Just one more time before I go, I'll let you know
That all this time I've been afraid, wouldn't let it show
Nobody can save me now, no
Nobody can save me now
Battle Cry
Imagine Dragons
E poi…
"Hai freddo?" – domandò Fersen, iniziando a sbottonarsi la giacca dell'uniforme, sfilandola ed andando ad appoggiarla sulle spalle dell'altra.
Sorprendente visione d'una notte solcata da deboli scintille dorate.
"Mi sembri così indifesa…" – proseguì nel silenzio dell'altra – "Non sembri nemmeno tu. Eppure so chi sei, ti ho riconosciuta, sento che sei davvero tu adesso…".
"Io…" – un sussurro incerto, come neppure lei sapesse chi era o chi essere – "Tu sai davvero chi sono!?".
Inimmaginabile domanda.
Fersen si sorprese, si contrasse cogliendo la sottile lusinga d'una simile confidenza.
Dunque davvero un uomo – lui - era giunto sin sulla soglia dell'ego di una donna così silenziosa e sferzante, al punto da suscitare confusione, al punto da indurla a chiedere chi fosse lei per lui!?
Questo intuì il conte nella domanda…
Se Hans Axel von Fersen l'avesse conosciuta – lei, Oscar François de Jarjayes - avrebbe compreso la domanda, richiesta di sé a se stessa, e non affermazione di sé per come visione dell'altro.
Ciò che lei pensava di non conoscere era in realtà la più vera delle certezze.
Sorrise Fersen scorrendo con le dita ad accarezzare le guance fredde.
S'adagiarono sul collo libero che pareva in quel momento davvero una sorta di giunco in attesa d'essere spezzato dalla furia del vento.
"Credo tu sappia bene chi sei…io…io sono stupito di non essermene accorto prima…ma questo vestito…i capelli…".
La chiosa ai marchi evanescenti, come sentore d'un profumo che prima o poi il tempo non avrebbe esitato a cancellare per sempre, eruppe e sfilò via, appena percepita dalla mente e poi accantonata, come facesse parte d'un rito che doveva procedere in quel senso.
Tendere a lievi lusinghe per conquistare, a deboli remore da superare…
Solo che lei non lo sapeva come sarebbe dovuto essere.
Se l'immaginava ma non lo sapeva.
E il non saperlo generava stanchezza e rabbia, che essere donna per lei era altro, era diverso…
E il non saperlo accusava rancore verso di sé, perché non v'era certezza che il sussulto fosse dovuto all'attesa o alla paura o al desiderio.
Non era come essere un uomo che corteggia una donna.
E non era nemmeno come essere una donna corteggiata da un uomo…
Non era compiere nessuno di questi gesti in un senso ma nemmeno a rovescio.
Lei non lo sapeva…
Oscar appoggiò le mani sulle mani dell'altro, premendole piano, come a respingerlo ma poi no, come a indurlo a proseguire, così che quelle finissero per scaldare il viso, il collo, le guance.
Così che lei si potesse perdere e cadere entro il vuoto pieno dell'attesa e della resa, dell'incosciente rabbia, dell'impotenza di comprendere.
Fersen, sempre più stupito, davvero credette che le proprie mani fossero giunte lì sul punto di scovare una specie di rara creatura, nascosta al mondo per secoli, riemersa da una spessa coltre di arbusti, alberi, foreste, terre, montagne, stratificate a proteggerla.
Gli occhi avevano finalmente modo di soffermarsi al profilo severo del volto, agli occhi scuri e feroci che l'osservavano…
Oscar François de Jarjayes pareva trasfigurata, senza paura, senza dubbi.
Le dita sfilarono via dalle mani di Fersen per andare ad appoggiarsi alle labbra dell'altro e disegnarle, scorrendo su di esse, come a sincerarsi che l'altro respirasse.
L'incedere stupito sollevò il desiderio, come fiamma gettata su paglia asciutta e bianca, nel deserto più assolato e vuoto…
La bocca corse alla bocca aperta a prendersi il respiro e il primo bacio…
Fersen si chinò, il respiro dapprima trattenuto e poi finalmente libero, come se lui l'avesse presa per mano, sapendo dove lei voleva andare, e dunque per accompagnarla giù, negl'Inferi gelidi del suo essere né uomo, né donna, cieca e sorda e vuota, capace di godere d'un orgasmo rubato al tempo che non sarebbe mai più tornato indietro, ma incapace d'aver veduto l'amore che l'aveva seguita mezzo passo dietro a lei.
Ricambiò il bacio, prendendo la testa dell'altro, chiudendo gli occhi, mordendo piano le labbra, stringendo i capelli, che Fersen la chiuse in un abbraccio, intrecciando le dita su, alla testa, che l'acconciatura un poco precaria prese a disfarsi, le ciocche a scivolare giù, sulle spalle, a incorniciare il volto, quello di sempre…
Si scostò Fersen, rapito - "Sei davvero tu…".
Domanda e affermazione al tempo stesso…
Dimenticò Fersen in quel momento che quel bacio non era stato il primo.
Si era chiesto spesso dove fosse finita Oscar François de Jarjayes dopo quel bacio, quell'altro, quello che s'era dispiegato beffardo nel caotico crescendo della partenza della spedizione francese per l'America.
Un bacio lieve...
Crebbe la rabbia, crebbe la smania, che le mani corsero a stringere la testa di nuovo, tenerla lì, per cogliere il fondo del bacio, il proprio, e così tentare di scacciare l'altro, o meglio renderlo vano, così d'ascoltare la lenta discesa capace di scaldare il sangue e il respiro.
Le mani tornarono a stringere quelle dell'altra. Nel buio, gli occhi domandarono muti…
La mente recuperò i pochi passaggi dell'ultimo incontro…
Fersen le aveva domandato se era felice…
Fersen le aveva chiesto di restare…
Lei era sgusciata via….
L'abisso risalì dallo stomaco…
Anche lei rammentò.
Beh…non dovreste chiedermelo.
Se l'avete conosciuto…se l'avete conosciuto da più tempo di noi…dovete ammettere che lui non era come noi.
Comunque era triste…non l'ho mai visto accalorarsi per una donna o scambiare stupidaggini sulla sua vita passata. Insomma, non è che questo viaggio gli abbia portato fortuna. Eccetto che a Brest…dove ha incontrato voi.
Mi hanno raccontato di quel che è accaduto in quella dannata bettola.
Lui vi conosceva già, ormai è chiaro, poi non so se fosse più stupito di trovarvi lì…o amareggiato o…ma lui…ecco…
Inutile fuggire.
Ovunque fosse andata, in qualsiasi luogo, lui l'avrebbe seguita, come ombra docile sull'anima, come respiro addosso, come battito lieve che avrebbe rimbombato dentro la testa.
E ovunque l'avesse cercato, non l'avrebbe più trovato, lui non sarebbe più tornato.
Che intendi? Non l'hai mai visto…accalorarsi per una donna!?
Ma come!? Ma stiamo parlando della stessa persona?
Lei non aveva compreso nulla…
André era morto per causa sua.
Morse il labbro…
Si spinse a cercare il senso di sé nella bocca dell'amante, ch'era bravo, ch'era avvezzo mentre lei non sapeva nulla.
Baciava e ascoltava…
Baciava e scivolava, piano piano, dentro di sé.
Fersen si staccò.
Lo chiese muto, quell'unico istante, senza neppure attendere che l'altra rivelasse lo smarrimento e la rabbia e le mille scintille d'odio verso se stessa che infierivano nella carne raggelata dal buio e dall'assenza.
Dunque lei diventava ciò che desiderava…
Né uomo, né donna…
Non nell'accezione fisica del termine…
Che intendi dire…lui non si comportava come voi!?
Allora…il bellimbusto svedese…quello…ecco…per dirvela tutta…ovunque si fosse…quello non mancava di finire tra le graziose braccia d'una graziosa dama! Ma…lui…diavolo…
Voi siete una donna!
Sì, ma non si era accorta di nulla…
Sì, ma non amava…
Non amava ma sceglieva…
Sceglieva di concedersi, ascoltarsi, lasciarsi penetrare fin dove lei avesse voluto…
Come una donna che non ama…
Nelle braccia di un uomo che non l'avrebbe mai amata come lei avesse chiesto…
Nelle braccia di un uomo che aveva disperatamente cercato d'ammansire un amore impossibile in altre braccia, dunque allo stesso modo.
Dunque come avrebbe fatto lei…
Lucidamente e senza scampo.
Possibile non vi siate mai accorta di nulla!?
André è morto…
Dunque adesso odiava quell'André, quello ch'era morto.
Quello che le martellava in testa e pulsava nelle tempie.
Lo odiava perché, amandola e morendo, le aveva rivelato l'amore…
Lo odiava, perché amandola e morendo, le aveva rivelato un amore attraverso cui odiare se stessa.
Lo odiava perché era a causa sua se lei si ritrovava così fragile e senza difese, che l'avevano educata a essere forte, a essere pura, a non lasciarsi scalfire da alcuna ignobile idiozia.
E lui invece, l'aveva resa ridicola.
Lo odiava perché amandola, l'aveva tirata fuori dall'aureo guscio, mettendola di fronte allo specchio, con quell'immagine così assurda che si ritrovava cucita addosso assieme alla propria uniforme.
André l'aveva vista come una donna, ma non gliel'aveva mai detto in faccia, se l'era tenuto per sé, come un prezioso segreto, che poi però non serve a nulla, ma non nuoce a nessuno.
L'aveva vista come una donna…
Una donna debole…
Per assurdo che fosse, lei adesso avrebbe dimostrato che anche una donna debole poteva decidere e avere ciò che desiderava.
Solo che…
Solo che forse anche questo era sbagliato…
Ammesso ci fosse stato in tutta quella storia il giusto e lo sbagliato.
Di certo, anche così non avrebbe mai rimediato al torto.
Bruciava l'assenza…
Bruciava lo smacco di non aver capito…
André è morto…
L'hai ucciso tu stessa la prima volta e ora lo ucciderai la seconda, per sempre, dimenticandoti di lui, oscurando il bene puro, mettendolo sulla stessa bilancia d'un bene differente, impuro, forse banale.
Grida astruse si ficcarono nelle orecchie.
La bocca sussurrava di non cedere, di non distrarsi…
Le mani torturavano con sapienza la follia dell'attesa…
Era tutto strano, assurdo, sorprendente…
Scendeva giù, all'Inferno, dove si macchiava per la seconda volta della morte dell'altro.
"Sei così bella!" – sussurrò Fersen spingendosi contro di lei…
Lo sguardo brillò staccandosi un poco, Oscar si ritrovò indifesa di fronte a tale affermazione…
Le uniche parole che sgusciarono dalla bocca, istintive, che però non comprese davvero da dove giungessero e perché lei volesse sapere…
"Chi…sono…io…per te!?".
"Chi sei?!" – sorrise Fersen tornando a stringere le mani, portandole alla bocca, baciandole piano – "Sei una donna meravigliosa! Sei intelligente, severa, infinitamente perspicace! Non ti perdi mai d'animo…sei forte! Mi dolgo soltanto del fatto che questo luogo sia indegno della tua bellezza, ch'essa avrebbe ottenuto miglior giustizia non certo in questo fango e in questa miseria bensì nella nostra reggia dove il tuo volto si sarebbe riflesso mille volte, moltiplicandosi…" - il respiro sospeso - "Solo Versailles potrebbe renderti l'onore che meriti! Avrei voluto danzare con te laggiù!"
Oscar non seppe perché.
Si ritrovò incapace di trattenere le lacrime che suo malgrado arrossarono le guance.
Amare non significa sacrificarsi…
Amare significa imporre un sacrificio all'altro…
Dannato André!
Ti ha rovesciato addosso il suo amore…
Non sai che fartene! Non potrai né ricambiarlo, né respingerlo!
Dunque sì, è vero!
Amare significa imporre un sacrificio all'altro!
Quell'altra sei tu!
Perché non potrai fare più nulla…
André non ha voluto questo sacrificio sulle spalle e nemmeno tu lo vuoi!
Potrai cancellarlo per sempre, dimenticandoti di lui…
Uccidendolo per la seconda volta!
Strilli, ancora più forti, sorgevano da lontano, avvicinandosi…
Un tonfo sordo…
Un boato soffocato…
"Vieni!" – impose Fersen, voltandosi un istante a osservare lo spazio buio che s'apriva sotto gli occhi, giù verso lo spiazzo nero del cortile brullo e il profilo opaco delle case addormentate.
Un istante sospeso, come ad accertarsi d'aver davvero udito respiri affannati che giungevano dall'oscuro groviglio.
Come in un sogno, si lasciò guidare.
Tornarono entrambi dentro l'edificio.
Nonostante lui la tenesse per mano, sulla rampa di scale, Oscar quasi inciampò, dimenticandosi che l'abito che indossava avrebbe intralciato i passi, imponendo un più cauto passo.
Fu Fersen stesso ad accertarsi che il vestito non fosse d'ulteriore impiccio.
Lo raccolse in una mano, lasciando quella di Oscar, mentre con l'altra si chiuse la porta alle spalle.
Una stanza buia…
Arazzi alle pareti, tende forse, un baldacchino, un letto…
Fersen immobile, la osservò, come a voler sincerarsi che fosse davvero lei, la donna che aveva di fronte.
"Spero che tu sia felice adesso…" – esordì, come ad afferrare non più la stoffa o la mano di Oscar François de Jarjayes, bensì la sua mente, per riportarla là, in quel passato frammentario e tormentato, a quella domanda ch'era stata ripetuta e a cui lei aveva risposto non sempre in maniera sincera.
La domanda conteneva la risposta.
Che Fersen non attese risposta, s'avvicinò di nuovo, che però fu lei ad indietreggiare, come a voler mettere tra sé e lui una distanza immaginaria ma fissa, come a voler ritrovare il tempo della sua felicità che però pareva perduto.
Vuoi davvero essere forte?
E dimostrare questa forza scegliendo di essere donna?
Quella stessa donna che ha ucciso André!?
Così che adesso tu lo ucciderai un'altra volta!?
Un altro passo…
Fersen accarezzò il viso, baciò la bocca…
Le mani corsero a scostare le spalline del vestito che seppur di poco scivolarono giù, lasciando intendere la morbida rotondità delle spalle…
"Come fai…come fai a non esserlo!?" – ammise Fersen spingendola indietro che lei quasi cadde, ritrovandosi l'altro addosso, sopra, senza peso, seppur lei non avrebbe avuto modo di muoversi…
Un altro boato, ravvicinato…
Risuonò nella testa, come il sangue che saliva a inondare le tempie, la gola deliziata dal respiro, la pelle accarezzata dalle mani che scivolavano a liberarla e renderla nuda…
Negli istanti si susseguirono altri scoppi, mescolati al frusciare secco delle stoffe…
Il bacio a riprendere i sensi…
La bocca a intingersi nel sangue che innervava i muscoli…
Disperatamente se lo disse…
Muori André Grandier!
Muori, tu che mi hai reso così fragile!
Muori, tu che sei fuggito, senza il coraggio o la disperazione di rivelarmi il tuo amore…
Sussultò il sesso, libero, nudo, lieve e intenso al tempo stesso…
Caldo e sfrontato all'incedere delle mani un poco fredde che s'insinuarono ad accarezzare la pelle…
S'intinsero le dita dell'umore puro del diamante…
Si perse il respiro intrecciato allo scorrere nero del sangue…
"Amami…" – sussurrò Fersen…
"Si…" – respirato piano…
Un boato mentre i corpi s'allacciavano stringendosi, accarezzandosi, guardandosi solo attraverso l'incedere della bocca e dei respiri…
Un sussulto…
"Non…lasciarmi…" – impose Fersen…
Alle spalle grida e suoni distorti, rimbombi, silenzi intercalati a strilli e sferragliare di carretti…
Le mani strinsero di più le braccia, poi le dita corsero a intrecciarsi alle dita, mentre i muscoli scioglievano la morbida geometria dell'amplesso…
Nessun'altra domanda, nessun dubbio…
Tre colpi alla porta…
"Conte…Colonnello Fersen…".
Il richiamo imperioso…
Una dannazione…
"Conte!" – ripetuto, più forte…
"No…" – debole, Fersen sollevò gli occhi, lo sguardo era severo, buio, come inebetito dalla vertigine che inebriava i sensi, cancellando la paura, elevando alla pazzia ogni più recondita remora.
"Colonnello!".
Giunse l'appello al nome, al rango insinuarsi tra i respiri, a spezzare il diabolico allaccio…
L'udì Oscar François de Jarjayes, come risvegliandosi dal sogno, come risalendo su dalla profondità oceanica, mentre la mente correva a cercare una spiegazione, a ritagliare un pertugio logico alle parole.
Fersen strinse ancora di più le dita dell'altra, corse giù, addosso a lei, ghermendo la bocca, penetrando il respiro, che lui invece la voleva lì, ancora con sé, ancora tra le sue braccia, come il lupo che sente la preda ancora viva muoversi, agonizzare, scalciare per liberarsi, e allora non resta che tenerla ferma, attendere che il sangue sgorghi e la vita sgusci via dalle vene.
Il bacio affondò come zanne nella carne…
"Perdonami…" – disse piano il conte, staccandosi, d'improvviso.
"Che…sta accadendo!?" – un sussurro, che non era da lei ritrovarsi così, in balia delle scelte d'un uomo, che fossero d'amarla o lasciarla sola.
Accadeva di nuovo in un certo senso ma questa volta Oscar François de Jarjayes intuì nel fondo delle viscere una sorta d'inconsulto sollievo, come se il tempo che si frapponeva tra sé e l'altro avrebbe avuto pregio di restituirla a se stessa, al proprio orgoglio, al proprio essere né uomo, né donna ma altro da entrambi.
Un nuovo tonfo alla porta…
Dall'esterno s'udiva adesso un crescendo di crepitii, grida, spari che sormontavano il battito del cuore, il sussulto distorto del sesso…
Fersen si sollevò senza fiatare. Si riassettò le brache, s'infilò la giacca, rimboccandosi le maniche di pizzo, cacciandole dentro l'uniforme.
Gli stivali rincalzati in fretta…
"Dio…perdonami…" – sibilò scuro, guardando Oscar ch'era come impietrita e aveva a mala pena avuto la forza di sedersi – "Ti prego…aspettami…era l'unico modo…".
"Ma di che stai parlando!? Che significa?" – chiese lei, come stesse cadendo al suolo da un'altezza inimmaginabile e fosse lì, sul punto di schiantarsi e frantumarsi in mille frammenti di sordo dolore.
"Resta qui! Non uscire!" – l'ennesima chiosa, quasi un ordine – "Potrebbe essere pericoloso".
Un passo indietro e Fersen aprì la porta, chiudendosela alle spalle.
Nell'istante di silenzio che seguì, Oscar François de Jarjayes intuì lo schiocco del chiavistello. Si rese conto di ciò che accadeva, scese dal letto, trattenendo il vestito in disordine, a pezzi cucito, a pezzi stappato, tentò di aprire la porta forzando la maniglia.
La porta era chiusa, era stata chiusa dentro.
D'instinto, la mano aperta si schiantò con rabbia contro la porta.
Tre, quattro colpi…
Nessuno venne ad aprire, che riemerse allora repentino - specie di serpe che al risveglio s'avventa e morde la prima preda che si ritrova accanto e quella non s'avvede del pericolo, come pietrificata dal sonno - il disgusto di sé, l'ammissione che nessuno mai si sarebbe potuto azzardare a chiuderla in una stanza.
Pochi passi, il vestito dissestato…
Le finestre del balcone spalancate…
Lo sguardo s'impietrì alla vista del profilo della cittadina screziato da chiarori abbaglianti, spunti di lampi si susseguivano nelle strade adiacenti all'edificio.
Da sotto s'udivano salire le grida degli ospiti. Donne terrorizzate, uomini che incitavano ad afferrare baionette e a mettersi in difesa della reggia aggredita.
Era un assalto in effetti…
I piedi scalzi poggiarono sul marmo freddo, impossibile andarsene in quello stato.
Una ricerca veloce, occhi sgranati e mani a cercare affannosamente, fruttò un paio di stivali abbandonati in un angolo, calzati in fretta…
Una giacca d'uniforme, i galloni scorretti, ma almeno non sarebbe gelata di freddo fuori, che ci aveva provato a strapparsi di dosso l'insulso vestito ma quello era cucito troppo stretto, perfettamente impostato, così che senza un coltello affilato avrebbe rischiato di ritrovarsi impigliata come una lepre in una tagliola.
Dissonante immagine schizzò rapida allo specchio, una specie d'ibrido insensato, né uomo, né donna…
Semplicemente Oscar François de Jarjayes.
Una corda di tende strappate condusse giù, fino a terra, che il balcone non svettava più di tanto.
Si maledisse Oscar François de Jarjayes per aver infranto il proprio disgustoso ego, per aver nuovamente ceduto a ciò che era sempre stata sino ad allora. Ma contro tale disgustoso ego gareggiava l'ancor più bislacco orgoglio che le avrebbe impedito di restare lì, chiusa, la porta sprangata a tenerla al riparo da chissà quale accidente.
Ma quale donna avrebbe accettato un simile scenario, pavida, sotto un cielo nero e plumbeo, rischiarato da saette polverose che anziché schiantarsi a terra risalivano la coltre per disperdersi nell'aria umida!?
E quale uomo, parimenti, si sarebbe piegato a tenersi lontano dai guai!?
Il ginocchio a terra…
I passi ampi affondarono un poco nella mota che ancora ristagnava nei punti più in ombra del giardino, poco più che una distesa spoglia d'erba e arbusti mal governati.
La destra reggeva la disgraziata stoffa ormai ridotta a poco più che uno straccio…
La sinistra teneva chiusa la giacca…
Era dannatamente freddo e per qualche istante gli occhi si colmarono di lacrime, il naso prese a colare, il respiro ad appannare la vista.
Decise di orientarsi con i suoni…
Alle spalle le grida isteriche delle assediate e dei vigorosi coloni ch'erano sul piede di guerra per difendere le preziose famiglie, gl'intoccabili arredi e soprattutto l'onore mai scalfitto.
Davanti a sé il buio, intercalato da rapidi lampi, disarticolati spari.
La direzione si dispiegò nell'immediato.
Era in corso un assalto alle baracche che fungevano da armeria, dov'erano stipate baionette, pistole, forse un paio di colubrine e le botti ricolme di polvere da sparo.
Un assalto per rubare…
Un assalto per distruggere…
Di solito chi assalta i trasporti di armi e polvere da sparo lo fa per rubare il carico. Sono preziose entrambe ma in quel caso…
Che intendi?
Il carico è stato fatto esplodere. E' possibile che la resistenza dei soldati abbia avuto la meglio e per assurdo, piuttosto che lasciarlo nelle nostre mani, chi ha assaltato il carico ha mirato alla polvere da sparo. Purtroppo in quel caso resta poco tempo per scansarsi. Mi hanno detto che sarebbero state usate delle frecce intinte nell'olio e poi…
Com'è stato possibile? La polvere…doveva essere al sicuro dentro le botti…
Era…per far più in fretta, il carico è stato trasportato nei sacchi, al dorso dei cavalli. Il viaggio sarebbe stato più agevole e veloce e invece…te l'ho detto…non mi perdonerò mai. E' stata colpa mia!
Sibili sfidarono l'aria…
Suoni inghiottiti dal primo ingombrante boato…
L'aria risucchiata e poi spinta via…
Gli occhi si colmarono del fuoco che s'innalzava verso l'alto, colonna calda contro aria fredda…
Grida si susseguirono in un misto di terrore e sdegno…
Accuse e stupore…
Incomprensibile che l'assalto fosse stato architettato e portato a compimento senza che nessuno se ne fosse accorto.
Le guardie erano state disposte da tempo…
"Siamo stati traditi!".
La chiosa sferzò, correndo rapida tra i soldati ch'erano intenti a domare il fuoco…
Oscar riconobbe Victor Girodel che comandava di fare in fretta, recuperare carri, acqua, ripulire gli spiazzi d'erba e arbusti secchi che univano in un groviglio di ceneri morte le baracche già esplose da quelle ancora integre.
Anche lui la riconobbe, sorprendentemente impigliata in quello strano vestito che impediva di muoversi agilmente.
La chiamò, fece per correrle incontro, nell'insidioso vezzeggio di custodire l'incolumità dell'altra.
Quale uomo non avrebbe tentato d'impedire l'avvicinarsi di tale disastrosa capitolazione!?
No, lei voleva comprendere, come falena attirata dalla luce, pronta a immolarsi in nome della conoscenza.
Troppe erano le somiglianze con il racconto di Fersen…
Le pareva che andando a finire dentro quella voragine, forse, avrebbe compreso…
Insana follia…
Forse avrebbe compreso…
Forse…
Nel baratro oscuro della follia, punse la rabbiosa ricerca.
S'immaginò che lui fosse ancora là in mezzo, nel groviglio di ciò che stava accadendo in forma così similare al carico assaltato e fatto saltare in aria nella disgraziata spedizione.
Stava perdendo il senno, i pensieri pian piano disarticolati e distrutti dall'assenza e al tempo stesso dal rimorso.
Sgusciò via…
Vide le casupole che si susseguivano, accerchiate dai soldati, armati d'accetta, falci, così da interrompere e spezzare il groviglio di ciarpame e rovi che rendeva troppo facile la via al fuoco per attaccarsi ancora più a fondo.
Incomprensibile che quel luogo fosse stato lasciato in balia d'incolta verdura.
Assurdo che le baracche deputate a proteggere le armi fossero poco più che assi tenute in piedi da altre assi, marce e tarlate.
E per quanto avesse piovuto e dunque il terreno fosse umido e fangoso, quello restava un percorso privilegiato che il fuoco avrebbe cavalcato in un istante.
Chi poteva aver tradito?
Chi…
Oscar si ritrovò al fondo del sentiero, i passi procedevano pesanti, minati dal terreno fangoso, le braccia erano fredde, le gambe intorpidite, la seta si rivelava cattiva custode del calore della corsa.
Il respiro affannato prese a risuonare per poi calmarsi mentre gli occhi tentavano di comprendere da ciò che era ancora intatto, ciò che poteva essere accaduto alle catapecchie esplose.
Passi altrettanto fangosi alle spalle indussero a trovare rifugio dietro il tronco possente d'una quercia. Il respiro s'appiattì, come i muscoli, quasi a divenire parte dell'essenza arborea.
"Colonnello!".
Il richiamo giunse alle spalle…
Il grado corretto inspiegabilmente declinato, che forse qualcuno l'aveva riconosciuta…
Oppure no.
Conosceva le voci, ma aveva certezza che coloro che aveva alle spalle non avessero ancora compreso chi fosse lei, né che lei fosse un colonnello…
Fece un passo…
Il corpo scomparve contro la quercia, i rami calati sulle casupole come braccia d'una gigantesca fiera…
Si maledisse, che comprese che i due smargiassi l'avevano vista…
O meglio, avevano intuito la presenza di qualcuno ch'essi credevano di conoscere…
Si maledisse…
La giacca dell'uniforme sulle spalle aveva forse tratto in inganno. Le mostrine rilucevano al bagliore del fuoco che giungeva dalle casupole in fiamme.
Le mani raccolsero il dannato vestito, trattenne il fiato, che lì, in quell'insidioso frangente, lei era come un animale senza artigli, una belva in gabbia.
Tiberius Mallerbé…
Guglielmo Pointers…
I due fecero un passo…
"Colonnello Fersen…".
Diavolo…
Quegli imbecilli credevano che lei fosse il conte…
Zitta, Oscar si morse il labbro. Forse, se fosse stata zitta…
"Sentite…sapete che a noi quel damerino ci pare proprio assurdo!?" – prese a blaterare Tiberius mentre piantava con forza la vanga a terra, senza aver alcuna intenzione di procedere all'unico incarico che gli era stato ordinato, ossia strappare sterpaglie attorno alle ultime armerie ancora intatte – "Che ci raccontate!? Quando ci avete detto di fare quel lavoretto a Ponta Delgada…con quell'altro soldato…noi l'abbiamo fatto! Abbiamo dato a quell'idiota quel che si meritava ma adesso vorremmo saperne di più! E soprattutto…vista la bella faccia di quel damerino…beh…ci piacerebbe finire anche con quello….quel che non si è terminato?!".
Zitta…
Oscar François de Jarjayes si ritrasse ancora di più dietro il tronco.
Le parole dei due tagliavano gli intenti, riaprendo una ferita feroce, mordendo la coscienza, ma si disse che se fosse rimasta lì, in silenzio, i due soldati forse avrebbero parlato, rivelando ciò che sapevano.
Solo che…
Tratti in inganno dall'uniforme, quelli pensavano di parlare a Fersen e ogni dannata parola pareva svelare una mostruosa macchinazione, una visione distorta e orrida di cui il conte era a conoscenza.
Il cuore prese a battere piano e poi più forte…
"Ci avete detto di fare ciò che c'aggradava! Quello ci aveva già pestato i piedi a Brest…rammentate...quando ci avevate detto di star dietro al damerino biondo!".
Di che diavolo stavano parlando!?
Fersen...
Fersen l'aveva fatta seguire?
"Sentite! Vogliamo avere di più di quel che c'è stato promesso…che ne dite di darci la metà dell'oro che avete detto di voler recuperare!?".
Quindi c'era di più, c'era altro…
Dunque, non era un caso che quei due fossero nella locanda a Brest!
Brest aveva scatenato il risentimento…ma dopo…
"E siccome a noi quello sembra una donna! Anche a noi le donne piacciono! Insomma è davvero bello…" – sputò Guglielmo dando una manata sulla spalla del compare, andando a scavare in un taschino e cacciando fuori un acciarino – "Se ci fate divertire un po' con quello…come ci siamo divertiti con il soldato che se l'è scopato a Brest…diavolo! Pareva quasi non respirare più…credevamo d'averlo ammazzato…non ha cacciato una parola dalla gola…si vede che dev'essergli piaciuto! Insomma…noi non ci capiamo più niente! Se a quello là piacevano le donne…pazienza…ma se gli piacevano gli uomini…".
Rise Tiberius Mallarmé…
Guglielmo Pointers, allargò una piccola sacca e due dita cavarono una presa nera…
Tabacco…
Polvere da sparo…
Il cuore si fermò, il respiro anche, le dita graffiarono la corteccia ruvida e fredda, ficcandosi nel manto spugnoso di muschio che la ricopriva.
Sentori di resina e felci…
Il fraintendimento in cui i due erano caduti, era stata proprio lei, Oscar François de Jarjayes, a sollevarlo, fingendosi uomo, spacciandosi per damerino, imponendo ad André d'accoglierla tra le sue braccia, anche se lui l'aveva rifiutata.
E Oscar François de Jarjayes non aveva mai accettato d'esser rifiutata!
Mai!
Da nessuno!
Implose la coscienza, vacillando di fronte all'orrore…
Impossibile restare nascosti…
Un passo…
Oscar François de Jarjayes si voltò, rivelando il viso, scansandosi dal tronco, ponendosi alla vista dei due soldati. A Guglielmo Pointers per poco non cadde l'acciarino dalla mano, Tiberius cacciò un'imprecazione.
I due si ritrovarono addosso occhi furenti, neri di rabbia.
Deboli bagliori impigliati nelle mostrine della giacca rivelarono l'incedere secco e severo.
Il drappo marino accompagnò il passo sinuoso ma fermo, groviglio di sprezzante disperazione…
"Porca puttana…ma tu sei quello?!" – sputò Tiberius Mallerbé aguzzando la vista, per nulla intimorito dallo spreco di parole che forse rivelavano uno scenario ben diverso da quello conosciuto – "Il bel damerino!?".
"Che gli avete fatto!?" – domandò l'altra senza più avere contezza della propria posizione.
Ribolliva il sangue, non vedeva più nulla, non sentiva più nulla, voleva solo sapere.
Un altro passo…
"Che gli avete fatto!?" – chiese di nuovo rivelandosi agli altri due che finalmente compresero…
"Altro che damerino!" – gracchiò cinico Guglielmo Pointers – "Così conciato questo mi sa ch'è una donna dalla testa ai piedi! Ecco…adesso ho compreso di che diavolo blateravano i soldati francesi! Bene! Anzi meglio! Mi piacciono le puttane!".
Sputò a terra Guglielmo Pointers…
"Che miseria poi! Che bifolchi quei soldati! Sono proprio degli imbecilli! Mi sa che voi siete davvero una donna…e dite..." – proseguì il soldataccio avanzando silenzioso nella mota mista a foglie fradice e cenere che fluttuava nell'aria assieme a brandelli di fuoco impazziti – "Madame…mademoiselle…o chi diavolo siete…vi siete divertita a fingervi un uomo!? Ve lo siete rigirato per bene quel dannato soldato a Brest!?".
Stavolta fu lo smargiasso Tiberius Mallerbé a fare un passo, gli occhi lividi a rivelare la rabbia d'esser stato preso per i fondelli, la bocca dischiusa a declinare imprecazioni e a chiedere aria come a riprendersi dallo stupore, che dunque l'istinto ci aveva visto giusto e tutto allora tornava ad avere un senso.
A Brest, quel soldato s'era tirato dietro una donna…
E a Ponta Delgada ne aveva pagato le conseguenze!
Sibili alle spalle…
Gli occhi seguirono il guizzo…
Rintocchi sordi attinsero il legno marcio dell'ultima casermetta…
Non avrebbe potuto far caso a ciò che accadeva alle spalle…
La rabbia saliva…
"Che gli avete fatto!?" – lo chiese per la terza volta, lo sguardo in fiamme…
Monsieur…ve ne prego… non ho molto tempo…e dovrò affrontare quello stesso viaggio a cui voi asserite quel giovane si sarebbe voluto sottrarre…
Non si sottrasse infatti! Venne picchiato…quasi a morte! Lo ritrovarono il mattino seguente…poco lontano da qui…chissà che devono avergli fatto…
Picchiato…a…morte?
Oscar…
Tienimi stretto…
Nascondimi…
Oscar…
Unico volto, unico pensiero…
Ti sei divertito con quel damerino…a Brest?!
Ma non è morto! Ecco sì. Allora potete tranquillizzarvi. Almeno finché è rimasto a Ponta Delgada…era vivo quand'è ripartito. Dopo non so. I mercantili che riportano in Francia le missive dei soldati al fronte dall'America si fermano in rada ma il loro carico non viene visionato…dite…avete ricevuto altre lettere?
Si…
Oh…allora quel giovane è vissuto! Meglio così…mi pareva una gran brava persona…era preoccupato che sua nonna ricevesse la lettera…e se mi dite che così è stato, allora…anche quella brava donna avrà goduto d'un poco di sollievo…
La mente s'arrovellava, le congetture cozzavano contro l'impossibile e poi l'inenarrabile…
Le conseguenze di quel che i due aveva compiuto erano incise nella testa, apprese dalle parole dell'ufficiale postale di Ponta Delgada e dal registro dell'infermeria dell'isola.
Il nome dell'altro era lì, nell'ennesimo registro.
L'annotazione risaliva al giorno successivo a quello del timbro di spedizione della lettera.
André era stato medicato. Si descrivevano lividi e ferite, una costola rotta.
Forse l'esito fatale d'un tentativo di diserzione, forse un pestaggio per rubare i pochi soldi portati con sé, oppure uno sgarbo fatto a qualcuno…
Uno sgarbo…
Quale…
E poi da quelle smozzicate dalla bocca dei soldati…
Chi è stato? Perché?
Che v'importa? Chi era per voi? Se lo conoscevate…dovreste saperlo perché ha lasciato la Francia!?
Lo conoscevo da tanti anni! Non mi ha voluto spiegare perché è partito. Anch'io lo stavo cercando e a Brest gliel'ho chiesto!
Beh…se non lo sapete voi! Che dite di conoscerlo da tanti anni…perché mai dovremmo saperlo noi!? E se gliel'avete chiesto e neppure con voi ha detto una parola…
Solo che…
Si maledisse in quell'istante, ammettendo che il cerchio si chiudeva e tutto riportava alla sfida che lei aveva lanciato ad André nella bettola, per costringerlo a restare sola con lei, per parlargli.
Mai avrebbe immaginato che quelle sarebbero state le conseguenze…
"Quello che gli abbiamo fatto? Oh…volevamo sapere se davvero i suoi gusti erano quelli d'avervi tenuto nel suo letto!".
Le parole s'incisero sulla pelle come una specie di marchio a fuoco…
Oscar…
Unico volto, unico pensiero…
Tienimi…
Nascondimi…
Aiutami…
Un altro colpo, un altro ancora…
I capelli tenuti stretti…
Freddo…
Addosso…
E poi silenzio…
La corda al collo leggermente allentata…
Nessun pensiero, nel pertugio il respiro riprese ad inondare d'aria i polmoni…
Avrebbe respirato più in fretta e a fondo ma tutto doleva e pulsava.
Forse gli avevano rotto una costola…
Forse…
Il cuore implose, quasi si fosse fermato.
S'impietrì, in attesa d'ascoltare se il dannato muscolo avrebbe ripreso a battere, anche se piano, anche se…
Comprese, che però non bastava, non era ancora tutto…
"Siccome siete qui…adesso potremmo arrivare in fondo a questa faccenda! Che ne dite?" – sibilò basso Tiberius Mallerbé prendendo la rincorsa per afferrarla, che lei provò a sgusciare via d'istinto, che voleva ascoltare ma doveva sottrarsi e quel dannato abito moltiplicava l'impaccio, impedendo i movimenti, bloccando la consueta agilità – "Che gliel'abbiamo detto sapete…quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!".
Si sottrasse alla presa che però l'altro riuscì ad agguantare la stoffa scura, ormai fradicia di fango, non con le mani bensì con le atroci parole…
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
Uno strattone, l'equilibrio minato…
"Sì…adesso comprendo perché quello se n'è rimasto zitto e non ha aperto bocca! Le cose s'aggiustano e vengono al punto. Non s'è ribellato…aveva paura…che idiota! Aveva paura per voi! E aveva proprio ragione!".
Oscar si volse, un colpo sghembo a quello che s'era chinato un poco, per trascinare a terra anche lei, il tonfo sordo alla tempia, il grido, la tensione delle dita allentate…
Tre passi all'indietro per sfuggire mentre le facce dei due si piantavano addosso come a tenerla lì, ferma, seppur solo con lo sguardo…
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
La coscienza impigliata alle parole, impossibile mettere assieme in quel frangente quel che doveva essere passato per la testa di André, il dubbio covato nel fondo delle viscere per via dell'orrida chiosa, di contro all'istinto acuto di proteggerla…
Quelli non lo sapevano chi era lei, almeno non fino a quel momento…
Che senso avevano le parole allora?
Tiberius Mallerbé si rialzò e riprese la rincorsa, le piombò addosso, di nuovo l'altra tentò di scansare il soldato, questa volta si ritrovò il passo sbarrato dal compare che l'afferrò per un braccio, trascinandola a terra.
Il fango attutì la caduta, rimescolandosi alla rabbia dell'approssimarsi della sconfitta.
Combattevano nella testa l'orrore per ciò che aveva compreso, per ciò ch'era stato fatto ad André e il disgusto di sé, che ne era stata la causa, come freccia infuocata, miccia contro polvere da sparo ch'era esplosa alla fine, forse con la complicità di altri.
Rimbombava parimenti la chiosa su Fersen…
Quando ci avete detto di fare quel lavoretto a Ponta Delgada…con quell'altro soldato…noi l'abbiamo fatto! Abbiamo dato a quell'idiota quel che si meritava ma adesso vorremmo saperne di più!
Sconvolgente immaginare che la mano dei due idioti fosse stata guidata da un suo ordine…
A terra, provò a voltarsi…
A terra, la faccia schiacciata contro il fango…
Un grido….
Tiberius Mallerbé strillò prendendo a roteare le braccia come impazzito, come per cavarsi di dosso uno sciame di vespe incattivite.
Sorse una specie d'ululato, come d'animale preso al laccio…
Gli occhi scorsero di sbieco la figura esile ma agile di Lua Pietra Incandescente, le mani di quella ch'estraevano un coltello appena conficcato nella spalla del soldato.
"Dannata serpe indiana!" – gli gridò addosso Guglielmo Pointers strappando la giovane dal collo di Tiberius, sollevandola in aria come fosse stata un fuscello, scaraventandola lontano, che quella cadde lì, un tonfo, quasi che il cranio si fosse schiantato…
Si mosse di nuovo Lua, gli occhi inferociti, riprendendo la postura in ginocchio, la lama saldamente in mano…
Oscar fece per avvicinarsi, afferrarla, tirarla indietro…
Lua la guardò, un istante di smarrimento, lo sguardo gelato rivelò l'intento generato dalla gelosia più fonda.
La destra si sollevò, le dita strette alla lama, che calò giù di nuovo, sangue contro carne, piantandosi nella spalla sinistra, sfregiando la clavicola, bloccando il respiro.
L'ennesimo grido, stavolta di rabbioso stupore per non aver compreso…
"Caz…" – sputò Tiberius tenendosi la ferita – "Quella è pazza!".
Oscar si ritrovò la gola chiusa, il braccio come morto.
Gli occhi intuirono la presa del coltello ritrarsi, rigirandosi un poco dentro la carne…
L'istinto dettò d'arretrare, sottrarsi al colpo successivo…
La lama si spezzò di netto…
Cadde giù, a terra, di nuovo…
Il riverbero del dolore prese a crescere, aggredendo i muscoli, uno dopo l'altro, come fosse stata punta da una vipera, come se il fuoco fosse stato acceso dentro le viscere.
Nonostante lo stupore, nonostante la vaga consapevolezza delle ragioni del gesto, intuì che il combattimento non era concluso, che il compare di Tiberius non pareva intenzionato a desistere.
Tentò di seguire lo scontro sgraziato, l'agilità della giovane indiana contro la stupida mole del soldato, che Guglielmo Pointers era riuscito a riprenderla e stavolta se l'era tenuta stretta e l'aveva scaraventata contro il legno della baracca, stringendola per il collo.
Tutto pareva muoversi, ondeggiando in una sorda incapacità di riprendere equilibrio e consistenza.
Galleggiava il respiro…
La mano sulla spalla, le dita intuivano la punta metallica ch'era piantata lì, forse conficcata nell'osso che fungeva da incudine, accogliendo il metallo, impedendo a quello di staccarsi.
Provò a strapparsi la scheggia, il respiro si bloccò di nuovo, come se ogni gesto si ripercuotesse nella gola chiusa, incapace d'accogliere l'aria, e poi nel cuore che davvero pareva piano piano rallentare il battito.
Come se fosse lì per spaccarsi in mille pezzi…
"Puttana!" – rovesciato addosso…
La mano di Tiberius Mallerbé corse alla gola, prendendo a stringere di nuovo, la mente impazzita, non scalfitta dallo sfregio alla spalla, intenzionata a vendicare l'onta del disonore d'essere stati presi per i fondelli.
Tanto più che adesso tutti sapevano chi era quella…
Provò a scalciare, provò a strattonare il soldato con l'unica mano libera, l'altro s'accorse della ferita, spinse sulla scheggia…
Non sarebbe riuscita a liberarsi…
Stavolta il grido salì quasi animale…
Stavolta Tiberius Mallerbé prese a farsi strada, strappando ciò che restava del povero vestito mentre l'aria intorbidita aggrediva la pelle rivelando l'innocente bellezza…
Pochi gesti…
Nulla pareva ostacolare il rito infernale…
La mente ormai sprofondata nella nebbia del lacerante incubo…
Non era più né uomo, né donna…
Era lì, adesso, stritolata e soffocata, incapace di difendersi, graffiare, liberarsi.
Grida alle spalle…
Tonfi…
L'unica parola ricorrente era acqua…
Bagnare tutto, che le esplosioni si susseguivano, impossibili da dominare…
Il respiro venne meno, le forze scemarono mentre le dita stringevano ormai solo la terra fangosa…
Era fradicia, ascoltava il terrificante rantolo del soldato che aveva la meglio, ch'eseguiva la sentenza di morte contro di lei, come la si eseguiva contro una qualsiasi donna.
Prendendo corpo e coscienza…
Inchiodata lì, il peggior modo di mettere a nudo la fragilità, la mancanza di forza…
Non era mai stata forte, solo più agile…
Il buio si screziò d'altri lampi…
Il peso del soldato d'improvviso si fece soffocante, come una specie di pietra impossibile da scostare da sé…
Non respirava più, non riusciva a muoversi…
S'accorse che il soldato s'era impietrito, i gesti violenti e disarticolati come inghiottiti da chissà quale sortilegio.
Gridò di nuovo, per farsi coraggio, per trovare il respiro, per spingerlo via da sé, che quello non si muoveva più.
Sentì che il compare, Guglielmo Mallerbé, chiamava il primo…
Le parve un grido disarticolato, anche quello…
La veste lurida inchiodava i movimenti, avvolgendoli in una spira di fango e sangue.
Le unghie conficcate nella terra fecero presa, che si ritrovò libera dal peso, lo sguardo al corpo massiccio del soldato che pareva morto.
Le mani sporche…
Rosse…
Il proprio sangue o quello dell'altro?
Tiberius Mallerbé non si muoveva più, se non per via d'una specie d'istintivo tremore che rattrappiva i muscoli, distrutti all'idea di separarsi dalla vita e via via abbandonati alla fine.
Tiberius Mallerbé era morto.
Il respiro condusse gli occhi a guardarsi attorno…
Il corpo di Lua era a terra, accanto alla casermetta…
Lo vide sollevato, con delicatezza lieve…
Cercò l'altro compare, ch'era lì, distanziato dalla giovane, incapace anch'egli di muoversi, seppur ancora in piedi, come impietrito.
Ritrovò l'equilibrio, le mani tenevano stretto il povero vestito ormai stracciato a coprire ciò che restava del corpo nudo e fragile, leso e sferzato…
Riconobbe due figure che si muovevano, mentre udiva accorrere altri passi, soldati, abitanti…
Il richiamo…
La voce di Girodel…
E dietro uomini a cavallo…
Non vedeva più nulla…
Fece per avvicinarsi alla casupola…
Poteva osservare il corpo di Guglielmo Pointers, in piedi, e poi un istante dopo cadere giù come fosse stato un sacco vuoto e dietro a quello un'altra ombra.
Un passo…
Il fango insidioso minò l'equilibrio…
Lo spasmo del respiro inciso dalla lama…
Riconobbe due figure…
Chi erano dunque i traditori, quelli che avevano reso possibile quello scempio?
Tiberius Mallerbé, che giaceva a terra, immobile, poco distante…
O Guglielmo Pointers, anch'egli a terra, la gola tagliata, annegato nel suo stesso sangue!?
Oppure…
Isi…
Lo riconobbe…
Yellow Jacket…
Era Yellow Jacket che portava il corpo di Lua, trascinandolo via…
Intuì il gesto dell'indiano…
Scorse le deboli fiammelle che guizzavano, le frecce piantate nel legno marcio della casa, l'ultima ancora intatta.
Isi raccolse l'acciarino…
Sfregò diverse volte, gesti secchi e fondi…
La scintilla corse a intaccare il contenuto del sacchetto che giaceva a terra, accanto al corpo di Guglielmo Pointers. Che non doveva essere tabacco!
L'indiano fece un passo indietro, corse via, superandola.
Lei lo guardò e quello a sua volta la vide e fece per fermarsi, tornare indietro, come colpito o forse impietosito dalla visione distorta e senza difese.
Non tanto per il sangue che lordava il bel vestito…
Non tanto per quell'andatura così disarticolata, la scheggia piantata nella spalla a mozzare il respiro…
Quanto per la eco dell'altra nella sua più fonda e intima accezione, che riportava la perdita di sé, l'annullamento di ciò che quella doveva essere stata, così come l'indiano l'aveva conosciuta, durante il secco viaggio da New York sino a Fort Awegen.
Oscar tentò di parlare, le labbra dischiuse, irriconoscibile che la voce non riuscisse più a sgorgare dalla gola.
Nell'istante successivo, sentì il corpo come sollevato da una gigantesca forza, innalzato verso l'alto e poi scostato di lato, scaraventato via…
Migliaia di aghi acuminati trafissero la pelle libera, a troncare il residuo respiro, impigliare nell'inerzia ogni possibile movimento.
La polvere invase occhi e narici, mozzando qualsiasi tentativo di continuare a respirare.
Il corpo ricadde giù, sospinto via…
Il fuoco avvolse la casupola, mentre la eco dell'esplosione proseguiva la sua corsa sempre più lontano, mescolandosi ai boati temporaleschi, rincorrendo il vento caldo che avvolgeva il legno e tutto ciò ch'era custodito dentro.
Più che in ginocchio, lì, una mano piantata a terra e l'altra a tenersi la dannata spalla offesa, le parve d'essere finita in fondo all'oceano. Adesso non sentiva più nulla, mentre nelle tempie rimbalzavano schianti secchi, incisi nello stomaco, trascinandola giù, senza ormai più coscienza, nel fondo d'una specie di pozzo sempre più buio.
Provò a gridare…
Pensò d'averlo fatto ma non riuscì a udire neppure la propria voce…
Stranita s'impaurì davvero…
Fu costretta ad affidarsi al solo pensiero…
Perdonami…
Vide Victor accorrere verso di lei…
Tentò di nuovo di gridare…
Le parole galleggiavano nella mente…
Dietro…
Scorse Fersen, la faccia stravolta…
Poi uno strattone…
Gli occhi sigillati d'istinto, intuendo il guizzo d'una seconda subitanea esplosione, la più forte, per non rischiare di restare cieca davvero, ch'era già sorda.
Ma cieca e sorda lo era stata ancora di più…
Perdonami!
Si ritrovò davvero coma a galleggiare in aria, senza più capacità neppure di ragionare.
Si affidò dunque all'ultimo senso rimasto…
Il respiro mozzato della coscienza…
Perdonami!
Perdonami!
Perdonami!
§§§
"Dannata bestia!".
"Che ti prende Alain!? Lo maledicevi quando ci volteggiava sulla testa e adesso ch'è sparito…lo maledici ancora!?".
"Lo maledico proprio per questo!".
Marcel tirò un respiro fondo, piantando il calcio della baionetta a terra.
"Secondo me ha cambiato territorio di caccia. Con tutto quel trambusto si sarà spaventato…sono esplose sei catapecchie…praticamente tanta la polvere da sparo da tirar giù una mezza montagna! Non si sente più gracidare neppure una rana da giorni e tu vai a maledire quel dannato falco?!".
"Non capisci…quello…".
"Avanti Alain…non prendermi in giro! A te di quella bestia non frega niente! T'interessava quella donna invece! Che di quella non è rimasta davvero neppure l'ombra! Hanno trovato uno straccio praticamente a pezzi…due soldati scaraventati via…".
"Con la gola tagliata!?".
"E tu pensi sia stata quella!? Gli artigli spuntati e il magone per quel suo cicisbeo saltato in aria!?".
Rise Marcel…
Alain Soisson sputò a terra…
Lo sguardo corse all'ampia radura poco fuori la solida staccionata che racchiudeva la povera cittadina martoriata.
La terra smossa indicava le fosse appena scavate e poi da richiudere.
Perché diavolo ai soldati del re di Francia fosse comandato di scavare fosse per seppellirci cadaveri poi era tutto da comprendere!?
Passi alle spalle imposero ai due soldati di zittirsi.
Alain Soisson riconobbe la donna ch'era giunta lì, al seguito dello strambo gruppo di ospiti.
Un cenno di saluto, il ghigno sprezzante alla sorta di strega che osservava rabbuiata la triste sequenza di buche ricoperte, ad alcune era stata apposta una croce di legno e un nome.
Un respiro fondo…
Madame Roma respirò piano, tesa allo scenario assurdo che si era dipanato dopo quel dannato giorno, quando erano saltate in aria le catapecchie dov'erano custodite le armi e la polvere da sparo, parte di ciò che loro stessi avevano portato sin lì da New York.
La giovane indiana, Lua Pietra Incandescente, era scomparsa. Di lei non s'era trovato più nulla.
Anche, Oscar François de Jarjayes, figlia del Generale Augustin Reyner de Jarjayes, era scomparsa. Di lei non era rimasto che un drappo di seta color del mare, strappato, screziato di sangue.
Era stata data per morta.
Lo scenario infastidiva che non era così che sarebbe dovuta andare la faccenda.
Madame Roma Aleksandra Roma Lemonde ammetteva di non sapere tutto, che quel tutto forse non era così importante, ma che nelle pieghe del passato si celava forse il nefasto epilogo di quei giorni.
Così si era decisa a riprendere il filo daccapo, proprio dall'inizio, da quell'incipit così oscuro e mai rivelato, che forse era proprio lì, in ciò che non era mai stato detto, che stava quel che aveva guidato i passi altrui.
"Dove si trova?" – chiese Roma ai soldati, che i due rimasero perplessi perché avevano veduto la donna al seguito del ministro di culto che aveva officiato la breve cerimonia di commiato ai defunti e non si comprendeva perché a quella interessasse sapere altro.
"Madame! Chi…".
"Perdonate…dove si trova la sepoltura di quell'uomo? Quello ch'è morto nella spedizione dell'anno scorso…" – il filo rosso conduceva indietro…
Alain Soisson un poco si stupì che non comprendeva il senso della domanda. Non lo sapeva Alain Soisson che all'ospite interessava il tassello mancante, il tempo ch'era scorso addietro e non quello appena inciso nei giorni che s'erano susseguiti frenetici.
"Mi spiace madame…dev'essere una di queste…io non ero qui…".
Alain Soisson guardò perplesso le tombe. Non lo sapeva dov'era stato seppellito André Grandier.
Si contrasse al pensiero di non averlo mai chiesto, lui stesso, nonostante si reputasse uomo del popolo, uomo che dunque tiene e rispetta la memoria di uomini che parimenti sono nati e morti alla catena del rango plebeo.
Altri passi…
I due soldati questa volta si misero sull'attenti.
Un ufficiale avanzava, a piedi, lo sguardo torvo alla spianata verde incisa di cicatrici nere…
"Riposo…andate pure…" – abbozzò Victor Girodel, fermandosi a osservare la distesa brulla e vuota.
Il vento abbozzava aria profumata di neve, presto tutto sarebbe stato raggelato e pietrificato dall'avanzare del freddo.
La partenza era stata rinviata di qualche giorno ma non sarebbe stato più possibile attendere oltre.
"Non posso andarmene…non così!?" – masticò amaro Victor Girodel…
"Avete perduto la vostra occasione di diventare un eroe!" – punse Madame Roma, sarcasmo velato a rabbia.
La stizza era quasi pari a quella dell'altro, seppur per opposte e oscure ragioni.
Anche Madame Roma, per certi versi, vedeva sfumare i suoi progetti, ambigui e sordi, neri come poteva esserlo l'unico colore della vendetta.
Mai avrebbe immaginato di ritrovarsi tra le mani il doloroso passato, il proprio, riflesso nelle iridi azzurrate d'una donna, figlia di colui che aveva scavato il solco di quel dolore.
E adesso tutto pareva svanito, in una nube grigia e dapprima densa e poi via via sempre meno fitta, dissolto, proprio come il fumo che per almeno una settimana aveva continuato a liberarsi e fluttuare, secco e polveroso, dal legno eroso delle catapecchie, impedendo agli occhi di cercar bene e scovare quelli che s'erano avventurati nella messinscena dell'assalto alle casupole che custodivano le armi e la polvere da sparo.
Perch'era stato evidente a tutti che quella era stata una farsa!
Architettata come una trappola, s'era rivelata tale solo per quelli che l'avevano ideata.
"Smettetela! Siete fastidiosa!" – masticò amaro Girodel, lo sguardo un poco smarrito, torvo alla desolazione del paesaggio vuoto – "Non avevo nessuna intenzione di fare l'eroe…".
"Avreste accettato di vedere la vostra donna amata da un altro!? Avreste accettato di vederla conquistata da un altro uomo pur di raccogliere tra le vostre braccia il suo ego fragile e distrutto?! Non eravate voi e quell'altro cicisbeo svedese a contendervi la specie di trofeo ch'era diventata Oscar François de Jarjayes!? Alla fine cosa sareste stato allora se non un eroe!? Eppure…pare che entrambi i cavalieri si siano ritrovati in scacco! Disarcionati e col sedere in terra per via d'un oscura bizza del destino!".
Considerazioni dannatamente sarcastiche.
Dolentemente serie.
Victor Girodel cacciò un'imprecazione sterile…
Un calcio a una pietra che sfogò la corsa sopra un cumulo di terra compatta e secca nonostante la pioggia battente dei giorni precedenti. Qualche erbaccia completava il quadro.
Scostata di lato, ormai sfiorita una piccola rosa…
"Forse siete voi che non conoscete affatto il colonnello! Quando anche lei finisse nel fango…ebbene risorgerebbe! Mai avrebbe accettato d'essere amante o concubina del militare svedese e quando quello, un giorno, avesse finito per stancarsi…per rifiutarla…".
"Lei sarebbe caduta nelle vostre braccia?!" – gongolò Roma acida, quasi a contestare la visione assolutamente irreale – "Mademoiselle…o il colonnello come la chiamate voi…la vedreste così insensata d'accettare un rifiuto?! E la vedreste così insensata d'essere solo…amante!? Non sia mai concubina, lo ammetto, ma solo amante, per un solo istante? Per quel poco che m'è stato dato di conoscerla…sarebbe stato improbabile!".
"Punti di vista!" – sibilò feroce Girodel…
I due si guardarono.
Poteva esser quella la tomba e quello l'unico fiore ch'era stato portato in ricordo della vita perduta?!
Madame Roma s'aggiustò la gonna impolverata dalla camminata tra gli sterpi - "Devo ammetterlo…questa volta sono rimasta davvero stupita. Ed io che credevo di non aver ormai più nulla di cui sorprendermi. Che farete adesso? La partenza è stabilita per domani. A breve inizierà la stagione più fredda e forse a nevicare. Diventerà impossibile lasciare questi luoghi se non alla prossima primavera…".
"Non posso…lasciarla qui!".
"E chi vi dice che lei sia ancora qui!? Non è stato trovato che un misero straccio di stoffa…".
"Non può essere sparita nel nulla! Sono sicuro che ci sia una spiegazione…".
"E se fosse davvero morta!? Hanno detto che nell'ultima catapecchia c'era abbastanza polvere da sparo per far saltare in aria una mezza collina. Nemmeno io voglio crederci…".
"Ebbene…".
Si morse il labbro Victor Girodel…
Da quando erano esplose le catapecchie erano trascorsi diversi giorni. Non aveva mai smesso di cercare Oscar François de Jarjayes, per le campagne attorno, i sentieri, giù, lungo le gole che s'aprivano a mano a mano che si saliva verso le alture.
Il paesaggio s'infuocava di luce al mattino, albe cristalline e piene a regalare giornate intense e calme, che però poi tutto diveniva sfuocato, come se da un istante all'altro, l'orizzonte si sarebbe sgretolato per scivolare via e frantumarsi in un rombo assordante, inghiottito dagli specchi d'acqua limpidi di quei dannati laghi che ondeggiavano crespi sotto il vento freddo.
E poi col tramonto il buio arrivava altrettanto in fretta, a gelare la coscienza e il chiarore gocciolava via, ombra dopo ombra, entro le foreste nere e fitte, mentre i passi rovistavano accanendosi tra gli arbusti e gli occhi si screziavano delle mille colorazioni rossastre e brune delle foglie ormai morte.
Tutto vuoto…
Tutto lontano…
"Posso domandarvi…" – riprese Roma incerta – "Che cosa è accaduto quella sera!? C'era un ricevimento…so ch'erano state invitate le dame più in vista – ammettiamo di considerarle tali - e i mariti…quelli insomma che hanno importanza in questa città sperduta. Eppure…i soldati parevano essere stati comandati di predisporsi a un'azione di guerra…come se tutti fossero in attesa di altro…voi stesso…mi avete detto che vi sareste prodigato per il servizio d'ordine come se fossimo stati a Versailles! Ma siamo nelle Sei Nazioni! Qui le tribù indiane sono ormai in pace…".
Victor Girodel si passò una mano sulla faccia, scostò i capelli come a tentare d'agguantare il filo del discorso.
"Monsieur Fersen mi aveva pregato di vigilare sul ricevimento…non sapevo che Oscar…che il colonnello avesse deciso di parteciparvi…".
"Si…ho compreso ch'eravate stupito…e davvero io stessa avrei immaginato una focosa scena di gelosia!" – punse Roma velenosa, che persino lei s'era messa in testa di pregustare esattamente quello scenario.
Una sana scenata, capace finalmente di scuotere dal torpore Oscar François de Jarjayes…
Un'isterica messa in scena capace di sollevare sul velo sulla proverbiale freddezza della donna che lei aveva conosciuto.
"Ebbene madame…si…avrei voluto…" – biascicò Victor Girodel un poco sorprendendo l'altra – "Ma ho compreso che essere gelosi di Oscar François de Jarjayes è il primo passo per perdere qualsiasi attrattiva ai suoi occhi. Il colonnello…non ama gl'isterismi…non ama le contraddizioni…io avevo deciso che l'avrei attesa e in tutti questi mesi non ho fatto altro che attenderla!".
"Io direi che essere gelosi del Colonnello Oscar François de Jarjayes è il primo passo per perdere il senno! Dunque ammetto che la vostra strategia è stata dignitosa…" – sospirò Roma – "Ma anche parecchio noiosa!".
"Che…" – Girodel si voltò sdegnato – "Siete davvero insopportabile!".
Rise Madame Roma - "Non ve la prendete monsieur! Non siete stato voi a dirmi che l'amore non v'interessa!? Non siete stato voi a dirmi che avreste fatto di tutto per averla…a qualsiasi condizione!? Qualsiasi sarebbero state le sue scelte!? Anche finire a letto con il grande amante svedese!? Beh…perdonate…la trovo una strategia un po' noiosa…una donna se ne sarebbe accorta subito! Una donna che avesse compreso tale abnegazione da parte d'un uomo…si sarebbe ritrovata più che annoiata!".
"Siete una strega!".
Rise di gusto Roma, quasi isterica questa volta - "Monsieur…ho smesso da tempo di dolermi del giudizio degli altri su di me! Preferisco essere franca e diretta! Ve l'ho detto che mi siete simpatico…e posso immaginare lo sforzo di star dietro all'esistenza di Mademoiselle Oscar…in questo siete stato encomiabile…ma alla fine…credo che lei vi abbia preso in giro!".
"State esagerando! Non vi permetto!".
"E io invece ve lo ripeto! Non intendo dire che lei l'abbia fatto di proposito…ma la vostra accondiscendenza…il vostro attendismo…le ha consentito di restare impigliata a ciò che lei voleva!".
"Impigliata!? Ma che state dicendo!? Al conte…".
"No!".
La negazione sibilò glaciale…
Roma fissò Victor Girodel…
"Ve lo chiedo ancora…" – riprese la donna seria – "Che è accaduto quella sera!? Se avrete la bontà di spiegarmelo forse riuscirò a venire a capo di questa faccenda e sarò ben lieta di rendervi partecipe dei miei dubbi…".
"Monsieur Fersen aveva organizzato il ricevimento. Aveva predisposto i turni di guardia…ha rafforzato le difese perché s'immaginava che un gruppo di indiani ribelli avrebbe assaltato…".
"Monsieur Victor Girodel" – l'apostrofò fredda e secca l'altra – "Un soldato…mi ha detto che ciò che stata accadendo era per lei…per via del colonnello! Noi siamo giunti a Northampton da nemmeno una settimana…nessuno ci conosce…com'è possibile che il colonnello c'entri in questa faccenda!?".
Un respiro fondo…
"Il conte non me l'ha detto. Non ha voluto rivelare la ragione per cui la presenza del colonnello avrebbe finito per spingere i ribelli indiani a compiere l'assalto. Me lo sono chiesto anch'io ma lui ha detto semplicemente ch'era perché quei dannati ribelli seguono da lontano i carichi e poi li assalgono!".
"Ma non ha senso! Se così fosse, sarebbe dovuto accadere durante il viaggio! In uno spazio aperto o in mezzo alla foresta ci sarebbe stata possibilità di portarsi via il carico più facilmente mentre rischiare l'imboscata sin dentro la città…tutto è andato perduto! O meglio…" - Roma squadrò Victor - "Dipende da quel si voleva andasse perduto!? Davvero ciò che è accaduto può apparire una disfatta!?".
Un sorrisetto di rabbiosa circostanza e Victor Girodel ammise che quello scenario era davvero inconsueto.
"Ne chiederò conto al Colonnello Fersen. Dovrà spiegarmi perché l'assalto alla fine è riuscito e invece il tentativo di scovare i ribelli miseramente fallito! Trovo la strategia indegna d'un buon ufficiale. Subire una simile disfatta!".
"Ma forse non è davvero una disfatta!" – ammise Roma facendo per lasciare la desolante campagna di sterpi e tombe scavate – "A nessuno di voi è venuto in mente che il colonnello possa essere giunto sin qui per altri motivi…e che quella messinscena sia stata organizzata per altrettanti diversi motivi! Quell'amico perduto ad esempio…".
Che s'irrigidì Victor Girodel, che lui sapeva com'era scorsa la vita in Francia e si era detto che sì, Oscar François de Jarjayes poteva aver deciso di comprendere cosa fosse accaduto in America, ma Oscar François de Jarjayes non era donna incline a sentimentalismi…
L'amico era perduto…
Se ne sarebbe fatta una ragione prima o poi.
"Quell'uomo è morto"" – tranciante –"Ma se ci tenete tanto a sapere chi fosse…".
"Monsieur Fersen m'aveva accennato…".
"Se lo sapete già!" – risentito…
"No, prego. M'ha solo detto ch'era un uomo che lavorava per la famiglia…".
"Ebbene…era un servo per essere più precisi. Né un falegname, né un maniscalco, né un fabbro…".
"Un…servo?".
"Apprezzo il vostro stupore madame. Ebbene in quella famiglia la servitù è sempre stata trattata con rispetto…tanto che quello era giunto presso la loro casa quand'era molto giovane. Era orfano se non sbaglio e dunque è stato accolto ove abita e presta servizio la sua unica parente rimasta al mondo, la governante dei Jarjayes, che lo ha preso con sé. Il Generale Jarjayes…".
Punse il nome che aleggiava nella testa. I sensi si piegarono tutti in ascolto della eco del nome, ch'era stata persona…
"E' stato molto magnanimo e ha consentito a quell'uomo di abitare nella sua casa, lo ha istruito…gli ha insegnato a portare una spada…era poco più che un fanciullo…".
"Ora sono io che noto stupore nelle vostre parole".
"Lo stupore è dato dalla generosità d'una famiglia che pure è stata ricambiata da quell'uomo a mezzo d'una sparizione, una fuga…quello se n'è venuto in America, lasciando la sua unica parente sola e per di più…".
"Dunque sono cresciti assieme…quel fanciullo e la figlia del generale?" – l'interruppe Roma che intuiva aprirsi una sorta di porta, anzi si spalancava una voragine s'un giardino segreto e sconosciuto, una sorta di antro sublime ove solo in pochi erano ammessi.
"Si, in un certo senso si…".
Che l'altra ammiccò sarcastica: "Perché in un certo senso!? In quanti modi si può crescere assieme…Monsieur Girodel!?".
"Assieme certo, ma come servo e padrona! In quale altro modo avrebbe dovuto essere?!".
"Monsieur…mi domando se voi l'abbiate conosciuto davvero il Colonnello Oscar François de Jarjayes!?".
"E questo cosa dovrebbe significare!? Certo che l'ho conosciuta!".
"Ebbene…sappiate che i fanciulli in genere non fanno tante distinzioni tra chi sia servo e chi sia padrone…se sono lasciati liberi di vivere in amicizia…potrebbero anche diventare così liberi da…".
Lo sguardo dell'altro si sgranò, il verde si tinse d'opaco grigio come a cercare un appiglio in quella landa desolata che non erano le Six Nations ma ben altro spazio insondato e orrido.
"Innamorarsi!".
Pungeva l'assenza, pungevano ancora di più le dannate chiose della sconosciuta ficcanaso…
"State dicendo un'altra sciocchezza…che il colonnello provasse affetto per il suo servo…non ne ho dubbio alcuno! E l'ho sempre trovata una scelta encomiabile! Degno d'una padrona saggia e generosa…".
Roma spuntò una mezza risata: "Ed ecco che di nuovo prevale la vostra deprimente strategia! Accogliere e lusingare l'affetto d'un servo per una padrona! Ma non lo trovate…".
"Scontato!?" – sibilò altrettanto sarcastico Victor Girodel – "Ebbene trovo inutile che continuate a prendermi in giro…so bene che la generosità può essere scambiata per altro. Ma se anche quel servo si fosse messo in testa d'amare mademoiselle…".
Incespicavano le parole dell'uno, s'ammutoliva l'altra….
André Grandier…
Il personaggio mai nominato, una sorta di deus ex machina che però nemmeno lui, forse, sapeva d'essere stato.
"Di certo ella non l'ha mai incoraggiato, non l'ha mai avvicinato. E la partenza di quell'uomo ne è la più splendida delle prove! Certo è stato meschino da parte sua abbandonare sua nonna ma alla fine quello se n'è venuto in America, dimostrando così altrettanto encomiabile senso del dovere e integerrimo rispetto verso la sua padrona…".
Madame Roma distolse lo sguardo, come non avesse neppure ascoltato le parole dell'altro.
"In questo senso l'ho ammirato profondamente…".
Che idiozia!
"Per questo mi sono fatto carico di recapitare a sua nonna le lettere che lui spediva di quando in quando da questo paese! Potete pensare ciò che volete! Che anche in questo io sia stato piuttosto noioso…eppure il colonnello aveva iniziato a comprendere…aveva iniziato ad apprezzare la presenza d'un uomo che avrebbe dedicato a lei ogni pensiero, ogni respiro…".
"Uh…sapete…pare che in Inghilterra vi sia un poeta che ha cantato a pieni polmoni ogni declinazione dell'amore, tragico o comico che fosse!".
"Deridetemi pure madame!" – la mano di Girodel volteggiò nell'aria come a scacciare l'altra e le fastidiose affermazioni – "A me sta bene d'esser finanche comico…".
"Certo…però l'avete perduta ugualmente la vostra Mademoiselle Viola*…".
"Siete una villana! Non avete remore a prendervi gioco d'una simile tragedia!".
"Monsieur…la tragedia a mio parere era già bell'e servita…fin dal principio! Ora stiamo navigando verso la farsa! Anch'io mi ero affezionata al colonnello…e anche alla giovane Lua, per cui voi, monsieur, non avete speso una mezza parola. Anche lei è scomparsa!".
"Lua…non è stato trovato nulla di lei! E se permettete…se davvero sono stati ribelli indiani ad assaltarci, non credete che se la siano portata via loro!?".
"E dunque…a voi sta bene così!?" – ammise Roma prendendo ad andarsene – "Non disperiamo allora e preghiamo gli dei del cielo che ci concedano la divinazione d'una spiegazione! Ci sarà pure qualche dio dell'Olimpo disposto a prendersi sulle sue possenti spalle l'onere di dare una conclusione a questa dannata storia!?"
"Non m'importa di lei!" – gridò Victor mentre l'aria stordiva i sensi e la mente gelava all'affermazione – "Non m'importa nulla!".
Non gl'importava davvero nulla…
* La dodicesima notte – William Shakespeare
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