I ricordi, queste ombre troppo lunghe
del nostro breve corpo,
questo strascico di morte
che noi lasciamo vivendo,
i lugubri e durevoli ricordi,
eccoli già apparire:
melanconici e muti
fantasmi agitati da un vento funebre.
E tu non sei più che un ricordo.
Sei trapassata nella mia memoria.
Ora sì, posso dire
che m'appartieni
e qualche cosa fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.
Tutto finì, così rapido!
Precipitoso e lieve
il tempo ci raggiunse.
Di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
Dovevamo saperlo che l'amore
brucia la vita e fa volare il tempo.
Passato
Vincenzo Cardarelli
E costa cara la fragilità
Per chi un posto nel mondo non ha
In questo viaggio nell'infinità
So che l'amore no, non passerà
E se poi torni tu passa di qua
È una bugia anche la verità
In questo viaggio nell'infinità
So che l'amore no, non passerà
Sabbia
Ultimo
Comme des grains de sable
L'insistente sgocciolio perforava la coscienza. Nella testa s'affollavano dubbi, cozzi disarmonici contro l'incapacità fonda d'avere risposte.
Che gli avete fatto!?
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
Gli occhi spalancati…
Il cuore in subbuglio…
Pensò che stava cadendo.
S'aggrappò alla terra ma si rese conto ch'era ferma, ch'era già a terra, di nuovo, distesa, così che poté finalmente prendere coscienza di sé, facendo la conta dei singoli arti, dapprima le braccia, poi le gambe, che però non riusciva a muovere bene.
Le mani presero a frugare, perché quel che sapeva era che adesso non aveva più freddo, non percepiva né umidità, né gelo. Nulla se non uno strano tepore grasso, una specie di sentore che da tempo non aveva più odorato.
Forse era accaduto nella cucina di casa Jarjayes, quando nanny faceva cadere con un mezzo tonfo l'oca sgozzata sul tavolo e le servette prendevano a spiumare l'animale, delle piume più piccole, perché le penne maggiori erano fuori a fluttuare nell'aia ormai scura, mentre la comare di casa si prodigava a sviscerare le interiora e a disporre i tranci di carne nelle pirofile da infornare.
Ecco, l'odore morbido e tondo del grasso d'oca era ciò che più somigliava a ciò che sentiva.
Le dita raggiunsero i piedi raggomitolati. Intuì ch'erano fasciati in maniera spessa, il resto del corpo appena solcato da tessuti più lievi, sorprendente dicotomia indusse un brivido non di freddo ma di vergogna.
Tentò di scostare la coltre di coperte sotto cui era sepolta ma l'aria fredda punse il viso imponendo di ritirarsi subito sotto il manto di pelliccia, chiudere gli occhi e riappropriarsi del vago senso di sé che lentamente pareva tornare a scorrere nelle vene.
Era al chiuso, una sorta di antro ancora diverso dal precedente.
Di nuovo sola ma questa volta la stizza non aveva più alcun potere, come rassegnata alla deserta solitudine, colma dei soli suoni che giungevano dall'esterno, gocciare d'acqua, rami spezzati da neve troppo pesante, frusciare di chissà quali bestiole in fuga nel biancore del paesaggio.
Tutto immaginato…
Aveva sonno, atavico sonno, come se davvero non avesse più dormito, non solo nei mesi del viaggio - la traversata prima e la ricerca dopo, che cercare è faticoso, sorprendente, impietoso e quasi folle, ma cercare tiene vivi e sospesi, come in un sogno – ma addirittura per tutti i giorni ch'erano divenuti anni, che si erano succeduti dal giorno in cui si erano separati.
Per la prima volta si ritrovava incapace di resistere e restare sveglia o comunque dormire seppure col cervello vigile, pungolato dall'assenza.
Era come se fosse finita in una specie di lago calmo e caldo, accogliente e sereno, senza più alcun desiderio o foga d'abbandonarlo.
Certo la staticità della posa, il corpo acquietato e molle, l'incapacità di lasciare il luogo, avrebbero consentito ai pensieri e ai dubbi d'affacciarsi di nuovo alla mente, affollarsi, pungere e straziare il cuore.
La consapevolezza si faceva via via sempre più crescente e Oscar François de Jarjayes comprese ch'era stata proprio quella consapevolezza, ruvida e macabra, a spingerla a non accontentarsi mai della banale spiegazione, rassegnarsi alla perdita, ammettere la sconfitta, accogliere le verità come un dato di fatto, accertato, a cui sarebbe stato impossibile opporsi.
Si era spinta a cercare sempre, in nome dell'orgoglio prima, della disperazione dopo.
In nome d'un malcelato senso d'abbandono che non aveva mai accettato.
Ora non riusciva più a opporsi.
S'arrendeva.
Era sola…
Svuotata nell'anima…
Il corpo malandato e marcio.
Qualcuno di certo la stava cercando…
Fersen…
Victor…
Prima o poi ti troveranno!
Anche se altri pare ci siano già riusciti!
Il pensiero sussultò nella testa, che tremarono le viscere, richiamate all'appello dai bisogni primordiali, respirare, mangiare dormire. Non avrebbe voluto vivere, non nell'accezione più blasfema e squallida del termine, ma l'istinto non dava tregua.
Nel tepore del proprio corpo trattenuto e rimbalzato addosso dalla coltre di pellicce intuì altri odori e fu costretta a mettere il naso fuori, di nuovo.
Poco distante da sé c'era una ciotola.
Allungò il braccio, afferrò quella che doveva essere una patata forse, sbucciata e cotta.
Accanto c'erano due mele e un pezzetto di carne secca, un poco dura ma masticabile.
Dunque quella aveva tutta l'aria d'essere una prigione.
Gl'inseguitori l'avevano raggiunta e riacciuffata e ficcata lì.
La mente dissolta e vuota.
Il corpo intento a sopravvivere.
Mangiò quello che aveva trovato e masticando controvoglia prese a fissare la macabra danza del fuoco tenero che alitava alla sua destra.
Si cacciò sotto la coltre di coperte.
Comprese che l'odore che aveva addosso era grasso d'animale, forse per curare il gelo che aveva aggredito i piedi e le mani.
Non osava sfilare le bende, non osava immaginarsi che gli arti fossero a tal punto offesi da non esser più in grado di reggerla in piedi.
Non volle saperlo. Non in quel momento.
La mente prese a ondeggiare verso un nuovo sonno, popolato di memorie e graffi, schiaffi e sentori di vino.
La coscienza si ritrovò rannicchiata a contemplare il nome che aveva appreso…
Louis Joseph…
Era davvero quello il nome del figlio di Maria Antonietta?
Un maschio…
L'erede del sovrano di Francia?
Finalmente un maschio…
La disperazione a poco a poco parve dissolversi - come nuvolaglia sospinta dal vento che concede allo sguardo la grazia di scrutare il cielo bianco e terso, di contro alle orecchie colme di suoni estranei.
Pareva infuriasse una tempesta di neve, fatta di rantoli e sibili, folate di vento insinuate a spezzare rami e rovi.
Non sapeva neppure s'era giorno o notte.
Udì lupi ululare di fuori.
S'immaginò fosse notte. Avrebbe dovuto temere il peggio.
Ma nulla pareva ormai incutere timore, tutto sovrastato dal disastro dettato dalla soverchia ridondanza degli elementi rovinati addosso.
Paris…Rue Vivienne…25…
Non rammentava bene.
Alla numerazione delle vie aveva fatto caso solo quando v'era da scovare un accidente, un pericolo per il buon nome, l'onore, l'incolumità della famiglia reale.
Non s'era mai interessata di chi ci vivesse in quelle strade e nelle stamberghe, entro i voltoni, o chi ci fosse dietro alle finestre quasi sempre chiuse, a racchiudere chissà quale mondo sommerso, gente perduta, gente capace di salvarsi, magari solo per via d'un solo dannato numero!
Pezzi distorti, acute schegge d'uno specchio incrinato, sul punto di spaccarsi e portare con sé, via, per sempre, il nesso, la chiave di volta…
Troppi tasselli rovesciati addosso!
Nessuno con un qualsiasi senso logico.
Nessuno, se non uno, che però era impossibile.
Si ritrovò a dormire molte ore, forse s'immaginò persino giornate intere.
Non sarebbe potuta fuggire da sola attraverso la coltre di neve ghiacciata e alta, lei a mala pena protetta dal grasso d'oca.
Ma adesso non voleva fuggire. E ogni volta che apriva gli occhi restava a fissare altre ore il nero soffitto dell'antro scuro.
Immobile…
Non era morta ma era come se lo fosse.
Non aveva più speranze, non aveva più desideri, eppure il cuore – dannato – continuava a battere silenzioso, come passero implume atterrito dal volo fuori dal nido.
Si rassegnò a lasciarsi travolgere dal sonno.
Si rassegnò a lasciarsi prendere dal sogno.
Non le importava nemmeno più comprendere come fosse possibile che la catasta di legna fosse sempre colma, che a terra fossero poggiati svariati tuberi e carne secca e acqua.
Era una strana prigione quella e una strana prigionia.
Sognò…
S'immaginò di sognare.
S'immaginò d'essere nel sogno e non forzare il risveglio.
Era tutto ciò che poteva stringere tra le mani.
Un sogno guidato dall'intelletto…
Nessun senso logico…
Nessuno, se non uno, che però era impossibile.
Le sue mani…
Che la mano era scorsa sul petto, accarezzando astratte geometrie circolari.
E le dita s'erano beate del tocco ch'era corso oltre, regalando l'intenso incedere nei sensi dell'altro.
E la bocca aveva colto il sentore minerale della pelle, un poco forte, eppure potente, capace d'inebriare e distruggere al tempo stesso ogni brandello di residua vergogna…
Le dita s'erano aperte a graffiare piano il petto, per cogliere anch'esse la consistenza morale dell'altro, il suo essere altro da sé.
Sei un'idiota! Dovevi dirmi ch'eri sveglio…
Perché?
Ti sei approfittato di me!
Le labbra bruciavano….
Doveva essere stato il vino…
Tutto bruciava in realtà…
Le dita…
Le guance…
Eppure non era tepore…
Non era mancanza d'aria…
Era calore gelido…
Brivido silenzioso…
Muscoli scossi…
Lampo oscuro…
Poi la coscienza intese scacciare il sogno, rifiutando la calma placida del lago tiepido in cui ogni volta si ritrovava.
Il barlume della notte riflessa sulla neve disegnava i contorni dei pochi oggetti.
Scacciò anche quelli, che d'istinto si sporse, seppur restando distesa.
Appoggiò la fronte, il tepore s'allargò insidiandosi nella mente, allungò la mano appoggiando anche quella, il riverbero si fece intenso, nel silenzio il battito s'espanse andando a colpire il proprio battito, allacciandosi alla melodia conosciuta, un poco stonata, non uniforme, ritmicamente dissonante.
La mano rimase appoggiata, nessun timore di cadere, che allora la testa si fece avanti, la fronte spinse strisciando come a sincerarsi d'esser viva, s'ingarbugliarono le pulsioni, risalirono alla testa i sentori del ricordo, assieme alla placida contrattura d'un immaginario orgasmo.
Sconosciuto ardore infiammò la coscienza.
Gli occhi rimasero chiusi.
Attese…
Attese immobile quasi senza respirare.
Il corpo frastornato non ebbe più capacità di restarsene in disparte, finendo per cadere davvero, che la bocca s'aprì piano per appoggiarsi ad ascoltare il sentore conosciuto.
S'accorse che le labbra bruciavano….
Tutto bruciava in realtà…
Le dita…
Le guance…
Eppure non era tepore…
Non era mancanza d'aria…
Di colpo la bocca si schiuse come a chiedere di nuovo il sentore minerale della pelle, un poco forte, potente, capace d'inebriare e distruggere al tempo stesso ogni brandello di residua vergogna, e le dita s'aprirono e graffiarono piano la consistenza che giaceva sotto di esse per coglierne l'essenza…
Sentì muoversi la carne del sogno…
Intese calore…
Una mano, quella stessa mano, s'allungò di nuovo, scivolando oltre il braccio, cingendola piano di nuovo senza alcun rumore senza neppure una parola…
Le labbra si schiusero la bocca s'aprì lentamente…
Era viva…
Lo era di nuovo.
§§§
Cuore calmo…
Piedi tiepidi…
Sonno discreto…
Dita lievi a disegnare immaginarie linee d'inconsistenti pensieri.
Forse aveva davvero sognato, per la prima volta il sogno era rimasto impigliato nella coscienza, come petalo sfiorito tenacemente attaccato allo stelo d'un fiore, come frutto marcio che penzola sgraziato s'un ramo.
Galleggiavano le sensazioni, più che le immagini, che quelle erano infinitamente più potenti e durature.
Aveva temuto nel passato di dimenticarlo.
L'amarezza della fine d'una storia mai neppure nata aveva superato i confini del discernimento logico, così che il dolore aveva tenuto a galla i ricordi, assieme però al disprezzo di quella ch'era stata, senza mezzi termini, una fuga.
Quella dell'altro da lei…
Quella di lei da se stessa!
Come biasimarlo?
Come deridere la sua scelta?
Se tu avessi amato senza speranza, non avresti forse rischiato d'imboccare la stessa straziante via, irrazionale ma inevitabile, pur di non opprimere te stessa dallo sfacelo d'un rifiuto!?
Nella penombra del mattino, Oscar ammise che ciò che lei aveva ascoltato di sé non poteva paragonarsi a ciò che aveva ascoltato lui.
Lei si era, tutto sommato, imposta a Fersen.
André non l'aveva fatto. Non l'aveva mai fatto, né con lei, né con nessuno.
Non si era mai imposto!
Non a gesti o a parole.
Ma sì, semplicemente andandosene!
Non potrà fare altrimenti!
E' un ordine di Sua Maestà!
André, lei dovrà ascoltare ciò che le dirai!
A costo della tua vita, fa che Oscar indossi quell'uniforme!
A costo della tua vita…
Avevi ascoltato tutto!
Nell'accezione più severa la vita di André era nelle tue mani…
Se tu non avesse accettato d'indossare quella dannata uniforme avresti mai corso il rischio che gli accadesse altro, per la tua indecisione!?
Non hai niente da dirmi?
No…
Perché non me lo dici subito!? Che dovrei indossare quell'uniforme!?
Se non vuoi indossarla, non farlo!
Risposta tranciante, disarmante…
Lui, dannato, aveva sempre avuto capacità di scompaginare le carte, disattendere ordini, rischiare la vita, ridurre o elevare tutto a una scelta. La più banale e semplice.
Sarebbe stato facile per lui far leva sulla decisione di altri, discolparsi sostenendo d'essere stato preso tra due fuochi, gettando la responsabilità su tuo padre.
Scegliere e basta!
Se non vuoi indossarla, non farlo!
Non c'erano altre ragioni…
Né che tu volesse essere donna o diventare uomo!
Né che non avessi intenzione di proteggere una donna o, semmai, avessi deciso di farlo!
Né che avesse timore del futuro o finanche disprezzo di tuo padre.
Nulla se non…
Scegliere e basta!
L'avevi sfidato…
Il solito trucco!
Prima mi dici di non indossare la dannata uniforme così poi mi convincerai a farlo!
No…
Non era nemmeno quello!
S'era infuriato André…
Quella volta non c'era nessun tranello!
Se non vuoi indossarla, non farlo!
Tutto lì!
S'era davvero infuriato quella volta che lui non giocava affatto!
L'avevi punto nel suo amore per te. Assoluto e senza scampo…
S'eri davvero tu colei che lui amava, se anche allora lui ti amava, non avrebbe mai potuto riversare su di te quel sacrificio.
Una sonora sberla!
Te l'eri meritata, perché eri stata davvero insolente e bieca a sfidarlo sul terreno della fiducia. Tu non ne avevi in nessuno, nemmeno in lui e questo lui non l'aveva mai tollerato.
Due bambocci che si prendevano a ceffoni!
Ecco che diavolo eravate!
E quanti pugni gli avevi rifilato…
In faccia…
E lui mica era stato lì fermo a incassarli!
Te li aveva restituiti, perché lui era così. Diceva ch'eri forte ma adesso, a ragionarci su, era anche possibile che te l'avesse fatto credere!
Non eri forte, o forse lo eri, ma la spinta a vincere era dettata dalla disperazione di ritrovarti in bilico, a osservarti nuda, senz'abito addosso – che non era certo un pezzo di stoffa a dettare chi fossi, ma da quel momento sarebbe stato così e quel pezzo di stoffa avrebbe detto al mondo intero chi saresti stata.
Ti veniva detto cosa fare, ogni santo giorno, e al tempo stesso ti veniva insegnato che saresti stata tu a dover comandare, ad avere sempre avere il controllo di ogni respiro, i tuoi e di chi t'attorniava.
Era davvero così?
Avresti comandato soldati e combattuto battaglie…
Come riuscirci?
Come non avere paura di sbagliare, fallire, deludere…
Come non avere paura che tutto fosse così straordinario e irraggiungibile da ubriacare persino il tuo ego e spingenti a dimenticare chi tu fossi davvero?!
Se non avessi indossato quell'uniforme, lui avrebbe forse rischiato la vita?!
E l'onore di tuo padre sarebbe andato in pezzi?!
Sua Maestà Luigi XV non avrebbe tollerato un atto d'insubordinazione…
O forse sarebbe accaduto proprio questo ma siccome eri una donna, forse sarebbe semplice biasimarti come vigliacca.
Eppure, a pensarci bene…
Non era neppure quello!
Ti eri messa in guardia…
Di nuovo…
Oscar rimase a occhi chiusi.
In quello stesso istante riemersero gli occhi dell'altro, come attraversati dal fulgore d'una vittoria, che ancora nessuno dei due aveva avuto la meglio in quella specie di scazzottata tra mocciosi.
Così avevi deciso.
Per te stessa e per lui.
Hai scelto chi essere, nonostante lui avesse deciso di non dirti nulla, che la sua vita non poteva valere una scelta simile.
Oscar tornò a quello sguardo e ammise che André aveva già vinto, se poteva dirsi una vittoria quella a cui i contendenti miravano.
Fino ad allora s'erano misurati a sapere chi dei due era il più forte. Non c'erano mai stati secondi fini, metamorfosi proprie o dell'altro a catturare i pensieri.
Fino ad allora non c'era mai stato nessun futuro.
Erano loro, al presente, sempre lì e adesso.
Ti sei scontrata con lui e contro se stessa, contro i dubbi, come a prender quelli a pugni, incarnati nella sua faccia, un po' saccente e smargiassa.
André aveva già vinto…
Anche se alla fine avevi vinto tu!
Solo a pugni però!
Questa è la prima volta che ci azzuffiamo in questo modo!
L'altra notte ti ho sentito parlare con mio padre. Parla André…
Comprendo l'esigenza di tuo padre ma non voglio costringerti a fare quella vita per questo motivo. Così avevo deciso di non dirti niente.
Ti era bastato. Ti aveva convinto…
O meglio, aveva lasciato che tu scegliessi, che fossi tu a convincere te stessa. Forse lo sapeva già cosa avresti scelto.
Dannato André…
Aveva ripetuto spesso un nome…uguale al vostro. Gli avevo chiesto chi fosse questa persona….ma non disse nulla eccetto che era…tutto…
Tutto…
Tutto…
Tutto…
André è partito perché amava te…
André ha lasciato la Francia per non rivelarti il suo amore…
André è morto…
Per te…
Eppure…
Paris…Rue Vivienne…25…
Dannato André!
Forse non sei tu quella donna, perché hai scelto di non essere una donna!
Oppure…
Forse lui non sapeva proprio niente. Forse lui non aveva mai saputo nulla di te.
Forse anche lui aveva paura e aveva immaginato che anche tu l'avessi e allora quella paura lui l'aveva accolta, facendosi avversario, facendoti d'avversario, incarnandola così che tu potessi affrontarla.
Lui ci sarebbe sempre stato, lui sarebbe stato la tua paura da prendere a pugni.
Mentre ti rialzavi e fuggivi, la eco delle dannate parole avevano rimescolato di nuovo le carte e intrecciato le fila dei vostri destini.
Oscar, lascia che ti dica solo una cosa e non te ne parlerò mai più in futuro!
Non è ancora troppo tardi!
E' adesso…il momento di tornare a essere una donna!
Tornare…
Tornare…
E da quando eri stata una donna?
Così che avresti potuto scegliere di non esserlo più o tornare a esserlo?!
Non avresti potuto.
Non sarebbe stato possibile!
Idiota!
Tornare a essere ciò che non eri mai stata o diventare ciò che non saresti mai potuto essere?!
Eterna sfida a te stessa.
In fondo non sarebbe accaduto nulla e l'onore di tuo padre sarebbe stato distrutto ma poi lui avrebbe trovato modo e maniera di ricostruirlo.
E persino i tuoi sensi di colpa, prima o poi sarebbero scemati, eppure…
Hai scelto questa vita…
L'hai scelta perché così volevi.
André ti ha solo messo dinnanzi a te stessa.
Si mosse piano sedendosi.
S'accorse che i piedi avevano necessità si sgranchirsi dalle fasciature.
Così prese a liberarli, svolgendo le bende, osservando gli arti ch'erano tornati ad assumere un incarnato pallido quasi bianco.
Si guardò attorno…
Scegliere non era mai stato facile…
Soprattutto quando non c'è certezza che si giunga a un destino migliore.
Lui ti amava e temeva la tua paura, temeva d'importi un peso troppo grande, che l'amore impone sacrificio all'altro e questa volta non avrebbe potuto sfidarti a prenderlo a pugni!
Perché no?!
Allora lui ha scelto.
Scegliere è già accogliere il proprio destino. Scegliere è già vivere.
Scegliere è la più sublime delle ribellioni, la più fonda declinazione dell'animo, la più intensa visione di sé che un essere umano possa coltivare per la propria esistenza.
Scelse allora.
Trovò alcuni abiti pesanti. Non si sorprese, non ne aveva più forza o ragione. Li indossò ritrovandosi in ginocchio entro quella che lei aveva giudicato essere una prigione.
Intravide uno sbocco di luce, dunque un'apertura che dava all'esterno, il vento esibiva voce suadente, sibilando attraverso i pertugi dell'improvvisato tugurio, come sirena che attira verso il baratro.
La consapevolezza d'esser sola.
L'inquietudine tonda e lieve d'averlo sognato.
Il pensiero fermo d'aver scelto la propria vita, d'aver commesso errori e l'altrettanto ferma certezza che altri ne avrebbe commessi.
Tutto fermo e tutto mobile al tempo stesso.
Imparò che poteva stare in piedi, i passi un poco incerti, vertigini tenute a bada dall'appoggio a un bastone lasciato lì, chissà forse ad arte.
I sensi, crollati nell'abisso della colpa, a poco a poco tornarono a intrecciarsi alla volontà.
Lui non c'era più ma tu sei viva.
Il dovere di andare avanti e ritrovare certezze.
Il dovere di vivere per lui…
Un poco stizziva questa piega della volontà ma André, dannato, aveva finito per vincere anche questa volta.
La prigione dunque era composta solo in minima parte da quella sorta di antro protetto e scuro, incastonato nel fianco d'una collinetta, protetto da arbusti rinsecchiti di querce e ontani spogli, come bracci di giganteschi candelabri a reggere cumuli di cera candida e fredda.
La scenografia s'arricchiva del fondale bianco e brillante a vista d'occhio, limpido e terso come la gelida giornata di sole. Sarebbe stato impossibile lasciare quel luogo perché l'occhio non riusciva a scorgere sentieri e nemmeno pennacchi di fumo.
Tutto era terribilmente vasto e pieno e vuoto al tempo stesso.
L'ispezione terrestre riportò la vaga sensazione d'essere davvero in trappola. Chi l'aveva nutrita e accudita fino a quel momento non aveva tralasciato nulla, concedendole l'essenziale per vivere ma non abbastanza per lasciare quel luogo.
D'istinto guardò in alto, scorrendo al cielo chiaro e limpido.
Ti parlerò di lei…
Ti racconterò di me…
Spesso osserva il cielo…
Forse per vedere se pioverà…
Ho sempre pensato invece che fosse perché lei vorrebbe essere altrove…
Quanto l'aveva conosciuta…
Quanto lo detestava per questo!
Adesso più di prima!
Un guizzo attraversò il manto bianco, neve farinosa crollò dai rami che, come fruste, si raddrizzarono puntando in alto.
Il tonfo sordo della materia evanescente vagò per l'aria rimbalzando sui cumuli che attorniavano quella specie di bianco sepolcro.
Lo sguardo corse veloce a seguire il volo secco e radente.
L'animale roteò tre volte in aria…
Uno stridio intenso incise il silenzio innevato.
Un fischio…
Il cuore quasi fermo…
Il piccolo falco puntò verso l'alto, come Icaro che tenta di raggiungere il sole, poi giù in picchiata, planando lieve e lungo fino ad appoggiarsi…
La neve accecava la vista…
Il dannato riverbero…
Lacrime di freddo miste a cuore fermo.
La bestiola sprimacciò le ali, una, due, tre volte per poi ripiegarle con cura, chinandosi ad afferrare il boccone, ricompensa al volo e all'ordine eseguito.
Oscar si strinse il pastrano addosso.
Di nuovo non percepiva più il sangue scorrere nei piedi che ridiventavano freddi.
L'alito gelato offuscava la vista.
Però era viva…
Il cuore disperso…
L'aria trattenuta in gola…
La bestia intuì la presenza, cacciò un verso…
L'uomo si voltò fissandola…
Lo sguardo lieve…
La chioma scura e lunga…
Il corpo statico e possente, avvolto entro abiti antichi…
L'unico vezzo, il mantello scuro che ondeggiava sotto il sole.
André…
Un sussurro, gli occhi in lacrime per il freddo, la vista ammorbata dalla dannazione indotta dalla commozione…
L'altro sorrise lieve, accennato com'era sempre il suo sorriso.
Negò Oscar, immaginandosi ancora addormentata, maledicendo se stessa per l'incapacità di distinguere i due mondi, il reale e il sogno, ch'essi non avrebbero mai potuto incrociarsi ed esistere nella stessa dimensione temporale.
Un passo…
Il piede raggelato non riuscì a reggere il peso, che si ritrovò a terra, in ginocchio, il capo incapace di stare ritto e fissare l'ombra evanescente.
Quella si mosse, giungendole incontro.
Il falco si rialzò in volo di nuovo, mentre lei poteva osservare i piedi, incapace di sollevare lo sguardo.
Si sarebbe forse svegliata? Quando? E che sarebbe accaduto?
No, non voleva svegliarsi, non voleva perderlo di nuovo.
Sollevò un poco il viso.
Si ritrovò la faccia a poca distanza, inginocchiato anch'egli.
Riconobbe lo sguardo, seppure una lunga cicatrice solcava il volto incidendo l'occhio sinistro.
Tentennò incerta.
Non sapeva s'era lui, così si sforzò d'allungare la mano al volto, così da toccarlo.
L'istinto dettò il gesto, perché era esattamente quel gesto che lei avrebbe voluto tornare a svolgere, semmai lui fosse esistito di nuovo, semmai il destino si fosse a tal punto fatto beffe di lei da consentirle d'impazzire e così, nella pazzia, toccarlo di nuovo.
Un istante…
Le dita sfiorarono la guancia destra mentre il vento scompigliava i capelli rivelando il volto severo, lo sguardo verde e freddo, a imprigionare e custodire chissà quale terrificante passato, chissà quale distanza scorsa tra loro.
Arretrò l'altro, indotto dal contrario istinto di sottrarsi, incapace di resistere al tocco lieve.
Si stupì Oscar, muta, ma poi no, André non s'era mai lasciato sfiorare.
O meglio, lei non l'aveva mai fatto in quel modo, nell'accezione stupita e docile, e se era vero tutto ciò che lei aveva scoperto e appreso fino a quel momento, allora…
Lui non le avrebbe mai permesso d'avvicinarsi.
"Sei…" – chiese lei, il corpo di nuovo solo, le mani appoggiate a terra, in ginocchio nella neve – "Tu…".
Silenzio…
L'altro si rialzò, un respiro fondo.
Le aveva concesso un sorriso, ora lo sguardo era come oscurato.
"E' meglio se rientri…il gelo non ti fa bene".
Poche parole, calde ma gelide al tempo stesso, parole di cura e d'insensibile distanza, come se lui non l'avesse riconosciuta, come se lui non fosse più lo stesso.
Ma entrambi sapevano bene chi erano e chi erano stati nel passato.
"André…sei tu?" – incredula di tale astiosa freddezza, come se l'altro non fosse lui oppure lo fosse ma non volesse ammetterlo. Come se loro non fossero più quelli di un tempo e dunque nessuna dolcezza, nessun rispetto, nessuna commozione spettasse al magnifico momento di ritrovati sensi ed esistenze.
No, André fece un passo indietro, come per andarsene, come a mettere distanza tra sé e lei, come a rimarcare che lui non era chi lei pensava che fosse.
Grazie a quel passo, Oscar ebbe finalmente contezza dell'effige, riconoscendo il corpo, le spalle, il viso, il collo…
I capelli erano oltremodo lunghi, ben oltre le spalle…
La stizzita chiosa sul vezzo che l'altro s'era concesso dal giorno della partenza riemerse, seguita, come una sorta d'onda gigantesca che si carica lentamente per innalzarsi e poi schiantarsi sulla rena, dalla vastità d'inezie, particolari idioti, verità negate, conferme, dubbi, smentite, accumulate nei lunghi mesi di separazione.
Oscar strinse i pugni, stringendo tra le dita la neve fredda che prese a sciogliersi comunicando gelo agli arti.
Vide la mano allungarsi e tendersi per aiutarla a rialzarsi, che lei allora comprese e avvicinò finalmente la mano ritrovandola chiusa e stretta. Lo riconobbe, rialzandosi, il contatto rimase fermo, lei non sciolse la stretta e nemmeno lui.
Non v'era più nessuna forzatura com'era accaduto nella sfida sulle dannate briglie di cuoio troppo coriaceo, seppure gli sguardi parevano imbastire lo stesso sottile disprezzo ch'era scorso allora, sfogato nella chiosa sulla cura al dannato cavallo!
"Devo andare…" – laconico, allentando la presa.
Le mani ridiscesero ai fianchi e lei si ritrovò in piedi, in bilico, senza neppure l'aiuto del bastone caduto a terra.
Istintiva scorse la richiesta, nemmeno s'accorse d'aver meditato un istante a pensarla.
Erano trascorsi quasi tre anni da che s'erano perduti di vista, giorni e giorni rotolati uno sull'altro, scuri, vuoti, silenziosi.
Questo era chiaro per lei ma lui…
Come li avesse vissuti André e che gli fosse accaduto e perché si dimostrava freddo, come non l'avesse riconosciuta o peggio, come se davvero l'avesse riconosciuta ma proprio per questo avesse in animo di restarle distante, punirla, rinfacciarle d'averlo obbligato a fuggire, per via d'un amore inconfessabile, d'un destino infernale che gli era rovinato addosso…
Perché amare non significa sacrificarsi…
Amare significa imporre un sacrificio all'altro…
Avrebbe voluto abbracciarlo, ascoltarlo addosso, come lui fosse una sorta di antro roccioso capace di accoglierla e ripararla, lei viandante smarrito nella tempesta ch'era imperversata durante i lunghi mesi, nell'agitato mare del proprio smisurato ego.
E al tempo stesso no, avrebbe voluto disfarsi di lui, ricacciarlo indietro nel dannato sogno, perché lui adesso pareva divenuto nemico, il peggiore, da che un tempo erano stati amici, l'unico capace del potere di scompaginare le carte e d'imporle di scegliere.
"Resta…" – d'istinto, nulla di stabilito, nemmeno replicare alla stessa richiesta già respinta una volta.
Un sorriso un po' cinico sferzò lo sguardo dell'altro, come se anche André avesse rammentato le analoghe parole, senza speranza.
Il motivo era evidente, nulla era accaduto da allora e i mesi trascorsi lontani non avevano scalfitto il destino.
La spiegazione s'accompagnò fredda e concreta, nessuno spiraglio di resa.
L'indice corse all'orizzonte carico di nuvole bluastre e bianche – "Nevicherà di nuovo e più a lungo. E' necessario raccogliere altre provviste…".
"André…che ti è accaduto?" – mormorato, senza rabbia, lacrime trattenute, come non avesse neppure ascoltato la spiegazione dell'altro, che quando lei si metteva in testa una cosa non c'era verso d'ammansirla – "Credevo fossi…".
"Morto!?" – tagliò cinico lui, tirandosi su il cappuccio del mantello – "Ebbene…in un certo senso può dirsi vero…".
"André…".
Oscar François de Jarjayes non aveva mai supplicato nessuno.
Sferzò dunque il gelido atteggiamento, quasi che l'altro fosse infastidito nell'averla lì.
Forse davvero era così, forse davvero lui era fuggito da lei e ora, averla di nuovo intorno, era come sale s'una ferita ancora aperta.
Ma la chiosa sulla morte era davvero inaccettabile. Lui era lì…
"Rientra!" – l'ordine sibilato, un fischio, il piccolo falco ricomparve sfrecciando veloce a planare sul braccio alzato "Non siamo in Francia e qui per mangiare è necessario cacciare…".
No, Oscar s'avvicinò, le lacrime agli occhi, l'osservò in viso…
Poi guardò il falco…
"Mi aiuterà lei…" – ammise André – "Vero!?".
La bestiola richiuse le ali, stirando le penne, le pupille piene a riflettere il biancore gelato.
"Lei?" – instupidita, la smania crescente, che lei voleva tenerlo lì, come si vorrebbe restare avvolti dall'incoscienza placida del sonno.
"Come…" – balbettò bassa, che temeva fosse un sogno, che lui sarebbe scomparso di nuovo, inghiottito dalla coltre bianca di neve e rocce aguzze, dalla propria mente addormentata che, prima o poi, si sarebbe risollevata dal sogno, per ritrovarsi nuovamente in solitudine – "Si chiama?".
E poi…
S'era davvero lui…
Perché rivelarsi?
Perché ammettere ch'era vivo, se fino ad allora era letteralmente scomparso dalla faccia della terra!?
"Pur…" – rispose André tornando a guardarla.
"Pur…" – ripeté Oscar un poco sorpresa, rapita dal nomignolo lieve e splendente, domandando muta la genesi della scelta, implicitamente ammessa dallo sguardo di André ridivenuto improvvisamente amichevole, che però non era certo che il tepore d'affetto fosse rivolto a lei piuttosto che alla bestiaccia pennuta - "Che nome…buffo…".
"Trovi? Sì…forse".
Il nomignolo, più che uno scherzo sillabico, rimase ancora qualche istante a galleggiare nell'aria fredda e pungente.
La bestiola s'era ammutolita, aveva avuto potere di rubare la scena, forse per un solo istante.
"Dimmi che cosa è accaduto!? Non credi che meriti una risposta?" – disse piano – "Credevo fossi morto!? L'ho creduto per tutto questo tempo".
"Te l'ho detto!" – la replica sferzò, che stavolta il falco spiegò le ali, forse impaurito dal timbro nemico, e spiccò il volo, andando a sfiorare rami bassi piegati dal carico nevoso – "E' così!".
L'aridità delle parole, la spiegazione pressoché nulla, sollevarono rabbia.
Come poteva l'uomo che si trovava di fronte essere lo stesso d'un tempo, amichevole, silenzioso, generoso di gesti e pensieri?!
Sorse la rabbia contro la resistenza dell'altro, contro l'ammissione che l'altro non avesse coscienza del dolore che aveva accompagnato i giorni e le notti e i mesi e gli anni, e ciascun istante piegato al nero immobile della solitudine.
Ch'era apparsa tale solo dopo, ma ch'era sempre stata nera.
"André!" – che stavolta fu lei ad alzare la voce, non ammetteva metafore sulla vita o sulla morte, com'era sempre stato nella sua esistenza e quando chiedeva spiegazioni era ciò che voleva.
Una spiegazione!
Stavolta davvero la rabbia punse innervandosi sin sulla punta delle dita che si sollevarono repentine per abbattersi sul volto dell'altro, a trattenere o forse scheggiare la guancia destra.
Rabbia mista a dolore…
Incredulità mista paura…
Se lo ritrovava davanti, così, come se nulla fosse mai accaduto, e lui si permetteva di ordinarle di mettere a tacere tutto ciò che aveva vissuto.
Impossibile!
La mano arrivò vicina, il polso afferrato e chiuso e stretto, che lui la prevenne, dunque senza ammettere di voler conoscere l'esito del gesto, un tocco tiepido o un ceffone, i respiri inanellati, il calore della rabbia sulla pelle.
Nel silenzio, lo scarto della mano afferrata e trattenuta provocò un muto sussulto d'aria.
André lasciò la mano, fece un passo indietro per mantenere l'equilibrio, che la forza impressa, seppur non andata a segno, aveva disorientato.
Dannazione, lei non era mai cambiata, non aveva cuore e nemmeno pietà…
Era morto.
Era morto tante volte.
Era divenuto come sabbia sbattuta dal vento, dispersa ai quattro angoli della Terra.
E nemmeno della pietà avrebbe saputo che farsene.
La pietà non tiene le fila della vita degli uomini!
"Non ti smentisci mai!" – sferzò severo sfoderando un sorrisetto di compiacimento, immaginandosi la stizza dell'altra per il mancato ceffone – "Ma vedo che almeno la forza nelle mani non ti manca!".
"Che diavolo…".
"Non sforzarti! E nemmeno ti consiglio di prendere a schiaffi la gente per qualche tempo!".
Come faceva a saperlo…
La voragine temporale s'aprì. Si ritrovò disarmata di fronte all'altro che pareva sapere tutto, ma nemmeno intendeva spiegare ciò ch'era accaduto.
Un altro passo indietro - "Rientra dannazione!" – sputò cinico – "Tornerò!".
Oscar fece un passo per seguirlo. La misera concessione era insufficiente.
Come rimediare alla disperazione degli anni trascorsi a mezzo d'un banale tornerò!?
Il falco sbucò tra le fronde, schizzando davanti alla faccia, impedendo il passo successivo.
Fino ad allora era stato compagno silenzioso e fedele del cammino, ora pareva schierarsi contro di lei, mentre l'altro scompariva nella coltre di neve, mentre la nebbia scivolava veloce e compatta ad ingoiare il paesaggio.
Il vapore prese a gelare ammantando la figura della superstite che si ritrovò sola, impietrita, gelata, instupidita.
Nemmeno sapeva se ciò che aveva vissuto era reale o solo un sogno beffardo.
Così la mano sinistra corse a massaggiarsi il polso della mano destra, ch'era caldo, dunque il contatto s'era impresso su di esso, dunque lei non aveva sognato.
Sei viva!
E anche lui!
§§§
Attese…
O meglio, tentò di farlo!
Rannicchiata in un angolo del tugurio, attese che l'altro tornasse, impietrita dalla visione, incredula della freddezza, lo scarto temporale scolpito nella mente eppure annichilito e distrutto in un istante.
Raggomitolata entro se stessa, tentava di tenere stretti i ricordi che però parevano davvero fluttuare e scorrere nella mente a una velocità inimmaginabile.
Ai ricordi, alle immagini, si sommavano i dubbi, le congetture, le parole di tutti quelli che lei aveva incontrato.
Tutto ordinato e compatto, a osservare la scena da lontano.
Tutto frammentario e disgregato ad avvicinarsi…
Come mille granelli di sabbia che non si posso stringere tra le mani, non tutti, non contemporaneamente, e che da una parte e dall'altra sfuggono, sgusciando via, beffando l'onnipotenza di chi crede d'averli in pugno.
Ogni granello era diverso dall'altro…
Così come ogni pensiero era scostato dal precedente e poi dal successivo.
Chi era André?
Chi era stato sino ad allora?
Chi era diventato?
André che parla di amanti e scompare di notte…
André che compone gesti d'amore e ama una donna per ogni giorno…
André che ricerca il buio e l'amplesso in ogni luogo…
André che tradisce il patto di amicizia e di affetto….
André che invece ama una sola donna…
André che forse ha amato lei…
André che scompare e muore…
Sei viva!
E anche lui!
Non ci fu scampo al sonno, di nuovo, perché la spalla doleva e i piedi avevano accusato raggelati crampi.
Ascoltò muta, distesa a terra, il richiamo di rapaci notturni, segno ch'era notte, come era accaduto nelle notti precedenti, ogni volta che s'ea svegliata, sola, mentre la neve scendeva calma ad annidarsi nelle pieghe del sonno.
Ascoltò muta, distesa a terra, il richiamo di un'altra bestiola, forse un'allodola che annunciava l'alba.
Non aveva più forze.
Voleva vederlo. Così come doveva respirare e muoversi per sopravvivere.
Non poteva essere apparso in sogno, non poteva il destino esser stato così beffardo d'averla tradita un'altra volta.
Dormiva…
E nel sonno udì rimestare di stoffe e teli, il cauto schiocco di ceppi di legno avvinghiati al fuoco, il soffio fresco dell'aria innevata che penetrava caparbia nell'antro ormai freddo.
Lo scorse alla fine, schiudendo gli occhi, senza nemmeno sapere quanto tempo era trascorso.
Fu lui questa volta a parlare mentre lei si alzava, gli occhi stretti, la bocca asciutta, senza forze…
"Il fuoco si stava spegnendo…non te n'eri accorta?".
"Dove sei stato?".
L'altro prese a pungolare i ceppi piccoli così che le fiamme attecchissero.
"A caccia!".
"André!" – che non era quel che intendeva lei.
Muta, attese che l'altro parlasse e spiegasse.
Che quello non era un sogno, ma tutto ciò ch'era accaduto era realtà ammorbata dal dolore.
L'altro taceva però, impegnato…
"Bene! Non ho che da ringraziarti dunque!" – sferzò Oscar rabbrividendo – "Era da tempo che qualcuno non mi faceva sentire così inetta e inutile! Da quando sei divenuto padrone del mio destino al punto che senza di te rischierei di morire di fame!? Lo sai che non ho mai avuto in animo d'affidare a nessuno la via esistenza!?".
"Lo so! Sapresti sopravvivere benissimo da sola!".
Mettiamola così…
Se non è un mio dovere preservare la tua vita…vorrà dire che lo farò per il tuo cavallo.
Spero che almeno la bestia apprezzerà e non avrà di che risentirsene!
La vecchia chiosa punse di nuovo, come se davvero nessun tempo, neppure un istante, fosse trascorso da allora.
"Era necessario…" – concluse André laconico – "E tu non sei ancora in grado di uscire…".
Questa volta Oscar tenne a bada la stizza e si sorprese invece, la bocca pronunciava il nome dell'altro, di nuovo, seppur rimproverato, com'era accaduto ancora, nel passato, ma il cuore, per quanto affranto di rabbia, batteva d'una sorta di gioia sorda, mentre gli occhi osservavano la schiena dell'altro immobile e le braccia muoversi invece, a poggiare un paiolo s'una specie d'improvvisato spiedo, e le mani adagiarci dentro un cumulo di neve fresca, sciolta in pochi istanti a sprigionare vapore chiaro e fumoso.
I gesti proseguirono lenti e sicuri, come se lui fosse solo, come se lei non fosse stata lì, dietro a lui, vicinissima, come era accaduto un tempo o forse come non era accaduto mai.
Sempre vicini, eternamente distanti…
Corde d'uno stesso strumento che possono accostarsi ma mai distogliersi dal loro proprio suono, dall'accordo che compete la nota, che può solo abbinarsi a quello dell'altra corda ma mai sovrapporsi ad esso.
Solo così, nell'eterna distanza, nell'eterna tensione che avvicina senza toccarsi, si genera la melodia più pura, quella ancestrale e perfetta.
Non resse il silenzio.
Non resse le spalle…
S'avvicinò, la mano appoggiata alla schiena dell'altro come a interrompere la sequenza banale dei movimenti, come a chiedergli di voltarsi, abbassare la guardia, sfidarla di nuovo a scompaginare le carte.
André si fermò questa volta, il corpo trafitto dal contatto implose in una posa rassegnata.
Non poteva fuggire da lei.
Nessun posto sarebbe mai stato troppo distante, che lei era dentro, fin nel profondo della carne e poi giù nel vuoto nero dell'anima bianca, e dunque solo se avesse posto fine alla propria vita, lui si sarebbe liberato dell' oscuro strazio d0amarla.
Allontanarla, allontanandosi.
Non era accaduto, non c'era riuscito.
Lei faceva male, ma era bella…
Si voltò André.
Oscar lo vide finalmente, il volto appena rischiarato dal chiarore del fuoco, i capelli un poco arruffati a coprire l'impietosa incisione che deturpava il volto bello.
André era fermo adesso, a osservare lei, come era accaduto raramente.
Non resse il silenzio, che fu lei a colmarlo, allungando la mano, appoggiandola alla guancia destra, un istante a contemplare il contatto, a scovare nell'espressione dell'altro un antico sussulto.
Ma nulla di ciò che stava accadendo era mai occorso tra loro, dunque mai nessun accenno avrebbe scovato nel volto dell'altro, nulla del non detto e del non accaduto.
"Perdonami…" – un sussurro a smorzare la tensione, a mutare passo, che lui davvero sussultò all'ammissione d'una colpa che però non sapeva se fosse recente, forse per via ceffone che aveva tentato di rifilargli quando s'erano incontrati, oppure antica, per via della fuga che entrambi avevano ormai ben chiara e definitiva e di cui forse lei stessa aveva intuito la ragione.
No…
Sarebbe stato un passo troppo fondo…
Troppo ardito immaginarsi di nuovo nelle sue mani…
"Ma tu…" – Oscar fissò lo sguardo dell'altro, che gli occhi si spalancarono atterriti alla visione della pupilla mobile sì, seppur ferma, come s'essa non mettesse a fuoco nulla.
Lo stupore saliva, misto al terrore e allo sdegno, a incorniciare un'esistenza, la propria, ormai marcia e perduta per sempre.
André non era morto. Lei non aveva dunque colpa di ciò che non era accaduto.
Ma André era lì…
"Tu non ci vedi…" – sussurrò quasi terrorizzata, sperando d'essere smentita.
André tentò di ritrarsi e scansare la mano.
Non era morto, eppure per un uomo come lui, vivere senza la vista da un occhio era forse agonia ancora peggiore.
Che avrebbe mai potuto combinare nella vita, chi avrebbe avuto il coraggio d'accettare una simile disgrazia?
E se lei avesse intuito la ragione per cui lui aveva lasciato la Francia, non avrebbe esitato a ritenersi responsabile di ciò ch'era accaduto!?
Non voleva pietà, non voleva compassione.
Sarebbe stato terribile se lei si fosse fatta impietosire dal destino atroce…
Ancora di più ch'essere non amati.
Oscar lo seguì, mantenendo la mano lì sulla faccia, spinta dalla terribile visione, disperatamente intenzionata a godere dell'appoggio dei sensi, a bearsi del sangue che tornava a fluire.
"Che ti è accaduto?" – chiese di nuovo.
"Purtroppo…questa è una guerra…".
"Mi hanno raccontato…mi hanno detto che non hai combattuto…".
Punse la chiosa, ch'era contestazione, ch'era domanda, perché nella testa si susseguivano i brandelli di ciò che lei aveva appreso ma nulla di certo.
Solo André sapeva la verità…
"Sai già tutto…" – sarcastico – "Non serve impreziosire ciò che sai con altro di inutile!".
"Non so nulla. Vorrei fossi tu a dirmi che cosa è accaduto. Il tuo nome era sulla lista dei caduti. Quando l'ho letto…è stato orribile…e poi sono venuta sin qui! Questa ferita…il carico che ti avevano affidato è stato attaccato. Mi hanno detto…ch'eri morto!?".
Sorsero le lacrime, come se lui non fosse lì, come se lui fosse ancora disperso nell'atroce nebbia della certezza della morte.
"Perché sei venuta fino in America!?" – domandò lui, feroce, come non riuscisse più a scorgere il volto di lei.
"La regina…" – mentiva Oscar, incapace d'ammettere la verità – "Me lo ha chiesto…".
"Per via del conte!? Eri preoccupata per lui?" – domande ch'erano accuse.
Sorse il nome, l'impatto disorientò solo un istante, ma tutte le congetture apprese, le parole, le accuse, non valevano la stizza di sapere - "Sua Maestà lo era!".
"Non ti ho chiesto se Sua Maestà era preoccupata…ti ho chiesto se lo eri tu!?".
Lo strano rimbalzo di silenziose accuse disorientava e al tempo stesso era come cielo che appariva all'orizzonte allo schiudersi del temporale.
Oscar affondò - "Lo ero anche per te! Come puoi pensare non lo sarei stata!?".
"Per te è sempre tutto certo e scontato. Non ho mai pensato che ti saresti preoccupata per me. Non avresti dovuto. E comunque…perché arrivare sin qui!? Sapevo che il conte era a Fort Awegen ma tu sei giunta sino a Northampton!?".
L'alito di vento aveva preso a sollevare granelli di sabbia. Dapprima piano, uno per volta, come a giocarci, senza fretta, così, per prender tempo, e perder tempo.
Uno, due, tre…
Quattro…
Cinque…
Poi dieci e poi cento e poi mille…
Oscar lo fissò incapace di rispondergli, come a domandargli come potesse essere così distante e feroce, al punto da non sapere nulla di lei, né del dolore provato.
Di nuovo tentò di mutare pensiero.
Forse André aveva ragione.
Perché avrebbe dovuto immaginarselo!?
Quale ragione avrebbe mai deposto per un legame tra di loro che non fosse il sincero ma modesto affetto che unisce due persone che si conoscono da tanti anni!?
Avrebbe mai potuto un simile legame generare la nefasta e diabolica dissoluzione dell'animo che l'aveva colta dal momento in cui aveva appreso che il nome di André era sul registro dei caduti in terra d'America!?
"Volevo vedere, comprendere cosa fosse accaduto…" – rispose amara, senza coraggio, che alla fine nemmeno lei sapeva perch'era giunta sin lì.
"Chi ti ha raccontato ciò che sai era nel giusto…" – chiosò André per sollevare entrambi dall'imbarazzo – "Te l'ho detto…".
Si scansò questa volta, ch'evidentemente l'affermazione era troppo feroce per esser spesa con la faccia appoggiata alla mano di lei. Porre maggior distanza avrebbe reso più leggero il racconto.
Oscar si ritrovò sola, la mano ricadde giù mentre la rabbia saliva.
"Perdonami!" – sibilò fonda.
"Ormai è una vecchia ferita…" – come a dire che il colpo che non era andato a segno non aveva fatto danni, se non all'orgoglio sferzato dal tempo ormai scorso e perduto.
Anche se di fatto André rivelava un avvenimento, un luogo nel tempo ch'era rimasto inciso sul volto e forse sull'anima.
Oscar l'intuì.
O meglio intuì dolore, quasi l'ascoltò nel distrarsi dell'altro, nel sottrarsi a lei, che però lei non sopportava d'esser messa da parte, d'esser tenuta lontano.
Era accaduto spesso nel passato ma lei ne era divenuta consapevole soltanto quando non era stato più possibile essergli lontano, perché lui c'era finito davvero troppo lontano.
"Non vuoi raccontare nulla?!".
"Non c'è nulla da raccontare!" – concluse André tornando ad affaccendarsi a scartare carne secca e un paio di uova. Come non fosse mai accaduto nulla, come se tutto fosse rimasto come un tempo.
Le uova, ancora col guscio, gettate con rabbia, s'incrinarono ma erano già cotte e dunque nessun danno neppure lì.
La scoperta quasi ridicola condusse a domandarsi dove fosse stato lui, dove si fosse rifugiato per sopravvivere, cosa era accaduto alla vita che s'era incrinata sì, proprio come quel guscio d'uovo che pure era ancora integro e utile.
Il tempo trascorso s'era inciso sul viso, trama macabra a recidere il presente dal passato, cicatrice rozza a oscurare il volto d'un tempo che restava bello seppur deturpato.
Il non detto ruba la scena alla tragedia come alla farsa!
Si fece avanti Oscar, a sfidare il silenzio, a esigere il prezioso racconto.
Assurdo e senza senso che l'altro non volesse dire nulla, come se lui non la conoscesse più.
Che lei era di poche parole ma quelle poche erano sacrosante.
"Stai lontana!" – secco, rovente, feroce, gl'intenti gelati, l'affondo piombò sullo scontro, innalzandolo.
"E allora…perché sei qui!? Eri tu…l'altra notte eri tu…l'ho capito!" – biasimò lei per colpire, ferire, sollevare rabbia – "Se tutto ciò che è accaduto non conta nulla…se tutti i mesi trascorsi a crederti morto è come non fossero mai trascorsi…perché sei qui!? Perché sei tornato in vita!? Perché saresti tornato…".
"Avevi bisogno di cure…eri ferita!".
Il colmo…
Oscar lo raggiunse…
"Guardami!" – un ordine e al tempo stesso una supplica…
L'altro non rispose, inutile replicare la richiesta di restare lontana, l'odio disfaceva la volontà, istante dopo istante, proprio come la neve messa a bollire nel paiolo.
C'era stato un tempo in cui aveva provato a odiarla.
Per non amarla più.
Ma non c'era stato nulla da fare.
Più aveva tentato d'odiare e più quell'amore era divenuto spesso e forte e possente e straziante, una sorta di corazza di cui s'era ritrovato prigioniero.
Non aveva scampo da lei e lei adesso era lì, davanti a sé, a rinfacciargli d'averla odiata.
"Ho detto guardami! O non hai il coraggio di fare nemmeno quello!? Mi sono ammalata ancora nella mia vita e tu non sei certo venuto a…a…" - pungeva il dannato ricordo ma questa volta Oscar volle osare e sfidarlo, anche perché ora lei sapeva e voleva che anche lui ne fosse consapevole - "Non sei mai venuto ad abbracciarmi! Com'è accaduto l'altra notte! E perché, s'eri scomparso, adesso ti saresti fatto vedere da me!? Solo per via della ferita? Avresti potuto restare nell'ombra, restare nel tuo…".
"Inferno!?" – sputò lui mentre la rabbia straziava l'unico occhio rimasto sano.
Dannazione…
Che ne sapeva lei dell'Inferno!?
Che ne sapeva dov'era stato trascinato e chi ce l'aveva trascinato!? E soprattutto perché?
Se lei avesse compreso…
Perché trascinarci anche lei in quell'Inferno!?
"Chiamalo come vuoi! Anch'io ero lì, nel tuo stesso Inferno…".
"Sei la solita arrogante!" – sorrise André cinico – "Credi di sapere sempre tutto!".
Nessun'altra parola…
André s'avvicinò, prese le spalle, le strinse un poco. Così come lei non aveva avuto pietà dell'occhio ormai cieco, così lui non l'avrebbe avuta della spalla ancora dolente.
Che le fece male…
Una smorfia!
"Ciò che sai…ciò che ti è stato narrato…ti farai bastare quello! Hai ragione…non dovevo tornare…".
"André aspetta…" – le mani corsero alla faccia, intreccio di braccia, dolore sordo che dilaniava la spalla, gli prese il viso per averlo davanti a sé e impedirgli di sfuggirle - "Che ti è accaduto!? Dove sei stato!? A Brest…ho compreso ciò che davvero è accaduto a Brest…".
Noi…noi ci stiamo!
Se il qui presente signor damerino intende onorare i soldati francesi…noi saremo onorati d'accontentarlo!
Come preferisce poi…da soli o assieme…a noi va bene tutto!
Starà a lui reggere il passo!
Il dannato incubo…
"E poi…dopo…a Ponta Delgada…ti prego…".
Quasi due anni e mezzo…fa…quel giorno…tutto il paese accorse…
Io stavo qui, a terminare di registrare le missive da spedire…vidi passare molte persone che correvano su…e soldati e…cercavano una persona…quel giovane…sembrava sparito…ma poi, il giorno dopo…
Oscar…
Unico volto, unico pensiero…
Tienimi…
Nascondimi…
Aiutami…
Un altro colpo, un altro ancora…
I capelli tenuti stretti…
Freddo…
Addosso…
E poi silenzio…
La corda al collo leggermente allentata…
Nessun pensiero, nel pertugio il respiro riprese ad inondare d'aria i polmoni…
Avrebbe respirato più in fretta e a fondo ma tutto doleva e pulsava.
Forse gli avevano rotto una costola…
Forse…
Ti sei divertito con quel damerino…a Brest?!
"Non…" – furioso, le mani scivolarono giù e corsero dietro alla schiena, senza abbracciarla bensì a stringerla, che lei non riuscì più a comprendere.
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
Ora lei ce l'aveva addosso. Come aveva desiderato.
Solo, non sapeva più chi fosse lui…
Sì…adesso comprendo perché quello se n'è rimasto zitto e non ha aperto bocca! Le cose s'aggiustano e vengono al punto. Non s'è ribellato…aveva paura…che idiota! Aveva paura per voi! E aveva proprio ragione!
André l'abbracciò, il corpo a contenere quello di lei, stringendo piano questa volta, misurando la forza per non incutere altro dolore alla spalla, perché lei smettesse di parlare e cessasse di chiedere conto di ciò che era accaduto e soprattutto perché.
Il tempo era trascorso e il tempo aveva, chissà come e quando, consentito loro d'imprimersi l'uno nel corpo dell'altra.
E adesso lui era pervaso dalla sublime della vicinanza e dal terrore che l'altra sapesse, chi era davvero lui, chi era stato.
L'abbracciò dunque, come a stringere i mille granelli di sabbia brillanti e sfuggenti di cui lei era fatta, perché anche lei in fondo era sabbia, che l'amore è sabbia, ogni respiro diverso dall'altro, ogni granello disperso e luminoso…
La strinse per tenerla a sé, per guadagnarne il possesso, sapendo bene ch'essi mai si sarebbero lasciati domare e ammaestrare a restare immobili nel palmo della mano.
Strinse di più e poi la spinse ancora che lei cadde giù, all'indietro, aggrappandosi a lui per non colpire la terra troppo a fondo.
André si sollevò un poco, per non pesarle addosso, in bilico di fronte all'effige dell'altra, stremata, in balia della rabbia, in combattimento contro di lui.
Era ciò che voleva in fondo, piegarla al proprio folle desiderio, ed era ciò che aveva sempre temuto, impaurirla, perché quel desiderio era solo suo ed era immondo...
Quando la coscienza ammette l'incapacità di ottenere ciò che sfugge, o si arrende, oppure si oppone e lotta. Ma non si può lottare contro l'altro.
Opporsi a lei…
Sarebbe stato come voler stringere la sabbia sul fondo dell'oceano…
"Hai paura di me!?" – gridò rabbioso, davvero per incutere terrore…
"Lasciami!" – che però Oscar era incredula, incapace di ribellarsi, impietrita dalla reazione - "No…non ho paura di te!"
"Non sai nulla di me! Non hai mai saputo nulla!".
"Invece…si! So perché hai lasciato la Francia!".
Lo sguardo s'aprì colto dalla disperazione mista allo stupore…
Che lei sapesse tutto…
Tentò d'arretrare ma fu lei a tenerlo lì, afferrando le braccia…
"Hai lasciato la Francia per colpa di una donna! Tu stesso me l'hai confessato! E mi hai anche detto che se fosse stata lei a chiederti di restare…tu l'avresti fatto!".
"Stai vaneggiando!" – tentò d'abbozzare lui per fermarla.
Oscar François de Jarjayes parlava d'un passato ormai perduto, sentimenti naufragati nel mare nero della disperazione. Se fossero riemersi, tutto sarebbe crollato, perché affrontarli di nuovo, nell'oscura visione della propria solitudine, sarebbe stato impossibile.
Non voleva essere amato perch'era fuggito…
Non voleva essere amato perch'era rimasto cieco da un occhio…
Non voleva essere amato per pietà o per obbligo.
Sarebbe stata la fine di Oscar François de Jarjayes.
Lei non meritava quel dannato amore…solo un bieco sacrificio rovesciato addosso.
"Ebbene ti chiedo di restare!" – gridò lei, per provocarlo, sbattergli in faccia la disastrosa fuga che aveva interrotto una storia d'amore e d'amicizia. Che lui lo sapesse finalmente – "Io…".
"Sei una stupida! Non ti arrendi mai vero!? Tu non sai chi sono io! Non sai nulla!".
"Che vorresti dire André? Allora dimmelo tu ciò che non so!"
"No…non ha più importanza…sei arrogante…qui non siamo in Francia…non sono più il servo della tua famiglia!".
"Ed io non sono mai stata la tua padrona!" – soffiò lei in preda alla rabbia.
L'altro non rispose…
La testa stretta tra le mani. Strinse di più, avvicinando la bocca…
La fissò feroce e inebriato…
"Vuoi davvero sapere chi sei!?" – glielo chiese, come a chiedere un sordo consenso, vigliacco e incapace di rivelare chi lei fosse davvero. Meglio mentire allora, perché la loro storia non esisteva ancora e nessuno aveva certezza sarebbe mai esistita.
"Ebbene…si…non sei più la mia padrona! Sei una donna qualunque…una persona qualunque! E non hai il diritto di sapere di me ciò che vuoi!".
Che lui parlava e la guardava…
E lei ascoltava e lo guardava…
Si scansò per arretrare, rimase seduto a terra, mentre dal paiolo il vapore saliva inondando l'antro scuro.
Gesti calmi ma severi…
André estrasse da una specie di borsa una manciata di erbe. Le gettò nel paiolo e quelle a poco a poco annegarono nell'acqua bollente, evaporando sentori intensi, acuti e freddi.
La battaglia si concludeva quasi farsescamente con la preparazione d'un decotto!
"Esci!" – sibilò dandole le spalle.
"Non puoi darmi ordini! Non sei più il mio servo…io non sono la tua padrona. Ebbene dal momento che entrambi siamo persone libere…non vedo perchè dovresti darmi ordini?!" – digrignò insoddisfatta dall'esito dello scontro.
Era difficile combattere contro chi non vuole farlo.
"Di grazia…" – masticò André addolcendo la voce, trattenendo nell'intonazione un'antica melodia d'amicizia – "C'è poco tempo…tra poco comincerà a nevicare…la ferita va lavata e medicata…qui usa così…".
"Sei stato tu a togliere la scheggia!?".
Annuì André, senza fiatare.
"Grazie…non ricordo molto…".
"Meglio così…ancora qualche giorno e quella lama avrebbe reciso i muscoli. E poi continuavi a delirare…volevi fuggire…tornare da…".
Di nuovo le spalle si curvarono, come per inghiottire il fiele, che non facesse troppo male. Ma era inutile far finta di nulla.
"Dal conte…" – come distrutto dalla divisione delle esistenze, ma in fondo André non aveva altra scelta che biasimare se stesso, lui aveva lasciato la Francia, lui l'aveva lasciata sola e l'altra aveva coltivato se stessa nella visione che le competeva – "Hai pronunciato il suo nome…".
"Fersen!" – scandì Oscar, ammaestrando le parole, trattenendo i pensieri dettati dai beceri dialoghi, stupita che la coscienza febbricitante si fosse affidata proprio all'ufficiale, come in preda all'incosciente ricerca d'una straziante verità – "E' stato il conte a raccontarmi della tua morte. Ma prima, come ho già detto, ho saputo di Ponta Delgada…".
Sussultò il corpo dell'altro che si voltò, il volto scuro, quasi feroce - "Per favore…esci…va a medicare la ferita…".
Oscar si rassegnò, ammise che adesso aveva paura. I brandelli appresi dai due soldati che poi erano morti riportavano uno scenario infernale. Quanto davvero fosse accaduto solo André avrebbe potuto rivelarlo.
Un respiro…
Oscar raccolse il paiolo d'acqua calda, barcollò tentando d'alzarsi, stranita dalla vicinanza dell'altro, distrutta dalla visione di un uomo che non era più quello di un tempo, ammesso lei avesse mai saputo chi era stato davvero André.
L'altro resse il braccio – "Ti aiuto".
Caparbia Oscar tentò di staccarsi, che stavolta fu lei a sferzare lo sguardo, inferocita dall'insolenza.
"Fuori è molto freddo…faremo in fretta…".
Era freddo sì, l'operazione andava fatta senza raggelare il prezioso antro scuro e doveva esser fatta parimenti distante, così che animali selvatici non avessero annusato odore di sangue e presenza umana.
Uno scarto di fieno secco gettato a terra indusse a rattrappirsi, accovacciata.
André scostò piano la camicia lurida, prendendo a tagliare la fasciatura così da evitare eccessivi movimenti.
Lei rimase lì, quasi nuda, le gambe cedettero, le ginocchia toccarono terra, il corpo ricurvo e distrutto.
Le spalle abbracciate, la testa reclinata…
"Allarga il braccio se puoi…" – chiese l'altro mentre ripuliva i contorni della ferita.
Oscar obbedì mentre lacrime di freddo prendevano ad annebbiare la vista, di contro alla sferzata tiepida del panno che massaggiava la schiena, lavandola morbidamente.
Il contrasto produsse brividi di febbre, gli occhi si volsero al cielo, come a scavare entro le striature rosse degli strani cerchi di nuvolaglia rosata, che si ripetevano a sostenere lo strato successivo liscio e azzurrato. E poi ancora più su, ove su un'altra lunga piega dorata s'adagiavano gli ultimi raggi di sole, come a ricamare merletti di acuta brillantezza.
Il freddo distrusse ogni velleità di conversazione. I pochi gesti indispensabili a rivestirsi furono eseguiti in fretta, lei muta a chiudersi addosso una qualsiasi stoffa che avesse permesso ai muscoli di ritornare agili e tiepidi.
André non tornò più a lei, se non per accertarsi che fosse ancora viva, seppur lo sguardo era assente, impietrito alle lingue del fuoco impegnate ora a scaldare la mistura bollente servita in una ciotola, con tanto di cucchiaio e bocconi di pane nero e asciutto.
A poco a poco la mente tornò a elaborare congetture.
Oscar aveva compreso che quel paese era vasto, le distanze a mala pena coperte da stazioni di posta o esili baracche di legno vuote, senz'altri orpelli che un tetto da mettere sulla testa e pareti a interrompere la furia del vento in tempesta.
Si chiese dove fosse stato l'altro. E dove sarebbe andato.
Un sussulto, che s'accorse che André aveva sistemato il fuoco, afferrato il mantello, come in procinto d' uscire.
"Che intenzioni hai!? Ormai è notte!".
"Non posso restare…".
"Che stai dicendo? L'altra notte…eri qui…eri tu…perché adesso non potresti restare!?".
"L'altra notte avevi la febbre…forse non lo rammenti…non sarebbe dignitoso per me restare…non simo servo e padrona ma tu sei…".
"Una donna!?" – sibilò Oscar sarcastica, tra il riso e il pietoso – "Mi pare ovvio…e questo non ti ha mai impedito di restarmi accanto…".
André pareva non udirla…
Le maniche del mantello già infilate, gli stivali aggiustati…
La donna che amo…
Ti chiedo di aver cura di lei…
L'hai veduta oggi?
Hai ascoltato il tepore della sua stanza ancora chiusa al mattino?
Silenziosa magnolia mescolata a Marsiglia…
Metallico acciaio intessuto di lino?
E l'hai scorta, alla sera, mentre, assorta, osserva le ortensie fiorite al di là delle finestre della grande sala?
I pensieri alla giornata scorsa, i dubbi d'aver composto al meglio i propri doveri e poi la scelta delle incombenze per la giornata che verrà?
E dunque alla fine è come se l'avessi portata con me in fondo, ogni giorno.
Mentre cammino, mi sovviene d'osservare il cielo, da lontano si odono le strida dei gabbiani, lo sciacquio del mare e tornando con lo sguardo avanti a me, è come se lei fosse lì, soltanto che io sono mezzo passo dietro a lei…
Mezzo passo dietro a lei…
Mezzo passo dietro a lei…
Mezzo passo dietro a lei…
"Anzi…mezzo passo…" – sussurrò piano Oscar avvicinandosi alla faccia – "Mezzo passo dietro a me!".
E poi ammetto che giorno dopo giorno la distanza imposta dalla mia scelta mi porta a pensare a lei, ad immaginarla, a correre ai suoi gesti che forse saranno sempre gli stessi.
Così testarda nella sua idea di mantenere il controllo su tutto…
E prevedere ogni mossa…
Ma al tempo stesso imprevedibile ed assolutamente straordinaria…
Ti parlerò di lei…
Ti racconterò di me…
Spesso osserva il cielo…
Forse per vedere se pioverà…
Ho sempre pensato invece che fosse perché lei vorrebbe essere altrove…
André mandò giù un respiro. Non s'immaginava che lei avrebbe saputo recitare quelle parole…
"Come…" – chiese senza respiro – "Come fai a conoscere…".
"Ho letto le lettere che hai scritto a tua nonna. Sono sincera, senza il suo consenso. Lei non mi ha più parlato di te. Forse era contrariata per la tua partenza, temeva per la tua sorte, ma non comprendevo la sua calma, la sua serenità. Così per non ferirla non lo ho mai chiesto altro. Ma sapevo di ciò che ti accadeva…dalle tue parole a lei. Come vedi non sono poi così integerrima…".
"Oscar…".
Il nome sussurrato come a chiedere di fermarsi, arrestare la rovinosa caduta nell'Inferno…
"Resta…" – sussurrò lei di nuovo avvicinandosi – "Dopo tanto tempo…".
Lo guardò questa volta e la rabbia parve come inghiottita dal sibilo del vento che mulinava neve fredda e bianca.
Fuori c'era il nulla mentre lì, nello spazio esiguo e silenzioso, parevano racchiuse le loro esistenze scandite dall'infinità del tempo.
Sorrise, il viso bello arreso alla furio sublime della vicinanza - "Come vedi…sono ancora qui a farti la stessa domanda…e non te ne farò altre…".
André si ritrovò annientato dalla richiesta, formulata in maniera così diversa.
O forse era il tempo ch'era trascorso, ad aver addolcito il timbro, come se in esso fosse racchiuso un certo tempo – un tempo mai vissuto, il loro tempo – e poi la separazione e poi la perdita, che loro si erano perduti ed erano rimasti soli.
André non aveva certezze. Non era importante, non era necessario.
Averla lì…
Un respiro fondo…
L'aria sobbalzò allo sbalzo del mantello che roteava per scivolare giù, toccando terra, riposto in un angolo.
Il cuore sussultò, Oscar si ritrasse raggomitolandosi, per consentire ad André di svestirsi nuovamente.
Le fiamme ondeggiarono che fu lei a spiccare altra legna così da consentire al fuoco di prendere foga e rischiarare l'antro scuro.
Che fu il calore a sprigionarsi…
Che furono gli occhi a guardarsi e poi a scansarsi, impietriti dalla vicinanza.
Impetuose mani invisibili battevano contro le tenere pareti della catapecchia, come mostri pronti a entrare.
Nessuno sapeva più nulla di loro…
Nessuno avrebbe potuto sapere nulla di loro chissà per quanto tempo.
"André…" – riprese lei mentre distesa osservava la schiena dell'altro, coricato rigorosamente distante.
"Hai detto che non avresti più fatto domande. E' meglio che tu dorma…domani sarà una giornata faticosa".
"Perché? Mi concederai almeno questa…".
"Lasceremo questo posto…non potremmo sopravvivere a lungo qui dentro…non c'è spazio…".
"Torneremo…a Northampton?".
Silenzio…
André comprese che lei era in attesa, anche se non faceva domande, attendeva risposte.
"No!".
"Dove siamo?".
"Niente domande!".
"Ma almeno…".
"Ho detto…".
Oscar allungò la mano, appoggiandola alla schiena. Il tocco si riverberò come fosse stato una frustata. André non si mosse ma lei lasciò la mano lì, aperta, distesa, com'era accaduto forse qualche giorno prima, dopo anni di lontananza.
"Vorrei…guardarti…".
"Si era detto niente domande!".
"Questa non è una domanda…è una richiesta….è diverso…".
"Sei testarda!".
"Lo so…altrimenti non sarei qui…".
Che il cuore implose, annichilito dalla richiesta, dalla resa, dal desiderio di riporre le armi, cessare la battaglia.
Non contro di lei ma contro se stesso.
Uno scarto del corpo, André si voltò sul fianco che le avrebbe consentito di osservarla.
Oscar sollevò la mano e questa volta l'adagiò sul viso.
Distendi la tua mano…
E' sospesa e aspetta…
Aspetta che lui l'afferri ancora.
Un'altra volta ancora…
Ti prego André…
Afferra la mia mano e tienila stretta…
Che io possa ancora sentire dentro di me almeno la speranza di poterti toccare…
Ancora una volta.
Per avere tutte le carezze che il tempo ci ha rubato…
Per avere tutti i baci che ancora desidero.
Implosero davvero i sensi.
Impossibile trattenere mille granelli di sabbia tra le dita.
Impossibile rispondere alle mille domande…
Impossibile proteggersi dai mille fiocchi di neve che scendevano impetuosi a coprire la verità.
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