Questo mio bacio accogli sulla fronte!
E, da te ora separandomi,

lascia che io ti dica

che non sbagli se pensi

che furono un sogno i miei giorni;

e, tuttavia, se la speranza volò via

in una notte o in un giorno,

in una visione o in nient' altro,

è forse per questo meno svanita?

Tutto quello che vediamo, quel che sembriamo
non è che un sogno dentro un sogno.

Sto nel fragore
di un lido tormentato dalla risacca,

stringo in una mano

granelli di sabbia dorata.

Soltanto pochi! E pur come scivolano via,

per le mie dita, e ricadono sul mare!

Ed io piango - io piango!
O Dio! Non potrò trattenerli con una stretta più salda?

O Dio! Mai potrò salvarne

almeno uno, dall'onda spietata?

Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
non è che un sogno dentro un sogno?

Un sogno dentro un sogno

Edgard Allan Poe

Di cavalli e alfieri

Il tempo scorreva…

Come in una banale partita a scacchi in cui a ogni mossa ne segue un'altra e un'altra ancora, fino alla stretta finale oppure all'inglorioso impasse…

Ogni giocatore aveva un avversario.

Solo, non sempre quest'ultimo era noto al primo.

Ma il gioco procedeva e il tempo scorreva.

E ancora, non era del tutto certo che in quella partita ci sarebbe stato un vincitore, come vuole la migliore tradizione letteraria delle storie romantiche, oppure la banalità si sarebbe appropriata del destino delle pedine sulla scacchiera.

§§§

Il giro d'un minuetto…

Un sorso di vino trangugiato…

Una carezza a petali carnosi…

Lo spasmo d'un respiro…

L'oblio di un sogno…

La stanza era in ombra, un poco in disordine, come se chi l'abitava vi fosse appena giunto oppure fosse in procinto d'abbandonarla.

Bagagli disfatti oppure quasi pronti…

Abiti sparsi oppure in procinto d'essere raccolti e riposti.

La penombra non consentiva di deporre per un senso o per l'altro, che dunque il Conte Fersen se ne stava seduto s'una poltroncina, mani conserte, dita intrecciate, sguardo spento, smarrito, in attesa di ritrovare un barlume di coraggio di fronte a ciò ch'era accaduto.

Mi sembri così indifesa…non sembri nemmeno tu…eppure…so chi sei, ti ho riconosciuta, sento che sei davvero tu adesso…

Sono io…tu sai davvero chi sono!?

S'era reso conto che gli mancava una giacca.

Poco male, se non che quella era stata trovata, annerita dal fuoco, accanto alle baracche esplose.

Chi poteva avercela portata se non colei che lui stesso aveva rinchiuso in quella stanza sperando d'evitare un possibile contatto o scontro con ciò stava accadendo fuori!?

Chi…sono…io…per te!?

Chi sei?!

Sei una donna meravigliosa! Sei intelligente, severa, infinitamente perspicace! Non ti perdi mai d'animo…sei forte! Mi dolgo soltanto del fatto che questo luogo sia indegno della tua bellezza, ch'essa avrebbe ottenuto miglior giustizia non certo in questo fango e in questa miseria bensì nella nostra reggia dove il tuo volto si sarebbe riflesso mille volte, moltiplicandosi…

Solo Versailles potrebbe renderti l'onore che meriti! Avrei voluto danzare con te laggiù!

Mancavano anche un paio di stivali e quando, quella notte, era rientrato esausto e sconcertato, aveva trovato le tende strappate, penzolanti dal balcone.

Colei che lui stesso aveva chiuso dentro – avrebbe dovuto saperlo, idiota lui che s'era illuso di tenere rinchiusa una donna come quella - era uscita, se n'era andata, e da quella notte nessuno l'aveva più vista.

Oscar François de Jarjayes non c'era più.

Eppure lui ne era certo, d'aveva avuta tra le braccia.

E ancora, come instupidito da una sorta di disonesto bicchiere, ipocrita e bugiardo, aveva – sì era certo anche di questo – intuito il tenero contarsi del sesso, libero, nudo, lieve e intenso al tempo stesso…

Caldo e sfrontato all'incedere delle mani un poco fredde che s'erano insinuate ad accarezzare la pelle…

Aveva ascoltato le dita intingersi dell'umore puro del diamante…

Per un istante lui stesso aveva perso il respiro intrecciato allo scorrere nero del sangue…

Le dita delle mani si chiusero a pugno, stringendo il nulla…

Amami…

Si…

E poi il dannato boato…

Che i corpi s'erano come allacciati, come per non smarrirsi…

S'era stretto a lei…

Incedere di bocca e di respiri…

L'aveva avuta così vicino.

Inimmaginabile, che forse allora, ciò che lui stesso aveva immaginato non era vero…

Non…lasciarmi…

S'era illuso davvero che lei fosse giunta sin lì per lui, allora lui aveva creduto di tenerla per sé, salvarla dall'altro e da se stessa.

Esausto, incredulo…

Oscar François de Jarjayes non c'era più.

Non l'aveva più trovata e da quel momento non s'era dato pace al pensiero che se lei non c'era più e di lei non v'era più traccia, allora ciò altro non significava che…

Erano trascorsi parecchi giorni.

Non poteva più attendere.

Non poteva fare più nulla.

Sarebbe voluto restare ma gli ordini andavano eseguiti, che il Conte Hans Axel von Fersen si accingeva a raggiungere de Grasse a Yorktown.

Gli ordini…

Lo scarto della coscienza si rifugiò entro la dittatura di quelli.

Si riebbe, intuendo che bussavano alla porta. Non risposte. Non aveva più forza di fare neppure quello.

L'ospite fece da sé, entrando, seppur con cautela.

La stanza era in ombra, era fredda, il camino spento, le pareti gelate dal progressivo incedere della stagione invernale.

"Debbo conferire con voi conte…" – tagliò corto Victor Girodel, tentando di trattenere la rabbia.

"Prego…chiudete la porta…sto cercando di comprendere il da farsi…".

"Ebbene sto cercando di farlo anch'io, ma temo che se non darete esaurienti spiegazioni non ne verrò assolutamente a capo…o meglio…una certa idea è ormai inevitabile…".

"Vi starete chiedendo dove sia il colonnello!?".

"La vostra composta sofferenza mi fa dubitare che voi pensiate davvero al peggio! Piuttosto, come me, starete forse immaginando che lei possa essere altrove…che qualcuno l'abbia presa con sé! Oh, sarebbe assurdo immaginarsi che lei si sia allontanata…forse nell'esplosione…il suo orientamento potrebbe aver avuto la peggio…".

"Non siete s'una strada così distante dalla verità…ma temo che le vostre visioni potrebbero essere tutte parimenti corrette!".

"Non scherzate Monsieur Fersen! Mi prendete in giro!? Parimenti corrette!? Intendete dire davvero che Oscar…che…dannazione…il colonnello se ne sarebbe andato!? Se voi sapete altro che mi tolga dal cuore questo terribile disastro ve ne prego dovete essere sincero…non sopporterei d'attendere oltre!".

"Monsieur Victor Girodel…" – Fersen si alzò dalla seggiola, nella mente la visione dell'altra che scendeva le scale, la mano appoggiata o meglio trattenuta dalla mano dell'uomo che si trovava di fronte, il colore dell'abito, sorprendente e incredibilmente sensuale a incorniciare il tangibile incedere, la pelle chiara, il grano addomesticato nell'acconciatura, come una sorta di fascio di luce imprigionato tra i flutti dell'oceano.

Spero che tu sia felice adesso…come fai…come fai a non esserlo!?

Il Conte di Fersen non era un uomo geloso, oppure forse era solo talmente pieno di sé che s'era immaginato che altri lo sarebbero stati – gelosi - per via della preziosa presenza che lui aveva accordato.

Ma poi, l'immagine – quell'immagine - aveva inciso i sensi ed era rimasta lì, a galleggiare nella mente, dato ch'essa emanava, seppur fioca e fredda, un chiarore soffuso ma dirompente, impossibile da accantonare.

L'arrivo del Tenente Victor Clement de Girodel aveva segnato l'ennesimo colpo di scena e marcato, nella coscienza del conte svedese, la percezione che Oscar François de Jarjayes avesse sollevato i sensi anche di quello e fosse penetrata in essi, a poco a poco, esattamente come era accaduto a lui.

Non per via di sguardi civettuoli e ammalianti, ma di certo per occhi caparbi e sfuggenti.

Non per imposizione ma per sottrazione.

Fersen tentò d'abbozzare un barlume di luce nella stanza prendendo ad attizzare il fuoco nel camino.

Scelse le parole, per provocare e al tempo stesso comprendere bene come stavano le cose.

"Dunque voi preferireste macerarvi nell'angoscia di saperla morta piuttosto che nel dubbio che lei potrebbe essersene andata di sua volontà!?" – calato dall'alto, insolente e impietoso.

"No! Siete voi che state dicendo sciocchezze! Né l'una né l'altra! Se sapete dove si trova dovete dirmelo! Non rientrerò a New York senza di lei! Non rientrerò in Francia senza di lei!".

"Ebbene…non lo so dove sia. E se vi sono sembrato cinico nello sfidarvi ad ammettere maggior cruccio per la sua fuga piuttosto che per la sua morte, sappiate che il primo scenario non è poi così remoto!?".

"Di grazia…monsieur…fuggire da chi!?".

"Non da chi…ma con chi!?".

"Cosa…".

"Prego…" – Fersen invitò l'altro a sedersi. Prese a comporre due calici ove versare il vino che offrì all'ospite piuttosto contrariato.

"Volete spiegarvi!" – si contrasse Girodel dopo aver trangugiato due sorsi di mistura che presero a riscaldare gola e stomaco.

L'altro negò - "Non posso spiegarmi! Non so che sia accaduto!".

"Mi avete chiesto di sorvegliare il ricevimento! Pensavo fosse un incarico ordinario…".

"Non avrei mai immaginato!".

"Dannazione…immaginato cosa!?".

"Alla fine…quei dannati sono riusciti nel loro intento!".

Victor Girodel si alzò, il vetro del calice s'abbatté sul misero tavolino. Un guizzo, che l'uomo prese il conte per il bavero della giacca, forzando la presa, stringendo l'appiglio…

Sferzò uno sguardo di rabbia…

"Chi!? Quale intento!? Parlate o giuro che…" - il pugno destro sollevato…

"Il mio drappello era stato comandato di scovare un gruppo di indiani ribelli…gente che non ha accettato le condizioni che invece sono state accolte dalla maggior parte delle tribù che adesso vivono in pace…" – ammise laconico Fersen, per nulla intimorito dal sussulto di Girodel – "La pace va mantenuta paese per paese, collina per collina…".

"Sta bene…ho apprezzato l'intento dei coloni di tenere a bada gli indigeni ma che diavolo c'entriamo noi!? E il colonnello poi…".

"E' possibile che alcuni di questi vi abbiano seguito da Fort Awegen sino a Northampton. Nello stesso luogo in cui anche il carico precedente era stato assaltato. Ma durante il viaggio non è accaduto nulla e allora ho creduto che prima o poi quei dannati ci avrebbero provato dentro la città…".

"Conte…" – digrignò Girodel – "Non siete un idiota e nemmeno credo lo pensiate di me! Queste giustificazioni non m'interessano. Chiunque avrebbe potuto recare quel carico ed essere assaltato…chiunque…dunque non credo alla casualità!".

"Non sapete quello che dite!?" – ribatté Fersen che però pareva sempre più disorientato.

"Allora ditemi che non è stato così! Ditemi che non era tutto stabilito! La spedizione…il carico…e perché voi avete fatto conto sulla presenza del colonnello!?".

Un respiro fondo…

Fersen tentò di staccarsi dalla presa dell'altro…

"Non c'è una spiegazione!".

"Non mentite!".

"Non c'è! Ho solo immaginato che…".

Victor Girodel si parò davanti a Fersen, che l'altro si passò la mano sulla bocca e poi sulla faccia - "Ho solo immaginato che sarebbe potuto accadere…ho immaginato che qualcuno molto caro al colonnello sarebbe potuto tornare…".

Sbiancò Victor Girodel - "Tornare!? Di chi diavolo state parlando!?" – che però se l'immaginò di quale demone stesse parlando l'altro, perché quello ch'era morto non poteva che essere un demone, perché solo un demone avrebbe osato insinuarsi nella testa e nel cuore di una donna come Oscar – "Sono idiozie! Voi stesso mi avete detto ch'era morto…il suo nome era sulla lista dei caduti…".

"Si…ma…lui non doveva morire!".

"Non doveva morire!? Che significa?".

"Non mi dite che non ve ne siete accorto anche voi Monsieur Victor Girodel!?".

"Non posso crederci!" – che s'ingarbugliava il battibecco – "State insinuando…".

"Non insinuo nulla! A Brest…il colonnello era venuta a cercarlo…" – sputò Fersen tornando alla faccia indignata e sprezzante di Girodel – "O non l'avevate compreso!?".

Che Victor Girodel fece un passo indietro, lasciando la presa, inorridito dalla spiegazione dell'altro.

Che dunque la vaga ombra che oscurava l'immagine dell'altra era stata colta anche dal Conte Hans Axel von Fersen.

"Sono sciocchezze! Certo lei provava affetto per quell'uomo…" – abbozzò Girodel…

"Sì, ma credo che così non fosse per lui! E se così fosse stato, lui di certo non avrebbe potuto avvicinarsi a una donna come lei...nobile…educata dal padre a essere un ottimo soldato. Non senza infangare la sua reputazione. Ve lo sareste immaginato lo scandalo? Ebbene credo lui abbia lasciato la Francia per questo!".

Victor Girodel ammise che lo scenario era lo stesso che s'era inciso nella testa, l'unico possibile, l'unico capace di salvare l'onore di mademoiselle…

"Voi l'avete fatto per lo stesso motivo!" – punse Girodel che stava quasi per perdere il senno.

"Sì…ma io non mi sono mai illuso. La mia esistenza è desolatamente certa. Se anche io fossi morto nulla sarebbe mutato se non…se non infliggere un grande dolore a colei che amavo. Ma se così fosse stato per lui, dunque proprio per questo stesso motivo lui non sarebbe dovuto morire! Ora lei avrà pensato che ne fossi responsabile. E allora…io l'ho fatta venire sin qui!".

"Dannazione…" – sbiancò Girodel – "Siete un pazzo!".

"Speravo di dimostrarle che non era stata colpa mia…speravo che si ripetesse lo stesso copione che ha inghiottito quell'uomo…ma che sarei riuscito ad evitare il peggio!".

"Ebbene quello è morto dunque…per causa vostra o chissà per quale altro motivo! E voi…per sollevarvi la coscienza avete messo in pericolo il colonnello?! Che credevate sarebbe accaduto!? E che sarebbe dovuto accadere di grazia!? Che quello sarebbe spuntato dal nulla…risorto come un demone sbucato dall'Inferno…così voi le avreste dimostrato che non era accaduto nulla!? Che…".

"Ero consapevole che avremmo corso lo stesso rischio…" – tagliò corto Fersen come a lavarsi la coscienza, come a perseverare nella propria visione distorta senza nemmeno accorgersi delle stupite obiezioni dell'interlocutore.

Si parlava di affetto e amore…

Si parlava di onore e rispetto…

Si parlava di morte e di vita…

Tutto mescolato, tutto senza senso…

A meno che…

Victor Girodel spazzò via all'istante il dubbio atroce, a mala pena affacciato alla coscienza - "Siete davvero un pazzo!".

"Quell'uomo…quello per cui lei avrebbe provato affetto – come voi dite…solo affetto – morendo…non ha fatto altro che immolarsi ai suoi occhi! Ebbene allora io l'ho sfidata e lei ha deciso di giungere sin qui! E per quale motivo credete l'abbia fatto!? Solo perché anche lei provava affetto!?".

"L'avete sfidata!? Dio…Monsieur Fersen…c'entrate qualcosa con quelle lettere!?".

Fersen si passò una mano sulla faccia - "Sapevo solo che lui era solito scrivere alla sua unica parente in Francia. Le scriveva spesso e ho immaginato fosse stata vergata qualche missiva in più, oltrepassando i mesi frenetici che abbiamo trascorso…".

"Oltrepassando!?" – ribatté Girodel che quella parte della storia la conosceva già, l'aveva vissuta in prima persona.

Per certi versi ne era stato pure l'ignoto artefice…

O forse adesso, con sommo stupore, si sarebbe detto ignaro concorrente…

Victor Girodel aveva la sensazione ormai sempre più netta di non aver compreso molto di quella faccenda, di aver dato per scontato che le lettere fossero state scritte davvero solo per Madame Glacé.

In realtà no…

Quelle missive, quelle parole - chiose mute, com'era stato muto e nero l'amore del servo per la padrona - che il tenente francese non aveva mai voluto leggere per rispetto alla destinataria, avevano, loro malgrado, mantenuto un legame.

Non tra nonna e nipote ma tra servo e padrona.

"Così da consentire alle lettere di giungere regolari anche quando fossimo stati impegnati…" - concluse Fersen, laconico seppure livido, come trasfigurato, che l'invidia trasfigura, d'un legame che tutto sommato avrebbe potuto esistere alla luce del sole – "Così da alleviare la sofferenza dell'unica parente che aveva al mondo…".

Anche il conte aveva continuato a scrivere a Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.

Lettere lievi, messaggi affettuosi...

"Conte…sono giunte molte altre lettere dopo la scomparsa di quell'uomo…voi dunque avreste permesso questo!? Che qualcuno s'illudesse che quello fosse vivo? Lei, mademoiselle le ha lette…".

"Sì, l'ho compreso…ma non erano destinate a lei!".

"Ebbene…" – punse la chiosa, Victor Girodel sentiva salire la rabbia, che pensava d'aver usato altri e invece qualcuno s'era servitù di lui e nemmeno l'aveva compreso…sottile ma granitico distinguo – "L'avete attirata qui…siete un pazzo!".

"Ebbene…io non sapevo se lei avrebbe letto le lettere. Ma quando ho visto quella lettera, quella che il colonnello ha riconosciuto all'ufficio postale…ho compreso che le missive erano giunte a destinazione, lei le aveva lette e quelle avevano superato di oltre un anno il giorno della morte di quell'uomo…e sì, anch'io sono stato assalito dal dubbio! Non ha senso tutto ciò!".

"Quale dubbio dannazione!? Se non le avete spedite voi…quel moccioso…che ne sapeva quello di chi sono le lettere che ha continuato a spedire!?".

Victor Girodel era furioso…

Il Conte Hans Axel von Fersen era ormai certo che tutto chi fosse sfuggito di mano…

Tutto cosa!?

"Non le ho spedite io, ve l'assicuro, ma sapevo che qualcuno le recava per la spedizione. E allora io mi sarò anche comportato da pazzo…" – ammise alla fine il conte – "Ma che ne dite Monsieur Girodel di ciò che è accaduto dopo!? L'avete vista…lei…Oscar…è davvero giunta sin qui…ed era…era bellissima…e…Dio…voi davvero credete che l'abbia fatto per me!?".

Victor Girodel sgranò gli occhi - "E per chi se non per voi!? Voi avete giocato con la sua coscienza, voi l'avete attirata qui!".

Sprezzante, Victor Girodel fece un passo indietro, allargando le braccia, come a distogliersi di dosso la nefasta e al tempo stesso sensuale visione.

"Sì, è vero…l'ho attirata sin qui…ma con quale mezzo!?" – ammise Fersen – "Ho usato lettere scritte da altri…comprendete!? Ho lasciato che quelle missive venissero spedite…se le avessi cercate e le avessi tenute per me dopo che lui era morto…".

Sì, che a quel punto Victor Girodel aveva compreso - "Non erano vostre. Non aveste potuto…" - ammise severo – "Se quelle dovevano giungere in Francia…è stato giusto così".

"Lui è morto!" – concluse Fersen tra il rassegnato e lo stizzito…

"Ebbene…" – che ora era l'altro a non esser più convinto, tutto pareva aver assunto la stessa consistenza d'una massa di neve o fango che rotolava giù da una montagna, gli occhi puntati al conte, la mente alla ricerca delle immagini che si erano susseguite dopo che lui l'aveva perduta a Saint Malò e anche allora la certezza era stata che lei doveva essere giunta fino a Brest, sola, per conferire con Fersen o forse per altro.

"Quell'uomo…quell'uomo…è un uomo qualunque…eppure…a Brest…sul molo, prima che la nave salpasse…l'ho visto…lui l'ha baciata…" – ammise Fersen laconico – "Certo, immagino la tensione per la partenza, eppure…quello…a modo suo…mi ha tenuto in scacco…anzi…da quel che comprendo ora, ha tenuto in scacco entrambi!".

"Ebbene conte, che figura ci facciamo noi due!?" - un respiro fondo, Victor Girodel sentì salire la rabbia che inondava il sangue – "Io un cavallo e voi un alfiere!? Pezzi utili sin quando si sia nel mezzo d'una battaglia furiosa ma che servono a ben poco quando si resta in pochi. Da soli non saremmo mai in grado d'accerchiare una regina…e nemmeno di attaccare e sconfiggere il re!".

Erano trascorsi anni da quel giorno.

Eppure, adesso, lì, pareva condensarsi la chiave di volta che consentiva di reggere il disgraziato arco e permettere di guardarci attraverso e riconoscere lo scenario oscuro.

Victor Girodel apprendeva dunque, lì, in quel momento, dalle nefaste parole di Fersen, che André Grandier aveva baciato Oscar François de Jarjayes, a Brest, prima della partenza del dannato soldato.

Un bacio d'affetto…

Un bacio d'amore…

Qualsiasi fosse stata la ragione…

Per tutto quel tempo, Oscar François de Jarjayes non aveva fatto altro che pensare a quell'uomo e dunque era per lui che lei si era imbarcata, ed era per lui che lei forse non aveva mai accettato di cedere all'esistenza calda e appagante che da anni il tenente cadetto aveva immaginato e tentato di offrirle.

Victor Girodel ammise l'inevitabile gelosia, anche s'era solo affetto…

"Ebbene…" - proseguì Fersen – "Durante il viaggio quell'uomo era stato aggredito…a Ponta Delgada…così per salvarlo, l'avevo nominato mio segretario…".

"E sia! Anche quello sarebbe opera vostra!?".

"No! Dannazione! No!" – sputò l'altro come pazzo – "Per chi mi avete preso?! Io…non avrei mai immaginato! Non…non fino a quel punto!".

"E allora, l'avreste aiutato per salvarlo!? Un uomo che aveva ostato tanto!? Che idiozia!" – sibilò Girodel già abbondantemente accecato dalla gelosia.

"Sì, una vera idiozia! Ammettere di temere più la morte d'un uomo che non per la sua vita?! Ho pensato che la sua morte – in battaglia s'intende - non sarebbe servita…vi ho già spiegato il perché!".

"Dunque era vero…non ha mai combattuto!".

"Diciamo che ha combattuto battaglie differenti. Comunque…quando è scomparso…sono stato richiamato al Comando Generale…ebbene…".

Occhi sgranati, Fersen guardava nel vuoto, instupidito all'idea d'essere stato beffato – "Mancava dell'oro dalla nostra spedizione…e non ho idea di come sia stato possibile portarlo via…".

La faccia del tenente sbiancò, il verde terso dello sguardo s'oscurò all'improvviso.

Non bastava dunque che il servo fosse ladro d'amore…

Victor Girodel iniziò a comprendere, forse la contorta messinscena aveva un senso.

Dunque non c'era di mezzo solo l'onore di una donna ma addirittura l'onore del sovrano di Francia!

"Mancava dell'oro!? Credete sia stato lui!?" – sputò Girodel senza girarci attorno, come aggrappato all'assurda tesi che, almeno quella dirompente accezione avrebbe effettivamente distrutto l'immagine del servo agli occhi della padrona.

Che Fersen dunque avesse organizzato tutta quella messinscena per giungere a cotanta sentenza inappellabile…

Gelò la chiosa finale - "I luigi c'erano tutti…tutti…eppure…".

"Se c'erano tutti!?" – masticò Victor di fronte all'incomprensibile scenario.

Il conte abbozzò un sorriso di cinica rassegnazione - "Si…c'erano tutti…eppure mancava dell'oro…".

Fersen si mosse, gettò un ceppo di legno asciutto nel camino. Il fuoco ci mise poco ad aggredire la materia avvolgendola e prendendo a divorarla, istante dopo istante.

"Mademoiselle Oscar François de Jarjayes era l'ultimo appiglio…speravo che, giunta lei sin qui, qualcuno si sarebbe fatto avanti…".

"Qualcuno!?" – sbiancò Victor – "Allora non comprendo più! Dunque voi davvero pensate che quell'uomo sarebbe vivo e addirittura sarebbe uscito allo scoperto, alla notizia che il colonnello era giunta in America!? Voi…siete un idiota! Voi l'avete usata…".

"E voi!?" – ribatté Fersen sprezzante – "Voi che l'avete seguita sin qui!? Voi che tollerate ogni suo capriccio…ogni sua insicurezza al punto che oramai lei appare irriconoscibile!? Voi non l'avreste usata dunque, Tenente Victor Girodel, in attesa della sua capitolazione!? In attesa che il suo ego si disgregasse così consentendovi di giungere a salvarla!?".

"Salvarla!?" – abbozzò Victor – "E da chi!?".

"Voi avete sempre pensato da se stessa. Invece credo proprio che la vostra intenzione fosse di salvarla da quell'uomo!".

"E…di grazia…per voi non è lo stesso?".

Fersen abbozzò una mezza risata - "Monsieur Girodel…allora mi sa che siamo stati beffati entrambi…dal destino o dal colonnello…fate voi! Io purtroppo devo lasciare Northampton. Sono richiesto urgentemente a Yorktown!".

"Andrete finalmente a vincere una guerra ormai vinta!" – sibilò Victor Girodel sprezzante – "Dicono che gl'inglesi siano in seria difficoltà…".

"E voi, da buon soldato francese, non ci vedete molto onore a vincere una battaglia che prelude alla vittoria della guerra!? Ebbene nemmeno io. Ma se il mio contributo varrà a questa causa…sono partito assieme all'esercito francese e sono sicuro che se il colonnello fosse qui…".

"Ma lei non c'è…dove diavolo è finita!? Siete un codardo…partire senza sapere nulla…".

Un respiro fondo, Fersen riprese a sistemare un paio di giacche ficcandole entro un borsone di cuoio.

"Io confido nelle capacità del colonnello. E' possibile che in preda al terrore per l'esplosione si sia allontanata…ci sono molti gruppi di indiani che battono queste montagne…cani sciolti…non fanno parte di alcuna tribù, non hanno regole…sono…".

"Cani sciolti! Dannazione…".

"Se voi volete restare fate pure…non credo che Yorktown attenderà molto a capitolare…purtroppo l'inverno si sta avvicinando" – un respiro secco e stizzito – "Tornerò prima possibile…".

La valigia in pelle caricata in spalla - "Mi fido di voi Tenente Girodel! Trovatela! So che lo farete e so che con voi…sarà al sicuro!".

Un passaggio di consegne tanto strambo quanto repentino!

"Siete un idiota Conte di Fersen!" – l'appellò l'altro senza remore.

"Sì! Lo ammetto! Ma se permettete…".

No, Victor Girodel non gliel'avrebbe permesso, fossero stati in Francia avrebbe sguainato la spada invitando l'altro a mettersi in guardia, sfidandolo a rimangiarsi le parole.

"Siete un idiota anche voi!" - concluse Fersen, un saluto militare di sbieco e la porta della capannetta imboccata di corsa, come un ladro che, colto con le mani nel sacco, fugge per la vergogna d'essere stato scoperto.

§§§

Il giro d'un minuetto…

Un sorso di vino trangugiato…

Una carezza a petali carnosi…

Lo spasmo d'un respiro…

L'oblio di un sogno…

Pareva trascorso a mala pena qualche istante…

La regina era circondata.

Pedine sgaffe…

Alfieri in affanno…

Torri annientate!

Aveva intuito d'avanzare ma non sapeva come fosse possibile - ch'era davvero circondata - più che altro trascinata s'una specie di portantina, senza essere legata ma semplicemente avvolta in una coperta di pelliccia.

Non aveva freddo, nonostante agli occhi s'aprisse un paesaggio ormai invernale, querce e ontani spogli, biancospini d'acuti aghi imperlati di pioggia, abeti immobili seppur fieri sotto la prima sferzata di neve ghiacciata.

La regina aveva chiuso gli occhi, il tepore induceva resa simile al sonno, stanchezza distorta e frammentata dal dolore…

S'era assopita alla fine, stremata dal secondo che mordeva la carne, seppure alle orecchie erano giunte voci attorno a sé, come da luoghi lontani, non era ben chiaro se di spazio o memoria.

Era riuscita a percepirle, a tenersele strette, almeno quelle.

Non infastidivano per via che colmavano l'ondeggiante senso di smarrimento.

D'improvviso la scena s'era colmata di svariate ombre.

Qualche istante per metterle a fuoco, sorrisi sdentati, capigliature corvine di chiome intrecciate, altre semplicemente acconciate e strette a coda sulla cima del capo.

Risatine avevano accompagnato parole sconosciute.

Erano marmocchi che l'osservavano, chi sorrideva, chi stava a bocca aperta, chi s'era spaventato alla visione dell'insolita sconosciuta.

La guardavano tutti come fosse una creatura straniera, un essere silvano, una specie di strega o animale selvatico.

S'era sentita in scacco, circondata da esseri che avrebbe potuto spazzare via con un grido stizzoso ma che non riusciva a far indietreggiare neppure d'un pollice.

Come bestia in gabbia, schernita da insulse occhiate, avrebbe voluto scacciarli, spedirli da dov'erano arrivati, ma non era riuscita a fare neppure quello.

I marmocchi alla fine s'erano ritrovati scrutati dallo sguardo chiaro, in cagnesco, un guizzo ed erano scomparsi, così che la vista era tornata libera, colma del cielo freddo, della strana solitudine che impauriva.

La scacchiera pareva vuota…

Ma era accaduto ancora, d'ascoltare voci simili, ma ancora esse scomparivano subito inghiottite dalla stremata rassegnazione.

Il giro d'un minuetto…

Un sorso di vino trangugiato…

Una carezza a petali carnosi…

Lo spasmo d'un respiro…

L'oblio di un sogno…

Voci di mocciosi e poi donne…

Voci severe di vecchi e poi di nuovo donne.

Non comprendeva una sola parola.

Bruciava il braccio…

Bruciava il collo…

Tutto pareva in fiamme.

Tutto indurito dalla rabbia e dal buio.

Strana partita…

Aveva mosso le dita della mano…

Piano, che quelle s'erano contratte e poi chiuse a pugno.

Prima la mano sinistra, poi la destra.

Che quella davvero non aveva risposto al gesto, pareva quasi che non ci fosse più, mentre una specie di frustata era risalita su e dava conto che almeno il braccio c'era ancora, ch'esso mordeva forsennatamente e ancora un poco ed avrebbe voluto strapparselo via.

Che lei no, lei era viva ma sentiva che stava morendo, perché Cerbero un poco alla volta sarebbe arrivato a mordere cuore e cervello.

E stava morendo perché aveva corso troppo, aveva perduto l'instabile freddezza, aveva regalato tempo e rabbia a un uomo che non aveva nemmeno avuto il coraggio di dirle che l'amava, così, in faccia, come un qualsiasi amante.

Ormai era tardi.

Lo sguardo s'era chiuso…

Come onda che avanza lieve e bizzarra, aveva intuito il calore accostarsi alla carne ove alloggiava venefica la disgraziata scheggetta e il corpo traghettato, quasi addomesticato a una posa inconsulta, avvinghiato a una specie di palo liscio…

Le braccia attorcigliate e legate, le gambe parimenti incrociate e legate…

La testa schiacciata contro il palo ed anch'essa puntellata con una specie di striscia di cuoio.

"No!".

Una mano tiepida aveva tastato i muscoli.

Una mano…

Aveva tentato di voltare gli occhi.

La dannata mano aveva coperto la vista.

Aveva tentato di scansarsi e scansare la mano, ma quella le aveva chiuso la vista con uno straccio…

Aveva provato a gridare…

Che però la bocca s'era ritrovata tappata forse da un brandello di pelle animale o cuoio, ficcato dentro, che quasi aveva perso il respiro mentre la nausea aveva piombato stomaco e nervi.

Non s'era più potuta muovere…

Non aveva gridato, non poteva…

Era riuscita a mala pena a respirare, il petto schiacciato contro il legno, la schiena immobilizzata, un ginocchio a tenerla lì, la testa spinta contro la ruvida materia del paletto.

Cadeva giù ma era ancora viva…

La mano aveva insistito.

Rimbalzava su etereo terreno…

La mano aveva insistito.

Fango e rabbia…

Le dita piantate nel legno…

Se avesse provato a tirare, la scheggia si sarebbe conficcata ancora di più…

Fumo a mozzare il respiro…

Non s'era più mossa, era caduta, implodendo entro se stessa…

Se stessa, la donna che lui amava.

La donna per cui lui aveva lasciato la Francia…

La donna per cui lui era morto.

Qualunque spiegazione, qualunque congettura ci fosse stata dietro, lei era la sola e unica causa della disfatta.

Allora s'era detta che sarebbe stato meglio morire.

Nella morte l'avrebbe rivisto forse e gli avrebbe domandato perdono.

Lei, proprio lei, non l'altra…

Lei, soltanto Oscar François.

Lei solo, che anelava a un solo istante in più, uno soltanto, così da beffare il destino, perché gli amanti non hanno necessità di vivere per sempre ma solo di riconoscere l'anima dell'altro e toccarla almeno una volta.

Una sola volta per loro è sempre…

Dunque aveva ammesso che stava morendo…

Anche lei sarebbe morta, ma morire sotto un cielo così bello e fondo era davvero un'idiozia!

Poi aveva smesso di respirare.

Dunque era quello morire?

Era ciò che aveva provato André?!

Eri tu la donna per cui aveva lasciato la Francia!?

Tu…

Così cieca e sorda da non aver compreso nulla?

S'eri tu allora significa che ti amava…

E s'era così allora tu l'hai ucciso!

Se non eri tu…

Allora amava un'altra donna…

E allora…

La mano…

Quella mano…

La presa s'era acuita, che le corde s'erano strette ancora e ancora che per poco il sangue aveva smesso di scorrere nelle vene.

I lacci stretti a trattenerla lì, nemmeno la testa era capace di muoversi, la coscienza perduta, come trascinata nel rogo dell'Inferno, come annientata da una sorta d'ancestrale inedia a inondare i sensi.

Era morta lentamente, la faccia accarezzata, la gola colma del fumo che aleggiava, il sangue fermo nelle vene.

D'improvviso aveva udito una voce.

Aveva riconosciuto il grido…

La sua voce, il rantolo aveva spezzato il silenzio, appena accarezzato dalla mano, che frugava nel braccio, antro di carne scavato come si scava dentro un ventre, dentro un sacco…

Moriva…

Non aveva udito più nulla, mentre il corpo aveva preso a fluttuare, i nodi sciolti, i lacci slacciati.

Pareva fosse accaduto un'ora prima…

Il tempo non aveva più regola, nemmeno il passato stava immobile a lasciarsi contemplare e dannare.

Provò a muoversi.

Provò a muoversi di nuovo, incitandosi con una specie di rantolo animalesco…

Nemmeno lì ottenne granché.

Ma non le pareva d'esser più legata o costretta, semplicemente non riusciva a muoversi.

Tutto era buio, ma era buio perché aveva gli occhi chiusi.

Pensò che forse era morta ma poi, con sforzo immane, decise che avrebbe provato ad aprirli per comprendere s'era viva e dove si trovasse.

La luce sferzò come lama, che fu costretta a richiuderli subito. Un respiro fondo, la necessaria stizza dell'orgoglio mescolata allo spasmo del dolore che imponeva di muoversi, cambiare posizione, persino provare a mordersi la spalla, da sola, così d'ammansire il dannato Cerbero che stava lì, le zanne piantate nella carne.

Riaprì gli occhi, piano.

Era accaduto spesso, adesso lo rammentava.

Ma intuiva che gli occhi avevano avuto forza di restare aperti che pochi istanti.

Istante dopo istante…

Il tempo era scorso, tempo strappato alla morte, all'assenza, al dolore.

Questa volta riuscì a tenere gli occhi aperti per un tempo più lungo. Le pareva di avere abbastanza forze in corpo, non dettate dalla sanità del cuore e dell'intelletto ma dalla disperazione di sapere.

Detestava dunque d'esser viva ora che sapeva tutto.

Scrutò in alto…

Si stupì, che non v'erano soffitti sulla testa, nulla se non un cielo intenso e fondo, striato di nuvole fredde appena increspate da ventosi raggi rosati.

Il giro d'un minuetto…

Un sorso di vino trangugiato…

Una carezza a petali carnosi…

Lo spasmo d'un respiro…

L'oblio di un sogno…

Dannazione…

Di nuovo quel dannato cielo…

Di nuovo la noia di ritrovarsi immersa nel tempo fermo d'un cielo limpido ma mobile, guizzante ma immortale che dettava inusitata solitudine.

Accadeva sempre più spesso e se un tempo ne aveva forse fatto, seppur senza starci troppo a pensar su, una specie di vanto, ora la solitudine marcava l'esistenza, che fosse stata s'una nave con decine e decine tra soldati e marinai oppure s'un campo di battaglia.

Era una solitudine strana, mai provata fino ad allora, una sorta di deserto interiore, che ammaliava e atterriva, una consapevolezza maturata nel tempo, oramai fissa e stabile.

Non più un vanto.

Alla fine si svegliò davvero, in preda allo spasmo amaro dell'acciaio che pareva ancora lì, a combattere contro l'osso e la carne, come se questi non avessero più voglia o forza di tenersi addosso il corpo estraneo.

Un grido…

Dell'acuto metallo non v'era più traccia.

Lo stupore sollevò confuse rimostranze, rimprovero alla scarsa capacità di trattenere così distorte espressioni di dolore.

Lo sguardo spaziò e questa volta si accorse d'essere al chiuso, circondata da occhi e volti che la osservavano, dietro i corpi adulti spuntavano i mocciosi, forse quelli ch'erano giù fuggiti la prima volta.

Riconobbe un viso.

L'ispido Hermes inzaccherato, incrociato a Northampton.

Che ci facesse lì era incomprensibile, se non che non era chiaro s'era lei ch'era finita chissà dove, oppure si era altrove, in qualche luogo nascosto pur nelle vicinanze della cittadina.

Il ragionamento scorse dapprima stanco, poi più spedito.

S'era immaginata che tutti gli indigeni vivessero in case di legno o mattoni, organizzate in strade e vie, accalcate in maniera similare alle simili bettole che aggrovigliavano i bassifondi di Parigi.

Invece quella pareva proprio una specie di tenda, il soffitto alto sfociava in un'apertura da cui si sfogavano i fumi del fuoco acceso proprio dentro il riparo.

Gli ospiti parlarono, lei non comprendeva.

Negò con la testa e quelli impassibili, disinteressati a scovare un sistema per dialogare.

Il moccioso si fece avanti. Pareva diverso, il viso più disteso, i capelli serici e lunghi, il corpo piccolo, vestito all'occidentale tranne che per una giacchetta di pelle scura e lunga che fungeva quasi da tunica. Nessun altro orpello.

"Ti fa male?" – chiese quello inginocchiandosi.

"Perché sono qui?" – sputò non appena comprese il linguaggio.

"Stavi male…".

"Si…mi fa male, ma perché sono qui!?".

"Noi…dovrai restare qui…".

"Perché!?" – digrignato, l'ennesima costrizione impossibile d'accogliere.

Il moccioso non aveva sufficiente potere per dipanare il dubbio.

Così, nel silenzio, Oscar tentò d'alzarsi per voltarsi almeno e sedersi. Impresa non facile, la stizza si tramutò in rabbia, lei reclusa lì, di nuovo, chissà dove, sola.

Non seppe nemmeno lei perché.

Si alzò, allungò il braccio intatto, il gesto repentino colse tutti di sorpresa. Riuscì ad afferrare il dannato vestito del bambino stringendolo e tirandolo a sé.

La coscienza dettava che quel moccioso fosse, alla fine d'ogni racconto e d'ogni rivelazione, l'ultimo tramite tra sé e André.

"Hai le sue lettere?! Voglio leggerle!".

L'altro balbettò cercando di sottrarsi. I presenti sobbalzarono indignati andando a frapporsi tra l'ingrata ospite e lo sfortunato messaggero.

Strattonarono la prima riprendendosi il secondo.

I gesti sgraziati s'accalcarono sulla ferita, di fatto annientando ogni residuo briciolo di ribellione.

Prese a tossire e probabilmente a vomitare, putrida mistura mescolata a sangue e null'altro, ch'erano giorni che non mangiava e forse non beveva.

La voce del moccioso s'innalzò, sillabando parole di nuovo incomprensibili.

Quello era soltanto un bambino ma gli altri s'ammansirono, che il gruppo prese a ondeggiare tra lo stizzito e il compassionevole, e a uno a uno i componenti dello strano consesso uscirono, scambiando il tepore umido dell'antro con d'una mezza folata d'aria nevosa e fredda, capace d'insinuarsi testarda e acuta.

S'accorse d'essere osservata dall'unico rimasto.

Quello stava lì, muto…

"Come ti chiami!?".

Dubbioso…

"Avanti! Non posso fare nulla…".

"Argo!".

"Che…mi prendi in giro!?".

Negò il moccioso…

"Ma che razza di nome è!? Sai almeno chi era Argo!?".

"Oui…" – ammise il bambino, scostando i capelli neri e liberi dalla faccia, un gesto lieve e morbido, quasi femmineo.

"Ossia…ti chiameresti come il vecchio cane di Ulisse!?".

"Oh…chi è Ulisse!?".

Il dialogo scadeva nell'assurdo…

"Non sai chi è Ulisse…ma sai chi è Argo!" – sentenziò sarcastica Oscar.

"Prego…il nome…il vostro amico…quello delle lettere…mi ha raccontato che Argo era un essere dai mille occhi…dice che è capace di vedere e osservare in qualunque luogo…".

Oscar tremò…

Non comprendeva…

"Dice!?" – incise esausta.

L'ondeggiare continuo tra presente e passato, tra esistente ed esistito, tra chi era vivo e chi era morto, disgregava la coscienza.

Il moccioso s'accorse dell'errore, si morse il labbro.

Per ovviare alla spiegazione non s'accorse di commetterne un altro, o forse, più semplicemente, si ritrovò a cambiare le carte in tavola così da sollevarsi dall'imbarazzo.

Scostò il lembo della tunica. La mano destra andò a rimestare in una tasca estraendo una specie di pacchetto o meglio…

La vista s'acuì, Oscar riconobbe un mazzetto di lettere.

Allungò la mano.

Tremò quasi afferrando la carta, ascoltando la consistenza ruvida sotto i polpastrelli.

Riconobbe la grafia.

Tremò ancora, però gli occhi contarono in fretta. Erano almeno dieci, forse dodici lettere, che il moccioso ne aveva millantate altre

Non s'era immaginata così tante altre!

Dannato André!

Come avrebbe mai potuto credere che, giungendo quelle dopo la sua morte, chiunque le avesse lette l'avrebbe immaginato vivo?!

Per quanto si fosse stati capaci di spingersi a ricamare il futuro, sarebbe stato evidente intuire che gli eventi non avrebbero potuto recare scorci oltre l'autunno dell'anno 1780.

Ma quelle parole erano destinate a nanny, a cui nessuno, nemmeno lei stessa, aveva mai domandato nulla sull'evoluzione della guerra.

Le parole erano bastate, in fondo il pensiero era per colui che le aveva scritte, non per ciò ch'era stato scritto.

Oscar guardò il moccioso e quello abbassò gli occhi, come a scansare altre domande, ammetteva in silenzio che la vaghezza non aveva portato bene.

L'altra tentò di comporre la geometria della sequenza, anche se la poca luce non aiutava la vista a scorgere quale missiva sarebbe stata la prossima a esser spedita nel mese successivo.

"Quante lettere hai spedito?" – chiese fredda, mutando domanda, come a mutare il verso della dannata sequenza ove s'era dipanato il dannato filo rosso.

"Non lo so…ve l'ho già detto!".

L'altra stava perdendo la pazienza, afferrò un grumo di paglia secca e asciutta, fili grossi e più sottili - "Avanti! Uno per ogni lettera!".

Il bambino afferrò una pagliuzza, la spostò, poi compose un altro gesto e un altro ancora.

Uno per volta, immaginando di replicare le corse all'ufficio postale, che lei trattenne il respiro, che per poco non prese a tremare davvero mentre il moccioso ripeteva il gesto almeno una ventina di volte.

"Stai scherzando?!" – domandò lei feroce, che i conti non tornavano e Argo non smetteva di spostare fili di paglia – "Ti stai prendendo gioco di me!".

"No…monsieur…perché dovrei?!".

Cessò alla fine la conta e l'altra rimase lì, incredula alla montagnola di fili scostati, che contò velocemente, all'incirca quaranta…forse qualcuno in più.

"Non è possibile!".

Guardò il moccioso, quello allungò la mano. La concessione era tutta lì, ossia mostrare le lettere da spedire per far comprendere che lui non aveva mentito e che la storia del soldato era vera, e indicare il numero, più o meno preciso, di quelle spedite .

Un guizzo…

Oscar pensò d'esser morta…

Lesse un altro indirizzo, stessa grafia, luogo diverso.

Paris…Rue Vivienne…

Un tuffo al cuore…

La lettera non era indirizzata a nanny. La missiva non sarebbe mai giunta a casa Jarjayes.

25…

Che non era comune la numerazione d'una via a Parigi.

Magari c'erano segni che impedivano il passaggio così che una costruzione con cadesse in testa ai passanti o per via d'una strada mal illuminata…

C'erano simboli, insegne, spesso utili a distinguere gli edifici che appartenevano a quella o a quell'altra famiglia, magari ebree o di chissà quale origine…

Pont Notre Dame…

Sì, solo lì li aveva veduti, quei numeri stampati sui muri…

Ma altrove…

Il numero dettava altro. Lo rammentava eppure no…

Le dita tremarono, l'indice fece per infilarsi nel pertugio libero all'angolo della busta.

Il dubbio d'essersi sbagliata. Il dubbio che la destinazione altra dettasse davvero un'esistenza a lei sconosciuta, dunque una donna, un'altra donna ch'esisteva davvero, e che quella fosse a Parigi e che sarebbe bastato cercar bene per scovarla.

Non era lei…

Non era lei, colei che André amava.

André se n'era andato per via d'una donna che non era lei.

Atroce pensiero che sollevava dalla colpa e subitaneo dettava la caduta entro l'oscura visione di se inutile, ignorante, estranea al dispiegarsi degli eventi.

Non si capacitava se la visione allettasse o atterrisse…

Argo fu più veloce.

Il moccioso sottrasse il mazzetto di lettere, tutte, riprendendosi un destino che l'altra voleva far suo, a tutti i costi, non aveva più nulla da perdere, non aveva più forze per sottostare all'insulso balletto.

Gridò il moccioso, così che gridò anche lei, annaspando nell'aria, forzando il ginocchio, allungando il braccio sano a riprendersi un pezzo di carta, ch'era un pezzo della sua vita.

Era sua la vita di André, che lui fosse morto…

Riuscì a trattenere una lettera tra le dita.

Il moccioso tentò d'avventarsi contro l'ospite che ora ridiveniva avversaria ma quella in preda allo spasmo del dolore, lo spinse via, inimmaginabile forza contro la levità d'un corpo giovane e fragile.

Il bambino cadde all'indietro, catapultato via, digrignando rabbia mista a polvere, il fuoco ondeggiò attorcigliandosi allo spostamento d'aria, avvicinandosi alla vista che puntò alla carta mentre le dita stracciavano la lettera e gli occhi leggevano.

Avrebbe volto sapere tutto ma le sarebbe bastato sapere anche poco…

Ma chère grand-mère…

La lettera era una di quelle indirizzate a nanny, non una delle altre…

Gli occhi ebbero un balzo leggendo la data…

30 octobre 1781

Dio…

Che strazio…

André, dannato demonio…

Come hai potuto immaginare di mentire a questo modo a tua nonna!?

Gli occhi continuarono a leggere.

Frasi brevi, asciutta sintassi…

Un colpo al cuore…

Il diciassette ottobre Yorktown è stata conquistata dalle truppe franco americane…

Yorktown…

Yorktown…

Yorktown…

Argo raggiunse l'avversaria, una spinta alla spalla ferita, lo straziante dolore lacerò ogni residuo intento di restare cosciente…

Yorktown…

Lei neppure sapeva che Yorktown era caduta…

Come avrebbe potuto saperlo lui!?

Come avrebbe potuto prevederlo, immaginarlo…

Addirittura un anno prima!?

E poi, cara nonna, sono estremamente felice che la Francia abbia finalmente ricevuto il dono di un erede maschio, Luis Joseph…

Louis Joseph…

Non riuscì a leggere oltre…

Era quello in nome del figlio di Maria Antonietta, l'erede del sovrano di Francia!?

Il moccioso arretrò di contro all'altra che si ritrovò inchiodata da mani e braccia che l'afferravano e la bloccavano.

Da fuori la gentaglia era entrata, accorrendo alle grida…

Lo spasmo morse…

Neppure riuscì a gridare…

Yorktown…

Louis Joseph…

Non capiva più nulla…

La mente non riusciva più a tornare alle poche frasi che aveva letto, a ricondurle al senso logico delle spiegazioni mortali che lei s'era data.

§§§

"Avremmo dovuto trovare almeno…" - Madame Roma s'aggiustò la ciocca di capelli bianchi che s'era ribellata all'acconciatura di fortuna.

La faccia raggrinzita dal tempo e dal gelo pareva ancora più arcigna, come piegata dalla stizza d'aver perduto la propria occasione di vendetta.

Una vendetta che neppure lei avrebbe mai immaginato di vedersi sbattere in faccia dal destino.

Una vendetta che tuttavia, seppur per brevi istanti, s'era macchiata dell'oblio della compassione.

Gli occhi di Oscar François de Jarjayes erano duri, era vero, ma non della straziante oscurità di quelli di suo padre.

François Augustin Reynier de Jarjayes era stato un uomo severo.

Ma era stato incredibile scovare, nelle pieghe della sua fermezza, un sussulto d'istintivo e sensuale orgoglio, che però era stato travolto e distrutto nel giro d'una missione lontana, nella terra del Ducato di Lorena.*

Quando François Augustin Reynier de Jarjayes era tornato…

Madame Roma aveva riconosciuto quella durezza dunque, nello sguardo dell'altra.

Ma di contro agli occhi del padre, in quelli di Oscar François de Jarjayes era come se fosse sorta un'alba, seppur mancata per colpa d'una tempesta imminente, una fulgida dolcezza indotta della resa, una inusitata convinzione dettata dalla speranza.

Madame Roma non aveva saputo cogliere quel balzo della coscienza.

Non aveva saputo molto altro di quella figlia che s'era trovata di fronte, dopo decenni in cui lei aveva tentato di dimenticare il padre. Quella figlia ne era il ritratto ed era stato doloroso restarle accanto, senza rischiare d'allungare la mano, accarezzare quella dell'altra, voltarle il viso, scorrere alle labbra morbide, com'era scorsa un tempo a quelle del padre.

Madame Roma aveva intuito il segreto desiderio del padre e allora contro di quello aveva provato a restituire la figlia al suo essere donna.

Aveva provato a spezzare il filo sottile che legava la figlia al padre.

Aveva provato a distruggere quell'abito che il secondo s'era intestardito a cucire addosso alla prima, cogliendo lo straziante desiderio dell'altra di affrancarsi dalla dannata uniforme per accontentarsi d'una stoffa dalla foggia indegna, così che il padre avrebbe trovato indegna la figlia stessa.

Ma nemmeno quell'abito sensuale e scuro aveva avuto la meglio sull'arcigna educazione, sulla smania di sapere, sull'istinto di ribellarsi ch'era figlio inevitabile delle prime due.

Chi sa, sa anche ribellarsi…

E Oscar François de Jarjayes, ammaestrata dal rango e dall'onore, forse sapeva già che solo nella ribellione si è, si esiste e dunque si è vivi.

Madame Roma avrebbe voluto cogliere quel moto di ribellione…

Ma la preda era sfuggita o forse era stata annientata da una vendetta ancor più forte.

"Un brandello di stoffa!?" – soffiò arcigno Victor Girodel, che si era accostato all'altra, a cavallo, sul crinale della collina che spaziava da una lato alla valle sottostante e dall'altro alle progressive alture, molto più aspre e alte che si perdevano poi verso le montagne.

Le cime erano già abbondantemente innevate, così che la coltre aveva reso uniforme il paesaggio, splendido e brillante, a tratti inciso da speroni di rocce acute e spiazzi d'alberi un poco piegati dal gelo.

Il vento sferzava i volti…

I cuori in subbuglio per opposti misteri…

"Non mi darò per vinto!" – proseguì Girodel mentre andava con gli occhi alla strada che lasciava la valle e voltava, dopo due tornanti, dietro una collina per sparire dalla vista dei visitatori. Era il punto estremo entro cui si poteva osservare il sopraggiungere di carovane oppure il ciarpame confuso di chi lasciava quelle terre.

Era ormai trascorso un mese da che il Conte Hans Axel von Fersen se n'era andato e gli echi delle battaglie a sud erano pian piano filtrati attraverso la rete di sentinelle e messaggeri che avevano riportato l'imminente vittoria.

Di più…

Dalla Francia erano giunte altre importanti notizia.

Sua Maestà la Regina Maria Antonietta aveva dato alla luce un figlio maschio, il futuro re di Francia.

Che sorprendente coincidenza…

La vittoria in terra americana e la nascita d'un figlio!

Un trionfo per l'amato Luigi XVI, buon padre della Francia, amabile sovrano che si sforzava ogni giorno d'alleviare le sofferenze del suo popolo.

Così che il padre avrebbe reso i figli francesi orgogliosi della guerra vinta e la madre, la regina, donava ad essi l'erede maschio, a perpetuo splendore della dinastia borbonica, illuminata dalla mano di Dio e guidata dalla luce divina a governare il suolo francese.

Che poi non v'era chi non avesse scorto bizzarria a immaginarsi l'illuminato re caldeggiare la vittoria di un popolo che voleva distogliersi dal giogo della Corona inglese, imporre analogo giogo dinastico al proprio popolo.

"L'abbiamo cercata…ovunque…" – Roma s'aggiustò il bavero del giaccone.

Il freddo delle montagne aveva invaso le valli, chiudendo piano piano in una morsa gelata le terre e i corsi d'acqua.

Tutto pareva essersi fermato, inchiodato dal ghiaccio e dalla morte.

Tutto pareva perduto…

"Ormai non c'è angolo di questa valle in cui non siamo stati…è assurdo…".

"Madame…non accetterò mai questo finale!".

"Certo…ma è assurdo che di lei non sia rimasto nulla…neppure un brandello di stoffa!".

"Ebbene è proprio questo invece che io non trovo assurdo…".

"Non credete sia morta!?".

"A questo punto…lo crederò quando vedrò le sue spoglie. Non voglio pensarci. Se volete tornare sulla costa…anche se la guerra è ormai vinta…".

"Monsieur…anche a me sta a cuore la sorte del colonnello…ero convinta d'aver imparato a conoscerla…".

Sorrise Victor Girodel - "E invece a quanto pare, anch'io mi ero illuso, ma quando l'ho rivista…ebbene lei era bellissima e ho convenuto che nessuno potrà mai conoscerla davvero a fondo. Ciò che pensa, ciò che vuole…".

"Ne parlate come se lei fosse…".

"Madame…non parliamone più…domani andremo giù al lago…".

"Sono quindici miglia…".

"Ebbene…".

"E quelle nuvole laggiù…probabilmente nevicherà…".

La scacchiera era vuota…

§§§

Chi sei?

Chi sei tu che rechi il nome di Oscar François de Jarjayes?

Uomo o donna?

Mademoiselle o damerino?

Colonnello o contessa?

Tutto o niente?

Colonnello Fersen…

Sentite…sapete che a noi quel damerino ci pare proprio assurdo!

Che ci raccontate!? Quando ci avete detto di fare quel lavoretto a Ponta Delgada…con quell'altro soldato…noi l'abbiamo fatto! Abbiamo dato a quell'idiota quel che si meritava ma adesso vorremmo saperne di più! E soprattutto…vista la bella faccia di quel damerino…beh…ci piacerebbe finire anche con quello….quel che non si è terminato?!

E quello a noi sembra una donna! Anche a noi le donne piacciono… è davvero bello.

Se ci fate divertire un po' con lui…come ci siamo divertiti con quello che se l'è scopato a Brest…diavolo…pareva quasi non respirare più…credevamo d'averlo ammazzato…non ha cacciato una parola dalla gola…si vede che dev'essergli piaciuto! Insomma…noi non ci capiamo più niente! Se a quello là piacevano le donne…pazienza…ma se gli piacevano gli uomini…

Come chi sei?

Sei una donna meravigliosa! Sei intelligente, severa, infinitamente perspicace! Non ti perdi mai d'animo…sei forte! Mi dolgo soltanto del fatto che questo luogo sia indegno della tua bellezza…essa avrebbe ottenuto miglior giustizia non in questo fango e in questa miseria bensì nella nostra reggia dove il tuo volto si sarebbe riflesso mille volte, moltiplicandosi…

Solo Versailles potrebbe renderti l'onore che meriti! Avrei voluto danzare con te laggiù!

Allora…

Chi sei?

Chi sei tu che rechi il nome di Oscar François de Jarjayes?

Immancabilmente restia a star ferma, anche se malandata nell'animo e malconcia nel corpo…

Ingrata verso un destino di solitudine e abbandono…

Fiera combattente…

Forgiata a non arrendersi mai…

Pura…

E lurida al tempo stesso!

Si deve necessariamente subire lo strazio d'essere l'una o l'altra?

Si svegliò di colpo, il corpo freddo e fradicio, infagottato in una specie di tela grezza, troppe coperte addosso, scaraventate via dalla rabbia.

Non riconosceva il luogo. Era sola.

Doveva andarsene…

La mano destra corse alla spalla coperta da uno spesso bendaggio. Tastò una, due volte…

La scheggia non c'era più, l'arto era gonfio, doleva, forse la ferita non aveva avuto modo e tempo di chiudersi…

Il tempo di raccogliere i pensieri, l'accortezza di concentrarsi per qualche istante, la decisione di non voler restare lì, lei non avrebbe dovuto esser lì, che il semplice fatto di non aver stabilito lei d'esser lì tediava la coscienza e rimescolava la faticosa ascesa alla verità.

Non sarebbe rimasta un solo istante in più…

Si alzò in piedi, che da terra fu più difficile, perché non era su un letto ma distesa per terra, sopra strati di stuoie e coperte.

L'equilibrio precario disorientò per qualche istante i passi, l'orgoglio ricondusse le forze al servizio della caparbia volontà di lasciare il luogo, che nemmeno sapeva quale fosse, né da dove venisse, né per fuggire altrove.

La coscienza annientata dall'istinto, incapace d'avvedersi che attorno a sé tutto pareva essere stato sistemato e disposto per tenerla lì.

C'erano pochi indumenti di tela leggera, ci si ficcò dentro, che quelli comunicarono un gelato torpore a sferzare il crescente disorientamento.

Un passo…

Lo sguardo stranito scorse al paesaggio che s'aprì davanti agli occhi nell'istante in cui mise piede fuori dal tugurio, una coltre bianca e immacolata vibrava accecando gli occhi, scintillando sotto il sole freddo e pungente.

Il corpo rabbrividì, vestito della sola tela, i piedi scalzi tagliati dal gelo, che non era riuscita a trovare alcun genere di calzatura.

L'orgoglio prese a ribollire incendiando ogni barlume di morigerata logica.

Un passo…

Un altro passo…

D'improvviso le forze accusarono la sferzante ferita del ghiaccio incuneato nei muscoli, lame via via sempre più roventi a tranciare intenti e respiro.

Un passo…

Un altro passo…

Sempre più veloce…

Si mise a correre, senza nemmeno sapere in quale direzione, sapendo solo che doveva andarsene, lasciare quel luogo perché lì non c'era più nulla capace di tenerla in vita, offrire un banale rifugio alla disperazione.

Che poi non era proprio quel luogo…

Che forse stava solo fuggendo da sé, senza sapere che è difficile rifugiarsi altrove che da se stessi.

Non sapeva perché l'istinto dettava di fuggire…

Non sapeva perché l'istinto dettava di continuare a vivere.

Se avesse ascoltato la coscienza, il cuore sì, anche il dannato cuore, avrebbe imposto di rallentare i passi, restare lì, in mezzo alla neve, lasciarsi sopraffare dal gelo, così da chiudere una volta per tutte quella dannata partita a scacchi in cui lei ormai non aveva più possibilità di vincere.

La scacchiera era vuota…

La regina era sola.

Sprazzi d'ocra e verde spruzzati di rosso s'allargavano allo sguardo che scorreva a scavare un sentiero, una strada, una colonna di fumo a cui aggrapparsi.

Un passo…

Un altro passo…

Correva…

Che però alle spalle intuì il respiro di chissà quale bestia inferocita ch'evidentemente s'era accorta della sua fuga, che sì, ciò che stava accadendo era una fuga perché altrimenti lei si sarebbe fermata e voltata e avrebbe chiesto aiuto.

Grida e richiami alle spalle…

Incedere faticoso di zoccoli sul manto innevato…

Pedine compatte…

Avversari o benefattori…

Se si fosse voltata avrebbe perso la presa sul terreno e avrebbe perso tempo perchè l'orgoglio dettava i passi e la coscienza non riusciva a riprendere il controllo dei gesti.

Sarebbe stato impossibile seminare gl'inseguitori, chiunque fossero stati, in qualsiasi numero…

Li vide alla fine, pellerossa vestiti all'occidentale, pellicce folte sulle spalle a proteggersi dal freddo, occhi scuri puntati addosso, fucili in spalla. Non sapeva chi fossero.

Non erano Yellow Jacket e Isi.

Due la superarono a sinistra, sparendo dalla visuale, inghiottiti dal groviglio di fronde appesantite dalla neve. Altri tre alla destra allargarono la distanza, come a volerla seguire da lontano, senza perderla di vista ma senza neppure avvicinarla.

Si fermò, in trappola, come un animale selvatico.

Non si poteva tornare indietro, né andare avanti.

Poco lontano, nel riverbero di luce, distinse la sagoma dei due cavalieri ch'erano scomparsi nella boscaglia e che dunque l'avevano superata per sbarrare la strada.

Stavolta uno dei due dispose la baionetta contro la preda, avanzando lentamente mentre la neve fresca e morbida cascava soave ai lati del cavallo, come impasto dolce e friabile a lasciar incedere la foga trattenuta della bestia.

Nessuna parola, nessun ordine, solo un secco cenno del capo a indietreggiare e tornare sui suoi passi.

L'altra negò senza fiatare, ma si rese conto ch'era immobile, in scacco, mentre la posizione statica consentiva al gelo di risalire i muscoli, piombando senza fretta vene e sangue.

Il respiro caldo era unica e ultima prova d'essere viva.

A poco a poco le gambe e i piedi si sarebbero frantumati.

Rischiava di morire davvero.

Dunque sarebbe morta in una radiosa giornata di sole, ficcata entro uno straordinario paesaggio di neve, gelato e candido.

L'indiano abbassò la baionetta, segno dunque che mostrava di non temere l'inabile preda, ormai priva di difesa e via di fuga. Lo sguardo era freddo forse più della coltre innevata che la circondava.

Gli occhi adattati alla luce scorsero una specie di pertugio tra i rovi, poco distante.

Invece d'avanzare, andare contro quelli che la tenevano d'occhio da lontano, poteva nascondersi, disorientare gl'inseguitori, che avrebbero dovuto abbandonare i cavalli e proseguire a piedi.

Irragionevole, illogico, inutile…

Nessuno con un briciolo d'amore per sé avrebbe scelto quella via.

L'ideale sarebbe stato arrendersi, chinare il capo, scendere a patti, ammettere la sconfitta…

Sarebbe morta…

Ma se non era accaduto fino ad allora!?

E poi, anche se fosse morta!?

Un respiro…

Il tempo di raccordare il pensiero alla volontà e la volontà ai muscoli…

I piedi raggelati persero la presa del primo passo.

Lo scatto non indusse reazione immediata negli inseguitori, forse perché quelli non s'immaginavano che la preda inseguita fosse così stupida da scegliere la fuga, ancora e ancora, contro ogni buon senso, contro ogni possibilità di salvezza.

Forse avevano appreso e convenuto che la gente d'oltre oceano aveva un alto senso dell'onore solo quando avesse avuto sufficiente potere per vantarsene senza timore.

Forse avevano compreso che la gente d'oltre oceano, giunta a dettare legge entro le proprie terre, quando si fosse trovata nei guai o in pericolo, avrebbe gettato la maschera, rivelando la più effimera delle coscienze, la più codarda delle volontà.

Colui che avevano di fronte non avrebbe fatto eccezione.

Chiunque egli fosse…

Uomo o donna…

Colonnello o contessa…

Il secondo passo fece presa sulla neve farinosa seppur sdrucciolevole…

Uno sferzante richiamo incise la smania di correre.

Gli occhi accecati provarono a sollevarsi, in alto, ma il riverbero toglieva chiarezza alla vista e le lacrime sgretolava la scena.

Piangeva dunque, come una dannata mocciosa…

Piangeva ormai senza forze, i piedi e le mani rossi e lividi, la pelle gelata…

Lo stridio incise la coscienza…

Chiuse gli occhi perché l'udito fosse sgombro dall'insana protervia dell'orgoglio dei sensi.

Udì il richiamo, forse la stessa bestiola già conosciuta. Sperò fosse quella, così dettò l'istinto o forse solo la dannata smania d'incaponirsi a seguirlo o forse ancora la disperazione di non voler accettare l'inevitabile.

Prese a starle dietro, mettendo fondo alle residue forze, mentre in alto il falco pareva indicare una strada, una via, lontano da lì.

I cavalieri s'avvidero che la preda non era più sola.

Forse inseguiva uno spirito capace di condurla oltre la coltre pericolosa, fuori dalla loro portata.

Spronarono i cavalli a starle dietro, superarla, sbarrare la strada e riacciuffarla.

Gli occhi videro la dannata bestia alla fine, i piedi avanzarono più veloci, come instradati entro una via che pareva già battuta, già percorsa.

La fuga prese spessore.

Un piede in fallo…

Le mani a terra, la caduta attutita, solo che la terra non c'era sotto le mani, solo neve, nient'altro che morbida e spumeggiante neve in bilico sullo sperone acuto.

Il vuoto sotto…

Prese a scivolare, prima d'aggrapparsi a un ramo e ritrovarsi immobile, a galleggiare sul friabile costone appuntito, puntali ghiacciati a ricamare e impreziosire ombrose bocche nere.

Le mani persero la presa, le dita graffiarono la neve gelida…

Gli occhi videro le facce dei tre inseguitori che sempre muti e sprezzanti si prodigavano ad allungarsi per afferrarla e trattenerla o riacciuffarla, come si preferiva.

Oscar François de Jarjayes non era certa che quelli volessero salvare lei.

Semplicemente lei era una preda in fuga ed evidentemente discretamente ambita al punto da prodigarsi a tenerla in vita.

Avrebbe potuto allungare la mano e lasciarsi issare su.

Avrebbe potuto ma non volle, che dunque comprese il proprio corpo davvero come morto, una specie di sacco inutile e zozzo che a poco a poco guadagnava il baratro.

Sentì che cadeva, avvolta dal gelo, ormai incapace di salvarsi.

Altre vaghe certezze non ottenne, se non quella dei sensi implosi e gli arti malamente scheggiati dagli aguzzi rimbalzi sulla terra, sfregiati dagl'insidiosi rovi morti sotto la coltre immacolata.

Il boato della sgraziata caduta rimbalzò nelle tempie ove il sangue parimenti batteva instupidito dal freddo.

Era tale l'erosione del gelo che ormai non riusciva più a percepire il contatto con la propria pelle e nemmeno col resto della materia mobile e franosa che l'attorniava.

Il respiro congelato oscurò la vista.

Le dita strinsero un grumo di neve sporca…

Rossa…

Scacco matto!

Il re era ormai perduto e nemmeno la regina era stata in grado di salvarlo e salvarsi!

* Episodio 6, nuovi gaiden di Rioko Ikeda.

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