While I sit here trying to think of things to say
Someone lies bleeding in a field somewhere
So it would seem we've still got a long, long way to go
I've seen all I want to see today

While I sit here trying to move you any way I can
Someone's son lies dead in a gutter somewhere
And it would seem that we've got a long, long way to go
But I can't take it anymore

Turn it off if you want to
Switch it off, it will go away
Turn it off if you want to
Switch it off or look away

While I sit and we talk and talk and we talk some more
Someone's loved one's heart stops beating in a street somewhere
So it would seem we've still got a long, long way to go, I know
I've heard all I want to hear today

Turn it off if you want to (turn it off if you want to)
Switch it off, it will go away (switch it off, it will go away)
Turn it off if you want to (turn it off if you want to)
Switch it off or look away (switch it off or look away)

Long long way to go

Phil Collins

Nec sine te, nec tecum vivere possum

Ovidio,

Amores, 3, 11B, 7

Marino

Rosa…

Rosae…

Rosae…

Rosam…

Rosa…

Rosa…

La mocciosa aveva la faccia annoiata.

Le gambette ciondolavano da sotto il tavolo, la schiena appoggiata alla sedia, la posa stanca più che rilassata.

Il capo reclinato, i riccioli immobili…

La mano destra invece accarezzava il tavolo, il braccio allungato appoggiato sopra, i muscoli appena flessi così che le dita avevano forza di reggere la piccola remigante e d'istoriare svogliate lettere, componendo la sequenza sibillina, la declinazione corretta del carnoso fiore.

La mocciosa però era zitta e muta.

La voce che s'udiva declinare la rosa era quella di André che, alle spalle, era entrato e per ordine di nanny, stava sistemando alcune rose in un vaso ricolmo d'acqua.

In realtà l'incarico era riempire il cristallo senza romperlo.

Poi però nanny era corsa via in cucina, odorando il sinistro sentore dell'arrosto che languiva nel forno sprigionare il saporito e familiare bruciacchiato che tanto faceva la gioia del nipote e della sua bambina, che i due amavano piluccare le crosticine di carne più cotta, disdegnando quella rosata e cruda custodita nel cuore del rotolo.

Così André s'era ritrovato da solo e aveva deciso di farsi coraggio e sistemare i fiori, facendo attenzione a non bucarsi le dita.

Rosa…

Rosae…

Rosae…

Rosam…

Rosa…

Rosa…

Rosae…

Rosarum…

Hai terminato!? – aveva chiesto sarcastica la mocciosa senza voltarsi, forse infastidita del fatto che l'amico pareva aver imparato la declinazione meglio e più in fretta di lei.

Ancora tre ros-AE! – aveva scandito André come a canzonare l'altra, che lui, sveglio com'era, s'era permesso d'imparare anche il sacrosanto plurale, anche se lui il latino non l'aveva mica studiato.

Ma certo a forza d'ascoltare la tiritera dell'amica…

Il corpicino asciutto e magro della bambina, punta nell'orgoglio, era scattato allora e la mano aveva preso a scrivere forsennata, più in fretta, più veloce dell'insolente voce dell'amico che pareva prenderla in giro, perché a lei il latino piaceva così così, mentre lui s'era impadronito facilmente o forse banalmente del musicale ritornello.

Quale rosa preferisci?

André aveva terminato di sistemare i fiori e s'era messo in ginocchio sul sedile della sedia posta di rimpetto a quella dell'altra, i gomiti sul tavolo, il busto allungato a sbirciare gli scarabocchi.

Oscar aveva sbattuto la mano sul quadernetto, per coprire gl'insultanti ghirigori della povera lingua morta.

André aveva sorriso - Dai, quale preferisci…

Uno sbuffo…

Oscar s'era voltata, la penna s'era dispiegata a indicare d'istinto la macchia bianca posizionata alla sinistra del mazzo variopinto.

Tre rose bianche…

Si, lo immaginavo…- André pareva sapere tutto, le faceva rabbia…

No, allora dico quelle là! – la penna aveva virato capricciosa in direzione delle corolle amaranto.

No, non ti credo! Vale la prima risposta!

Sei stupido! Io posso darti tutte le risposte che voglio!

André era un poco più grande. Solo un poco.

Aveva osservato l'orologio. Erano quasi quattro ore che Oscar era lì, su quella sedia, a declinare rose e rose e rose e ancora rose.

Ossia, non certo sempre le stesse rose, ma sempre sostantivi compari della prima declinazione.

Era annoiato lui, figuriamoci lei.

Hai terminato no!? – aveva abbozzato André, che stavolta però era serio e chiedeva conto all'amica dei suoi progressi, così che prima avesse finito, prima sarebbero corsi a combinare guai.

No! E poi non posso alzarmi finché non sono le cinque, lo sai anche tu!?

Ma sono le cinque, sciocchina, non vedi!?

Che dici? Sono le…

Oscar s'era voltata…

Le orecchie avevano da poco intuito i sedici rintocchi del pomeriggio, dunque non le pareva che fosse trascorso poi così tanto tempo e nel frattempo aver composto solo tredici sequenze della disgraziata declinazione.

Lo sguardo s'era sbigottito, la pendola segnava le diciassette.

Pochi istanti e i rintocchi avevano invaso la stanza.

Ma che hai fatto? – sbalordita, la mocciosa aveva interrogato l'amico e quello era scivolato giù dalla sedia e s'era avvicinato e le aveva tolto la penna dalla mano appoggiandola sul vassoietto e aveva chiuso il quaderno e l'aveva presa per mano.

Sono le diciassette mon ami!

Ma non è vero! – aveva protestato l'altra scendendo dalla sedia – Se ci scoprono…

E come potrebbe accadere!? Sono le diciassette in tutta la casa!

Le diciassette…in tutta la casa?!

"Le diciassette…" - la parola scandita piano…

Il ricordo del buffo espediente ideato per consentirle di guadagnare mezz'ora di libertà…

André era riuscito a spostare le lancette delle pendole e degli orologi di tutta la casa.

Sei o sette, Oscar non rammentava…

Che cos'era dunque il tempo se non l'inevitabile segmentazione di gesti quotidiani e così disgregazione della memoria, dei ricordi, delle persone!?

Istanti frammentati che scorrono. Si attende che giungano e poi non appena una pendola li scandisce sono già scomparsi.

Cos'era dunque importante?

Il passato, il futuro…

Oppure il presente?

Come viverlo il presente, s'esso era stritolato tra il passato ormai scomparso e il futuro buio!?

Che cos'era il tempo quando ci s'immaginava di prendersi gioco di esso ma no, non era possibile, perché la sua mano nera e dura non lasciava scampo, inghiottendo tutto, volti, respiri, parole!?

Da tutto ci si poteva distogliere, tutto si poteva eliminare dalla vita, ma non il tempo. Esso era lì, muto artefice dei destini degli uomini, spettatore senz'anima a cui non ci si sarebbe potuti né affidare, né distogliere.

La ricerca era finita.

La Storia era mutata e nulla sarebbe mai stato come prima.

Il corpo era stranamente rigido, come piombato entro una veste di ferro.

Provò a muovere le braccia, parevano di ghiaccio, le gambe quasi non le sentiva.

La voce giunse dapprima lontana, poi vide il volto.

Madame Roma sorrideva, d'un sorriso un poco sarcastico, quasi che, avendola ormai conosciuta, la donna avesse saputo bene che l'altra aveva la pelle dura e che sì, il destino aveva compiuto il suo dannato corso, ma poi la vita sarebbe proseguita e Oscar François de Jarjayes avrebbe continuato a vivere, caparbia e senza dare scampo a se stessa.

Nessuna Storia avrebbe mai potuto piegarla e avere la meglio.

A una donna del genere il destino aveva chiesto d'essere forte e il fato aveva donato sufficiente saldezza d'animo.

Esattamente su quella Madame Aleksandra Roma Lemonde avrebbe contato.

Se non che, in quella storia, mancava un personaggio e Madame Roma non era certa che quell'assenza avrebbe indotto l'altra a mantenersi intatta e pura oppure a modificare di colpo aspetto e indole.

Chi era quel personaggio?

Roma aiutò Oscar ad alzarsi. Le appoggiò una giacca sulle spalle.

Faceva freddo, anche se l'edificio, a una più attenta scorsa, era fatto di mattoni, nulla a che vedere con la capannetta tarlata di Fort Awegen.

"Siamo ospiti d'una gentile famiglia che si è offerta di darci riparo. A noi intendo e agli ufficiali di cui siamo al seguito. Sei svenuta…che è accaduto…".

"…".

"Beh…sei rimasta in questo stato per ben due giorni! E nel frattempo Monsieur Victor Girodel ci ha raggiunto. Dovevi vedere che faccia!".

Nessuna parola…

Il nome indusse una sorta di conforto misto a disprezzo.

Victor Girodel sapeva sempre tutto o almeno così pareva che fosse.

Per quanto tale atteggiamento indispettisse, Oscar convenne che almeno con Victor non avrebbe avuto necessità di spiegare nulla, esporre lo stato d'animo, esibire particolari e sensazioni che nemmeno lei comprendeva.

Sapeva solo che la ricerca era finita.

E la considerazione straniva e distruggeva.

Nessun sollievo ma solo caduta inevitabile entro il baratro della certezza.

La certezza appare spesso meta finale, senza immaginare ch'essa può essere dura e inappellabile.

Madame Roma continuò il suo racconto allungando all'altra una tazza di tè fumante.

Le dita fredde afferrarono il piattino. Erano talmente fredde che il calore della porcellana ci mise qualche istante prima d'essere prosciugato dalle membra infreddolite.

Il tepore della bevanda calò giù nello stomaco con la stessa furia d'un vino invecchiato, d'un whisky altrettanto decrepito.

Il calore indotto prese a dilatarsi e a restituire un poco di sensibilità all'intelletto e alla coscienza, così che Oscar s'accorse della particolarissima distribuzione dei mobili nella stanza.

Due ampi armadi coprivano due pareti, nella terza era ricavato un camino da cui si sprigionavano fiamme compatte e calde.

Una robusta grata di ferro impediva alla cenere e alla brace di scivolare giù a terra, particolare importante dato che il pavimento era ricoperto da tappeti spessi, istoriati da scene di battaglie amorose e caccie campestri.

Comprese che si trattava d'una specie di sartoria, sul tavolo v'erano alcuni rotoli di stoffe, un paio scure, forse tessuto di lana, il terzo d'uno splendente blu marino, serico ma freddo, che indusse i muscoli a rattrappirsi colti da un brivido chissà se di ghiaccio o di terrore.

La stoffa era sensualmente splendida, assolutamente avulsa da ogni suo più recondito istinto, cresciuta com'era lei tra uniformi, alamari, distintivi, fondine, cinture, cuoio…

"Che posto è questo?" – chiese alla fine.

"Si…hai visto dove siamo finite!? Allora…siccome eri davvero in pessimo stato, la padrona di casa ha pensato bene di ricavare un giaciglio in questa stanza. Da queste parti non ci sono atelier di modiste o sarte dove far confezionare abiti, e le famiglie benestanti, quelle che orgogliosamente devono le loro origini alla devota e integralissima Inghilterra, ospitano le brave stiliste che si prodigano a prender misure e cucire appunto le vesti. Le distanze tra una città e l'altra sono enormi e sarebbe assurdo ordinare un vestito e compiere miglia e miglia per andare a recuperarlo. Questa è una delle stanze più calde e accoglienti della casa, dove la sarta si apparta per cucire l'abito. Ci lavora giorno e notte per far presto! E poi sai che cosa ho scoperto!?".

Madame Roma gongolava. Era una donna fredda all'apparenza, poco incline a lasciarsi corrompere da vezzi e merletti e pizzi, ma forse, in fondo, anche lei non era poi così insensibile alla cultura del bello, alla possibilità, almeno per una volta nella vita, di ritrovarsi calata in un abito che non la facesse sembrare una guerriera d'Oriente.

Negò Oscar François de Jarjayes.

Come avrebbe fatto a sapere cosa diavolo aveva scoperto l'altra, s'erano due giorni ch'era raggomitolata in quel letto alla ricerca d'una dannata spiegazione a ciò che era accaduto!?

Roma scostò un drappo di stoffa scura, liberando i riflessi azzurrati d'un abito adagiato s'una seggiola.

La tonalità era la stessa della stoffa arrotolata. Pareva che il fuoco dal camino sarebbe spiccato fuori da un istante all'altro per schioccare la greve scintilla a rapire e impadronirsi del tessuto e divorarlo, come un amante divora l'amata.

"Ebbene…pare che tra qualche giorno si terrà una specie di ricevimento…".

Oscar François de Jarjayes abbassò gli occhi al liquido ambrato, le dita strette alla tazza, che le importava d'un ricevimento.

"E i due bellimbusti, Monsieur Girodel e Monsieur Fersen, quando si sono incontrati…dovevi vedere che facce!? Si sono guardati in cagnesco! Molto rispettosi certo…Monsieur Girodel si è informato della tua salute e Monsieur Fersen è stato oltremodo generoso a rendere partecipe l'altro delle tue vicissitudini. Ma insomma…io sono rimasta a guardare…mi parevano sulle spine entrambi! Come se avessero intenzione di cogliere l'occasione…ma non sapessero bene come comportarsi! Parrebbero entrambi due spiriti nobili e liberi, ossia senza necessità di domandare a nessuno il permesso di…".

"Non so a cosa tu ti riferisca!" – tentò di tagliar corto l'altra, disattenta ma poi non troppo.

"Di corteggiarti!" – affondò Roma, che Oscar François de Jarjayes abbozzò uno sguardo stupito, a metà tra il commiserevole e il terrorizzato.

"Io invece credo proprio che tu lo sappia!" – replicò Roma sorniona – "Anche un cieco si sarebbe accorto che i due gentiluomini sono gelosi l'uno dell'altro…".

"Gelosi!? Di chi?" – di rimando, di getto, che s'accorse d'aver detto una sciocchezza, tale da consentire all'altra d'inoltrarsi là dove avrebbe voluto fin dall'esordio, là dove mai sarebbe voluta scivolare lei stessa.

Madame Roma Aleksandra Lemonde era fiera di sé e della propria capacità d'eloquio.

Non azzardava mai una tesi, ma gettava la parola capace di attirare l'attenzione dell'interlocutore e affondare e affondare l'altro entro il ragionamento.

Così come non coglieva mai più del necessario da ciò che altri raccontavano.

Sceglieva l'indispensabile al proprio tornaconto, né una parola in più, né una in meno.

"Ma di voi…mio caro colonnello!".

"Che stupidaggine!".

"Ebbene, sarà anche una stupidaggine ma devo ammettere che la loro gelosia alla fine ha reso gelosa anche me!".

"…".

"Ma sì! Tutte le attenzioni sono per voi! Nessuno ormai si degna di corteggiare una dama avvizzita come la sottoscritta! E sì che sono ancora piacente…sono una donna di spirito…comprendo l'ironia…mi diletto di poesie…ho conosciuto re e regine di mezzo mondo…le loro abitudini, i loro vizi e le loro virtù…sai…non sembrerebbe ma re e regine sono colmi di virtù!" - la chiosa sprizzò un poco ironica - "Se non fosse che essendo re e regine…questo è già da sé unico e deplorevole vizio capace di cancellare qualsiasi orgogliosa virtù!".

"Dunque Madame Roma finalmente scopre le carte! Siete devota alla famiglia reale ma non troppo. Giurereste fedeltà al vostro sovrano ma forse…non sia mai che questo finisca per compromettervi…e infine sareste gelosa…di me!?".

Però poi si stupì Roma, d'essersi spinta così oltre. Accadeva di rado.

Non comprendeva come mai all'altra ci si ritrovasse a rivelare tutto di sé, come se non se ne potesse fare a meno.

Come se l'altra, in fondo e senza colpo ferire, conoscesse il prezzo dell'anima di ciascuno, mentre lei – Madame Aleksandra Lemonde – s'era sempre considerata senza prezzo.

La giovane donna soldato attirava su di sé qualsiasi acuto ingegno, così come qualunque vanesio gaglioffo. Tutti ai suoi piedi a parlar di sé, come se all'altra fosse importato qualcosa, come se ottenere l'attenzione dell'altra fosse già di per sé una stupefacente conquista.

"Oh…che sciocchezze!" – le mani agitate a scacciare l'insolita visione – "Sono stata educata a conversare amabilmente…ho viaggiato per terre e per mari ormai da una vita…sono abile a difendermi…insomma…un poco ti assomiglio no!? E dunque non comprendo il motivo per cui ogni gentiluomo che t'intravede…ecco…però lo ammetto…non sono più così giovane!".

Un moto di riso si strozzò in gola, inducendo Oscar François de Jarjayes a sollevare lo sguardo.

Il discorso morì lì…

"Voglio uscire. Oltre a quella specie di drappo setoso e oserei dire irriguardoso, c'è un abito che possa indossare?".

"Colonnello…".

Roma pareva farlo apposta…

Perché si ostinava a declinare il suo grado!?

"Perché non provate a indossarlo invece!?" – la domanda calò giù come la spada cala sulla nuca del condannato a morte – "Non per uscire s'intende! Solo per farmi contenta! Nessuno vi vedrà. Ma è mai possibile che non ti sia mai venuto il desiderio d'osservarti con un vestito che renda giustizia alla tua bellezza!?".

"Non sia mai! Non indosserò mai un abito del genere…e adesso se permetti…".

"Sei testarda! Non è nemmeno cucito! Sai…le grandi dame d'America…" – ridacchiò Madame Roma all'ossequioso ossimoro ironicamente sciorinato – "Ho saputo che qui si usa cucire addosso i vestiti come in Francia. Altrimenti sarebbe troppo costoso e oltretutto ci s'impiegherebbe troppo tempo ad aggiungere lacci e ganci per consentire di toglierlo a piacimento! Addirittura pare che se cucito addosso, l'abito diventi una specie di corazza! Un gentiluomo dovrebbe mettersi lì a scucirlo punto per punto e credo che c'impiegherebbe secoli…".

Rise Roma, al pensiero della foga d'un gentiluomo imbrigliata dagl'ingegnosi punti stretti d'una brava sarta!

Oscar si alzò, fece un passo.

Bruciava l'assenza, bruciava l'abbandono, bruciava non aver mai compreso chi fosse lei e chi fosse André.

La Storia era finita…

Oscar, quale Storia?

Io e te non ci lasceremo mai.

La nostra Storia, qualsiasi sarà il pittore, qualsiasi sarà lo scrittore, chiunque penserà a noi e a chiunque noi rivolgeremo lo sguardo, sarà sempre la stessa.

Non abbiamo scampo, perché noi siamo nati per essa e la nostra Storia non cambierà mai, nemmeno se noi non volessimo più viverla!

L'istinto, per un istante, si ritrovò in balia d'un pensiero folle, impossibile da esibire.

Le dita corsero ad accarezzare la stoffa. Se la lucentezza rivelava una leggiadra freddezza, il tatto conferiva un inspiegabile calore.

No, non aveva mai desiderato indossare un abito del genere. Non ne aveva mai sentito la necessità.

Vorrei che un giorno, quando ci rivedremo, facessi una cosa per me…

Mi piacerebbe che tu indossassi un abito…per me…

Un…abito…

Si…hai compreso…un abito per danzare con me…un abito che renda finalmente onore alla tua figura così sorprendente e fiera e bella…

Non devi rispondere adesso…anzi…perdona le mie parole azzardate…ma questo pensiero…il pensiero che un giorno potrò rivederti…e che forse potremo…danzare insieme…ecco si…mi consentirà di affrontare con più coraggio questa impresa. Sai…nell'ultimo ricevimento a Versailles…quella sera…avrei voluto danzare con Maria. E allora ti ho invidiato è vero, avrei voluto essere te…ma al tempo stesso…avrei voluto essere accanto a te…

Perdonami…sono un'egoista…avanzo una domanda del genere in un simile momento, sapendo bene che non ti concederò tempo per rispondere…

Ebbene…affronterò questo viaggio immaginandomi che un giorno tutto ciò potrà accadere…immaginandomi come potrà essere…così la mia mente sarà impegnata e sollevata...

La richiesta dettata dalla partenza incombente…

"Dicono che Maria Antonietta, in Francia, abbia ormai abbandonato i sontuosi vestiti con stecche di balena, strati e strati di sottane, pizzi, merletti…forse per via del fatto che desidera occuparsi della Delfina e allora pare abbia sentito l'esigenza d'indossare abiti semplici, comodi, niente affatto ingombranti, così da potersi muovere in libertà…" – proseguì Roma quasi a disprezzare invece la rigidità del colonnello che restava caparbiamente ancorato alla propria indole - "Sembra addirittura che si sia fatta confezionare abiti che assomigliano più a vesti da camera e che per questo sia stata accusata di andarsene in giro in giardino mezza svestita. E pare che anche qui, a distanza di miglia e miglia, qualche sarta abbia provato a confezionare abiti più sobri, come se le donne che abitano in America abbiano sposato le scelte di una regina che ha aiutato la loro causa! Chi l'avrebbe mai detto che la moda sarebbe passata anche attraverso la guerra?!".

"E chi l'avrebbe mai detto che Madame Roma fosse al corrente di tutte queste sciocchezze!?" – tagliò corto Oscar.

Roma tirò un respiro fondo. Non era riuscita a convincere l'altra…

Che quella s'era già infilata i calzoni e gli stivali, la giacca sopra la camicia, il giaccone buttato sulle spalle…

La smania di lasciare la stanzetta, la rabbia di non avere più uno scopo, se non recuperare le forze…

Per quale scopo però?

"Fa freddo!".

Appena aperta la porta si ritrovò addosso gli occhi di Victor Girodel.

Un mesto sorriso declinato a convenire che lei non aveva scampo.

Ovunque avesse messo piede, avrebbe avuto un mentore o un accompagnatore a tenerle compagnia, a impedire che i pensieri s'impigliassero nella follia della perduta esistenza.

"Ben trovato…" – le parole uscirono soffocante, anche se il sorriso accennato rivelava il conforto d'incontrare una faccia conosciuta.

"Perdonami…come stai?" – secco, che convenevoli sull'essersi ritrovati dopo le settimane di separazione non avevano pregio d'insinuarsi a far perdere tempo prezioso.

"Vorrei uscire…se potrò prendere un po' d'aria mi sentirò senz'altro meglio…".

"Ti accompagno…".

Un respiro fondo…

Un pensiero errante dettò gratitudine verso Victor Girodel ma c'era che lei voleva restare sola.

Non aveva più parole, non aveva più argomenti.

Camminare senza una meta, senza uno scopo, avrebbe consentito di lasciar libera la mente di vagare nell'altrettanto arido percorso in cui era finita.

Nella solitudine la coscienza non si vede costretta a replicare ai discorsi degli altri, non deve tener conto che di se stessa e della propria instupidita distruzione.

Per quanto l'edificio fosse di mattoni e per quanto lo spazio che s'apriva dopo aver varcato l'uscio fosse cosparso di fieno e paglia, spiccava tutt'intorno il paesaggio fangoso e brullo.

Nei giorni ch'erano scorsi, il vento aveva svolto l'egregio incarico di spogliare gli alberi, la pioggia aveva reso le strade rivoli di mota rappresa, il cielo aveva assunto la cupa tonalità della neve mista a ghiaccio.

L'aria era fredda, il respiro si plasmò in nuvolette d'etereo vapore.

Victor Girodel smise di parlare.

Con la coda dell'occhio intuì la sagoma asciutta e fredda di Lua ch'era già corsa fuori da una porta laterale e s'era messa a spiarli dietro l'angolo della casa.

Lui no, lui s'era ben guardato dal lasciarsi raggiungere e sin da quando era arrivato aveva tentato in tutti i modi di ignorare la giovane amante.

Per quanto la noia lo attanagliasse, Victor Girodel aveva stabilito che continuare a giacere con Lua avrebbe finito per compromettere l'immagine di sé.

Non certo l'immagine di amante, che quel ruolo era avulso da qualsiasi congettura romantica o amorosa e quel ruolo, chissà come e quando, lui avrebbe continuato a recitarlo.

Dunque, anche se aveva deciso di correre il rischio di essere sbattuto fuori dalla vita di Oscar François de Jarjayes, se ciò fosse avvenuto, non avrebbe concesso all'altra la giustificazione d'una vita dissoluta e immorale.

E semmai Oscar lo avesse accettato…

S'avvide della pozza più ampia delle altre.

Afferrò per un braccio l'ospite che gli camminava al fianco, così da restare più compatti nell'attraversare quello che lungi dall'essere uno spiazzo di sosta per cavalli e animali da tiro, pareva più un acquitrino.

"E' un vero orrore…" – sputò schifato Victor – "Non so che intenderai fare ma appena starai meglio, proporrei di rientrare subito sulla costa. Tra qualche settimana arriverà la stagione più fredda. Se non ci allontaniamo subito rischiamo di restare imprigionati in questo posto dimenticato da Dio…".

"Credo che questo posto sia stato semplicemente dimenticato da gente capace di pavimentare le strade…" – replicò Oscar sarcastica – "Dio…Dio…".

Le parole morirono in gola.

Dopo aver attraversato la pozza più ampia, i due viandanti si accorsero che le strade riprendevano a essere tappezzate di fieno, ormai calpestato e zozzo, ma almeno in grado di reggere il passo senza affondare nella mota.

Dio…

Dov'era Dio?

Se lo chiese Oscar osservando le facce che la osservavano dalle casupole affacciate sulla strada oppure dai carri che avanzavano piano.

Volti affilati e magri, incarnati dorati, capelli scuri intrecciati, decorati con nastri o penne di uccelli, altri semplicemente stretti in modeste code.

Erano in terra indiana in effetti, le Six Nations, poco più a nord, erano state concesse alle tribù che avevano accettato l'invasione dei coloni, e con quella le loro condizioni di pace, troppo deboli per opporsi.

Così, per non essere travolte dall'avvento dei conquistatori, per sopravvivere insomma, si erano sottomessi, ricevendo in cambio il permesso di vivere in quelle terre.

Senza più possibilità di cacciare e spostarsi liberamente come un tempo facevano gli antenati.

Chiusi entro la gabbia fulgida di suoli rigogliosi e verdi e freddi.

Convertiti a poco a poco all'unico Dio…

Piegati alla civiltà degli abiti occidentali e parimenti ai vizi di coloro ch'erano giunti a professarli.

In fondo non v'era molta differenza con ciò ch'era lei, ammaestrata come un pavone tenuto al laccio, entro i giardini della maestosa Reggia di Versailles.

Diversi uomini erano seduti sul bordo d'un pavimento d'un edificio. Bottiglie di rhum in mano, sguardi spenti, ammansiti dall'alcool e dalla pace imposta per non vedere annientata la propria gente.

Dunque chissà dov'era Dio…

Ma no…

Dio non c'entra…

Era l'imbrunire…

Forse le diciassette erano ormai trascorse…

Se lei avesse davvero potuto riavvolgere il tagliente nastro del tempo…

D'improvviso uno scalpiticcio alle spalle…

Oscar l'intuì, fece per scansarsi, il fango schizzò addosso mentre un moccioso sgusciava veloce tra le pozze, saltando sugli appoggi asciutti di fieno e stracci e assi, sistemati per consentire il passaggio.

Non fece in tempo, lo scontro, seppur modesto, si riverberò sul corpo piccolo del bambino che perse l'equilibrio.

Non cadde il moccioso ma dalle mani alcuni fogli, lettere per l'esattezza, s'inalberarono in aria, colte dal tiepido vento della sera.

"Stai attento!" – lo rimproverò aspro Victor mentre il bambino si raddrizzava e correva a recuperare le missive.

Colpì il contrasto netto tra il terreno fangoso e nero, d'erba marcia ed escrementi e luridume, di contro al candore immacolato delle buste.

Erano tre…

Due cadute vicine, la terza s'era impennata ed era volata più lontano.

Il bambino fece per raccoglierla, Victor fu più veloce, l'afferrò, issandola su, in alto, come a dimostrare al moccioso che se non ci fossero state delle scuse, la lettera non sarebbe stata restituita.

"Qualcuno dovrà pure insegnare l'educazione a questi selvaggi!".

La chiosa sferzò…

Oscar ondeggiò come rapita dal rigoroso biancore della lettera.

In quella città dunque si spedivano lettere e si recapitavano…

"Rendetemela!" – digrignò il bambino…

"Chiedi scusa…hai inzozzato le nostre vesti!".

"E' stato il fango!" – ribatté l'altro che non voleva cedere – "Non io!"

"Victor…" – ammise Oscar come trasognata, la scena un poco acuta scorreva nel mezzo del niente, incastonato nel mezzo d'un paesaggio fatto di colline ormai ingiallite e boscaglie spoglie e cieli d'uno straziante azzurro – "Ha ragione. Non è stato lui a sporcarci…è stato il fango! E non è stato Dio a creare questo posto ma i coloni, con l'auto degli inglesi e forse anche di noi francesi. Rendigli la lettera…".

Uno sbuffo…

La mano s'abbassò e il bambino afferrò la busta con inusitata delicatezza.

Oscar lo scrutò meglio.

Non comprendeva il motivo…

Tutta quella storia era iniziata per via di una lettera e ora…

"Perdonami…ma…in questo posto si possono spedire lettere?" – chiese come rapita, più che dalla visione del moccioso, dal bizzarro scenario.

"Si…ci sto andando adesso…" – il bambino indicò un edificio in fondo alla strada, una casa scura con insegne rossastre, un poco bruciacchiata da chissà quale assalto.

"Ma…" – la curiosità indusse la domanda, forse no, forse era la disperata speranza che quella ricerca non fosse terminata.

Stonava che un giovane moccioso indiano recasse con sé lettere da spedire ma chissà forse anche quell'abitudine era stata assimilata dai popoli indigeni.

"Per chi sono…tu scrivi a qualcuno?".

L'altro guardò di sbieco l'estraneo che si permetteva simili richieste, forse per via che il moccioso indiano era soltanto un moccioso indiano, mentre l'altro era qualcuno che veniva da lontano, quasi certamente dall'Europa.

E per un verso o per l'altro quelli che venivano dall'Europa recavano con sé, per vie traverse e per motivi diversi, quasi sempre, una sorta d'alterigia, una specie di egoismo innato che faceva loro credere d'essere i padroni del mondo, finanche della vita e delle azioni di altri perfetti sconosciuti, quale era appunto il giovane moccioso indiano.

Non erano affari di nessuno ciò che quello faceva, ma di certo la gentilezza che gli era appena stata usata, indusse una sorta di vaga fiducia a rivelare l'origine del gesto.

Sorprendente fu la spiegazione…

I sensi come attraversati da una saetta ch'esplose dentro…

"Non sono mie…monsieur…sono di una persona che mi ha chiesto di spedirle…lo faccio da mesi…".

"Una persona? Capisco…".

Era l'imbrunire…

"Perdonate monsieur…devo andare. E' tardi. Oppure mi ritroverò senza aver fatto ciò che devo fare…".

Gli occhi seguirono il bambino.

I passi imposero la stessa direzione, un punto cieco, una via senza uscita, un baratro, un campo d'erba secca, un pezzo si stoffa bruciato dal tempo…

L'ufficetto era poco illuminato.

Victor Girodel intuì quali fossero i reconditi intendimenti di Oscar François de Jarjayes.

Averla raggiunta dopo molte settimane di separazione non significava affatto che lei avesse raggiunto la sua meta.

E lui s'era ripromesso di aspettarla, quando lei avesse raggiunto il luogo capace di porre fine all'assurda ricerca, lui sarebbe stato lì, in quel tempo che per ora lui seguiva silenzioso assieme ai passi di lei.

Non obiettò nulla dunque, immaginandosi che in quel luogo nulla avrebbe rivelato quale fosse stata la sorte di un personaggio ch'ormai era uscito di scena.

Quando Victor Girodel era riuscito a raggiungere Northampton, il Conte di Fersen aveva spiegato quanto era accaduto. Era bastato il chiarimento, seppure era stato difficile immaginare che la sorte di un servo di famiglia avesse recato così tanto danno alla coscienza dell'altra.

Il moccioso era già entrato, il naso a mala pena raggiungeva il bancone.

Gli occhi di Oscar si posarono sugli scaffali alle spalle dell'uomo che stava compilando il registro su cui veniva annotata la spedizione.

Era l'imbrunire…

Il giovane addetto alle spedizioni alzò gli occhi un istante e si ritrovò addosso quelli del forestiero ch'era entrato, lo sguardo un poco febbricitante, il passo lieve, la bocca dischiusa.

Non avrebbe potuto chiedere nulla Oscar François de Jarjayes, nulla in quel luogo avrebbe mai potuto esserci dell'altro.

"Perdonate…".

"Dite…monsieur…" – l'uomo masticava un poco di francese, Oscar tirò un respiro fondo…

"Spedite o ricevete anche lettere di soldati francesi?".

"Monsieur…chi scrive e chi riceve lettere…non so chi siano…se un soldato oppure un mercenario oppure un commerciante di rhum. E' possibile…ma non saprei come aiutarvi…non posso aprire le lettere…".

Il registro, quello sì, quello era aperto.

Una lettera era sul banco…

Lo sguardo insaziabile e distrutto cadde sulla grafia…

Madame Marron Glacé…

Palace Jarjayes…

Versailles

France…

Un sussulto…

Lo sguardo s'aprì e al contempo le mani già fredde s'impietrirono, di contro alla coscienza che si mosse rapida a scovare una ragione plausibile, una qualunque, per quella grafia.

Era l'imbrunire…

Per evitare incidenti come incendi che avrebbero distrutto la corrispondenza e i dispacci e le missive, l'ufficetto non godeva che del chiarore di poche sparute candele, tenute a distanza, incapaci dunque di offrire luce sufficiente a scorrere più attentamente alle sillabe e alla grafia.

"Posso esservi d'aiuto in altro?" – chiese l'ometto , con supponenza, andando ad afferrare la lettera.

Un guizzo, che l'ospite fu più veloce, che le dita, seppur gelate, sfilarono la busta dalla mano dell'uomo, stringendo la carta, come a voler strappare all'istante l'involucro per leggere il contenuto.

"Che fate!? Monsieur…quella lettera non è vostra!" – strillò l'uomo allungandosi, che l'altra fece un passo indietro, il cuore come fermo, incapace di chiedere altro.

Gli occhi corsero a cercare il chiarore d'un lume per rileggere la grafia, mentre i sensi implodevano alla ricerca d'una spiegazione.

Il tassello della corrispondenza giunta in Francia dopo la ferale notizia della morte del soldato era ancora lì, oscuro e inspiegabile.

Lei non si era rassegnata e quella lettera pareva quasi aver riaperto una ferita ancora non rimarginata.

Lo strillo dell'uomo…

I passi pesanti…

Il silenzio dell'ufficio rotto dal convulso rimestare di forze.

Il moccioso si scansò, atterrito, in cerca di una spiegazione all'assurda scena.

"Nanny…" – balbettò l'altra in cerca d'una luce che fosse anche spiegazione – "Questa lettera è per nanny! Chi l'ha portata qui…chi…".

La lettera non era ancora stata timbrata. L'addetto alla posta si accingeva a farlo ma ora la busta era saldamente in mano a uno sconosciuto.

Quanto era stata scritta?

Da chi?

Il cuore si perse mentre le dita tentarono di scovare il pertugio per aprire la busta. Gli occhi scorsero alla sagoma di un tagliacarte appoggiato al tavolo.

Un passo…

Afferrò veloce il coltello, mentre l'uomo s'avventava contro, furioso per il gesto inconsulto.

I due corpi avvinghiati finirono contro la parete, che Victor si precipitò dentro pronto ad afferrare il povero commesso che strillava, che rivoleva indietro la sua lettera.

Non ci sarebbe mai stato modo d'impossessarsene, senza commettere un'azione illegittima perché quella lettera non apparteneva a nessun altro che al suo destinatario.

Rimase lì, come impietrita, appoggiata alla parete, lo sguardo sbarrato, il tagliacarte tremava assieme alla mano…

"Vi prego…ditemi chi l'ha portata? Gli chiederò se posso aprirla!".

"Non potete!" – strillava il povero addetto alle poste mentre Girodel faceva da scudo all'altra – "Siete pazzo! Mai neppure un dannato prussiano è arrivato a tanto! Non potete aprirla, perché se non mi dimostrate che siete voi il destinatario…".

"Conosco la persona a cui è destinata…la conosco…" – balbettò…

"Lasciate quella lettera!" – la voce acuta e infantile del moccioso indiano s'interpose sulle altre – "Non è vostra! L'ho portata io!".

Che l'altra prese a tremare, corse al bambino, gli occhi sbarrati – "Chi te l'ha data? Dimmi dove si trova chi ti ha dato questa lettera!?".

Domande buttate là, come se lei stesse ancora cercando una persona, come se il racconto di Fersen non avesse avuto alcun pregio di scostare la terribile fine annunciata.

Le forze presero a cedere di nuovo.

L'ondeggiare continuo del destino tra la sconfitta e la flebile speranza minavano la saldezza dell'animo.

Le gambe cedettero e lei si ritrovò a terra…

Dopo tanto tempo, come se lì, davanti a lei, ci fosse la spiegazione, il tassello mancante, le lacrime salirono dalla gola, come liberate dal peso che le tratteneva giù.

Il pianto silenzioso offuscò la vista ma la mano teneva saldamente la lettera.

Il bambino si avvicinò…

"Me le ha date un soldato…mi ha chiesto di spedirle…".

"Chi te le ha date?" – l'ultimo respiro, l'ultima speranza – "Come si chiama quel soldato? Quando è accaduto?".

Troppe domande…

Il bambino s'ammutolì, incapace di proseguire, le labbra strette…

Era l'imbrunire…

Un sussulto…

La stanza era piccola…

Il bambino stava per arretrare e correre via…

Un passo…

Oscar trovò la forza di puntare un ginocchio a terra e rincorrerlo, afferrarlo, stringerlo, come se l'altro fosse divenuto unico tramite tra sé e André, tra la propria storia e quella dell'altro.

"Lasciami!" – prese a strillare il bambino…

Lua Pietra Incandescente si precipitò dentro…

Occhi infuocati…

"Lascialo!".

"No!" – s'infuriò Oscar – "Dimmi chi ti ha dato questa lettera? Quando?".

"Diglielo!" – rincarò la giovane indiana, come se, anche se incosciente della verità, avesse comunque compreso ch'essa avrebbe fatto male, oppure chissà, quella verità avrebbe condotto lontano da lì Oscar François de Jarjayes, lontano da Victor Girodel.

Il moccioso tentò di divincolarsi…

Il trambusto era inverosimile…

Da fuori accorreva gente, il vociare s'innalzava…

"Che sta accadendo?" – fu la volta di Fersen a irrompere nel disgraziato ufficio…

I gradi cuciti sopra l'uniforme un poco sgualcita e provata dallo sfacelo selvaggio dei luoghi indussero l'uomo addetto alla corrispondenza a chiedere la restituzione della lettera.

Fersen intravide il moccioso indiano…

Lo sguardo s'aprì come l'avesse riconosciuto.

Oscar era senza forze, le mani s'aprirono, il bambino strattonò la presa finché si ritrovò libero.

La speranza sgusciava via.

"Dimmi…chi ti ha dato questa lettera…".

Fersen s'avvicinò…

Le parole furono come una sorta di ordito che andava a comporre la trama e rivelare il disegno…

"Tu sei il moccioso che ha fatto da guida alla spedizione…l'anno scorso. Eri assieme ai soldati che sono stati attaccati".

Un brandello alla volta…

Una goccia alla volta…

E' così che l'acqua scava la roccia sino ad avere la meglio sulla materia più tenace.

Il moccioso annuì.

"Di che lettera state parlando?" – chiese Fersen inginocchiandosi, correndo alla busta tenuta stretta dall'altra, che intravide il nome, non comprese subito, anche se quel nome gli era familiare.

"Questa…" – abbozzò il moccioso stupito.

"Te l'avevo…" - respirò piano Oscar – "Ti avevo detto che erano giunte lettere anche dopo…dopo…non era possibile…forse allora lui non è…".

"No!" – la negazione rovesciata addosso, non si comprendeva se per evitare che l'ennesima delusione spezzasse il respiro alla persona ch'era lì di nuovo a terra, senza respiro, oppure perché quella speranza ormai già morta recuperasse un alito di vita e fosse tornata a pulsare.

"Credo di comprendere…" – prese a spiegare Fersen, tentando d'ammorbidire il tono – "Questo bambino…era partito con la spedizione…era con lui…".

Gli occhi furiosi al moccioso - "Chi ti ha dato questa lettera?" – una domanda quasi scontata.

Fersen afferrò il bambino per la giacchetta. Persino il conte era stupito, un poco frastornato, che il famigerato tassello pareva volubile come un petalo di ciliegio nelle spire della brezza della sera, che però la spiegazione era assai semplice e la conclusione a cui si sarebbe arrivati sempre la stessa.

"Me le ha date un soldato…" – sussurrò il bambino di nuovo…

Oscar non ebbe più forza d'attendere…

Afferrò la busta con le due mani torcendo la povera carta, strappando di fatto involucro e contenuto, così che esso sgusciò fuori, seppure diviso in due pezzi netti.

L'addetto alle poste si mise le mani nei capelli, cacciando un urlo quasi animalesco…

Gli occhi corsero alla firma…

André Grandier…

E poi alla data…

23 mars 1781…

Nulla aveva più senso, com'era possibile…

Oscar sollevò lo sguardo al bambino che rimase lì, gli occhi sgranati al misfatto s'issarono su, alla faccia dell'artefice del misfatto - "Me le ha date quel soldato…quello che le ha scritte…".

La verità svelata solo a metà, recisa come i due pezzi di carta, i due pezzi di busta, i due pezzi della vita - "Quando…come ha potuto darti una lettera se lui è…".

Fersen interruppe la sequenza infernale - "Te le ha date prima vero?" – ruggì contro il bambino…

Prima…

Prima…

Prima…

Prima di…

Rosa…

Rosae…

Rosae…

Rosam…

Rosa…

Rosa…

Rosae…

Rosarum…

Annuì quello, lo sguardo improvvisamente divenuto triste, come se l'ammissione facesse svanire una specie di sogno in cui anche lui stesso era vissuto.

"Si…mi ha chiesto di spedirle…".

"Spedirle!" – replicò Oscar – "Quante te ne ha date?".

Era l'imbrunire…

La speranza moriva assieme all'ultimo raggio di sole che scivolava dietro le colline.

La domanda era scivolata fuori dalla bocca, mentre l'ultimo raggio di sole moriva e l'aria si colmava del sentore acuta dell'imminente pioggia.

"Mi ha detto di averle scritte tutte assieme…e mi ha detto di continuare a portarle qui, anche se lui non ci fosse stato più" – la voce del moccioso s'era fatta parimenti calma, seppur attenta nell'esposizione – "Per ognuna, mi ha detto quando spedirle. Mi ha detto che sono per una persona a cui lui voleva bene e mi ha detto che in questo modo, se a lui fosse accaduto…ecco…insomma… almeno quella persona avrebbe continuato ad avere sue notizie ancora per un po'…".

Oscar sentì la nausea salire dallo stomaco.

André era morto, non era stato lui a spedire le lettere, quelle ricevute dopo la notizia della sua morte.

Anche se era stato lui a scriverle per portare un poco di conforto a sua nonna…

La mano cadde a terra.

I fogli si sparsero…

Due pezzi di busta e due pezzi di lettera…

Due pezzi di vita…

L'ometto dell'ufficio si scaraventò contro i brandelli raccogliendoli, incespicando nelle dannazioni, provando a ridefinire la composizione.

Oscar rimase a terra, nulla aveva più senso.

Il respiro si sparse parimenti ai pezzi di carta.

Ora anche l'ultimo tassello era finito al suo posto, secondo una spiegazione unica e logica, inappellabile e definitiva.

Sorse la rabbia assieme alla nausea e poi assieme alla tenerezza e ancora assieme al disgusto per sé, per essere stata così stupida d'aver rincorso un uomo ch'era partito per colpa di una donna sconosciuta, che aveva scritto lettere ove la nominava sempre senza nominarla mai, che aveva dettato il suo passo, seppur sempre mezzo passo dietro a lei, che c'era lei davanti all'altro ma allora chissà che aveva davvero significato quel dannato mezzo passo.

Un uomo che alla fine era morto, saltato in aria per difendere uno stupido carico di polvere da sparo.

Non restava più nulla.

"Te l'avevo detto che c'era una spiegazione…" – ammise Fersen piuttosto severo, come se l'incredulità dell'altra avesse rivelato un aspetto oltremodo fragile e sorprendente.

Anche Fersen in fondo amava quella donna per ciò che era e forse anche Fersen avrebbe disprezzato la sua debolezza, la sua incapacità di accettare il destino.

O forse molto più semplicemente Fersen doveva ammettere che l'indole di Oscar François de Jarjayes era stata plasmata sulle spalle di un uomo, che non era suo padre, che non era il re, ma un semplice servo, André Grandier, che però adesso era morto e dunque l'altra si ritrovava senza appigli, fosse anche stato il solo pensiero di rivederlo.

Sensualmente debole appariva Oscar François de Jarjayes in quel frangente, come fragile fiore che s'oppone alla tempesta e che solo una mano pietosa avrebbe potuto proteggere e sollevare dal peso della disgrazia di perdere per sempre il suo splendido fulgore.

Fersen non si mosse, lo sguardo fisso, come intento a recuperare i pezzi di quella faccenda.

Victor Girodel invece porse la mano per consentire a Oscar di alzarsi.

L'altra si ritrovò sulle gambe, un poco stranita dalla spiegazione, si volse al bambino.

"Hai altre lettere?" – chiese con un filo di voce – "Quante…".

"Si…" – la voce del bambino tremò, lo sguardo si scostò, come a proteggere ciò ch'era prezioso per sé ma che ora pareva essere ancora più ambito dal personaggio che lo guardava intenerito e drammaticamente perduto, come a difendere la dura verità o l'infingarda menzogna – "Ma non posso darvele…sono di André…".

Il nome…

Il suo nome…

André…

Il nome esplose nella testa…

Il nome spaccò il cuore.

"Si…sono sue…" – un filo di voce ad ammettere che quelle lettere dovevano arrivare in Francia, così che nanny avrebbe goduto ancora per qualche mese della speranza che suo nipote fosse vivo.

"Quante…" - lo chiese, di nuovo, il ragionamento come inceppato e incredulo e incapace di procedere e trovare un altro appiglio.

Che appigli non ve n'erano più.

L'altro negò, forse non conosceva la numerazione degli stranieri - "Ne ho altre…dovrò spedirle quando sarà il tempo giusto".

Rosa…

Rosae…

Rosae…

Rosam…

Rosa…

Rosa…

Che cos'era dunque il tempo se non l'inevitabile segmentazione di gesti quotidiani e così disgregazione della memoria, dei ricordi, delle persone!?

Istanti frammentati che scorrono. Si attende che giungano e poi non appena una pendola li scandisce essi sono già scomparsi.

Cos'era dunque importante?

Il passato, il futuro…

Oppure il presente?

Come viverlo il presente, s'esso era stritolato tra il passato ormai scomparso e il futuro buio!?

Che cos'era il tempo quando ci s'immaginava di prendersi gioco di esso ma no, non era possibile, perché la sua mano nera e dura non lasciava scampo, inghiottendo tutto, volti, respiri, parole!?

Da tutto ci si poteva distogliere, tutto si poteva eliminare dalla vita, ma non il tempo.

Esso era lì, muto artefice dei destini degli uomini, spettatore senz'anima, a cui non ci si sarebbe potuti né affidare, né distogliere.

La ricerca era finita.

La Storia era mutata e nulla sarebbe mai stato come prima.

Chissà quante erano davvero le ultime lettere, chissà se quando fosse giunta l'ultima, lei sarebbe già rientrata in Francia e allora avrebbe spiegato a nanny che cosa era accaduto realmente.

Rientrare in Francia…

Non aveva più nulla da fare in America.

Lucidamente mosse un passo, porgendo le sue scuse al commesso dell'ufficio postale.

L'altro grugnì un andatevene, intento a verificare come aggiustare la lettera. Ma non c'era modo, l'unica soluzione sarebbe stata quella di mettere tutto dentro una nuova busta e scrivere l'indirizzo.

"Posso farlo io?" - ammise Oscar mesta, anche se sarebbe stato facile per l'uomo recuperare le parti di indirizzo strappato – "So dov'era diretta la lettera…".

L'altro porse il foglio, la grafia scorse un poco incerta, l'ultimo tassello appaiava i gesti…

Madame Marron Glacé…

Palace Jarjayes…

Versailles

France…

§§§

La spiegazione era lì. Logica, ovvia, banale…

Feroce!

André aveva scritto diverse lettere destinate a sua nonna in previsione di non poter più scriverle.

André aveva spostato in avanti le lancette delle pendole di casa…

André aveva precorso il tempo. Ci aveva giocato con il tempo e si era preso gioco di lei e lei aveva sperato, creduto, illogicamente immaginato che quel tempo non fosse mai scorso.

Dannato!

Era ormai buio.

La notte si schiariva ai bracieri accesi agli angoli delle straducole fangose, per consentire ai pochi passanti di non incappare nella melma fredda e puzzolente e aspra nel mezzo delle vie.

Le mani erano gelide…

Era viva.

Lei era ancora viva mentre André…

André aveva distrutto la loro storia…

Oscar, quale Storia?

Io e te non ci lasceremo mai.

La nostra Storia, qualsiasi sarà il pittore, qualsiasi sarà lo scrittore, chiunque penserà a noi e a chiunque noi rivolgeremo lo sguardo, sarà sempre la stessa.

Non abbiamo scampo, perché noi siamo nati per essa e la nostra Storia non cambierà mai, nemmeno se noi non volessimo più viverla!

André aveva sovvertito le leggi del tempo…

Il tempo aveva continuato a scorrere ma lui l'aveva tenuta là, la mente a casa, nella stanza dell'altro, seduta a terra, alla ricerca del passaggio dell'altro.

André non c'era più.

Prendersi gioco del tempo…

André c'era riuscito.

S'immaginò allora di voler anche lei ingannare il tempo, prenderlo in giro, sovvertire non il tempo che scorreva ma quello che aveva scandito la sua vita.

Perché dunque non prendersi per sé un tempo che lei non aveva mai vissuto?

Perché dunque non ficcarsi anima e corpo dentro un tempo che le era stato negato e che lei aveva caparbiamente rifiutato per tutta la vita!?

Un tempo solo suo, un tempo in cui essere altro da ciò che era sempre stata!?

La mano accarezzò la stoffa scura, blu marino, imbastita s'una specie di manichino.

Staccò il drappo sfilando gli spilli che lo legavano all'anima morta.

Aprì il vestito e se l'appoggiò addosso, il corpo nudo e freddo.

Il gelo della seta scura comunicò una sorta di caduta negli Inferi, poi, dopo qualche istante, il brivido prese a scindersi e il calore intrappolato dalla stoffa liscia e lucente s'irradiò lambendo i muscoli così che il dannato vestito, a modo suo, parlò alla statica movenza.

Il respiro muto, le labbra serrate, lo sguardo alla misera scheggia di specchio che riportava un frammento di fermo ondeggiamento.

La mente vuota, svuotata dalla ricerca inutile, dalla sconfitta.

Non aveva chiesto al bambino di vedere le altre lettere, non avrebbe comunque potuto aprirle, dunque esse sarebbero state una sorta di scrigno di chissà quali pensieri, argomenti, dubbi, avvenimenti, forse nodi da sciogliere sull'esistenza che era scorsa lì, oltre le onde, oltre l'oceano.

Era stato dannatamente previdente André.

S'era preso gioco del tempo mentre lei invece c'era caduta in pieno nell'inganno.

Era dannatamente furiosa con se stessa.

Lacrime asciutte rigarono i muscoli delle guance.

Fece per asciugarle, nello specchio vide l'immagine di Roma, alle spalle, che la osservava.

La donna si pose dietro a lei, avvicinandosi. Prese ad aggiustare il corpetto dell'abito da dietro, chiudendo i lembi con alcuni spilli così da sigillare la stoffa e consentire all'altra di abbandonare le braccia ai fianchi e osservarsi.

Gli arti ricaddero giù, la veste fasciava il corpo smagrito e come perso, la stoffa accarezzava il respiro e la rabbia.

"Dunque…" – prese a commentare la donna, come avesse in mente solo la sua snervante battaglia contro il Fato, senza commentare lo stato disastroso, ignorando l'iniziale rifiuto - "Le maniche non sono molto ingombranti, giusto tre quarti".

Roma dava per accettato l'invito a indossare l'abito.

Oscar rispose abbassando lo sguardo, gli occhi caddero sulla linea asciutta dell'abito che fasciava i fianchi magri, per poi svasarsi scivolando morbido a coprire le gambe, per terminare a terra, sfiorando a mala pena il pavimento.

"Ti sta bene…" – proseguì Roma andando ad allacciare la massa dei capelli prima con la mano destra per poi racchiuderli in una coda che issò un poco verso l'alto, alla stessa maniera del primo incontro, come se la donna avesse atteso tutto quel tempo, instancabile, paziente e caparbia a tessere il momento in cui avrebbe veduto l'altra anelare a osservarsi con quell'acconciatura che la rendeva così diversa, così lontana dal tempo della sofferenza.

Un abito non era nulla ma era pur sempre un tempo ritagliato entro una dimensione d'esistenza differente.

Un tempo che non precedeva e non seguiva nulla, un tempo altro da ciò che lei aveva vissuto da sempre.

"Sei bella…" – abbozzò Roma – "E' inutile nascondersi dentro un'uniforme. Il tempo d'essere un uomo sarà sempre lì, sarà sempre parte di te ma ciò non significa che tu debba rinunciare a essere altrove, anche solo per il tempo di un ballo…".

Oscar ammise che lei era una donna.

Non era mai stata un uomo ma forse non sarebbe mai diventata donna.

Lo era e basta.

Lo era stata in passato e lo sarebbe stata sempre. Ovunque e in qualunque tempo.

"Ti lascio…" – sussurrò Roma appoggiando la mano sulla spalla. Le dita scorsero a un'antica cicatrice, una specie di solco carnoso, rosato e sgraziato a offendere la distesa bianca e morbida – "Posso suggerire una stola…farà freddo di sera…".

Annuì Oscar François de Jarjayes mentre ascoltava la porta chiudersi e lei restava lì, in piedi, la follia di ripudiare se stessa e il suo passato, come a voler ripudiare il dolore d'aver perduto…

Lui…

André…

Le parve di soffocare.

Le dita si punsero mentre con il braccio torto dietro la schiena tentò di sganciare gli spilli.

La stoffa non più sorretta cadde a terra…

Lo sguardo osservò la figura nuda e libera…

Fredda e distrutta.

§§§

Il tempo di pensarsi donna…

Il tempo di pensarsi sola…

Il sole malato d'autunno non concedeva ormai che pochi raggi tiepidi, poche ore di chiarore, giusto il tempo di compiere alcuni passi, all'aperto, così da mantenere intatte le vecchie abitudini.

Scrutare il paesaggio, osservare i passanti, convenire che la cittadina era un miscuglio d'insolite civiltà.

Da una parte i nativi, impegnati ad assomigliare alle rappresentanze dei coloni giunti dal vecchio mondo, dall'altra i forestieri a mantenersi il più possibile distanti e distaccati dai primi e dai secondi.

I passi s'incaponirono solitari.

Non aveva accettato la compagnia di nessuno. Né Fersen, né Girodel.

A nessuno dei due aveva accennato nulla sulla sua decisione d'indossare un abito femminile.

Era una scelta sua, non lo faceva per nessuno dei due.

Era sua e dunque adesso le ore avevano preso a scorrere nel dubbio che fosse una scelta folle e sbagliata.

I passi sarebbero serviti a questo, raccogliere le idee e stabilire se lei era davvero uscita di senno.

L'ennesimo scroscio di pioggia, l'ennesima corsa a ripararsi sotto una tettoia tarlata e marcia…

Era freddo, il colletto del mantello tirato su, a coprire i capelli e attendere che spiovesse.

Era autunno inoltrato, la partenza verso la costa era stata fissata per la settimana successiva, subito dopo il ricevimento.

Era giunta notizia che i combattimenti a sud proseguivano.

Tutto sommato sarebbe stato utile anche per lei andare a sud.

Dunque la follia della messinscena sarebbe stata l'ultima opportunità concessa a se stessa.

Ascoltarsi per quel poco tempo differente, fasciata in un abito che nulla avrebbe rivelato dei suoi pensieri, che le avrebbe evitato il piglio del comandante, l'onore del rango, l'oppressione della virtù militare.

Che idea balorda scacciare da sé il peso della sconfitta, la voragine vuota dell'abbandono, andando a ficcarsi entro la sconfitta peggiore, essere solo una donna…

Di fatto e senza girarci tanto attorno, Oscar François de Jarjayes ammise con se stessa che la sensazione più netta che s'affacciava alla mente, tra le tante rimescolate nel cuore e nello stomaco, era solo ed unicamente quella.

L'abbandono!

Come se André avesse avuto dei doveri nei suoi confronti, obblighi spirituali o morali che fossero, e li avesse disattesi.

Come se André fosse sempre stato suo ma adesso – o forse mai – non lo era più e dunque lei era rimasta sola.

Lo sguardo cadde verso alcuni soldati che sbraitavano contro un gruppetto di mocciosi.

Tutti sotto la pioggia, tutti fradici.

Oscar ascoltò…

Un brivido…

Le parve di riconoscere il timbro della voce, anche se non sapeva come si chiamassero i due uomini, c'era che lei li aveva già visti, li conosceva già.

Anche quelli.

Brest…

Noi…noi ci stiamo!

Se il qui presente signor damerino intende onorare i soldati francesi…noi saremo onorati d'accontentarlo!

Come preferisce poi…da soli o assieme…a noi va bene tutto!

Starà a lui reggere il passo!

Un brivido…

Nonostante il dannato ricordo, i passi condussero verso il gruppo, come attratti da un antico sussurro, come se la mente avesse modo di rintracciare là un brandello di sé e dell'altro.

La rabbia, giusto un istante dopo la stretta al braccio, era salita repentina, che lei s'era voltata di scatto, imponendo alla mano che la stringeva analoga rotazione, sì da costringere le dita a mollare la presa…

Un istante, l'energumeno beffato che non era evidentemente abituato a lasciarsi sfuggire una preda…

Aveva tentato di riacciuffarla, la sua preda, che però a quel punto…

Rammentò che gli era finita alle spalle…

Lui s'era messo in mezzo…

Un gesto oltremodo galante, seppure un poco assurdo, che se tutti sapevano e credevano che il damerino era un uomo, quello avrebbe avuto forza e modo di difendersi da solo.

Rammentò l'orgoglio capace di pungere a fondo, aveva tentato di riguadagnare spazio e ritrovarsi muso a muso con gli energumeni.

Lei era Oscar François de Jarjayes, anche se tutti la credevano un damerino d'ignobile stirpe…

Il frammento aveva preceduto la caduta di sé dentro l'altro…

Lui l'aveva difesa…

Detestava che un uomo s'arrogasse questo diritto, che si pensasse sempre al primo posto, artefice del suo destino…

Eppure…

I due idioti erano alle prese con un gruppetto di mocciosi…

Ordini rovesciati addosso…

Levarsi dai piedi, non intralciare il passaggio dei due, che in maniera altrettanto netta non mancavano di rimarcare la rozza appartenenza al vituperato vecchio mondo, esibendo la protervia del popolo civile contro gli indigeni, la baldanza di un'uniforme ormai strappata e lercia, contro abiti fatti di pelle, scuri, un poco informi e per nulla altolocati.

I passi condussero verso il gruppo.

I due soldati si voltarono, intuendosi osservati.

La pioggia oscurava la vista, imperlando le ciglia, appiccicando capelli e vesti.

Eppure, nell'istante, tutti si riconobbero e per quanto avvezzi ad aver visto di tutto, i due tremarono d'un leggero sussulto, vai a capire se di rabbia, freddo, finanche smania.

S'ammutolirono, le braccia che un istante prima roteavano in aria minacciando sberle e schiaffi si bloccarono.

I mocciosi ne approfittarono per dileguarsi come uno stormo di uccelli alla vista di un falco.

I due uomini no, rimasero lì, beffati dalla sorte ma non domati, sorpresi ma intenzionati a far della sorprendente scoperta un'opportunità.

"Il damerino…" – scandì uno dei due, facendo un passo o meglio andando a scivolare con lo stivale attraverso la mota fangosa del terreno.

Faceva freddo…

La pioggia fitta assumeva lo stesso calibro di gelate spine che penetrano la carne.

Oscar François de Jarjayes fu costretta ad ammettere che anche i due insolenti smargiassi avevano avuto un ruolo nella vicenda, forse persino più fondo di quel che si sarebbe potuto immaginare collocandoli nel teatrino piccante ch'era andato in scena nella bettola al porto di Brest.

Non aprì bocca.

La mente s'era rimessa in movimento, forse avrebbe potuto comprendere se davvero i due erano finiti in mezzo alla vita di André, addirittura per causa sua.

I due si avvicinarono…

"Dunque alla fine siete arrivato fin qua!?" – ghignò sprezzante uno dei due…

Oscar François de Jarjayes non aveva idea se e cosa sapessero quelli.

Damerino o donna in quel frangente avrebbe fatto ben poca differenza.

Di certo l'unico ruolo che avrebbe fatto bene a nascondere era proprio quello di nobile e colonnello.

Un respiro fondo…

Era freddo…

Le braccia caddero lungo i fianchi, così che il mantello s'aprì un poco…

Dannazione, mai s'era atteggiata a quel modo. Nulla in quella storia era come doveva essere eppure lei sentiva che non aveva altro modo di cavar dalla bocca di quelli ciò che voleva sapere.

Provocarli e sgusciare via come quel dannato falco che pareva prendere in giro soldati e coloni…

Le parole rasero il suolo in attesa d'inchiodare la preda…

"Anche voi! Siete salpati da Brest?!".

Lo sguardo degli smargiassi s'assottigliò assaporando la mimica suadente dell'interlocutore che pareva esser proprio lo stesso damerino che li aveva beffati a Brest.

Stessa arrendevole e lucida pasta.

"Si! Ma che t'importa saperlo!?".

"Beh…credevo che dopo quella notte non avreste più avuto coraggio di mettere piede su una nave!".

"Senti idiota…" – prese ad alterarsi uno dei due…

Sorrise Oscar, una specie di ghigno amarissimo - "Ma voi chi siete? Che fate qui?" – digrignò sprezzante – "E sia…quella sera ho ceduto all'amor patrio…ho pensato che servire quel soldato l'avrebbe rinfrancato del lungo viaggio e dei pericoli che avrebbe affrontato…".

Ribolliva il sangue, le lacrime aggrovigliate in gola…

"Ma…m'è stato detto che quello…è…insomma…voi invece siete vivi! Forse dunque ho compiuto la scelta sbagliata! Siete decisamente meglio!".

Parole disdicevoli e disgustose a far breccia nella tronfia ignoranza dei due energumeni.

"Dici bene pivello! Io sono Tiberius Mallerbé…mentre il bellimbusto qui accanto è Guglielmo Pointers. E siamo meno stupidi di quel che pensi! Noi siamo vivi mentre quello è morto! E se adesso ammetti d'esserti ricreduto, allora anche tu sei meno stupido di quel che abbiamo immaginato!".

Implosero i sensi…

"Come fate…a…saperlo…".

"Lo sappiamo!".

"…".

"C'eravamo anche noi…un anno fa! E quell'idiota d'un soldato ha avuto il fatto suo! Hai scommesso sul fante sbagliato bel damerino! Ma se vuoi rimediare…".

Quelli erano stati là…

Loro l'avevano veduto.

Il corpo bello, il sorriso, il volto, lo sguardo erano stati catturati dai dannati idioti, anche da loro, così come preso e strappato ad altri.

I pugni stretti, stringevano il nulla…

Fersen aveva detto che non s'era salvato quasi nessuno. Invece il moccioso indiano era vivo e anche i due energumeni.

Fece per aprir bocca ma di nuovo la stigma della colpa divorò le domande, il sangue liquido mutò quasi in acqua.

E quell'idiota d'un soldato ha avuto il fatto suo!

E quell'idiota d'un soldato ha avuto il fatto suo!

E quell'idiota d'un soldato ha avuto il fatto suo!

"Che volete dire…" – sibilò immaginando che i due si riferissero alla morte ma poi no, i due erano troppo tronfi e stupidi e da quella storia volevano cavare tutto quel che si sarebbe potuto ricavare senza scomodare il fato o il destino.

Loro avevano avuto la meglio, alla loro maniera, finendo per distruggere tutto di quel soldato che aveva osato sfidarli.

Si reputavano finanche migliori della morte, che quella cancella la vita, ma vuoi mettere esser tanto abili da conservare la vita e uccidere al tempo stesso la mente e la reputazione dell'avversario!?

No, era peggio dunque…

"Oh…" – tossicchiò uno dei due lisciandosi la faccia – "Quello aveva osato sfidare Tiberius e Guglielmo…e noi gli abbiamo fatto comprendere che aveva sbagliato…".

Oscar François de Jarjayes fu costretta a rammentare le parole dell'ufficiale postale di Ponta Delgada.

Dunque era vero che alla bettola s'era consumato uno sgarbo…

André s'era intromesso, aveva accettato la sfida che lei gli aveva lanciato, beffando i due energumeni che dunque, forse, s'erano vendicati…

Dio…

Il drappello di soldati attaccato…

Il carico fatto saltare in aria…

Quale altro sgarbo avrebbe potuto commettere André?

Il bacio sul molo a Brest?

Chi avrebbe potuto vederlo e disapprovarlo?

La sua origine plebea ma in fondo forse più nobile di quella di tanti aristocratici degenerati?

Chi avrebbe potuto infastidire con i suoi modi educati, gentili, silenziosi?

La lama calò quasi a recidere il collo…

L'intuizione stava portando sulla strada giusta…

Oscar deglutì, tentando d'ammansire le consuete maniere militaresche.

S'avvicinò Tiberius, afferrandola per un braccio…

L'altra mano la cinse che lei si ritrovò stretta all'uomo, che però questa volta rimase basito e sussultò intuendo che l'abito celava un inganno.

Quello era…

Uno strattone…

Un calcio all'inguine…

E poi una ginocchiata in faccia…

Un grido e l'uomo si ritrovò con il volto nel fango, il braccio ruotato dietro la schiena.

Il compare fece per piombare addosso al groviglio isterico di forze contrapposte…

"Se ti avvicini gli spezzo il braccio!" – sibilò Oscar andando a spingere sull'articolazione…

"Tu sei!?" – blaterò Tiberius steso a terra…

Oscar François de Jarjayes non aveva altro da chiedere. Non avrebbe ottenuto altro e altro non le interessava.

Sentì salire la rabbia, la nausea, il disgusto per essere l'unica responsabile del rancore scatenato contro André.

L'istinto fece indietreggiare il corpo, ponendola al sicuro.

"Non ha importanza…".

Non aveva modo di imporre alcuna punizione ai due soldati…

Non aveva prova di nulla…

Sentiva le lacrime salire alla gola, mescolate alla pioggia, mescolate all'ultimo sorriso di André, al vino della bettola, a Brest, al sentore dell'ultima estate che li aveva avvicinati.

Un passo, la corsa…

Via…

Mentre la pioggia divorava il paesaggio e il pianto.

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