Non amo le vostre facce, per questo non mi confondo
Non amo questa mia faccia, per questo non mi conosco
Non amo le tue divise in cui senti di essere forte
Non sei quello che hai addosso, ma quel che sogni la notte
Non amo quando mi guardi e la pelle rabbrividisce
Perché essere meno forte mi renderà un po' più triste
Non amo chi dice: "Vinco" e il secondo dopo fallisce
Non amo chi qui sorride, ma in fondo non sa se esiste
Non amo - Ultimo
Kyrie Eleison
2 décembre 1780…
Un'altra alba, umida e fredda, le strade impantanate e zozze, il desiderio di tenere i muscoli e le ossa nel tepore della eco dell'amplesso.
Un'altra alba, non un'alba qualsiasi, non un'alba di tutti.
Un'alba soltanto loro…
E non era mercoledì ma sabato…
Chissà, forse in un giorno diverso si sarebbe potuto essere considerati diversi.
Chissà chi erano diventati, forse nessuno o forse tutto, l'uno per l'altra…
Dopo la prima volta…
Le aveva fatto tenerezza, lei che non aveva rivelato nulla del proprio piacere, affogato in un sussurro muto e fondo.
Reale sì, era stato reale, perché il brivido l'aveva attraversata…
Il calore s'era sciolto…
Il fiato s'era fatto corto, un poco faticoso, il corpo avvolto nelle spire dell'orgasmo…
Tutto...
Le aveva fatto tenerezza…
Una compassione oscura.
Non perché l'altra gli avesse suscitato quel sentimento.
Ma perchè così, dentro al corpo dell'altra, aveva ritrovato un poco delle sue certezze e forse altre ancora, come di chi s'avventura verso sentieri sconosciuti per saggiare le forze, l'orientamento, e si ritrova inspiegabilmente attratto dalla strada sconosciuta, mai battuta, dal senso del bello che suscita la curiosità del nuovo.
E non teme ciò che trova e anzi da quel timore oscuro ricava la piacevole certezza d'essere nel giusto, d'aver colto i passi corretti.
Victor Girodel aveva ritrovato la tenerezza di sé.
Era stata brava Lua.
Ma non così brava da immaginarsi che fosse esperta, che l'avesse fatto di mestiere.
Dunque le labili incertezze s'erano dissolte, tanto che dopo quel giorno, come attratto da un luogo sicuro e lieve, un abbraccio morbido e cauto e comunque puro, della purezza di chi non è sporco dentro perché non potrà mai esserlo, in qualunque posto fetido avesse mai messo piede, Victor Girodel, pur non avendo mutato troppo le proprie abitudini, aveva preso a concordare con se stesso l'abitudine di ottenere quel consenso di sé a cui tanto bramava.
Ovviamente nulla avrebbe distolto i pensieri da colei ch'era da sempre nel cuore, nella mente e nelle viscere.
Ma fintanto che lei fosse rimasta al sicuro entro le labili mura del labile edificio che lui, Victor Girodel, era riuscito faticosamente a costruirle tutt'intorno, tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Le sue certezze, inconsce e labili, le avrebbe soddisfatte anche così, la sua devota amante muta nell'orgasmo e nella vita di società, mimetizzata come un animaletto da circo capace d'avvolgere il corpo e la mente nelle spire delle sue perdute cicatrici.
Non aveva mai chiesto nulla Victor Girodel della vita dell'altra e l'altra era sempre stata zitta.
Fino a quell'alba umida…
Victor Girodel s'era stirato le braccia…
L'altra gli dava le spalle…
L'alcova semplice nella stanza in fondo al corridoio della servitù.
Nel silenzio, si voltò a osservare la nuca della giovane amante.
Allungò la mano, scostando i capelli per liberare la pelle e appoggiare le dita sulla schiena magra e liscia.
"Siete deluso monsieur?" – chiese la giovane senza voltarsi, che forse s'immaginava lo sguardo dell'altro, un poco saccente come di chi ammette di non aver poi commesso chissà quale peccato.
Nessun brandello di commozione. Lua aveva già visto altre volte quello sguardo, nel fondo scuro del passato lacerato, ogni volta che il corpo rivelava l'abilità a lasciarsi prendere e trafiggere e scavare,
"Victor!" – la corresse l'altro senza rispondere – "Vorrei che mi chiamassi così!".
L'altra si sollevò un poco, voltandosi…
"Victor, siete deluso?".
Un respiro fondo…
"Sono deluso se continueremo a mantenerci così distanti!" – un altro rimprovero – "Che intendi?".
"Cosa ti aspettavi da me…" – si corresse l'altra – "Che non fossi così…" – accennò l'altra, un poco vergognandosi.
"Brava!?" – l'appellativo stonava, in un misto di volgare certezza – "E' questo che intendi!? Che cosa ti salta in mente di chiedermelo adesso? Ormai…sì, forse un po' mi hai stupido…non conosco nulla della tua vita, credevo non fossi mai stata con un uomo…lo credevo davvero…e sì che…".
Muta, Lua si mantenne sul profilo dell'uomo. Si voltò del tutto, s'appollaiò accucciandosi lì, nell'abbraccio dell'altro. Le pareva saldo e intenso.
"Credevate che fossi…pura?".
Il profilo si contrasse un poco, un sorriso tirato scompose il solito ghigno severo, mutato in una specie d'isterica insofferenza. Come se la vera natura delle persone fosse oltremodo fastidiosa, perché sepolta e impossibile da riconoscere subito.
Victor Girodel aveva sempre fatto affidamento sul suo intuito ed effettivamente quella volta si era sbagliato.
"Non intendevo…fino a quel punto…credevo che non avessi conosciuto altri uomini…ma alla fine…meglio così…in fondo sono convinto che l'esperienza in certi frangenti sia sempre utile…".
Lo pensava davvero…
Utile…
"In un certo senso è così…" – sussurrò Lua tornando a voltarsi, chiudendo gli occhi, sprofondando in chissà quale altro mondo.
Che fu l'altro a sollevarsi e a chiedere il senso delle parole.
Lua non s'era tirata indietro, non aveva avuto paura, non aveva provato dolore, nulla…
Il grido ch'era sgusciato, quasi trattenuto a forza, tra le labbra, era ancora diverso dall'ululato e dal mugolio, pareva quello d'un animale che però questa volta aveva riguadagnato la libertà.
"Così…come?" – chiese Victor, andando istintivamente alla ciocca nera di capelli ch'era scivolata ribelle a coprire il volto dell'altra – "Che intendi?".
"Non ho mai scelto di stare con un uomo…questa è la prima volta. Giacevo con altri uomini è vero ma non li amavo…".
"Giacevi…".
"La nostra terra è stata presa, così come sono stata presa io. La nostra terra è stata usata, infangata, tagliata a pezzi, strappata alle forze che governano i giorni, le notti, le stagioni, il sole, la luna, i fiumi…ma essa non è stata mai davvero stata di coloro che l'hanno presa. Chi ha provato a usarla…a pensare ch'essa fosse sua…a distruggerla in mille brandelli…non sa che essa non è mai stata sua…essa è sempre stata libera, libera di concedersi a chi preferiva, a chi avesse dimostrato di amarla…così…io credo d'esser stata come la terra in cui sono nata…".
"Chi ha preso la tua terra? Gl'inglesi? Intendi loro? Loro ti hanno presa?".
Che feriva quella strana e sorda gelosia, incapace di comprendere…
"Non sono stati gli inglesi…" – ammise Lua, stancamente.
Victor si sorprese di nuovo.
La geometria che aveva udito replicare come fosse stata legge non scritta, era che i coloni americani, discendenti dei Padri Pellegrini che avevano conquistato le terre americane agli inizi del XVII secolo, volevano liberarsi dal giogo del re inglese, che invece anelava a mantenere il potere su quelle stesse terre.
I primi volevano finalmente far proprio ciò che c'era sopra e ciò ch'era dentro le viscere delle rocce, ciò che ci scorreva attraverso e persino chi ci abitava.
Gli altri inglesi erano scesi a patti con coloro che ci avevano sempre abitato…
"Quindi…se non sono loro…".
"Mi hanno sempre raccontato che i soldati inglesi, quelli che vengono dall'Inghilterra, hanno prestato le loro armi per aiutarci a difendere le nostre terre e per conservare i patti che erano stati scritti perché noi potessimo continuare a vivere in pace. Forse le nostre terre le volevano anche loro, all'inizio…ma poi…ci hanno accettato. Noi avevamo diritto di esistere e di vivere così come coloro che sono venuti ad abitarci dopo di noi. La nostra terra è libera…sarebbe stata abbastanza per tutti…".
"Sai vero che gl'inglesi sono scesi a patti con voi…solo per contrastare i coloni!?" – la gelò Victor…
Come a dire…
A nessuno importa di voi…
Voi siete solo una pedina nella scacchiera dei giochi di potere. Da soli non sarete mai abbastanza forti e solo legandovi a un altro esercito avreste la fortuna di sopravvivere.
Gli inglesi vi hanno concesso protezione perché avervi dalla loro parte e contrastare così i coloni…
"Si…so anche questo…ma almeno…quegli inglesi ci hanno lasciato le nostre terre…non sono stati loro a volerle…invece gli altri se le sono prese…" – nel buio, il corpo rattrappito e sferzato dal ricordo, anche lì, anche nel tepore della pelle sfiorata dalla pelle – "E hanno preso me…".
"Chi…".
"Mi hanno presa quelli che hanno preso tutto…quelli che adesso voi chiamate popolo d'America. Loro vogliono diventare i padroni delle nostre terre…hanno preso tutto…".
Victor Girodel cominciò a comprendere, la mano scorse a scostare i capelli dell'altra che chiudevano il viso, oscurando lo sguardo, negandosi come per scomparire, mentre lui voleva osservare e vedere.
"Dunque…i coloni…".
"Le nostre terre sono sempre state libere. Libere di essere abitate, coltivate, attraversate…nessuno del mio popolo ha mai combattuto l'acqua, il vento, la foresta, gli orsi. Ogni essere aveva un posto, ognuno di loro meritava rispetto. Ora il mio popolo beve il vostro vino, usa la vostra polvere da sparo, mette steccati alle proprie terre, uccide orsi accusando che sono assassini…gli orsi…non uccidono se non hanno paura…".
Un respiro fondo…
Ecco perché alla giovane amante non aveva mai chiesto nulla.
S'era immaginato che altro dovesse essere occorso nella sua vita. L'aveva intuito nelle pieghe dei loro incontri, quando l'altra, pur conoscendolo, si sottraeva istintivamente alle prime carezze, come non fosse lei, come se al suo posto ci fosse stata un'altra persona, forse una mocciosa che non accettava il gesto, lo rifiutava ma poi, complice la vera natura, s'ammansiva e scioglieva i lacci che trattenevano i gesti e la bravura.
Il rituale era sempre lo stesso.
Victor Girodel concordava l'incontro con pochi cenni del capo - il luogo era sempre quello, l'orario quasi sempre quello – da lontano e l'altra annuiva, impercettibilmente, come avrebbe saputo fare in un frangente di battaglia, sotto lo sguardo d'invisibili nemici che però, in quel frangente, vestivano piume di fagiano e pavone, broccati d'oro e merletti di organza.
Lo stuolo di avversarie era pur sempre composto da arroganti pretendenti che non avrebbero mai impensierito la giovane Lua.
Lei non voleva nulla da Victor Girodel…
Eccetto che lui, Victor Girodel…
L'unica persona che avrebbe mai potuto recidere la silenziosa battaglia…
"Ti piacciono le persone libere dunque?" – affondò d'istinto Lua, senza attendere risposta alle precedenti considerazioni. Voleva sapere…
Nella dannata Stanza degli Specchi aveva imparato a scorgere lo sguardo di Victor Girodel all'altra e, da qualche tempo, anche l'altra lo ricambiava, seppur sempre muta, dolente, come in attesa ma senza sapere bene di cosa.
Stavolta Victor rise - "Diciamo che chi ha interessi…chi pensa a sé…non è mai effettivamente libero per davvero. Chi invece non ha nulla da guadagnare o da perdere…allora sì che è un piacere starci accanto…si confida che la sua libertà sia di buon auspicio alla sua integrità d'animo e dunque alla sua sincerità! Quante domande? Sei per caso gelosa!?".
"E tu? Sei geloso?!" – la domanda sferzò la tiepida e ovattata atmosfera del mattino.
Da fuori le strida delle rondini che alzavano la quota dei voli radenti, al crescente tepore che la terra a poco a poco abbracciava ruppero la silenziosa conversazione.
La domanda rimbalzò sul viso dell'uomo, contratto dalla chiosa insinuante.
Dunque Mademoiselle Lua Pietra incandescente l'aveva osservato, lui, il Tenente Victor Clement de Girodel, e questo non era bene.
Era inammissibile…
"Non ha importanza! E questa non è una domanda a cui mi spetti dare risposta! E' tardi!".
Fece per alzarsi Victor Girodel…
Guardò fuori dalla piccola finestra che dava sulla cuspide finale d'un cortiletto in pietra battuta.
L'inclinazione della luce del sole dava conto d'un orario infausto per i progetti dell'uomo, che se ne sarebbe dovuto andare molto prima.
Da lontano s'udirono i rintocchi d'un orologio…
"Dannazione! Devo andare…" – che saltò giù dal letto…
"Vai…" – respirato appena – "Da lei?".
Lua si strinse il lenzuolo addosso mentre l'altro infilava i calzoni, sistemandosi i lacci di chiusura, lisciando d'istinto le pieghe un po' sgualcite della camicia: "E se anche fosse?".
La domanda sfregiò gl'intenti…
Victor Girodel si sistemò la giacca, il fazzoletto al collo, le maniche della camicia rigorosamente fuori dai polsini…
Si sporse verso l'altra, le prese il viso tra le mani stringendolo un poco, che la bocca, quasi sempre distesa e un poco contratta, chiusa, quasi sigillata, subì una flessione anomala, come fosse divenuta un bocciolo carnoso, ancora chiuso e chissà quando pronto a sbocciare.
"Vado dove voglio e faccio quel che voglio! Non pretenderò mai nulla da te…sarai libera, come tu stessa oggi mi hai confessato, di giacere con me ogni volta che sarà tuo desiderio farlo. Sei importante per me ma non permetterti mai più di chiedermi dove vado o da chi vado! Non permettere mai più alla tua bocca di nominarla…tu non sei come lei e lei non è come te. Siete diverse…né migliori, né peggiori…semplicemente diverse! Questa è la sola regola che impongo!".
Lua rimase lì, ad ascoltare il sottile dolore impresso al viso dalla stretta, la domanda aveva avuto una risposta greve. Non avrebbe mai potuto competere con l'altra, non l'aveva mai nemmeno immaginato, eppure quell'insolita fretta, in quell'alba umida, da parte dell'uomo che l'aveva amata – ormai ne era certa - avevano indotto l'istintiva domanda, sgorgata d'impeto e non calcolata.
Il vuoto s'impresse addosso, non appena le orecchie udirono la porta chiudersi, leggera.
Il giovane Victor Girodel avrebbe potuto essere adirato quanto voleva, ma non avrebbe mai rischiato di compromettersi facendo baccano, sbattendo porte, imprencando contro quella sottile gelosia che pareva sorgere da lontano.
Forse poi non così troppo lontano
Lo sguardo si perse alla visione della stanza vuota, il chiocciare degli uccelli di fuori, il rimestare della servitù intenta alle faccende del mattino…
Lo sguardo rimase basso, come a spiegare che no, mademoiselle non c'era e che anche lei, la povera governante, non sapeva spiegarsi il perché l'altra avesse di nuovo preso la cattiva abitudine di sgusciare via all'alba senza dichiarare dove sarebbe andata.
Victor Girodel, in piedi, nell'atrio inondato di luce, rimase per un istante perplesso.
La quadratura delle congetture aveva portato mademoiselle a un colloquio fitto, il giorno precedente, con Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, e poi, quella mattina, a scomparire di nuovo.
Un respiro fondo…
Madame Glacé, sulle spine, era affranta, un poco sentendosi responsabile di quelle misteriose fughe.
Era sabato, mademoiselle sarebbe dovuta restare a casa, in vista del ballo che quella sera si sarebbe tenuto a Versailles.
"Tenete…" – Victor Girodel estrasse una busta dalla tasca interna dell'uniforme.
L'anziana governante quasi svenne al cospetto della magnificenza dell'altro.
Lei aveva errato nel lasciarsi sfuggire la padrona ma l'altro, magnanimo, non era adirato, anzi, era giunto sin lì a porgerle l'ennesima missiva dello scapestrato nipote.
"Siete davvero buono monsieur…".
"Che dite… è un onore per me esservi di sollievo. Perdonate se non sono riuscito a portarvela prima ma ho avuto altre incombenze e non ho avuto modo di ottenere il possesso di questa lettera per tempo. Comunque spero vi sarà gradita. Dunque vostro nipote continua a scrivere…è vivo…".
Fece un inchino Madame Glacé.
Le parole scavavano nell'indole devota al servizio dei padroni.
La mistura feriva per la sua crudezza ed elevava per la sua serietà.
Era una privilegiata nanny e non avrebbe mai dovuto dimenticarlo.
Victor Girodel si congedò, in cerca del filo che l'avrebbe portato dall'altra.
Era arrivato tardi quella mattina.
Non era più accaduto da qualche mese ormai - d'arrivare e non trovarla - e questo – arrivare e non trovarla - era per lui sintomo d'incapacità a prevedere i gesti di Oscar François de Jarjayes.
E quando non si potevano prevedere i gesti di un'altra persona, si era chiaramente in balia dei suoi capricci e delle sue oscure decisioni.
Le certezze si sgretolavano di nuovo…
Eppure…
Aveva rammentato Victor Girodel che il colloquio con Maria Antonietta era durato più del previsto. E Oscar non gli aveva chiesto conto del fatto che erano diversi mesi che non giungevano più lettere dal Conte di Fersen.
Fu facile comprendere che Maria Antonietta avesse in animo di comprendere se fosse accaduto altro.
Fu facile comprendere dove si sarebbe diretta l'altra.
A Parigi…
All'Hotel de Ville…
Meno facile comprendere perché Oscar François de Jarjayes ancora non si fidasse di lui.
§§§
Il cuore in subbuglio, aperto, colto dall'ebrezza della felicità che suo nipote era vivo sì, come provava la letterina stretta tra le dita che alla fine, incapace d'attendere, nanny prese ad aprire con delicatezza, non appena il Tenente Victor Girodel si congedò.
Stavolta il luogo di lettura dovette per forza essere quello riservato della propria stanza da letto perché la cucina era già inondata di sole e le domestiche andavano e venivano affaccendate con piumini da rinfrescare e polli da spennare.
Le pentole sul fuoco, la crema a cuocere e rimescolare sennò sarebbe bruciata…
Troppe incombenze…
Lo smacco d'essersi persa mademoiselle, quel giorno, doveva essere subito colmato dalle notizie che avrebbe letto. E poi, in quella lettera forse André le avrebbe parlato di lei, di nuovo.
Lo sguardo corse per un istante al pacchetto di fogli ripiegati con cura, stretti da un nastro rosso che li teneva assieme, stringendo le idee, le allusioni, i rimproveri, lo sguardo e la bellezza del nipote.
Erano ormai diventate una decina.
Ne era giunta una all'incirca ogni mese…
11 septembre 1780…
Ma chère grand-mère…
Spero che tu stia bene, spero che la vita scorra lieve, attraverso i giorni e le stagioni.
Ammetto che il tempo scorre veloce e mi mancano la tua voce e le tue attenzioni.
Quando alla sera cenavamo assieme, dopo le lunghe ore trascorse tra faccende e impegni.
Attorno allo stesso tavolo, a commentare quel che accade fuori, a Parigi o a Versailles.
Mi accade sempre più spesso.
Dunque debbo, ancora una volta, domandati perdono, per averti inflitto questa preoccupazione enorme.
Ammetto che giorno dopo giorno la distanza imposta dalla mia scelta mi porta a pensare a lei, a immaginarla, a correre ai suoi gesti che forse saranno sempre gli stessi.
Così testarda nella sua idea di mantenere il controllo su tutto e a voler prevedere tutto.
Ma al tempo stesso imprevedibile e assolutamente straordinaria.
Un altro indizio.
Gli occhialetti s'appannarono di lacrime rabbiose…
"Notre Dame…" – sussurrò nanny sempre più ansiosa…
Continua ad avere cura di lei.
Con immenso affetto…
Tuo nipote André Grandier
André Grandier…
André Grandier…
André Grandier…
"No…" – sussurrò piano Oscar, anche se lei quel nome l'aveva già letto, nell'istante precedente, prima che le sfilassero il foglio tra le mani – "No!".
Non aveva accettato d'averlo letto, s'era voltata, s'era nutrita come un insetto viscido e infingardo delle mute facce dei parigini, ch'erano lì, estranei spettatori ma portatori in fondo dello stesso suo strazio.
La mente aveva atteso ancora qualche istante prima d'accettare ciò che la mente stessa aveva letto.
André Grandier…
Il nome sillabato, sussurrato, ripetuto ancora, stretto tra le labbra…
Scorse il tempo, il funzionario, seppur a fatica e con un poco di voce roca, si avviò alla conclusione della lettura.
La folla aveva cominciato a diradarsi mentre la eco di pianti strazianti scorreva a ritroso, lungo la scala che portava all'uscita.
Le gambe tremavano…
Il nome letto…
Il nome riletto…
Il funzionario iniziò a richiudere l'incarto…
Oscar allungò la mano…
Ora erano soli.
"Non v'è bastato il caos che avere creato!? Che volete ancora?" – blaterò quello infastidito dalla presenza dell'ospite che ormai s'era cucito addosso una sgradita nomea.
Oscar voleva…
Riprendere…
Il foglio…
Toccare la carta, cercare il nome, quel nome, leggerlo e rileggerlo e comprendere se non fosse stata la eco caotica delle stanze ricolme di gente a storpiarne una sillaba, a scansare una lettera dalla sequenza amata.
Silenzio…
Le lacrime trattenute a stento, la luce a trafiggere la vista, alle spalle, oscurava un poco il volto dell'ospite che restava lì, mano tesa, senza dire nulla. Sì che il funzionario allungò di nuovo il foglio, fece spallucce e se ne andò schifato.
In una giornata qualunque, d'un mese qualunque, d'una stagione qualunque…
In un'ora qualunque…
No…
I rintocchi di Notre Dame raggiunsero netti e grevi le orecchie.
Il tempo s'imponeva esistente e fiero avversario di tutti quelli che avrebbero voluto impadronirsi del suo scorrere muto e inevitabile.
Le campane più piccole intonavano un'elegia funebre…
La folla ripiegata e morta s'era fatta forza ed aveva attraversato Pont Notre Dame per dirigersi verso la cattedrale e chiedere ch'essa diffondesse la sua mesta voce fin ai quartieri più lontani, così che anche da lontano, tutti sapessero, tutti comprendessero.
Dunque Oscar François de Jarjayes era rimasta lì, i rintocchi tristi e funerei nelle orecchie, mentre gli occhi erano puntati al nome, di cui ora sapeva bene la posizione sul foglio.
André Grandier, soldato di fanteria di Sua Maestà Luigi XVI, Re di Francia, nato il 26 agosto dell'anno 1754, deceduto in America…
Tutto lì…
Un nome…
Nella lista sbagliata…
Un nome ch'era stata persona…
Le gambe cedettero, il foglio cadde a terra, i passi, forzatamente, condussero fuori.
La vista un poco annebbiata faticò a passare dal chiarore della stanza illuminata dal sole al buio della scalinata che conduceva fuori.
L'odore di chiuso e di muffa umida colpirono i sensi scatenando la nausea…
Gli scalini scuri ballarono annebbiati dalle lacrime trattenute.
Oscar fu costretta a correre giù…
Cadde quasi, spintonando sgraziatamente per scavalcare quelli ch'erano rimasti accalcati di sotto, ancora incerti se tirare un sospiro di sollievo ed andarsene, oppure restare, nel caso fossero giunti altri plichi. Ne arrivavano di continuo perché non c'era sistematicità nell'imbarco dei documenti che attestavano la perdita dei soldati. Potevano passare mesi senza alcuna notizia e poi per settimane giungevano a ripetizione liste su liste.
Altri attendevano di ritirare le lettere ch'erano state spedite da coloro ch'erano ancora vivi…
Il paradosso era che ben avrebbe potuto essere recapitata una lettera scritta dal soldato quand'era vivo ma giungere dopo la notizia che quello era ormai morto.
Le gambe condussero fuori…
La nausea crebbe…
La testa attraversata da onde calde e fredde. Le mani tremanti e gelide…
Si rifugiò in un vicolo, orientando i sensi quasi solo con l'olfatto. Il buio circondò la coscienza mentre il cuore batteva così forte che pensò sarebbe esploso.
Inciampò, cadde…
I palmi a terra…
Il corpo si contrasse, rigettando quel poco che aveva ingoiato al mattino presto…
Un mugolio sordo di stizza per l'incredibile incapacità di trattenere il dolore, contenere la smania, mantenere il controllo di sé.
Un soldato che vomita alla notizia della morte d'un altro soldato…
Assurdo…
Che però lei non era solo un soldato…
Lei era una donna…
E André non era solo un soldato…
Era…
"Che hai fatto?" – sussurrò pulendosi la bocca e sedendosi a terra per tornare a prendere fiato – "Che hai fatto? Che hai fatto? Che hai fatto!?".
Come se la colpa d'esser morto fosse solo sua…
Come se lo strazio che piombava addosso come una grandinata di sassi fosse responsabilità dell'altro e non la propria, ch'era stata lei a lasciarlo partire, a non aver capito nulla di ciò che all'altro batteva nella testa.
André era partito per colpa di una donna. E' per colpa di quella era morto.
Eppure, Oscar ammise che in fondo, alla fine di tutto, era colpa sua se André se n'era andato.
Ma no, era come se lui fosse lì a dirgli, niente che possa importarti…
Non cambierà nulla…
"Dio…perché?".
Respirò piano…
Il cuore impazzito…
André…
André…
"Che hai fatto!" – gridò stavolta, lo sguardo ficcato su, al cielo, che però là in fondo, tra le case lunghe e sbilenche e nere di fumo e zozzuria, non offriva che un misero lembo sbiadito.
Tutto era buio, dentro e fuori. Tutto era morto, dentro e fuori…
Oscar chiuse gli occhi. Le forze non la sorreggevano. Sarebbe voluta restare così, imputare alla propria debolezza il desiderio di restare ferma, immobile, senza muovere un muscolo.
Pietrificarsi, divenire statua di sale, così che nessun movimento avrebbe mai più potuto compiere, nessun equilibrio avrebbe mai dovuto recuperare, nessun tempo avrebbe ascoltato scorrere.
Tutto sarebbe rimasto fermo, lei sarebbe rimasta ferma, così che anche André, in un certo qual modo, sarebbe stato fermo.
Non più André ch'era partito…
Non più André che s'era arruolato…
Non più André che parla di amanti ed esce di notte…
Solo André…
Lì, a occhi chiusi, seduta a terra, l'odore aspro dei rifiuti mescolati al vomito…
Lo sentì muoversi ancora…
Intese calore…
La mano allungata, scivolava oltre il braccio…
Cingendola piano, di nuovo, senza alcun rumore, senza neppure una parola…
Le labbra schiuse, la bocca aperta lentamente…
Respirò a lungo, seduta a terra. La testa rimbombava incapace di riprendere il filo, ammettere che poteva essere un errore, che non era possibile.
André era lì, c'era sempre stato, anche quando non c'era più. Lo sguardo dolce, un poco sognante, lo scarto del viso, come se voltandosi lei, lui prendesse a fare altro, fissare altrove, per non essere incombente su di lei.
Il passato emergeva dalle viscere come un ramo secco da una palude piatta e liscia…
Ci si sarebbe specchiati a fatica ma l'immagine sarebbe stata lì, piatta e liscia…
Non poteva fare niente. Non avrebbe potuto sapere altro…
Il cuore batteva e pareva si sarebbe fermato…
E se si fosse fermato?
Se davvero quello avesse deciso di pietrificarsi…
Oscar pensò che sarebbe potuto accadere…
Le dita erano divenute fredde…
Onde d'insano malessere attraversavano il corpo…
L'equilibrio minato dal dolore…
"Che hai fatto?" – ripeté piano.
Lo chiedeva a lui perché stava accadendo a lei…
Non uscivano le lacrime, imprigionate nell'orgoglio o forse nell'incredulità…
Notre Dame batteva mezzogiorno…
La nebbia afosa della città lurida calava fitta, oscurando la vista, nascondendo edifici e volti. I suoni parevano inghiottiti dal nulla.
Notre Dame batteva mezzogiorno…
Non sapeva che fare…
Tornare…
Tornare dove?
In quale luogo sarebbe finita la sua anima, il corpo inchiodato lì, a terra, mentre la coscienza ondeggiava stretta tra la nausea e l'orgoglio ferito, tra il dubbio di non aver compreso perché e la rabbia d'aver permesso che accadesse…
Quel nome…
Quel nome…
La testa rifuggiva…
La testa rifiutava…
Come ammansire il dolore…
Come rimediare alla devastazione…
Inciampò di nuovo, non si reggeva in piedi, lo stomaco chiuso rimetteva l'anima, perché forse l'anima dentro di lei non ci voleva più stare.
La carne scissa dalla coscienza…
La vista annebbiata…
Il sangue…
Dio, non sentiva più il sangue dentro le vene…
Che accadeva…
André…
Se André fosse stato lì probabilmente l'avrebbe guardata e l'avrebbe rassicurata, magari con una risata o con chissà quale giravolta di parole.
Il punto era che ciò che avrebbe fatto André non sarebbe più accaduto, perché era André colui che non c'era più.
Mancava dunque l'altra parte…
Oscar intuì che non era solo questo.
Mancava una parte di sé, come se quella mancanza non fosse di un'altra persona ma proprio di sé!
Una sola parola s'ingigantì nella testa e prese a battere come un martello, come il batacchio di Emmanuel…
Nel tempo che Notre Dame aveva battuto le dodici, un tempo lungo ma poi non così tanto lungo, tutta la vita, la sua e quella dell'altro, passarono davanti agli occhi, in un lampo…
André…
André che esce di notte…
André che parla di amanti…
Anche che ha conosciuto Amalie Jenevieux…
André che forse…
Chi era Victoire Jenevieux?
André ch'era partito…
Se n'era andato…
I passi rastrellarono alcune straducole, barcollò, le braccia ad abbracciare il corpo, la mente persa, lo sguardo incapace di mettere a fuoco il da farsi. Tutto rimescolato, inciso sulla pelle…
L'abbraccio…
Il bacio…
E…
Che altro?
S'accorse che stava per essere travolta da una carrozza…
Gli occhi scorsero l'insegna, quella d'un tempo, A' Samedi Prochain come se la coscienza, pur inconsapevolmente dall'intelletto, avesse comunque guidato in un luogo o forse no, forse la mente s'era messa a cercare un tempo, il loro tempo.
Il tempo passato, il tempo perduto, masticato e ingoiato dalla successione degli eventi.
André era là, in quel tempo.
Là, lei lo aveva avuto accanto, gli aveva parlato, lo aveva persino ignorato…
Forse fino a disprezzarlo…
Fino a quel momento aveva ammesso il rancore, lo smacco verso l'altro ch'era partito, decidendo da sé.
Non contestava la decisione…
Aveva rimproverato solo il silenzio. Dunque lei non sarebbe stata degna d'una simile confidenza!?
Spiegare che c'era una donna che André amava al punto tale ch'era dovuto fuggire da lei, altrimenti lei avrebbe potuto soffrirne!?
Chi era quella donna…
Amalie…
Oscar si ritrovò nauseata da se stessa. Amalie Jenevieux era una brava giovane ma troppo…
Ingenua…
Dio…
Era tutto così…
Banale…
Il corpo s'afflosciò sulla sedia. Aveva chiesto di poter restare nel locale ch'era ancora mezzo vuoto. Solo qualche avventore che consumava un misero piatto di zuppa.
Il fuoco rimestato a dovere, che fuori la nebbia saliva e ben presto i tavoli si sarebbero riempiti di gente che un po' per il freddo, un po' per l'ozio, avrebbe provato a scaldare le ossa e a farsi coraggio che anche quel giorno presto sarebbe finito.
Quel giorno…
Che diavolo di giorno era…
Samedi…
2 décembre 1780…
André Grandier, soldato di fanteria di Sua Maestà Luigi XVI, Re di Francia, nato il 26 agosto dell'anno 1754, deceduto in America…
André Grandier, soldato di fanteria di Sua Maestà Luigi XVI, Re di Francia, nato il 26 agosto dell'anno 1754, deceduto in America…
André Grandier, soldato di fanteria di Sua Maestà Luigi XVI, Re di Francia, nato il 26 agosto dell'anno 1754, deceduto in America…
Rimbombavano le lettere, come gridate nella testa, come marchi a fuoco sulla pelle, come pozzo ove affogare, ritrovandosi senz'aria e senza appigli.
Presero a tremare le mani, le dita s'aggrapparono al bicchiere mentre le lettere ballonzolavano davanti agli occhi e nelle tempie pulsava e combatteva l'intento contrario.
Non ci credeva…
Non poteva essere vero…
C'era uno sbaglio…
Come avrebbe fatto a dirlo a nanny…
Nanny…
Lo sguardo si sgranò…
Nanny…
André è il suo unico nipote…
Non ha altri che lui al mondo.
Lui se n'è andato per colpa di una donna…
Chi è quella dannata che l'ha costretto a partire?
L'odio sorse a rimescolare la mistura acida che inondava le viscere e le vene…
Si ritrovò occhi puntati addosso…
Non voleva parlare con nessuno, fece per voltare il capo dall'altra parte.
"Vi conosco…" – esordì la donna, ch'era evidentemente la padrona, una mano a reggere un vassoio e l'altra a pulirsi le dita unte sul grembiule nero – "Vi ho già visto…eravate con quell'uomo…".
Quale uomo?
Forse si riferiva a Girodel.
Ma qualsiasi discorso in quel momento sarebbe stato fuori luogo, della stessa pesantezza d'un macigno da portare su per una salita impervia e sdrucciolevole. Ogni parola avrebbe fatto lo stesso effetto d'una lama incandescente che sfiora la pelle.
Non voleva parlare…
"Sentite…adesso che siete qui…vi farei una domanda se non sono indecente…" – proseguì Madame La Croque per nulla intimorita dal silenzio dell'ospite che stava fermo, come pietrificato sulla seggioletta sghemba.
"Forse…" – tagliò corto Oscar incredula dell'insolenza dell'altra – "Forse lo siete davvero!".
Luci nere galleggiavano davanti agli occhi, la mente combatteva con lo squarcio della fine, incipit e recisione di tutto.
Non avrebbe più rivisto André…
Mai più…
Eppure era finita lì, in quella specie di bettola dove un tempo, non rammentava più neppure quanti anni prima, c'era finita con lui, con André, prima di avviarsi verso Versailles.
La Regina Maria Antonietta era già rientrata alla Reggia.
Il Colonnello delle Guardie Reali no…
Oscar si sforzò di rammentare il motivo per cui quella sera fossero finiti lì, proprio lì. Lei non la conosceva la locanda…
Era stato André…
Poche parole, una proposta leggera e senza apparente motivazione ed erano finiti lì.
C'era tornata ancora…
Ci aveva incontrato Fersen…
E c'era tornata con Girodel…
Dunque di quale dannatissimo uomo stava blaterando quella dannatissima comare sboccata ed insolente!?
La donna tirò un respiro per deglutire la sottile insolenza dell'interlocutore che faceva a gara con la propria.
Il tempo del respiro…
"Di che state parlando?" – chiese a bruciapelo Oscar.
Non voleva parlare con la donna, dunque se l'avesse anticipata e avesse ricevuto una risposta vaga, su chissà quale accidente irrilevante del passato, magari avrebbe avuto buon gioco ad interromperla e a mandarla elegantemente al diavolo, adducendo di non avere idea di che cosa stesse parlando. Così da tornare in fretta alla devastazione che s'apriva nella coscienza…
Le pareva d'esser sulla punta d'uno scoglio in attesa dell'onda gigantesca che l'avrebbe spazzata via.
Solo che quell'onda non era ciò che aveva appena appreso all'Hotel de Ville…
O meglio non solo quello.
Né per sorte, né per entità!
"Mi potete dire che fine ha fatto quel baldo giovane? Quello con i capelli neri…legati…gli occhi chiari…verdi…quello che fino a qualche tempo fa veniva a far visita ad una nostra cameriera…che poi è sparita anche quella, con la sua mocciosa…non s'è visto più nessuno! Dunque se so dov'è finito lui magari so dov'è finita pure lei!?".
La comare doveva aver forse ricevuto una qualche raccomandazione su come tenere la bocca chiusa o quando aprirla e con chi ma in quel momento la smania d'aver trovato un appiglio - una fonte da cui probabilmente attingere una qualche informazione - per svolgere e dipanare la matassa aggrovigliata già da qualche tempo, aveva avuto ragione della discrezione e dell'attenzione che le era stato chiesto di mettere quando si fosse imbattuta in un qualche problema, rappresentato da uno dei tanti fili che aggrovigliavano la matassa!
Che poi chissà se con quell'informazione ci avrebbe pure potuto ricavare qualche soldo…
Madame La Croque voleva svolgere la matassa…
Vai a spiegarle che l'interlocutore sarebbe stato l'ultimo a cui chieder conto dei dannati fili!
"Sentite…" – si stizzì la comare – "Comprendo che ne è passato di tempo…ma io vi ho visto, qualche anno fa in compagnia di un bel giovane…eravate assieme…era tardi…verso sera…e voi non eravate conciato così! Avevate un altro abito…un'uniforme scura…rossa…".
La chiosa s'ingigantiva…
La domanda tagliava la coscienza…
Che quella dannata stesse parlando di André?
"Che cosa volete sapere?" – domandò Oscar rassegnata per comprendere – "Semmai io sapessi di chi volete sapere!".
"Sentite…ve lo dico subito! Quello stava dietro ad una nostra giovane. C'aveva una mocciosa con sé, sfornata chissà dove e con chissà chi. E quando le ho detto che la mocciosa sarebbe stata d'impiccio e che poteva benissimo metterla in orfanotrofio, quella s'è ribellata. Non ci sapeva fare troppo col suo lavoro ma insomma rendeva bene. Era gentile…educata! …è venuta qui perché ce l'ha portata quel giovane e allora io ho pensato che forse poteva essere il padre…".
Assurdo…
Assurdo…
Assurdo!
Quella megera stava parlando di Amalie Jenevieux e di sua figlia Victoire…
E quel giovane…
"André…" – sussurrò Oscar, mentre la gola si chiudeva.
"Ecco!" gorgogliò la comare – "Può essere che fosse proprio quello! Che fine ha fatto? La giovinetta se l'è svignata che oramai non lo rammento più…saranno due o tre anni…perché quello a un certo punto non veniva più, era sparito e lei secondo me è andata a cercarlo. Mi diceva ch'era ricco…insomma…lei diceva così…poi vai a sapere s'era davvero ricco o non l'aveva presa in giro…l'aveva aiutata e siccome non c'è nessuno a questo mondo che caccerebbe denaro per aiutare una giovane disgraziata se non perché con quella ci si è combinato un guaio…ecco…quello per me era il padre della mocciosa. E se l'è svignata perché s'era stancato di mettere soldi per la giovane disgraziata!".
Di…
Nuovo…
Questa…
Storia…
Oscar François de Jarjayes non aveva avuto tempo e modo di sviscerare i risvolti della questione.
Le mente aveva messo assieme i tasselli, il quadro era evidente e chiaro e semplice.
André aveva avuto una figlia con una giovane prostituta.
André, che era sempre André, non l'aveva lasciata sola e aveva tentato di aiutare la giovane trovandole un lavoro, portando qualche vestito per la piccola e un tozzo di pane per la famigliola.
Poi, chissà perché André aveva smesso di dare il proprio aiuto. Amalie Jenevieux s'era fatta coraggio ed era arrivata fino a Versailles per cercarlo.
Ma André nel frattempo si era arruolato ed era partito per l'America.
Era partito…
Non sarebbe più tornato!
Amalie Jenevieux viveva come domestica al Petit Trianon assieme alla sua bambina. Era finita laggiù perché a un certo punto aveva minacciato di sparire di nuovo e non aveva mai spiegato il perché.
La visione pareva quella d'una tela consumata, sfilacciata e pronta a stracciarsi. Non c'era coesione nella trama, l'ordito era distrutto da congetture anomale e senza senso. Su tutte spiccava quella macchia scura, impossibile da cancellare o lavare via.
André non c'era più…
André era…
Si fece forza Oscar François de Jarjayes. Nonostante la rabbia e la disperazione, colse l'appiglio per dare protezione, ammesso che fosse realistica la ricostruzione, alla persona di André, o almeno alla sua memoria.
"Non so che dirvi…non ho più notizie ormai da oltre un anno…".
In fondo non mentiva e nemmeno aveva detto la verità.
"Anzi…da molto più di un anno!".
La chiosa acida come unico sussulto d'orgoglio.
Quello di essere donna, non quello d'essere stata padrona.
"Davvero?" – replicò la comare stupida – "Allora mi sa che il bellimbusto se l'è proprio svignata! Speriamo che non abbia fatto del male alla povera Amalie!".
Che Oscar sollevò il capo stavolta, gli occhi sgranati ma lucidi.
Che l'altra s'accorse d'aver parlato troppo e sbiancò facendo un passo indietro e poi un altro ancora, sbadatamente andando ad urtare una seggiola che a sua volta colpì il tavolo.
La sequenza abbastanza marcata indusse la bottiglia appoggiata sull'ultimo mobile a traballare…
Sarebbe caduta a terra se una mano veloce non l'avesse afferrata e stretta, correggendone il moto squilibrato.
"Monsieur…" – balbettò Madame La Croque alla vista del Tenente Girodel.
Madame non doveva dare ad intendere di conoscerlo, se non per via del rapido scambio sulla scelta del vino, imbastita nel precedente incontro.
L'altro gelò la comare un'occhiata silenziosa e fredda.
Madame La Croque fece un inchino e scostò la sedia di fronte al primo ospite, segno che lei aveva riconosciuto il nuovo entrato come colui che aveva servito qualche settimana prima, assieme alla persona ch'era già seduta al tavolo.
Tutto lì…
Girodel invitò la comare a sloggiare con un secco gesto del capo.
L'altra scomparve mordendosi il labbro.
Oscar ripiombò nel suo mutismo. Da una parte era grata a Girodel della propria intromissione. Se fino a quel giorno, a quella mattina, aveva fatto di tutto per comprendere chi fosse davvero la donna di cui André s'era invaghito e probabilmente che l'aveva spinto a lasciare la Francia, adesso non voleva sapere più nulla. Non c'era più nulla da sapere, nulla da rimproverargli semmai l'avesse incontrato di nuovo.
Salvare la sua memoria?
A che scopo?
Nella mente rimbombava il vuoto…
Pulsavano le tempie…
Perché Girodel era lì?
Come aveva fatto a…
Si sedette l'altro…
Allungò le mani e le appoggiò su quelle di lei.
"Ero venuto a casa tua oggi…la tua governante mi ha detto che eri uscita…così ho provato a cercarti…sono stato all'Hotel de Ville immaginando che fossi andata lì. A cercare…ecco…mi sono fatto dare l'elenco dei caduti…ho saputo…".
Il tono era mesto. Né troppo contratto, né particolarmente compassionevole.
Forse perché tutta quella faccenda riguardava un servo e Victor Girodel non aveva mai nascosto la sua magnanimità verso André.
Magnanimità appunto, non affetto, non amicizia.
Era una perdita grave quella di André ma era pur sempre la perdita di un servo.
Oscar non rispose nell'immediato…
La repulsione per quanto stava accadendo…
L'incredulità, il disgusto…
Sentì il calore delle mani di Girodel infondersi sulle proprie, un poco rattrappite, quasi pietrificate.
Avrebbe voluto sottrarsi ma si ritrovò incapace di allontanare la stretta, come se lì, le mani nelle mani, sentisse affievolirsi un poco il disgusto della solitudine, il dramma dell'assenza, il vuoto incolmabile della sua esistenza.
Non poteva più nemmeno permettersi di star lì a chiedersi perché.
Non aveva più forza di opporsi agli eventi che parevano sovrastarla come un'onda gigantesca…
André dunque pareva davvero essere il padre di Victoire Jenevieux…
Ma Andrè…
André Grandier, soldato di fanteria di Sua Maestà Luigi XVI, Re di Francia, nato il 26 agosto dell'anno 1754, deceduto in America…
"Ascolta…sono addolorato…" – proseguì Girodel sporgendosi, come per parlarle senza infastidire, come per consentire alle parole di raggiungere il cuore più che la coscienza – "Resta…vieni a casa dei Girodel quest'oggi. Non puoi presentarti a casa tua in queste condizioni. La tua governante…ne morirebbe…e…".
Un respiro fondo…
Oscar era senza parole. L'altro anticipava mosse, decisioni, persino pensieri. E lei non comprendeva più, non aveva più forza di opporsi, non pareva più in grado di restare salda nella sua salda freddezza.
"No…devo…tornare…se non tornassi…se non tornassi allora sì che s'insospettirebbe. Non le ho accennato ad alcuna missione, ad alcun impegno tale da trattenermi fuori casa…e poi…ti ringrazio ma non me la sento…".
"Ma…riuscirai almeno a non dirle nulla?".
La domanda eruppe, Oscar sollevò lo sguardo.
"Come sarebbe!? Io non vorrei mai darle questo immenso dolore ma se non sarà oggi…dovrò dirglielo prima o poi…non ha mai chiesto nulla ed io non ho mai accennato a nulla…ma nel silenzio…credo che lei abbia confidato proprio in questa assenza di notizie il fatto che…che…".
Il nome scosse la mente…
Le lacrime salirono…
La destra sgusciò rapidamente per andare a pulire la guancia umida.
"Si…comprendo…" – ammise Girodel un poco freddo – "Ma magari potresti aspettare ancora…".
"A che scopo!? Prolungare l'illusione!? Madame Glacé si fida di me! Sarebbe terribile se lei intuisse che le sto mentendo!".
La chiosa stavolta scosse l'interlocutore che intuì di non poter forzare la situazione.
"Si…forse hai ragione…sono davvero rattristato…mai avrei immaginato che sarebbe finita così. Io l'ho sempre rassicurata…le ho dato solo qualche informazione sulle battaglie…le ho spiegato come si svolge la vita in un campo militare…e a poco a poco…giorno dopo giorno…ho intuito che le mie parole le erano di conforto. E indirettamente lei era serena e così non ha mancato ai suoi doveri, non si è distratta continuando a servirti con la stessa intransigenza e lo stesso zelo…".
Per la prima volta…
Oscar comprese…
Non riuscì a trattenersi…
"Victor…stai parlando di una donna che ha perso suo nipote! E tu sei felice perché in tutti questi mesi lei ha pensato che non sarebbe mai potuto accadere e dunque ha svolto le sue mansioni con lo stesso zelo di sempre!?".
La contestazione affondò nel cinismo dell'altro che, per nulla spaventato, replicò alla stessa maniera.
"Non mi pento né di ciò che ho detto né di ciò che ho fatto. Madame Glacé ha continuato a vivere la sua vita serenamente…che ne sarebbe stato di lei se avesse vissuto tutti questi mesi nell'angoscia? Non pensi a questo?!".
Si tirò indietro Victor Girodel lasciando lui stesso la presa dell'unica mano rimasta stretta.
"Ora dovrà solo sapere che suo nipote è morto. Ma i mesi trascorsi saranno stati per lei un momento di tranquillità e di serenità e non invece l'anticamera dell'Inferno! Pensaci! Non convieni con me che in alcuni casi e meglio non sapere piuttosto che sapere e vivere nell'angoscia!?".
La domanda retorica rimase senza risposta.
L'anima rimetteva di nuovo evanescenti effluvi di doloroso strazio.
Oscar si alzò, affatto convinta dalla domanda ch'era però, arrivati a quel punto, una sorta di stile di vita.
Meglio non sapere…
Meglio non avere contezza…
Meglio vivere nell'ignoranza piuttosto che nell'angoscia.
Lei s'era comportata sempre all'opposto e ora, effettivamente, guardandosi indietro, poteva scorgere mesi e mesi di ghiacciato silenzio, ostili premonizioni, becere congetture.
Lei voleva sapere…
Lei non era come Victor…
Si permise solo di sgaiattolare nella propria camera e di mandare a dire a nanny che quella sera avrebbe cenato lì, da sola, perché era molto stanca.
Era sabato…
Il giorno successivo, domenica, nanny non sarebbe stata a casa che dopo le dieci, dato che prima era solita avviarsi molto presto per seguire la Santa Messa.
Nessun appiglio…
Solo la distruzione che la tenne sveglia tutta la notte, seduta sulla poltroncina accanto al fuoco acceso che a poco a poco aveva esalato l'ultima stilla di calore.
Al buio…
Gli avvenimenti ripercorsi a ritroso…
S'era infilata in camera…
Il vassoio era stato portato subito dopo, ma la cena era rimasta intatta, se non per quel sorso di tè, giusto per ridare sensibilità alla gola secca.
Nanny aveva bussato poco dopo le ventidue di sera.
Lei aveva sentito, non aveva risposto, fingendo di dormire. La governante se n'era andata, senza entrare, senza imporre la presenza, senza nemmeno averla vista in faccia.
Quella faccia ch'era umida, gli occhi gonfi, rossi, indolenziti dallo strazio del pianto.
Aveva iniziato a piangere non appena aveva avuto certezza che nessuno l'avrebbe più disturbata.
Prima a terra, dov'era crollata, dopo aver atteso, in silenzio, il volto alla finestra, che la domestica appoggiasse il vassoio sul tavolinetto.
Poi s'era rialzata, il corpo scosso da strazianti correnti fredde e calde, schiocchi di dolore che a tratti annientavano la coscienza.
Tutto in silenzio, tutto respirato, tutto senza un grido.
Al buio, gli occhi s'erano asciugati alla fine, immobili e aridi a cercare fantasmi sulla parete buia.
Era rimasta seduta fin quasi al mattino.
Forse qualche rapido e agitato dormiveglia aveva avuto la meglio sul dolore che però caparbio come un verme che avanza nella polpa d'un frutto aveva continuato a scavare giù, fin nelle viscere dell'intelletto.
Rimbalzavano i pensieri e i ricordi.
Rimbalzava quella sorta di affinità che lei sentiva riemergere a poco a poco, tra sé e l'altro, una specie di appiglio, a lenire il dolore, e al tempo stesso una definitiva condanna.
Si sentì infinitamente e drammaticamente così simile ad André, affine a lui come non le era mai accaduto di sentirsi. Improvvisamente ascoltava sé che era lui e lui che era sé.
Perché…
Perché…
Tutto sbiadiva assumendo l'incolore tonalità del buio.
Qual è il colore dei ricordi?
Perché di essi non si rammenta che il suono o l'immagine ma non il tatto?
Si era stretta a sé, per stringersi addosso quel sottile abbraccio da cui s'era sentita avvolta, l'ultimo giorno in cui aveva visto André. Sapeva di averlo avuto accanto in quella strana notte in cui lui le era caduto addormentato tra le braccia, un poco ubriaco, come se avesse diffidato di sé, affidando al vino i pensieri, così che il vino avrebbe avvolto i gesti ed ammansito la smania.
Ora, ripensandoci, le pareva che André l'avesse fatto di proposito a ubriacarsi, così da affrettare il distacco da lei.
Perché?
Davvero l'altra donna aveva un fascino così potente d'aver corrotto l'anima di André al punto da indurlo a stare lontano da lei, non solo lasciando la Francia e partendo per l'America, ma persino evitando a se stesso d'intrattenersi in una banalissima conversazione?
Però André l'aveva abbracciata e lei quell'abbraccio – quel dannato ricordo - ce l'aveva lì, addosso, come una specie di coperta calda che scaldava il cuore e generava speranza.
Aveva congedato Girodel…
Aveva ammesso d'essere stravolta ma d'aver necessità di restare chiusa entro le mura della propria casa. Sola.
Aveva sollevato gli occhi accompagnando la richiesta con uno sguardo d'infinito strazio.
Non era mai accaduto.
Di solito Oscar François de Jarjayes non aveva mai avuto necessità di rinforzare una richiesta aggiungendo sguardi di disapprovazione.
Ma in quel caso non aveva potuto fare altrimenti, forse davvero tutto s'era svolto senza intenzione, lei immersa nella mera gestualità straziante d'una perdita che porta tutti gli esseri umani, nobili o plebei, uomini o donne, a subire la stessa onta da parte dello strazio e della devastazione d'un dolore senza scampo.
Però alla fine, Girodel s'era convinto e dopo averla riaccompagnata a casa le aveva promesso di raggiungerla il giorno dopo.
L'alba del nuovo giorno era giunta dunque. C'era poco tempo.
Oscar attese di udire l'uscio della cucina chiudersi, segno che nanny era uscita.
Cerco l'effige dell'altra dalla finestra che dava sul cortile. La vide avviarsi, intabarrata nel mantello, la cuffietta di lana in testa, il passo mesto. Dalle spalle sbucava una rosa, il gambo lungo e asciutto, il bocciolo piccolo e freddo.
Forse una rosa tardiva, cresciuta al tepore d'un ultimo sparuto raggio di sole.
Scese giù.
Si diede dell'insensata e della ladra.
Ma nulla tornava in quella storia e lei doveva comprendere…
Le lacrime s'erano asciugate, in compenso doleva il cuore nel petto, forse stanco dell'infinita corsa che aveva intrapreso dal momento in cui gli occhi avevano letto il nome.
Non bussò appoggiando la mano destra alla maniglia. Entrò piano.
La camera era ancora un poco buia ma il letto era rifatto e l'aria era fredda. Segno che nanny s'era alzata preso ed aveva già provveduto ad areare la stanza e a rigovernarla, così che al ritorno si sarebbe occupata del resto delle faccende di casa.
I passi avanzarono piano, l'indice e l'anulare della mano sinistra scorsero sul tavolinetto di radica lucida, posizionato dalla parte opposta del letto. Solo una piccola boccetta di colonia faceva bella mostra di sé, nell'aria il sentore soave e fresco del profumo, unico vezzo di Madame Glacé.
Si diede di nuovo della ladra.
Le dita scorsero al pomello del cassettino. Forzarono un poco la presa e strinsero così da imporre al cassetto di sfilarsi e aprirsi.
Gli occhi, ormai adattati all'oscurità, videro un pacchetto chiuso con un nastro rosso.
Le dita l'estrassero…
Oscar prese a tremare.
Parevano lettere ma nanny aveva sempre detto di non avere altri parenti in vita eccetto André.
La testa prese a girare e le gambe, in preda al dolore, si ritrovarono a cedere che Oscar dovette scostare la sedia e sedersi.
Il pacchetto contava sì e no una decina d'incarti ripiegati in quattro parti.
Forse dodici buste.
Il fiocco rosso…
Gli occhi sgranati lo riconobbero.
Era il fiocco che André indossava da bambino.
Forse quello che portava quando si erano incontrati per la prima volta, in un lontano giorno di marzo.
Era uno dei primi nastri che André aveva indossato per raccogliere i capelli. Un nastro rosso un poco consumato ma stirato a dovere, liscio, spiegazzato solo dove era annodato per tener chiuso il pacchetto.
Lo voltò, gli occhi lessero…
Il cuore perse il proprio ritmo.
La grafia conosciuta…
I timbri postali…
Le date…
L'odore della carta mescolato a quello della salsedine.
La grafia di André…
Quelle erano lettere di André.
Nanny non le aveva mai detto che André aveva scritto. Nanny non aveva mai chiesto nulla.
Da dove venivano quelle lettere, chi le aveva portate?
Come facevano a essere lì?
Tremarono le dita, davvero, quando corsero a sfilare il nastro. Nessun rumore giungeva più dall'esterno. O forse sì, ma lei non li sentiva più.
Intuì dai timbri quale fosse la prima.
La scelse e l'aprì.
Ladra…
Del gesto di André che non era stato per lei.
Dei pensieri di André che non erano diretti a lei stessa.
Océan Atlantique deuxième jour de navigation…
Ma chère grand-mère…
Siamo partiti da nemmeno un giorno e già sento la tua mancanza. Me ne dolgo, mai potrò fare ammenda del torto d'averti lasciato, che ti sarà parsa, la mia, una decisione incomprensibile e crudele.
Posso solo chiederti di continuare ad accettare il mio affetto e di accettarmi così, incosciente e di perdonare il dolore che ho causato.
Oggi, qui, lontano dai luoghi che mi hanno accolto fin da bambino, così come dalle braccia che mi hanno amato, mi pare d'esser in grado di vedere la mia vita in maniera più nitida e di comprendere ancora più a fondo il tenero e grande amore che hai nutrito per me.
Così come l'amore che mi ha spinto a lasciarti. L'uno ricambiato, legato dal sangue che scorre nelle nostre vene.
L'altro intenso e libero, forte del legame che mi tiene a sé, così che solo l'oceano e il tempo mi concederanno di sapere quanto esso sia puro e se mai un giorno avrò scampo dalla sua luce.
S'esso morirà allora la mia scelta sarà stata giusta, né alcuno avrà patito invano.
Se sopravvivrà, allora io vivrò fino a che esso avrà respiro.
Ti chiedo di aver cura della donna che amo.
So che adesso, leggendo queste righe, appoggerai il foglio in grembo, solleverai lo sguardo per guardarti attorno e chiederti come sarà possibile.
Sorrido a immaginarti e confido nella tua saggezza.
Ti parlerò di lei, così che non ti sentirai troppo sola, che in questo modo sarà come se io fossi lì, a guardarla attraverso i tuoi occhi, a mostrarti quanto sia bella e tu l'ammetterai, che lo è davvero.
Tornerò sano e salvo, per abbracciarti e baciarti.
Tuo nipote André
Amore intenso e libero...
Amore puro…
Amore luminoso…
Un gesto a scostare i capelli per leggere meglio…
Gli occhi fissi al gesto della scrittura, alla mano…
La mano che aveva afferrato la sua, il polso stretto della gentilezza infinita d'un amore puro…
S'esso morirà allora la mia scelta sarà stata giusta, né alcuno avrà patito invano.
Se sopravvivrà, allora io vivrò fino a che esso avrà respiro.
Ti chiedo di aver cura della donna che amo.
So che adesso, leggendo queste righe, appoggerai il foglio in grembo, solleverai lo sguardo per guardarti attorno e chiederti come sarà possibile.
Sorrido a immaginarti e confido nella tua saggezza.
Ti parlerò di lei, così che non ti sentirai troppo sola, che in questo modo sarà come se io fossi lì, a guardarla attraverso i tuoi occhi, a mostrarti quanto sia bella e tu l'ammetterai, che lo è davvero.
Amore intenso e libero…
Amore puro…
Amore luminoso…
Ti chiedo di aver cura della donna che amo…
Ti chiedo di aver cura della donna che amo…
La donna che amo…
"La conosci?" – sussurrò stupefatta a se stessa, a nanny, a lui stesso, come se tutti e tre, lei stessa staccata da sé, fossero tutti lì – "Tu la conosci?!".
Domanda retorica…
Caos…
Chi sei…
Martellavano i dubbi aggrovigliati al dolore.
Che senso avrebbe avuto sapere chi era quella donna…
Oscar smise di respirare.
Le dita frugarono alla ricerca d'un altro timbro, in successione.
Le parve che l'ordine del tempo fosse ormai l'unico appiglio, l'unica parola capace di tenere assieme i pezzi della propria vita legata a quella di André.
Il continuum temporale…
Océan Atlantique, vingt-quatre juillet 1778
Ma chère grand-mère…
Dopo giorni di mare calmo, vento lieve e dunque assolutamente deleterio perché inutile, la navigazione è ripresa con sollievo dei marinai che pure sono abituati a tali frangenti.
Confido nella tua buona salute e che la mia assenza non t'imporrà di svolgere anche le mansioni che un tempo spettavano a me.
Lo spero e prego che tu non dia sfogo alla tua intransigenza verso te stessa, impedendo alla famiglia Jarjayes di venirti in aiuto, così che la mia assenza non ti sia di peso.
E ti chiedo se l'hai veduta oggi?
Hai ascoltato il tepore della sua stanza ancora chiusa al mattino?
Silenziosa magnolia mescolata al Marsiglia.
Metallico acciaio intessuto di lino.
E l'hai scorta, alla sera, mentre assorta osserva le ortensie fiorite al di là delle finestre?
I pensieri alla giornata scorsa, i dubbi d'aver composto al meglio i doveri e poi la scelta delle incombenze per la giornata che verrà?
Abbi cura di te e di lei.
Se lo farai sarà come aver cura di me!
Tuo nipote André Grandier
"Silenziosa magnolia mescolata al Marsiglia…metallico acciaio intessuto di lino…" – le chiose ripetute come una nenia, ognuna di esse rappresentava un particolare, ognuna di esse era tutto e non era niente – "E l'hai scorta, alla sera, mentre, assorta, osserva le ortensie fiorite al di là delle finestre della grande sala?".
Oscar lesse, le parole sussurrate a bassa voce, in tono udibile alle orecchie ove ronzava disprezzo di sé misto al rimbombo del pianto che chiudeva la gola.
Un paio di lettere caddero a terra, Oscar le raccolse sistemandole sul tavolo aperte.
Così come aprì tutte le altre mettendole in fila, una dietro l'altra.
Così, assieme, vicine, pareva che esse fossero davvero legate da un filo invisibile che scorreva attraverso le parole, attraverso lo sguardo di André.
New York, janvier 1779…
Ma chère grand-mère…
Sono passati mesi da quando ci siamo lasciati. La nostalgia per tutti voi è grande, ancora di più il desiderio di tornare ad assaggiare i tuoi deliziosi manicaretti.
L'indice accarezzò l'angolo superiore, a destra, un alone scuro ornava il bordo bruciacchiato della carta.
S'immaginò Oscar ciò che doveva essere accaduto.
Forse nella foga della lettura, di notte, al chiarore della candela, la lettera era stata avvicinata un po' troppo alla fiamma, che aveva rischiato di attaccare le parole e distruggerne per sempre il segno.
O forse chissà, proprio quel contenuto non avrebbe dovuto essere rivelato e il dubbio si era insinuato nel tremore delle mani che però, poi, evidentemente si erano pentite.
Si maledisse Oscar, che non aveva compreso nulla, che si domandava come fosse stato d'aver abdicato così a fondo all'esistenza dell'altro, relegandola ai non-detti, alle chiose sfuggenti, all'ignobile frammentazione di istanti rubati al silenzio.
Così da perdere per sempre il diritto di sapere, il dovere di essere con lui, anche se lui non c'era.
Essere…
Con…
Lui…
Come avrebbe fatto adesso?
Spero che la tua salute sia ottima, spero che avrai perdonato questo nipote scapestrato che purtroppo ha poco tempo per scriverti.
Abbiamo atteso diverse settimane per sbarcare.
Anche se non è stato possibile in realtà. New York è ancora sotto il controllo degli inglesi. Siamo riusciti a mettere piede in terra a White Plains.
Ebbene, ti sorprenderai!
Qui inglesi e gente d'America fa e disfa la guerra quartiere per quartiere, la città si snoda entro strade ritte che s'incrociano con altrettante vie, edifici di tre o quattro piani, in legno, tutti uguali, semplici, gli uni di seguito agli altri, senza un albero o un giardino posto a confine.
La gente è abbigliata allo stesso modo, così che tutti sembrano appartenere a un unico popolo.
E siccome mi è stato consentito di abbigliarmi allo stesso modo, senza divisa, affinché non venissimo catturati, ti sono debitore per le camicie che mi hai fatto avere.
E' strano come quando non ci sono differenze tra gli esseri umani, ognuno di essi può vivere come più preferisce e dunque è diverso da tutti gli altri.
Altro per ora non ho da aggiungere…
Ci sono giorni in cui mi pare d'essere ancora in Francia.
E dunque alla fine è come se l'avessi portata con me in fondo, ogni giorno.
Mentre cammino, mi sovviene d'osservare il cielo, da lontano si odono le strida dei gabbiani, lo sciacquio del mare e tornando con lo sguardo avanti a me, è come se lei fosse lì, soltanto che io sono mezzo passo dietro a lei.
Mezzo passo dietro a lei…
Mezzo passo dietro a lei…
Mezzo passo dietro a lei…
"Mezzo…passo…" – le parole sussurrate…
La lettera cadde dalle mani e così le altre, tutte le altre, ch'erano aperte ma non ancora lette.
"Mezzo passo dietro a lei...mezzo passo dietro di lei…".
Oscar fu costretta ad appoggiarsi al tavolino, le mani a sorreggere la testa, i piedi a scacciare le carte spesse e gialle.
Il dolore fulminò le tempie che presero a battere forte e le parole a rimbombare come un tuono che non aveva modo di sfogare il suo boato.
Le dita affondarono nei capelli…
Nell'istante comprese che non aveva compreso nulla dell'altro.
Si contrasse il cuore…
Che c'era una sola persona ch'era sempre stata mezzo passo avanti a lui e André mezzo passo dietro a lei…
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