L'autrice chiede venia per alcune affermazioni/descrizioni contenute in questo capitolo, come in altri a seguire, legate a eventi da sempre ricorrenti nella Storia umana, anche moderna, mai davvero accantonati, seppure in certo qual modo ritenuti "lontani", ma impossibili da ignorare, come è impossibile evitare di confrontarsi con il loro terribile peso.
Per quanto questa sia storiella utile al divertimento o a trascorrere pochi minuti di lettura lontano dalla realtà, la realtà esiste, così come esistono le guerre.
Anche se la stesura di queste pagine è ormai risalente a qualche anno addietro, mai si sarebbe immaginato che certa terminologia sarebbe tornata attuale.
Non v'era dunque intenzione di sfruttare la realtà odierna che però fa da sfondo alla realtà da sempre accaduta.
Capo Rouge
Prendi nota!
Più le maledizioni sono deboli
e più si muovono in gruppo.
Beh questo vale anche per gli umani in effetti.
Maki Zenin
Jujutsu Kaisen - O
Purple rain
Il mantello scuro della notte aveva finalmente avuto ragione degli animi, placando rabbia e livore, stizza e disperazione.
Madame Roma guardava la compagna di viaggio immersa in una specie di sonno scuro, freddo.
Il corpo immobile, rattrappito, come ormai l'aveva visto spesso durante la traversata, dopo l'aggressione a Ponta Delgada e poi dopo il ferimento sul guado dell'Hudson.
Il corpo pareva stremato sì, ma quel che sorprendeva era la progressiva disgregazione della forza d'animo, inghiottita da chissà quale voragine.
La donna era seduta lì, accanto all'altra, che gliel'avevano portata in braccio, lo sguardo chiuso, la bocca tirata in una smorfia di dolore.
Le ferite dovevano aver avuto la meglio.
Se lo disse Madame Roma e lo disse al Conte di Fersen ch'era entrato per sincerarsi delle condizioni.
Madame Roma si trovava di fronte l'amante di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, e conveniva che, nonostante la guerra, gli stenti, la febbre, l'uomo appariva avvenente, bello, imponente, e forse, particolare non irrilevante, consapevole di tanto fascino.
Madame Roma tentò di comprendere cosa scorresse nel sangue di entrambi e Fersen non nascose l'apprensione per Oscar e il desiderio che lei si riavesse, per scusarsi della drastica notizia ch'era stato costretto a confermare.
"Quale…notizia se non sono indiscreta?" – chiese Roma tornando a osservare Oscar.
"Una persona che conoscevano entrambi. Era giunta in America al mio seguito. Purtroppo è morta. Credevo che Oscar…Mademoiselle Oscar…l'avesse saputo. E' vero che i dispacci non sono stati redatti con regolarità e nemmeno le liste dei caduti. Me ne ha chiesto conto, non ho potuto far altro che confermare".
"Chi…" – Roma osservava Oscar, Fersen alle spalle, il dubbio che a quella storia mancasse un tassello.
"Un uomo che lavorava per la famiglia Jarjayes. Oscar…si…il colonnello…lo conosceva bene. Erano cresciuti assieme, non so molto altro".
Il tono del conte s'abbassò, come a contrastare quel che in realtà v'era dietro alla malcelata ignoranza.
Nessun nome…
Il bacio a Brest galleggiava nella mente.
Il lungo viaggio, il pestaggio a Ponta Delgada e poi l'avanzata dapprima verso sud e poi la brusca virata verso le terre più a nord.
Le missive inviate a Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, dapprima cadenzate e regolari, così come i messaggi di risposta che s'erano fatti via via più radi, fino a scomparire del tutto.
La febbre…
E poi quel dannato incarico…
Roma strinse i pugni in grembo.
Dunque in quella storia c'era un protagonista oscuro, mai nominato, e che mai sarebbe entrato in scena, perch'era morto.
Ma si sa, non è detto che sul palcoscenico salgano sempre attori in carne e ossa.
Chi recita può farlo avendo accanto un altro attore, oppure dando a intendere che lì vicino a sé c'è qualcun altro, seppur con quello si scioglie un dialogo muto, fatto di pensieri sospesi e battute affidate all'umido vento.
"Comprendo…" – ammise Roma laconica – "Non lo sapevo. Evidentemente si dice che la speranza è l'ultima a morire. Forse lei credeva che la lista fosse sbagliata".
"E' possibile ma non me lo spiego. Il colonnello è un eccellente soldato. So per certo che avrà provveduto a calcolare i tempi nel modo più certo. Ossia, quell'uomo è morto ormi da parecchi mesi e dunque non comprendo come possa essersi illusa di un errore…".
Le parole giungevano ovattate, come se lei fosse con la testa sott'acqua e tentasse di risalire su, per rispondere, replicare, contestare…
Un gemito che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere un grido…
Roma si chinò a massaggiare la schiena - "Coraggio…starai meglio…".
Senza farci caso, la donna s'era avvicinata, mutando persona, nell'eloquio che doveva scadere nell'affetto.
Un singhiozzo – "Devo…parlarti…" - gli occhi si schiusero, Oscar tentò d'alzarsi, Fersen s'accostò ad aiutarla, sorreggendo le spalle, di nuovo, seppur trattenendo la stretta, come a trattenere l'impeto d'avvicinarsi troppo e rivelare all'estranea il sottile legame.
"Non dovresti affaticarti…" – la rimproverò Roma…
"E' vero. Possiamo parlare domani" - rincarò l'uomo – "Dovresti riposare…mi hanno detto che sei stata ferita".
La stizza morse le labbra…
Era dolore, era incredulità…
"Vorrei parlarti adesso!".
Roma si alzò congedandosi.
Fersen si sedette, silenzioso, come se avesse intuito l'argomento della conversazione, come fosse lì non tanto allo scopo d'arginare il dolore, quanto davvero comprendere quanto esso fosse fondo.
"Quando è accaduto?" – sibilato piano, ma netto.
"Oscar…è…perché vuoi saperlo? Comprendo il tuo dolore…".
"Quando – è – accaduto!?".
Un respiro - "E' accaduto…alla fine dell'anno scorso".
"Quando – è – accaduto!?" – ripeté l'altra, un filo di voce, sempre la stessa domanda, perché una data incerta per lei non era una risposta.
Forse, nessuna informazione per lei avrebbe avuto pregio di placare la smania, ma ancor più un'informazione vaga.
"Oscar…è stata colpa mia!" – sussurrò Fersen abbassando lo sguardo.
"Cosa?".
"Lui aveva…aveva accettato di aiutarmi. Conoscevo il suo valore, la sua preparazione, la sua onestà. Gli avevo proposto di collaborare nella tenuta dei registri. In questo modo avevo immaginato d'evitare che finisse coinvolto nei combattimenti. Ma è stato inutile…".
Oscar rabbrividì, lo sguardo di febbre puntato addosso a Fersen. Muta, chiese, di nuovo, come non avesse udito nulla d'importante, nemmeno ciò che le importava davvero.
Quando – è – accaduto!?
"A Northampton…ottanta miglia da qui…".
"Northampton…" – il nome sussurrato, che dunque la strada non era ancora compiuta del tutto. La mente vagava, l'intelletto mordeva, non c'era verso di metterli in accordo.
"Si, verso sud. Era necessario far arrivare denaro e polvere da sparo, ma dalla costa non c'era modo, mentre da Fort Awegen, anche se con un tragitto più lungo, sarebbe stato possibile inviare qualche fucile in più. Per assurdo ho ritenuto ci sarebbero stati meno pericoli. Non era accaduto più nulla da qualche anno a questa parte. Non c'erano state altre battaglie. Nessuno scontro importante intendo. Non volevo mandare proprio lui ma…ma poi…alla fine l'ho scelto assieme ad altri uomini. E poi ho saputo che sono stati attaccati…pare fossero indiani…la polvere è saltata in aria…".
"Quando – è – accaduto?" – di nuovo, in preda all'isteria – "E poi indiani avrebbero attaccato un carico…perché!? Se le tribù hanno accettato la pace!? Indiani e francesi non sono in lotta tra loro!".
"Oscar…" – Fersen le prese la mano – "Il giorno esatto non lo so nemmeno io. Quando mi è giunta notizia che la spedizione era stata attaccata, sono partito subito, ma ciò che ho trovato è stato solo un campo bruciato e sterpi erosi dal calore e brandelli… era accaduto tutto qualche giorno prima, quindi a fine settembre. Perché…".
Il respiro interrotto, lo scenario piantato nella mente…
Tutto inutile…
Qualsiasi visione per quanto cruda non avrebbe avuto la meglio sull'illogicità del ragionamento.
Oscar fissò il vuoto avanti a sé - "In Francia…ho letto il suo nome nella lista giunta ai primi di dicembre…ma dopo…".
"Dopo…che intendi?".
"Sono giunte lettere…altre lettere…".
Fersen sussultò, il tassello sconosciuto diveniva crepa nel solido muro della conoscenza.
Non si perse d'animo. Il nome, lo stesso nome, lambiva la mente di entrambi, ma entrambi non avevano coraggio di pronunciarlo.
"E' possibile…il destino è crudele, dovresti saperlo" – abbozzò il conte – "E' possibile che le lettere giunte dopo la sua morte fossero state scritte e spedite prima. Di certo è andata così…".
La spiegazione logica non lasciava scampo. Difficile immaginare che lei non fosse giunta alla stessa conclusione.
No, lo sguardo sferzò gli occhi di Fersen…
"Le lettere recavano timbri successivi!" – sussurrò Oscar con un filo di voce – "Potrebbero essere state scritte prima certo, ma come è possibile che siano state spedite dopo? Dopo che lui…ho controllato, non c'è una spiegazione, a meno che…".
Non riusciva ad accettarlo.
Il tempo, giudice spietato d'una Storia che non doveva essere quella, scorreva invisibile e lucente e feroce ma lei no, lei era ferma.
No, la loro Storia doveva essere un'altra…
Se…
Se lui non se ne fosse andato…
Se lui le fosse rimasto accanto, sposando la sua vita, sposando lei…
"Oscar…" – Fersen s'accostò, d'istinto corse ad abbracciare le spalle, stavolta la stretta divenne intensa, che il corpo dell'altra si piegò docile – "Non so darti una spiegazione…".
L'abbracciò, come per sorreggere la sequenza spietata, la corsa verso il baratro.
Il bacio a Brest galleggiava nella mente.
Lui non aveva avuto lo stesso coraggio, l'altro sì, come se avesse sempre saputo che quello sarebbe stato il primo e l'ultimo contatto con le labbra di lei.
Qualsiasi fosse stata la ragione o senza ragione alcuna.
Lui l'aveva baciata.
E l'audacia era stata punita, la morte aveva emesso la sua sentenza e ottenuto la sua rivincita.
"L'ho visto…".
Un sussulto, stavolta fu Oscar a tentare di staccarsi ma Fersen la strinse di più, perché sapeva che lei non avrebbe retto.
Qualsiasi fosse stata la ragione o senza ragione alcuna.
L'amicizia era fonda e quel bacio ne era suggello…
Un bacio d'amicizia oppure di chissà cos'altro.
"E' stato sepolto là. Lui è là…".
André…
"Lui è morto…" – Fersen la tenne lì, mentre il viso dell'altra affondava nel petto, incapace di divincolarsi adesso, perché se si fosse ritrovata libera sarebbe caduta giù, sarebbe morta. Non lo sapeva perché ma sapeva solo che sarebbe morta – "Dio…non…non è rimasto nulla del suo corpo…ma lui era la…".
"Perdonami…" – supplicò Fersen – "Non avrei dovuto lasciarlo andare…".
Oscar non riuscì a dire altro.
Le mani risalirono istintivamente ad attaccarsi alle braccia dell'uomo ch'era lì e che forse era stato l'ultimo a vedere colui che lei aveva cercato per tanti anni.
Risorsero di colpo le parole di Maria Antonietta.
Fersen, chissà quando, chissà dove, nemmeno v'era certezza di questo, aveva sfiorato il palmo della mano di Oscar, catturando l'evanescente essenza di un tocco che non si può comunicare ad altri eppure si pensa sia lì, sul palmo, inesistente ma certo, inciso nel tempo d'un tempo che non c'è più.
Così la regina aveva sfiorato quella stessa mano, la mano di Oscar, nel supplizio d'immaginarsi a toccare colui che Oscar aveva toccato.
Oscar s'immaginò dunque che Fersen fosse stato l'ultimo a vedere André.
Nelle iridi grigie e tristi dell'uomo, chissà dove, chissà quando, v'era l'immagine, un'immagine che lei non poteva più vedere.
Fersen in quel momento era André ma non era lui, perché dunque era accaduto ciò che non doveva accadere, dunque non ci sarebbe stato scampo ai dispacci, alle liste, al nome…
Le parve di cadere giù, il rimbombo delle dannate campane di Notre Dame nella testa, la folla sgranata e ridiscesa negl'Inferi dell'incertezza fino al prossimo dispaccio.
Voli sgraziati di piccioni…
Grida di pescivendole e fioraie…
Il sentore marcio della Senna…
André Grandier, soldato di fanteria di Sua Maestà Luigi XVI, Re di Francia, nato il 26 agosto dell'anno 1754, deceduto in America…
Nulla…
Non c'era più nulla.
"Oscar…perdonami…" – sussurrò Fersen mentre lei s'aggrappava e cadeva giù nel baratro.
Perché mai si ritrovava inghiottita dal baratro?
Di colpo comprese che fino a quel momento, lui era stato relegato a semplice nome, in fondo solo un nome in un elenco.
Tutto lì…
Un nome…
Nella lista sbagliata…
Un nome ch'era stata persona…
Sì, persona ridotta a grafia istoriata s'una lista ormai sbiadita, di cui le missive ch'erano giunte successivamente avevano dettato l'esistenza, ch'era proseguita dunque – doveva essere stato così - incidendo una stagione dopo l'altra, finendo con l'insinuare il becero dubbio d'un errore e dunque la confusa e inammissibile e inconfessabile speranza.
Come un ceffone in faccia…
Ecco che il corpo dell'altro, fatto carne e sangue e respiro e sguardi, s'imponeva, ribellandosi al proprio nome fatto di solo inchiostro, colpendola con tutta la forza della granitica oscurità della morte.
Dunque ora lei vedeva, seppure nel ricordo dei giorni che avevano preceduto la partenza, il corpo di André.
Il corpo muto, come addormentato…
Il corpo vuoto, la vita strappata…
Il corpo le parlava e le stava dicendo che lei non l'amava – André - non l'aveva mai amato.
No, non aveva mai amato quel corpo muto, come addormentato.
Nemmeno quel corpo vuoto, la vita strappata.
Forse non aveva mai amato nessuno.
Neppure Fersen anche se lui era lì, adesso…
Forse lei aveva amato solo se stessa.
Allora era accaduto che lei avesse cercato quella parte di sé dispersa nell'altro, quel tempo di sé coltivato nel silenzio dell'altro.
Tremò un poco, percorsa dal violaceo respiro dell'egoismo.
Sì, André l'aveva cresciuta, l'aveva plasmata senza mai imporre un solo ordine, una sola parola molesta.
Inutile illudersi che fosse stato suo padre o il suo ruolo o la sua uniforme a mutare la sua indole.
Tutto ciò che lei aveva ascoltato, visibile e chiaro, ordini, doveri, etichetta, rango, non aveva avuto che un pallido ruolo in ciò che era lei.
Lei, non come appariva, ma come era, sotto la buccia spessa, buia, silenziosa, che mai s'era schiusa e che ora invece, come spaccata, grondava sangue nero.
Chi era Oscar François de Jarjayes?
Una donna?
Un uomo?
Un soldato?
Una contessa?
Chi era lei, se non ciò che lei stessa aveva scelto di prendere da ciascuno di coloro che aveva incontrato e conosciuto!?
Chi era lei, se non ciò che coloro che l'avevano incontrata e conosciuta avevano scelto di tenere per sé?!
L'abnegazione, il senso del dovere…
Il fascino, il dialogo muto, il disprezzo, la forza…
La noia, la supponenza, la disarticolata nemesi d'una vita banale e senza speranza, un destino già scritto, impossibile da mutare.
André aveva spezzato il cerchio.
André aveva invertito le rotte dei destini…
Perché…
Se non fossi mai partito…
Se neppure lui sapeva chi eri tu!?
E se nemmeno tu sapevi chi era davvero André Grandier!?
Non avrebbe mai potuto dare risposta a ciò che sentiva.
Non avrebbe più potuto domandare nulla.
Il vuoto, il nulla che lei attribuiva al senso di colpa per averlo lasciato partire, per non aver compreso, per aver preso dell'altro solo ciò che più le aggradava, solo ciò che acquietava i sensi e i sensi di colpa, l'avrebbero a poco a poco distrutta.
L'istinto si ribellò, come pazzo, come una serpe catturata per la testa che si dimena, gonfiando le spire, attaccandosi a ogni arbusto per evitare d'esser trascinata nella trappola, indietreggiando, sferzando le fauci contro l'aggressore.
Non avrebbe ammesso nulla, dilaniata dal senso di colpa, come il corpo dell'altro era scomparso, dilaniato dall'esplosione.
Un corpo dilaniato…
Crebbe la nausea.
Avrebbe continuato a cercare.
Anche un semplice brandello di terra ove si era addentrato l'altro o lo stesso cielo che forse aveva scorto l'altro, quello che gli occhi avevano osservato nell'istante prima di morire.
"Voglio vedere…dove è accaduto…" – sibilò piano, le lacrime incastrate nella gola, la visione dell'altro che batteva nella testa.
Doveva muoversi e lasciare quel luogo per continuare a seguire il destino dell'altro.
Non c'era scampo…
Chissà chi è che stava parlando adesso?
Il colonnello…
La donna…
Oscar…
Chi…
"E' troppo lontano e tu non stai bene…" - Fersen forzò l'abbraccio mentre l'altra gli prese la testa tra le mani staccandolo da sé.
"Andrò là!" – greve, febbre disperata nello sguardo lucido, nausea che incombeva.
Un respiro fondo…
Fersen appoggiò le mani sulle mani di lei, s'intrecciarono le dita - "Sei sempre la stessa. Se ci tieni tanto, farò predisporre un drappello. Non appena starai meglio…".
"Sto già meglio…domani all'alba sarò pronta…".
"Non…".
"Non preoccuparti…".
"Verrò con te…avremmo comunque dovuto portare viveri e polvere da sparo alla cittadina al confine…".
"E' lo stesso luogo?".
"Si…ma io non sono d'accordo".
"Starò bene…devo…" – ormai non c'era nulla da comprendere – "Vedere…".
"Cosa!? E' solo una dannata distesa d'erba e rovi! Non c'è più nulla…".
"E sia…" – impossibile replicare al vuoto, il vuoto incolmabile, se non con vaghe congetture degne d'una mente senza più lucidità – "Sei riuscito a comprendere com'è avvenuto l'assalto? Due guide indiane ci hanno condotto fino a qui, eppure hai detto che sarebbero stati gli indiani ad assaltare il carico?!".
"Non è sorprendente invece. Le tribù sono molte ma non tutte sono d'accordo nell'accettare la presenza dei coloni, alcune hanno acconsentito alle condizioni di pace, altre no".
S'alzava il vento di fuori a picchiare contro l'antro fragile. Il cuore invece era di nuovo fermo, come imprigionato nella teca di ghiaccio dell'assenza e dell'incredulità.
"Come è accaduto?" – lo sguardo stavolta guardava lontano, un punto oscuro nel tempo e nello spazio, ove il corpo – quello dell'altro - era vivo, anche se distante da sé.
In quel momento – allora, lontano nel tempo – lui era vivo e allora lo era anche lei.
Voleva rincorrerlo là, esattamente là, in quel tempo in cui erano entrambi vivi.
"Di solito chi assalta i trasporti di armi e polvere da sparo lo fa per rubare il carico" – argomentò Fersen, lo sguardo parimenti lontano, seppur duro e un poco sprezzante – "Sono preziose entrambe ma in quel caso…".
"Che intendi?".
"Il carico è stato fatto esplodere. E' possibile che la resistenza dei soldati abbia avuto la meglio e per assurdo, piuttosto che lasciarlo nelle nostre mani, chi ha assaltato il carico ha mirato alla polvere da sparo. Purtroppo in quel caso resta poco tempo per scansarsi. Mi hanno detto che sarebbero state usate delle frecce intinte nell'olio e poi…".
Che bizzarro scenario…
"Com'è stato possibile?" – l'obiezione inevitabile – "La polvere…doveva essere al sicuro dentro le botti…".
"Era…" – Fersen si portò una mano al viso, gli occhi s'abbassarono – "Per far più in fretta, il carico è stato trasportato nei sacchi, al dorso dei cavalli. Il viaggio sarebbe stato più agevole e veloce e invece…te l'ho detto…non mi perdonerò mai. E' stata colpa mia!".
Lo scenario ch'esplodeva dettando il fragore immaginato, lo scompiglio, i corpi proiettati alla rinfusa…
Il corpo…
No…
Era come se tutto stesse accadendo lì, in quel momento, ma esattamente come era stato quel giorno.
Era come se lei fosse stata là, allora, e quel giorno l'avesse visto partire.
Era come se gliel'avesse mandato lei, André, a morire sul campo d'una improvvisata battaglia.
Straniva la colpa che lottava contro la realtà inafferrabile…
Era come se lei s'attaccasse proprio al senso di colpa, per restare viva…
Quel moto di dolore era ciò che la teneva a galla.
"C'impiegheremo un paio di giorni con i cavalli freschi" – proseguì Fersen – "Ma dovremo fare una sosta domani sera…sarà dura all'aperto…".
"Non ha importanza! E la polvere da sparo dovrà essere trasportata nelle sacche, esattamente com'è accaduto allora, così faremo ancora prima!".
"Che stai dicendo? E' troppo pericoloso!".
"Si ma tu stesso hai detto che in questo modo il viaggio sarà più veloce. E se così sarà con il carico trasportato direttamente a cavallo…".
"E' una pazzia! Non rischierò un'altra volta…".
"Posso andare sola…" – tagliò corto l'altra, feroce e perduta, che Fersen si ritrovò ricacciato indietro, i pugni stretti, la fissò che l'aveva ritrovata dopo tre anni di lontananza ma lei era sempre la stessa, insolente e testarda.
Ma sopra tutto…
Il bacio a Brest galleggiava nella mente…
Lui non aveva avuto lo stesso coraggio, l'altro sì, come se avesse sempre saputo che quello sarebbe stato il primo e l'ultimo contatto con le labbra di lei.
Qualsiasi fosse stata la ragione o senza ragione alcuna.
Lui l'aveva baciata.
E l'audacia era stata punita, la morte aveva emesso la sua sentenza e ottenuto la sua rivincita.
La Morte…
"Ascolta…sono io l'unico responsabile di tutto ciò che è accaduto!".
Se non c'era spazio d'incidere la coscienza attraverso l'affetto, allora il senso di colpa poteva esser degno latore d'un legame, per lo meno entro la discesa agli Inferi ove pareva esser scivolata lei, che lei no, fredda, come guidata dalla pura pazzia, componeva lo scenario attraverso le domande.
"Quanti erano? Il drappello…quanti erano?".
Il confine era sottile…
Fersen ammise che non sarebbe stato facile trattenerla di qua dal sottile limitare del baratro della perdita del senno.
Negò l'uomo - "Dieci soldati in tutto e poi credo ci fosse un bambino indiano…non ne sono certo. So che si era cercata una guida. Che i ragazzini sono bravi e sembra che nessuno addossi loro l'onta d'esser considerati traditori della tribù a cui appartengono. Allora forse potrebbe essere andata così. Il carico distrutto per vendicare un tradimento!".
Parole solenni che però in quel frangente non rivelavano alcuna solennità, se non quella d'un barbaro scenario.
"Dieci in tutto. E un bambino indiano. E il drappello sarebbe stato attaccato da altri indiani…" – parlava Oscar François de Jarjayes e ogni parola incideva la coscienza del conte, come a rovesciargli addosso dubbi che avrebbero dovuto scuotergli la mente già da molto tempo – "Chi erano?".
Fersen era stanco - "A che ti serve saperlo?!".
Fu l'altra a rivoltarsi - "Uno era lui certo e gli altri? Chi…".
"No…basta!" – il conte fece un passo indietro, forse distrutto dall'ossessione di ripercorrere quei giorni che gli venivano rinfacciati, pur avendo egli stesso già ammesso la sua responsabilità.
Di colpo intuì che l'altra voleva la verità, voleva tutto, e quel patto di fiducia che lui tentava di rinsaldare tra sé e lei, seppur sorretto dal solo senso di colpa, andava coltivato con giudizio, perché forse anche lui aveva commesso un errore e se ne capacitava soltanto lì, in quel momento, accecato dalla smania di conoscere ciò ch'era apparso legare lei all'altro, nel bacio tagliente che galleggiava nella testa.
O forse non era stato un errore.
Forse davvero era stato tutto inconsciamente intenzionale.
"Lui era d'accordo?" – la domanda squarciò il delirio freddo dell'ufficiale, come se lei stesse parlando d'un soldato qualsiasi, d'un estraneo perduto di vista tanto tempo prima.
"Che intendi?" – balbettò Fersen – "Si, certo. Fort Awegen necessitava d'essere tenuto sotto controllo e io sono rimasto qui, mentre lui ha accettato di partire. Te l'ho detto, ho fatto tutto il possibile perché non restasse coinvolto negli scontri…".
Strideva tutto…
Strideva il continuo scusarsi di Fersen, il continuo ammettere responsabilità che non gli competevano.
Di certo non era lui il responsabile della morte di André.
Ma la frattura del cuore avanzava, muta, perché dall'apparenza delle cose si doveva poi scendere giù, nella vera essenza dell'amicizia, nei ricordi, nelle parole mute, in quel passo, quel mezzo passo, che l'aveva seguita silenzioso e discreto.
Mezzo passo dietro a lei…
"Allora non sentirti in colpa. Era ciò che desiderava…".
Il suo nome…
La sua bocca…
Lui…
Fersen si alzò.
Un cenno di saluto.
L'alito d'aria fredda scavalcò lo spazio esiguo della casupola, inondando i pensieri raggrumati di dannati profumi, sempre gli stessi del brandello di giornata, il sentore della notte calma, l'aroma delle montagne poco lontane, resina di querce e ontani, erba tagliata, corsi d'acqua impegnati a scavalcare pietraie e cascate.
"Lasciami sola…".
"Per qualunque necessità…non esitare a chiamarmi…".
No, la notte ora apparteneva ad André.
Lui giungeva ormai, quasi sempre, nell'onda placida dei pensieri che dondolavano la coscienza e poi fluttuavano nell'andirivieni tra passato e presente, nel rimbalzo della voce che però via via andava perdendosi, perché è difficile ricordare il timbro di una voce, piuttosto che la gradazione d'un sorriso, il lieve cenno della testa, il profilo scorto di sbieco, figlio d'un istante lontano.
Impazziva…
Le parole di Fersen rimbombavano nella testa…
Impazziva…
La logica dettava l'impossibilità di scorgere uno scenario diverso, una dimensione altra da quella offerta dal conte.
Impazziva…
Allora l'accettava la pazzia.
La sentiva scivolare addosso, come velo impalpabile, confidente acuta ad ammaliare la coscienza – non più sorretta dalla logica o dalla ragione ma da un turbine ignoto e scaltro che beffava qualsiasi intento d'essere scacciato – che grazie a quella – la pazzia – otteneva di scorgere nelle parole di Fersen il vago alone del dubbio, che lui fosse stato vittima d'un qualche sortilegio, una qualche follia che l'aveva indotto a credere alla morte.
Il racconto dettava morte…
Le lettere, la grafia inconfondibile, dettavano altro.
Solo un barlume di fede, allora - che quella davvero è inspiegabile e lontana da ogni complessa affermazione materialista, al pari forse della pazzia - rimase a sorreggere la coscienza, perché quella notte nessuno s'affacciò, né nella capannetta, né nella parte più oscura e intricata dell'animo, come se quello, alla fine, si fosse ritrovato in pace senza però volerlo, acquietato dalle parole del conte, che in senso devastante ma definitivo, ponevano fine della ricerca.
Tutto sorprendentemente calmo, invischiato nella pazzia più nera.
Il cuore batteva piano…
Tutto diveniva buio.
Fuori…
E dentro.
§§§
Albeggiava…
Le stesse condizioni…
Che diavolo le passava per la testa?
Si era alzata, lo sguardo febbrile, il passo un poco incerto.
Fersen provò, muto, a imporre una resa, almeno un altro giorno.
Oscar negò, altrettanto muta, mentre osservava i soldati predisporre il carico.
I fucili avrebbero viaggiato in spalla, la polvere da sparo appesa ai sacchi, al dorso dei cavalli.
Ma non di tutti!
Madame Roma chiese di unirsi al drappello, così come la giovane indiana.
Il permesso venne accordato.
I soldati erano insolitamente silenziosi, come non avessero più animo di commentare la faccenda. Nella testa lavorava il tarlo del sospetto, che quel damerino non era un damerino ma un nobile.
Che non era un nobile qualsiasi ma un ufficiale della Guardi Reale del Re di Francia.
Che non era un uomo ma una donna.
Di sottecchi la osservavano mentre l'altra all'apparenza osservava il cielo ancora vuoto, tinto della misteriosa tonalità del tempo che a poco a poco prende a scacciare l'oscurità.
Che colore ha il tempo nella lotta tra il susseguirsi inevitabile della notte con il giorno?
Un respiro fondo…
Bisbigli di stupore…
Oscar François de Jarjayes si voltò, i passi condussero verso il Soldato Alain Soisson, l'unico con cui non aveva mai parlato, che quello non aveva assistito al battibecco alla locanda di Brest, anche se era nel vicolo, sì, c'era anche lui, e che, al contrario degli altri, s'era dimostrato abbastanza attento, almeno tanto quanto silenzioso e guardingo.
Attraeva il silenzio, come fosse ormai l'unico modo per dialogare.
E poi, da quello stesso silenzio bisbigliato, si comprendeva che quelli – vista la becera sceneggiata del giorno precedente, a fare il paio con i modi rozzi esibiti alla locanda a Brest - oramai avessero intuito chi fosse lei, chi fosse davvero.
Non un damerino ma un nobile, non un ufficiale qualsiasi ma uno della Guardia Reale di Re Luigi XVI e infine, non un uomo ma addirittura una donna!
Pareva davvero non l'avessero compreso che il giorno prima, dunque fino ad allora nessuno aveva mai aperto bocca su di lei.
Lui, di certo non l'aveva fatto.
E allora c'erano arrivati da soli, che pure lei non aveva mai avuto in animo di declinare a chicchessia che fosse una donna, ma nemmeno di nasconderlo.
E allora il giudizio altrui era sempre stato indifferente, c'era abituata e non la scalfiva.
Era una donna, né più, né meno che una donna. E se per qualcuno la questione fosse stata sorprendente, il problema non sarebbe stato suo.
Chissà che avevano pensato di André…
Chissà se quelli l'avevano conosciuto davvero?
Il soldato trattenne i gesti, così come il respiro, voltandosi a scrutare l'ospite.
Ora che ce l'aveva davanti, ammetteva che la sensazione che gli era giunta fin dal primo istante in cui l'aveva intravista nel vicolo a Brest, per assurdo, non era mai stata ambigua ma assolutamente certa e chiara.
Nulla di oscuro nell'altra.
Solo abito e modi a tradire il genere corretto. Ogni particolare declinava una bellezza algida e severa, lo sguardo fondo, i gesti sobri al punto ch'era impossibile definirli quelli d'un uomo o quelli di una donna.
Insomma, quella era una donna ma non si comportava come tale.
E non era un uomo, anche se si vestiva come tale, ma non aveva, nemmeno di esso, alcuna gestualità o aura di mistero.
Era…
Unica…
In quello stesso istante, a una a una, rimbombarono le parole…
Quelle estorte…
Già…chi è…quello?
Te lo ripeto…non sono affari tuoi! Mettiamola così…mi ci sono divertito! E' stato un gran bel servigio!
Spiegati!
Se sei uno a cui piacciono gli uomini…non ci trovo nulla di male. Ognuno ha i suoi gusti…io ho i miei e tu i tuoi…ma se…come penso…quello di ieri non era affatto un damerino…allora non capisco perché dovresti mentire ed esser preso per ciò che non sei!
Siamo stati assieme…era giovane…
E perché…se quello era un giovane…un uomo…stava appresso allo svedese? Questa mattina si sono salutati…e perché sei andato a parlare con quel nobile?
Non so che abbia fatto con il colonnello…con me è stato esemplare…ha fatto tutto da sé…s'è spogliato e mi ha baciato…ovunque…che quasi sarei…ed io…l'ho baciato…non mi pareva giusto sprecare il denaro…ma alla fine quella moneta valeva un tempo ben più lungo…e quello…
Quello è riuscito a tenermi lì…non si è accontentato…mi ha portato dove voleva e dove forse ha intuito volessi andare io…che ad un certo punto ho persino pensato di perdere il senno. La sua pelle era morbida e chiara, liscia…sì…avete ragione…una bellezza sensuale…
Il suo corpo…era lieve e bello…e le sue mani mi hanno accarezzato…sapeva bene quel che faceva…
Dunque…non era un pivello!?
Non so che dirti…non ho molta esperienza…e non sono così idiota da andare a raccontarlo in giro…ma di certo ci sapeva fare…e poi…
Finisci il tuo racconto!
Mi ha fatto godere…credo…si…due volte! O forse...
Che il soldato Alain Soisson fissò l'altra, il disprezzo crescente come unico grimaldello capace d'estorcere la verità, come se glielo volesse leggere in faccia s'era davvero accaduto e s'era accaduto così, che insomma l'altra gli pareva proprio integerrima…
La prima volta…non ricordo nemmeno come è stato…stava giù, nemmeno vedevo la faccia…ha fatto tutto…di sua…iniziativa…
Sei soddisfatto?
Abbastanza…e la seconda?
Idiota…che t'importa!
Allora?
L'ho…
La seconda volta è stato…come accadrebbe tra due…uomini…insomma…se non ci arrivi da solo…
No!
Era davanti a me…sopra di me…è…entrato…si è mosso così da godere…lui stesso…ha continuato più lentamente…ho creduto d'impazzire…sono venuto anch'io…poco dopo…e dopo…si è chinato e mentre venivo ha continuato a…
Credi che quel colonnello…
Io parlo per me! Non ho idea di quel che abbia fatto con quell'altro! Chissà…magari tutto e niente! E questa mattina…sono sceso è l'ho baciato perché mi andava di farlo! E gli ho detto che semmai ci saremmo rivisti…ci sarei tornato a letto ancora!
Diavolo…se l'incontrassi uno come quello ci andrei anch'io a letto! Caz…quando m'hanno detto di tornarmene dabbasso…lo sapevo che stavo facendo uno sbaglio…chissà che vi siete detti…
Non ha parlato molto, se può interessarti. E nemmeno io!
E certo. Quello la bocca l'aveva impegnata a tenertelo stretto…e chissà tu…spero non ci avrai fatto fare brutta figura!
Non t'azzardare!
Che vorresti dire? Se quello è un damerino come ci hai fatto intendere…non vedo perché non dovrei approfittarne?! Adesso ho un motivo in più per tornare…se riesco a restare vivo da questa faccenda della guerra contro gl'inglesi…con i soldi che mi daranno…lo scoverò e quanto meno gli darò il doppio! Voglio proprio vedere se…
Non t'azzardare! Facciamo che quello, se ritorno vivo e lo ritrovo…adesso è mio! Non è adatto a gente rozza come voi!
Amico…ma tu davvero…cerchi rogne!
Alain Soisson sputò a terra, un passo indietro, un poco il racconto solleticò la pelle, instupidita che le parole riverberassero la eco lì, addosso, con quella davanti, che l'altra era arrivata davvero vicino.
Lui l'aveva difesa, fino alla fine.
Assurdo difendere una donna a quel modo, ossia dipingendola come un uomo, rimettendo nelle mani e negli occhi di estranei uno scenario davvero sordo e sordido.
Alain Soisson ammise che l'altro aveva semplicemente detto quel che loro avrebbero voluto sentirsi dire.
Aveva dato loro ciò che chiedevano. Particolari acuti che gettavano una luce ordinaria s'uno scenario che non lo era, ch'era davvero straordinario che quella fosse una donna e che fosse davvero finita a letto con…
Dannazione…
Era stato pazzo…
O semplicemente disperato.
Siete voi che ve le andate a cercate! E chiunque si metterà in mezzo tra me e quello…dovrà vedersela con me!
Anche il nobilucolo?!
Si! Non sono abituato a dividere nulla con nessuno! Anche se sono solo un plebeo…
Lui non aveva detto nulla e aveva in realtà detto tutto.
E loro a sfidarlo sul bieco baratro del rango erano stati messi nel sacco!
E loro a immaginarsi che il soldato fosse geloso del conte!
Chissà, forse era proprio il contrario…
Vorrà dire che non moriremo! Prometto solennemente di non morire! E prometto solennemente che qualunque cosa accadrà, se ci sarà fatta la grazia di tornare…
Questa è una promessa che ti faccio! Così chissà che la mia buona stella mi risparmierà la vita! Ti aiuterò con il tuo damerino! Quando torneremo te l'andremo a prendere noi e se quello tirerà calci e non vorrà saperne…uh…te lo porteremo legato mani e piedi! Però poi dovrai pensarci tu a fargli cambiare idea! Dico…sei un bel giovanotto…ma tra te e quel nobilucolo d'un colonnello svedese…insomma…dicono che di quello si sia invaghita persino l'austriaca, la nostra beneamata regina di Francia…ecco…dovrai darti da fare!
Basta!
Le parole di scherno dunque…
E poi quelle sputate nella disperazione…
Hai ripetuto un nome…tante volte…
…
Si…ma devi rimetterti in sesto…non parlare…non ripeterlo più. Tu sai chi è…mentre quell'uomo…quello ha detto che non può permettere che qualcuno ti faccia del male…che lo deve a lei…lei chi? Allora c'entra una donna? Chi è…
Tutto!
Sì…chiunque sia…troverebbe indegno ciò che sta accadendo. Se non stai fermo…Gustav non potrà comprendere che ti hanno fatto…e questa persona…forse non la rivedrai mai più! Hai detto che è tutto per te…
Chi è Oscar?
Che t'importa?
E' ciò che t'accomuna a quell'uomo vero!? Te lo sei fatto…quel tizio…e se l'è fatto anche lui!? E poi è stata la volta del damerino a Brest?! E adesso per la miseria...voglio sapere che c'entra con voi?
Bada a come parli…non tollero queste insinuazioni!
E non mi frega niente di quel che tolleri o no! Ammetterai che quel che è accaduto a Brest la dice lunga sui tuoi gusti! E siccome quell'uomo pare averli simili ai tuoi…insomma…non mi frega un accidente sapere che faccia ha questo Oscar, né se sia bravo a scopare o meno…m'interessa comprendere chi è?! Per te! E se c'entra quell'altro, il conte?! E perché ti sei ridotto a fargli da servo…lo fai per quello!?
Lui l'aveva sempre difesa, adesso era evidente.
Non aveva sputato un solo respiro su di lei. Insomma su chi fosse davvero.
E lei?
C'era da fidarsi…
"Soldato Soisson? Vi chiamate così giusto?".
"Rammentate bene…" – disse piano Alain, la rabbia covava nel fondo dello stomaco, inevitabile non ammettere che quella e il soldato ch'era stato loro compare si conoscessero e allora non c'era verso di vedersi presi per i fondelli - tutta la compagnia s'intendeva - prima a Brest, e poi in quel dannato viaggio verso l'America.
"Il mio grado di colonnello agisce in Francia, presso la Guardia Reale, qui non avrei modo di esercitare il mio titolo ma vorrei ugualmente…" – il labbro morso in segno d'incertezza, in fondo anche quei soldati, in chissà quale tempo, in chissà quale luogo, avevano avuto modo di conoscere André, dunque anche nel loro sguardo, nella loro memoria, lei avrebbe potuto riconoscere una parvenza dell'altro.
Alain rimase in attesa…
"Non avete risposto alla mia domanda…quella di ieri…" – lo sguardo corse su, al cielo.
"Che!?" – lo stupore scorse repentino, insinuandosi a minare il rispetto, che quella faceva domande assurde e astruse, segno che forse di quell'altro non gl'importava poi nulla – "A proposito di quel falco?!".
"Si, che intendevi non sarebbe un buon segno!?".
Che gioco assurdo, quella era una donna frivola dunque, che le interessavano i segni del destino?!
Alain Soisson guardò in alto, il cielo giù in fondo si schiariva piano piano del chiarore d'una giornata tersa e limpida, senza nuvole. Una giornata lieve che però comunicava solo tristezza.
"Ebbene monsieur…ho imparato che i falchi…perdonate quel falco…si muove come se seguisse un istinto che non gli appartiene…".
"Un istinto che non gli appartiene? E' un animale selvatico".
"E' stato visto spesso accompagnare le carovane dei soldati che si spostano da un accampamento all'altro. Di solito si limita a volare alto ma in alcuni casi…scende giù…".
"Attacca le persone?".
"No, non le persone, ma è come se il suo volo indicasse un percorso. Non ho certezze".
Un respiro fondo…
Il pensiero corse veloce…
"Il suo volo indica un percorso…" – abbozzò Oscar – "Vale per qualsiasi percorso oppure solo per alcuni in particolare?".
"Adesso sono io che non comprendo. Che intendete? Che quel falco seguirebbe solo alcuni carichi e non altri!?".
"Nel momento in cui tu affermi di aver avuto l'impressione che il falco segue le carovane, io ti domando se hai compreso anche quali? Se segue certo genere di persone o tutte indistintamente!?".
Si sorprese Alain Soisson che no, fino a quel punto il ragionamento – già abbastanza bislacco in sé – non era giunto, perché le bestie selvatiche restano tali e forse tutto era frutto d'una immaginazione altrettanto assurda e un poco forzata. Così da scaricare su chissà chi la colpa di fantomatici agguati o carichi perduti.
L'istinto resta tale…
E' impossibile addomesticare l'acuta purezza d'un animale selvatico.
"No, non lo so".
Oscar rimase a fissare il cielo - "Mi hanno raccontato di un agguato a un carico ormai un anno fa…" – l'accenno masticato piano…
La domanda colpì, Alain Soisson s'ammutolì, così come i soldati attorno che, orecchie lunghe e bocca muta, avevano appositamente evitato di farsi i fatti propri.
La mente corse all'imboscata fatale per altri compagni, uno in particolare, proprio quello che aveva baciato il dannato damerino che ora si ritrovavano di fronte, assieme alla solida realtà che spazzava via le miriadi di congetture.
La scena riemerse.
Alain Soisson respirò a fondo, il compare che non era più lì con loro s'era preso bellamente gioco di loro e lui, Alain Soisson, non era solito farsi prendere per i fondelli.
Ciò ch'era accaduto a Ponta Delgada non aveva poi minimamente scalfito il duro giudizio ch'era calato come una mannaia su colui che non era più lì.
"Se vi riferite al giorno in cui un nostro carico è stato assaltato dagli indiani…verso il Lago Oneida…non ero là. Io sono rimasto al campo e anche i nostri compagni. Se fossi andato anch'io non sarei qui adesso".
Le parole uscirono asciutte, senza tradire né pietà, né disprezzo. Che però non tradire pietà è già un segno di disprezzo.
Oscar François de Jarjayes chiuse gli occhi, la domanda uscì sussurrata, apparentemente senza senso, eppure sorprendente. Come se un invisibile filo avesse preso a scorrere entro un destino mai scritto.
"Hai saputo se anche allora, anche in quel caso il tuo falco era lassù?".
"Cosa?" – balbettò il soldato – "Il mio falco!? Non è il mio falco! Ho solo detto che quella dannata bestia si fa vedere quando ci sono carichi che partono dall'accampamento ma…no! Per quel che riguarda ciò che è accaduto ormai un anno fa…".
Che anche Alain alzò gli occhi al cielo - "Sapete…l'ho osservato. E' veloce, spesso accade di sentirlo stridere ma solo perché è appena scivolato via. Credo sia giovane, piuttosto giovane. Una volta stava quasi per finire in mezzo ai rami d'una quercia. E' inesperto. Ha virato ma al limite e l'avremmo trovato tramortito a terra se non avesse scartato la chioma folta…".
"Ciò significa che quell'animale è troppo giovane per aver fatto la sua comparsa un anno fa!?".
Alain Soisson fece spallucce, segno che alla fine più di tanto la questione non gl'interessava e alla fine negò, lui non era stato sul luogo dell'agguato dunque non avrebbe mai potuto declinare alcun tipo di risposta a quell'assurda domanda.
Oscar non ne fece altre. La pazzia può anche esser coltivata una parola per volta.
Si avvicinò al cavallo che le era stato assegnato. Le sacche erano state appese alla sella e coperte con un telo scuro, così da impedire che se ne scorgesse l'esistenza. Scostò il telo, lo strappò via quasi, così che a quel punto le sacche sarebbero state ben visibili.
"Che diavolo fa?" – sibilò Marcel ad Alain – "Non deve avere il cervello al suo posto! Così si capirà subito che è polvere da sparo! Mi sa che quella è una femmina è basta! E' proprio stupida!".
"E' una donna!" – chiosò Dante con sufficienza – "Magari è convinta che all'aria asciutta la polvere da sparo si manterrà più efficace! Chissà…forse pensa che sia come i semi di senape…che se non li asciughi bene poi s'ammuffiscono! Che ne sappiamo noi di cosa sa quella sulla polvere da sparo!?".
"Non lo so…" – sputò Alain salendo a cavallo - "Hai visto?" – rivolto a Dante – "L'ha fatto solo con il suo carico. Non ha chiesto a nessun altro di scoprire le sacche".
"E allora? E' pazza…mica vendicativa! Te l'ho detto…Alain…per me quella c'ha guadagnato a finire a letto con il nostro disgraziato compare! E non ce l'ha con noi! Anzi!".
"Che diavolo stai dicendo?" – sibilò Alain confuso – "Cosa c'entra adesso…".
"Ma si!" - sbuffò Dante, spazientito dalla scarsa capacità di comprensione dei compari – "Non gli frega niente di noi! Ma ciò dimostra anche che non ce l'ha con noi perché l'abbiamo portata in quella bettola. E se come tu affermi, quella lo conosceva – il soldato triste - ed è pure una donna…beh…chissà che devono aver combinato quei due!? E allora ti dico che secondo me gli abbiamo fatto davvero un favore! A tutt'e due! Che quando si sono incrociati a Brest…diavolo…adesso che ci penso…quei due secondo me si mangiavano con gli occhi!".
"Ma che…" – sbuffò Gustav Dumas, d'uno strambo risentimento incastrato in gola – "Ancora con questa storia?".
§§§
Il sentiero, dapprima a raso, scorreva come un fiume attraverso campi incolti d'erbacce e arbusti, inframmezzati ad appezzamenti scuri, zolle di terra smosse da chissà quale rozzo aratro.
Dopo una decina di miglia la strada prese a inoltrarsi entro la boscaglia più fitta.
Gli alberi fungevano da copertura, i rami a toccarsi in alto, così da impedire al sole di penetrare e illuminare il percorso, così da impedire alla vista di scrutare l'orizzonte, seppure gli occhi avevano già intuito lo scorrere di alture che s'innalzavano alla destra del percorso, conferendo alla valle l'aspetto d'una specie di voragine silenziosa e vuota.
Il sole, dopo qualche ora, scomparve per lasciar posto a una tiepida nebbia autunnale, una sorta di cappa che toglieva luce e consistenza e spessore alle immobili colonne lignee piantate in terra.
Le ombre parevano asciugate dal bianco vapore, gli arbusti braccia spoglie protese ad agguantare e trascinare via il malcapitato viandante.
Oscar rimase in ascolto, lo sguardo piantato in basso, che tanto su in alto nulla era visibile.
Ascoltò…
La sorpresa fu che non s'udivano canti di uccelli e neppure il consueto rimestare di animaletti del sottobosco, topi, scoiattoli, lucertole.
Il silenzio imperava, rotto solo dall'incedere degli zoccoli sulla terra ricoperta dal morbido strato di foglie che attutiva i rumori.
L'udì alla fine.
Sollevò d'istinto gli occhi ma non riuscì a scorgere la sagoma della bestia che evidentemente volava troppo alta ma che evidentemente pareva avere contezza che sotto la coltre fitta di fronde appena diradate dall'incedere dell'autunno che spogliava i rami, ci fosse una presenza umana.
I viaggiatori potevano contare solo sulla vista e l'udito.
La bestia aveva dalla sua l'istinto.
Le strida secche…
Non pareva ci fossero bestiole da catturare e semmai l'animale avesse avuto in animo di cacciare, sarebbe stato verosimile farlo nella radura aperta, dove non v'erano ostacoli.
Invece, là sotto…
"Eccolo di nuovo!" – digrignò Alain mentre correva con lo sguardo ai compari.
Il drappello imbracciò d'istinto le baionette disponendosi in modo da accerchiare i cavalli che recavano il carico.
Dunque quel volo non visibile aveva pregio di destare il dubbio…
Oscar s'ammutolì.
Il cuore prese a correre veloce mentre lo sguardo scrutò in mezzo alle fronde.
Gli occhi non riuscirono a scorgere nulla, se non lo scorrere dei tronchi inframmezzati a felci e rovi e arbusti.
Gli occhi seguirono muti l'avanzare del drappello.
I passi silenziosi s'arrestarono.
Gli occhi fissarono le sagome ma soprattutto le baionette caricate in spalla. Trenta forse.
E poi, uno dei cavalieri recava con sé un carico assolutamente intuibile.
Una follia esibirlo a quel modo, come fosse stato un invito ad attaccare oppure a…
La freccia adagiata all'arco, trattenuta tra le dita…
Lo spunto dell'acciarino ad appiccare il fuoco…
Le dita strette il fucile…
Lo sguardo alle ombre che avanzavano, una spiccava, il corpo sinuoso e asciutto, magro.
Il sangue incendiato, tra le infinite tinte di rosso, una gradazione su tutte, capace di colpire al di sopra di tutte…
Vermiglio…
Il volto, il corpo sinuoso e asciutto…
Tutto scorse piombando addosso…
Perché?
Perché laggiù c'era lei, nata per essere così, follemente silenziosa, sprezzante, viva, libera, pura…
La negazione muta ad abbassare gli archi…
Mutò il sangue.
Mutò direzione e colore, che se fosse schizzato fuori avrebbe dispiegato la limpida chiarezza dell'acqua.
Mutò il sangue sì, in ascolto dell'innominato tremore, mentre le strida della fastidiosa bestia mutavano anch'esse, allungandosi, come avesse declinato il mutamento dell'animo, come avesse calcolato lo scorrere d'un tempo, il fallimento d'un gesto incompiuto.
La preda era sfuggita…
§§§
La legna ancora troppo giovane e umida faticava a prender calore.
I ceppi più asciutti sprigionarono corolle di scintille risucchiate verso l'alto dalle correnti morbide di brina selvaggia.
Si predisposero i turni per la veglia, a carpire i lamenti della notte, le strida di rapaci, lo sgusciare di ratti o il silenzioso accerchiamento da parte di chissà quali avversari.
La pazzia ondeggiava dischiusa a scorgere i volti, ad uno ad uno.
"Permettete?".
Lo sguardo si sollevò al giovane soldato che chiedeva venia per accomodarsi accanto al fuoco.
Gustav Dumas era alleato dei compari, ma non fino al punto da restarsene sulle sue, distaccato, calato nella sua plebea alterigia che invece gonfiava le coscienze degli altri allocchi e li obbligava a prendere le distanze dal nobile, ufficiale, per giunta donna.
Un cenno del capo…
Nessuna voglia di parlare, seppure la vicinanza del soldato richiamava alla mente le ore scorse a Brest.
Il giovane aveva cambiato aspetto, era cresciuto, ma la faccia da schiaffi, quella pareva non esser mai mutata.
"Non so come…chiamarvi!" – esordì quello ingenuo e malizioso rimestando i ceppi con un ramoscello secco.
"Come ti aggrada…" – malinconica.
"Sì…ma…".
Lo sguardo era catturato dalle lingue di fuoco che danzavano davanti agli occhi.
Faceva freddo, solo la luce pareva lambire i sensi, comunicando un poco di tepore ai personaggi immobili, come ripiegati, in cerca di calore assieme a risposte.
"Non fartene un problema…" – riprese Oscar meno brusca, ammettendo che l'altro avrebbe potuto sapere qualcosa, dunque nel fondo dell'animo nero sorgeva livido il ribrezzo verso il proprio viscido opportunismo – "Sono stata appellata in tanti modi, monsieur, messere, colonnello…comandante…persino traditrice o strega!".
Come a dire…
Che cos'è un nome?
Che cos'è un grado o un genere se non un modo per inquadrare ciascuno nel luogo e nel modo che si ritiene opportuno al solo scopo di poterci avere a che fare?
Si è davvero soltanto quel nome?
Si è davvero soltanto quel grado o quel genere?
"Tutto…" – bisbigliò tra sé e sé Gustav Dumas senza farsi udire però, che forse l'appellativo era davvero troppo, dunque si schermì scegliendo altro che gli pareva sorprendente - "Allora…se non vi spiace…preferirei mademoiselle…".
L'altra fece spallucce o meglio non batté ciglio. Nulla pareva importante, se non che quel giovane aveva conosciuto André, ci aveva viaggiato assieme e pareva meno stupido degli altri.
Un respiro fondo - "Allora…se non spiace a te…preferirei colonnello!" – siglò gelida la ridicola parentesi su come appellare una donna che vestiva da uomo, che se ci fosse stato davvero un uomo lì seduto, a scaldarsi al fuoco, sicuramente tutte quelle smancerie sarebbero cadute nel vuoto.
Gustav Dumas sussultò. Allora non era vero che l'altra non teneva conto di ciò che si pensava di lei. E non era vero che non le importasse nulla di come fosse appellata.
Scorse al profilo lieve e pulito, ombreggiato dal chiarore del fuoco.
Gustav Dumas cadde entro la verità che scura e sorprendente, di tanto in tanto aveva agitato sensi e coscienza e chissà che altro da quando aveva incontrato il damerino a Brest, e l'aveva canzonato – quella verità – sino al punto che s'era dato del pazzo, perché a forza di pensarci e ripensarci, s'era detto che quello era davvero bello.
E a lui non interessava proprio s'era un uomo.
Ma non l'aveva mai detto a nessuno, che lui stesso aveva faticato davvero ad ammettere che il damerino gli si fosse conficcato in testa e che non c'era più stato verso di scacciarlo da là.
"Colonnello…" – ripeté Gustav Dumas, mandando giù il timore d'aver recato offesa all'altra – "Sì…avete ragione…".
Che se quella avesse saputo come l'avevano apostrofata i compagni, di certo li avrebbe messi a tacere con venti frustate e quando anche non fosse stato così, di certo li avrebbe commiserati come omuncoli davvero insulsi e poco fantasiosi.
Fece per aprir bocca, il soldato giovane. Voleva dirle che allora…
Il vento respirò piano recando l'aroma di gelsomini tardivi, ortiche e giunchiglie appassite.
La nostalgia spezzava il cuore…
L'assenza bruciava…
La domanda morì sul nascere, spazzata via dall'incedere imperioso e un poco chiassoso dei compari del giovane soldato che, rompendo gli indugi, si avvicinarono andando a occupare i posti vuoti attorno alla brace calda.
L'incantevole pertugio temporale svanì come dissolvendosi alla pari della cenere soffiata via dal vento, come disgregato dalle risatacce dei compari, dalle pacche sulle spalle, dal gesticolare sghembo…
Abbassò il capo Gustav Dumas, un poco infastidito dalla fastidiosa sollecitudine dei compari a mettersi in bella vista, anche dove non fossero stati per nulla graditi.
Fece per alzarsi Oscar.
Non avrebbe messo molta distanza tra sé e quelli, ma almeno i giacigli delle tre donne erano stati sistemati dietro rocce alte, a simulare una barriera contro il vento freddo ma pure contro occhiatacce bieche.
Che alla fine dei giochi, lei era una donna…
"Aspettate!" – esordì Alain Soisson, il tono pareva mutato da quello quasi pacifico del mattino.
Oscar rimase in piedi in attesa, il respiro un poco affaticato, la spalla doleva, la coscienza annaspava del magma dell'assenza.
"Noi…ci siamo chiesti tutti se voi conoscevate André Grandier?".
La domanda esplose, secca, i compari, che pure erano curiosi, che pure avrebbero voluto anche loro sapere e che pure sapevano che Alain non era uno che ci girava tanto attorno alle questioni, sussultarono, stupiti dell'incoscienza del compagno, un poco in apprensione per il rischio di passare anche loro per comari curiose.
I piedi rimestarono a terra…
I musi s'allungarono come le orecchie…
Gli occhi si scansarono a scrutare il buio pesto e le bocche s'ammutolirono.
"Si…" – laconico, non aveva più senso girarci attorno, in fondo anche lei voleva sapere e pareva quasi che il soldato gliel'avesse letto in faccia quel desiderio sordo, soffocato dal tempo ch'era trascorso e dalle spigolosissime verità in cui s'era imbattuta.
Non accettava la sua morte.
Ma neppure colui che lei aveva incontrato durante quel viaggio, una sorta di fantasma silenzioso, che però aveva recitato alla perfezione la sua ingombrante parte sul palcoscenico di luride bettole e locande e sogni e incubi…
Le braccia di chissà quante donne l'avevano stretto, accarezzato…
E quante bocche l'avevano baciato e…
"E voi?" – chiosò lapidaria all'indirizzo del soldato che più s'era dimostrato coraggioso o forse semplicemente incosciente.
"Si…anche noi l'abbiamo conosciuto. E ci siamo domandati perché ci abbia sempre nascosto di conoscere voi…ma ora che sappiamo chi siete…".
"E chi sarei…" – ironica, un poco beffarda – "Di grazia!?".
"Una donna nobile!" – sputò Alain con sufficienza e disprezzo – "E anche molto bella se proprio volete saperlo…non credo che a lui avrebbe fatto comodo far sapere in giro che vi aveva tra le sue conoscenze!".
La chiosa s'abbatté addosso con la stessa fulminea potenza d'una saetta che schianta una quercia secolare.
Lei, Oscar François de Jarjayes era l'albero possente – o per lo meno s'era sempre ritenuto tale - abbattuto in un solo istante dalla luce sfolgorante e dal calore immenso d'una banalissima affermazione.
C'era che lei non si era mai considerata nobile, anche se lo era.
E soprattutto non si era mai vista come una donna, anche se lo era, lo sapeva ma…
Bella?!
Tutto relativo, eppure…
Una donna che non sa d'essere amata da un uomo, non avrà di che temere per la sua virtù e il suo onore. Nulla comprometterà la sua anima e il suo nome.
Nulla di lei sarà calpestato dall'amore di un plebeo o…meglio…dallo sfacciato amore di un uomo che a questo punto non ha più nemmeno importanza che sia nobile o plebeo! Lei è e resterà pura…
Che stai dicendo? Da quando l'amore dovrebbe incutere timore? Che significa che tu sei un plebeo?
Chi diavolo è allora? E' bella? E' nobile? E' una giovane del popolo? Affermi d'essere un plebeo…dunque…
Si…
Sì…cosa!?
Sì! E' bella! E' davvero...
Se accadesse a lei ciò che sta accadendo qui adesso…se mi accadesse di perdere il senno come sta accadendo…la sua vita sarebbe finita…e se la sua vita finisce…anche la mia è perduta…
Se non sa nulla di te…perché lasciare la Francia?
Perché io so di lei…sono io che l'amo!
Tu…l'ami?
Forse c'erano volute centinaia e centinaia di miglia tra acqua e terra…
E poi una guerra…
E poi quei soldati che non sapevano nulla eppure proprio per questo avevano capacità di depurare l'ovvio e l'inevitabile…
La bolla d'aria risalì velocemente inondando la gola, colpendo il respiro…
Una folata di vento…
"Voi…che cosa sapete di André?" – chiese, questa volta la voce flebile come se sapere oramai sarebbe equivalso a subire il verdetto più terribile e tranciante.
Stavolta fu Alain a scostare lo sguardo, a ficcarlo a osservare il fuoco che danzava quieto e immutabile, caparbio nel suo incessante lavorio di mutare la materia, distruggendo e rinnovando la vita.
"Poco o niente…" – ammise Alain laconico – "Si è imbarcato a Brest per andare a combattere in America, come noi, ma non pareva uno a cui importasse del salario o della gloria di vincere chissà quali battaglie. Un po' lo detestavo…devo ammetterlo!".
"Lo detestavi?".
"Pareva non si fosse imbarcato per una scelta…per una necessità di sopravvivenza! Noi si invece e non ci vanno a genio quelli che potrebbero restare a casa e vivere comunque. Noi ci siamo arruolati perché altrimenti non avremmo avuto di che dar da mangiare alle nostre famiglie!? Comprendete?".
Annuì Oscar, comprendendo l'astio verso André.
"Pareva stesse fuggendo…" – proseguì Alain tra lo sprezzante e il laconico – "Chissà da che poi?! Chissà che deve aver combinato…l'abbiamo pensato tutti!".
"La reputazione d'una donna infangata…" – gli fece eco Marcel Duval, una eco un poco piccante e provocatoria – "Un marito o un fidanzato troppo gelosi che gliel'avrebbero fatta pagare…".
Negò Alain, di fronte agli altri ma anche di fronte a lei.
Lo scenario pareva assurdo e falso, e quel ch'era ancora più assurdo era che, semmai, sarebbe stato uno scenario oltremodo banale.
Sussultò Oscar perché era ciò che anche lei s'era immaginata, e parimenti anche per lei nulla era più idiota e assurdo e lontano da ciò che era stato André.
"No…la storia della gelosia non ha senso!" – chiosò Alain sprezzante, che poi c'era da capire se il disprezzo era riversato addosso alla presunta codardia di André o, al contrario, alla sua pretesa integrità d'animo, che anche quella non andava evidentemente troppo a genio ai compari – "Non s'addiceva a uno come lui!".
"Che…intendi?" – respiro mozzato, Marcel e Dante drizzarono le orecchie per comprendere tutti gli strani passaggi, che l'altra pareva sulle spine ma nulla sgusciava dalla bocca.
"Intendo che tranne che a voi…a Brest…" – Alain si voltò verso Oscar, lo sguardo severo declinò un'imbarazzante declinazione sensuale, come a farla breve, spiegando, muto, a cosa diavolo tutti stessero pensando, lì, un quel momento – "Lui non s'è mai azzardato ad avvicinarsi ad altri! Né uomini né donne intendo! Che io sappia! Dannazione! Noi pensavamo che a quello le donne non piacessero neppure ma evidentemente non è così!".
La chiosa s'abbatté sulfurea, che Oscar dapprima avvampò, che era vero ciò che diceva il soldato Alain Soisson. O meglio, Oscar non aveva idea se lo fosse ma sapeva ch'era vero.
L'unica era stata lei, la mano stretta nella mano, il corpo a pararsi davanti a quello dei due soldati arroganti.
Che André lo sapeva fin troppo bene che a lei non piaceva affatto essere protetta, essere difesa…
Una dannata idiozia immaginarsi debole e in preda alla scelleratezza dei due demoni…
Eppure…
Oscar deglutì, ogni pezzo dell'assurda storia pareva andare al suo posto, inspiegabilmente era sempre stato al posto che gli competeva. Solo, ciò che mancava era il tassello del volto di una donna…
Un'unica donna…
"E adesso che lo sappiamo…chi diavolo siete intendo…" – Alain si fregò le mani al fuoco – "Voi siete stata l'unica! Diavolo d'un Grandier!".
Folate di vento vorticarono sentore d'acqua marcia…
Un'altra chiosa tranciante…
Com'era possibile che lei, al contrario, aveva incontrato giovani donne che ne avevano lodato la galanteria, la dolcezza…
"Poi però…dopo…a Ponta Delgada…".
"Che cosa è accaduto?" – chiese Oscar senza lasciar terminare l'altro – "Ho scoperto che…è stato…".
"Picchiato!" – sputò Dante Renard, tirando un sasso in mezzo al fuoco, come a scaricarsi da dosso la rabbia.
"Chi è stato? Perché?" – che lei fece un passo, tornando ad avvicinarsi, il fuoco lambiva il volto, l'azzurro dello sguardo era divenuto brace nera…
"Che v'importa?" – digrignò Alain che iniziava a mal sopportare il continuo lambire la vita del compagno perduto da parte di quella donna nobile – "Chi era per voi? Se lo conoscevate…dovreste saperlo perché ha lasciato la Francia!?".
La contestazione lacerò la coscienza. Lei non lo sapeva ma forse cominciava a intuirlo. E lo stupore era di poco inferiore alla rabbia per non aver mai compreso.
"Lo conoscevo da tanti anni!" – gridò, seppur trattenendo le lacrime – "Non mi ha voluto spiegare perché è partito. Anch'io lo stavo cercando e a Brest gliel'ho chiesto!".
"Beh…se non lo sapete voi!" – contestò Dante – "Che dite di conoscerlo da tanti anni…perché mai dovremmo saperlo noi!? E se gliel'avete chiesto e neppure con voi ha detto una parola…".
Alle spalle…
I soldati ch'erano di guardia raggiunsero il chiarore del fuoco gridando di stare all'erta…
Chi era André…
Chi era André…
Chi era André…
Chi era per te…
Spazio e tempo ormai immensi a dividerla da lui, parole assurde, contrastanti, labili e possenti, come cocci di vetro da cui tentava di difendersi ma che pure lambivano e graffiavano…
Fersen e gli altri ufficiali di scorta piombarono fuori, radunandosi.
Le sentinelle s'avvicinarono riferendo del sopraggiungere di cavalieri dallo stesso sentiero che avevano percorso loro.
Difficile immaginare che fossero avversari che tendevano un agguato, troppo avventato farlo dalla stessa strada usata poche ore prima.
Gli ordini imposero di armarsi e schierarsi ad attendere…
Poche miglia…
S'avvicinarono le grida, spiegando la foga e l'azzardo nonostante il buio…
"Non sparate! Sono francesi!" – ordinò Fersen.
Negli istanti successivi i respiri si bloccarono, chissà quale doveva essere il motivo per cui un drappello di soldati francesi aveva lasciato Fort Awegen per raggiungere il plotone ch'era partito nemmeno ventiquattro ore prima.
Chesapeake…
Il nome risuonò almeno tre volte…
"Colonnello Fersen…de Grasse è riuscito a sconfiggere gli inglesi a Chesapeake!" – il luogotenente sull'attenti sputò il messaggio in un solo respiro.
La ragione della fretta era tutta lì. Dunque a sud l'esercito continentale stava avendo la meglio mentre la flotta francese di supporto a quella americana dettava il passo verso la vittoria anche in mare.
"Quando è accaduto?".
"Il cinque settembre! Era necessario che voi lo sapeste. Il combattimento si sposterà verso Yorktown. La flotta francese è riuscita a bloccare i rifornimenti alle truppe inglesi via mare…e se le truppe di terra otterranno lo stesso risultato…gli inglesi non potranno continuare a opporsi a lungo! Dovreste…ecco…sono stato comandato di richiedere la vostra presenza a fianco di de Grasse! In questo momento ogni contingente potrà contribuire alla vittoria!".
Respiri di sollievo si susseguirono tra i soldati che si guardarono in faccia…
"Diavolo!" – sputò Marcel – "Mi manca quella dannata puttana! Con quel suo odore di marcio e di pesce!".
"Che…" – balbettò Gustav Dumas – "Intendi!?".
"Che mi manca Parigi! I vicoli puzzolenti, le donne scosciate sull'uscio delle bettole…mi manca quello schifoso fiume che però…scorre…dannato fiume…e solo adesso mi rendo conto che mi ha sempre fatto compagnia, da quando sono nato…se davvero questa dannata guerra finirà…potrò tornarci! E allora…".
I compagni del drappello che venivano tutti da Parigi si ritrovarono quasi catapultati indietro.
Dannata Parigi…
La mente portava sempre là, l'unico dubbio, se tutto nella capitale era rimasto come l'avevano lasciato, l'unica paura che tutto fosse mutato in realtà, che tutto fosse proseguito, come la vita va inevitabilmente avanti e loro fossero ancora aggrappati alla stessa città che rammentavano da quando erano partiti.
Proseguì il messaggero - "Siamo stati raggiunti da un luogotenente della flotta che si trova davanti alle coste di New York, recava una lettera per il Colonnello Oscar François de Jarjayes…".
L'altra si fece avanti e dietro a lei, silenziosa come una creatura del bosco che non può far rumore se non vuol esser catturata e distrutta, la giovane indiana, che aveva udito la sequenza di notizie e tra le tante parole aveva catturato l'unica che le interessava.
New York…
Era una missiva di Victor Girodel…
Un respiro fondo, la carta scricchiolò silenziosa tra le dita.
New York 8 septembre 1781
Mio Egregio Colonnello Jarjayes
Avrai appreso della vittoria della flotta francese a Chesapeake.
Il destino volge al meglio dunque e ho quindi maturato la decisione di lasciare la flotta per scendere a terra.
Il Capitano Lemonde ci ha informato che a questo punto la città di New York non è più obiettivo fondamentale, dal momento che se gli inglesi verranno sconfitti a sud, di certo dovranno ripensare a tutta la loro strategia e decidere di scendere a patti con la coalizione.
Le battaglie si stanno spostando verso Yorktown e poi sarà la volta di Charleston e poi forse Boston.
Preferisco raggiungerti.
Aspettami…
Victor Girodel
"No!" – brivido secco, negazione soffocata come se l'altro fosse stato lì.
La testa aveva preso a dolere di nuovo, pulsava sciocca…
La nausea saliva…
Doveva sapere…
Doveva vedere…
Non poteva attendere altro tempo…
"Proseguirò…non attenderò né tornerò indietro!" - la mano che teneva la lettera ricadde giù…
"Che diceva!?" – l'implorò Lua afferrando l'altra per il braccio, tentando di afferrare la lettera. Gesto inutile che tanto lei non sapeva leggere - "Era Victor?".
Le domande esplosero nella testa - "Non ti riguarda!" – sputò asciutta l'altra, infastidita dal continuo ondeggiare degli eventi e delle decisioni di altri che lei non poteva controllare. Non aveva potere su nulla, ecco qual era davvero il senso della sua esistenza.
I soldati tornarono a sedersi…
Fersen consentì ai messaggeri di rifocillarsi e riposarsi.
"Non voglio lasciati partire da sola" – s'impose il conte – "Rinuncia…torniamo assieme verso la costa e poi andiamo a sud…anche il tuo intuito sarà di grande aiuto per la vittoria! Io devo tonare!".
"No! Non tornerò adesso! Non t'impedirò di farlo ma io…".
Strideva la stizza di Oscar François de Jarjayes nell'intenzione di proseguire, senza fermarsi, come avesse avuto in animo di scivolare giù in un baratro infernale che però non aveva ancora trovato.
Fersen ripose la missiva. Osservò l'altra ammettendo che non avrebbe potuto lasciarla andare sola. Un misto di tenerezza e sorpresa agitava il ricordo dell'altra, severa e sempre glaciale di fronte alla sfida del destino, e la visione presente, quella d'una creatura che diveniva via via sempre più evanescente e lieve e terribilmente distante.
"Vorrà dire che disobbedirò agli ordini!" – sentenziò un poco ironico il conte, immaginandosi che l'altra avrebbe reagito cessando l'ostilità e scendendo a più miti consigli.
No, dura da scalfire…
"Lo ripeto! Non è necessario! Sono in grado di badare a me stessa!" – ruggì severa…
"E sia, questo non l'ho mai messo in dubbio! Ma io sono l'unico a conoscere certi luoghi e tu non mi lasci scelta! Per mostrarteli sarò costretto ad accompagnarti!".
"Fersen…" – che l'altra era furiosa e al tempo stesso intimidita dal consenso a quello che a tutti gli effetti appariva ormai solo come un capriccio.
"Non preoccuparti" – respirò piano Fersen – "Avvertirò de Grasse che raggiungerò Yorktown al più tardi entro un paio di settimane…".
Il sonno agitato recò con sé la mescolanza degli eventi e delle parole e dei giudizi.
Tutto rovesciato addosso, quasi a togliere il respiro.
La guerra proseguiva…
La guerra sarebbe terminata prima o poi…
Due settimane…
André…
Lui non sarebbe tornato.
§§§
L'alba sprigionò tenui sprazzi di chiarore rosato, via via più intenso mentre l'astro maggiore s'innalzava, rincorso da nubi scure, bordate di vapore vermiglio.
Le dita strinsero forte le redini mentre il drappello riprendeva il viaggio e il pensiero correva veloce al luogo sconosciuto, immaginato solo nella mente ch'era stanca, distrutta dall'attesa e dalle miglia percorse.
Lo sguardo tentò di scorrere al paesaggio imponente, strade inghiottite attraverso tortuose feritoie tra le rocce, avvolte dalla vegetazione spessa e nera, querce, ontani, larici, abeti.
Tappeti di foglie morte ad attutire l'incedere degli zoccoli…
Nei rari gruppi di case abitate si scorgevano contadini, bambini con il moccio al naso, giovani pellerossa in abiti occidentali.
Tutto pareva ordinato e povero.
Tutti parevano come bestie in gabbia, una gigantesca riserva che la magnanimità del sovrano inglese aveva concesso a coloro che da secoli avevano abitato quelle terre.
C'erano anche famiglie di coloni, qualcuno si fermava a osservare il drappello che incedeva lungo il sentiero. Occhi infossati, mani nere, vestiti semplici. Correva nell'aria l'odore della legna bruciata mista a sterco di animali, pelli conciate, carne arrostita.
Dunque quello era il nuovo mondo.
La guerra sarebbe presto volta al termine.
La pace…
Nulla di essa si leggeva negli occhi di quelli che restavano muti a osservare il passaggio del drappello.
Nulla se non il rancore dei vinti.
Chissà se qualcuno aveva mai pensato che contro il rancore dei vinti, contro la soppressione di un popolo, non esiste alcuna pace.
Il respiro si perse all'apparire del profilo della destinazione.
Una specie d'imponente e popolato villaggio che si stendeva ai piedi del pendio, circondato alle spalle da docili colline che via via s'innalzavano verso materie rocciose più scure, striate di boschi neri e pietre giallastre.
Stonava di nuovo la straordinaria quiete del paesaggio mentre dal cielo scivolavano sparute lacrime rosse, abbracciate a evanescenti raggi del sole morente.
Dal groviglio di stamberghe sapientemente posizionate all'esterno della cerchia abitata, spuntavano alcuni edifici in muratura evidentemente più importanti, forse abitati da coloro che si ritenevano tali, quelli che avevano portato la civiltà dell'ordine entro le selvagge terre americane.
"Andremo domani…" – propose Fersen accostandosi al cavallo dell'altra intuendo il progressivo disfacimento delle forze, come se quel viaggio, ormai giunto al termine, avesse davvero rappresentato il baratro infernale entro cui svanire.
Ma che razza di baratro era quello!?
Un anonimo villaggio, dispiegato entro terre altrettanto sconosciute, circondato da banalissimi campi di rovi ed erbacce incolte, variamente ricoperti di arbusti più o meno secchi, a nascondere pietosamente lo squarcio provocato da un'esplosione che aveva inciso la terra, ferendola, e la cicatrice adesso stava lì tra le pietre e i sassi, l'odore di bruciato intriso nell'aria, come se mai nessun tempo e mai nessuna pioggia avrebbero avuto forza di lavar via il sentore della morte da quel luogo.
Che luogo assurdo per andarci a morire!?
Nessun onore…
Nessuna menzione d'eroismo…
Nessun pegno d'amore…
Nessun ricordo, se non quello d'una rosa stretta tra le mani d'una povera vecchia e donata a Notre Dame.
"No…" – un soffio di voce, obiezione febbrile – "Non ho fatto tutta questa strada per andare a rifugiarmi altrove…".
Se non qui…
Se lo disse Oscar…
Qui…
Il drappello si arrestò. Fersen ordinò ai soldati di proseguire e mettere in salvo la polvere da sparo perché minacciava pioggia e davvero quella sarebbe stata più deleteria di qualsiasi assalto indiano o inglese che dir si volesse.
I soldati mugugnarono riprovazione. Anche quelli avrebbero voluto vedere, ascoltare il muto grido della morte che aveva spazzato via i compagni.
Tra quelli c'era André, che non era più tornato.
Che idiozia! Imbarcarsi dalla Francia per andare a combattere in America e poi finire i propri giorni saltando in aria per difendere un carico di polvere da sparo!
Una morte davvero assurda…
Ma in fondo, potrà mai una guerra riservare una qualsiasi morte che non sia assurda!?
Che morire per via d'una guerra è già di per sé assurdo!
Alain si oppose all'ordine di Fersen.
Addusse che i compagni sarebbero stati più che sufficienti a scortare il carico per le poche miglia che li separavano dalle porte della città.
Preferiva restare.
Fersen annuì mentre i cavalli riprendevano il docile avvicinamento allo squarcio nero.
Iniziò a piovere…
Tutti…
Tutti hanno sempre detto di sapere chi sono…
Tutti a dirmi che mi conoscono…
Pensieri erranti…
Lo sguardo fisso alla spianata sporca.
Sparsi qua e là resti di un carro, ruote sbranate dall'esplosione, un acciarino d'una baionetta abbandonato e ormai corroso dalla ruggine.
Tutto si dilatava in una pozza di magma rosso…
Uno straccio impigliato tra gli sterpi…
Oscar scese da cavallo, le dita lasciarono le redini, l'animale s'arrestò, quasi incapace di proseguire, le narici infastidite dall'odore della carne morta che ancora impregnava la terra e l'aria.
La pioggia s'infittì.
Rossa come la terra nera e rossa, che gli occhi presero a cercare, brulla e vuota, la tomba d'un corpo che non esisteva più.
Sì perché lei aveva cercato la sua essenza, che era gesto, pelle sfiorata, voce, un passo, mezzo passo dietro a lei.
Ora tutto sarebbe svanito come l'ultimo raggio di sole morente.
I passi condussero al brandello di stoffa.
Si chinò a toccare lo sporco sudario, forse un tempo una candida camicia. Quella di André o di chissà chi…
Implosero le forze e i sensi…
Non riconosceva la stoffa ormai corrosa dal tempo, straziata dall'esplosione che non aveva lasciato scampo.
D'improvviso gli occhi si colmarono d'un guizzo veloce.
Sussultò Oscar mentre lo sguardo scorse l'ombra roteare davanti a sé.
Poco distante, vide un arbusto secco, lo scheletro pietrificato dalla forza del fuoco.
Scricchiolò un poco quello, sotto il peso della bestia che s'appollaiava sopra.
Lo stridio la sorprese, come se l'animale fosse arrivato sin lì, in attesa…
Chi sei?
La domanda assurda sgusciò muta…
Glielo chiese Oscar, immaginando che l'animale non fosse davvero una bestia selvatica ma chissà quale anima perduta e reincarnata.
Pioveva…
Lacrime di sangue…
Il falco aggiustò la posa sul ramo secco, sprimacciando le ali, intonando un fischio più acuto, fissando l'altra come se davvero la conoscesse.
Quasi le stesse rispondendo…
"Brutta bestiaccia!" – un sibilo alle spalle…
Il tempo di voltarsi un istante, Oscar vide il Conte di Fersen appoggiare la baionetta a terra e spronare l'acciarino ad appiccare la polvere da sparo.
No…
La voce non uscì…
Oscar vide Fersen prendere la mira così pure Alain…
Si voltò tornando al falco…
"Chi sei?" – gridò come se la mente avesse perduto per sempre il senno, come se quella bestia fosse stata davvero una creatura divina e lì, nello sguardo ambrato, acuto e feroce del falco, vi fosse imprigionato l'altro...
Forzò la voce come fosse l'ultimo grido d'aiuto a lui - "Vattene!".
Gridò, come a dirgli, a lui, di andarsene, fuggire, perché lì, in quel luogo non avrebbe trovato che morte certa.
Un tempo gli aveva chiesto di restare e ora gli gridava di fuggire.
Oscar iniziò a correre, agitando le braccia, per spronare l'animale ad andarsene…
Il falco all'ennesimo saltello aprì le ali, un guizzo, un fischio…
Si sollevò appena in tempo, prima che gli spari piombassero a distruggere il povero ramo rinsecchito.
Poche battute d'ali e la bestia riuscì a incrociare una corrente favorevole così che, seppur planando bassa, quasi a sfiorare la terra, distanziò il tiro dei fucili.
Poco dopo l'animale virò verso l'alto, uno stridio quasi beffardo all'indirizzo dei due uomini ch'erano rimasti lì a terra, fermi, mentre la pioggia inondava il terreno, ghiacciando rabbia e muscoli.
Oscar François de Jarjayes non ebbe modo di chiedere perché Fersen volesse abbattere quel falco.
Il buio scese sul paesaggio mentre il cuore piano piano rallentava la sua corsa quasi fermandosi.
Dunque il viaggio era terminato. Ciò che lei aveva cercato in tutto quel tempo, altro non era che una distesa di terra brulla, macchiata di sangue.
Tutti…
Tutti hanno sempre detto di sapere chi sono…
Tutti a dirmi che mi conoscono…
Tu…
Chi sei?
Forse solo André sapeva davvero chi ero.
Forse solo lui avrebbe potuto dirti chi pensi di essere…
Chi mai potrà confortarti adesso?
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