La correspondance
Madame Glacé aveva dato disposizione perché la tavola venisse liberata dai piatti di portata e dai vassoi.
Il piglio severo, notò con rammarico che mademoiselle aveva mangiato poco più della sera precedente, solo, forse, per via della presenza dell'ospite ch'era stato invitato a trattenersi, quella sera, per cena e che ora era lì, seduto al tavolo, a zuccherare personalmente il tè ch'era stato servito, assieme a madeleine di marzapane e anice.
Madame Glacé si permise d'osservare mademoiselle e il suo ospite, protetta dal cono d'ombra poco dietro al porta.
Mademoiselle era rivolta con lo sguardo alla finestra, osservava forse il buio ch'era ormai calato fitto oltre la vetrata specchiata e fredda.
L'ospite osservava lei, lo sguardo un poco preoccupato, come avesse in animo d'intervenire ma non sapesse bene come fare.
Madame Glacé entrò nella stanza. Non era usuale che lo facesse quando i padroni avevano ospiti per cena ma l'istinto dettava così, quella sera, e la donna così fece.
E poi…
In silenzio…
Lo sguardo corse all'ospite e quello, con un cenno del capo la salutò.
Sarebbe stato considerato un gesto alquanto sorprendente da parte d'un militare nobile salutare una semplice governante.
Eppure…
"Madame…come state?" – chiese compunto il Tenente Victor Girodel.
La domanda aveva due scopi.
Il primo porgere il saluto alla governante di casa Jarjayes ch'era entrata e l'altro allertare la padrona di casa, immersa entro chissà quali pensieri.
E forse ve n'era un altro – scopo - che si dipanò lieve nello scambio che Madame Glacé e Victor Clement de Girodel si rivolsero, questa volta colto adeguatamente dalla padrona di casa che s'era voltata e aveva scorto il muto dialogo degli altri due.
"Ecco…".
Madame Glacé non era abituata a parlare con gente nobile. Un conto erano il generale e mademoiselle e madame e le altre figlie del generale, ma con gente estranea, e fino ad allora il Tenente Victor Girodel lo era stato - un estraneo - si ritrovava in soggezione, le parole invischiate nell'etichetta, così da risultare cortesi ma assolutamente distaccate.
C'era però che il Tenente Victor Girodel non era più un estraneo ormai.
Da mesi giungeva puntuale ogni mattina per accompagnare mademoiselle alla reggia e da mesi Madame Glacé li vedeva avviarsi nella luce del giorno, fianco a fianco, come un tempo era stato per mademoiselle e André.
S'era ritrovata combattuta Madame Glacé, dopo che André era partito.
Aveva faticato ad accettare la decisione del nipote, aveva pianto, s'era costretta a rimboccarsi le maniche e quel che più l'aveva preoccupata era stato il pensiero che mademoiselle si sarebbe ritrovata sola, testarda com'era, orgogliosa come l'aveva tirata su quel padre…
Poi Madame Glacé aveva tirato un sospiro di sollievo, che quel padre s'era dato da fare per trovare una persona che avrebbe accompagnato mademoiselle, come un tempo aveva fatto il nipote.
La preoccupazione era stata talmente grande che Madame Glacé non aveva fatto troppo caso all'altro pensiero, quello che suo nipote le aveva sollevato subdolo e strano nella testa, ossia che lui se n'era andato per via d'una brava giovane di cui s'era invaghito ma che mai avrebbe voluto rischiare di compromettere, e neppure all'altro pensiero, un altro ancora, che s'era accavallato al primo, ossia che fino ad allora, Madame Glacé avesse sempre pensato che solo suo nipote André sarebbe stato capace di accondiscendere ai desideri di mademoiselle, eseguire gli ordini alla perfezione, essere al suo fianco per proteggerla.
Ora, con sollievo, aveva osservato, giorno dopo giorno, come il Tenente Victor Girodel, seppur uomo riservato e discreto, avesse avuto forza e costanza d'avvicinarsi all'altra, affiancarsi a lei, quasi in egual misura e modo di suo nipote, e dunque Madame Glacé aveva convenuto che mademoiselle non avrebbe corso altri pericoli.
A poco a poco Madame Glacé aveva accettato la presenza del giovane conte, nobile, sempre più spesso ricevuto a casa Jarjayes, così come, da lui gentilmente interpellata, lei stessa aveva, a poco a poco, reso edotto l'altro della propria preoccupazione per le sorti del nipote.
Ed era accaduto, dunque, una sera, nel momento in cui il Tenente Victor Girodel stava salutando mademoiselle che quella se ne era già andata, che l'altro avesse chiamato la governante a sé e le avesse fatto un discorso sorprendente, capace di sollevarle il cuore.
Victor Girodel aveva chiesto a Madame Glacé se quella avesse saputo come funzionava il servizio postale dedicato alle missive scritte dai soldati dal fronte americano e Madame Glacé aveva negato, che no, non lo sapeva e già il cuore aveva avuto un primo sobbalzo perché il pensiero d'una guerra e il pensiero che in quella guerra ci fosse in mezzo suo nipote, la faceva agitare e rabbuiare.
E in mezzo, tra la guerra e suo nipote c'era un mare grande, che lei l'aveva veduto solo su quel libro, nella biblioteca di casa Jarjayes, quando aveva chiesto a mademoiselle di mostrarle dove fosse l'America, che lei non lo sapeva proprio e s'era intristita nell'osservare quel mare grande, così grande ch'era chiamato oceano, mentre a lei il Mare di Normandia – che poi era oceano anche quello - già pareva talmente grande da togliere il fiato.
Troppo per una vecchia ignorante come lei…
L'oceano, la guerra…
E una donna…
Il Tenente Victor Girodel l'aveva guardata, con dolcezza, e aveva spiegato che per ragioni di ufficio e per ragioni di sicurezza del popolo francese e dei sovrani di Francia - che lì, davvero Madame Glacé aveva preso ad agitarsi e a spaventarsi - le lettere dei soldati giungevano tutte a certi uffici postali, uffici che stavano a Parigi.
Le lettere erano divise per cognome ed esaminate – non aperte o lette - solo esaminate.
Perché c'era di mezzo una guerra contro l'Inghilterra…
E anche se la guerra contro l'Inghilterra stava dall'altra parte del mondo, l'Inghilterra no, quella stava lì, a qualche centinaio di miglia da Parigi e dalla Francia, e non si poteva immaginare che qualche spia non ne avrebbe approfittato, ossia magari intrufolarsi tra le fila dei soldati e fingere di spedire saluti e affettuosi abbracci a qualche parente francese che magari a sua volta non era poi così francese.
Insomma missive con i segreti della guerra, che la Francia e i soldati francesi, quelli veri, avrebbero potuto correre chissà quali pericoli.
Madame Glacé aveva sgranato gli occhi che lei ne sapeva poco e niente di queste cose e non comprendeva perché il tenente le stesse raccontando proprio a lei.
E l'altro, che sapeva bene quel che diceva e soprattutto quel che voleva ottenere, aveva spiegato che le lettere, che di solito c'impiegavano all'incirca tre mesi per giungere in Francia, sarebbero state ferme in quegli uffici per altri due mesi, perché se nel frattempo fossero giunte notizie del soldato…
Notizie non buone…
S'era agitata davvero la vecchia governante, il pensiero era corso a suo nipote.
Sì insomma, se il soldato non fosse più tornato, la lettera sarebbe stata recapitata assieme a ciò ch'ea sopravvissuto al poveretto, l'uniforme, la borsa, i vestiti, il denaro offerto dal re per i servigi e la vita resa al popolo di Francia e chissà quali altri oggetti quello si fosse tenuto e che non fossero finiti nelle mani dei compari.
Quelli, gli oggetti, avrebbero impiegato svariati mesi per tornare in Francia, almeno tre mesi, e dunque sarebbe stato meglio che non vi fosse stato alcun triste andirivieni di lettere ed effetti del soldato defunto con le famiglie, che magari oggi avrebbero ricevuto una lettera dove quello pareva vivo mentre in realtà, dopo una settimana, avrebbero ricevuto la notizia opposta.
Era stato lieve Victor Girodel nel raccontare di queste questioni e l'altra, che s'era sempre detta ignorante, s'era dovuta un poco appoggiare ad un tavolinetto di marmo, lì accanto, perché lei non aveva ancora ricevuto nessuna lettera e suo nipote era ormai partito da tanti mesi.
Il colloquio s'era svolto ch'erano trascorsi ormai sei mesi. S'andava verso il settimo.
Tra poco sarebbe trascorso ormai un anno…
Possibile che quel disgraziato non avesse mai scritto?
Possibile che quel bellimbusto non avesse avuto in animo di mandare notizie di sé?
Che razza di nipote…
Che…
Il Tenente Victor Girodel aveva dunque promesso, quella sera, che non appena fossero giunte lettere del Soldato André Grandier, dal fronte americano, lui le avrebbe ottenute, senza che per esse fosse stato necessario far trascorrere la pena dei due mesi d'attesa.
André Grandier era personaggio conosciuto, era stato l'attendente di mademoiselle pressoché da sempre, era servo della famiglia Jarjayes, dunque uomo di specchiata fama e cuore onesto.
Il Tenente Victor Girodel si sarebbe fatto garante del contenuto della missiva, senza neppure leggerla, e si sarebbe fatto carico senza indugio di farla avere a Madame Marron Glacé a cui essa era senz'altro destinata.
Erano trascorsi altri mesi da quel colloquio e a poco a poco, ogni mattino e ogni sera, Madame Glacé aveva iniziato a provare e riconoscere nel proprio cuore, per il proprio silenzioso benefattore, una benevola gratitudine, che suscitava uno sguardo d'altrettanto silenzioso consenso, al mattino quando lo vedeva avviarsi con mademoiselle e poi alla sera quando lui s'accomiatava magari più in fretta del solito perché minacciava pioggia ma non aveva in animo d'accettare di fermarsi per cena.
Che forse l'altro un poco aveva cominciato a comprendere che a mademoiselle ci si sarebbe dovuti star vicino sì, ma non troppo vicino, e farlo un poco alla volta, giorno dopo giorno, forsanche facendo un passo indietro piuttosto che un passo avanti.
Madame Glacé era grata al Tenente Victor Girodel, perchè l'altro s'era dimostrato sensibile e attento verso una povera governante ignorante come lei.
Poi il Tenente Victor Girodel le aveva promesso che nulla avrebbe rivelato a Mademoiselle Oscar di quella faccenda, ch'era uno strappo severo alle regole e lei sicuramente non avrebbe approvato.
Uno strappo tale - a Madame Glacé era sembrato assolutamente disdicevole - che mai lei avrebbe avuto in animo di compromettere o indispettire mademoiselle per via del proprio timore verso le sorti del nipote.
Il nipote ne aveva già combinata una davvero grossa, lasciando casa Jarjayes. Ci sarebbe mancato pure che mademoiselle avesse avuto delle noie per via dell'angoscia della governante e della smania di questa di avere notizie del nipote, contro le regole di Sua Maestà Re Luigi XVI.
"Bene…monsieur…sto bene…" - pigolò Madame Glacé con una leggera riverenza
"Me ne compiaccio! E avete riguardo di voi?" – sorrise l'altro.
La domanda fece trasalire entrambe.
Madame Glacé per l'emozione, Mademoiselle Oscar François de Jarjayes per lo stupore.
Da quando il Tenente Victor Girodel faceva domande alle persone al servizio d'una famiglia?
Perché lei, Oscar François de Jarjayes, non s'era accorta dell'inequivocabile e sottile senso di devozione che piano piano s'era instaurato tra nanny e Victor?
Gli sguardi dunque, dell'ospite e della padrona di casa, si posarono sull'imbarazzata governante che prese a torcere nervosamente la stoffa del grembiule.
Oscar si ritrovò stupita della confidenza e soprattutto non comprendeva quale fosse il motivo a fondamento di essa. Intuì le mani irrigidirsi, intuì la stizza risalire alla gola, che avrebbe voluto incitare nanny…
Rispondi!
Io lo so come stai nanny…
Il Tenente Victor Girodel non lo sa e lo vuole sapere!
Rispondigli!
"Monsieur, siete d'una gentilezza davvero squisita a voler sapere come sta una povera governante…ebbene sto bene…e ho riguardo di me…".
"Come vi ho suggerito?!" – nicchiò Victor scherzoso ma severo.
Nanny abbassò lo sguardo e il capo, annuendo.
Oscar, per parte sua li sollevò ancora di più, ritrovandosi negli occhi lo strano scambio, dunque più spazientita del solito.
L'inusuale e sorprendente confidenza stonava e non aveva ragion d'essere ma lei non era in animo di star lì a comprenderne i motivi.
Soprattutto di nuovo non si capacitava di non essersi mai accorta dei gesti e delle parole in cui essa era stata coltivata.
Chissà quando era accaduto d'essersi così drasticamente distratta d'aver perso quell'istante di tenerezza in cui due personaggi così sorprendenti come Madame Marron Glacé ed il Tenente Victor Clement de Girodel s'erano avvicinati.
La mente era stata altrove evidentemente.
Presa dal trasferimento di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta alla residenza del Trianon, ch'era tutto sommato un edificio non lontano dalla reggia di Versailles ma immerso nella campagna, attorniato da foreste fitte si, ma non così fitte da impedire che chissà chi, giungendovi dall'esterno, potesse intrufolarsi e arrivare fin sulle soglie delle stanze, ch'erano aperte sui giardini, prive di postazioni di guardia, prive di meccanismi di difesa ch'erano invece naturali e già impostati alla reggia.
Dunque la mente era stata impegnata e forse gli occhi non avevano visto che quel che dovevano vedere, e le orecchie avevano ascoltato solo ciò che dovevano ascoltare. Non certo le confidenze d'una governante a un tenente o, com'era stato più probabile, l'esatto contrario.
Alla questione, in sottofondo, v'era sempre altro…
André…
Un giorno…qualcuno ha bussato alla porta…ho aperto…c'era un giovane uomo…mi ha detto di chiamarsi André…
Il cuore era imploso al racconto…
Oscar François de Jarjayes avrebbe voluto chiedere se…
Amalie Jenevieux aveva sollevato lo sguardo, severo e diretto, l'aveva lasciato sul volto dell'altra.
Mi ha detto che mi avrebbe aiutato…mi ha trovato un lavoro…in una locanda a Parigi…À samedi prochain…
Amalie Jenevieux non aveva aggiunto altro, incapace di ricordare o forse intenzionata a non farlo.
La verità celata è adeguata merce di scambio.
Anche se c'era da comprendere come fosse possibile assumere come verosimile un tal racconto, fatto di notti e silenzi, buon cuore e abusi assoluti.
André non c'era più e lei non era più tornata al 23 di Rue Vivienne.
Inutile cercare il passato di qualcuno che l'aveva forse intenzionalmente seppellito entro un viaggio capace di separare le esistenze.
André se n'era andato.
Perché l'avesse fatto, non era dato saperlo.
Perché avesse deciso di sottrarre la propria vita a quella di lei…
E così, com'era accaduto per Madame Royale, nel bene e nel male, ch'era stato impossibile non soffermarsi al profilo della faccina, alla forma buffa del naso, all'espressione pacifica ch'ella assumeva quando dormiva beata, tanto simile a quella lieve e un poco stupida del padre di quella...
Un'espressione buona e dolce…
L'espressione di Re Luigi XVI.
Così, pur non muovendo passo entro le strade di Parigi, il cuore si era istintivamente mosso alla ricerca spasmodica nel visino ora più disteso, paffuto e gioioso della piccola Victoire, d'un tratto, d'un piglio, d'un connotato, d'una espressione che avesse rammentato…
André…
Un giorno…qualcuno ha bussato alla porta…ho aperto…c'era un giovane uomo…mi ha detto di chiamarsi André…
Era stato inevitabile dunque atteggiarsi alla stessa maniera con Mademoiselle Victoire Jenevieux, ora che quella aveva compiuto quattro anni – forse quattro - e aveva cominciato a parlare più spedita, imparando a mungere le capre, a raccogliere le uova senza farle cadere a terra, ad avvolgere le piccole ricotte nelle pezze umide e pulite.
L'aveva osservata Oscar François de Jarjayes e s'era accorta in effetti dei capelli lucenti e un poco mossi che le cascavano sulle spalle e che la madre Amalie Jenevieux era solita tentare di racchiudere con un nastro serico, stretto stretto, che quell'altra, ogni volta, si sfilava con un poco di stizza, che non amava veder governata la chioma in alcun modo.
Ed era accaduto allora, proprio quel giorno, che persino Sua Maestà la regina Maria Antonietta, che aveva fatto chiamare il Colonnello Oscar François de Jarjayes al Trianon, avesse convenuto, di fronte a Mademoiselle Amalie Jenevieux che passava di là, dopo aver colto dall'orto alcune erbe da cucinare, che la figlioletta Victoire, che seguiva la madre come un pulcino segue l'anatra, avrebbe potuto restare tranquillamente con i capelli liberi e sciolti, ch'erano bei capelli, d'un castano intenso e potente e che sarebbe stato bello che anche Madame Royale, quando le fossero cresciuti, avrebbe potuto giocare liberamente senza tante costrizioni d'abiti e parrucche.
Oscar si era stupita, aveva guardato Victoire ch'era corsa via, dopo aver ringraziato con un trillo e un inchino e la sua maman dietro a rimproverarla che l'inchino a Sua Maestà era stato poco fondo, poco aggraziato…
Quel giorno, proprio quel giorno, Sua Maestà la Regina Maria Antonietta aveva fatto chiamare il Colonnello Oscar François de Jarjayes al Petit Trianon e l'aveva accolta con un sorriso lieve e le aveva preso la mano e le aveva chiesto d'esser discreta che la regina aveva da chiederle un favore.
Di nuovo, Maria Antonietta aveva ammesso che si sarebbe fidata solo e soltanto di lei.
Aveva ricevuto notizia ch'era giunta una missiva da parte del Conte di Fersen.
La lettera si trovava come tutte quelle che arrivavano dall'America presso il dipartimento delle poste francesi, a Parigi, negli uffici dell'Hotel de Ville, municipalità che stilava altresì l'elenco dei soldati ch'erano partiti e quelli che non sarebbero più tornati.
In realtà il primo approssimativo elenco era di competenza dei funzionari del Ministero della Guerra, ch'erano a colloquio con il re, quasi ogni giorno, per tenere aggiornato il sovrano sull'andamento degli scontri e sull'entità delle perdite.
L'elenco, esaminato e stilato, così che si potesse informare subito le famiglie degli ufficiali della perdita d'un loro parente, era successivamente recapitato alla municipalità di Parigi che provvedeva ad informare a tempo debito le famiglie del popolo, dei commercianti, dei notai, dei falegnami, dei tintori, insomma di tutti quelli che a Parigi che avevano offerto un figlio o un nipote o un fratello alla causa della Francia, senza essere al diretto servizio del re o della famiglia reale.
E poi c'erano tutti coloro che, ufficiali o soldati, non erano francesi ma mercenari o volonterosi, s'erano arruolati per il bene della Francia.
Si doveva informare il loro paese d'origine, un ambasciatore, un console, qualcuno che si sarebbe fatto carico di portare la triste notizia alle famiglie più lontane.
Dunque il Ministro della Guerra aveva informato il Ministro delle Poste, ch'era poi marito della Contessa di Polignac, carissima dama di compagnia di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, dell'arrivo d'una lettera da parte del Conte di Fersen.
Una lettera ch'era bene che nessuno avesse né aperto né letto.
In fondo, aver nominato il marito della Contessa di Polignac, Ministro delle Poste francesi, aveva avuto il suo vantaggio.
Oscar François de Jarjayes si era domandata come mai non fosse stato scomodato proprio il Ministro delle Poste e con lui proprio la Contessa di Polignac la quale frequentava abitualmente il palazzo del Petit Trianon.
Non aveva avuto risposta, non aveva neppure accennato a dispiegare tale obiezione a Sua Maestà.
Maria Antonietta desiderava che fosse lei a recuperare quella lettera e a portarla al Trianon.
In gran segreto.
Era una missiva importante, che sarebbe stato altrettanto importante evitare venisse maneggiata da personaggi invidiosi o peggio ancora vendicativi e subdoli, nascosti magari dietro persone solo all'apparenza devote amiche.
Maria Antonietta aveva chiesto discrezione…
Aveva chiesto si fosse fatto in fretta.
Il Colonnello Oscar François de Jarjayes aveva acconsentito.
Si sarebbe recata a Parigi nella giornata successiva.
Per assurdo, tornava a essere latrice di quell'amore, una sorta di figura mitologica, una specie di Arianna che svolgeva l'invisibile filo delle esistenze, per consentire agli amanti di conoscere l'uno della sorte dell'altro.
Ma per lei, Arianna, il filo diveniva ogni giorno groviglio più stretto, i lembi si chiudevano e soffocavano e Arianna adesso dubitava di venirne a capo, dubitava d'avere forza e capacità tale per dipanare i dannati lembi e comprendere il disegno.
Il Conte di Fersen, i suoi gesti gentili, a racchiudere e soffocare un amore assoluto e senza speranza.
Il Conte di Fersen, i suoi occhi chiari e grandi, che avevano imposto d'abbassare i propri, perché se lei si fosse soffermata a osservarlo, si sarebbe ritrovata a sua volta osservata e scoperta ed inevitabilmente travolta.
Il Conte di Fersen, il suo sorriso aperto e scostante, come di chi deve nascondere la sofferenza dietro l'arroganza, la perdita di sé dietro la cinica presa di distanza.
Il Conte di Fersen e i suoi modi silenziosi eppure un poco spavaldi, come di chi sa di aver trovato risposte, sa di avere ragione, la ragione dell'amore, anche se esso non potrà mai compiersi e bruciare.
E poi…
Ci aveva ragionato su. Di colpo, come un lampo che illude da lontano…
Chi era stato André Grandier?
Servo d'una famiglia nobile, non era un nobile, dunque le sue tracce sarebbero passate attraverso la strada che conduceva all'Hotel de Ville.
Dunque, seppure per vie traverse e un poco contorte, di nuovo, l'incombenza l'avrebbe portata nello stesso luogo ove cercare notizie su André Grandier.
Che nulla s'era più saputo di André,
Nulla era ancora giunto da parte di André.
Nessuna notizia.
Nonostante il silenzio, stranamente nanny non aveva più avanzato richieste, domandato pareri, accennato al desiderio di conoscere la sorte del nipote.
La donna pareva aver messo su una specie di sorda indifferenza verso le sorti dell'altro, come se davvero lo smacco della partenza avesse indotto una stizza incapace d'essere ammansita dalla lontananza, dall'angoscia.
Ma forse era stato quasi un bene che nanny non avesse domandato nulla, perché se l'avesse fatto, l'ammissione che nulla era giunto dall'America da parte di André, avrebbe condotto la povera governante sull'orlo della disperazione.
Nanny non aveva di certo dimenticato suo nipote André Grandier, Oscar ne era certa, che l'altra ogni domenica correva in chiesa e s'inginocchiava e pregava Notre Dame e accendeva un cero e Le portava un fiore, affinché avesse posto la Sua mano sul capo del nipote scapestrato.
Non l'aveva dimenticato, nanny, il nipote prediletto, André Grandier, ma non aveva più chiesto di lui.
E, per assurdo, nemmeno lei, Oscar François de Jarjayes pareva più in grado d'accantonare la visione dell'altro.
Costante e inevitabile pensiero che correva addosso, ogni giorno che scorreva, sempre più intenso, a tratti lieve, a tratti spinoso, comunque sempre presente, come se l'altro, ora che non c'era più, avesse trovato modo e capacità di pungolarla, istigarla alla stizza, molto più a fondo e molto meglio di quanto non fosse stato in grado prima, quand'era lì, mezzo passo dietro a lei.
Il silenzio di André, mezzo passo dietro a sé, ora diveniva incombente e sprezzante, a tal punto che ad Oscar François de Jarjayes pareva di sentirlo davvero l'altro, mezzo passo dietro a sé, e qualche volta davvero era stata costretta a voltarsi, ma lui non c'era, e allora s'era ritrovata a immaginarlo, com'era stato André Grandier, mezzo passo dietro a lei, con quel sorriso mite sul volto, le labbra dischiuse, la voce mai arrogante, il volto bello…
Il volto bello…
Sì perché adesso rammentava bene che quando si voltava le pareva di scorgere un guizzo, un sorriso accennato, anche se poi gli occhi dell'altro si volevano altrove, l'alone verde a scorgere un punto lontano, un luogo, forse il tempo dove anelare a una vita diversa.
Il volto bello…
Ora sì, Oscar François de Jarjayes lo rammentava così, dopo che, nel buio, l'aveva scorto, il volto dell'altro, lì, accanto a sé, addormentato.
Esso aveva cominciato a riemergere piano piano, dal buio, seppur non subito, seppur non nelle ore successive al distacco, ch'era stato veloce e senza fiato.
Era riemerso piano piano, prima nelle ore della notte, che lei aveva dubitato fosse stato davvero un sogno.
Non era stato facile comprendere s'esso era stato reale.
La luce del giorno a poco a poco aveva ridefinito il profilo scorto nel buio.
La luce del giorno assieme alla coscienza avevano chiarito l'inganno, avevano fatto giustizia del caos, e il profilo era divenuto altrettanto limpido, lì, accanto a sé, il volto bello, addormentato, il profilo lieve e pulito e calmo, seppur attraversato dalla sfuggente malinconia di chi sa ma non può dire, di chi vede ma non può guardare.
Lì, il volto bello…
Sussultò allora il cuore, come scivolato giù nello sguardo dell'altro, nel volto addormentato e lo sguardo, quello di Oscar François de Jarjayes s'abbassò di colpo, perché le era sembrato di cadere anche lei, di cadere nello sguardo dell'altro, e il piede s'era mosso impercettibilmente per tastare il terreno e ammettere che non stava cadendo, seppur il pensiero aveva incendiato un poco le guance.
Così che s'era dovuta voltare e guardare altrove.
Da quando s'era messa a pensare ad André Grandier a quel modo…
Che Andrè Grandier era bello…
Lui, il viso lieve seppure forte, i capelli un poco lunghi, abbandonati sulle spalle…
Strano…sapevo che i soldati non possono tenere i capelli lunghi…
Ci è stato consentito…a patto di tenerceli in ordine…nessuno li vuole i pidocchi a bordo…
E dunque…
Dunque mi sono impegnato a tenerli in ordine…mi piacciono i capelli lunghi…dovresti saperlo…
Lui, il passo silenzioso, mezzo passo dietro a lei…
Lui, la presa forte, l'arroganza…
Lui, avanti a sé, solo un poco più alto, e lo sprezzo nella voce, e lo sprezzo nella mano che aveva preso la sua, l'aveva stretta, ci aveva ficcato dentro le redini ammorbidite e umide…
Lui, la chiosa arrogante sul benessere del suo cavallo…
Lui, l'appunto severo a rammentarle il dovere di difendere Sua Maestà…
Lui, le sue spalle, le sue braccia che l'avevano abbracciata…
Perch'era accaduto che lei avesse ricordato di quell'abbraccio, che l'aveva portata con sé, e lei s'era perduta dentro di esso, come se lì, tra quelle braccia, lei avesse sentito il corpo leggero e libero anche se chiuso e stretto.
Non s'era sentita soffocare, non s'era sentita oppressa bensì lieve, come se la stretta l'avesse elevata, come se le braccia l'avessero sollevata, in alto.
Piano piano, a poco a poco, la memoria aveva avuto forza di lucidare il sogno e renderlo vero e vivo, sin a spingersi a dover ammettere che dunque forse non era stato solo un sogno.
Dunque forse era così.
Più si è in fondo all'altro e più si è liberi.
La solitudine non è libertà…
E' solo solitudine…
E no, se un abbraccio ti cinge e ti chiude e ci s'accorge che il corpo s'appoggia e s'adagia, la testa nell'incavo della spalla, il petto sul petto, il braccio intrecciato al braccio, il respiro libero di fondersi…
In quell'abbraccio…
Non aveva più saputo nulla di André Grandier.
E Oscar François de Jarjayes s'era limitata a controllare i dispacci che recavano il nome dei soldati deceduti, coloro che non sarebbero più tornati.
Lo sguardo era scorso, ogni settimana, al freddo pezzo di carta d'un freddo registro.
L'elenco però era di tre mesi prima, che tanto ci voleva a una qualsiasi notizia dall'America per giungere in Francia.
Così che non sapere diveniva terribile.
Così che leggere nomi sconosciuti era terribile.
Così che consultare un elenco che non era di quel giorno o di ieri bensì di tre mesi prima era parimenti terribile…
E se nel frattempo…
Finì per alzarsi Oscar François de Jarjayes…
Non aveva più fame e la testa iniziava a pulsare, mentre le dita mimavano un intreccio che non c'era più, come se non ci fosse mai stato.
Sarebbe andata a Parigi il giorno successivo…
Parimenti, Victor Girodel s'alzò, in segno di rispetto…
"Ti chiedo perdono ma questa sera sono stanca…".
Annuì Victor Girodel…
Avrebbe continuato, poche misere parole per accordarsi sul giorno successivo.
Oscar François de Jarjayes era grata a Victor della sua vicinanza.
Aveva intuito che l'altro aveva mutato modi e gesti per adattarsi ai silenzi, alle declinazioni dell'animo.
Gli era riconoscente ma al tempo stesso, per assurdo, proprio quell'adattamento a ciò che era lei, aveva finito per mettere in risalto chi lei era davvero.
E specchiarsi nei silenzi di Victor Girodel non era propriamente un vantaggio.
Oscar François de Jarjayes iniziava ad accusare la solitudine, lei ch'era cresciuta sola, in compagnia del padre, dei precettori e di André.
Il tempo dei precettori era finito, il padre era lontano ma pur sempre ficcato in qualche impresa che le avrebbe consentito di raggiungerlo in ogni momento.
André invece…
"Non è necessario che tu venga domani mattina…credo che riposerò qualche ora in più…".
"E sia…ti attenderò con piacere…".
No…
Oscar François de Jarjayes avrebbe voluto replicare che non era necessario.
Si morse il labbro, trattenendo la negazione in gola.
Un cenno del capo e Victor Girodel la vide scomparire nel buio del corridoio, illuminato soltanto dall'alone d'una sparuta candela.
Rimase solo Victor Girodel, assieme a Madame Glacé che, nel rispetto dell'etichetta, fece un passo indietro. Non avrebbe potuto prender a sgombrare la tavola prima che l'ospite se ne fosse andato.
E quello…
Victor Girodel infilò due dita nel taschino interno della giacca dell'uniforme.
Madame Glacé fece finta di non vedere, non sarebbe stato opportuno indugiare sulla figura dell'ospite.
Che però Madame Glacé trasalì, quando vide una busta nella mano del tenente.
La tiepida carta allungata verso di lei e lei che tremante guardava il suo benefattore e con riverita pudicizia allungava la mano per prendere la busta.
Le dita della donna afferrarono la carta, le dita dell'uomo non lasciarono la presa, indugiando il tempo necessario a spiegare la faccenda.
"Spero avrete buone notizie…" – disse Victor Girodel un poco severo – "Ma cercate di tenerle per voi…sarà una specie di segreto…".
"Monsieur…vi sono grata della vostra benevolenza verso questa povera governante. Ma vedete, a mademoiselle ho sempre raccontato tutto…" – obiettò quasi senza respiro, il solito piglio evidentemente anch'esso inghiottito dai giorni di silenzio, dall'assenza del nipote, dal dubbio sulla sua tragica sorte.
"Ma certo…" - annuì l'altro finalmente lasciando la presa – "E ne convengo che questo atteggiamento sia la miglior prova di fedeltà che una governante della vostra esperienza e della vostra dedizione alla famiglia Jarjayes potrebbe mai dimostrare. Ma è pur vero che io sono stato costretto a scendere a patti con i funzionari del ministero delle poste. La lettera era giunta già da diversi mesi e sarebbe dovuta restare agli uffici ancora per qualche tempo. Ora, per evitare tutta questa trafila ho fatto in modo ch'essa venisse messa da parte, non registrata, appunto per poterla recare a voi prima del tempo…".
Evitare la trafila…
Messa da parte…
Scendere a patti…
Le chiose e le espressioni produssero svariati effetti, stupore, angoscia, riconoscenza…
Tutto pareva orchestrato per favorire la povera governante che veniva a trovarsi così in una posizione privilegiata rispetto a tante altre povere famiglie che attendevano, al pari di lei, notizie dei propri cari.
Rammentava bene, Madame Glacé, quando Maria Antonietta aveva fatto recapitare a casa Jarjayes svariati doni ad attestare la fiducia che la delfina aveva sempre riposto in Mademoiselle Oscar François de Jarjayes e che non sarebbe venuta mai meno, neppure ora che la Delfina era divenuta Regina di Francia.
E Mademoiselle Oscar aveva restituito i doni, rifiutandoli ad uno ad uno.
Rammentava bene, Madame Glacé, quando Mademoiselle Oscar François de Jarjayes era stata nominata Colonnello delle Guardie Reali da Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, e pur avendo accettato la carica aveva declinato il raddoppio dello stipendio.
Mademoiselle Oscar François de Jarjayes non aveva mai acconsentito a ricevere altro che non le spettasse. Nessun favoritismo, nessun riconoscimento.
E adesso invece, addirittura la sua governante avrebbe finito per esser favorita nella corsa alle notizie che giungevano dai soldati al fronte americano.
Comprese Madame Glacé, ammettendo che il discorso del Tenente Victor Girodel aveva un senso e il senso era tenere la questione segreta proprio per proteggere Mademoiselle Oscar, così che nessuno sarebbe mai venuto a sapere che per un servo di casa Jarjayes, un misero servo, s'erano trovate vie più brevi, come quella di mettere da parte una lettera e sottrarla al regolamento della registrazione e della quarantena.
Comprese Madame Glacé, annuì, seppur a malincuore, tirando un sospiro fondo che non sfuggì all'interlocutore.
"E' encomiabile da parte vostra…" – l'incalzò Victor Girodel – "Ma davvero in questo caso è bene tenere la questione tra noi. Io mi procurerò le lettere, ve le porterò, e quando arriveranno dal fronte buone notizie - sapete…la guerra sta volgendo al termine, non credo che durerà ancora molto - allora mi farò carico io di spiegare la questione a mademoiselle e le dirò che voi vi siete adirata con me per avervi imposto il silenzio…".
"Non sia mai! Monsieur…non sono adirata con voi!" – tremò nanny all'udire una tale ricostruzione della questione.
"Si…lo so…" – rise Girodel divertito – "Vedrò di spiegare anche questo alla nostra Oscar…".
Alla nostra Oscar…
Sussultò Madame Marron Glacé all'udire il nome. Chiunque della servitù aveva l'obbligo di chiamare la figlia del Generale Jarjayes, mademoiselle, finanche monsieur, qualora il malcapitato ospite non avesse ben chiaro chi fosse l'altra…
Il padre solo e la madre avevano diritto di chiamarla per nome.
E l'unico che avesse mai infranto la regola era stato André…
Quante volte gliel'aveva rimproverato nanny, a suo nipote, di non chiamare Mademoiselle Oscar…
Oscar…
Soltanto Oscar…
Oscar…
Il nome ancora oscuro, quando nanny l'aveva avuta tra le braccia l'altra e l'aveva guardata, il visino paffuto, gli occhi blu fondi e spalancati e curiosi e mobili che avevano preso a osservare la luce intensa della candela.
Il nome ancora sconosciuto fino a quando nanny non aveva porto il fagotto al padre spiegando che quella era una bambina e non il tanto agognato maschio.
Il Generale Augustin Reynier de Jarjayes aveva afferrato la neonata, aveva guardato in viso la figlia e quella per un istante era stata zitta, chissà se dentro di sé, nel pertugio più fondo dell'anima, l'aveva compreso che quello che aveva di fronte era suo padre e quello la stava guardando con aria distrutta, schifata e persa…
E nell'istante dopo, quello stesso orgoglio aveva preso a plasmare i pensieri, così che il dannato orgoglio aveva avuto pregio di ribaltare la visione e nella bellezza della neonata, nello sguardo diretto che quella gli aveva rivolto, lui aveva scovato la quadra o la soluzione…
Nemmeno il tempo di voltarsi a guardare Madame Marguerite Georgette Jarjayes, ch'era rimasta immobile, il respiro ancora affannato e sospeso, in ascolto dell'immane silenzio, rotto solo dalla eco delle proprie grida soffocate per pudicizia, nell'istante in cui sua figlia nasceva, che il Generale Augustin Reyner de Jarjayes aveva deciso.
Il padre aveva stretto il fagotto…
L'aveva stretto d'orgoglio e rabbia…
La rabbia s'era innervata come una saetta nel corpicino della mocciosa che aveva intuito forse la forza o udito forse lo schianto di sé, gettata nel baratro d'una decisione incredibile.
Nel baratro dell'esistenza rivoluzionaria, la mocciosa aveva gettato uno strillo…
Acuto, straziante…
Il grido d'aiuto e al tempo stesso la prova di ciò ch'ella era e di ciò ch'ella sarebbe stata…
Il padre aveva deciso, perduto in sé e nel pianto dell'altra…
Oscar…
Ti chiamerai Oscar e sarai mio figlio…
Oscar…
Figlio del Generale Augustin Reyner de Jarjayes…
Oscar…
L'ultima figlia, la più piccola…
Oscar…
Il nome declinato dalla bocca del Tenente Victor Girodel fece trasalire nanny che guardò l'altro e l'altro, parimenti, non si lasciò sfuggire la muta domanda che quella gli rivolgeva solo con gli occhi, perché, di nuovo, l'etichetta non avrebbe mai consentito di porgere alcuna richiesta e…
"Madame…stimo molto il Colonnello Oscar François de Jarjayes…e non nego che per me è un onore esserle accanto e sarò altrettanto sincero, al limite della sfacciataggine. Se non fosse stato per la partenza di vostro nipote, e non so perché lui l'abbia fatto, non mi sarebbe mai accaduta una simile opportunità. Dunque…per quanto assurdo possa essere…sono grato ad André e al suo senso del dovere che l'ha spinto a prendere la decisione di andare a combattere in America. In questo modo io, Victor Clement de Girodel, sono divenuto l'umile servitore di Mademoiselle Oscar François de Jarjayes – la nostra Oscar! Spero che vostro nipote tornerà sano e salvo ma nel frattempo sarà un onore per me altrettanto immenso alleviare la sofferenza della sua cara nonna, anche così, facendomi latore delle missive del caro nipote, così che questi mesi di separazione potranno trascorrere un poco meno angosciosi…".
Trasalì davvero Madame Glacé all'udire le parole che tentò di mettere assieme, un poco confuse nello splendore ch'esse rivelavano, un poco annegate nello sconcerto, perché in esse si comprendeva ed emergeva, lieve ma fonda, la spessa ammirazione dell'uomo verso la sua padrona, che non poteva relegarsi ad un mero rispetto per la sua carica o deferenza per le sue impeccabili capacità d'impegno.
C'era altro dietro a quelle parole e nanny annuì, un poco stranita ma consapevole che dunque la sua padrona, Mademoiselle Oscar François de Jarjayes, non sarebbe stata sola, non lo sarebbe stata più.
"Allora grazie monsieur…".
"Di nulla madame…verrò presto domattina…ho in animo d'immaginare che mademoiselle non se ne resterà senza far nulla come avrebbe inteso farci credere…".
Rimase zitta Madame Glacé, un poco costernata dell'insolita complicità spesa dall'altro.
Anche lei, in effetti, aveva avuto la stessa impressione, convenendo che Monsieur Victor Girodel aveva iniziato a comprendere bene l'altra e a intuirne persino i pensieri, i gesti, sia quelli che compiva, sia quelli che aveva solo in animo di compiere.
C'era riuscito in così poco tempo che doveva aver prestato grande attenzione.
"Non ditele nulla…" – s'assicurò Girodel prima di congedarsi.
Madame Glacé, nanny, avrebbe voluto annuire, indirettamente comunicando complicità nel progetto, ma sapeva, nel fondo dell'animo, che Mademoiselle Oscar, spesso e volentieri specchiata come uno degli specchi della Galleria degli Specchi, tirato a lucido nel giorno del ricevimento più importante dell'anno, si rivelava, altrettanto spesso, dell'opaca lucidità d'una lastra di ghiaccio, abbagliante nel caleidoscopio di spine di luce, al punto da nascondere il reale intento, la reale volontà, a chi non si fosse addentrato a fondo, con la faccia contro la lastra, col rischio di bruciarsi il volto e le mani, graffiati e frantumati dal freddo.
Sapeva essere così fredda Mademoiselle Oscar François de Jarjayes, lo sapeva bene nanny.
E lei aveva abbracciato quella freddezza, fin dall'inizio, fin da quando la mocciosa era ancora una mocciosa come tutte le altre, allegra, capace anche di qualche ruffianissima moina, ma poi l'educazione e l'esigenza d'esser seri e severi aveva preso il sopravvento e la freddezza aveva preso ad aggredire giorno dopo giorno l'allegria ch'era comparsa sempre più raramente, e solo i ricordi avevano avuto pregio di rammentare a nanny i momenti in cui la bambina aveva preso a ridere a crepapelle, oppure a soffiare divertita, oppure ad annuire complice di chissà quale marachella.
Era tutto scomparso, ammantato prima dall'uniforme bianca e fulgida e poi da quella rossa e feroce a cingere il corpo, consentire i movimenti meglio che a qualsiasi altra donna infagottata in trine e merletti, ma al tempo stesso tale da impietrire i gesti, così ch'essi non fossero risultati troppo sfacciati, troppo lontani dalla pudicizia che per una donna era sempre doverosa.
Tremò un poco nanny, mentre le dita ripiegavano con cura il grembiule, aggiustavano gli occhialetti sul naso e il busto s'avvicinava alla candelina fioca.
Tremò un poco nanny nel leggere la scritta del proprio nome, la grafia pulita e conosciuta del nipote…
Davvero era André ad aver scritto quelle parole.
La sua mano – ch'era indubbiamente la sua – era scorsa organizzando lo scorrere dell'inchiostro, forse solo un poco sbavato, chissà se per via del rollio della nave, dell'umidità, come se la mano fosse stata incerta se scrivere e cosa scrivere.
Océan Atlantique deuxième jour de navigation…
Ma chère grand-mère…
Ma chère grand-mère…
Nanny sentì salire le lacrime agli occhi.
Parole scritte molto tempo prima, tantissimi mesi ormai.
Leggerle in quel giorno, in quell'ora, sollevava un poco l'animo ma non si poteva non pensare intensamente alla ferita fonda ch'era stata inferta dalla partenza e che pareva incidersi ancora di più, del tempo ch'era scorso, capace di allontanare l'altro, ch'era lontano adesso, non solo mille miglia chissà dove ma lontano nel tempo.
Parole scritte tanti mesi prima, e nel mezzo un oceano, una guerra, terre sconosciute e il tempo…
Siamo partiti da nemmeno un giorno e già sento la tua mancanza. Me ne dolgo, mai potrò fare ammenda del torto d'averti lasciato, che ti sarà parsa, la mia, una decisione incomprensibile e crudele.
Posso solo chiederti di continuare ad accettare il mio affetto e di accettarmi così, incosciente e di perdonare il dolore che ho causato.
Oggi, qui, lontano dai luoghi che mi hanno accolto fin da bambino, così come dalle braccia che mi hanno amato, mi pare d'esser in grado di vedere la mia vita in maniera più nitida e di comprendere ancora più a fondo il tenero e grande amore che hai nutrito per me.
Così come l'amore che mi ha spinto a lasciarti. L'uno ricambiato, legato dal sangue che scorre nelle nostre vene.
L'altro intenso e libero, forte del legame che mi tiene a sé, così che solo l'oceano e il tempo mi concederanno di sapere quanto esso sia puro e se mai un giorno avrò scampo dalla sua luce.
S'esso morirà allora la mia scelta sarà stata giusta, né alcuno avrà patito invano.
Se sopravvivrà, allora io vivrò fino a che esso avrà respiro.
Dunque suo nipote l'amava…
Ma amava ancora di più un'altra persona.
D'un amore intenso e assoluto, senza scampo…
Chi…
Era…
Quell'amore…
Ti chiedo di aver cura della donna che amo.
So che adesso, leggendo queste righe, appoggerai il foglio in grembo, solleverai lo sguardo per guardarti attorno e chiederti come sarà possibile.
Sorrido a immaginarti e confido nella tua saggezza.
Ti parlerò di lei, così che non ti sentirai troppo sola, che in questo modo sarà come se io fossi lì, a guardarla attraverso i tuoi occhi, a mostrarti quanto sia bella e tu l'ammetterai, che lo è davvero.
Tornerò sano e salvo, per abbracciarti e baciarti.
Tuo nipote André
Davvero nanny rimase lì, gli occhi lucidi, la vista offuscata dalle lacrime, la mano a scorrere al viso per asciugarsi e così tornare a leggere.
Quando si teme di perdere una persona cara…
Quando si teme di non vederla più…
Non sai mai s'è il dolore di perderla a consumare le forze oppure la speranza di poterla rivedere.
Ti chiedo di aver cura della donna che amo.
L'accenno, come un tuono, rimbombò nella testa.
Pareva quasi fosse un'assurda mossa del nipote, ficcare a forza nelle giornate della nonna un incarico, un'incombenza che l'avrebbe distratta dall'angoscia della lontananza.
Il punto era…
Come avrebbe fatto nanny ad aver cura di qualcuno che non sapeva nemmeno chi fosse?
Nanny si faceva domande…
E André pareva essere lì, accanto a lei, a darle la risposta…
Ti parlerò di lei, così che non ti sentirai troppo sola, che in questo modo sarà come se io fossi lì, a guardarla attraverso i tuoi occhi, a mostrarti quanto sia bella e tu l'ammetterai, che lo è davvero.
Dunque André aveva ben presente quanto l'altra si sarebbe ritrovata disorientata alla lettura di tale richiesta e allora André, con la propria richiesta, dava speranza che avrebbe scritto ancora per farle comprendere chi fosse stata quella donna…
Quell'amore…
André induceva la speranza dell'attesa, anziché imporre il dolore della separazione.
Come se, parlando alla nonna di un'altra persona, chiedendole di prendersi cura di lei, nanny sarebbe stata impegnata ad accontentare il nipote, pur non essendo lui lì, pur essendo lui lontano, sperduto chissà dove.
Le poche righe vennero divorate in un istante, le mani ricaddero in grembo, gli occhialetti rimessi nella tasca e il viso lì, alle ombre disegnate dalla fiamma sul povero muro, a osservare il vuoto, a rimirare il volto di suo nipote, bambino, quando l'aveva rivisto ormai cresciuto, ch'era dovuta salire lei a prenderlo, in Bretagna, perché la madre era morta, anche lei, e lui era rimasto solo.
Era minuscolo André da bambino, lungo e magro, quasi svuotato dal dolore d'esser orfano e senza più appigli, se non quella nonna che però abitava lontano, nei pressi della grande città di Parigi, al servizio d'una famiglia nobile, così che qualche soldo ogni tanto giungeva come benedizione alla famiglia che lei aveva lasciato nel piccolo paese bretone.
Il tempo di mettere un paio di camicie nella borsa, il tempo di salutare qualche vecchia conoscenza, il tempo di chiudere a chiave la porta della misera casa ormai vuota e nanny era corsa a cercare il nipote ch'era finito chissà dove, che si doveva tornare in fretta, che la carrozza costava e i padroni erano stati così gentili da consentirle di lasciare le incombenze della casa per andare a prendere il nipote.
E poi lei, nel tragitto verso la città, mentre l'altro osservava fuori dal finestrino, un poco scosso ma sempre rigorosamente in silenzio, gli aveva raccontato della grande casa, della scuderia, dei cavalli, della biblioteca e poi…
Si rabbuiò nanny al pensiero.
Aveva parlato ad André di Mademoiselle Oscar, l'ultima figlia del Generale Jarjayes, la più piccola.
Gliel'aveva descritta e non ci aveva pensato su che un istante a dichiarare chi fosse davvero l'altra, una fanciulla bella come il sole, forse un poco distaccata nei modi, ma certo per via di quella singolare e sorprendente educazione ricevuta dal padre.
Era una giovinetta educata, per nulla arrogante, attenta e lucida nelle richieste come nei capricci.
Il generale voleva che la figlia avesse un compagno di giochi e André sarebbe stato perfetto per quel ruolo.
E l'altro era stato zitto, facendosi bastare quella lineare e limpida descrizione.
Che la mocciosa fosse bella declinava per un carattere altrettanto lieve e delicato e…
Chissà che doveva aver pensato quando se l'era trovata davanti ed era corso via spaventato dalla richiesta dell'altra, che non ci pensava affatto a mettersi alle calcagna un compagno di giochi ma voleva un avversario con cui gareggiare e allenarsi…
Lui, il piccolo André, magro e lungo, che mai aveva tenuto in mano una spada, se non forse quelle che il padre, falegname di professione e fabbro all'occorrenza, aveva di tanto in tanto rifilato, contro il cuoio duro oppure riadattato, la lama scheggiata da chissà quale duello.
Ma dopo quella burrascosa conoscenza, nanny aveva ammesso che Mademoiselle Oscar François de Jarjayes e suo nipote André Grandier erano divenuti pressoché inseparabili, quasi fratelli e dunque persino lei non si capacitava di come André avesse deciso di lasciare la Francia e lasciare lei e…
Sussultò nanny al pensiero che s'era dimenticata di riferire al Tenente Girodel che quel loro segreto sarebbe stato impossibile da mantenere, perché Mademoiselle Oscar François de Jarjayes le aveva detto di aver visto André e che André aveva assicurato che avrebbe scritto a sua nonna.
Dunque anche Mademoiselle Oscar avrebbe atteso che l'altro scrivesse e avrebbe atteso quelle lettere e forse – che anche Mademoiselle Oscar François de Jarjayes non poteva non essere al corrente del complesso meccanismo che regolava il flusso postale delle missive dall'America, così come, adesso, anche nanny conosceva – sarebbe giunta persino a cercarle, anticipando i tempi di consegna, alla stessa maniera in cui aveva fatto Monsieur Victor Girodel.
S'alzò di scatto nanny al pensiero che avrebbe dovuto dirlo a Monsieur Victor Girodel e che lui le aveva dato fiducia e che quel misero castelluccio di sabbia si sarebbe disfatto nell'istante in cui l'onda, rappresentata dal piglio di Mademoiselle Oscar François de Jarjayes, si fosse abbattuta a spazzare via tutta la sequela di accorgimenti che Monsieur Girodel e Madame Glacé avevano imbastito.
Che Mademoiselle Oscar François de Jarjayes sapeva essere così fredda ma altresì così testarda e nanny aveva convenuto che l'altra non s'era affatto lasciata sfuggire l'irrisoria conversazione ch'era intercorsa tra sé e Monsieur Victor Girodel.
No, non le era proprio sfuggita.
Nanny si alzò prestissimo il mattino dopo, non era ancora sorta l'alba.
Aveva rimuginato tutta la notte, addormentandosi forse che per un paio d'ore, e anche in quelle s'era detta e ridetta, quasi come fossero state una preghiera, le sante parole da riferire a Monsieur Victor Girodel, quando quello si fosse presentato, altrettanto presto, forse pensando di anticipare le mosse di Mademoiselle Oscar François de Jarjayes.
Che si doveva raccontarle delle lettere, che mademoiselle prima o poi si sarebbe messa ad attenderle, perché mademoiselle e André erano come fratelli e un fratello avrebbe di certo atteso notizie dell'altro fratello…
Sapeva essere fredda Mademoiselle Oscar François de Jarjayes, così fredda…
L'ammise nanny, quando, all'alba, entrando nella cucina, trovò la teiera calda e la tazza vuota, altrettanto calda, sulla grande tavola della cucina, una colazione consumata in fretta, non certo da una delle servette che ancora dormivano beate tra le coltri di piuma d'oca.
Una corsa veloce al piano di sopra, il tocco alla porta, nessuna risposta.
Entrò nanny e lo scenario che ritrovò fu sempre lo stesso, d'ogni santo giorno quando l'altra si svegliava, s'alzava e si preparava per raggiungere Versailles.
Solo che non era neppure ancora spuntata l'alba e nanny ammise che nemmeno Monsieur Victor Girodel avrebbe potuto essere così accorto d'alzarsi a sua volta così presto e prevenire il gesto inconsulto della padrona.
L'uniforme era adagiata sul manichino, distesa e morbida e vuota.
Dunque l'altra aveva scelto un abbigliamento informale, borghese…
Chissà dove se n'era andata…
Lo scampanellio all'ingresso impose il segno della croce.
E chi gliel'avrebbe detto a Monsieur Victor Girodel che non avrebbe avuto senso aspettare qualcuno ch'era già uscito, forse addirittura da un pezzo!?
§§§
Le Petit Chatelet si stagliava avanti a sé, al fondo della strada stretta, con la placida sonnolenza d'un luogo ove il via vai più intenso s'era forse misurato nelle ore appena trascorse, dato che era proprio di notte che borseggiatori e papponi venivano colti con le mani nel sacco, inchiodati al muro per via d'una qualche reazione più veemente di altre, arrestati e spediti seduta stante a farsi qualche ora al buio, per schiarirsi le idee.
Un carcere di passaggio…
Le Petit Chatelet detto così perché chi ci finiva dentro di solito ne usciva in poche ore.
Le Petit Chatelet perché il palazzucolo era infingardo a confronto con Le Grand Chatelet che stava su Rive Droit a governo della ben più ricca sponda, ove gozzovigliava la borghesia addetta alla gestione della municipalità parigina.
A quell'ora, il palazzucolo striminzito e gobbo, ornato di torrette amene ma per nulla capaci di difenderne gli abitanti da un qualsivoglia moto di protesta da parte degli affamati mendicanti di Parigi, sonnecchiava ormai da un paio d'ore, in attesa dello scampanio che, poco dopo l'alba, avrebbe preso a risvegliare, dapprima vivamente ma non troppo, la periferia, per poi dipanarsi, in un susseguirsi di rintocchi fino al centro della città dove Notre Dame avrebbe intonato la sequela maestra ed imperiosa, capace di buttar giù dal letto la moltitudine di gente che avrebbe presto preso a brulicare per le strade, indaffarata a mettere assieme il pranzo con la cena.
Siccome non v'era modo attraversare l'Ile de la Cité se non finendo a Le Parvis Notre Dame, lo sguardo ebbe modo di sollevarsi e osservare la facciata ritta della cattedrale, andando a rovistare nelle multiple cornici ordinate e paraboliche dei portali e poi su alle torri mozze, proprio nell'ora in cui le campane prendevano a suonare, annunciando le preghiere del mattino e il bronzo agitato e stondato sbordava un poco dalle grate delle finestre, come a voler catturare e dunque riflettere i raggi del sole che da est s'alzava e penetrava tra le inferriate.
Uno stormo scomposto di piccioni impazziti svolazzò via dai numerosi nidi ficcati tra le insenature grigie di pietra e le lastre piatte e graffiate di ardesia, intrecciando spaventati voli tozzi e sgraziati sui tetti delle casacce attorno.
Che inutile confusione…
Che ingratitudine verso la perfezione del volo…
Bronzo nero e luce chiara…
Penne lievi e pietre ferme…
Un'insolita accozzaglia di sensazioni prese ad agitare i sensi quando lo sguardo intravide la spianata asciutta e secca che delimitava il porticciolo a fianco dell'Hotel de Ville, che un tempo era stato una sorta di magazzino ove i commercianti che utilizzavano la Senna per navigare andavano a stoccare merci e a rifornirsi per poi riprendere i sentieri d'acqua di cui era costellato il suolo francese.
Un palazzo imponente, cornicioni intrecciati a rustici addobbi di cotto e statuette votive, addette, ciascuna a proteggere le varie corporazioni di mercanti e artigiani, nel luogo ove s'era deciso di convogliare la posta che proveniva dall'America e che, al pari delle altre merci, risaliva dapprima la Loira da Saint Nazaire e poi con veloci carrozze trainate da pariglie di sei cavalli, giungeva alle porte di Parigi, imbarcate su altri navigli che, lungo la Senna, approdavano sino alla piazza dell'Hotel de Ville.
Un sistema tortuoso e semplice al tempo stesso.
Straniva però immaginare quanta strada dovesse compiere una semplice lettera prima di giungere sin lì, quanti pericoli corresse, dal primo e più importante, quello che correva colui che avesse scritto la missiva, fino all'ultimo, una semplice tempesta capace di rovesciare i barconi.
Troppi passaggi, troppe miglia, troppo tempo separava il momento cui la lettera sarebbe giunta nelle mani dei destinatari dal giorno, dal luogo, dal tempo in cui era stata scritta.
La questione infastidiva e al tempo stesso stizziva i nervi.
Oscar François de Jarjayes affidò il cavallo a un improvvisato stalliere che si vide mettere in mano una moneta da cinque soldi, abbastanza per custodire l'animale per un'intera giornata, segno che il viandante aveva affari da svolgere che l'avrebbero tenuto occupato chissà per quanto.
Lo stalliere sprofondò in un'ossequiosa riverenza, scomparendo nelle scuderie adibite alla cura degli animali di coloro che si recavano alla municipalità a perorare cause, tessere affari, vendere merci, acquistare stoffe, rifilare legna avariata e così via.
C'era poi che si sarebbe dovuti stare in guardia, soprattutto visto l'abbigliamento scelto, non a caso assolutamente anonimo, proprio perché Sua Maestà aveva chiesto discrezione e sarebbe stato abbastanza sorprendente che un Colonnello della Guardia Reale fosse stato visto aggirarsi presso la municipalità di Parigi.
La notizia sarebbe percolata dalle mura dell'Hotel de Ville nel tempo necessario a Notre Dame di battere l'ora del mezzogiorno.
E ugual tempo avrebbe impiegato quella stessa notizia a raggiungere Versailles, con tutte le sue più nefaste e ignobili conseguenza.
Perché mantenere un mistero se nessuno faceva mistero di quel ch'era scorso tra la regina e il Conte di Fersen. Altre lettere erano già giunte e non se n'ea fatto alcun mistero.
Ma forse il desiderio di respirare l'odore di quel piccolo foglio di carta che recava l'inchiostro vergato dalla mano della persona conosciuta ma lontana, era più forte della banale trafila che la lettera avrebbe fatto per giungere prima o poi sempre nelle mani della regina.
Oscar François de Jarjayes Non intuì un capriccio dunque bensì il silenzioso affetto d'esser Maria Antonietta unica depositaria della corrispondenza.
Oscar François de Jarjayes si fece annunciare al funzionario delle poste alle dirette dipendenze del Ministro delle Poste.
Sulle prime l'usciere storse il naso, che quella non era l'ora, che quello non era il giorno, che quello non era il luogo…
"Il posto è quello giusto, io sono qui e questa è l'ora adatta…" – soffiò l'ospite senza scomporsi, senza togliere gli occhi di dosso dall'omino insolente, senza declinare né il nome, né il cognome, né il casato e nemmeno il latore della richiesta.
Il corpo teso, lo sguardo severo, l'ora mattutina che ancora teneva lontana la folla di questuanti, mise addosso al contraddittore un serio turbamento.
Non avrebbe avuto scusanti, come il troppo caos o la mancanza di riguardo verso il funzionario da cui si chiedeva d'esser ricevuti - ch'era alle dirette dipendenze del Ministro delle Poste e non c'era da tralasciare l'eventualità che colui che s'era presentato conoscesse finanche il ministro e dunque che, trattato con poco riguardo, si sarebbe anche potuto andare a lamentare con quello.
Le dita dell'ospite tamburellarono due volte, il necessario a rivelare impazienza ma altresì a concedere all'altro il tempo necessario, seppur non troppo abbondante per la smania dell'ospite, per ragionare sul da farsi.
Evidentemente che la lettera del conte fosse giunta in Francia era appannaggio della conoscenza di pochi, com'era giusto fosse, così da proteggere il silenzioso dialogo tra Sua Maestà e Colonnello Hans Axel von Fersen.
Ma proprio per questo, sarebbe stato necessario superare lo sbarramento di tutti gli altri, ignoranti e sospettosi.
"Prego…" – commentò alla fine l'usciere che fece strada dopo aver lanciato un'occhiata severa all'ospite.
Si squadrarono entrambi, in silenzio.
I passi condussero verso corridoi che scivolavano entro stanze sotto il piano di calpestio, un po' scuri e ammuffiti, privi di torce o lumi di qualsivoglia genere.
Le stanze erano ricolme di scaffali in legno, ricolmi di carta, e il fuoco – si sa - era nemico giurato di legno e carta
Le finestrelle in alto concedevano la luce necessaria a evitare d'inciampare nelle pietre sconnesse del pavimento o nello spigolo di qualche madia piantata negli angoli delle curve del cunicolo.
E lanciando un'occhiata, si poteva scorgere il piano di calpestio della strada, i piedi delle persone, mantelli che strisciavano sul selciato zozzo e polveroso, sottane impolverate, scarpe di raso o stivali di cuoio, zoccoli e piedi nudi che andavano e venivano a ridosso del muro esterno dell'Hotel de Ville.
La porta si aprì e lo sguardo rimase impietrito di fronte alle scaffalature alte e lunghe, ricolme di pacchetti di lettere raccolte in funzione di chissà quale regola o criterio e tenute strette da grossi spaghi di spago giallo.
L'usciere ammise che il funzionario non era ancora arrivato e che l'ospite avrebbe potuto attenderlo lì, che se l'ospite doveva conferire con lui, nessuno avrebbe potuto sostituire il funzionario e dipanare la questione al posto dell'altro.
S'era tutto…
L'usciere, un poco risentito d'aver dovuto cedere di fronte all'arroganza dell'altro, accennò a un inchino di congedo.
"No…c'è un'altra questione…" ammise Oscar François de Jarjayes fissando l'ometto, che quello tirò un respiro fondo, a sostituire l'ennesimo salamelecco.
"C'è un registro ove vengono annotate le lettere che giungono dall'America?" – chiese Oscar decisa – "Quelle dei soldati intendo…".
"Si…c'è…anche se non ne giungono poi molte…dato che la maggioranza dei soldati non sa né leggere né tanto meno scrivere…".
"Ne sono al corrente. Ma non è questo il mio caso. Non voglio sottrarvi altro tempo ma nemmeno restar qui ad attendere senza far nulla. Se foste così cortese da mostrarmi il registro. Sto cercando una lettera di una persona che è partita per l'America. E' per via di una sua parente che attende notizie…".
"S'è per questo…notizie ne attendiamo tutti, da parte di tutti…" – si schermì l'ometto sempre più risentito – "Quel che consiglio a chi pensa d'avventurarsi da sé in questa impresa è sempre quello di controllar prima l'altro registro. Quello che sta laggiù…giù in fondo…".
L'indice indicò un volume piuttosto imponente che stazionava s'un leggio tetro e tarlato.
"Questo?" – domandò Oscar avvicinandosi e accarezzando la copertina di cuoio graffiata e porosa.
L'usciere si schiarì la voce…
"E' il registro dei soldati deceduti…" – sputò sprezzante.
Sussultò Oscar, intuendo il senso delle parole dell'altro, il corpo si ritrovò quasi risucchiato dal gesto che veniva imposto con crudele cinismo. Il senso però era chiaro e sensato.
"Inutile cercare una lettera di chi non potrà più scrivere nulla perchè è stato fatto a pezzi da una palla di cannone…" – spiegò l'uscere come a prendersi una rivincita sull'ospite - "Se chi cercate non è lì, allora quelli in fondo sono i registri delle lettere giunte dal fronte…però…dovreste sapere dove è stato destinato il vostro parente…".
"Non…è…" – respirò piano Oscar colpita dall'arida sequela di considerazioni.
Mio parente…
Tenne per sé la chiosa…
Sentì che non era necessario puntualizzare.
Sentì che l'altro, in un modo ancestrale e lieve e fondo, era presente nella sua vita. Lo era divenuto ancora di più ora che se n'era andato.
Lei sentiva André…
Solo che non sapeva perché.
Che André era stato un codardo.
André aveva spezzato un legame che Oscar François de Jarjayes nemmeno aveva immaginato esistere.
E adesso lei era lì a tentare di riannodare quel filo.
Una specie di Arianna che riavvolgeva l'invisibile filo delle esistenze…
Ma per lei, Arianna, il filo diveniva ogni giorno groviglio più stretto, i lembi si chiudevano e soffocavano e Arianna adesso dubitava di venirne a capo, dubitava d'avere forza e capacità tale per dipanare i dannati lembi e comprendere il disegno.
La ricerca della lettera era imbastita solo come un favore a nanny più che a se stessa…
No…
Voleva sapere…
Se André…
S'era vivo…
Oscar François de Jarjayes sentiva che non era solo a nanny che doveva quella ricerca.
"Beh…chiunque sia…" – l'usciere fece spallucce – "Le lettere vengono divise per cognome e per luogo di provenienza…là ci sono quelle che vengono dalla Colonie del Sud… Charleston, Carolina del sud…Virginia…sapete vero che si sta combattendo a sud!?".
Nessuna risposta…
Lei lo sapeva sì, solo strideva il senso delle parole.
"Più in fondo in quell'altro volume…sono annotate le lettere che vengono da regioni che si trovano vicino a un lago…mi hanno detto che è talmente grande che sembra un mare…".
"L'Ontario…".
"Ontario! Siete bravo! E invece qui ci sono quelle che sono giunte da New York…conoscete anche quella?".
Annuì Oscar François de Jarjayes…
Un respiro fondo, si ritrovò sola, la mano scorse di nuovo alla consistenza liscia e sporca della coperta di cuoio del primo registro.
L'aprì intuendo che fosse suddiviso per date d'imbarco, imbarcazioni, tempi di viaggio e da ultimo cognomi.
Le dita scorsero un poco tremanti, gli occhi lessero in fretta i nomi, erano tanti, la vista traballò un poco, che la grafia non era sempre pulita e comprensibile.
Il tempo divorò i battiti del cuore che parve fermarsi allora…
S'accorse che il registro andava dal giorno della partenza delle navi da guerra da Brest fino ad un paio di mesi prima.
Dunque quel registro conteneva diversi mesi successivi a quelli che determinavano la sorte delle lettere, come ad avvicinare per prime le sorti delle persone, seppure attraverso righe d'inchiostro vergate con ordine, come un respiro più corto interrotto di colpo dalla vista della persona ch'era partita da tempo.
Le dita continuarono a scorrere.
Non lesse il nome.
Il nome non c'era…
Ciò significava che André Grandier era vivo. Almeno fino a due mesi prima André Grandier era vivo.
Il respiro tornò a farsi strada nella gola.
Per sottrazione, secondo quanto riferito dall'uscire, lo sguardo spostò la ricerca, i passi s'avvicinarono agli altri registri, mentre da fuori voci un poco più squillanti davano conto che l'edificio si stava animando e commessi e segretari e funzionari della municipalità iniziavano ad occupare i piccoli uffici o i banchetti predisposti per raccogliere le lagnanze del popolo di Parigi.
Se nel primo registro Oscar François de Jarjayes aveva sperato di non leggere alcun nome, nel secondo sperò invece di trovare una riga ove vi fosse un nome, quello di Madame Marron Glacé, a cui era destinata una qualsiasi lettera.
Se prima v'era stato sollievo nell'assenza del nome, dopo vi fu rabbia e stizza e angoscia nello scorrere delle dita e dello sguardo a vuoto, perché il nome di nanny non figurava in nessun registro.
Né quello che raccoglieva le cifre delle missive giunte dalle Colonie del Sud, né quello che elencava i destinatari delle missive spedite da New York.
Il registro che raccoglieva le lettere giunte dalla regione dei grandi laghi invece conteneva una dicitura che Oscar François de Jarjayes riconobbe e comprese.
Una missiva era stata registrata e poi messa da parte assieme a quelle inviate dalle personalità straniere che si erano arruolate per sostenere le ragioni della Francia in America e così le ragioni dei coloni americani contro l'Inghilterra.
Aver sottratto una missiva al controllo dei funzionari non poteva che dar conto che quella fosse proprio la lettera scritta dal Conte di Fersen ch'era stata evidentemente riposta altrove.
Però non c'era alcuna lettera di André.
André non aveva mai scritto…
Possibile…
Riferisci a nanny che le voglio bene.
Ci sono imbarcazioni che ogni tre mesi faranno la spola con la Francia…le scriverò durante il viaggio e non appena sarò giunto in America…e anche dopo…abbi cura di lei…
E anche di te…
La voce dell'altro batteva nella testa, il bacio rubato al tempo che scorreva, l'abbraccio contro il corpo, impresso a rammentarle che lei era stata lì, accanto a lui, come a colmare solo per qualche ora la distanza immane che li avrebbe separati da lì a qualche ora e per chissà quanto tempo.
"Monsieur…".
Sussultò Oscar François de Jarjayes mentre si voltava, ritrovandosi addosso lo sguardo sornione e viscido del funzionario addetto alle poste.
L'uomo teneva le mani a riposo dietro la schiena, la osservava come studiando la posa dell'altra e i gesti ch'evidentemente non gli erano sfuggiti.
"Monsieur…" – ricambiò lei – "Nell'attesa ho chiesto il consenso a visionare i registri delle lettere che giungono dall'America…".
Sorrise l'altro, un ghigno un poco strano, come sapesse già che lì in quei registri non ci sarebbe stata traccia di ciò che l'ospite era venuto a cercare e…
"Avete trovato ciò che cercate?".
"No…" – un respiro fondo…
"Ma cercavate me…avete chiesto di me?".
Annuì Oscar François de Jarjayes, la posa s'irrigidì, il piglio divenne severo e freddo, quasi glaciale.
Quasi diabolico mentre scorreva all'effige dell'altro, riservando un disprezzo infuocato alla posa scortese dell'uomo, le mani dietro alla schiena, il corpo un poco molle e rilassato.
Ammise ch'era ovviamente il proprio abbigliamento borghese ad ingenerare nell'altro la convinzione d'essere al cospetto d'un servitore qualunque della corona francese, forse un segretario d'una qualche dama di compagnia, spedito nell'Enfer Parisienne a recuperare la dannata e segretissima lettera.
"Dunque…" – l'incalzò il funzionario avvicinandosi ed entrando nella linea di luce viva che filtrava dalla finestra poggiata ora con sgraziato riflesso sulla faccia un poco unta e sui capelli radi e grigi e sporchi.
"Monsieur…sono qui per la missiva indirizzata a Sua Maestà…" – sibilò l'altra, ritta, senza fare un passo indietro.
"Oh…si…comprendo…" – sorrise l'uomo, la dentatura nera e gialla, le labbra viola per via di chissà quale affezione.
Lo sguardo corse oltre l'interlocutore per posarsi sul volume che quello aveva appena richiuso.
"Lì non avreste trovato nulla...".
"Lo so…non stavo cercando traccia di quella lettera…ma di un'altra…".
Il sorriso dell'altro s'allargò ancora di più, come se quello avesse intuito lo sghembo frammento di potere che, per via della sua posizione, avrebbe potuto esercitare sull'altro che dipendeva dal funzionario, ora non più per un solo motivo ma per due.
Oscar François de Jarjayes s'irrigidì, alla vista del gesto dell'uomo che l'invitava a seguirlo in un'altra stanza, raggiunta attraverso una serie di corridoi che parevano tutti uguali, le pareti coperte di scaffalature di legno, a loro volta ricolme di pergamene, mappe forse, e poi volumi rilegati in cuoio nero o rosso o beige…
Le tempie pulsavano…
La smania montava…
Il bacio…
Quel bacio…
Il sogno ricorrente…
L'aveva cercato con gli occhi…
S'era avvicinata, nessun rumore, né rimestare di ferri o nitriti di cavalli né grida di fabbri od inservienti…
Nessun andirivieni nonostante fosse quasi il tramonto.
Le dita s'erano strette al bavero della giacca dell'altro…
Era André…
Aveva aperto gli occhi…
L'aveva guardata severo…
Un pollice da lei ma lei non sentiva nessun odore di sapone, nulla…
Che aveva intravisto disprezzo, quello sì…
Lo stesso disprezzo che lui le aveva riservato nella scuderia.
Era salito dunque lo sprezzante intento di cavargli dalla faccia quell'espressione…
Il tempo di sporgersi e catturare le labbra…
Il tempo di scorrere alla nuca e tenere lì la testa, mentre il corpo, senza peso, s'adagiava su quello di lui, attirato dalla presa, tenuto fermo dal bacio…
Quel bacio…
Così simile a ciò che aveva sentito…
Le labbra catturate dalle labbra…
Morbida pulsione a morire lì…
Morire…
Dove sei?
Possibile che tu ti sia dimenticato di nanny?
E…
Di…
Me?
Il funzionario chiuse la porta dietro a sé.
Oscar intuì la smania crescente indotta dal groviglio di congetture di contro agli evanescenti sogni evanescenti, subdoli, insinuati nella testarda realtà che batteva il suo colpo, fosse stato il rintocco di Notre Dame oppure lo schiocco d'una porta nera e sporca.
Non aveva trovato il nome di André, né come soldato, né come mittente d'una qualsivoglia missiva…
Dove sei André?
Dove sei finito?
"Cercavate questa?!" – domandò secco il funzionario, agitando una lettera in aria, una bustina piccola e gialla che pareva sigillata e per nulla manomessa, siglata sul retro dalla firma che scorreva attraverso i lembi del bordo di chiusura e del resto della busta. Un sistema elementare per rivelare l'eventuale apertura attraverso il vapore o altro, così da non insospettire il destinatario. Perché in tempo di guerra, allorquando una missiva fosse giunta dal fronte, il sacrosanto diritto alla segretezza della corrispondenza non sarebbe stato osservato, nemmeno se il destinatario della missiva fosse stata Sua Maestà la Regina.
Il tempo di compiere il terzo svolazzo, la mano dell'ospite si fiondò fulminea ad afferrare la busta.
Il funzionario se ne avvide purtroppo in ritardo, l'irrigidimento delle dita a trattenere il misero plico si ritrovarono a stringere l'aria e il braccio che d'istinto s'era ritratto all'indietro quasi finì per colpire in faccia il maldestro proprietario.
Il funzionario delle poste digrignò la propria sconfitta.
Solo parziale però, che se quella busta era comunque passata nelle mani dell'ospite, non così sarebbe stata la sorte dell'altra missiva – solo immaginata – che quello era intento a cercare quando i due s'erano incontrati.
Ed anche lo stesso ospite, Oscar François de Jarjayes, ammise d'essere stata sconfitta, perché il gesto repentino e bieco, imposto dal dovere, imposto dalla richiesta di Sua Maestà d'esaudire in fretta e con discrezione l'incarico, aveva sì consentito di mettere in salvo la missiva destinata alla regina ma contemporaneamente aveva di certo indispettito il funzionario.
Chissà come avrebbe potuto cavargli di bocca qualche informazione…
"Siete svelto…" – digrignò l'uomo – "Mi domando se sarete altrettanto sfrontato nella richiesta che vorreste pormi?".
"E' una richiesta legittima. Non vedo alcuna sfrontatezza nel chiedere notizie d'un soldato partito per il fronte. Semmai non posso non notare la vostra scarsa propensione a collaborare. Questa lettera, che avete agitato quasi come vessillo del potere che vi conferisce la vostra carica, era comunque destinata a me. Non vedo la necessità di appesantire eccessivamente un compito che deriva dalla vostra carica e dalla fedeltà che dovete ai sovrani!".
"Uh…che risposta!" – ridacchiò l'uomo per nulla intimorito – "E allora dite…monsieur…chi vi preme trovare? Come umile servitore di Sua Maestà sarò lieto d'accompagnarvi a cercare ciò che cercate...".
Che però l'uomo s'avvicinò, eliminando l'esiguo spazio che c'era…
"Mio caro giovane… non temete! Sarò lieto d'esaudire ogni vostra richiesta…".
Che quello s'avvicinò davvero, appoggiando la mano sulla spalla, stringendo un poco la stoffa della giacca.
Se su quella spalla avesse capeggiato una mostrina, dorata e brillante, forse ciò che stava accadendo non sarebbe mai accaduto.
Parimenti se quella spalla fosse stata coperta da broccato o mussola o lino o…
Infiocchettata e ornata di raso rosso oppure pizzo bianco o ricami di seta argentea…
Nulla di ciò che stava accadendo sarebbe accaduto.
Che lei fosse stata un ufficiale o una dama in visita da parte di Sua Maestà, il funzionario non si sarebbe azzardato. Forse se fosse stata una dama, avrebbe avuto al seguito un'amica, un paggio…
E se fosse stata una dama chissà, forse avrebbe saputo come irretire lo sguardo viscido del funzionario.
Chi era dunque Oscar François de Jarjayes senza la sua uniforme addosso?
Chi era stata fino ad allora, fino al giorno in cui André Grandier era stato con lei…
André Grandier fino a quando le era stato accanto l'aveva di fatto tenuta al sicuro ma, soprattutto, aveva tenuto lontano da lei la solitudine.
Oscar François de Jarjayes intuì il progressivo disgregarsi delle forze.
D'improvviso, senza poter arginare le lacrime, le sentì salire agli occhi, che dovette deglutire a forza, intuendone il sentore amaro nella gola.
Che stava accadendo?
Rabbia, impotenza, stizza?
Smarrimento?
S'intuì sola, per davvero, per la prima volta.
Maledisse l'amico che l'aveva lasciata, lo maledisse perché di lui non aveva più notizie e maledisse se stessa per ciò che stava ascoltando, una sorta di timore capace di scavare dentro e lasciarla in balia dell'ignoranza.
Non era abituata, Oscar François de Jarjayes, a ignorare, a vivere nella melma dell'ignoto, a lasciarsi divorare dall'incompetenza di non riuscire a dar pace da una domanda.
Che lui, André l'aveva sognato spesso, inspiegabilmente, e in quel sogno aveva ascoltato il corpo liberarsi da se stesso, dai lacci delle mostrine e persino dalla stoffa della camicia e poi dal peso lieve della lama d'acciaio.
S'era ritrovata sollevata, come senza peso eppure lì, impietrita dalla smania d'essere risucchiata in lui…
Rammentò di nuovo…
Il ritmato incedere, la pelle sfregata contro il sesso…
La bocca sapientemente morsa e chiusa, sì da contenere il respiro crescente e poi la repentina illusione…
Il corpo frustato dalla scarica invisibile e tonda d'una impalpabile discesa dentro di sé…
L'ombra china su di sé…
Lo sguardo severo e sprezzante…
André…
Il suo nome…
Lui stava lì, ad osservarla, muto…
La rabbia contro di lui e contro l'arroganza dell'altro si sollevò di pari passo.
Si voltò senza sottrarsi all'avversario, com'era sempre accaduto nella sua vita, piantandosi addosso a quello, afferrandogli il polso, girando l'arto, portando braccio e mano dietro la schiena.
Un grido, l'uomo, per nulla avvezzo a tali sgarbi, si piegò per correre a trovare nel tempo più breve possibile, una posa che lenisse il dolore. Lo smacco sgraziato impose allo sgraziato assalitore d'arretrare per sottrarsi, che l'altra, intuendo lo scarto dell'equilibrio, lo spinse via, approfittando dello sgomento e della sorpresa.
Cadde all'indietro l'uomo…
E sarebbe finito a terra se la porta non si fosse aperta e braccia tese e forti non si fossero allungate a evitare al funzionario corrotto un sonoro schianto sul pavimento.
Un passo indietro…
Le lacrime continuarono a salire, bizzose e beffarde…
Gli occhi stravolti del funzionario roteavano sgomenti e furiosi…
"Che accade monsieur?" – chiese repentino Victor Girodel tenendo saldamente il busto dell'omuncolo, così che quello non finisse gambe all'aria, inspiegabilmente salvo, seppur disorientato dall'improvvida reazione dell'avversario.
"Dannato! Ve ne pentirete!" - cacciò un grido…
"Vi sentite male monsieur?" – continuò a tergiversare Girodel, correndo con gli occhi a lei, imponendole di spicciarsi a sgattaiolare fuori da lì, tanto lì nessuno ci avrebbe cavato più nulla.
Oscar François de Jarjayes, quella d'un tempo – nemmeno tanto tempo prima – avrebbe rifiutato sdegnosamente di lasciare la stanza, sgombrare il campo, chinare la testa, togliere il disturbo, sottrarsi a una ramanzina o peggio ancora ad una rischiosissima reprimenda che, nemmeno il tempo per Notre Dame di battere mezzogiorno, sarebbe corsa sino a Versailles, scomodando il Ministro delle Poste che avrebbe scomodato il Ministro della Guerra…
Victor Girodel tirò su il funzionario, come avesse tirato su un sacco di patate mezzo vuoto.
L'uomo era fradicio di sudore, per l'oltraggio subito, per esser stato messo all'angolo, per…
Strillò di nuovo…
Oscar sentì la voce stridula abbattersi su di sé, incidere nel profondo la coscienza.
Per la prima volta intuì che non avrebbe avuto a disposizione forze sufficienti a contrapporsi all'idiota messinscena.
Non per mancanza di coraggio, ma perché non voleva.
Rimbombava nella testa l'insolenza dell'amico che se n'era andato…
Stillava rabbia quel bacio…
Ch'era stato un sogno e poi era stato reale e…
Oscar fece un passo di lato, scorse con lo sguardo a Victor che le sorrise lievemente…
Gli passò accanto…
"Attendi fuori…penserò io a calmare…" – il pollice roteò all'indietro indicando il luogo del misfatto, mentre s'accertava che il malcapitato segretario riuscisse a stare in piedi da solo, che però il funzionario delle poste dell'Hotel de Ville, era davvero furioso e balbettava instupiditi rimproveri e sibilava poi non tanto velate minacce…
Corse fuori Oscar, la lettera gialla saldamente in mano e poi riposta nella tasca interna della giacca.
S'accorse che l'indumento era scomposto, forse nel gesto frenetico di scostare l'uomo da sé, non s'era accorta che quello non aveva mollato la presa, s'era aggrappato a lei, alla stoffa che dunque ora era quasi strappata.
Il cuore prese a battere veloce e sì che non aveva mai avuto paura di nulla, men che meno degli uomini arroganti e cinici e spocchiosi…
Di nuovo…
Rammentò…
Nell'alba, nel freddo incedere del sole…
Il rivolo di sudore era scorso sul viso caldo.
Lo sguardo s'era aperto sbarrato al soffitto istoriato di broccato floreale nero di notte e di guizzi di luce pallida che sbucava dalla finestra aperta.
Stava soffocando…
La gola chiusa…
Stava cadendo…
D'istinto aveva allargato le braccia come per aggrapparsi e le dita s'erano strette al lenzuolo…
L'equilibrio minato dunque da ciò ch'era scorso nella coscienza addormentata, scossa da un palpito, spezzata da un respiro soffocato, svegliata dall'incubo.
L'effige dell'altro, irriconoscibile, muta, il volto scuro di sangue rappreso, il ghigno sbilenco, come percosso da inusitata follia…
La bocca s'era aperta ma non era uscito alcun suono.
Almeno non le pareva non aver emesso una sillaba…
Eppure lo strazio della visione avrebbe colpito chiunque…
Se quell'immagine fosse stata vera…
André non aveva mai scritto.
André…
Dovette respirare piano Oscar François de Jarjayes per riprendere coscienza di sé, ammettere ch'era sveglia, lo era per davvero lì, poco fuori dalla soglia dell'Hotel de Ville, gli occhi sgranati alla piazza assolata e al via vai di gente.
Quello ch'era stato solo un dannatissimo sogno…
Adesso diventava reale.
Come se quel sogno avesse davvero coltivato un timore già seminato nella testa e nel cuore.
"André…" – sussurrò piano il nome, poi guardò il cielo.
Sentì freddo…
Un freddo intenso e mai ascoltato nella banale e rassegnata esistenza.
Quanto tempo era trascorso…
Che cosa stava osservando il corpo rigido, le dita fredde, quasi gelate…
Gli occhi sgranati alla luce feroce del giorno, non osservava nulla.
Un'ombra scorse sul viso…
"Che hai? Ti ha…fatto del male?" – chiese Victor preoccupato, parandosi davanti all'altra.
L'istinto dettò d'appoggiarle le mani sulle spalle. Esse scivolarono un poco, intense a stringere le braccia.
Victor Girodel s'accorse che le spalle dell'altra tremavano e che non appena stretta, quasi si fecero piccole. Oscar non ebbe alcun moto di ribellione, non tentò di scansarsi.
"Che hai?" – chiese di nuovo lui, severo.
"Nulla…quell'uomo…è stato odioso!" – replicò quasi sottovoce.
"Senti…perché non mi hai aspettato? Se fossi venuto con te…".
"Non avevo necessità d'aiuto…".
Un respiro fondo…
Victor Girodel scorse con la mano al viso dell'altra, l'indice scivolò sotto il mento.
Si stupì Oscar François de Jarjayes e nello stupore ascoltò le lacrime che aveva tentato di ricacciare il gola, a poco a poco sciogliersi e scomparire, inghiottite dalla posa, dal gesto.
"Io non ti sto appresso per proteggerti…ma converrai che con certa gente è bene non restare soli…quell'uomo…lo conosco…è un essere spregevole…".
"Lo conosci?".
Victor Girodel annuì.
"Credi che l'arte del pettegolezzo abbia a che fare solo con ricevimenti, caccia alla volpe, vini? Alle volte avere buone conoscenze permette di comprendere un pericolo prima di finirci dentro. Ho sempre ammirato il tuo coraggio ma in certe situazioni…il coraggio serve a poco…".
Un respiro fondo…
La lettera di Sua Maestà era al sicuro nella tasca della giacca mentre Notre Dame batteva le dieci.
Dio, quanto tempo era trascorso?
"Ho…devo andare…" – respirò soffocata…
"Dovremmo berci un bicchiere di buon vino!" – azzardò Girodel, che l'altra non rispose, né annuì, né rifiutò.
Oscar ripensò d'improvviso a nanny. Non comprendeva perché l'altra non avesse più avanzato domande su André. Che lo amava André, il suo unico nipote, e non poteva averlo dimenticato.
Nanny…
No, a quel punto Oscar ammise che non lo sapeva come stava nanny e che il silenzio dell'alta agitava i sensi e instupidiva gl'intenti.
La cortesia di Victor nei confronti di nanny…
Perché?
Un respiro fondo…
Il liquido tracannato d'un sorso andò a bruciare lo stomaco, così d'annebbiare i sensi.
Doveva accadere subito…
Bruciare la rabbia, incenerire lo smacco…
Anche il Tenente Victor Girodel si concesse di trangugiare il vino, mettendo da parte la solita flemma che accompagnava la degustazione.
Il sentore alcolico e fruttato si spanse per l'aria fresca, ch'erano da poco passate le undici.
"Senti!" – l'apostrofò Girodel, non proprio in sé – "Ho immaginato che fossi giunta qui…".
Oscar non sollevò la testa, gli occhi ficcati al bicchiere, la mano a cercare la bottiglia per riempirlo di nuovo.
La mano, a mezz'aria…
Victor l'afferrò…
L'altra ebbe un tremito, un istante a pensare se ritirarla e staccarsi…
L'altro la tenne stretta…
"Voglio dire…la regina ti ha convocato…e tu non hai voluto dir nulla sul tuo incarico…".
Oscar François de Jarjayes si sentì sprofondare…
Le stesse considerazioni di André…
"Io non mi diletto di pettegolezzi perché mi va di farlo…" – rimarcò Victor – "Ma le voci che girano a corte, i pettegolezzi, come li chiami tu, spesso consentono di sapere per tempo di chi fidarsi…ebbene…d'ora in avanti verrò io al tuo posto a prendere le missive per Sua Maestà!".
"No!" – sibilò Oscar – "Quell'idiota d'un funzionario…non lo temo!".
"Certo…tu non temi lui…ma la sua lingua potrebbe riportare a qualcuno che la regina riceve lettere personali…ritirate da una persona di sua fiducia…e presto tutti sapranno che sei tu…e siccome tu sei colei che forse è più vicino alla regina in questo momento…".
"Non dire idiozie!" – l'interruppe Oscar stizzita.
"No, devi ascoltarmi! Io passerei inosservato…tu no!" – forzò Victor, tenendo la mano stretta alla propria, stringendola, come a rimarcare il concetto – "So per certo che voci malevole sono già state messe in giro a Versailles…lascia che sia io a occuparmi di questa faccenda!".
"Sua Maestà ha incaricato me…non prendertela…ma…non sono mai venuta meno a una richiesta della regina…".
"E non accadrà…mi attenderai semplicemente fuori dall'Hotel de Ville e con quell'idiota d'un funzionario me la vedrò io!".
"Non sei tenuto!".
"Non sono tenuto e non lo faccio per te!".
Oscar François de Jarjayes fu costretta a sollevare lo sguardo al Tenente Victor Girodel.
Non comprendeva…
"Sua Maestà ha troppi nemici! E tu le sei troppo vicina perchè non si pensi che si serve di te per avere a disposizione lettere troppo importanti per essere lasciate nelle mani di altre persone. Se sarò io a svolgere questa incombenza, nessuno penserebbe mai che quelle lettere sono del…".
Silenzio…
Un battito…
"Del Conte Hans Axel von Fersen!" – sputò Victor severo.
Lo sguardo sgranato…
Il vino calato giù nello stomaco come un masso che tirava a fondo gli arti…
Le braccia pesanti, le gambe un poco molli…
Il nome del conte ebbe pregio di colpire il viso, come un pugno che non si era stati capaci di veder arrivare.
Il nome del conte divenne la chiave per aprire la porta e consentire a Victor Girodel di ottenere l'assenso dell'altra.
Per il bene della regina, per il bene del Conte di Fersen…
Di nuovo, Oscar François de Jarjayes chinava la testa di fronte alla ragion di stato…
Oppure no, forse la chinava perché non sarebbe stata in grado di sopportare oltre il silenzio e l'amore del conte per Maria Antonietta?
Perché quelle lettere erano prova di quell'amore, erano testimonianza di ciò che erano stati loro e di ciò che continuavano ad essere, nonostante Sua Maestà fosse divenuta madre e nonostante Fersen avesse lasciato la Francia.
E poi forse…
Non c'era alcuna lettera di André…
"Allora…siamo d'accordo…" – tirò un respiro fondo Victor – "E…ti…serve…altro?".
La richiesta balbettata indusse rabbia.
Così tanta che Oscar ritrasse la mano…
"No!".
Non avrebbe potuto chiedere di cercare le lettere di André.
Non sarebbe stato opportuno…
Victor Girodel si versò un altro bicchiere di vino.
Rimase severamente adagiato all'altra che aveva abbassato lo sguardo.
Intuì non ci fosse altro nella testa di Oscar François de Jarjayes degno d'esser rivelato.
Così che lui avrebbe avuto il privilegio di condurre il sottile gioco di potere che l'avrebbe legato sempre di più a lei.
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