente che aveva raccolto in quei lunghi mesi di silenzio.
Perché me lo stai chiedendo adesso?
Sono passati molti mesi da quando sei giunta sin qui…perché non me l'hai chiesto subito?
E l'altra aveva ripreso a piangere
E piangeva talmente forte che pure la povera Victorie s'era spaventata e aveva iniziato a piagnucolare…
Va bene! Ti farò andare via da qui! Troveremo un luogo sicuro ma in cambio dovrai dirmi come fai a conoscere André! Dovrai dirmi quando l'hai conosciuto e perché sei venuta a Versailles a cercare proprio lui.
Ecco…
Amalie Jenevieux non era mai apparsa giovane particolarmente perspicace. Forse non lo era davvero. Forse aveva davvero paura.
Che però quella aveva annuito e all'istante aveva allargato le braccia e aveva stretto il corpo dell'altra in un abbraccio straziante. E così aveva fatto Victorie, imitando la madre, abbracciando la gamba di colei che prima aveva fatto piangere maman ma poi, chissà che doveva aver detto o fatto, l'aveva consolata e tratta in salvo.
Amalie Jenevieux si trovava al Petit Trianon adesso.
Su richiesta di Oscar François de Jarjayes, la giovane era stata presa sotto l'ala protettrice del primo cuoco che governava pranzi e cene e merende della regina e dei suoi ospiti.
Ed erano finite, lei e la mocciosa, alloggiate in una delle stanzette piccole e riscaldate della nuova residenza, destinate alla servitù.
Si sarebbe occupata dell'orto, delle oche, delle anatre e dei cavallini della fattoria.
Avrebbe cambiato le lenzuola e stirato i vestitini di Madame Royale.
E la piccola Victorie non avrebbe corso il pericolo d'essere ingoiata dalla reggia di Versailles.
Oscar François De Jarjayes era seduta lì, adesso, a le À samedi prochain.
Era arrivata fin lì per comprendere, sapere.
I brandelli stracciati d'una vita reietta, che non interessava a nessuno, si ricomponevano entro un disegno di parole e lacrime.
Voi…vi ho giudicato male! Siete perfida! Come potete insinuare…
Amalie Jenevieux! Non vi conosco e non vi giudico. Ma se questa è vostra figlia e voi siete arrivata fino a Versailles con lei - ben sapendo che giovani come voi, con un figlio, al più possono beneficiare degli avanzi di pietanze che vengono distribuite ai mendicanti ma non certo aspirare ad un lavoro nelle cucine – non posso che dedurne che l'avete fatto per un altro scopo. Avete accettato il mio aiuto e avete dato l'impressione di conoscermi…dunque…perché tenere tutto sotto un'inutile coltre di mistero!? Ditemi la verità…forse potrò aiutarvi a trovarlo…fatelo per vostra figlia…il padre di Victoire è davvero morto? Oppure sei venuta a cercarlo? Se sai chi è…
Non lo so…
Non lo sai…
E se poi me la portano via?
Victorie!? Perché dovrebbero portartela via?
Quanti anni ha Victorie?
Tre…quasi…
Si…e tu…
Io…venti…
Dunque è accaduto quando avevi diciassette anni…la piccola sa poche parole…pare una bambina di due…come mai? Io non ne so molto sui bambini…ma…
E' colpa mia! Io non so leggere, non so scrivere…sono una povera ignorante! Non lo so chi è il padre di Victorie! Non lo so perché io ero…
Eri…
Dite pure ch'ero una poco di buono! Non avevo di che mangiare e quello era l'unico modo per vivere!
Dunque è così…
Avevo trovato una stanza a Parigi e stavo lì…una sera ero uscita per recuperare qualche foglia d'insalata…quelle che buttano via al mercato…ma era già tutto finito. Les Halles era deserto…i poveri a Parigi…siamo tanti…avevo fame…e vagavo per le strade…e avevo fame…e…e mi hanno detto ch'ero bella e se avessi voluto…mi hanno detto che mi avrebbero dato da mangiare e un letto per dormire...mi sono fidata! E sono...
Che vi importa? Se volete saperlo solo per giudicarmi?!
Io non giudico te ma chi ti ha usato...
Usato? Io sarei stata usata? Vi farebbe comodo pensare che sarei stata usata?! Così da lavarvi la coscienza e dire a voi stessa ch'è un bene esserci incontrate?! Così potrete essere ancor più caritatevole...
E se vi dicessi che io invece stavo bene?! Che mi piaceva dare ciò che altre donne non sanno offrire?
Che importanza ha...amare?! E' accaduto…dopo la prima volta…se hai fame…tutte le volte sono uguali…dunque io non lo so chi è il padre di Victoire…
Conoscerai almeno il volto di questa persona…
Non lo so che faccia ha!
Cosa? Ma se…
Vi prego…basta…è accaduto…
Dove sei vissuta a Parigi?
Dunque è stato un caso se sei giunta fino a Versailles?
Perché allora sei venuta alla reggia? Perché sei venuta proprio qui? Se stai cercando quella persona…potrebbe essere ovunque…e se non sai nemmeno che faccia ha e neppure come si chiama…
Nelle cucine...ho compreso che mi conoscevi...
Sono Oscar François de Jarjayes…puoi fare il mio nome…e se qualcuno avrà qualcosa da obiettare digli pure di venire a conferire con me!
Voi…siete…voi…
Che cosa sai di me?
Nulla…
Chi ti ha parlato di me? Conoscevi già il mio nome!?
Monsieur…tutti…tutti sanno chi siete!
Ho sbagliato lo so! Ma ho pensato che se questa persona non voleva far sapere nulla di sé…ho pensato che fosse una persona importante…e se aveva avuto pietà di me…
Potrebbe essere che sia qui, alla reggia? Potrebbe essere un nobile!?
Sei sicura di non rammentare nulla? Tu sai chi sono...chi te lo ha detto?
Era gentile…
Cosa? Ma come fai a dire che era gentile se non rammenti neppure la sua faccia? Come avrebbe fatto…
Come faccio…come faccio?! Non lo so!
Ti ha preso con la forza?! E tu dici ch'era gentile?".
Serrato interrogatorio…
No! Non volete capire! Me ne vado! Non accetterò un solo granello di sale da voi!
Vi piacerebbe se ammettessi d'esser stata presa con la forza! Così davvero...pensereste a me come una poverina che non ha avuto scampo e invece...
L'incredibile racconto di Amalie Jenevieux sulla vita ch'era scorsa prima di giungere a Versailles.
Le stranezze poi non così strane, visto che la triste esistenza di Amalie avrebbe potuto assomigliare alla triste esistenza di tante altre giovani che abitavano a Parigi.
Poi il racconto s'era inspessito, divenendo crudo e ruvido, severo, oscuro.
In cambio dell'ospitalità al Trianon, in cambio della salvezza da chissà quale pericolo, Amalie Jenevieux aveva accettato di spiegare, seppur a fatica, seppur controvoglia.
Mi ha chiamato…da una carrozza…mi ha chiesto se volevo stare con lui…se avessi avuto una stanza mia…e io ho detto di sì…
Aveva preso a tremare Oscar François de Jarjayes.
Il racconto del tutto simile a mille altri, eppure la trama aveva come protagonisti personaggi che lei conosceva o che credeva di conoscere.
Mi ha detto di precederlo e poi…è accaduto…la prima volta…non ho pianto, non ho gridato…è stato buono con me…mi ha detto che si sarebbe fermato se avessi sentito troppo dolore…e io l'ho sentito…il male…ma ho stretto i denti e l'ho lasciato fare…e poi…
Oscar François de Jarjayes era rimasta zitta. Il racconto, intercalare tra singhiozzi asciutti e smorfie di disprezzo.
Un uomo gentile…
Un uomo gentile alla fine di tutto.
Anche quell'esile brandello di gentilezza stremava il cuore, ch'era difficile trovare, a Parigi, uomini che avessero chiesto incontri del genere, con gentilezza…
E poi è tornato ancora…veniva a trovarmi spesso…ma non voleva farsi riconoscere…voleva che fosse sempre tutto buio. Nessuna candela, nessuna torcia, nulla di nulla! Ogni oggetto sempre nello stesso posto, le lenzuola sempre le stesse…e tutto doveva essere sempre buio. Mi prendeva…ma non voleva che lo guardassi in faccia…e…poi…
Il respiro trattenuto…
Un uomo gentile che non voleva farsi riconoscere…
Quando ho scoperto di attendere un figlio…gliel'ho detto…e lui…
Amalie aveva sollevato lo sguardo all'altra che l'aveva guardata.
Oscar François de Jarjayes era rimasta ad ascoltare senza fiatare, senza interrompere, rimuginando ogni particolare, per carpire da ogni particolare se esso, ciascuno di essi, fosse frutto d'una scelta dettata da una coscienza che lei conosceva, che lei avrebbe dovuto conoscere.
Era André quell'uomo?
Lei aveva pensato di conoscere André…
Era André quell'uomo?
Perché Amalie Jenevieux era giunta fino a Versailles per cercare proprio André?
Quando gliel'ho detto…m'ha fatto giurare di non dire a nessuno che attendevo un figlio. Mi ha detto che me l'avrebbe fatto portare via…e che però se avessi taciuto mi avrebbe aiutato…e io ero sola e ho accettato. Quando è nata Victorie…
Il ricordo s'era arrestato sempre alle stesse considerazioni, scogli insormontabili.
Ma tra quegli scogli ve n'era uno meno aguzzo degli altri, quasi una sorta di pietra piana, poggiata sul fondale basso dell'oceano a cui il naufrago stremato avrebbe potuto aggrapparsi e sopravvivere.
Come hai fatto a sopravvivere? Possibile…
Ve lo ripeto! L'ho messa al mondo…l'ho allattata…in silenzio…al buio…ecco perché Victorie sembra…più piccola…non ha mai parlato con nessuno…non ha mai visto nessuno. Conosce solo me…e facevo in modo che lei non mi disturbasse quando arrivavano le persone per…vi prego…basta!
Vorrei crederti…è difficile immaginare che tu sia riuscita a mettere al mondo una figlia e a sopravvivere…
Una piccola breccia s'era aperta allora…
Qualcuno arrivava fin sulla porta e lasciava un cestino di frutta, pane, farina…qualche soldo…e io sono vissuta così!
Cosa? Chi era?
Non lo so…
Come…
Non lo so! Poteva essere chiunque…qualcuno ch'era stato con me…oppure qualcuno che aveva pietà di me di me! E poi…
Amalie…chi era questa persona?
Non ho mai aperto la porta, non ho mai voluto vedere in faccia questa persona…per timore poi di tradirmi. Se non so niente non posso dire niente a nessuno…io…
Tradirti? Amalie, che significa? Perché allora sei venuta alla reggia? Perché sei venuta proprio qui? Se stai cercando quella persona qui…potrebbe essere ovunque…e se non sai nemmeno che faccia ha e neppure come si chiama…
La breccia era divenuta fessura e poi spaccatura e poi…
Era gentile…
Amalie…avevi promesso che se ti avessi aiutato mi avresti detto come hai conosciuto André…
Era gentile…
L'aveva ripetuto Amalie e Oscar François de Jarjayes aveva percepito, nella gentilezza ripetuta, l'aura dell'altro, la cortesia dell'altro…
André…
Un giorno…qualcuno ha bussato alla porta…ho aperto…c'era un giovane uomo…mi ha detto di chiamarsi André…
Il cuore era imploso al racconto…
Oscar François de Jarjayes avrebbe voluto chiedere se…
Amalie Jenevieux aveva sollevato lo sguardo, severo e diretto, l'aveva lasciato sul volto dell'altra.
Mi ha detto che mi avrebbe aiutato…mi ha trovato un lavoro…in una locanda a Parigi…À samedi prochain…
Il respiro sospeso…
Gli ho chiesto chi fosse e perché lo facesse. Mi ha detto che era giusto così. Che lo aveva fatto in silenzio per tutti quegli anni e che era giunto il momento di mostrare la sua faccia…allora…lui era il padre di Victorie…
No!
Il grido…
Oscar François de Jarjayes, lì, seduta nella seggiola di quella bettola, À samedi prochain, nel cuore di Parigi, sprofondata nell'odioso tepore irradiato dal vino, rammentò che aveva gridato…
No!
Il grido era uscito istintivo e beffardo, nemmeno lei si sarebbe aspettata tanta veemenza aggrovigliata nelle viscere, contro lo scenario, contro la visione di André amante e padre e…
Una realtà altra rispetto a ciò che lei aveva sempre compreso di lui.
Dunque lui l'aveva ingannata.
Non una sola volta ma due.
L'aveva ingannata tacendo la verità!
E l'aveva ingannata affermando che la donna di cui si era invaghito era nobile…
Era…
Come era potuto accadere…
Lei non s'era mai accorta di nulla e lui era stato così abile a nascondere tutto.
Ma perché nascondersi?
Perché non declinare quella conoscenza, lasciare ch'essa fosse venuta alla luce…
Era André l'uomo che aveva sedotto Amalie?
Era André l'uomo che l'aveva presa – amata…forse…forse amata sì al punto che alla fine aveva deciso d'accettare la sua responsabilità aiutando lei e…
André era il padre di Victorie?
Rammentò Oscar François de Jarjayes di aver cercato allora con lo sguardo la bambina che si era seduta in un angolo, facendo rotolare alcune mele piccole e rosse a terra, come fossero state giocattoli. Poi ne aveva afferrata una e l'aveva guardata e aveva sorriso al frutto lucido che forse rifletteva il visetto un poco distorto dell'altra.
Oscar François de Jarjayes aveva iniziato a cercare nel volto della bambina i tratti di André, un possibile vezzo che avesse rammentato il volto dell'altro, seppur declinato nelle fattezze ancora morbide e piene della mocciosa.
Rammentò che se n'era andata disgustata quando aveva ascoltato un'analoga sprezzante conversazione, bisbigliata tra le piume di zozzi ventagli agitati da due dame, che si erano soffermate ad osservare i lineamenti della piccola Madame Royale, sperando di scorgere con disprezzo, qualche tratto che sfuggisse alla somiglianza con il padre, Re Luigi XVI.
Oscar François de Jarjayes se n'era andata ma poi era accaduto anche a lei di pensare e fremere per la stessa infausta ragione.
Victorie…
I capelli castani, gli occhi grandi, scintille dorate a fremere al sole…
Era troppo…
Perché André avrebbe abbandonato quella bambina?
Perché non dire tutto a lei, ch'era sempre con lui e…
No…
Non era vero.
Oscar François de Jarjayes si disse che non era vero che lei e André erano sempre stati vicini.
E non era lui ad aver fallito ma lei.
Lei che, all'assurda confessione, era stata travolta dalla smania di sapere mista alla rabbia di non aver compreso.
La eco dell'incredulità e del rifiuto, la ricerca spasmodica d'una via d'uscita, d'un escamotage che avesse spiegato altrimenti la faccenda, erano via via scemati, per diventare una specie di rombo sordo e lontano, incapace d'impensierire, incapace di tenere i sensi appesi all'inverosimile, schiacciati, i sensi, dalla realtà crudele.
Non ci credeva Oscar François de Jarjayes, non accettava di non essere stata capace di conoscere André fino a quel punto, di riconoscere nei suoi passi e nei suoi silenzi un simile segreto.
E soprattutto…
Quel bacio intenso e fondo bruciava ora, ancora di più, nello scenario devastante d'essere stata in fondo una donna, solo una donna uguale alle altre.
Non la prima e non l'unica.
E perché questo inspiegabile tormento bruciava e scavava persino ancor più dell'altro, di quello che vedeva André amante e padre e…
Amalie Jenevieux era vissuta altrove, fino a quando non aveva messo al mondo Victorie.
La casa ora occupata da altri e chi ci abitava non aveva voluto parlare o non sapeva nulla.
L'unico appiglio era dunque quel luogo, À samedi prochain, crocevia di storie e facezie, osteria di vini buoni ma non eccelsi, ritrovo di commercianti dalle maniche di pizzo, rigorosamente ricacciate dentro i polsini delle giacche ma non di nobili.
Quello dunque era il luogo in cui Amalie era vissuta.
Avrebbe voluto chiedere, sapere…
Era gentile sì!
Tutto ciò che rammentava ora era la gentilezza, come punto di riferimento, fermo e statico, fulcro su cui avrebbe ruotato la ricostruzione dello scenario.
André…
E' André il padre di Victorie?
Non era riuscita a trattenere la domanda.
Amalie s'era richiusa nel suo mutismo.
Di più non sapeva, di più non avrebbe rivelato. Ciò che per lei era stato importante era ricevere aiuto per sé e per la sua bambina.
Quel giovane aveva offerto tutto questo. Quel giovane dunque era il padre di Amalie.
Oscar François de Jarjayes avrebbe voluto sapere e chiedere.
Mille congetture avevano preso a orientare altrettante mille supposizioni.
E, suo malgrado, s'era ritrovata a ragionare…
Come una donna…
Come una donna, fece appello alla sensibilità dell'essere donna, chiedendosi come sarebbe stato possibile non riconoscere il volto di un uomo con cui si era giaciuto, per tanto tempo!?
E come sarebbe stato possibile non riconoscerne la pelle, il contatto della pelle contro la pelle!?
Era stato gentile…
L'aveva presa con gentilezza…
André era stato gentile…
Aveva fatto l'amore con Amalie…
Ma era accaduto davvero questo?
Perché sei venuta a Versailles allora?
Per cercarlo…gli avevo detto che avrei voluto sposarlo…diventare sua moglie. Non importa se non mi avesse amato ma Victorie aveva bisogno di un padre…
Lui è scomparso, non è più tornato, così sono venuta a cercarlo…
Quando?
Domande a raffica…
Tasselli da spingere e provare a incastrare l'uno all'altro, il respiro trattenuto per vedere s'essi fossero combaciati e poi no, tutto all'aria, buttato via, scagliato lontano, alla visione ch'essi combaciano…
Rabbia…
Incredulità…
Dissenso…
Incredulità…
Perch'era tutto così difficile. Per quanto fosse sconvolgente, avrebbe potuto essere un racconto come un altro, una storia come un'altra.
No, però. Era André uno dei protagonisti e nulla in quella storia aveva un senso.
Per Oscar François de Jarjayes quella storia non aveva senso.
No! Non poteva averne uno, nessun senso.
Il perché non potesse avere alcun senso quel racconto…
Aveva negato Amalie Jenevieux, mordendosi il labbro.
Non era dato sapere se fosse giunta a Versailles per cercare André Grandier e l'avesse trovato e quello dunque se ne fosse andato per eludere la responsabilità fonda d'una paternità indesiderata.
E se invece Amalie Jenevieux non avesse trovato nessuno, quale sarebbe stata la ragione per cui André Grandier aveva deciso di lasciare la Francia?
Essere scoperto, essere davvero messo davanti alle proprie responsabilità!?
Amalie Jenevieux aveva semplicemente e banalmente negato…
Non l'aveva trovato…
Ne sei sicura!?
S'era ritratta Amalie Jenevieux, faceva così ogni volta che si sentiva in difficoltà e siccome Oscar François de Jarjayes voleva sapere e aveva compreso quanto fosse difficile cavar fuori dalla bocca dell'altra due parole, aveva desistito, mordendosi il labbro, a sua volta, che avrebbe voluto persino schiaffeggiarla l'altra ma forse sarebbe stato ancora peggio.
Oscar François de Jarjayes si ritrovò sull'orlo del baratro, lì, la mente annebbiata nel vino, assordata dal chiasso fumoso della locanda.
Si ritrovò lo sguardo del Tenente Victor Girodel addosso, silenzioso, come se persino lui non avesse più in animo di parlare o forse avesse compreso che non era più necessario parlare.
Il ragionamento prese a svolgersi a ritroso e s'immaginò allora tutta la questione dal punto di vista di André.
André che abbracciava Amalie, al buio, perché lei non osservasse il suo volto.
André che la stringeva a sé, l'amava…
André…
Le labbra s'erano ribellate allora, morse di smania e rabbia, che quelle labbra, le proprie, André se l'era prese e le aveva accarezzate, dolcemente e lei era rimasta lì, su di lui, in quel bacio d'addio, il cuore trafitto al pensiero di non rivederlo più.
E se invece Amalie Jenevieux avesse mentito e l'avesse trovato André Grandier a Versailles?
André ci aveva parlato con Amalie?
A Versailles era accaduto spesso di non averlo accanto, persino quella sera, al ricevimento in cui lei aveva danzato con Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.
Chissà dov'era finito André. Fino a quel momento non ci aveva mai ragionato e quando anche l'avesse fatto, André poteva essersi rifugiato nelle scuderie, oppure nelle cucine…
Sei sicura di non averlo incontrato?
Se l'avessi incontrato, non sarei qui adesso…forse saremmo sposati…
Il respiro sospeso.
La congettura di Amalie avrebbe anche potuto esser verosimile.
André avrebbe anche potuto aver già una moglie accanto a sé.
Lo scenario, l'incredibile svolta dell'irriguardosa trama, aveva suscitato paura e sospensione al tempo stesso.
Il bacio bruciava…
L'ultimo tocco tra la sua pelle e quella dell'altro…
Forse allora davvero se n'era andato prima che Amalie giungesse a Versailles…
Ma allora perché André avrebbe lasciato la Francia?
Per timore d'essere obbligato a sposare Amalie?
E se invece André non fosse stato il vero padre di Victorie, perché aiutare Amalie e sua figlia, in silenzio, per tanti anni e poi andarsene senza rivelare nulla neppure a lei, alla povera Amalie, abbandonandola di fatto, non una sola volta ma due.
Era gentile sì!
Dunque era possibile amare un uomo, giacere con lui, senza necessariamente rammentarne l'effige, il viso, i lineamenti, i gesti, le parole, la voce…
Perdonami, ma avrai riconosciuto almeno la voce…
No!
Un respiro fondo…
Lo sguardo si posò sulla geometria della finestra. Fuori era buio.
La malinconica discesa dell'ombra che prendeva possesso dello spazio e del tempo e del cuore.
La tranciante ammissione che forse lei non aveva capito nulla.
André non era perfetto.
André non era perfetto e nell'imperfezione, André era puro, come qualunque altro uomo imperfetto.
"Credo sia ora di rientrare…" – abbozzò il Tenente Victor Girodel.
Oscar François de Jarjayes sgranò lo sguardo un poco lucido, come riacciuffata in tempo prima di cadere nel baratro.
Annuì in silenzio e allungò la mano per afferrare il mantello.
L'altro fu più veloce ma questa volta scorse un moto di rassegnazione forsanche di consenso da parte della donna che s'era alzata in piedi.
Osò Victor Girodel, avvicinandosi, appoggiandole il mantello sulle spalle, mentre lei afferrava le cordelle per chiuderlo.
Nell'istante anche le dita dell'altro scorsero a sistemare i lacci e dunque le mani si sfiorarono e Victor Girodel colse il lieve battito della pelle, muto, serico, tiepido.
Non pensò a nulla, né che avrebbe dovuto ritrarre la mano, né che avrebbe voluto indugiare e lasciarla lì.
Rimase lì…
Osò…
Oscar rimase lì, anche lei, il cuore a pezzi, la mente distrutta dalla rappresentazione spezzata ch'era scorsa nella serata silenziosa e torbida.
"Grazie…" – mesto.
Victor osò, ancora. Afferrò la mano, strinse le dita, le tenne lì, ferme, senza compiere nessun altro gesto che tenerle lì, ferme.
Oscar François de Jarjayes rimase lì, colpita dal susseguirsi delle parole della giovane servetta.
Amalie Jenevieux aveva ammesso di non sapere se la voce di André Grandier fosse stata davvero quella dell'uomo che lei aveva amato, tre anni prima, il padre di Victorie.
Amalie Jenevieux poi era arrossita, ammettendo un vago particolare, un vezzo dell'altro che forse le era rimasto impresso.
Rammento solo che aveva i capelli un poco lunghi…
Cosa?
Si, quando l'abbracciavo i suoi capelli arrivavano alle spalle, forse un poco più giù e nel buio, m'era capitato di scostarli, per accarezzargli la faccia. Ma io la sua faccia non la vedevo…
Altre parole allora riemersero…
Strano…sapevo che i soldati non possono tenere i capelli lunghi…
Ci è stato consentito…a patto di tenerceli in ordine…nessuno li vuole i pidocchi a bordo…
E dunque…
Dunque mi sono impegnato a tenerli in ordine…mi piacciono i capelli lunghi…dovresti saperlo…
Le poche parole scambiate a Brest…
Oscar François de Jarjayes lasciò la mano ferma, così che Victor Girodel poté tenerla stretta, ferma.
D'improvviso fu come se la roccia fosse stata scossa da un tremore fondo, capace di correre per tutta la sua lunghezza e fenderla e insinuarsi giù, nel cuore fondo e nero della sua genesi, fino a spezzarla di netto e frantumarla.
Lo squarciò s'aprì davvero, nero e fondo…
* Uno dei motti dei Gilets Jaunes, comparso sui muri di Parigi nell'autunno dell'anno 2018.
** La Croque Madame, tipico tramezzino francese.
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