Ahimè, mio Dio, perché non mi hai fatto nascere maschio.
Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla
e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere.
Cité des dames
Christine de Pizan
Wild nights - Wild nights!
Were I with thee
Wild nights should be
Our luxury!
Futile - the winds -
To a Heart in port -
Done with the Compass -
Done with the Chart!
Rowing in Eden -
Ah, the Sea!
Might I but moor - tonight -
In thee!
Emily Dickinson
E fu allora che andò anche peggio
1° juin 1781, Brest…
Poche ore di sonno agitato e beffardo.
Non sarebbe stato quello il modo migliore di affrontare il lungo viaggio.
Non aveva avuto il coraggio di dire nulla a nanny.
Non le aveva detto del nome di André letto sul registro dei soldati caduti in America.
Non gliel'aveva detto.
Mai!
Solo un accenno al fatto che Sua Maestà le aveva affidato il compito di scortare il denaro.
E poi…
Tutto era accaduto poco prima di partire…
Persino il Tenente Girodel, solitamente sicuro del fatto suo e quasi mai scalfitto da alcun accidente della vita, aveva sgranato gli occhi che poi s'erano assottigliati.
I bagagli già pronti all'ingresso di casa Jarjayes…
I domestici indaffarati negli ultimi preparativi…
Era entrato e l'aveva fatta chiamare lei, Oscar François de Jarjayes. E stavolta la lettera l'aveva consegnata a lei, in persona.
Le mani incerte avevano afferrato la busta e letto il verso delle lettere, la grafia.
Sempre la stessa.
I timbri recavano la provenienza. La stessa zona, i Grandi Laghi…
Non si erano combattute molte battaglie laggiù, entro le sperdute foreste al limitare della Nuova Francia.
Come rimediare con nanny?
Non era importante.
Monsieur Victor Girodel si sarebbe assunto la responsabilità dello sbaglio d'aver aperto la lettera, giurando poi di non averne letto il contenuto.
Era vero.
Monsieur Victor Girodel non aveva mai aperto alcuna busta, non aveva mai letto alcuna parola dell'altro.
25 décembre 1780
Ma chère grand-mère
Oscar aveva aperto la lettera, senza esitazione. Il cuore in gola, la sovrapposizione delle date mescolate all'evento fisso e infausto.
Non c'erano luoghi, né altri riferimenti.
Non aveva avuto tempo di soffermarsi alle parole scritte.
Il chiodo fisso a lui…
E poi…
Il nome…
Vorresti porgerle gli auguri da parte mia? Alla nostra Oscar intendo?!
Purtroppo solo oggi ho avuto tempo per scriverti e so già che quando aprirai questa lettera alzerai gli occhi al cielo, perché essa sarà giunta inevitabilmente in ritardo.
Immagino che come ogni anno, lei ti avrà chiesto di prepararle il suo dolce preferito, crema e cioccolato e cannella.
Immagino la festa sobria, forse il padre e la madre accanto a lei e le sorelle.
So che non ama celebrare la data della sua nascita, perché alla fine è una competizione infausta quella con la nascita del Nostro Salvatore.
Ma come sempre accaduto in passato, quand'ero con lei, augurale da parte mia d'avere una vita intensa, come merita.
Il tuo nome…
Il tuo nome…
Il tuo nome…
Era la prima volta che André scriveva il suo nome. Non l'aveva mai fatto, nonostante fosse partito ormai da quasi tre anni.
Non l'aveva mai nominata nelle lettere, ch'erano giunte negli anni precedenti.
Nessun cenno, nessun augurio.
E solo lui e nanny sapevano quel che le piaceva…
Il sentore della cannella a sporcare appena la frolla e il cioccolato a ingolosire l'affondo del morso…
Com'era possibile…
Inaspettatamente le battaglie stanno volgendo a sud.
Io sono lontano da esse e dunque non temere per me.
Tutto sommato sto bene, anche se la nostalgia alle volte si fa troppo intensa e allora mi metto a camminare, a esplorare questi luoghi incontaminati e puri.
La gente è ospitale, collabora con noi.
Lo sapevi che le persone che abitano le Americhe ormai da secoli hanno una buona opinione degli inglesi? Sorprendente vero?
E sì che sono stati proprio gl'inglesi ad arrivare per primi nelle loro terre ma alla fine, com'era giusto che fosse, entrambi hanno riconosciuto il diritto di ciascuno a vivere secondo la propria origine.
Eppure, a osservarli bene, pare di scorgere nei loro occhi la paura di non possedere più la propria stessa vita, il proprio destino.
Conosco bene ciò che sentono. So cosa significa non poter scegliere e, quando anche avessi la possibilità di farlo, dovrei sempre chiedere il permesso a qualcun altro.
Ma chère grand-mère
Immagino che a questo punto non esisteresti a contraddirmi. Noi abbiamo la fortuna d'essere ben voluti nella vita dei nostri padroni.
Ma…
Potrebbe mai un uomo chiedere il permesso di essere libero?
Potrebbe mai un uomo chiedere il permesso per essere felice?
Il tuo André Grandier
La lettera era stata richiusa e porta a nanny dal solo Victor Girodel – com'era stato sempre fino ad allora – che s'era affrettato a scusarsi, per il fatto che la busta fosse stata forzata e dunque aperta.
Questioni di sicurezza aveva addotto.
Nanny s'era schermita, non aveva importanza, ma poi se l'era portata al cuore e il viso s'era illuminato.
Oscar, da lontano, aveva osservato la scena.
Inutile raccontare a Madame Glacé ciò ch'era accaduto. Inutile spezzarle il cuore.
Ora poi che anche lei sarebbe partita…
L'angoscia sarebbe stata eccessiva.
Quelle lettere, giunte dopo ciò che aveva appreso, unite alle parole di André, che aveva spiegato d'essere stato destinato a incarichi che esulavano dai combattimenti, imponeva un'estrema cautela, imponeva anzi obbligava a lasciare aperta la speranza che quell'André fosse un altro, non il suo André, anche se la data di nascita, il 26 agosto 1754, coincideva.
Una speranza da coltivare con cura, flebile ma netta.
E poi le parole di André, quell'inciso sulla libertà, un soffio ardito, per lui che – almeno per quel che a lei appariva – s'era sempre dimostrato docile agli incarichi che gli venivano affidati, al compito di scortare e assistere lei, sì…
Ma…
Quel desiderio d'essere libero…
André è sempre stato libero!
Vorresti porgerle gli auguri da parte mia? Alla nostra Oscar intendo?!
Il tuo nome…
Dopo tanto tempo…
Andrè che parla di amanti…
André che scompare di notte…
André che ha conosciuto Amalie Jenevieux…
André che disegna il nome della sua donna nell'azzurro del cielo…
André, amante gentile e premuroso…
Il viso piccolo, l'ovale perfetto del volto della piccola Victoire…
Occhi grandi, troppo grandi per la faccetta magra e bianca, cerchiati d'inedia e tristezza, capelli castani ribelli, sguardo bello ma perso…
Come sei lei, seppur piccolissima, avesse sempre saputo d'esser nata senza appartenere a nessuno, senza che nessuno, una volta scomparsa nel nulla, si sarebbe mai messo a cercarla.
Victoire non era mai appartenuta a nessuno.
André…
Lei apparteneva ad André?
§§§
Un altro giorno…
Il giorno della partenza.
Gli occhi scorsero ai gesti asciutti dei segretari.
I piccoli sacchi, numerati e chiusi, pesati a uno a uno e poi riposti in piccole scatole di legno, ciascuna chiusa con una piccola chiave.
La squadratura delle scatole s'andava a incastrare perfettamente nel baule più grande, la parte interna dello sportello aperto lasciava intravedere una fodera di panno spesso e nero.
I gesti ripetuti per ogni baule.
Sedici milioni di livres…
"Ora signori…uscite tutti…" – esordì il Tenente Girodel, i bauli aperti ricolmi ciascuno di quindici scatole di legno.
Qualcuno dei presenti s'asciugò il sudore, altri fecero un sobrio inchino, altri si pulirono le mani.
Tutti avrebbero voluto assistere alla chiusura dei bauli, che no, quel rito sarebbe spettato a una sola persona.
La stanza vuota…
Un raggio sgarbato colpì un baule. Oscar scelse di cominciare da quello.
Prese a strappare la fodera nera che ricopriva l'interno del coperchio della cassa.
Il sole schioccò, riverberandosi contro la sommatoria di svariate lamine di metallo grigio e lucente, alcune più ampie, alcune più strette, sagomate, arrotondate, sbeccate e limate, incastrate l'una con l'altra, a combaciare in una sequenza perfetta e incomprensibile. Il frutto del lavoro di Sua Maestà Re Luigi XVI, che – recuperati alcuni manoscritti dell'anno 1300, fatti arrivare appositamente una zona dell'Italia che prendeva il nome di Lombardia – aveva reinventato serrature impossibili d'aprire se non attraverso un particolare meccanismo.
La serratura in ferro, istoriata con gigli e leoni, faceva bella mostra di sé, sul lato frontale del baule.
Il Colonnello Oscar François de Jarjayes sollecitò il meccanismo, andando a inserite la chiave, che schioccò muta.
Poi fu la volta del groviglio di foglie d'acanto, cesellate a bassorilievo sulla testa del coperchio, in mezzo l'effige d'un leone.
E nel baule accanto, quella che veniva appellata giraffa…
E ancora un lupo…
Un pavone…
Una scimmia sciocca…
Un cane…
Un orso…
Un gallo…
Le dita accarezzarono il raffinato intarsio, in ascolto dello schiocco sordo della seconda serratura, a inchiodare il baule che diveniva così una sorta di forziere.
L'invenzione di Sua Maestà…
Una doppia serratura…
La falsa, esibita laddove chiunque l'avrebbe cercata…
Quella vera, caparbiamente nascosta.
Il Colonnello Oscar François de Jarjayes osservò la chiave che teneva in mano.
Il cesello rammentava la criniera d'un leone…
L'altra il manto pezzato della giraffa.
Intarsi non esibiti ma sapientemente incastrati nella trama di petali di giglio e foglie d'acanto comuni a tutte.
O si fosse stati fabbri provetti, orafi, cesellatori, oppure…
Il senso della messinscena sarebbe valso a far perdere tempo a chiunque avesse provato a trovare il bandolo della matassa.
Lo sguardo calò nuovamente sul mazzo dei chiavistelli, diviso in due gruppi più esigui, ciascuno pari alla metà.
Lei avrebbe tenuto le chiavi di foglie d'acanto e uva sopraffina, corrispondenti alle casse imbarcate sulla nave che avrebbe ospitato Monsieur Victor Girodel, che, a sua volta, avrebbe conservato i chiavistelli intarsiati a giglio, dei forzieri collocati sul veliero ove avrebbe viaggiato il Colonnello Oscar François de Jarjayes.
In ogni caso ciascuno avrebbe avuto il possesso delle grandi chiavi in grado di aprire le consuete serrature, quelle di fronte, ossia – in mancanza delle chiavi in possesso dell'altro detentore – serrato ancor più a fondo i forzieri!
Nessuno avrebbe dunque aperto i bauli se non alla contemporanea presenza dei possessori delle chiavi che avrebbero viaggiato su vascelli distinti.
L'ordine impartito era che le due imbarcazioni non dovevano avvicinarsi l'una all'altra al di sotto delle dieci miglia marine.
Si sarebbero controllate a vista e semmai la distanza fosse scesa sotto tale misura, la conseguenza sarebbe stata quella di spianare i cannoni contro il vascello che si sarebbe avvicinato troppo, come fosse considerato alla stregua d'un avversario.
Perdere uomini piuttosto che perdere il denaro.
Sorprendente sintesi d'una architettura, che, a memoria, s'era iniziata a praticare da poco, non certo dalle prime traversate, quando ancora v'era sempre stato un affidamento più che fiducioso nella tenuta del denaro e nel trasporto sicuro.
Ma forse era per via che gl'inglesi non esitavano oramai ad assaltare ogni nave straniera che solcava i mari delle Americhe, che tanto lo sapevano tutti che per vincere una guerra ci si doveva mettere denaro e quello non poteva che essere lì, sulle navi che giungevano dall'Europa.
La precauzione dunque doveva trovare in quell'intendimento la sua più ovvia spiegazione.
Gli ultimi scampoli della mattinata si spinsero ancora oltre.
Oscar François de Jarjayes diede l'ordine di caricare i bauli.
Nella testa, l'immagine del corpo di Amalie Jenevieux ripescato dalla Senna.
Non aveva assistito alla scena ma aveva visto altri copri ripescati, quasi sempre gonfi e sfigurati dai morsi dei topi e dei ratti che infestavano i sottopassi del fiume.
Nella testa il nome di André, fisso e mai sperduto, che se anche il pensiero non era a lui, lui era lì, come fosse in ascolto dei suoi stessi pensieri, della sua stessa voce, discreto e silenzioso com'era sempre stato.
Dall'animo ramingo ma dal polso fermo.
Di fronte a sé i bauli che contenevano i sedici milioni di livres.
Nella testa il dubbio che la piccola Victoire Jenevieux potesse essere ancora viva mentre lei, in spregio ai suoi ideali ma in ossequio al ruolo e agli ordini che le erano stati impartiti, stava lì a fare la guardia a sedici milioni di livres anziché tornare a Parigi per cercare la piccola.
Nella testa la condizione di smarrimento generata dall'immensa distesa dell'oceano, colma di attesa e vuota di speranza, che lei negava e rifuggiva.
Domandare speranza al tempo significa vacillare nell'intenzione.
Non voleva ammettere nulla…
Il tuo nome…
Per la prima volta, il suo nome, seppur letto dalla grafia dell'altro, le parve come fosse uscito dalla sua bocca, pronunciato dalla voce che riemerse dalla profondità d'un tempo mai scorso, mai vissuto, come se nei tre anni passati nulla fosse mutato e lei si apprestasse a salpare con lui, che dunque non l'aveva mai lasciato andare in realtà, ma l'aveva semplicemente seguito di lì a qualche istante.
Si disprezzò, Oscar François de Jarjayes, ritrovandosi smarrita…
"Dannazione…" – sibilata mentre in disparte assisteva impotente a uno strambo teatrino di cui lei, era involontaria attrice nonché causa.
"Non temere…" – Girodel s'accostò – "Ho incaricato Monsieur Bahamut di cercare quella bambina…".
"Come diavolo farebbe quell'uomo a trovarla!? Come diavolo faceva a sapere che la donna che hanno trovato nella Senna era davvero Amalie?".
"Senti…" – un respiro – "Quella è sparita…io l'avevo vista di sfuggita a Parigi e poi l'ho rivista al Trianon assieme a una bambina. La bambola di pezza era quella di Madame Royale. Lo so perché seguivo la famiglia reale. Restavo in disparte ma osservavo i loro gesti, i loro passi. Dunque non poteva che esser lei, dunque comprendo il tuo disappunto…".
"Disappunto?" – la rabbia montava, come poteva l'altro essere così freddo – "Una donna è morta e sua figlia…era così piccola…come puoi essere così…".
"Disinteressato!? Cinico?! Ti spiace continuare a imbatterti in questa mia freddezza!? Che male c'è?! Affezionarsi a qualcuno…io non le conoscevo…bada…non sto dicendo che la questione mi rende felice…semplicemente non sono triste…che ci vuoi fare…sono stato educato così…".
Silenzio…
Il silenzio trasudava rabbia…
Oscar François de Jarjayes si ritrovava a duellare – a parole – con un uomo che stimava ma che spesso non riusciva a comprendere.
O forse semplicemente accadeva che lei non fosse preparata a tali frangenti della vita mentre l'altro, temprato dalla solitudine e dalla rigida educazione, forse sì, e allora era divenuto abile a sbatterle in faccia una freddezza che parimenti anche lei avrebbe dovuto sfoggiare.
Non che un uomo non avrebbe dovuto provare pietà, ch'era forse declinazione d'animo più smaccata da parte di una donna, con il cuore forzatamente avvezzo alla compassione e alla tenerezza verso i mocciosi, ma di fatto era ciò che stava accadendo.
E lei, dannazione, provava rabbia verso quella compassione tutta umana e tutta femminile che piegava gli intenti e distorceva la realtà.
Era fragile, esposta…
"Dovrai fartene una ragione" – insistette Girodel – "Questo non significa che non abbia sentimenti e che non potrei un giorno affezionarmi a qualcuno, ciò che mi preme è che qualcuno non abbia usato quella donna e sua figlia per farsi scudo dei propri errori…".
Il dialogo era mezzo sussurrato…
La chiosa sferzò di nuovo…
"Che…vorresti insinuare?" – soffiò Oscar quasi senza respiro.
"Io sarò anche cinico a non provare nulla per la morte di una bambina ma di certo non l'ho usata per i miei scopi…".
"Basta!".
La conversazione disgustava…
A Victor Girodel non importava più. Lui voleva tutto e solo se fosse stato convincente l'avrebbe avuto. Convincente e non più accondiscendente.
Scalfire l'altra, faccia dopo faccia, come fosse lei il diamante grezzo più puro in assoluto e lui il cesellatore più raffinato di tutta la Francia.
Lo sguardo tornò al teatrino…
"Tre donne! Ma siamo ammattiti!?" – strepitava il nostromo di bordo Monsieur Jonas al sottufficiale Monsieur Malente – "Non se ne parla! Una basta e avanza!".
"State scherzando con il fuoco Monsieur Jonas!" – rimbeccava Monsieur Malente – "Queste persone devono salire a bordo! Fanno parte della spedizione. Non vi siete mai fatto scrupolo di ospitare altro genere di dame…quale sarebbe il problema!?".
"Quale – sarebbe – il – problema!?" – tuonò il nostromo Monsieur Jonas – "Non m'importa dell'altro genere di dame! Ma queste…queste…sono tre – donne! Ecco qual è il problema! Non mi pare difficile…".
Dunque le puttane non contavano, le donne sì, quasi che le prime non fossero uguali alle seconde, o le seconde non potessero essere come le prime.
"Monsieur…" – s'avvicinò Monsieur Malente che però si sentì appoggiare una mano sulla spalla e comprese e voltandosi sollevò gli occhi al capitano della nave che chiedeva spazio e parola.
"Tre donne!" – spiccò il Capitano di Vascello Manoush Lemonde in tono canzonatorio, come a dire che non era poi una gran scoperta che quelle fossero tre donne e come a dire ancora che chissà che male ci sarebbe stato ad averne tre, di donne, a bordo – "Dunque Monsieur Jonas…ne abbiamo avute a bordo anche in numero superiore e non ve ne siete mai lamentato…".
Un uomo imponente ma snello, il Capitano di Vascello Monsieur Manoush Lemonde, incombente ma non severo se non nello sguardo scuro.
Attese la risposta del proprio nostromo, quello che avrebbe avuto a bordo del proprio vascello.
"Monsieur…non intendevo…" – chiocciò l'altro che non era intenzionato a discutere con il capitano – "La vostra signora…monsieur…Madame Lemonde…è sempre stata la benvenuta…ma quelle due…".
Che dunque una delle tre donne era persona nota…
Ma il dito corse a indicare le altre donne.
Quelle due…
Mai viste due donne più diverse…
L'una, capelli neri come pece, occhi scuri come la notte trafitta di stelle, a spiccare sul manto d'una pelle morbidamente bruciata dal sole del mezzogiorno, sguardo fiero e severo, viso acceso di passione ma fermo, vestita con abiti maschili sobri, a disegnare il corpo asciutto, i fianchi magri.
I pugni chiusi…
L'altra, altrettanto fiera e muta, esile ma tesa, il viso toccato dal benedetto raggio che impolvera la massa di grano baciata dal sole, il corpo fasciato dall'uniforme d'ordinanza, libera dal fastidioso orpello degli stemmi, ma pur sempre un'uniforme.
Ghiaccio negli occhi e fiamme nello sguardo per via dell'insulsa perdita di tempo.
"Dico io…quella lì…quella chi sarebbe?! Una donna che si veste da uomo…ossia…tutte e due…" – l'uomo prese ad agitare le mani a mulinello perché stava perdendo il filo del discorso, perché poi tutte e due erano vestite con panni maschili e dunque sì, forse il nostromo lo sapeva che donne a bordo ne erano state fatte salire, ma donne d'altro genere e per altre necessità, donne che avevano altro incedere, altro abbigliamento e che – andava da sé - non avrebbero mai avuto l'ardire di mettere becco nella vita sociale del vascello, una nave da guerra per di più - "E per giunta in uniforme! Me l'hanno detto…".
"Ma quelle due…" – quasi s'afflosciò il povero nostromo, come a dire che quelle due non erano proprio due donne che se ne sarebbero rimaste in un angolo a rammendare vestiti e a chiacchierare del tempo e del cibo servito a bordo, oppure di scarpe, merletti – "Non vanno mica bene!".
"Monsieur state parlando del Colonnello Oscar François de Jarjayes…al servizio della Guardia Reale di Sua Maestà Re Luigi XVI…" – sibilò Monsieur Vineas Malente, sottotenente di vascello – "Vi consiglio di moderare termini e lingua…"
"Ebbene…resta sempre una donna!" – sputò il nostromo acido.
Chiosa ovvia ma esemplare…
Victor Girodel alzò gli occhi al cielo.
Oscar François de Jarjayes li puntò al capitano che pareva il meno stupido di tutti…
Lua Pietra Incandescente afferrò la mano di Victor, stringendola forte.
"Monsieur Jonas…".
Un'altra voce alle spalle del gruppetto d'esagitati…
"Madame…" – il nostromo si tolse il cappellaccio dalla testa in un istante – "Madame Lemonde…".
"Spero di non esser io la pietra dello scandalo?!" – l'eloquio basso e suadente – "Era da tempo che non udivo un tale guerreggiare verbale, forse in mio nome, dunque non saprei se esserne più atterrita o lusingata!".
"Madame…" – riprese orgoglioso Monsieur Lemonde porgendo la mano alla moglie che appoggiò il palmo con grazia pari a quella d'una farfalla che pare scegliere un fiore ma poi no, cambia improvvisamente idea.
Una donna sicura di sé evidentemente, accondiscendente al ruolo di moglie seppure la femminilità era messa al servigio della caparbietà.
Una donna che sarebbe stata un passo dietro al marito ma pareva proprio che quel passo indietro fosse soltanto lei a deciderlo e guai se qualcun altro gliel'avesse imposto!
"Signori…vi presento la mia splendida consorte…" – abbozzò Monsieur Lemonde, la voce ferma seppure sensualmente rivolta alla moglie – "Madame Aleksandra Roma Lemonde. A quanto pare madame…ebbene potrebbe esser voi una delle tre pietre dello scandalo!".
"Monsieur…" – prese a sudare il nostromo – "No, non intendevo…".
"Oh, allora…" – pareva che Monsieur Lemonde si stesse divertendo parecchio – "In ogni caso una delle gentili dame che ci accompagneranno nella nostra traversata…".
Monsieur Lemonde baciò la mano della moglie che sorrise lieve portando poi lo sguardo al povero nostromo, Monsieur Jonas ch'era affascinato e ammutolito al tempo stesso dall'incedere dei protagonisti sulla scena.
Un passo…
Oscar François de Jarjayes, più alta in grado tra gli ufficiali dell'esercito in quel momento, fece un passo, chinando d'un pollice la testa.
"Vi porgo i miei saluti madame…".
Nessun inchino, nessuna riverenza.
Madame Roma Lemonde scostò la mano dall'appoggio del marito allungando il braccio verso l'ospite.
Il baciamano scorse lieve, le labbra s'accostarono al dorso della mano senza sfiorarlo.
"Lieta di conoscervi…".
Lo sguardo scorse all'ufficiale, ai modi elegantemente sobri, intensamente suadenti, alla fulgida e oscura grazia d'una donna educata alla rigida etichetta, imbrigliata entro i severi gesti d'un uomo, capace della raffinata e sincera eleganza del rigore militare.
Lo sguardo si strinse a colei che aveva di fronte.
Il cuore rallentò, seppure nessuno dei presenti se ne avvide.
Il cuore piombò di colpo all'indietro, al passato, e il battito si ritrovò risucchiato lì, nella mano appena giunta al respiro dell'ospite, e poi sospinto nuovamente in avanti, come se il passato scorresse lì, avanti a sé, nel tocco gentile e raffinato della donna che aveva di fronte.
Lua si limitò a un inchino più intenso ma assolutamente sobrio.
Che anche Madame Lemonde ricambiò con un cenno del capo.
"Mohawk…" – disse piano, che la giovane sgranò lo sguardo – "Ne avete i tratti…siete per caso giunta con Monsieur Benjamin Franklin…qualche anno fa?".
Annuì Lua…
"E avrete nostalgia di casa immagino?".
Fulminea eruppe la domanda, l'appiglio a piegare la riottosa rimostranza del nostromo che a bordo donne non ne voleva avere. Era fatto così Monsieur Jonas.
Ma se una di quelle aveva nostalgia di casa e l'altra aveva tutta l'aria d'esser capace di comandare un esercito…
L'uomo prese a stropicciare la berretta di lana tra le mani, poi con un gesto di stizza aprì il povero cencio di stoffa corroso dalla salsedine, calcandoselo in testa.
Un inchino alle…
Tre donne!
E a grandi passi, sbuffando e imprecando in chissà quale misteriosa lingua di mare, il nostromo abbandonò la scena, ma senza ammettere che le sue obiezioni ne fossero uscite sconfitte.
Il teatrino aveva avuto pregio d'interrompere il flusso nefasto dei pensieri.
Solo per qualche istante.
Fredda…
Oscar François de Jarjayes porse la mano a Victor Girodel, consegnando il mazzo di chiavi.
Venti ferri grandi e venti più piccoli.
L'altro fece il saluto militare…
Non avrebbero viaggiato assieme.
Poco male…
Il diamante sarebbe stato al sicuro, nel suo scrigno, assieme alla metà dei sedici milioni di livres…
Oscar osservò il sottufficiale salire sulla passerella della Destin.
L'uomo era seguito dalla giovane pellerossa. S'era deciso così.
Lo spazio a bordo avrebbe consentito l'alloggio di due donne al massimo.
Tre donne su di un'unica nave – a dispetto del fatto che avrebbero potuto dividere spazi e beni di necessità - sarebbero state davvero troppe.
Dunque la scelta era stata inevitabile.
Persino lei convenne che il nostromo non aveva tutti i torti. E comunque, osservando la giovane Lua, le parve che l'impassibile tensione che aveva innervato lo sguardo e i muscoli fino al momento della partenza, nel dubbio di ritrovarsi lontana da Victor Girodel, si fosse dunque dissolta.
Era evidente che la giovane provasse simpatia verso il Tenente Victor Girodel.
Né l'uomo era insensibile al fascino della giovane pellerossa.
Dunque, nell'atto della partenza, fu come se si fossero condensate a sublimarsi le tensioni più fonde dell'animo umano, messe alla prova dal distacco o eventualmente sollevate dalla fine dell'attesa.
Lo sguardo corse al molo affollato di donne e uomini a sventolare cappelli e fiori, agitare braccia e fazzoletti.
Come allora…
S'immaginò dunque, non lì, non sul ponte dell'Aiace che salpava per l'America, ma proprio su quel molo, affollato, ormai quasi tre anni prima.
Il tripudio di lacrime e frasi beneaugurali…
E lei…
Ci stanno osservando…dunque…non vuoi augurarmi buona fortuna? In fondo sei venuta sin qui…mi hai trovato…
No!
No? Sei crudele!
Pensala come ti pare! Non ti augurerò buona fortuna! Disapprovo ciò che stai facendo e soprattutto i motivi per cui lo fai! Sarò anche crudele ma non sono un'ipocrita! Non posso augurare buona fortuna a chi sta compiendo una pazzia! Posso solo tentare di dissuaderlo…ma se non ci riesco…la responsabilità di ciò che compi…è solo tua!
Va bene! Sarai soddisfatta adesso!
Di cosa?
Hai espresso il tuo punto di vista…ma…tuo padre mi ha dato la sua benedizione…
Io non sono come mio padre! Lui ed il suo smisurato senso dell'onore…
Lui ha il suo onore…tu, il tuo orgoglio! Una figlia degna di suo padre! Sei tale e quale a lui! Anche tu e il tuo dannatissimo orgoglio avete eretto un muro…dunque…attraversalo…ed augurami buona fortuna!
No! Dimmi chi è quella donna?
No…te l'ho già detto! E' una persona onesta…pura…
André…se tieni più alla sua purezza che al tuo amore per lei…allora forse non ne sei così innamorato!
E tu…tu che ne sai dell'amore!? Quali strade percorre? Quali strade ci costringe a percorrere? Augurami buona fortuna!
No!
Sei testarda!
Un guizzo…
La mano corse alle labbra…
Come se su di esse, ancestrale e beffardo, ci fosse ancora il diabolico bacio, unico e breve, impresso a rammentarle la sua stupidità.
Le labbra sfiorate e poi catturate…
Liberamente baciate…
Dolcemente chiuse e poi di colpo lambite, aspirate piano, morse…
La mente affollata di nostalgica stilla…
Come se ogni parte di sé gridasse e volesse strapparsi di dosso quella dannata uniforme e la sua stessa coscienza per liberarsi e librarsi lontano.
Il bacio…
Il morso velenoso del dannato epilogo.
Non gli hai augurato buona fortuna…
Tu e il tuo dannatissimo orgoglio!
Rimbombava il nome letto sulla lista…
Rimbalzava nella testa il doloroso dialogo…
Idiota e infernale…
Mezzo passo…
Non può essere!
"E' un rimpianto o un rimorso?".
Sussultò…
La voce alle spalle sciolse la rissa di pensieri che cozzavano, capaci di mutare il sangue in acqua, incapace quella di mantenerla in vita, mentre il vento aveva preso a gonfiare le vele e gli occhi per un istante tentarono d'imprimersi il profilo della cittadina e delle alture in lontananza, terra e sassi e alberi e colline, perché il viaggio sarebbe stato lungo ed a sua memoria Oscar non rammentava d'averne mai affrontato uno simile.
La mente aveva sempre poggiato i piedi sulla solida terra mai sull'evanescente e fondo oceano.
Si, forse un tempo suo padre l'aveva portata per mare.
Un tempo…
Era molto piccola e non rammentava quasi nulla.
"Madame Lemonde…".
"Aleksandra…Aleksandra Roma…come preferite…anche solo Roma andrà bene…mi piacerebbe chiamarvi Oscar. Comprendo che non ci conosciamo e che la mia richiesta potrebbe suonare azzardata ma il viaggio sarà piuttosto lungo. Ne ho affrontati tanti e so che una buona compagnia senza gli orpelli di vuoti appellativi può essere d'aiuto…".
Un respiro fondo…
Il vento scompigliava i pensieri, nascondendo i volti delle due donne.
Grano chiaro di contro a terra senese ghiacciata di brina.
Madame Aleksandra Roma Lemonde aveva un portamento fiero, sicuramente indotto dalla vita di mare che aveva affrontato per tanti anni.
Sulle navi s'impara a camminare eretti, per tenere sempre sotto controllo l'equilibrio insidiosamente minato da un'onda anomala, da una folata di vento improvvisa. La vista deve correre lontano, non può permettersi di stare incollata a terra, mentre il corpo deve sapere d'istinto dove potrebbe celarsi un ostacolo, sapientemente piazzato lì, mai altrove, mai fuori posto. A stare troppo curvi si rischia di finire a gambe all'aria o picchiare il sedere a terra.
I capelli erano lasciati sciolti, morbidamente adagiati sulle spalle, il viso appena intaccato da solchi di viaggi in terre lontane, e occhi malva che spiccavano insidiosi, forse per via ch'erano abituati a scovare subito ciò ch'era di primario interesse, da osservare e scoprire, nello spazio d'un dialogo veloce, avulso da commenti o salamelecchi, avaro di screzi galanti o civettuoli, com'era invece solito accadere a quelle dame che frequentavano annoiate regge e altrettanti noiosi salotti.
Un respiro fondo…
"Né l'uno né l'altro…" – sussurrò piano Oscar – "O forse entrambi. In un gesto vi può essere inedia e azione al tempo stesso…".
Sorrise l'altra…
"Si può subire e agire. Di certo in entrambi i casi si è comunque toccati nel fondo della coscienza, che si compia un passo e si abbia rimorso d'averlo fatto, rimpiangendo il silenzio, o che si taccia e si soffra, maledicendo parole mai dette".
Madame Roma allungò la destra per far strada.
L'altra si accodò, lasciando il passo alla dama ch'era pur sempre la moglie del capitano.
La cabina non era eccessivamente grande.
"Mi avevano avvertito che avrei avuto un ospite, il che mi è sembrato strano. Non fraintendetemi. Con me ha sempre viaggiato mio marito, altri uomini no! Così ho immaginato e ho fatto portare un separé…sarà questa tenda a regalarvi un poco di solitudine. Mi pare il minimo, immagino non siate abituata ad avere troppa gente attorno!?".
Avrebbe voluto rispondere sì…
Oscar non s'era mai circondata d'eccessiva folla…
Eppure, il senso di solitudine incombeva, lei ch'era sempre stata unica e solitaria…
André era stato sempre un passo dietro a lei, silenzioso, quasi invisibile.
Solo che ora André non c'era e lei…
No, non un passo ma mezzo passo...
Oscar ammise che lo spazio ch'era sempre scorso tra lei e André equivaleva solo a mezzo passo, ma lei non aveva mai avuto necessità di misurarlo, non aveva mai percepito né incombenza né distacco.
Mezzo passo d'invisibile potenza…
"Grazie…" – laconico e secco.
"Lì c'è una toilette…una brocca…alcuni appendiabiti…teli per asciugarsi e…sì…" – incespicò un istante Madame Roma – "Il necessario per le vostre necessità…perdonate il gioco di parole…il tempo è stato un poco inclemente nei miei confronti ed ha già compiuto il suo corso…".
Un altro grazie sarebbe risultato eccessivo. Bastò un cenno del capo.
Lo sguardo prese a spaziare per la piccola cabina.
Due giacigli, uno dietro al separé e l'altro appoggiato dalla parte opposta, composti da due assi ribaltabili collegate da cerniere in metallo che, una volta chiuse si agganciavano alla parete, così da creare un ambiente un poco più ampio per il giorno ma riservato ed adattato al riposo per la notte.
La scheggia luminosa e chiara spuntò insolente da sotto un panno greve.
Madame Roma intuì la curiosità.
"Monsieur Jonas non aveva tutti i torti quando contestava la presenza di donne a bordo…questi oggetti potrebbero in verità essere del tutto superflui, se non fosse che al mondo vi sono per fortuna anche uomini che tengono al proprio aspetto al pari delle più frivole e civettuole cortigiane! Per me è sempre stata fatta un'eccezione. In realtà il mio necessario, dopo anni di viaggi in mare, si è drasticamente ridotto a pochi effetti, giusto l'indispensabile per non apparire una vecchia e rugosa strega di mare che vive piangendo e rimpiangendo ogni giorno la propria bellezza ormai sfiorita, rischiando di rendersi ridicola agli occhi di chi ancora giovane è! Voi lo siete, dunque, non fate caso alle mie stranezze…".
La donna allungò la mano e prese la mano dell'altra. Un gesto incredibile, tanto fulmineo quanto morbido.
Ecco la prima stranezza, mai nessuno s'era permesso di prenderla per mano, men che meno quell'estranea conosciuta da pochi istanti che pure dimostrava una sensuale dimestichezza con il genere umano, uomo o donna che fosse stato.
Per un istante Oscar pensò di sottrarsi, staccarsi ma poi…
La mano la condusse di fronte alla scheggia limpida. La padrona di casa estrasse una piccola seggiola da sotto l'altrettanto contenuta toilette e poi invitò l'ospite a sedersi.
Uno scampanio…
La nave salpava…
Il legno leggero prendeva distanza dalla solida terra…
Lo strappo nell'esistenza monotona e apatica…
Oscar si sentì invasa dalla mancanza d'equilibrio, uno strattone, il pavimento sotto i piedi quasi mancò. S'attaccò al panno che copriva il vetro e si sedette. Quello cadde e lei si ritrovò il viso, il proprio, riflesso in un enorme specchio, incastonato nella parete.
Lucido e imponente pareva raddoppiare l'esiguo respiro della stanzetta, quindi aveva sia la funzione di riportare alla padrona di casa la propria effige, sia d'ingentilire almeno un poco i tratti rozzi d'una cabina d'una nave da guerra.
"Ecco…questo è il mio regno…" – disse piano Madame Lemonde, come a lasciare che l'altra restasse catturata da se stessa riflessa entro la lucida superficie.
L'immagine di una giovane senza un'espressione definita, un po' corrucciata, un po' intimorita, un po' persa sorse dalla superficie lucida e brillante.
L'arruffo dei capelli umidi di brezza di mare e scompigliati forse dal cattivo sonno regalavano un'espressione ancora più buffa, un po' sospesa, un poco scapigliata, come se da qualche parte una donna ci fosse, lì, riflessa, ma così ben nascosta che solo un gentiluomo esperto sarebbe stato capace di scovarla.
O chissà quale altra lusinga…
O chissà quale altro accidente, che non necessariamente avrebbe dovuto gravitare nelle consuete abitudini delle donne.
Madame Roma s'accomodò in una seggioletta recuperata con delicata grazia. Si ritrovò anche lei riflessa nello stesso specchio.
I visi appaiati…
Quello giovane, liscio, perfettamente ovale e non spigoloso, ospitava grandi occhi azzurri un poco smarriti, come mare che s'accorge dell'arrivo della tempesta e prende ad agitarsi, gonfiarsi, sbuffare d'impazienza eppure vorrebbe godere d'un poco di calma, solo per poco, che non è nella natura del mare restare impassibilmente liscio per troppo tempo.
E poi la bocca dischiusa, non serrata, come anelasse a parlare, rivelarsi, contestare le maniere invadenti, che però avevano dettato un passo sconosciuto e svelato una piega inaspettata del volto.
L'altro viso era un poco più segnato dal tempo e dalla passione, gli zigomi accentuati dal decadimento del tessuto. Ma non v'era traccia di trucco, nemmeno un neo finto, nulla di nulla, così che lo sguardo risaltava ebbro e fiero di sé, colmo della storia impressa nelle mani un poco rugose e nelle dita delicatamente affusolate.
La mano destra di Madame Roma s'allungò a raccogliere delicatamente il fascio di grano.
Nessuna richiesta…
Di nuovo un gesto impensabile…
Un istante…
Per quanto il gesto fosse stato lieve, Oscar François de Jarjayes avrebbe dovuto reagire e distogliersi ma l'immagine di sé, sullo specchio, pareva attirare quasi come la fiamma d'una candela colpisce una povera falena o una disgraziata lucciola.
L'ossessione della luce rischiava di bruciarle…
Lo spazio esiguo, il sonno mancato, la partenza, il distacco…
Il volto di André…
Il proprio volto, ch'emergeva adesso, le pupille a catturare l'esigua luce dell'esiguo spazio…
Solo un piccolo oblò consentiva ad aria e chiarore di bucare il buio.
Lei era lì, il riflesso recava ora una giovane donna, l'ovale del volto libero dai capelli, attorcigliati morbidamente e sospinti all'insù.
"Allora?!" – chiese Madame Roma – "Spesso basta cogliere lo stesso gesto semplicemente da un'angolazione diversa. Il vostro baciamano è stato encomiabile, non avete sfiorato il dorso della mia mano, ho percepito solo il respiro della vostra bocca. Come se voi avreste voluto essere ciò che non siete, a dispetto della vostra indole, e questo credetemi è molto più femminile e sensuale d'un qualsiasi viscido contatto…".
"Che state dicendo?".
"Ho attraversato molti paesi nella mia lunga vita e ho assistito a tante esibizioni di femminilità. Sontuose, luminose, gracili, grasse, grondanti di pietre preziose e fiori di loto, stucchevoli ed evanescenti! Chiacchiere infinite su cappelli e piumaggi…silenzi imperscrutabili…occhi bassi e danze sensuali. Non mi era mai accaduto di scorgerla dentro un'uniforme. Dunque, dal quel che vedete ora nello specchio, alla domanda di prima che cosa rispondereste?".
E' un rimpianto o un rimorso?
Il bacio…
Il corpo…
Il...
Respiro…
La mente tornò al respiro. Quello che aveva ascoltato durante la notte, quando per qualche istante lei si era cullata nel respiro di André.
Quello che aveva tentato di scacciare dalla mente, ormai da un tempo infinito, che però non era mai trascorso.
C'era riuscita ma evidentemente ma non del tutto.
Oscar non rispose.
Il controllo riprese il sopravvento.
L'educazione impartita – rammentò - non prevedeva d'esser troppo concentrati su se stessi, non nella misura in cui ciò si sarebbe tradotto nel lasciare campo libero a un avversario.
Accadeva quasi sempre, per via di qualche accidente fisico, mai in ragione d'una digressione mentale.
Madame Roma non era un nemico…
Un'avversaria sì…
"Madame…" - disse Oscar scostando la testa così che anche i capelli si liberarono dalla presa, ricadendo morbidamente sulle spalle – "Temo di dover declinare l'onore della vostra compagnia. Ho molte incombenze. Mi sono stati recapitati diversi dispacci che dovrò leggere prima di raggiungere Ponta Delgada. Sarà l'ultimo avamposto prima di affrontare il resto viaggio e non potrò ritrovarmi impreparata o inconsapevole di ciò che ci attende…".
L'altra non rispose continuando a fissare l'ospite direttamente nello specchio.
Sorrise, poi lo sguardo, sempre sulla superficie liscia del vetro, si scostò a fissare l'immagine, riflessa anch'essa, di oggetti posti alle spalle di entrambe, conducendo l'ospite a fare altrettanto.
Oscar li vide riflessi e a quel punto si voltò, impensierita dal fatto di non averli scorti subito nella piccola stanzetta.
Si alzò attirata dalla fattezza…
"Che cosa sono?" – chiese allungando la mano all'asta lunga almeno cinquanta pollici…
"Shinai…spade di bambù…sostituiscono armi affilatissime…".
"Spade…di bambù?".
"Sono necessarie a praticare una sorta di combattimento. Anziché lame d'acciaio si utilizzano queste. Sono robuste e all'occorrenza potrebbero far male tanto quanto l'acciaio ma non provocano ferite con perdita di sangue. Su una nave sarebbe pericoloso ritrovarsi con un vaso reciso. Ma per mantenere i sensi all'erta, così come lo spirito, sono più che sufficienti".
"Ma voi…".
"Ve l'ho detto monsieur…questo è il mio regno! Non disdegno di praticare un poco di esercizio di tanto in tanto. Ovviamente è stato mio marito ad avere appreso le regole e i colpi e a donarli a me. Sarebbe stato disdicevole per una donna. Lui mi ha fatto da insegnante. Dopo averlo sposato, ho intrapreso molti viaggi con lui. Non è consueto per una donna ma la mia vita mi ha condotta a questa scelta. Ed è abbastanza sorprendente che io sia riuscita a mia volta a imparare a usare queste armi. Sono una donna e certe convenzioni sulla lentezza delle donne ad apprendere e poi esercitare certe arti sono radicate un po' ovunque. Sono stata fortunata…".
Le mani dell'altra sfiorarono le listerelle di bambù. La superficie era liscia, la larghezza delle quattro stecche degradava in un taglio abbastanza affilato. Per quanto non fosse acciaio, anche quelle lame tese avrebbero potuto ferite.
"Vi lascio ai vostri dispacci…se vorrete questa sera potrete cenare con noi…mentre domani mattina, sempre se vi farà piacere, potremo andare sul ponte a scambiare qualche colpo…".
Severa giunse la risposta…
"Declino l'invito a cena madame…accetto volentieri la vostra proposta per domattina…".
Madame Roma superò l'ospite, la mano appoggiata alla maniglietta della porta: "Non avevo dubbi…vedrò di far piano questa notte…per non svegliarvi…".
L'ospite rimase sola con i suoi pensieri e le sue congetture.
Dunque fuori dall'ordinario scenario di Versailles esistevano donne diverse dalle solite dame incipriate, donne che pure non avevano necessità d'agghindarsi con mostrine e stemmi e cordelle per dimostrare d'esser donne prestate ad altro genere di vita.
Svariati dispacci attendevano sul tavolo.
Il tempo d'abbandonare l'uniforme da viaggio, gli stivali gettati a terra, i plichi aperti…
Si massaggiò le tempie…
La luce era poca, le grafie spesso incerte, forse i testi erano stati trascritti più volte per giungere alle varie autorità di comando a Parigi, Versailles, Brest, Lione.
I pensieri dunque ripresero a elaborare la visione d'insieme e di conseguenza la strategia.
I vascelli con il denaro a bordo dovevano sbarcare in America, evitando d'imbattersi nelle fregate inglesi, ossia senza finire esattamente in bocca all'avversario.
Il viaggio sarebbe durato quasi tre mesi.
A Ponta Delgada ci sarebbero stati sicuramente altri dispacci più recenti ma di certo sarebbe stato necessario giocare d'anticipo, comprendere come si sarebbe evoluto lo scenario, insinuarsi nelle pieghe di quella dannata guerra, nascondersi e scomparire.
I fronti delle battaglie erano tanti ma sostanzialmente due, come del resto era sempre stato, da che le terre erano state conquistate, ormai più di un secolo e mezzo prima.
Luoghi sconosciuti divenuti terra aggredita da chi fuggiva dalle persecuzioni.
Colonie via via fondate a immagine e somiglianza delle varie anime religiose scacciate dall'arcaica Europa, più o meno intransigenti, più o meno disposte ad accettare chi era diverso, proprio come loro non lo erano stati nella madre patria.
I calvinisti sbarcati al nord, quasi tutti inglesi, mentre i francesi avevano preferito il fiume San Lorenzo, la via del commercio anziché della conquista con le popolazioni indigene.
La Francia voleva le pellicce…
Gl'indiani fucili ma ancora di più…
Esser lasciati in pace!
New York l'avevano fondata gli olandesi…
Al sud…
Cinque colonie dedite alla coltivazione di tabacco e cotone…
Null'altro…
Il Generale George Washinton sta tenendo sotto assedio New York.
Si tratta d'un diversivo.
L'intento è impegnare metà dell'esercito inglese, al comando dell'ammiraglio Graves, per difendere la città mentre le truppe francesi e americane si spostano a sud.
L'ammiraglio de Grasse è già arrivato in Martinica, ha preso il comando di Tobago.
All'arrivo sarà necessario proteggere il denaro, una parte per finanziare le truppe, una parte per sostenere gli avamposti.
Trovare il Conte di Fersen…
Comprendere s'era vivo, se stava bene.
Conferire con lui sul destino di Sua Maestà…
E…
§§§
Il sonno fu parimenti agitato ma alla fine ebbe il sopravvento.
Nel buio, udì pochi impercettibili rumori, il frusciare d'una stoffa, il cigolare della seggioletta.
Le consuetudini d'una donna che attende alla propria persona, anche se non è in procinto di partecipare ad alcun incontro galante.
Nel dormiveglia Oscar rivide il proprio volto allo specchio, immaginandosi anche lei intenta a scrutare le sopracciglia, arcuate e sottili ma folte, le ciglia brune a discapito del chiarore intransigente dello sguardo.
Lì, nello spazio piccolo, obbligata a farlo, aveva visto se stessa e come d'incanto quell'immagine s'era ficcata nella testa, come lei avesse visto un'altra persona e quella, beffarda e vendicativa, era venuta a tessere i suoi orditi persino nei sogni.
Lo sguardo s'aprì di colpo, era mattino.
Il vascello avanzava piano ma in maniera costante, senza ricevere eccessiva foga dall'imponenza delle onde, dalle correnti umide e forti che solcavano il pelo del mare.
La stanza era vuota, di nuovo. Ai piedi del giaciglio, una brocca d'acqua fresca, un telo, una spazzola, un paio di pantaloni un poco consunti, ma di foggia adatta ad un qualsiasi allenamento di scherma. Di contro la casacca era differente, di tessuto spesso e ruvido, chiara e pulita, senza alcun gancio o alamaro. S'immaginò che indossandola avrebbe dovuto semplicemente sovrapporre i lembi frontali e racchiuderli entro una rigida cintura di stoffa scura.
Si sentì alquanto ridicola così conciata, perché di nuovo il dannato specchio incombeva e stava lì a rammentare beffardo l'ennesimo mutamento d'immagine.
Ritta, si osservò, le braccia abbandonate ai fianchi.
Mosse un passo, a piedi nudi…
I vestiti erano comodi, le pareva che gambe e braccia traessero dalla foggia una sorta di forza misteriosa, capace di lasciar liberi i movimenti, quasi condurli nella direzione imposta dal regolamento del combattimento.
Sarebbe bastato ascoltare il da farsi.
Uscì fuori, poche persone andavano e venivano sul ponte principale, come se quell'ora del giorno fosse di personale dominio d'una sola persona.
La vide, Madame Roma, in piedi, verso il fondo del ponte, lo sguardo fisso all'orizzonte, puntato ai vascelli gemelli che viaggiavano nella stessa corrente alla distanza convenuta.
"Benvenuta…vedo che avete accettato…" – esordì voltandosi.
L'abbigliamento era simile, soltanto ancor meno appariscente di quello ch'era stato offerto all'ospite. La camicia pareva ancora più spessa, forse era una giacca, seppure la foggia era identica.
Strani pendagli spuntavano, parevano sferette di lana…
Incomprensibili.
"Perdonate se mi sono permessa di lasciarvi gli abiti che ho smesso di utilizzare da tempo".
"Di nulla…" – un cenno del capo…
Madame Roma attese.
Oscar François de Jarjayes strinse l'impugnatura della spada che le era stata assegnata. Una sola mano…
Negò Madame Roma, poche parole a condurre il gioco che l'altra prese ad intuire da sé.
La spada era leggera, una sola mano non sarebbe stata sufficiente a manovrarla. L'elsa era composta da una specie di manico, fasciato da un nastro di cuoio, abbastanza lungo da consentire dunque ad entrambe le mani d'appaiarsi per stringerlo. Non aveva importanza come…
"Uccidere la spada…" – mormorò Madame Roma, colpendo con forza lo shinai avversario.
L'impatto si riverberò sul legno che gemette e si piegò, che l'avversaria si ritrovò a mani vuote mentre la spada saltava via come un fuscello sbatacchiato dal vento.
"Non temete…" – sussurrò Roma – "E' assolutamente normale. Siete abituata alla scherma tradizionale immagino, ma qui non ci si scontra per ferire ma per mettere in difficoltà l'avversario. Gli shinai sono leggeri, per questo i colpi possono essere rapidi e nemmeno troppo potenti!".
In posizione…
Quella che si sarebbe detta una stoccata andò a segno di nuovo. Stavolta ribattuta in antagonismo, così che un altro colpo vibrò a superare la tecnica appena appresa.
"Uccidere la tecnica!" – gridato, più forte.
I colpi si susseguirono, parati a uno a uno, velocemente.
Oscar indietreggiò perché l'altra avanzava.
Il pavimento arcuato del vascello, l'ignoranza degli spazi esigui, portarono l'allieva a sbattere contro sartie arrotolate. Inciampò e cadde quasi, ritrovandosi la spada avversaria a pochi pollici dal viso.
Il respiro contratto…
Scorse l'espressione compiaciuta di Madame Roma.
Ancora nessuna parola, dunque l'allieva avrebbe dovuto comprendere da sé come uscire dal guaio.
Che iniziò a stancarsi.
Ovviamente comprendeva che l'avversaria stava semplicemente assestando colpi utili alla comprensione della tecnica ma il carattere temprato e per nulla avvezzo a esser messo all'angolo mordeva il freno, così che stizziva il sistema di insegnare e al tempo stesso minare, nell'istante successivo, le poche certezze apprese.
Oscar s'impose dunque di reagire e replicare ai colpi e spingersi contro l'avversaria.
Che sì, Madame Aleksandra Roma Lemonde era un'avversaria in quel momento.
Gli schiocchi si susseguirono di nuovo, veloci e ritmati.
I colpi non erano difformi dalla scherma ordinaria, seppur forse più simili a certi combattimenti portati con spadini leggeri maneggiati con disinvoltura.
Si doveva tentar di colpire sempre lì, ai fianchi, al torace, alla testa, al collo, punti deboli che non facevano eccezione, anche se mutava la foggia dell'arma.
Ciò che mutava di certo era l'indole dell'avversario.
Oscar François de Jarjayes vide dunque l'avversaria muoversi con velocità, seppure, a guardarsi attorno, le pareva che fossero sempre nello stesso punto, ossia ferme.
I colpi erano lì, uno addosso all'altro, uno di seguito all'altro.
Non sarebbe bastato pararli…
Un istante…
Il legno gemette di nuovo, sgusciò dal rimbalzo contro la spada avversaria.
La lunghezza tesa e spessa colpì il braccio, il destro.
Forte…
Il colpo deformò l'asta che si piegò, quasi ad abbracciare il povero arto.
Il colpo stavolta si riverberò contro i muscoli che, contratti e offesi, non ebbero forza di tenere in mano la spada.
Cadde il bambù, un suono sordo, un poco sgraziato, legno contro pavimento di legno.
Oscar si prese il braccio, strinse il muscolo quasi a contenere e strapparsi di dosso il colpo e il dolore indotto dal primo, come fosse stata morsa da un serpente.
S'irradiava quello e pungeva…
"Uccidere lo spirito!" – affondò Madame Roma – "Perdonate!".
La donna fece compiere alla spada un paio di rotazioni in aria, come avesse voluto scaricare l'impeto che ancora gravava sul fusto legnoso. Si ritrasse indietro ricomponendosi nella posa iniziale.
"Vi ho fatto male?" – chiese impassibile.
Deglutì Oscar, negò: "Riprendiamo…" – strozzato, mentre s'allungava a recuperare l'arma, il vento a scompigliare i capelli, il braccio ancora offeso, lo sciame scomposto delle onde che sbattevano contro lo scafo, le grida di marinai che avevano avvistato un branco di delfini intenti a scortare la nave, regalando tuffi veloci…
"Io mi riterrei sodisfatta…" – ammise Madame Roma rimettendosi in guardia, dando a intendere che il combattimento avrebbe anche potuto concludersi così.
"Io no!" – soffiò l'altra…
Che Roma sorrise: "Da me o da voi stessa?!" – chiese mentre riprendeva a muoversi adesso, passi impercettibili che però inducevano l'avversaria a distrarsi per seguirla.
Dunque respirò piano Oscar François de Jarjayes.
Il dolore, per quanto assurdo che fosse, l'aveva scagliata fuori da se stessa, l'aveva ridotta a svelare all'altra lo stato della propria coscienza.
Spesso il dolore rivela la capacità dell'individuo di non soccombere ai propri limiti.
Non era stata educata a piangersi addosso ma a rialzare la testa.
Non era stata educata a resistere e basta.
Ma a reagire e contrattaccare…
Per rabbia, stizza…
Comprese e vide, a uno a uno, i passi ed intuì dove l'altra sarebbe andata a colpire al termine della sequenza di colpi.
Madame Roma ebbe pregio d'avvicinarsi di nuovo, che questa volta l'intento fu di portare a segno una serie di affondi accompagnati dalla postura, dal peso leggero della spada, finanche da una sorta di sfogo gutturale, una specie di grido basso a rafforzare la forza impressa all'arma.
Oscar comprese che anche la voce dunque aveva pregio di confluire nella tecnica del combattimento, sebbene lei non avrebbe avuto modo di sciogliere la propria indole in altrettanti esibizioni vocali. Non era stata educata così.
Avanzò allora, come aveva visto fare a Madame Roma pochi istinti prima.
I colpi sferzarono l'aria, gli schiocchi veloci riempirono il silenzio apatico del lattiginoso mattino.
No, alla fine, il grido sgorgò, animale e istintivo…
Un colpo, l'ennesimo, portato lì, dov'era stato portato il precedente, secco e quasi senza muovere un filo d'aria.
Lì e non come avrebbe imposto la logica, nella direzione opposta.
Le mani di Madame Roma tentarono di stringere l'impugnatura della propria arma, la voce si spense d'improvviso.
Dopo, immediatamente dopo, si ritrovò l'asta di bambù avversaria alla distanza dal proprio capo a cui era giunta lei stessa nel precedente assalto.
Oscar François de Jarjayes era stremata.
Se non avesse controllato l'arma, il volto di Madame Roma sarebbe stato attinto, il cranio fracassato in mille frammenti di ossa, incapaci di restare attaccati con la forza della sola pelle.
Fiammeggiarono gli occhi violacei della donna, il respiro un po' corto, contro quello livido e ceruleo dell'avversaria…
Oscar François de Jarjayes rimase lì, sul viso di Madame Roma.
Intravide lo sforzo, il passato, le terre esotiche, i tramonti infuocati, le distese d'immensi oceani, i colpi inferti da quel marito che la voleva saggia e suadente e potente come fosse stata un uomo.
Tutto per colpa d'una scelta scellerata…
"Uccidere la spada, uccidere la tecnica …" – sibilò Oscar François de Jarjayes – "Uccidere lo spirito. Ora mi ritengo soddisfatta!".
Le due donne assunsero la posizione iniziale del combattimento.
Madame Roma tacque, il vento aveva preso ad alzarsi e attorno si moltiplicavano i guizzi dei marinai addetti alle sartie che andavano ad organizzare il velame per sfruttare al meglio le correnti.
Si staccarono i due corpi, distanziando il rispettivo rientro nell'unica cabina a loro assegnata.
I segretari al seguito della Guardia Reale erano lì, a poca distanza, stretti ai registri e rapiti dall'insolito spettacolo.
Un cenno del capo e anch'essi si avviarono dietro al Colonnello delle Guardie Reali, per il quotidiano controllo dei forzieri.
L'insostenibile noia di gesti che si sarebbero ripetuti, giorno dopo giorno, fino alla fine di quel lungo viaggio, contro la sorprendente caduta dentro i meandri stretti e imperscrutabili della propria coscienza che, al contrario, rivela sempre angoli nascosti, respiri sorprendenti…
§§§
Era di nuovo sera…
Un'altra sera, l'ennesima…
Lo stesso specchio, lo stesso volto, seppur immerso nella penombra della cabina questa volta, ammantato dell'ombra bruna dell'ora in cui i sensi s'acquietano e accettano di cedere a se stessi.
La giornata era trascorsa relativamente tranquilla. Le segnalazioni scambiate con le navi della flotta erano servite a comprendere che tutto era in ordine.
Non una goccia d'acqua, seppur nell'immensa vastità dell'oceano, sarebbe stata fuori posto.
Nessun imprevisto…
Doleva il braccio a rammentare la sfida perduta, seppur nell'inesperienza della tecnica.
Scoppiava la testa.
Come la sera prima e la sera ancora precedente, aveva stabilito di non mangiare nulla.
La quotidianità aveva, in quei primi giorni di viaggio, imposto alla coscienza di scansare i dannati fantasmi, che però quelli non erano andati poi così lontano.
Nessun banale accidente ordinario può scacciarli a lungo - i fantasmi - perché essi sono parte della coscienza, incisi nelle pieghe lievi degli stessi gesti che si compiono ogni santo giorno.
Ciascuno ha i propri – di fantasmi - che eleva agli altari del personale tornaconto a lasciarsi trascinare da quelli nel fondo della propria inedia.
Ecco, forse i fantasmi sono proprio incisi nella vita stessa, così che se si comprende per davvero e finalmente che è la vita a esserne intrisa, che è la vita stessa ad esserne succube, alla fine dunque non v'è modo alcuno di scansarli, zittirli, metterli da parte, se non mettendo fine alla vita stessa.
Si morse il labbro Oscar François de Jarjayes.
Forse non per mitigare il dolore al braccio ma perché, in quel lembo di sé, v'era lui, e accadeva dunque di cercarlo, come si cerca un volo libero nell'orizzonte o un pensiero relegato nel fondo del cervello.
Un tempo tutto suo.
Un tempo rubato all'incedere inesorabile dei giorni.
S'accorse che Madame Roma era rientrata.
La donna appoggiò un piatto sul piccolo comò. Un tovagliolo di lino copriva il contenuto che odorava di pane e carne secca.
"Perdonate…ma se non mangerete mai nulla…non credo che arriverete alla fine del viaggio…state male?".
"No!".
L'altra non replicò, un respiro fondo, prese a levarsi il pastrano.
"Tra qualche giorno arriveremo a Ponta Delgada…credete che potremo scendere? Non avevo in animo di chiederlo a mio marito, per timore di metterlo a disagio. Caso mai non lo sapesse nemmeno lui".
"Siete saggia. Gli ordini sono stati dati solo a poche persone. Per quanto sia vostro marito a governare la nave, sono gli ufficiali dell'esercito a stabilire come ordinare il trasporto del carico".
"Che argomento noioso! Ve lo dico in franchezza! Non m'interessa! Laddove non ho possibilità d'agire o metter becco, me ne sto alla larga!".
Fece per alzarsi Oscar François de Jarjayes che l'altra invece, con gesto furtivo, si sedette accanto.
Sarebbe stato scortese dunque andarsene, insinuando insofferenza per la vicinanza, che l'ospite era stata educata a non esserlo, anche se mordeva non poter mantenere le distanze da quella donna che pareva estremamente abile ad insinuare discorsi avulsi dalla maggior parte degli argomenti ch'erano sempre stato oggetto delle sue abitudini.
Non comprendeva poi se l'altra era fatta così oppure se s'ingegnava a esserlo per via della sua presenza.
Si era su una nave, il viaggio sarebbe stato lungo così come gli spazi ridotti.
E lei, Oscar François de Jarjayes, non aveva mai diviso la stanza con una donna e dunque non aveva dimestichezza col genere di discorsi ch'erano spesso sulla bocca d'una donna.
L'altra, noncurante, ma si sarebbe detto silenziosamente divertita, prese a scegliere tra una serie di vasetti ch'erano allineati sul fondo d'un cassetto, ordinati e stretti l'un contro l'altro, perch'era evidente che una simile porcellaneria sarebbe di certo andata in frantumi al minimo accenno di tempesta.
"Dunque…avrei necessità del vostro aiuto…" – esordì poi, svitando il coperchio d'uno di quelli annusando il contenuto, aspirando a occhi chiusi l'aroma intenso di menta e canfora.
Oscar non comprendeva…
L'altra scostò il lembo della camicia, aprendone i lacci sul petto. L'indumento scese e gli occhi scorsero a un vistoso livido sull'apice della spalla sinistra.
"Madame…sono…".
Rise l'altra, in maniera compassionevole: "Ebbene…colonnello…siete stata proprio voi…forse non ve ne siete accorta ma siete diventata abile. Se all'inizio ho confidato sulla vostra inesperienza…di certo m'ero immaginata che non foste genere di persona che ama perdere le sfide, ma apprendete in fretta e per quel che mi riguarda lo avete fatto con estrema raffinatezza. Però ecco…si…".
"Sono spiacente…ho compreso che la disciplina che m'avete insegnato non ha lo scopo di infliggere dolore o colpi ma solo di rinforzare la velocità e la concentrazione…".
Madame Roma allungò il vasetto all'altra…
"Ebbene, per rimediare al vostro errore…avrete la compiacenza di passare sul livido questo unguento. Potrei farlo io stesso ma la mobilità delle vostre mani mi sarebbe di gran lunga di giovamento che il povero contorcersi d'una vecchia biscia che altri non sarei io…".
Rise la donna…
Oscar non ebbe coraggio di smentire l'altra. Non ne sarebbe stata capace.
Nessuno le aveva mai chiesto nulla di simile…
"Colonnello…v'imbarazza?" – tagliò Madame Roma – "Potrei chiederlo a mio marito, in effetti non ho una cameriera personale e ho sempre fatto tutto da me…ma…".
Un respiro fondo…
Madame Roma allungò l'indice che scorse ad accarezzare la pelle del collo dell'ospite, lì dove essa prendeva a degradare verso la consistenza più lieve del seno. L'indice forzò e il gesto repentino sconfisse la resistenza della stoffa che scostata di poco lasciò intravedere un'ombra similare sul braccio dell'ufficiale.
Oscar si ritrasse, afferrando la stoffa, impedendole di scivolare ulteriormente.
La presa secca, contro il braccio indusse una smorfia di dolore, perch'era lì che Madame Roma l'aveva colpita il primo giorno di combattimento e quel livido non ne aveva voluto sapere d'appiattirsi e sparire come tutti gli altri che s'era fatta in vita sua.
"Vedete…" – riprese Madame Roma – "Il fatto di starsene rinchiusi qua sotto tutto il tempo e di starsene di fuori conciati come manichini d'una sartoria militare…voi…con la vostra bella uniforme ed io con i miei devoti vestiti di moglie, impedisce che questi lividi ricevano aria e luce e affrettino la loro guarigione. L'ho appreso nei miei viaggi. Più una ferita è esposta all'aria…ovviamente non al sudiciume o all'acqua salata…e più essa ha sfogo per guarire…dunque…se avrete la compiacenza d'aiutarmi…farò lo stesso con voi…".
"Ho capito. V'aiuterò ma se permettete farò da sola…".
"Siete abituata a fare da sola? E' stato così per tutta la vostra vita?" – la rimbeccò l'altra un poco cinica.
"Veramente…".
"Sentite…ho compreso che siete una persona di poche parole…non voglio dunque annoiarvi e risultarvi molesta con le mie chiacchiere…".
Il vasetto stazionava a mezz'aria…
L'odore intenso della menta e della canfora…
La consistenza giallastra e un poco unta…
Le dita sfiorarono la superficie morbida di quella specie di crema e poi presero a massaggiare la spalla. In senso rotatorio come suggerì Madame Roma, così che l'unguento avrebbe aggredito il livido in quella ch'era la sua formazione circolare.
Nel silenzio, Oscar ascoltò l'incedere delle dita sulla pelle dell'altra che aveva scostato i capelli. Osservò la schiena magra, le vertebre e le costole. La carnagione non era bianca come quella di dame che mai s'erano esposte alla luce del sole ma leggermente ambrata, screziata di nei veri e macchie senape.
In silenzio…
Di nuovo in silenzio…
Oscar rimase seduta voltandosi così da consentire all'altra di fare altrettanto mentre la camicia era scivolata un po' giù, lasciando intravedere le spalle, maggiormente la sinistra.
Il massaggio fu un poco più intenso, in senso verticale e poi rotatorio mentre le narici si colmavano della sensazione fresca dell'unguento e la mente per qualche istante si lasciò cullare dal senso di vuoto e di caduta indotti dai sentori.
Madame Roma, come promesso non aprì bocca durante il piccolo massaggio.
Richiuse il barattolo, l'altra si strinse la camicia addosso.
"Avete un bel corpo e una bella pelle…" – disse piano Roma – "Potete pure prendermi per pazza ma confesso d'invidiarvi…".
Oscar rimase impassibile, lo sguardo ficcato all'oblò scuro dove occhieggiava forse una lanterna geometricamente disposta sullo stesso punto di fuga.
"Siete giovane e siete abile. Tanto abile con la spada e con la capacità di comandare un esercito…quando inabile con le parole e con il cuore…".
Che fu costretta a voltarsi questa volta, punta sul vivo.
Oscar François de Jarjayes aveva già convenuto che sarebbe dovuta restar lì, nella cabina, che lo spazio al di fuori era comunque esiguo.
E poi la cabina era distante esattamente due stanze da quella in cui erano stati riposti i forzieri.
Non avrebbe mai potuto mettere altro spazio tra sé e la metà dei sedici milioni di livres.
"Madame…s'era detto…".
"Toglietemi una curiosità…parliamo di Monsieur Girodel…" – s'affrettò ad avanzare l'altra – "E' davvero un bell'uomo, affascinante e affabile...e ho constatato che pare abbia un debole per voi…".
Silenzio, come di stupore o forse di convenienza.
Se n'era accorta?
"E' un buon ufficiale…" – mesto…
"Certo, non lo nego…ma non mi riferivo alla sua capacità di comando" – affondò l'altra – "E poi…se volete proprio saperlo…un uomo che non sa tenere testa una donna…mi pare che a capacità di comando non sarà poi chissà che portento! In realtà pare che siano le donne a comandare per davvero sapete?! Anche quando danno a intendere di lasciar scegliere all'uomo…in realtà sono loro che l'han stabilito per tempo!".
"Madame…credo che il discorso sia inappropriato…".
L'altra si alzò, andando a rassettare la stanza, raccogliendo il pastrano, per sistemarlo sul manichino imbullonato alla parete.
"Ammetto d'averlo scorto che per pochi istanti…" – proseguì imperterrita, come non avesse udito ritrosia da parte dell'ospite – "Il suo abbigliamento era assolutamente impeccabile…un vero gentiluomo! Neppure esageratamente ricercato o impreziosito da ricami o merletti oltre il dovuto. Sapete…la moda impone questo ai nostri gentiluomini…eppure…ho come l'impressione che in lui ogni coscienza di sé abbia abdicato…".
"Che…" – un poco stranita – "Che diavolo intendete?".
Il dialogo vagava, come vento che solca in mare entro direzioni certe ma imperscrutabili.
"Ma si…voi lo conoscerete meglio di me! E' come se fosse in cerca di qualcuno…" – le mani circolarono un pochino in aria come a voler catturare l'essenza di qualcuno – "Nobile o plebeo…secondo me non lo sa nemmeno lui…certo è che quel suo modo di fare…distaccato quanto basta, apprensivo quanto basta, eccentrico ma non troppo, affascinate ma senza eccessi…insomma…ci sarebbe di che esserne fieri! Un uomo colto ma che non esibisce la sua cultura! Qualsiasi donna ambirebbe ad avere al proprio fianco una simile bellezza…".
Oscar sgranò gli occhi a raffigurarsi il senso delle parole…
"D'animo!" – precisò Roma avvicinandosi al viso dell'altra – "Che avete inteso!? Il terrore che ho letto nello sguardo della giovane indigena quando ancora non era nota la suddivisione sulle navi di noi disgraziate Eva…aveva una tale paura che io e lei saremmo finite assieme, divise da lui, o…peggio ancora voi e lei…".
"Lua…".
"Mia cara…ve l'ho detto…siete abile con la spada, siete abile ad apprendere ogni tecnica per maneggiare armi…ma davvero…non ho mai conosciuto una persona più ingenua di voi…non vi accorgete di chi avete intorno…".
Un'onda…
Lo scafo si ritrovò come sospeso in aria per poi ricadere giù, tranciando di netto la forza che legava a sé cose e persone, che a loro volta furono costrette a tenersi agli oggetti inchiodati alle pareti.
Accidenti…
Il moto e le forze della natura non le erano mai andate giù…
A comprenderle era sempre stato più bravo André!
Non ti sei mai accorta di nulla…
André…
"Colonnello o dovrei appellarvi mademoiselle…il nostro tempo non è eterno…" – concluse Madame Roma, aggiustandosi una spilletta che raccoglieva una ciocca di capelli bianchi – "E quello né voi né io saremo mai in grado di governarlo. Spesso ci è concessa una sola possibilità e se perdiamo quella…"
Non lo hai mai compreso…
Non avrai altre possibilità…
"Questa sera non verrò a disturbarvi…queste chiacchiere mi hanno fatto venire nostalgia e per mia sfortuna…o forse per fortuna…solo mio marito è in grado di lenire questa tristezza…ma voi siete una giovane molto fortunata…avete un corpo incredibilmente bello…e siete forte…non disperdete questa fortuna…vivete…".
La porticina si richiuse…
Come avrebbe fatto a vivere se…
Se lui non c'era più?
Le anime dei morti possono apparire in sogno?
Sono forse come farfalle bianche che solcano il cielo in ogni stagione, senza che si sappia da dove sono giunte e dove andranno a morire?
Se lo chiese Oscar quel mattino, quando scorse sfidare le correnti calde una piccola farfalla.
Non era bianca ma del colore della lavanda di Provenza.
In lontananza scorse il profilo di Sao Miguel…
L'ultimo ed estremo baluardo di terra.
§§§
Il volo radente imbastiva sentieri invisibili nel cielo vuoto, mentre lo sguardo era accecato dall'incedere dell'alba, fuoco a bruciare le immagini del cuore, luce a inondare i sensi, il passato via via disgregato e distrutto entro la vuota consistenza dell'immenso paesaggio.
Vibrava netto il segno nell'aria, la corsa ancora un poco impacciata, il ritmo sghembo.
Vivere e diventare di nessuno.
Vivere e non avere più alcuna terra ove rimettere piede.
E il volo spiccava su, puntiglio di sopravvivenza e passo a perdersi sempre più lontano, come non vi fosse più radice, come non vi fosse mai stata.
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