Terza (e aurea) legge fondamentale

Una persona stupida è una persona che causa un danno a un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita

Carlo M. Cipolla

Allegro ma non troppo

Labbra…

L'arteria del collo…

Rintocchi, ritmati e fondi.

Labbra…

Denti…

Pelle morsa…

Le curve dell'anima, gli anfratti insondati del sesso…

Dirigono il respiro dapprima disarmonico poi ricomposto entro una sorta di cadenza roca, intaccata solo dallo stacco secco d'un secondo respiro, tremante e fulgido…

E poi un altro ancora…

Tempesta di baci e morsi…

Annidata lì, ricacciata indietro, per ogni volta ch'essa s'era affacciata ed aveva tentato di risalire, risorgere a ricamare mute geometrie d'abbracci e graffi…

Lo sguardo era chiuso, immobile, ancora preda del sonno, cullato dal flessuoso e livido tremore che ondeggiava e lambiva il sesso…

Le dannate spire avvolgevano le forze, sollevandole su, verso spire verticali sempre più strette e livide…

Gli occhi si spalancarono nel buio…

Il volto…

A quel punto il dannato sogno le riportava il volto…

Il suo volto…

Il dannato volto…

Gli occhi, un poco dischiusi…

Il disprezzo ad ammantare il desiderio così che questo non apparisse arrogante…

Meglio disprezzare qualcosa che elemosinarla…

Fa meno male!

Il corpo cadde di nuovo, proprio com'era accaduto allora.

Solo che adesso non rammentava più se davvero, allora, il corpo era caduto, aveva ceduto, oppure l'aveva semplicemente sognato, lui, esattamente come stava accedendo lì, nelle ore slavate del mattino, il sonno affatto ristoratore, la mente a rifugiarsi lì, sempre nello stesso luogo che poi non era un luogo ma un tempo, neppure orchestrato da una vigile coscienza.

Oscar François de Jarjayes si sollevò, restando seduta sul letto, le gambe rannicchiate contro il petto, le dita intrecciate a racchiudere le gambe, la testa appoggiata sulle ginocchia, ad ascoltare o forse a scacciare il languido affronto della sospensione emotiva.

Non poteva esserci nulla di più assurdo, evanescente e inutile d'un sogno.

Eppure non c'era nulla di più intenso e potente d'un sogno, perché nessuno avrebbe potuto nulla contro di esso, neppure la luce del giorno, incapace d'imbrattarne i brandelli, sparsi ma saldi entro i remoti pensieri.

Anche allora, a un certo punto, rammentò ch'era giunta l'alba.

Anche allora s'era svegliata e s'era ritrovata sola.

Lui non c'era più, se n'era andato ormai da un anno e mezzo, portando via con sé i pochi abiti, le camicie di nanny e chissà cos'altro.

Quale parte di sé s'era portato via?!

Quali abbracci, semmai c'erano stati…

Quali morsi…

Quali carezze…

E dopo…

Quel bacio, lì, sotto gli occhi di tutti, al porto di Brest, che pure era appartenuto solo a loro, anzi, soltanto alle loro labbra.

Oscar spalancò gli occhi, nel buio.

Nel buio…

L'odore della morte, addosso, ficcato nella coscienza che dapprima rifiuta d'adeguarsi e poi comprende che il rifiuto equivale alla morte…

Inusitato desiderio d'averla addosso…

Rivederla, almeno una volta…

Barlume accecante dettato dalla sua pelle, dai seni piccoli, puntati addosso, accarezzati piano…

Gemito lieve respirato lì, nell'incavo, tra collo e spalla…

Pensieri erranti, ultimo baluardo alla pazzia…

Nel buio…

L'odore della morte infiltrato in ogni pertugio della carne e della coscienza…

Il corpo immobile…

La risata smargiassa…

L'odore della morte…

Non voleva morire, non poteva morire…

Non senza averla vista un'ultima volta. Solo un'altra volta.

Nel buio…

Il corpo aveva ceduto…

Le mani s'erano aperte, le dita graffiavano aria e sabbia, nuda essenza dello sporco pavimento…

Nessun appiglio…

Nessuna salvezza…

Sussulto sgraziato…

La bocca muta…

Una preghiera, in silenzio, il nome sigillato nelle labbra, il corpo violato e sferzato da inconcepibile danno…

Le parve di udire il proprio nome…

Lui le chiedeva di stringerlo, nasconderlo…

Il rivolo freddo di sudore scorse sul viso caldo.

Lo sguardo s'aprì sbarrato al soffitto del letto, stoffa istoriata di broccato floreale, nero di guizzi di luce pallida che sbucava dalla finestra aperta.

Stava soffocando, di nuovo…

La gola chiusa, di nuovo…

Le dita strinsero il lenzuolo.

Uno scarto istintivo a riprendere l'equilibrio minato da ciò ch'era scorso nella coscienza addormentata, mossa da un palpito, spezzata da un respiro soffocato, svegliata dall'incubo, l'effige dell'altro irriconoscibile, muta, il volto scuro di sangue rappreso, il ghigno sbilenco, come percosso da inusitata follia…

La bocca aperta, senza suono…

Almeno non le pareva aver emesso sillaba.

Eppure lo strazio della visione colpì ugualmente.

Dovette respirare piano, per riprendere coscienza di sé, ammettere ch'era sveglia, ch'era stato solo un dannatissimo sogno, sempre lo stesso, che pure i sogni coltivano paure già seminate nella testa e nel cuore.

"André…" – sussurrò piano…

Da quando?

Da quando la stizza per quel bacio rubato a lei, era mutata…

Sì che quel bacio ora era divenuto il loro?

Il nuovo giorno, l'ennesimo, trafisse l'intento di ricordare, seppur la luce ebbe pregio d'esaltare il sogno, rievocare il nome e ricacciare l'oscura visione entro i meandri dell'insondabile mente.

Chiese altri suoni, li compose nella mente.

Cigolii di carretti lungo le stradacce sconnesse…

Voci dapprima basse sollevate al sollevarsi del chiarore del sole…

Legna arsa ed ormai spenta…

Strida d'uccelli…

Camini fumanti…

Odore di pane e rabbia…

Rintocchi lontani che annunciavano le odi del mattino…

La stessa domanda…

Dimmi che ne sarà di noi…

Dimmi che ne sarà di noi…

Dimmi che ne sarà di noi…

§§§

A marzo dell'anno 1780, il Generale Lafayette, ch'era rientrato in Francia poco meno di un anno prima, e aveva avuto il tempo di vedere il volto del suo primo figlio e aveva tentato di perorare la guerra contro l'Inghilterra, spiegando a Re Luigi XVI che attaccare il nemico lì, proprio lì dalle coste francesi, avrebbe fatto risparmiare tempo, senza perderne altro sul fronte americano, non aveva ottenuto l'agognato consenso, il re non ne aveva voluto sapere di sferrare un'aggressione lì, proprio lì dalle coste francesi alle porte dell'Inghilterra.

Così Lafayette era salpato nuovamente da Rochefort, a bordo dell'Hermione.

Il messaggio da recare al Generale George Washington era l'imminente arrivo di un altro contingente di uomini, cinquemilacinquecento per la precisione, al comando del Luogotenente Generale Rochambeau che sarebbe partito il 2 maggio.

Poco più di due mesi di navigazione…

Meno giorni del previsto…

Il motivo della nuova spedizione, sferrare un attacco definitivo alla città di New York, ch'era di nuovo in mano agli inglesi, contesa quartiere per quartiere…

Ma poi…

S'era saputo che l'inverno sarebbe giunto a scompaginare i piani.

Fino a quando non si fossero sconfitti gl'Inglesi per mare, non li si sarebbe potuti sconfiggere in terra.

Le notizie s'erano susseguite…

Da una parte annunci di vittorie…

Dall'altra timori di sconfitte, se il contingente non fosse stato rinforzato.

Dunque altre richieste di denaro erano finite, già dalla primavera dell'anno 1780, sulla scrivania del re.

Sua Maestà Luigi XVI ne aveva fatto cenno a Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, in un pomeriggio d'estate, Madame Royale seduta sulle ginocchia del sovrano, intenta a giocherellare con i poveri petali d'un povero papavero ormai distrutto.

La regina aveva annuito, silenziosa.

Maria Antonietta si era ormai allontanata dalla vita dissoluta che aveva condotto alla reggia fino all'anno prima della nascita della sua prima figlia.

Aveva persino rifiutato di accogliere la pressante richiesta di farle visita da parte di due gioiellieri tedeschi, tali Charles-Auguste Böhmer e Paul Bassenge, che, s'era saputo, avevano collezionato un mirabolante quantitativo di piete preziose, poi incastonate in un favoloso collier ch'era stato inizialmente commissionato dal defunto Luigi XV per la sua favorita la Comtesse du Barry.

Il gioiello era rimasto invenduto perché nel frattempo il re era morto e la contessa allontanata dalla reggia.

Oscar poco distante aveva osservato Maria Antonietta, il volto della regina un poco triste, come fosse in America sì, ma a osservare chissà quale scenario.

Chiunque le parlasse della guerra non avrebbe mai potuto immaginare che un pensiero, labile e fondo, sarebbe stato inevitabilmente rivolto al Colonnello von Fersen, come sempre, come tutte le volte in cui il re, suo malgrado e senza neppure immaginarlo, esponeva alla consorte i progressi di battaglie lontane, battaglie inutili, se non che in quella guerra c'era un uomo di cui la regina riceveva regolari notizie, ormai sin dalla sua partenza.

Giungevano diverse missive a Le Petit Trianon o alla reggia di Versailles.

Tutte erano aperte e lette.

Ad alcune era data risposta, altre erano semplicemente messe da parte.

I messaggi, recapitati da Oscar François de Jarjayes, in rigoroso silenzio, erano silenziosamente letti di giorno, quando Maria Antonietta era solita sedersi accanto alla finestra, affinché la luce del sole si posasse imperiosa sulla grafia scura e conosciuta, così da infondere certezza ch'essa fosse proprio quella dell'uomo amato, oppure nella solitudine della sera, quando le dame si ritiravano e la figliolina s'acquietava, e la regina andava a leggere e rileggere e rileggere ancora i piccoli scritti, anche se non c'era più la luce del sole a posarsi sulla grafia pulita e ordinata.

Lettere alle volte gelosamente custodite, altre bruciate per evitare pettegolezzi indiscreti.

Maria Antonietta ne sapeva dunque forse più del sovrano di cosa accadeva in America ma chissà se e cosa le importava davvero, se ciò ch'era contenuto nelle lettere oppure ch'esse giungessero, regolari, così da attestare che l'uomo che le scriveva era ancora vivo.

Forse allora era proprio la ricercatezza di quel misto fatto d'oscurità e cuore pulsante, a cui la regina anelava, l'intimo contatto d'una mano che le aveva accarezzato il viso, il ricordo di sé impresso sul volto dell'altro, sulla pelle, e così l'immagine di quella mano che aveva vergato il foglio, la carta ora inchiostrata che lei leggeva e rileggeva.

Oscar se l'era chiesto spesso.

Una donna che ha amato, una donna che ama ancora, come può farsi bastare una carezza lontana, annebbiata dal tempo che avanza implacabile, annientata dal dubbio che quella carezza potrebbe non tornare a posarsi più?

Sulla guancia…

Sul cuore…

Solo che leggere e rileggere e rileggere ancora, in certi giorni, non era abbastanza.

E allora Maria Antonietta chiedeva, in silenzio, solo con lo sguardo, al Colonnello Oscar François de Jarjayes di passeggiare un poco, magari verso il lago, alle volte in silenzio, alle volte accennando con parsimonia a quell'amore lontano.

Che Oscar François de Jarjayes era divenuta amica e confidente, testimone e sacerdotessa dell'amore perduto, capace di accogliere l'impalpabile dolore di Maria Antonietta, ammansirlo attraverso parole di conforto, accennando magari a qualche risaputa strategia bellica, la maggior parte delle volte ammettendo on se stessa che non era solo quel conforto a cui avrebbe ambito una donna che amava.

Oscar François de Jarjayes imparò dunque a nutrirsi del sottile e languido richiamo dei sensi, del ricordo dell'uomo, il suo sorriso, la sua risata, i suoi consensi a una comune lotta…

Preservare l'onore di Maria Antonietta…

L'uomo amandola…

La donna accogliendo la sua amicizia…

Il legnetto istoriato strisciò delicatamente contro il piccolo molo, impreziosito di velluto viola e verde, così ch'esso avrebbe attutito l'attracco della barchetta destinata a brevi traversate nel laghetto poco distante dal Trianon.

Oscar porse la destra a Maria Antonietta che s'appoggiò, scendendo dalla barchina, appoggiando i piedi sull'erba asciutta.

La geometria si svolse silenziosa.

Maria Antonietta annuì, ringraziando l'amica per le parole e i silenzi.

Lo sguardo corse a colui che attendeva il colonnello, un cenno del capo, il Tenente Victor Girodel rese il saluto alla regina che s'avviò, in compagnia delle dame che accennavano agli impegni per la cena.

Lo sguardo corse alla donna ch'era rimasta lì, ritta, sul limitare del laghetto…

Lo sguardo severo, la posa irrigidita…

"Vogliamo andare?" – chiese Girodel risoluto, senza domandare la ragione del silenzio.

Oscar annuì, Girodel, accolse il silenzio, ormai aveva imparato ch'esso era prezioso, più delle parole, più della rabbia, forse era rassegnazione a sé, allo scenario, ma a lui sarebbe bastata anche quella.

La rassegnazione…

Eppure essa lambiva le viscere come fosse una specie di angolo acuto, spigolo infingardo d'una fatiscente costruzione.

A metterci una mano sopra si rischiava di tagliarsi e farsi male ma forse ne sarebbe valsa la pena, che forse, dietro a quell'angolo spigoloso, c'era altro, forse un giardino fiorito, una miscela d'aromi pungenti e tondi, salati e morbidi, come ambra che sgorga nell'amplesso dei sensi.

Si mossero le figure, osservate poco lontano, da altri occhi, scuri e pieni, a bucare il leggiadro groviglio di rami potati a reggere fronde ammaestrate, corpi bianchi scolpiti nel marmo, appena screziati di muschio verdognolo, sfolgoranti zampilli di luce a impreziosire il piccolo scrigno ove la famiglia reale conduceva una parte della propria esistenza dorata e immobile.

Gli occhi seguirono le due figure, per poi perderle entro un impalpabile sciame di tessuti colorati e preziosi, ondeggianti e sinuosi, ingoiate dalla piccola folla di cortigiani indaffarati a non far nulla.

Le due figure scomparvero, per accordare i passi entro vialetti meno battuti, come in cerca di un tempo fermo, di un istante ove appoggiare i pensieri troppo intensi e fastidiosi da sostenere e finanche accantonare nel chiacchiericcio umano.

"Sua Maestà mi è sembrata più pensierosa del solito…" – convenne Victor Girodel – "E' possibile che le notizie che giungono dal fronte la inquietino…".

"Sì, è possibile…" – ammise Oscar, lo sguardo nel vuoto, il passo un po' lento, l'ultima domanda di Maria Antonietta a rimbombare nella testa.

Fersen…tornerà?

La rassicurazione…

Il dubbio…

La rassegnazione…

Il dubbio…

Ondeggiavano gli scenari ma soprattutto…

Le figure s'appaiarono e la mano di Girodel colse a sfiorare, sfidandolo, quello spigolo dannatamente acuto, infingardo.

S'immaginò che si sarebbe ferito. S'immaginò d'accogliere un rifiuto.

Non netto, non sdegnato, come d'una donna che gioca a lasciarsi sedurre e catturare…

Ma severamente tagliente, sprezzante…

La rassegnazione, dura e nera, parve sgretolarsi.

L'angolo guadagnato in fretta e di là da esso, Monsieur Victor Girodel, scorse occhi chiari, un poco velati di rabbia e lacrime.

Non comprendeva ma accolse l'inusitato balzo…

"Perdonami…" – sussurrò per averla involontariamente sfiorata.

Che però l'altra fu costretta a fermarsi, travolta dalla rabbia ch'era rassegnazione e poi smarrimento.

Amare…

Non era solo quello.

Amare era essere amati e dunque ammettere d'essere viventi e vivi per ciò che l'altro rivela di se stessi.

Crebbe il caos, infingarda la rabbia sollevò le lacrime.

"Oscar…che è accaduto…se posso…" – ammise Victor avvicinandosi – "Se posso fare qualcosa…".

Oscar François de Jarjayes non allontanò da sé l'incombenza dell'altro che s'era fatta strada, giorno dopo giorno, mese dopo mese, con uno scopo forse, anzi senz'altro era così.

Ossia esattamente quello…

Avvicinarsi, accudirla, accogliere il segreto silenzio che orchestrava la sua vita.

Il corpo vicino parve esser capace d'ammansire l'istante di smarrimento.

La sola vicinanza, lo sguardo e la muta apprensione divennero una specie di manto caldo ad avvolgere il freddo generato dall'assenza.

Perché Oscar François de Jarjayes aveva iniziato a percepire la distanza…

L'uomo che aveva ammesso di amare era lontano…

"Non è…nulla…Sua Maestà è preoccupata…tutte le guerre preoccupano. Per quanto lei si diletti con la figlia e sia dedita ai suoi doveri di madre e moglie, non può fare a meno di pensare, come madre, a quanti giovani non torneranno più dalle loro madri, e come moglie, a quanti padri non torneranno…" – spiegò distratta.

"Si, lo capisco…" – ammise Girodel.

Nell'istante…

Victor Girodel tese la mano, ricompose la stretta, chiuse le dita, strinse un poco…

"Per quel che può valere…e se può esserti d'aiuto…io non ti abbandonerò…e…".

Oscar si stupì dell'affondo ma poi non troppo.

Per la prima volta ascoltò il cuore compiere un balzo e poi adagiarsi calmo sulle parole lente dell'altro.

Stava parlando d'altri, stava palando di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta…

E altri ancora, incapace di nominarli…

Rimase sospesa…

"E sono vicino alla preoccupazione di Sua Maestà, come moglie e come madre, e lo sono anche a quella della tua governante…".

"Cosa…".

"E alla tua!" – ammise Girodel, avvicinandosi, piano, la mano libera scorse al volto scostando i capelli ch'erano mossi dal vento.

"Posso dire senza timore di essere smentito…e senza timore di ricevere il tuo disprezzo…d'essere geloso di coloro che sono partiti e che tanto hanno portato con sé del tuo cuore. I motivi non li conosco. Ma so che nulla potrebbe mai spingermi ad allontanarmi da te…e sono felice di cogliere la tua benevolenza verso di me…".

Oscar si stupì, si riebbe, comprese, s'accorse della mano stretta nella mano.

Di scatto sgusciò dalla presa perché le parole, apparentemente neutre, recavano invece la più lampante delle confessioni.

Si ritrasse, imbambolata, disorientata al pensiero che l'altro avesse potuto comprendere.

Cosa?

Dannazione…

Che lei aveva sentito dentro di sé il richiamo di un uomo che stimava e rispettava sin dal profondo dell'animo e quel richiamo dunque aveva preso a risuonare forte, così forte che anche altri l'avrebbero udito!?

E che…

Il mantello gettato addosso…

La chiosa sulle redini…

Il corpo di André avanti a sé, solo un poco più alto…

La presa della mano destra, le redini ficcate dentro il palmo, con stizza…

André che parla di amanti…

André che scompare di notte…

André ha conosciuto Amalie Jenevieux…

André…

André…

Il bacio…

Troppo…

Caos…

Moriva piano…

Respirava e moriva piano…

Un passo indietro…

Il piglio ridivenne scuro e tagliente…

Dietro allo spigolo non c'era nessun giardino…

"Ora devo andare…" – tagliò corto Oscar – "Scusami ma preferisco tornare da sola…".

Girodel era geloso dunque…

Di chi?

Di coloro che sono partiti e che tanto hanno portato con sé del tuo cuore…

"Ascolta…" – ondeggiò Victor, deluso e frastornato dall'impossibilità di compiere anche solo mezzo passo in avanti e che quel mezzo passo avesse come unica conseguenza l'arretramento dell'altra – "Vorrei che tu almeno mi ascoltassi…".

"Sono discorsi che abbiamo già fatto…conosco il tuo valore…Madame Glacé mi ha spiegato quanto apprezzi il tuo interessamento per lei e per ciò che vivendo…".

"Oh…forse non comprendi davvero! Madame Glacé è una persona integerrima…e farebbe di tutto pur di non contraddirti…io mi sono solo permesso di accogliere la sua preoccupazione verso il nipote che se n'è andato…".

La spina punse…

L'allusione diede la stura al confronto.

"Madame Glacé sa che le voglio bene…perché non dovrebbe arrivare a contraddirmi!? Cerca di essere più chiaro…".

Si faceva strada il dubbio che nanny sapesse altro e che nanny se lo fosse tenuto per sé…

"Sto solo dicendo che comprendo i sentimenti di chiunque stia rischiando di perdere una persona cara. Che sia una regina come una semplice governante…e lo stesso vale per te…".

"Non hai risposto alla domanda! Victor…che cosa sai?".

"Ecco…la tua governante mi chiede spesso notizie sulla guerra in America…".

Si stupì Oscar che nanny non l'avesse fatto con lei, la confidenza maturata fin dalla più tenera età…

"Credo lo faccia per sapere qualcosa di suo nipote…".

Rimase in silenzio Oscar, incapace d'ammettere di fronte a Victor che, di contro, con lei non accadeva. A lei, nanny non aveva mai chiesto nulla.

"Madame Glacé mi ha confidato di temere a chiedere altro a te, perché teme di metterti in imbarazzo. Suo nipote è un semplice soldato…quando mai un colonnello si interesserebbe alle sorti d'un semplice soldato?!" – continuò a spiegare Girodel – "Ecco…non vuole contraddirti…non vuole infastidirti…il tuo ruolo per lei è sacro, così come lo è la tua vita. Ho appreso di questa sua preoccupazione e mi sono offerto di cercare ogni tanto notizie sulle sorti della guerra. Mi è stata grata di averlo fatto, così non ha dovuto incomodare te…".

Quel continuo riproporre la scusa del fastidio, del ruolo, del preservare la sua persona come fosse quella d'un'immacolata immagine sacra, sollevò rabbia.

L'ammissione che lei era stata tenuta in disparte dai discorsi strideva e al tempo stesso generava chiarezza.

Eppure, Oscar François de Jarjayes dovette ammettere che neppure lei aveva mai osato chiedere nulla alla vecchia governante.

Non aveva domandato, se non una volta, a nanny, di suo nipote.

Implicitamente dunque le aveva dato a intendere che di lui non le importasse poi nulla.

Forse era per questo che nanny alla fine non aveva domandato più nulla.

A forza di restare in silenzio, alla fine il silenzio colma le esistenze e ne diviene causa e ragione.

"Devo andare!" – replicò secca, incredula e disorientata.

"Aspetta!" – si stizzì Girodel – "Non te la prenderai con lei!?".

La domanda eruppe severa.

Il rischio era che la geometria oscillante si scompaginasse e la scenografia sapientemente costruita in tutti quei mesi andasse in frantumi.

"No!" – sputò Oscar risentita – "Non sia mai…non potrei mai adirarmi con Madame Glacé per ciò che ha fatto. Comprendo il suo dolore. Solo…".

"Solo…che cosa vorresti sapere?".

Avrebbe voluto Oscar, correre da nanny e chiedere se avesse saputo altro di André.

Avrebbe voluto ma ora non avrebbe più potuto. Troppa sarebbe stata la vergogna provata da nanny sentendosi scoperta, dovendo ammettere d'essersi appoggiata ad altri per apprendere del destino del nipote, in silenzio, e tutto per non ferire i sentimenti della padrona.

"Nulla…la sua tranquillità…adesso mi è più chiara…" – ammise sconfortata Oscar – "E allora non posso che ringraziare te…che evidentemente sei stato abile nel raccontare le buone notizie e a tenerla lontana da quelle pessime…".

"Posso assicurarti che le ho sempre detto la verità…ciò che sa è ciò che accade!".

Un respiro fondo…

Oscar si voltò. D'improvviso la carezza al volto che Victor s'era permesso qualche istante prima riemerse, più chiara, nitida, fulgida, di quella brillantezza che non è del gesto ma del suo significato.

Non riuscì a dire nulla che fu Victor a parlare.

"Potrai non crederci e potrai dissentire da ciò che ho fatto, ma l'ho fatto per te…solo per te…".

"Si…" – dolente…

"Si?! Lo riconosci?" – l'incalzò Victor, stupefatto dall'ammissione.

Dunque forse, suo malgrado, era riuscito a superare quell'angusto e tagliente spigolo ed era riuscito ad oltrepassare il nero vuoto della solitudine.

Non sapeva cosa ci fosse di là, non sapeva se Eden o Ade…

No…

La pietra d'angolo immobile e fredda attinse il corpo dell'uomo che aveva avuto la malaugurata idea d'avvicinarsi per cogliere lo spiraglio, adagiare la mano…

La pietra muta e tagliente tagliò la carne…

"Te ne sono grata…non avresti dovuto…le incombenze che riguardano le persone della famiglia Jarjayes riguardano me…".

"Sciocca!" – s'avvicinò Victor afferrando l'altra per le braccia – "Hai detto bene! Della famiglia Jarjayes! So quanto tieni alla tua governante! E se lei è tranquilla e può occuparsi di te in maniera altrettanto serena, allora è come se ciò che ho fatto per lei l'avessi fatto per te! Ammettilo!".

"Lo ammetto Victor!" – rassegnata, il discorso virava entro geometrie che non aveva senso calcolare. Non lì, non in quel momento.

"E allora…mi basta sapere di avere suscitato la tua riconoscenza…".

Si strinsero le mani alle braccia…

Il moto soffocato implose il corpo che per un istante si concesse di cedere e lasciarsi stringere.

Oscar aveva intuito, dopo la partenza di André, il progressivo irrigidirsi delle braccia e delle gambe e il continuo implodere dei pensieri, come se, pur non essendoci stato mai nessuno a sorreggerla, in fondo, proprio quando era rimasta sola, si fosse resa conto d'essere stata sorretta, in silenzio, da qualcuno che pure non l'aveva mai sfiorata.

Qualcuno ch'era sempre stato mezzo passo dietro a lei.

La testa si appoggiò al petto dell'altro.

Girodel l'abbracciò allora accarezzando i capelli…

"Ti sono riconoscente…" – ammise Oscar, stremata, vinta dal pensiero dell'assenza, incapace di farsi bastare a se stessa.

"Non parlare…non desidero parole…non sono quel genere di persona che vuole veder riconosciuti meriti che ha obbligo e onore di esaudire…".

Il trionfo dei sensi, appagati lì, stretti nelle braccia abbracciate…

Oscar intuì che le forze avrebbero ceduto…

Intuì che…

Non…

Era…

Così…

Non…

Era…

Lei…

Non…

Mettiamola così…se non è un mio dovere preservare la tua vita…vorrà dire che lo farò per il tuo cavallo!

Spero che almeno la bestia apprezzerà e non avrà di che risentirsene!

Moriva piano…

Respirava e moriva piano…

Eruppe la chiosa…

"Non…" – balbettò…

"Non parlare…" – s'incalzò Girodel che sollevò il viso, il dito sotto il mento, a sollevare il volto verso di sé. Provò a scorgerla, nel silenzio…

Il silenzio era l'arma preferita di Oscar François de Jarjayes…

In quel silenzio la bocca scese a sfiorare la bocca, che il corpo si contrasse tornando rigido e freddo…

La destra si sollevò scorrendo al viso di Victor, frapponendosi tra la propria bocca e quella dell'altro.

Oscar si staccò restando con lo sguardo all'altro, severa.

"Oscar…perdonami…".

Muta, si scansò di lato…

"Oscar…".

Resta…non per quegli idioti là fuori…ma…

"No…" – ammise distrutta, le parole rimbombavano nella mente – "Non ho nulla da perdonarti…non chiedermi mai più perdono…".

"Cosa?".

Moriva piano…

Respirava e moriva piano…

I passi corsero via, muti, incapaci di comprendere l'incedere di rabbia e tristezza, mescolate assieme, incapace lei di scinderle e tenerle a bada e mantenere freddezza e ragionare.

Victor Girodel rimase lì, impietrito dalla chiosa assurda, le viscere aggrovigliate a comprendere il significato di quella specie di ordine.

Frusciare di fronde…

Alle spalle…

Victor Girodel si voltò, intuendo la presenza dell'altra, gli occhi scuri a fissare l'uomo, le mani appoggiate alla corteccia ruvida, di nuovo calata nell'abito appassito e greve, stoffa capace di camuffarla in senso inverso, così da ridiventare corteccia nera e poi fronde lievi e ami di salice mossi dal vento.

La osservò Girodel, e l'altra fece un passo indietro e corse via.

Il passo s'allungò…

Nelle mani la chiosa a non domandare più perdono. Victor Girodel ammise la propria assoluta incapacità di ammansire la coscienza di Oscar François de Jarjayes.

Nessun passo era certo, nessun traguardo guadagnato definitivamente.

Ogni giorno vissuto col rischio di perdere tutto…

Ogni giorno vissuto nell'insolente e unica certezza di non avere alcuna certezza.

Che Victor Girodel era sempre vissuto di certezze, non ne aveva mai potuto fare a meno.

Che fosse stato il colore d'una cravatta pervinca oppure malva scuro.

Che fosse stato il mantello del suo cavallo strigliato a dovere…

Oppure la banale ammissione che quello sguardo selvaggio e irriverente avrebbe avuto capacità e gusto d'ammansire la rabbia, quella che saliva dalle viscere fino a chiudere la gola.

§§§

La testa tra le mani, il bicchiere vuoto, il buio…

Aveva chiesto di cenare da sola, la stanza era fredda, solo tre candele, poche pietanze nel piatto.

Nanny l'aveva servita, in silenzio e Oscar non aveva chiesto nulla, non aveva domandato, non aveva quasi alzato gli occhi sull'altra, per timore che la donna intuisse che adesso lei sapeva la verità.

Quale verità?

In fondo nulla, non aveva saputo praticamente nulla, se non che nanny era serena e quella serenità era specchio di una tranquillità che però a Oscar François de Jarjayes non bastava.

Le pareva di perdere, giorno dopo giorno, il senno.

Le pareva di pensare a qualcuno che non c'era più, anzi che non era mai esistito nella sua vita.

A poco a poco i ricordi sbiadivano, e così, proprio così incolori, essi finivano per generare la sofferenza più fonda, l'asciutta constatazione della perdita dell'altro e dunque della perdita di sé.

Come se l'altro non ci fosse mai stato…

L'altro…

E sé…

Ogni certezza si sgretolava…

L'altro…

E sé…

Una dicotomia insensata fino a qualche tempo prima.

Corretta ma insensata…

Ora invece…

Di nuovo cadde giù, un poco tramortita dall'alcool. Accadeva spesso, nel chiuso della camera, luogo ove quasi più nessuno entrava, se non la servitù a riordinare la stanza, agli ordini di nanny.

Le pareva che la camera fosse fredda, sempre più fredda, sempre più spesso.

Le pareva che nulla le avrebbe più restituito l'assurda calma di cui, solo adesso, ammetteva di aver goduto.

Nel buio…

Moriva piano…

Il corpo piegato, spezzato…

La carne straziata e lesa…

Nel buio…

Moriva piano…

Progressiva e inevitabile consapevolezza dell'insulto…

Spinte ripetute…

Agonia delle viscere…

Gola chiusa…

Le mani s'erano aperte, le dita graffiavano aria e sabbia, nuda essenza dello sporco pavimento…

Nessun appiglio…

Nessuna salvezza…

Sussulto sgraziato…

La bocca muta…

Una preghiera, in silenzio, il nome sigillato nelle labbra, il corpo violato e sferzato da inconcepibile danno…

Il suo nome…

Doveva sapere…

Ma non avrebbe potuto chiedere a nanny.

Doveva sapere…

Ma non avrebbe avuto senso domandare a Victor.

Il pensiero di non sapere annientava dunque…

Il pensiero di non sapere annientava.

Perché?

In quel lungo vagare tra congetture e pensieri, udì giungere una carrozza nel cortile, le ruote avanzare forzatamente contro il muro di pioggia che scrosciava infernale sulla campagna e sulla casa.

Ogni rumore amplificato dal silenzio, calato sulla costante attesa di ritrovare se stessa…

Attesa di sé…

Attesa dell'altro…

Scese, incontrando gli occhi del padre che abbandonava il mantello fradicio nelle braccia d'un inserviente.

Lo sguardo preoccupato…

"Padre…".

"E' tardi…non sarei dovuto rientrare a quest'ora ma domani dovrò partire presto…".

"Che è accaduto…".

"Pessime notizie dall'Austria…le condizioni dell'Arciduchessa sono peggiorate…da anni non godeva di buona salute ma ultimamente sono giunte notizie d'una ormai irreversibile compromissione…".

"L'Arciduchessa…l'Imperatrice…".

"Dovrò assentarmi per predisporre lo schieramento di truppe ai confini…i rapporti con l'Austria sono più che discreti ma se dovesse verificarsi il peggio…è sempre bene attenersi a regole di prudenza e far comprendere che la Francia mantiene vigile il controllo dei suoi confini!".

"Se dovesse accadere il peggio!?" Il futuro Imperatore Giuseppe d'Asburgo…è il fratello della nostra regina…non vedo cosa temere…".

"Nulla! Non c'è nulla da temere…ma si è convenuto di rafforzare la vigilanza…fino a quando la successione non sarà certa…fino a quando il nuovo imperatore non avrà il potere stretto saldamente tra le sue mani…tutto potrebbe accadere e dunque…".

"Posso fare…qualcosa?".

"Certo! Tu dovrai stare vicino a Sua Maestà! Resta con lei sempre! Veglia su di lei. Sua Maestà si fida di te e avrà bisogno di avere accanto persone fidate e discrete. E' possibile che giungeranno missive dall'Austria, dal fratello della nostra regina, e sarà opportuno controllare che non cadano nelle mani sbagliate…lo farai?".

Annuì Oscar François de Jarjayes.

Acconsentì, come sempre a obbedire alla ragione di stato.

Pioveva forte, il padre si congedò in fretta invitandola a riposare e a prepararsi al più presto.

La ferale notizia sarebbe potuta giungere in ogni momento.

Pioveva forte…

Il consenso sciolse il suo imponente potere, piegando i precedenti intenti…

Pioveva forte…

Il consenso indotto dall'ingresso muto…

Come sempre, l'uniforme che indossava aveva e avrebbe aperto molte porte, per i motivi più disparati.

Non era certo se sarebbe accaduto anche in quel caso, ma doveva recuperare le sue certezze, le voleva lì, adesso, strette tra le dita, inebriato dal sussulto del corpo magro, che si era sollevato e poi impietrito, al suo ingresso.

Le dita lisciarono il vellutino scuro della giacchetta, afferrando lievi una delle trecce nere.

Una carezza, la mano appoggiata al petto in ascolto del subbuglio del cuore…

Una carezza ad ammansire la paura dell'altra…

Il timore d'osare e di essere sfacciata, di pari passo alla paura d'essere usata e poi gettata via…

La carne scalfitta da cicatrici lontane ancora dolorose e mai guarite…

La carezza salì al viso.

Il corpo prese a ondeggiare, come canna che attende la tempesta per lasciarsi abbracciare e piegare, senza però spezzarsi.

Con sapienza l'indice e il pollice ebbero cura di sciogliere il laccio che tratteneva l'intreccio, l'indice si beò d'infilarsi nel serico pertugio delle ciocche che sollecitate solo un poco, presero a separarsi, libere, increspandosi e poi allargandosi al tocco delle mani che desideravano ricomporre la visione della testa libera.

Era buio…

Pioveva forte…

Il silenzio ammantava le stanze e i corridoi altrettanto scuri, poco frequentati, che là, nelle stanze riservate alla servitù degli ospiti importanti, non passava quasi mai nessuno.

Quando gli occhi si adattarono alla poca luce, ciascuno scorse quelli dell'altro.

Così come la bocca ch'era chiusa fece per aprirsi…

La mano destra piccola e lieve e scura, repentina, salì su per appoggiarsi alla bocca dell'uomo, tacito invito a tacere, a non dir nulla.

Le parole non avrebbero avuto ragion d'essere…

Le dita dell'altro, parimenti, s'avvicinarono al viso, lambendo la guancia, quella stessa su cui s'era abbattuto il ceffone, quando ancora nessuno dei due sapeva chi fosse l'altro.

"Devo averti fatto male…mi spiace…" – un sussurro mentre il viso s'avvicinava – "Sei caduta a terra…e non mi sono mai scusato neppure per quello…".

"Vi ho morso…".

"Mi hai morso…è vero…" – un sorriso di compiacimento – "Mi hai già chiesto perdono rammenti? Ebbene sono io a essere in difetto…".

Pioveva forte…

Nel buio della stanzetta un poco spoglia, fogli istoriati e un compasso giacevano sullo scrittoio, una candela, una sola, era prossima a spegnersi.

Tutto era fermo, tutto accoglieva il soffocato frusciare delle vesti, i lacci slacciati muti, i bottoni sgusciati silenziosi, a colmare il tempo della scelta, ad annullare ogni dubbio.

La carezza si sciolse allora sul petto ancora un poco acerbo, i seni piccoli, che la mano accarezzò, prima col dorso, quasi a sollecitarne il tenero risveglio e poi col palmo constatandone la consistenza e la puntuta arroganza.

Lua abbassò lo sguardo, voltandolo di lato, osservando il vuoto.

Lui afferrò le mani e le condusse ad afferrare la propria camicia, sfilarla, assaggiare il torso libero, i fianchi, le natiche nude tese…

Che l'altra sollevò gli occhi, le mani spinsero giù il resto degli indumenti.

S'avvicinò ancora di più, il respiro sull'altro, ch'era più alto, all'altezza del petto, immobile eppure intensamente volta a non ritrarsi, che ormai era tardi, ormai l'aveva fatto entrare l'altro nella stanza e nella vita, e s'era lasciata succhiare via una spina dal dito, come se l'altro avesse tentato di distogliere e levar via la spina piantata nel cuore e da allora lei non aveva fatto altro che osservarlo in continuazione e allora lui, sì, non poteva non essersene accordo.

Per la prima volta nella sua vita, la macchia infernale che le era stata impressa addosso non avrebbe fatto alcuna differenza. Lei aveva deciso, lei avrebbe accettato, lei…

La bocca s'abbassò a baciare la bocca, avida, ritmata, insistente, quasi impedendo di respirare.

Nessuna tregua, la mano condusse la mano a sciogliere l'affondo sulla carne, sì che l'incedere di pari passo avrebbe sollevato l'istinto della testa e quello delle viscere.

Provò a staccarsi ma la lingua la tenne lì, invadente, a plasmare ogni singolo respiro, ogni singolo cerchio di piacere che, come aggrovigliato nello stomaco, prendeva a sciogliersi, a risalire, a scendere, avvinghiandosi alle braccia ed alle gambe…

Risucchiando lei, la testa tenuta stretta, spinta contro la bocca…

Provò ad abbandonarsi…

La testa reclinata, l'abbraccio del corpo incombente…

Un mugugno mansueto, arrendevole, tenero, sensuale, di contro allo stridulo ululato ch'era scorso nella stanzette della reggia nel loro primo incontro.

C'era altro dietro alla resa morbida…

La fame di certezze impose il passo, l'istinto s'insinuò nella resa…

Fu lui a staccarla da sé…

Nel buio, nella pioggia scrosciante, appoggiò le mani alle spalle, stringendole un poco, provando a comprendere se l'altra avesse compreso. Non la conosceva, non sapeva nulla di lei…

Voleva solo le sue certezze.

L'altra fissò lo sguardo, nera scintilla saettò senza ritegno, cedendo il consenso…

Il corpo prese ad abbassarsi un poco…

Nel buio…

Victor Girodel mantenne lo sguardo fisso avanti a sé, che però a poco a poco il sangue prese a incendiarsi, come lava fredda che risale, magma pronto a esplodere…

Le pareti ondeggiarono, intorbidite di salmastro bollore…

Ascoltò il ritmato incedere della bocca, come se tutto il corpo fosse lambito dalla lingua, insinuata in ogni pertugio, in ogni curva delle spalle, tra le scapole, attraverso il ventre, fin nelle natiche…

Fu costretto ad afferrare i capelli dell'altra che rallentava…

Li strinse…

L'altra rallentò ancora…

Una mezza imprecazione…

Victor Girodel comprese che non era lui a guidare il gioco, s'era fatto beffare da una giovane ragazza dalla pelle ambrata e lo sguardo di pietra lavica millenaria.

Gliel'aveva consentito lui, lui che s'era immaginato di fare in fretta, venire lì, in piedi…

Un'altra certezza andata in frantumi.

Tentò d'abbozzare ma lo spasmo pulsava nelle viscere ammorbidendo la tensione delle gambe, la risolutezza degli intenti. Tentò di spingersela addosso, di nuovo, ma quella si scansò, finendo con la faccia contro le gambe, il capo chino, come un animale abbattuto ch'esala l'ultimo respiro.

"Alzati…" - ansimò freddo l'altro, tirandola un poco per i capelli…

Gli sguardi s'incrociarono di nuovo, Victor rimase impietrito nello scorgere una specie di sorrido muto, forse era il taglio stretto degli occhi, forse le labbra sottili leggermente inarcate.

La tenera canna s'era piegata e ora tornava ritta e tesa verso il sole.

Fu Lua ad afferrare le mani dell'uomo, a spingerlo indietro, contro il giaciglio un poco rigido, come in una specie di danza impercettibile.

Il movimento rapido uccise l'ultimo anelito del moccolo di cera.

Piombarono giù i corpi…

Non era mercoledì, ma andava bene lo stesso.

Non era una puttana quella che stava lì, sopra di lui, ma andava bene lo stesso.

Le mani alle spalle scostarono i capelli, la bocca scorse lieve a riprendere il senso del sangue che pulsava nel collo, mordendo la pelle, succhiando lo scorrere ritmato dei sussulti che inarcavano il corpo, piegavano gl'intenti…

Una sola certezza, pretesa e richiesta…

Victor piantò le mani alle spalle dell'altra e l'altra comprese, contorcendosi, scivolando di lato…

Era buio, pioveva a dirotto, il tempo di concedere un'ultima carezza, le mani s'appoggiarono ai fianchi, le gambe si mossero ad aprire le gambe sì che la carne imboccasse il rapido pertugio, oscuro antro carezzevole e turgido…

Le certezze premevano, lì, torturando il sesso…

Le tempie rimbombavano…

Sussulti intensi mentre il corpo magro tratteneva la forza impressa, accogliendo la carne, risucchiando il movimento così come un serpente avvinghia nelle spire la povera preda.

Nessun grido…

Nessun lamento…

Nessun respiro…

Il codice roco dell'amplesso schioccò nella carne, il respiro si sollevò fino al sussurro animale, una specie di ringhio fioco, la gola ormai asciutta, il corpo sfatto e svuotato.

Aprì gli occhi Victor, scorgendo quelli dell'altra, chiusi, la bocca serrata, muta, mentre il corpo pareva scosso da un'impercettibile stilla di piacere, muta anch'essa.

§§§

Petit Trianon, 1° décembre 1780

Giunse dunque la notizia più tetra.

Attraverso messi a cavallo, la morte di Maria Teresa d'Austria giunse fino a Versailles e dopo, neppure poche ore dopo, a Le Petit Trianon, in una fredda giornata d'autunno, a pochi giorni dall'ingresso della stagione invernale.

Sulla casa, sulle stanze, nei giardini ormai spogli dei consueti colori, parve calare una sorta di cappa grigia e livida.

Già da qualche settimana erano stati sospesi i consueti incontri con coloro che, nobili o borghesi, riuscivano faticosamente a ottenere d'essere ricevuti dalla regina per perorare cause di riconoscimenti di lignaggi o favori da riscuotere per chissà quali servigi resi alla deliziosa famiglia reale.

Già da qualche settimana, tutto era scivolato nel lento e muto tempo del lutto, che adesso imponeva abiti più sobri, scuri, e religioso silenzio e raccoglimento in preghiera oppure per stendere poche note scritte da inviare al fratello, il futuro imperatore d'Austria, alle sorelle andate in sposa a reali e nobili di diverse stati d'Europa.

"Sta piovendo…pare non smetterà più…".

"Vedrete che presto il sole tornerà a splendere…".

"Si…lo so…ma sapere che lei non c'è più…nonostante io non abbia mai potuto rivederla dopo il mio matrimonio…eppure sapevo che lei vegliava su di me…vegliava attraverso le sue preghiere, attraverso i consigli che mi giungevano dal Conte de Mercy…e da parte di mio fratello Giuseppe. Avrei voluto regalarle la certezza di aver dato alla luce un figlio maschio, erede al trono di Francia…così avrei avuto certezza che i suoi disegni, le sue decisioni, non sarebbero mai state vane…".

"Non credo che vostra madre abbia mai pensato questo di voi…".

Si voltò Maria Antonietta…

Una lacrima rigò il viso…

"Sono una pessima figlia invece…e una pessima regina…e una pessima moglie…".

S'inchinò Oscar, afferrando la mano dell'altra, il gesto istintivo che Maria Antonietta accolse, come l'anelasse, come avesse necessità d'essere afferrata e tenuta per mano, perché quel contatto, impossibile per chiunque altro che non fosse stato il marito o i figli, in quel momento doveva aver forza di sorreggerla e sorreggere la caduta di sé, dentro di sé, l'implosione della coscienza.

"Permettetemi di contraddirvi…ve ne prego…siete addolorata e il dolore porta a cattivi pensieri…a cattive considerazioni…".

"No Oscar…sono io che debbo contraddirvi…".

La mano ritratta, la mano a scacciare le lacrime…

"Mia madre è morta…non l'ho più rivista, non ho più ascoltato la sua voce, tessere racconti con lei. Era severa…non lo posso negare…ma la sua severità ha portato la pace. Io…".

Lo sguardo si volse altrove, come a scacciare l'altro pensiero quello amaro d'essere stata in fondo lei stessa una sorta di pedina in quello strano scacchiere di matrimoni e alleanze, i figli come merce di scambio da spostare a seconda della convenienza.

Una mossa che l'aveva fatta diventare regina…

Maria Antonietta s'immaginò, per un istante, se quella mossa non fosse mai stata compiuta e se lei, come sua madre avesse avuto la possibilità d'innamorarsi del suo futuro marito, dunque sceglierlo e desiderarlo…

Il cuore sussultò e il pensiero corse all'uomo che non era lì e la visione lugubre della morte s'espanse inevitabilmente.

"Tutto ciò mi ha portato a credere che non potrò rivederlo…" – sussultò la voce – "Anche lui potrebbe morire e dunque potrei non ascoltare più neppure la voce. Vedete dunque, tutto ciò è terribile…è terribile che il mio pensiero non sia rivolto solo e soltanto a mia madre…".

Il padre aveva avuto ragione.

I sentimenti di Sua Maestà erano bene troppo prezioso per essere rivelati a una qualsiasi dama di compagnia, a una qualsiasi confidente capace di usarli e calarli come agnello sacrificale entro la feroce arena ch'era divenuta la Corte di Versailles.

Sorprendente che persino nel dolore più grande, quello per una madre perduta, il sentiero e la mente riportassero a lui.

"La sua voce…" – replicò severa Oscar, incapace di scorgere nel dolore della donna che aveva di fronte una nota dubbia, tale da suscitare un qualsiasi rimprovero.

La scovò dentro di sé invece, per aver lei stessa percorso, seppur solo per pochi passi, quel medesimo sentiero, quello che conduceva alla stessa persona.

"Ecco…" – ammise Maria Antonietta, che fu lei a riprendere la mano dell'altra, a stringerla, il viso calato verso il palmo, come a odorarne il sentore.

Oscar rimase impietrita, allibita, nell'ascoltare il respiro un poco affannato della donna sul proprio palmo.

"Non capite Oscar…la vostra mano…la vostra mano ha stretto la mia…nella notte del ricevimento, l'ultimo a cui lui ha partecipato. E questa stessa mano, io lo posso solo immaginare, può aver stretto la sua…quando l'avete incontrato. Ditemi che è così?! Ditemi che almeno gli avete stretto la mano, così che io adesso, abbia certezza di toccare la stessa mano che ha sfiorato lui…".

Annuì Oscar, in silenzio.

S'era avvicinato Fersen…

Le aveva preso la mano…

Un guizzo…

L'aveva stretta…

L'aveva tirata a sé, piano, avvicinandola alla bocca, appoggiando le labbra al dorso della mano in un gesto d'inusitata e folle disperazione.

Maria Antonietta baciava il palmo…

Fersen aveva baciato il dorso…

Le labbra s'erano ricongiunte seppur attraverso la pelle d'una estranea…

Dunque questo era l'amore…

Pensiero ondeggiante ma fisso…

Volto offuscato ma certo…

Nulla che avessero riportato occhi o orecchie o tatto o…

Oscar rammentò che allora, anche allora, in quel medesimo istante, il volto di André, seppure nel proprio muto ruolo, era tornato a imporsi prepotente.

Lei se n'era andata dall'alloggio che Fersen le aveva riservato.

Nonostante avesse ammesso che lei era giunta a Brest per cercare Fersen e non solo per riportare al conte il messaggio di Sua Maestà.

Se n'era andata dunque. Era andata a cercare André…

L'aveva trovato e…

"Oscar…sapete vero che da alcuni mesi non ricevo più alcuna lettera…" – abbozzò Maria Antonietta.

Che l'altra annuì di nuovo. Anche lei si era stupita. Victor aveva confermato che non erano state recapitate altre missive e dunque nulla aveva potuto offrire per il sollievo di Sua Maestà.

"Credete che…".

"No…non dovete avere questi pensieri così tristi. E' naturale…avete perduto una persona cara…ma questo non significa nulla…".

Tentò di schernirsi Oscar François de Jarjayes, che però il dubbio s'era affacciato anche alla sua mente.

"Voi…voi non avete saputo…nulla?".

Negò Oscar…

"Non potreste…".

Il dialogo a singhiozzo rivelava l'angoscia, il dubbio.

"Proverò a fare qualche ricerca più approfondita…".

"Non ve lo chiederei se non fosse…".

"Qualunque sia la ragione…è mio dovere esaudire ogni vostra richiesta…".

Nessun ringraziamento uscì dalla bocca. Non lasciò la mano Maria Antonietta, se la portò al viso e le dita s'appoggiarono alla pelle tiepida, liscia, un poco umida.

Lo strazio della perdita unito allo strazio del dubbio.

Dunque amare era anche questo…

Amare nonostante tutto…

Amare sempre e comunque…

Il messo annunciò l'arrivo del consorte della sovrana.

Maria Antonietta si ricompose.

Un respiro fondo…

Trattenere entro il dolore per la perdita della madre, il dolore per la sconosciuta assenza dell'uomo amato, era atto da tenere per sé, custodito nel fondo del cuore, al riparo da giudizi di vergognosa immoralità.

La manifestazione esteriore sarebbe stata una soltanto, nell'unica declinazione consentita alla regina di Francia.

Re Luigi XVI chiese di restare solo con la moglie, per confortarla e per pregare in silenzio con lei.

Oscar ammise che potevano esserci tanti modi di amare, uno differente per ciascun essere umano.

Ma l'amore inteso come forza comune, silenzioso accordo dell'anima, unione capace di risuonare con suono inudibile all'orecchio degli amanti, era differente.

Non più o meno raro. Non più o meno complesso. Semplicemente differente.

Re Luigi XVI avanzò solamente un'ulteriore richiesta. Che il Colonnello delle Guardie Reali si tenesse a disposizione per un incarico che presto sarebbe stato reso noto. Nulla di definito ancora ma tutto in via d'evoluzione.

Il Colonnello delle Guardie Reali acconsentì.

Dunque sarebbe stato necessario procedere a eseguire gli ordini taciti e quelli espressi, nella maniera più rapida e silenziosa.

Di nuovo Oscar François de Jarjayes convenne che l'uniforme, nel caso dell'esecuzione del primo ordine, non sarebbe stata opportuna.

Parigi, 2 décembre 1780

L'Hotel de Ville brulicava di spie più o meno discrete, più o meno prezzolate dalle varie famiglie nobili che anelavano a carpire un qualsiasi segreto, una qualsiasi informazione utile a prestarsi a possibili ricatti, richieste di denaro in cambio del silenzio, richieste di terre o blasoni in cambio dell'oblio.

Parigi come al solito mostrava il suo volto più caotico, al mattino presto, una sorta di Giano Bifronte, da un lato coloro che si svegliano per andare ad intasarne le strade, dall'altro quelli che si rifugiano nelle sue viscere, dopo aver folleggiato nella notte, proprio in quelle stesse strade.

Nel caos…

Nel caos un'uniforme non sarebbe passata inosservata…

Nel caos…

Un drappello di Guardie Reali neppure.

Un sorriso cinico…

Oscar François de Jarjayes rammentò le parole di Monsieur Benjamin Franklin…

La vostra natura adesso è chiusa dentro questa uniforme…

Fino a quando…fino a quando la vostra vera natura interverrà per ribellarsi e rivelarvi chi siete?!

La purezza dell'anima non può essere celata dentro un vestito, dietro una carica, entro il rango.

La purezza dell'anima non emerge all'esterno…

La purezza si cela e si nasconde…

Più si tenta d'esibirla e abbellirla…

E più essa sfiorisce e marcisce come uno sterpo malvagio.

Pensieri di nuovo erranti…

Caos del mattino…

Voci…

Grida…

Il mantello gettato addosso…

La chiosa sulle redini…

Il corpo di André avanti a sé, solo un poco più alto…

La presa della mano destra, le redini ficcate dentro il palmo, con stizza…

André che parla di amanti…

André che scompare di notte…

André ha conosciuto Amalie Jenevieux…

André…

André…

Il bacio…

Troppo…

Caos…

"Andate!" – la mano sdegnata dell'usciere che aveva riconosciuto l'ospite di tanti mesi prima – "Fate da voi che la strada già la conoscete!".

Nel buio…

Moriva piano…

Il corpo piegato, spezzato…

La carne straziata e lesa…

Nel buio…

Moriva piano…

Progressiva e inevitabile consapevolezza dell'insulto…

Spinte ripetute…

Agonia delle viscere…

Gola chiusa…

Le mani s'erano aperte, le dita graffiavano aria e sabbia, nuda essenza dello sporco pavimento…

Nessun appiglio…

Nessuna salvezza…

Sussulto sgraziato…

La bocca muta…

Una preghiera, in silenzio, il nome sigillato nelle labbra, il corpo violato e sferzato da inconcepibile danno…

Grida, l'atrio sottostante si colmava a poco a poco di gente, massaie, fidanzate, sorelle, padri, marmocchi col moccolo al naso, gendarmi a contenere la folla…

Troppo caos…

La eco della spiegazione…

Sono giunti gli elenchi…

Di quelli che non ci sono più…

Di quelli che sono morti in America…

La scalinata solcata in fretta, due gradini alla volta…

L'odore di chiuso, muffa umida adagiata alle pareti un poco scrostate, intonaci preziosi ma ormai corrotti dal tempo…

L'uscio del funzionario delle poste mezzo socchiuso…

L'uomo viscido attorniato da messi e altri funzionari…

Il passaggio veloce di alcuni gendarmi, un plico sotto il braccio…

Un plico intonso…

L'uniforme non sarebbe stata necessaria…

"Messieures…" – Oscar François de Jarjayes si piazzò nel mezzo dell'atrio che succedeva a quello che dava sulle stanze dei funzionari.

I due gendarmi, titubanti, sopracciglio inarcato e mano all'elsa, s'arrestarono all'appellativo…

Silenzio…

"Sono Oscar François de Jarjayes…Colonnello delle Guardie Reali di Sua Maestà…".

Silenzio…

I due non erano mica tanto convinti…

Caos alle spalle…

"Riconosco che siete buoni gendarmi…è bene non fidarsi di questi tempi…" – ammise Oscar lodando la titubanza degli altri due.

"Ebbene…monsieur…ma non abbiamo modo di avere certezza di chi siete!".

"E non l'avrete! Ma dovrete fidarvi! Immagino comprenderete che nessuno con un briciolo d'intelletto arriverebbe mai a fregiarsi d'essere un Colonnello della Guardia Reale senza averne alcun titolo! E se non lo fossi e voi doveste scoprire che non lo sono, verrei messo in arresto nell'immediato…e questo Colonnello Jarjayes potrebbe addirittura chiedere la mia testa per averlo offeso al punto da spacciarmi per lui…".

Obiezioni logiche e spicce…

Ma non ancora del tutto convincenti…

Gli allocchi, si sa, non credono a tutto e subito, proprio perché sono allocchi e non perché non lo sono!

"Monsieur…proprio per questo…".

"Messieures! Ho declinato il mio titolo, dunque non credo di non essere chi dico di essere. Piuttosto…ammesso io sia un colonnello…non vi ho sentito declinare i vostri nomi…non ho visto nessun saluto come merita il mio grado. Debbo dunque pensare che fino a tal punto non vi fidate di ciò che ho detto!? Potrebbe costarvi caro! Ho necessità di visionare gli elenchi che vi portate appresso…lo farò qui…più di questo non posso concedere. In un simile frangente non sarebbe stato opportuno declinare il mio ruolo apertamente, se non assolutamente necessario…".

I due scattarono sull'attenti…

Il piglio eruppe…

La mano s'allungò aperta, sospesa, in attesa…

Il cuore sarebbe uscito dal petto…

Dannazione a te André Grandier…

Perché mi stai facendo questo che non so neppure che cos'è?

Troppo caos…

La gente da sotto premeva per salire…

La eco delle battaglie era risuonata fin nelle campagne più sperdute, conflitti terrificanti, ecatombe di uomini, navi affondate…

La gente voleva sapere…

Oscar fece un passo indietro, il plico nella mano…

Improvvisamente tutto divenne pesante e livido…

Si voltò che i due gendarmi fecero un passo avanti temendo d'essere stati beffati e che quello che avevano di fronte si sarebbe dato a gambe levate con il prezioso incarto.

"Non temete…c'è troppa confusione…ho necessità di silenzio…uscite e restate di guardia. Per quel che so da questa stanza si può solo girare intorno al palazzo e non è mia intenzione gettarmi da alcuna finestra…".

La chiosa strappò quasi un mezzo sorriso, se non che i due girarono i tacchi e chiusero la porta.

Nel silenzio greve di carta inchiostrata e scaffali tarlati, Oscar François de Jarjayes prese ad aprire il plico, sigillato da un cordino, come lo erano tutti quelli che recavano missive lunghe e complesse.

Non vi erano particolari documenti che accompagnavano quella specie di foglio ripiegato con cura per otto volte.

Dispiegato, la carta rivelò un fitto elenco di nomi che, come al solito, non erano trascritti in ordine alfabetico.

Troppo complicato, inutile, che tanto quelli erano morti e chi ne avesse voluto aver notizia sarebbe rimasto lì, ad ascoltare i nomi, a uno a uno, esultando per non aver udito quello del proprio caro e magari godendosi la sinistra emozione di vedere altri attorno a sé, piegare il capo nello scorrere invece del maledetto nome.

Nome per nome, la folla sarebbe rimasta appesa a un filo per tutto il tempo in cui il segretario avesse preso a scandire il suono di ciascuno, accompagnato di tanto in tanto dalla data di nascita del soldato morto, nel caso ve ne fosse stato uno che avesse portato lo stesso nome e lo stesso cognome di un altro.

In qualche caso si aggiungeva un'altra data, quella in cui era certo fosse avvenuta la morte del soldato.

Non sempre…

Non sempre…

Troppo caos…

La gente aveva cominciato a salire e a gridare e a chiedere perché mai nessuno avesse cominciato a scandire i nomi…

Troppo caos…

Oscar François de Jarjayes prese a leggere…

Un nome dopo l'altro…

Grida da fuori…

Uno dei due gendarmi s'affacciò per suggerire ch'era il caso di far presto.

Un colpo all'uscio…

Il funzionario postale colpì il legno, entrando di foga, scansando il gendarme, domandandosi perché mai quell'interruzione che rischiava di portare all'esasperazione la folla ignorante.

Gridò qualcosa l'uomo…

Troppo caos…

Il mantello gettato addosso…

La chiosa sulle redini…

Il corpo di André avanti a sé, solo un poco più alto…

La presa della mano destra, le redini ficcate dentro il palmo, con stizza…

I rimproveri a costringerla a partecipare al ricevimento…

André che parla di amanti…

André che scompare di notte…

André ha conosciuto Amalie Jenevieux…

André…

André…

Il bacio…

Gli occhi continuarono a scorrere, a leggere avidamente nomi su nomi.

Il disgusto di non potersi soffermare neppure un istante su ciascuno di essi, neppure per il tempo di un battito, ch'erano giovani che non sarebbero mai più tornati.

Vite interrotte per sempre…

In nome di…

Cosa?

Però doveva fare in fretta.

Doveva cercare due nomi…

Che non era detto che quello del Colonnello Hans Axel von Fersen non fosse finito lì…

La mentre prese a scindere le due figure…

Quella dell'uomo che Oscar François de Jarjayes aveva scoperto di amare, nonostante tutto…

E quella dell'altro uomo…

Il funzionario s'avvicinò gridando di nuovo, afferrando l'ospite per un braccio…

Di nuovo l'ospite, sguardo gelido con la coda dell'occhio, scansò il colpo, sollevando a sua volta il braccio.

Voltandosi piantò uno sguardo furente al viso dell'altro.

"State parlando con il Colonnello delle Guardie Reali di Sua Maestà Re Luigi XVI…di grazia…abbiate il contegno d'attendere solo qualche altro minuto…non sono qui per interrompere l'esercizio delle vostre funzioni…".

Parole grevi, l'uomo sbiancò, rendendosi conto del maldestro contegno che aveva riservato all'altro.

Oscar riprese a leggere…

Fersen…

Il nome di Fersen…

Il nome…

Il nome…

Un altro colpo alla porta…

L'uscio si spalancò suscitando il ghigno sprezzante del funzionario.

"Adesso sono affari vostri!".

La folla sguaiata tentò di forzare l'ingresso, i gendarmi s'opposero spianando le baionette, impedendo il passo.

Lesse, Oscar François de Jarjayes…

Lesse…

Nel buio…

Moriva piano…

Il corpo piegato, spezzato…

La carne straziata e lesa…

Nel buio…

Moriva piano…

Progressiva e inevitabile consapevolezza dell'insulto…

Spinte ripetute…

Agonia delle viscere…

Gola chiusa…

Le mani s'erano aperte, le dita graffiavano aria e sabbia, nuda essenza dello sporco pavimento…

Nessun appiglio…

Nessuna salvezza…

Sussulto sgraziato…

La bocca muta…

Una preghiera, in silenzio, il nome sigillato nelle labbra, il corpo violato e sferzato da inconcepibile danno…

Mancò il respiro.

Lesse di nuovo, che gli occhi s'immaginarono d'aver visto un nome, un segno grafico che forse riportava altre lettere.

Le lettere non sono altro che lettere…

Solo che quelle lettere erano nomi, ch'erano vite, ch'erano…

Carne e sangue.

La stanza prese a vorticare un poco.

Non sapeva s'era stata spinta o colpita da cosa…

Si voltò…

D'improvviso gli occhi si posarono su quella che i sensi avevano fino a quel momento immaginato come una folla infingarda, ignorante, chiassosa.

Vide che le persone s'erano fermate…

Vide occhi, nasi, bocche…

Faccette di mocciosi col moccolo al naso, le guance tonde e rosse.

Vecchi dal volto rugoso, solchi di fatica e rabbia…

Bocche dischiuse, pochi denti, neri, torti come sassi scacciati dalla fiumana.

Vide tante persone…

Le osservò una per una, lì, e per ciascuna di esse intuì una storia muta, quella che aveva portato ciascuna di loro a sfondare la porta per sapere se in quel dannato elenco ci fosse stata una parte di sé.

Un uomo cacciò un grido disumano alzando un falcetto…

Il gendarme gli rifilò un colpo allo stomaco…

"Basta!" – che fu lei a interrompere lo scempio, tentando di sormontare il caos che pareva risorgere di nuovo – "Sono…qui per il vostro…stesso motivo…prego…l'elenco…è…".

L'aria prese a mancare, il respiro si fece corto e secco…

"Vostro…".

Il funzionario sfilò il foglio in malo modo da sotto le dita dell'ospite che s'era permesso di creare tutto quel pandemonio.

Oscar sentì la carta scivolare via, come se la terra le fosse sgusciata da sotto i piedi…

La folla prese ad accalcarsi all'uscio…

Qualcuno dalle retrovie gridò di fare silenzio, che lì c'era gente che c'aveva i figli in America e anche se quei figli si erano imbarcati per portare il pane a casa, erano sempre figli, e nessuno avrebbe voluto sapere ch'essi non c'erano più. Ma siccome per non saperlo bisognava fare silenzio…

Il funzionario, tronfio d'averla spuntata dinnanzi alla folla di bifolchi e persino contro un ufficiale della Guardia Reale, immaginandosi forse di riuscire a cavar qualche beneficio dalla sceneggiata da cui era uscito vincitore, si schiarì la voce, prendendo a scandire i nomi, a uno a uno.

Nessuna inflessione nella voce, né pietà, né disprezzo.

L'elenco prese a scorrere…

Nel silenzio il mormorio lambiva i corpi, scivolava tra le facce…

Nel silenzio…

Un nome dopo l'altro…

Un voltò s'abbassò…

Un altro nome…

Un altro s'alzò, forse al cielo, che però non c'era e dunque nessun sollievo avrebbe dato il muto soffitto di travi di ciliegio nero.

Al mormorio si aggiunse, nome dopo nome, un ondeggiamento impietoso, perché sia dalle prime file, sia dal fondo, nel silenzio, si sgranavano per scivolare via i corpi muti, i volti mesti, le facce umide.

Oscar rimase lì, nome dopo nome, lettera dopo lettera, tutto rimbombava nella testa.

Nessuno tra quelle persone avrebbe sussultato…

Nessuno avrebbe calato il capo…

Nessuno era lì per ascoltare quel nome…

C'era…

Solo…

Lei…

Il nome, il timbro estraneo del funzionario delle poste…

Il nome…

Dimmi che ne sarà di noi…

Dimmi che ne sarà di noi…

Dimmi che ne sarà di noi…

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