Lascio a tutti i lettori un augurio di buone feste e di un nuovo anno più sereno
Da qualche parte, lontano, ci sarà pioggia e una nuova stagione.
Torneranno i monsoni, verrà il tempo di ascoltare le storie dei marinai e dei pellegrini.
E di ammirare ancora il volo dei falchi sugli altipiani
Wu Ming Altai, Epilogo
"E' l frate: "Io udi' già dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra' quali udi'
ch'elli è bugiardo e padre di menzogna".
Inferno Canto XXIII - VIII Cerchio, 6° bolgia
Comme des cristaux de neige
Hai parlato di reputazione…c'entra dunque una donna?
Potrebbe anche c'entrare un uomo!
Smettila!
Sembri un bambino che vuole nascondere il guaio che ha combinato!
Sussultò il cuore al contrarsi silenzioso del sesso, libero, nudo, lieve e intenso al tempo stesso…
André non era un bambino!
Nel buio, nel silenzioso vorticare della neve muta e candida a inondare aria e pensieri, a poco a poco le parole e i gesti tornarono a sovrapporsi, uno sull'altro, cristalli posati uno sull'altro, uno dopo l'altro, lanugine a inondare teneramente il paesaggio, chiudere vie di fuga, inchiodare lì, all'inappellabile visione, alla resa dei conti finale.
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
Lui ha protetto! Ma tu non gliel'hai mai chiesto!
Perché…
Sino a tal punto…
Sino a tal punto sfugge l'amore…
Sfuggiva l'amore, s'intestardiva la ragione, si ritraeva la coscienza…
Muori André Grandier!
Muori, tu che mi hai reso così fragile!
Muori, tu che sei fuggito, senza il coraggio o la disperazione di rivelarmi il tuo amore…
Anche tu hai tentato di fuggire da lui…
Si contrassero i muscoli, affogati in un brandello d'abbraccio oramai estraneo, finanche traditore, di sé e dell'altro.
E allora l'hai ucciso in fondo.
Non una ma due volte!
Col pensiero distante, con l'intento di dimenticarlo!
Ondeggiò la coscienza, minata dal tortuoso riavvolgersi dell'invisibile vendetta, spira di venefica serpe, filo di spada roso dalla ruggine, sesso avvelenato e spoglio d'ogni velleitario amore, vuota e colma solo dei mille cristalli di neve, soffocati dal calore del palmo, morti non appena afferrati.
Impossibile tenerli a sé, proprio come granelli di sabbia, come raggi di tenebra, sfioriti, dileguati nell'orizzonte nero…
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
Il grido quasi animale…
La faccia sghemba del soldato Tiberius Mallerbé…
La veste cucita addosso via via strappata, che pure quella aveva caparbiamente resistito, come se allora, la pura seta dell'oceano l'avesse tenuta indenne dalle più luride condanne.
L'aria intorbidita aggrediva la pelle rivelando l'innocente bellezza…
Non era più né uomo, né donna…
Era lì, stritolata e soffocata, incapace di difendersi, graffiare, liberarsi.
La mente raccoglieva pezzi di nauseante dolore, ricomponeva la macabra visione che rimbombava nella testa, la voce dell'altro riemersa dal muto sogno incomprensibile.
Oscar…
Tienimi stretto…
Nascondimi…
Oscar…
Unico volto, unico pensiero…
Si svegliò d'impeto, la mano corse al giaciglio accanto a sé...
Vuoto, di nuovo freddo.
Il pugno si chiuse a stringere il nulla. Era come se nei giorni e nelle notti, dall'esiguo tempo ove si erano ritrovati, si consumasse un rito a metà tra sogno e follia, dove l'altro, che adesso lei sapeva essere André – ma quale André non l'aveva ancora compreso – si divertiva a spiare la sua vita, a rendersi indispensabile, non per via delle cure, ma proprio per la sua sola presenza, per poi inspiegabilmente sottrarsi ad essa, ma solo dopo averci instillato un respiro di sé, un alito tiepido e dolce, a torturare la mente e i sensi.
Si vestì in fretta, la ferita doleva e la testa pure, gli arti a lungo immobili erano come annoiati, tediati dall'inerzia, eppure scossi dalla stizza indotta dal muro di neve che ostruiva la visuale e il passo, da superare e vincere a qualsiasi costo.
Rimase qualche istante a combattere contro il gelo tagliente, ad attendere che gli occhi cessassero di lacrimare così da consentire alla vista di cercare una traccia entro il paesaggio innevato.
La sera precedente avevano mangiato e poi l'altro s'era messo a spennare quaglie.
Lei ne aveva contate quattro, grasse e polpose, dunque non era possibile che André fosse andato di nuovo a caccia.
S'era sistemata in un angolo, rannicchiata, e gli occhi s'erano fissati alle mani dell'altro, intente a muoversi, cullata dall'ondeggiare, a tratti secco, a tratti arioso, anche se come fossero ali spezzate, steli piegati, fiori sfatti dalla calura.
Ora le osservava - le sue mani - le vedeva chiaramente, ne intuiva la morbida forza, l'agile gentilezza.
In fondo le conosceva, come non ammetterlo - le sue mani - ma l'istinto guidava a restare lì, a bearsi del silenzioso incedere dei movimenti e del respiro dell'uomo, che di tanto in tanto lei colmava d'un guizzo immaginato, d'un desiderio sorprendente, che lui si voltasse e sollevasse lo sguardo, e le spalle volte contro di lei si volgessero a lei, e il corpo un poco lento ma deciso a comporre l'indispensabile, senza eccessi sgraziati né vezzi inutili, s'arrestasse d'improvviso, per fermarsi parimenti a contemplarla, o forse a contemplarsi nel reciproco silenzio.
Come forse doveva essere accaduto un tempo, quando però lei non vedeva, non sapeva neppure che quello fosse André, colui che adesso si trovava di fronte.
Essere puro, speziato, libero, un poco goffo eppure intensamente bello…
Un respiro di rassegnata stizza.
Ovunque voltassero gli occhi, il clamore candido della neve fungeva da solido ostacolo a impedire d'aguzzare i sensi e percepire un segno.
S'abbandonò ai suoni allora, di nuovo, e a poco a poco li intuì, nel farinoso agitarsi di fronde appesantite e poi libere…
Intuì le tracce del passaggio che conducevano a una radura.
La chiazza scura saettava nel cielo impennandosi verso l'alto e poi cadendo giù, come scheggia impazzita pronta a schiantarsi, quando invece la virata estrema conduceva a fendere il corpo dell'altro, che, immobile osservava le geometrie secche del volo, gli schemi ripetuti di caccia o forse di resa.
Nel freddo, i muscoli s'impietrirono a osservarlo mentre la neve continuava a scendere posandosi sulla testa, imperlando i ciuffi di soavi gocce gelate, rigando il viso…
Perfetti cristalli di lacrime salate…
Respiro caldo…
Mani gelate…
Piedi rattrappiti…
La eco di un fischio e poi il nome pronunciato basso indussero il falco ad appollaiarsi sul braccio di quello ch'era a tutti gli effetti il suo padrone, protetto da uno spesso guanto di cuoio.
Era freddo…
Lo sguardo rimase lì, attratto dalla visione solitaria e nuda, imponente e leggiadra, un poco perduta, come se ritrovarsi osservato avesse reso l'altro troppo visibile e dunque vulnerabile.
André ricompensò la bestiola col consueto boccone di carne, mentre mulini di neve volteggiavano verso l'alto, impennandosi entro farinosi gorghi di bianco splendore, scompigliando i capelli sospinti dallo stesso alito gelato.
Non riusciva a distogliere lo sguardo.
Non era André quello…
André, il suo André, non l'avrebbe mai lasciata.
Non era quella la Storia – la loro Storia - eppure André, quello che lei adesso osservava, l'aveva fatto, l'aveva lasciata.
E ora era lì, maestosamente bello, magro ma forte, il viso offeso dalla guerra o da chissà quale altra vendetta.
Era lì, puro come quella neve, imperfetto come i mille vortici di vento beffardo e scherzoso eppure perfetto come ciascun singolo cristallo.
Becero paragone…
Che non era importante essere perfetti…
Non era ciò che voleva lei.
"André…".
Oscar sussurrò il nome, lo chiamò, come avrebbe chiamato un uomo qualsiasi, un uomo imperfetto, né servo, né soldato, né suddito, né attendente.
Era André Grandier e basta.
Un uomo libero, un uomo vivo…
"André!" – più forte, mentre i piedi prendevano coraggio e il cuore si smarriva…
L'hai quasi ucciso!
Voltati! Guardami!
Non ti perdonerò mai!
Il falco cacciò un grido staccandosi dal braccio e schizzando via.
Un passo e poi un altro ancora, la faccia rossa, gelata, i piedi quasi morti…
Un altro passo, un altro ancora…
André non era più dietro a lei, mezzo passo dietro a lei, ma davanti a sé.
La neve era alta, la corsa impedita dalla visione distorta…
Lui la vide e si mosse…
Fece in tempo ad allargare le braccia e ad afferrarla, che anche lei allargò le braccia stavolta per abbracciarlo, averlo, gridargli che lei era viva e che lui era vivo…
L'hai quasi ucciso!
Guardami!
Perdonami!
L'incerta corsa ebbe la meglio sul corpo martoriato dal dolore, dalla traversata oceanica, dallo scherzo del destino…
Si ritrovarono in ginocchio, mezzi affondati nella neve, lui avrebbe voluto issarla su, lei no, lo tenne lì, la faccia chiusa e stretta tra le mani, a fissare il volto, a cercarci dentro lo sguardo che rammentava.
Voleva guardarlo, voleva ritrovare André, nemmeno lei sapeva quale André, come pazza d'insano desiderio, che se lui se n'era andato, se l'aveva lasciata, perché mai chiedergli di tornare ad essere quello d'un tempo, schiavo d'un amore nero?!
"Ti ho cercato tanto…" – un sussurro, le dita accarezzavano il volto, impuntandosi a scorrere sulla cicatrice come per ascoltare il tempo in cui essa aveva offeso il viso e trascinato nel buio la vista.
André attese, trafitto dal calore freddo del palmo tiepido, un tempo osservato da lontano, come fosse mistico sguardo del sole all'alba che scorge l'ultimo raggio di luna, impietrito dall'inimmaginabile tenerezza, consapevole ch'esso presto scomparirà e mai ciascun raggio potrà abbracciare l'alone dell'altra.
Chiuse gli occhi, ascoltò il suggello del respiro sulla bocca, come lei volesse respirarlo, come a scivolare entro la sua vita.
Liberamente...
Baciò la bocca…
Liberamente...
Accolse l'abbraccio dell'altro…
La neve imperlava i volti sciogliendosi addosso…
Il respiro si contrasse, come tagliato in due, trafitto da muta spada.
Sei bella…non dimenticarlo mai…ti ho visto…
Tu…eri sveglio!?
Dunque…se non mi fossi mosso…che sarebbe accaduto? Che avresti fatto!?
La bocca aveva colto il sentore minerale della pelle, un poco forte, eppure potente, capace d'inebriare e distruggere al tempo stesso ogni brandello di residua vergogna…
Le dita s'erano aperte a graffiare piano il petto, per cogliere anch'esse la consistenza morale dell'altro, il suo essere altro da sé.
Afferrò le mani, stringendole, a staccarle da sé, mentre l'ombra bieca del dolore trascinava giù, là dove la protervia e l'azzardo l'avevano condotto.
Dannazione!
Si…hai detto bene…è questa la dannazione di cui ho tentato di parlarti…
Sei un'idiota! Dovevi dirmi ch'eri sveglio…
Perché?
Ti sei approfittato di me!
L'Infinito a separarli, l'Infinito ch'era scorso, impregnato di sangue e disperazione…
L'Infinito che ancora sarebbe scorso, avanti a lei, sola…
La dannazione imperversava nella testa e con essa il vuoto e ancora il dubbio…
Ci stanno osservando…dunque…non vuoi augurarmi buona fortuna? In fondo sei venuta sin qui…mi hai trovato…
No!
No? Sei crudele!
Pensala come ti pare! Non ti augurerò buona fortuna! Disapprovo ciò che stai facendo e soprattutto i motivi per cui lo fai! Sarò anche crudele ma non sono un'ipocrita!
Non posso augurare buona fortuna a chi sta compiendo una pazzia! Posso solo tentare di dissuaderlo…ma se non ci riesco…non ti augurerò buona fortuna! La responsabilità di ciò che compi…è solo tua!
Dimmi chi è quella donna?
No…te l'ho già detto! E' una persona onesta…pura…
André…se tieni più alla sua purezza che al tuo amore per lei…allora forse non ne sei così innamorato!
E tu…tu che ne sai dell'amore!? Quali strade percorre? Quali strade ci costringe a percorrere? Augurami buona fortuna!
No!
Sei testarda!
Tu che ne sai dell'amore?
La mano si sollevò a scorrere alla bocca.
Rimase al viso di lui, toccandolo, mantenendo nel palmo l'antico calore.
Ascoltò le dita che scivolavano sulle labbra che s'infiammarono…
Come allora, come a Brest.
Come nel sogno, ch'era solo immaginazione d'uno scherzo fatto a se stessi.
Quel bacio era rimasto lì, per tutto il tempo, impresso come fuoco impresso alla terra, come fulmine a squarciare la volta celeste, nell'istante ove acceca lo sguardo stupito.
Un guizzo…
André si era sporto…
Che lei si era ritrovata chiusa.
Aveva catturato le labbra…
Liberamente aveva baciato la bocca…
Le labbra dolcemente chiuse e poi di colpo lambite, aspirate piano, morse…
Rigida, s'era ritrovata chiusa e come ammansita dal gesto…
Liberamente aveva accolto l'abbraccio dell'altro…
Un bacio rubato…
Una dannazione per entrambi.
Marchio dell'infamia, da una parte, vergogna d'aver piegato una volontà che non c'era.
E insensatezza d'aver ceduto, dall'altra, e smania d'aver desiderato ciò che lei non possedeva.
Lei non lo possedeva il loro Amore, e neppure il proprio, e quella non era la loro Storia.
La mano di André s'aprì dolcemente ad appoggiarsi sulla bocca. Spinse piano come per allontanarla, mettere un ostacolo tra sé e lei.
Poi la sinistra afferrò l'altra mano e la voce scorse…
"Preparati. Lasciamo questo posto. Non è più sicuro".
Oscar si riebbe, indietreggiando, colpita dall'ordine - "Come?" – d'improvviso catapultata nella realtà, da cui, seppur per poco, per un solo istante, s'era allontanata, mentre ora, la richiesta, l'imposizione di spostarsi, lasciare il luogo – come a spezzare l'istante - giungeva a ricomporre antiche geometrie, a riportare al presente, alle sue fatiche, cangianti d'inutilità e d'inspiegabile noia di giornate terse ma innevate, scandite dall'oziosa guarigione….
Dunque s'accorse che non voleva che nulla mutasse.
André si fece indietro, indicò alla sinistra un lieve crinale splendidamente ammantato - "Nevicherà ancora. Potrebbero staccarsi delle valanghe da lassù e questa valle verrebbe inondata. Dobbiamo salire più in alto".
La spiegazione non convinceva - "Perché non torniamo a Northampton?! Laggiù non ci sarebbero pericoli!" – che però si morse il labbro, come a zittirsi, che neppure lei era certa di quel che affermava, di quel che non sapeva.
L'altro si alzò, ripulendosi il mantello dalla neve farinosa.
Il piccolo falco ricomparve volteggiando veloce sulle teste.
"Te l'ho già detto, non torniamo a Northampton".
"Perché? Sei vivo! Temi d'essere considerato un disertore?!".
Una smorfia…
Era l'ultimo dei pensieri ma la congettura era degna dell'altra - "Mettiamola così allora. Sì! Oramai potrei essere considerato un disertore. Forse ancor peggio ch'esser morto! Almeno i morti li si può santificare…ma i disertori…".
"Intercederò per te…" – disse l'altra di filato, dimenticandosi che quello che aveva di fronte non era più André, non era più il suo André.
Stavolta l'occhiata declinò velato disprezzo - "Alzati, prendi ciò che puoi. Ci mettiamo in marcia subito" – che l'altro riprese la via del capanno a passi appesantiti dalla neve, lasciandola lì, inebetita dal gelo che scorreva addosso, penetrato fin nelle ossa.
Non comprendeva. E quando non comprendeva, per quanto si fosse fidata dell'altro…
"No!" – secco…
L'altro si fermò, udito il diniego, ch'era poi provocazione, che lei aveva ripreso le forze, a poco a poco tornava ad essere chi era sempre stata, abituata a esigere chiarimenti, comprendere, opporsi e dirigere i gesti quando a lei fosse stato necessario. Era stata addestrata da una vita a comandare, non certo a obbedire.
Dunque nessuno stupore, solo che la spiegazione era già giunta a colmare il dubbio e quel diniego pareva allora una specie di bizzarra impuntatura, una ripicca, una sfida, come lui perseverasse a sottrarsi al confronto, fuggire di nuovo, dilaniato da chissà quale Inferno o forse semplicemente incapace d'accettare di tornare a essere quello di un tempo.
In fondo era vivo, ma la vita alle volte è proprio una seccante dannazione!
"Non essere capricciosa…" – insinuò senza voltarsi, incidendo la volontà dell'altra come volesse tranciarla con una specie di mannaia – "Ti ho spiegato che è pericoloso…".
"Ebbene non vedo la necessità di dirigerci ancora più a nord! Dimmi da che parte si trova Northampton?" – si strinsero le labbra, che l'orgoglio tornava a dirigere i gesti – "Vedrò di arrivarci da sola!".
"Sei la solita…".
S'alzò l'altra, lo raggiunse, le gambe malferme composero pochi passi, la neve ingoiò le residue forze: "Stai diventando insolente!".
"E tu non sei abituata a vedermi così, vero!?" – un respiro, gli occhi al cielo striato di gonfie nuvole bianche, cristalli più piccoli esalavano l'istantaneo anelito di vita sfiorando le labbra bollenti – "Insolente!"
"Ciò che vorresti fare non ha senso! E' questo che non riesco a spiegarmi. Il mio non è un capriccio, ma non è mia abitudine scegliere una via in cui non trovo senso o necessità!".
"Ovvio! E' da una vita che ti conosco! Devi sempre comprendere tutto, nulla può sfuggirti e se accade che altro ti disorienti…e di me non ti fidi più giusto?! Ebbene sono desolato per te ma adesso si fa come dico io!".
Spiazzata, il labbro morso di nuovo, segno che no, non si fidava ma non osava sbatterglielo in faccia.
L'altro sferzò un sorriso cinico tornando ad avvicinarsi, che nemmeno lui seppe da dove sgusciarono le parole.
C'era – da una parte – la rabbia d'immaginare perché lei fosse giunta sino in America e perché volesse tornare nella disgraziata cittadina – e dall'altra - la smania d'allontanarla da sé, lei e tutto ciò che rappresentava, il disprezzo del rango, il muto susseguirsi di giorni che mai avrebbero mutato direzione.
Amare in fondo era anche quello, nessun sacrificio da gettare addosso all'altra, amare era forse semplice incedere dei passi entro le stanche giornate dell'esistenza.
Un moto di ribellione, di nuovo, André affondò, un po' idiota e un po' disperato – "Se desideri tornare dal Conte di Fersen, sappi che non è più a Northampton. E' a Yorktown. E con de Grasse hanno avuto la meglio sugl'Inglesi. Quindi…".
Il respiro mozzato…
Il nome del conte sussultò nella testa, assieme alle velenose chiose dei due soldati morti ammazzati.
Che però lei decise di scansare la sfilacciata trama, era troppo presto per chiedere conto dell'evanescente congettura, l'altro non si fidava e lei avrebbe agito un passo alla volta.
"Tu come lo sai?!" – s'affrettò a ribattere, che pure il repentino cambio d'argomento e il nome del conte s'espansero alla stessa stregua e velocità del sordo boato che andava a interrompere il flusso delle parole…
Oscar avrebbe voluto tirargli un altro ceffone, per quella chiosa senza ragione che aveva reciso di netto il senso delle sue domande e che non c'entrava nulla e che pure però pungeva i sensi perché in fondo lei lì c'era finita anche per cercare Fersen…
André l'afferrò per un braccio per tirarsela addosso, che lei no, non voleva che l'altro s'avvicinasse e finisse, in quel solo tocco di rugginoso sconforto, per sfaldare la poca forza di volontà, isterica e testarda, ch'era riuscita a cavar fuori.
Un boato…
Dentro e fuori.
André combatteva, stretto tra l'istinto di rovesciarle addosso l'Inferno e poi no, tacerle tutto, e lasciarla marcire nel suo Inferno.
Una come Oscar François de Jarjayes…
Vai a comprendere s'era peggio sapere d'essere la causa dell'Inferno oppure macerarsi in quell'Inferno!?
"Quelle lettere…" – sputò l'altra senza arretrare d'un respiro, incosciente, inconsapevole o forse smaniosa di sapere oltre le nefaste conseguenze del reciproco immobilismo, lì, al gelo e sotto il crescente turbinio d'aria e materia che smuoveva muscoli e respiri – "Notizie puntuali sulla guerra! Sulle battaglie più importanti! Hai persino scritto che Sua Maestà ha avuto un figlio, un maschio. Nemmeno io, ch'ero già qui, lo sapevo! Quelle lettere le hai scritte tu! Ho riconosciuto la grafia! Le hai scritte per nanny è vero…ma…come hai saputo tutto ciò che hai scritto!? Come sei vissuto dunque? Chi ti ha aiutato!?".
Cristalli perfetti vorticavano attorno alle figure a poco a poco risucchiate dal boato terreo e fondo che sorgeva a coprire via via le voci e i pensieri…
André accoglieva le domande come s'accolgono pugni allo stomaco, tentando d'incassarli senza consentire che mozzassero il respiro.
Un guizzo della mente ad ammettere che le domande erano dettate da ragioni pratiche…
Come sei vissuto?
Chi t'ha aiutato?
E allora, se lei aveva davvero letto le sue lettere, perché non sputava alcuna domanda che rovesciasse addosso a loro – a entrambi – le parole che lui aveva scritto alla donna che l'aveva costretto a lasciare la Francia?!
Che fosse censura, che fosse dimenticanza, o forse più una specie di disinteresse, per via di ciò che lei poteva aver vissuto nel profondo della coscienza, là dove nessuno può scendere e osservare con occhi e orecchie il muto suono del cuore contratto e spezzato…
"Dobbiamo andarcene!" – gridò sprezzante, afferrando la mano dell'altra, tirandosela dietro che questa volta Oscar oppose una residua resistenza, faticava ad avanzare nella neve, s'era vestita in fretta e il freddo aveva aggredito di nuovo la pelle e i muscoli.
"Dove sei stato per tutto questo tempo?".
"Corri!".
"Eri solo? Chi c'era con te?".
"Dannazione!".
Passi pesanti, la mano stretta nella mano…
"Tu…conoscevi…Amalie Jenevieux!?".
Il respiro quasi nullo, la neve impediva d'avanzare spediti mentre la nuvola bianca s'ingigantiva alle spalle e lei scivolava nella follia dell'ignoranza, e il manto spesso dell'ignoranza soffocava il respiro, che adesso voleva sapere, costringendo l'altro alla resa lì, in punto di sopravvivenza, mettendo sulla bilancia la propria salvezza di contro alla verità.
Soccombere al disastro o sottrarsi ad esso….
Lei che aveva sempre avuto in sprezzo la propria vita e l'altro che invece gliel'aveva sempre protetta a ogni costo!
Forzò la presa allora, stringendo la mano, avanzando a passi faticosi nella neve.
"E sua figlia Victoire?" – proseguì senza respiro, quasi trascinata mentre la mano libera annaspava nella neve soffice e il corpo veniva via via risucchiato dal gorgo candido – "Chi è per te!?".
I pensieri, quasi fossero stati le sue stesse gambe, avanzavano rovinosamente, affondando dentro l'ammasso di neve, ch'era come se fosse stato lui, magma immenso a trattenerla lì, inchiodata all'ignoranza.
Uno strattone a trattenerlo - "Che cosa ti hanno fatto a Ponta Delgada? Ho sentito cosa dicevano quei soldati, Mallerbé e Pointers…".
Stavolta André perse la presa, come richiamato giù, all'Inferno, le domande come lame a riaprire ferite mai guarite.
Affondò nella neve, annientato…
Oscar s'arrestò dietro, l'abbracciò d'istinto, come a contenere il corpo dell'altro, chiunque egli fosse, che lei non l'aveva fatto, lei non c'era stata allora, dovunque fosse accaduto all'altro di scivolare all'Inferno.
Come se forse l'Inferno l'avesse conosciuto anche lei, in un'altra vita, in un'altra Storia…
L'Inferno della solitudine…
"André…quelli…sono morti…" – gli disse avvicinandosi al viso - lui muto, disfatto dal ricordo - la mano di lei di nuovo appoggiata alla faccia fradicia di neve, questa volta a disegnare una specie di carezza che fosse in grado d'incrinare il mutismo – "Sono stati i due indiani ad ammazzarli, ma prima di morire…".
Che ci raccontate!?
Quando ci avete detto di fare quel lavoretto a Ponta Delgada…con quell'altro soldato…noi l'abbiamo fatto!
Abbiamo dato a quell'idiota quel che si meritava ma adesso vorremmo saperne di più! E soprattutto…vista la bella faccia di quel damerino…beh…ci piacerebbe finire anche con quello….quel che non si è terminato?!
Che gli avete fatto!?
Quello che avremmo voluto fare con te!
André non riuscì a dire nulla, il corpo impietrito, mentre alle spalle rovinavano i pensieri distrutti alla stessa stregua della massa di neve bianca.
Che assurdità paragonare la melma infernale in cui annegava il cuore alla candida morte che li avrebbe travolti!
Le mise una mano sulla bocca, per metterla a tacere, mentre invocava il suo nome, muto, nell'istante in cui l'atroce passato s'incideva di nuovo nella carne, come ferita riaperta e ormai prossima a imputridire…
Oscar…
Unico volto, unico pensiero…
Tienimi…
Nascondimi…
Aiutami…
Un altro colpo, un altro ancora…
I capelli tenuti stretti…
Freddo…
Addosso…
Il cielo prese a tingersi, cristalli bianchi a imperlare la voce e la vista, lo squarcio d'azzurro risucchiato nella calma placida delle iridi verdi, appena velate di pianto, freddo o rabbia…
Oscar spinse il ginocchio, si alzò da terra, afferrandogli la mano. Non avrebbe avuto risposte, non lì, non in quel momento, che prevalse l'istinto di salvarsi e salvare l'altro.
"Corri!".
Presero a correre avanzando a falcate, verso un groviglio di arbusti piegati dal peso della neve.
S'infilarono dentro, sgusciando tra i rami, la mano stretta nella mano, gli occhi a osservarsi, i respiri bruciati dai rarefatti cristalli, il sangue raggelato, i capelli sparsi, i mantelli fradici, le gambe mozzate dal peso della materia che s'avviluppava addosso e strappava forza alla corsa.
Alle spalle intuirono lo scorrere crepitante degli squarci di ghiaccio che prendevano velocità, a schiantarsi contro i tronchi, incastrandosi, facendo barriera, così che la neve più friabile s'arrestava in un primo istante, furiosa e folle contro tutto ciò che nella beffarda insolenza sbarrava il passo…
Ma poi, intestardita e tronfia, spingeva contro l'improvvisata diga, gonfiando l'irrazionale orgoglio della feroce Natura e poi con sinistro gemito sfondando la naturale diga e trascinando con sé i poveri arbusti, i massi, le felci rinsecchite…
Rammentò solo che la mano era stretta nell'altra e null'altro avrebbe indotto a lasciarla.
Poi cadde giù, in ascolto del peso immenso che piombava addosso, il corpo come esile fuscello incapace di opporsi alla marea bianca che colava e avvolgeva tutto, a tagliare carne e muscoli.
Non lasciò la mano, tentando di comprendere quale direzione avesse preso il corpo, pregando di non andare a schiantarsi contro un improvvido tronco, capace di trattenerli sì, ma anche di frantumare i poveri arti.
Lo chiamò ma poi dovette zittirsi per evitare che la neve ostruisse gola e narici.
Interminabili istanti in cui tutto divenne nero e poi bianco e poi rosso.
Interminabili istanti in cui l'aria non entrava e il respiro non usciva.
Era sommersa, raggelata, intrappolata entro una specie di tunica pesante e gelida, l'unica luce filtrava dall'alto, azzurrognola e fredda, come lei fosse precipitata nell'Ade, punta dalla malefica serpe che incanta e addormenta per sempre, ma davanti a sé avesse scorto i piedi di Orfeo, la sua camminata, col misero moccolo acceso, fremente, di passo deciso ma lieve, di voltarsi e scorgerla, incapace d'attenersi all'imposizione degli Dei, che s'erano divertiti a sfidare l'amore dell'uomo mortale per la donna mortale, giocando a scommettere chi fosse più forte contro il Destino.
Interminabili istanti, il buio chiuse la coscienza, e il corpo si ritrovò imprigionato in un sarcofago trasparente e bianco, senz'aria e senza vita, che se lui si fosse voltato e nell'istante l'avesse vista, nello stesso istante l'avrebbe perduta, questa volta per sempre, racchiuso per l'eternità nello stesso solitario bozzolo dov'era stato già sepolto.
§§§
Lo sguardo era corso in alto, il cielo a mala pena sfregiato da nuvole cariche di pioggia, grigie e sottili, lambite dal sole morente.
I cavalli erano stanchi ma ormai la meta era vicina, così il drappello s'era concesso di procedere con minor foga che però, nel silenzio, l'udito era teso a comprendere i suoni della foresta, il mormorio dei soldati, sciolto nel crescente crepitare delle foglie al passaggio degli zoccoli.
La preziosa polvere da sparo racchiusa nelle sacche, agganciate alle selle…
Il pensiero a vagare altrove…
D'improvviso, il fruscio s'era innalzato, così come l'agitarsi delle fronde attorno, imponendo di spianare le baionette, che però, contro una valanga fatta di nulla ci sarebbe stato poco da fare…
Gli occhi erano scorsi a scovare la causa del progressivo rumore, fogliame morto, respiri infernali, bestie spaventate…
L'incitamento agli animali a riprendere il galoppo per uscire dalla foresta, sgusciare via dalla valanga che si sarebbe abbattuta sul drappello partito da Fort Awegen e diretto a Northampton.
Per ordine e richiesta del Colonnello Hans Axel von Fersen.
Era il venti settembre dell'anno 1780…
Grida a restare uniti…
Spari contro la foga degli avversari…
Urla strazianti…
Sibili e fischi acuti…
L'ultima lettera che aveva scritto era riemersa, come mano tesa di sé a lei…
11 septembre 1780…
Ma chère grand-mère…
Spero che tu stia bene, spero che la vita scorra lieve, attraverso i giorni e le stagioni.
Ammetto che il tempo scorre veloce e mi mancano la tua voce e le tue attenzioni.
Quando alla sera cenavamo assieme, dopo le lunghe ore trascorse tra faccende e impegni.
Attorno allo stesso tavolo, a commentare quel che accade fuori, a Parigi o a Versailles.
Mi accade sempre più spesso.
Dunque debbo, ancora una volta, domandati perdono, per averti inflitto questa preoccupazione enorme.
Ammetto che giorno dopo giorno la distanza imposta dalla mia scelta mi porta a pensare a lei, a immaginarla, a correre ai suoi gesti che forse saranno sempre gli stessi.
Così testarda nella sua idea di mantenere il controllo su tutto e a voler prevedere tutto.
Ma al tempo stesso imprevedibile e assolutamente straordinaria.
La strada sbarrata da avversari che avevano circondato i soldati francesi…
Il sangue in acqua che quelli s'erano ritrovati e vulnerabili…
Il drappello in trappola, forse silenziosamente inseguito sin da Fort Awegen…
In un istante, la corsa folle della coscienza ad ammettere che tutto quanto stava accadendo non fosse frutto del caso ma d'una specie di silenziosa vendetta che un bacio, nemmeno un bacio, si sarebbe mai potuto rubare impunemente.
Uno sguardo al cielo…
Un cenno…
L'ultima lettera…
Il nome gridato muto, il volto cercato nel cielo, i pugni stretti a stringere l'errore fatale d'averla lasciata…
La colpa d'averla baciata, come si bacia la propria stessa Morte…
1° octobre 1780…
Ma chère grand-mère…
Siamo stati comandati d'addentrarci in una regione chiamata Six Nations.
Paesaggi d'intensa maestosità, mari di selvaggio verde, macchiati dal rosso e dal giallo di foglie arse dal fuoco dell'inverno prossimo a venire, che presto ingoierà foreste, fiumi, sentieri, alture impervie e aguzze.
In apparenza assoluto disordine, impossibile da comandare, impossibile da percorrere, che la testa rischia di perdere il senso di sé.
Oso immaginare, specchiato nelle distese d'acqua dolce, di sconfinata nebbia e silenzio, lo scorcio del mare della Normandia, sotto lo stesso cielo che m'inghiotte il respiro.
Lì, ci ho scritto il suo nome, mille volte.
Perché non c'è nulla da fare. Perché lei è lì, nel cielo limpido e puro, come in ogni squarcio limpido e puro.
E se giungono nuvole di vento o voli adenti di falchi, veloci e implacabili, a cancellarlo, io lo riscrivo di nuovo, ancora e ancora.
Non stare in pensiero per me, non crucciarti della mia scellerata decisione.
Ciò non mitiga la durezza della lontananza.
Il pensiero corre a te.
A voi…
Abbi cura di te.
Abbi cura di lei…
Con immenso affetto…
Tuo nipote André Grandier
Quello che pareva comandare il gruppo degli assalitori era avanzato contro le baionette spianate. Pareva indigeno, anche se vestiva con abiti occidentali e portava i capelli raccolti in una semplice coda. Aveva chiesto in lingua francese d'abbandonare il carico, che i soldati avrebbero avuto salva la vita. Era vero dunque che i ribelli volevano soltanto la polvere da sparo…
Due di loro non ci avevano creduto, o forse chissà, speravano di scontrarsi, ch'erano venuti in America per combattere…
Quei due…
Avevano sollevato i fucili, puntandoli contro gli aggressori…
Quello che abbiamo fatto a te, lo faremo anche a lui!
Le parole erano riemerse di nuovo…
Anche se quelli non lo sapevano chi fosse Oscar François, a meno che non l'avessero compreso a Brest, a meno che non gliel'avesse detto qualcuno…
Ma anche senza sapere nulla, semmai un giorno l'avessero incontrata…
Quello che abbiamo fatto a te, lo faremo anche a lui!
André se li era ritrovati nel drappello diretto a Northampton, non aveva protestato, non aveva profferito parola.
Solo il soldato Alain Soisson s'era avvicinato, prima della partenza e gliel'aveva chiesto, muto, se non l'avesse trovata assurda quella scelta, gli stessi idioti a difendere lo stesso carico?!
Aveva negato André…
Come fosse già condannato…
Condannato a proteggetela sempre, persino da ciò che nemmeno sapeva le sarebbe mai accaduto.
Le grida a restare uniti, non cedere alla provocazione, attendere, comprendere…
Nulla di certo, tutto rimesso al Fato…
No, la salva era partita fulminando il giovane indiano ch'era indietreggiato, piombato giù da uno scarto mortale, così che altrettanto muti ma stupefatti i compagni avevano spianato gli archi e nel tempo impiegato dai soldati a ricaricare i fucili, sibili mortali avevano attraversato l'aria.
Chi tra i soldati era stato colpito, s'era quasi fatto vanto d'esser finito nelle mire dei dannati selvaggi dalla pelle color ambra e i capelli neri come il carbone più scuro, sputando grida a squarciare il netto silenzio del giorno.
L'assurda ignoranza di chi tiene più all'onore che alla propria vita…
L'idiota certezza che gentaglia così selvaggia non sarebbe stata in grado d'avere la meglio sugli orgogliosi soldati francesi.
André aveva gridato di nuovo…
Il cavallo innervosito s'era impennato…
Gli avversari erano scesi, avvicinandosi…
Erano ondeggiate allora deboli fiammelle, incastrandosi nel terrore livido degli occhi, come lampi di luce erano scorsi a incendiare la bruma crescente del buio, a segnare per sempre la sorte della strana missione.
Pochi istanti, le fiammate s'erano incuneate attraverso le tele dei sacchi penetrando nella polvere nera, fine, asciutta, conservata come fosse Terra Santa, baciandola, in un'infernale abbraccio, del rintocco soave e morbido d'incandescente e feroce vendetta, capace di trafiggere e incendiare e convertire la materia asciutta in altra essenza, non più odorosa, acuta, silenziosa e statica, ma calda e dilaniante, che suono abnorme e devastante riverberò la eco attraverso la foresta, squartando le bestie che portavano i sacchi, schizzando brandelli di carne entro in mille direzioni, trascinando nel buio la vita dei dannati soldati.
Dieci soldati del drappello, più una guida indiana, un moccioso dallo sguardo acuto che però s'era ritrovato dalla parte sbagliata della Storia…
Ognuno recava con sé due sacchi di polvere da sparo.
Venti boati, uno dopo l'altro, avevano destato il terrore degli abitanti di Northampton, incuneandosi su per la valle, susseguendosi alla medesima distanza con cui le frecce avevano raggiunto le sacche, una dopo l'altra, perdendosi, salendo al cielo, assieme alle grida di morte che nell'istante successivo avevano piombato il teatro dell'assurda battaglia entro il silenzio più tetro.
Respirava André…
A terra, la faccia contro il cielo…
Il petto era sussultato nel freddo crescente che sferzava il sangue, la bocca colma di ferroso sentore, le dita nere a graffiare la carne, tenerla a sé come per tenersi addosso l'ultimo brandello di vita.
Lo scenario dapprima celeste, nero di stelle e fumo, si era disfatto, mutando verso tonalità sempre più ruvide e frastagliate, dal lato sinistro della visione, fino a che essa s'era spenta per sempre.
Poi aveva smesso di respirare.
Di sbieco attorno a sé facce aveva scorto che non conosceva, il corpo sbattuto e rivoltato…
Aveva immaginato d'essere imprigionato dentro un incubo e prima o poi sarebbe riuscito a squarciare il velo del sonno e la voce sarebbe uscita per gridare ch'era ancora vivo, solo che non riusciva a muoversi e a gridare nulla.
Solo il flusso dei pensieri non s'era mai arrestato.
Era rimasto fisso e costante al volto di lei, che aveva cercato nel cielo, lassù, quando di nuovo quello era divenuto scuro e buio, trapuntato di stelle tremanti e fredde.
Allora aveva sentito freddo, un freddo terribile.
Come quella sera, in cui per la prima volta nella sua vita s'era ritrovato davvero solo, per sempre, nella casa dove era nato.
Suo padre era morto da un pezzo e sua madre giaceva lì, nel povero letto, il sudario a coprire il volto ormai roso dall'inedia e dalla malattia, la debole linea del corpo a mala pena abbozzata sotto il lenzuolo, che mani pietose avevano appoggiato sopra i resti dell'unica persona che lo avesse mai amato.
Lui era rimasto seduto su una sedia per tutta la notte, fermo, a guardare il vuoto.
Rammentava di aver avuto freddo, e quel freddo non se n'era andato nemmeno quando la mano di sua nonna lo aveva toccato, gli occhi di sua nonna l'avevano guardato e la voce lo aveva abbracciato, spiegando che presto entrambi se ne sarebbero andati e lui sarebbe stato ospitato in una grande casa.
Nella notte in cui era morto, André aveva rammentato quando i suoi occhi s'erano sollevati a percorrere, gradino dopo gradino, la grande scalinata che dava al piano superiore di casa Jarjayes.
Dalla sommità scendeva un moccioso, ciuffi biondi un poco scomposti, a incorniciare un viso di pelle chiara e lampi azzurri e labbra rosate.
Nessuna moina, nessun accenno di distanza tra sé – che lui era il figlio del padrone – e l'altro – ch'entrava in quella casa come servo.
Una…
Mocciosa?
Davvero lo scempio dell'esser rimasto solo era finito ingoiato in un istante dalla sorprendente realtà, impastata di freddo e d'un corpo esile e lieve, abbigliato da maschio, pantaloni e camicia, fusciacca alla vita, scarpe scure, calze bianche, gesti asciutti, severi, infinitamente corretti e potenti, sguardo stupito, a metà tra altezzoso disprezzo e severa curiosità.
Nella notte in cui era morto, André aveva rammentato che la mocciosa gli aveva lanciato addosso una spada, imponendogli d'interpretare, lì, su due piedi, un fantomatico scontro, che lei non voleva un compagno di giochi ma un avversario con cui gareggiare, ma lui le spade le sapeva a mala pena tenere in mano…
Nella notte in cui era morto, André era sopravvissuto così, fino a quando aveva udito l'ordine che lo seppellissero e gli occhi avevano ascoltato la pietosa carezza della pietosa e nuda terra, divenuta sarcofago nero e freddo, istoriato da vermi e erba secca, scompigliato dalle badilate incise nel terreno.
Il cielo quella notte si era chiuso e lui non era più riuscito a scorgere alcuna stella.
Non respirava più…
Era morto…
E nelle ore in cui era morto, aveva ascoltato i suoni cupi del buio, rapaci picchiettare sui sassi attorno al tumulo, zampe raspare sulla sua tomba, come per raggiungerlo e cavarlo fuori, e poi forse una mano sulla faccia ch'era scorsa e l'aveva accarezzato e liberato…
Ma lui era morto e anche da libero era riuscito a sussurrare un solo nome, che però nessuno lo aveva compreso.
Quel nome, sempre lo stesso - "Oscar…".
Lo pronunciò, come allora, anche se allora nessuno aveva risposto…
"Respira…" – gli ordinò lei, mentre le mani andavano a liberare il viso dai cristalli farinosi e soffocanti, che André fece altrettanto con il viso dell'altra, accarezzando le linee, scorrendo al profilo, immaginandolo, pur con lo sguardo chiuso, così da evitare che la neve gelasse le pupille, così d'accarezzarlo come lo aveva sognato e scorto per tutti i giorni della sua vita, da quando l'aveva conosciuta, da quando non aveva avuto più freddo.
Nella notte in cui era morto, André aveva rammentato la prima notte che aveva trascorso a casa Jarjayes.
Nel grande letto morbido, dopo aver terminato di ordinare la legna accanto al forno della cucina e aver ricevuto il bacio della buonanotte da nanny, André aveva ascoltato mani e piedi e faccia via via accarezzati dal tepore emanato dalla visione della mocciosa, che lui se l'era ritrovata poco fuori della camera, un moccolo di candela in mano, lo sguardo severo fisso a lui, a chiedergli, lei per prima, di esserci, restare lì, che il giorno dopo avrebbero avuto altro da fare, altro da raccontarsi.
Il giorno dopo…
Nessuna moina, nessuna concessione all'affetto o alle maniere tipiche delle mocciose che imitano le civette adulte.
Solo un'occhiata, la fiamma del moccolo riflessa nell'onda celeste dello sguardo e lui aveva annuito, muto, mentre il calore dirompente dell'esistere lì e dell'esserci lì e il giorno dopo, aveva via via inondato muscoli e coscienza.
Il giorno dopo…
Il sordo boato del concetto - il giorno dopo…
Ecco, era stato allora che s'era ritrovato il cuore e i piedi e le mani più tiepidi e s'era ritrovato con quel senso fondo della vita, che non era proteggere l'altra, né allenarsi con lei, né prendersi a pugni o a cuscinate, né sgraffignare biscotti caldi dalla placca appena uscita dal forno…
Nulla di tutto ciò.
Solo esserci…
Il giorno dopo e il giorno dopo ancora.
Dirompente essenza della vita, declinata entro la sublime voce muta dello sguardo adagiato alla visione di sé entro lei.
André aveva tradito quel patto.
L'aveva abbandonata, era fuggito da lei, ma lei lo aveva seguito.
Non lì, non in America, ma sotto la pelle, tatuaggio indelebile della più insidiosa delle battaglie, dello strazio più nauseante, del più sublime dei contatti.
L'amore…
La più solenne delle maledizioni.
Lei, adesso, era di nuovo lì!
"Dobbiamo uscire!" – sibilò Oscar, quando ritrovò la faccia dell'altro libera e scoperta e per un istante si videro e rimasero a guardarsi…
Che però, istante dopo istante il gelo inondava le vene e il sangue e tutto si raffreddava come colpito a morte da una sciabolata ghiacciata, che d'istinto Oscar avvicinò la faccia alla faccia di André, il naso toccò il naso, il respiro si mescolò a quello dell'altro.
Nella notte in cui era morto, André aveva rammentato che qualcuno aveva scavato attorno alla sua tomba ma poi, forse disturbato dal via vai della corte di miserabili che venivano a deporre fiori sui tumuli dei soldati saltati in aria, quello se n'era andato, lasciando pochi pollici di terra tra il morto e il cielo.
Le unghie s'erano aggrappate alle stelle, graffiando avidamente terra e sassi e scansando erba e blatte…
Vermi e millepiedi erano scivolati addosso…
La bocca aveva masticato rena amara e sangue…
La nausea era cresciuta ma le gambe e le braccia avevano sferzato i sensi a muoversi, annaspare, scostare a poco a poco la materia terrosa che impediva di muoversi.
Nella notte in cui era morto, André era risorto, aggrappandosi ai ciuffi d'erba imperlati di rugiada, sgusciando fuori dalla terra, come un rettile sgretola il guscio e piano piano nasce, cieco e sordo, capace solo d'annusare l'aria e seguire l'istinto di sopravvivere.
Sopravvivere…
L'unica accortezza, il guizzo feroce dettato dal dubbio che chi l'aveva seppellito non avesse particolare ambizione a rivederlo vivo e dunque non dovesse dubitare che lui lo fosse – vivo – fu di ridisporre tutto – terra, vermi, sassi e blatte - come se lui fosse ancora là sotto.
In fondo André Grandier era morto e così – morto – sarebbe vissuto!
Intuì che lei stava scavando a mani nude nella neve…
Fece altrettanto, le dita ormai insensibili, nemmeno riusciva a comprendere se davvero quelle erano ancora capaci di muoversi oppure, trafitte dal gelo, erano morte e ciò che si muoveva era solo il pensiero.
Tossirono entrambi…
Smaniosi d'aria rischiarono di ritrovarsi la gola colma di cristalli duri e compatti e gelidi, a raggelare anche il poco calore che ancora consentiva ai riflessi d'insistere e movimentare respiro e polmoni a mantenerli in vita.
Annasparono fino a rivedere la luce.
Si issarono fuori dal sarcofago bianco…
Raggelati e quasi morti, dapprima a carponi, poi di nuovo in piedi, ripresero a camminare, questa volta cingendosi la schiena l'un l'altro, abbinando il passo, i respiri, lo sguardo puntato a superare l'insidiosa massa biancastra.
Nessuno dei due parlò più.
Oscar rimase nell'abbraccio di André, rammentando il giorno in cui lui era venuto a cercarla sfidando la tempesta nera, il sangue inghiottito dal dubbio che lei avesse accolto l'invito di Fersen a restare.
Ora lo ascoltava…
Ora lo vedeva…
Era come se il tempo avesse preso a riavvolgersi all'indietro.
Ma se era davvero colei che André amava, allora anche quel giorno lui l'aveva amata e dunque quella corsa, il mantello gettato addosso, l'abbraccio lieve, altro non erano che echi d'un disperato amore che soltanto a quel modo sarebbe vissuto.
Inciampò…
Un ginocchio a terra…
Un grido…
Lo strappo alla spalla sferzò i muscoli…
Pazza!
Non hai capito nulla di lui…
Nella notte in cui era risorto, André aveva camminato a lungo e nel buio e nella solitudine aveva ripassato per bene i propri passi…
Il cervello aveva lavorato bene. Nei mesi precedenti aveva seguito passo passo l'evolversi della guerra ed era stato abile a scrivere molte lettere, molte più di quelle che avrebbe spedito se fosse vissuto.
Alcune le aveva inviate personalmente.
Altre le aveva affidate ad un moccioso, un ragazzetto indiano conosciuto a Fort Awegen e che, testardo e schietto, lo aveva scambiato per una specie di padre, sostenendo che lui avesse bisogno di qualcuno che si occupasse dei suoi stivali, delle sue briglie, del suo cavallo.
Insomma…
Argo era il soprannome che il soldato francese aveva affibbiato all'indigeno, svelto come una lepre e furbo come un ermellino.
Non era più riuscito a scrollarselo di dosso, il moccioso, così che le lettere le aveva affidate a lui.
Tutte quelle ch'era riuscito a scrivere prima di morire.
E dopo!
L'unico disastro…
L'occhio sinistro…
Un calcio alla porta malmessa…
I corpi piombarono dentro la catapecchia che tremò nera di gelida polvere.
Tossirono di nuovo schiantati a terra, distesi, le dita gelate, il respiro ghiacciato di sangue e morte.
Gli occhi chiusi, Oscar s'accorse che André tentava di sollevarsi, un mugugno…
Lo squadrò intuendo il mantello strappato, la carne attinta da chissà quale rovo spinoso…
"Sei ferito…" – masticò severa…
"E tu sei sempre la stessa! Perspicace…non ti smentisci mai!" – la chiosa sferzò ironica…
"Che diavolo ti prende?" – rimbeccò lei incredula.
"Dico che se non ti fossi opposta…se non ti fossi intestardita a disattendere la mia richiesta…saremmo tornati indietro entrambi e a quest'ora saremmo morti! Dunque grazie!".
"André Grandier! Sei un idiota!".
"Grazie ugualmente!".
Un ginocchio a terra, l'altro si rialzò a fatica, rimettendosi in piedi, il passo pesante a dirigersi verso una catasta di legna che sbucava da un angolo della catapecchia.
Pareva conoscere l'ubicazione di quanto c'era intorno, dunque lei comprese che l'altro era vissuto lì, in quell'ennesimo antro, giusto un poco più grande del precedente, ma chissà dove, disperso nel paesaggio dei Grandi Laghi.
"Devi alzarti…" – ordinò lui – "Dobbiamo accendere il fuoco o moriremo di freddo…io devo uscire…".
L'altra non era in grado di rimettersi neppure seduta, che si rovesciò sulla pancia, strisciando fino al camino: "No…dove vorresti andare?" – obiettò di nuovo.
"Tornerò presto…".
"André!".
La fiammata dall'acciarino infranse il buio, regalando un barlume di calore e d'evanescente speranza.
Pochi istanti per accertarsi che il fuoco avesse attecchito e André scomparve di nuovo e lei lì di nuovo in scacco, a tenere a bada il fuoco che a poco a poco prese vigore, rischiarando i contorni della stamberga.
Gli occhi orientarono i sensi, le mani si mossero a predisporre l'ennesimo paiolo ove fece scivolare un cumulo di neve gelata.
Il tepore del metallo quasi arroventò le dita gelate…
La mente annientata prese a organizzare gli stessi gesti che aveva visto compiere a lui, replicati dopo aver trovato un sacchetto di strana farina giallognola.
Ne fece scivolare quattro pugni nell'acqua, quella prese a sciogliersi e poi a rapprendersi, mutando in una strana poltiglia ambrata che pareva colla.
Chiuse gli occhi, i sensi aggrappati ai deboli schiocchi della legna che bruciava, al borbottio del ribollire della solida crema, agli schianti dei rami piegati dal peso della neve, di fuori, in attesa di passi che non c'erano, in attesa d'un ritorno, l'ennesimo, mentre il vuoto comunicava lo stesso smarrimento di quello vissuto in Francia.
Una parte delle agognate risposte le aveva avute.
André era vissuto lì per tutto quel tempo.
Riconobbe la sobrietà dell'altro, la ruvidezza di poche basilari convenzioni entro cui era scorsa la sua vita, tanto in Francia, quanto lì, nel continente americano.
Le parve di essere di nuovo nella sua stanza, vuota, fredda, e lui finito chissà dove, e lei a immaginarsi tutte le parole che non gli aveva detto, tutti i silenzi che gli aveva rovesciato addosso.
Il calore a poco a poco prese a inondare lo spazio e ad ammansire i sensi distrutti, che il gelo si ritrovò costretto a ripiegare fuori, come serpe scacciata dal piede di Dio.
Che però, scacciato quella, il dolore riprese a martellare il braccio, la ferita riaperta stillava sangue raggrumato e sporco.
Si costrinse a pensare, a dedurre ciò che non sapeva dalle rozze parole udite dai due sinistri soldati, unite alla reazione dell'altro, scomposta, distrutta, come se ciò che aveva vissuto fosse stato molto più d'un pestaggio.
Nel gergo militare si pesta un avversario per indurlo a comprendere chi comanda, chi detiene le redini del destino altrui, quelle ufficiali e quelle ufficiose.
Un pestaggio tutto sommato è cosa ovvia, nota, quasi inevitabile alle volte, se il malcapitato non ha dimostrato doverosa sudditanza.
Il corpo piegato dalla fatica dei passi, il corpo che lei aveva abbracciato raccontava altro, d'inusitatamente violento, capace di sporcare l'anima di una donna tanto quanto quella di un uomo.
Il dolore crebbe…
La nausea pure…
La stanchezza giunse ad alleviare la morsa e lei si ritrovò di nuovo a terra come un cane ferito che attende il ritorno del padrone.
Il cane non s'accorse che quello era tornato, chissà quando, perché quando se ne accorse, l'altro aveva già rimescolato la poltiglia, aggiunto qualche pezzetto di carne secca, due uova, riversato il tutto in due ciotole, una accanto a lei, che ancora dormiva mentre lui silenzioso s'era messo a mangiare, senza attenderla, appunto come se lei non ci fosse.
"Ti conviene sbrigarti…ti scalderà…" – consigliò alla fine André asciutto pulendosi la bocca con il palmo della mano.
Oscar tentò di tirarsi su, il freddo aveva corroso i muscoli e lei negò, adducendo che non aveva fame.
André allora afferrò la ciotola, si sporse a sollevarle la testa con un braccio. L'adagiò su di se, ch'era seduto, così da consentirle di mangiare.
Poche cucchiaiate alla volta, Oscar prese a masticare piano, chiudendo gli occhi, intuendo la mistura calda che scivolava nello stomaco senza regalare alcun gradimento, se non quello della mera sopravvivenza, intuendo la propria testa addosso a lui, tenuta su come se lei fosse stata in punto di morte.
"Devo medicarti…" – proseguì André alla fine del pasto, senza abbarbicarsi entro eccessivi convenevoli.
Oscar questa volta aprì gli occhi, li sollevò e lo guardò, lui chinato su di lei e lei pressoché distrutta, senza forze, il corpo racchiuso in una specie di implacabile tela di ragno.
La mente invece, corroborata dalla vicinanza, guizzò feroce e furibonda a riguadagnare il tempo perduto.
Un pensiero unico, istintivo…
Lo voleva!
Lo voleva per sé, come un tempo, come la prima notte in cui lui era giunto a casa Jarjayes e lei, dopo la cena, dopo essersi infilata la vestaglia, aveva atteso di riconoscere il silenzioso incedere del riposo della servitù, il vuoto delle stanze, la calma della notte, e aveva imboccato lo scalone ed era scesa giù per ritrovarsi davanti alla porta di quella che da quella sera sarebbe stata la stanza del nipote di nanny, al piano terra.
Gli aveva domandato se il giorno dopo lui sarebbe stato lì, senza una particolare ragione…
Solo…
Essere lì, il giorno dopo.
Oscar rammentò che André aveva annuito e per la prima volta il cuore aveva accusato un inusitato balzo, come il corpo si fosse abbandonato a rotolare giù per una collina, nel fresco abbraccio dell'erba alta, o come un uccellino che, pronto a volare, s'avvicina al bordo del nido e sprimaccia le ali e poi si butta giù nel primo tuffo verso la vita oppure verso la morte.
Nessuna creatura nascendo conosce il proprio destino ma ammette il senso della vita che inebria e atterrisce al tempo stesso.
Ecco…
André era divenuto il senso della vita, quella interiore, intima, segreta.
Quella che ognuno si porta dentro e a cui attinge per compiere un passo e un altro ancora, nella distorsione del sole cocente, nella lunga note insonne, nell'alba che preannuncia la pioggia.
Era una parte di sé e come ogni parte di sé, inebriava e atterriva al tempo stesso.
"Va bene…" – ammise Oscar tentando di sollevarsi – "Mi lascerai fare lo stesso con il tuo braccio?".
André perse il respiro…
Era forse la prima volta che Oscar domandava il permesso d'avvicinarsi…
Annuì anche lui d'istinto, stanco e provato.
Il chiarore del fuoco ormai intenso si posò sul quadro di pelle offeso, mentre André tentava di concentrarsi a ripulire i lembi della ferita che si era riaperta.
Strinse i denti l'altra, le mani sorprendentemente aperte in grembo, come una vergine che attende la lama inflitta sul cuore.
La camicia zozza, grigia, macchiata di sangue, fradicia di neve nera…
"Non puoi tenerti quello straccio addosso" – concluse André andando a rovistare in un sacco buttato in un angolo e cavando fuori una specie di scampolo di stoffa dall'informe fattura d'una camicia che pareva pulita, tela grezza e scura ma pur sempre pulita – "E poi…".
Rimase con gli occhi su di lei, mentre lo straccio lurido era lì per scivolare via, lei fissa a lui come a sfidarlo a restarle addosso, a dire senza pudore e senza vergogna quel che lei voleva sapere.
Sono io…
La stoffa stracciata e lurida s'aprì piano, scoprendo la spalla chiara, tonda e lieve, la leggera curvatura della clavicola, l'insenatura morbida che conduceva al seno libero…
André abbassò gli occhi, allungò la mano, per afferrare la stoffa e trattenerla lì, che non scivolasse giù, come per darle il tempo d'attendere che lui si scostasse, che però lei fu più veloce e corse alla mano, afferrando il polso a sua volta, stringendolo, come a tenerla lì, la mano, su di sé, inebriata dal dolore della ferita, folle d'averlo di nuovo davanti…
Sono io?
Implorato, che s'innervosì André, forzò a ritrarre la mano, che però s'inasprì a presa contrapposta a imporre di restare, e allora la strana battaglia si consumò in pochi istanti ma alla fine fu lei a vincere, inanellando le dita alle dita, il palmo appoggiato al dorso della mano di André, la mano tenuta lì e poi sospinta a sfiorare la pelle lieve…
Le dita s'appoggiarono contraendosi, mentre il tocco s'espanse innervandosi oltre il senso del tatto, coinvolgendo i sensi altri, esplodendo quasi nella testa, alla stregua della valanga che li aveva appena travolti.
Gli occhi sussultarono, cercandosi e unendosi d'istinto, e l'udito si colmò del sangue che scorreva e batteva nelle tempie, mentre l'aria sussurrava risalendo dalla gola una muta parola di stupore.
Di scatto, André scostò la mano, sgusciando via dalla presa, approfittando dell'istante d'un bieco ammorbidirsi delle dita dell'altra, ch'era come se l'altra avesse voluto per sé quel tocco e una volta ottenuto, gli avesse chiesto d'esser lui a desiderarlo, d'esser lui a mantenersi su di lei, liberamente, entro un ambiguo rimbalzo di pulsioni…
Una follia!
"Vestiti!" – ruvido mentre scostava lo sguardo – "Io farò da me!".
Vigliacco, che intendeva…
"No…avevamo un accordo…" – che lei s'avvicinò questa volta, dando fondo alle residue forze, chiuse e strette e trattenute entro lo sguardo ebbro di febbre e rabbia.
André ammise che non era bene scivolare entro l'ennesimo scontro, non ne avrebbe avuto forza lui e nemmeno lei.
Si rassegnò dunque mentre lei intingeva un panno pulito nell'acqua tiepida.
Si rassegnò ad ascoltare le sue mani scivolargli addosso…
Come un tempo, quando le osservava.
E allora i gesti asciutti e severi e sempre misurati e corretti del passato, inaspettatamente, risorgevano alla mente, e la mente si cacciava lì, a interpretare la stizza delle dita a stringere le redini, i finimenti rigidi capaci di tagliare la pelle dei palmi.
I suoi palmi…
Le sue mani…
Sei un pazzo…
Le dita lunghe e flessuose a torturare i sensi, insinuandosi attraverso il suono ovattato e schiumoso del sapone che accarezzava il cuoio.
Lisciare il finimento e immergerlo nell'acqua…
Ammorbidirlo così da renderlo più flessibile e meno teso e duro.
Stavolta fu lei a scostare un poco la tela ruvida della camicia, andare con le dita ad allargare i lacci che stringevano la chiusura sul petto, allentare la stoffa, scorgere la pelle, restare lì ad accarezzarla solo con lo sguardo e la pezza umida, senza sfiorarla.
Il respiro trattenuto…
"Ti faccio male!?" – domandò tentando d'interpretare l'insofferenza, il tono era lieve, febbrilmente debole, come piegato da giorni e giorni di solitudine ora riversati lì, entro gesti altrettanto leggeri, piccoli cerchi a eliminare il sangue raggrumato, che però di contro pareva fosse lei in quel gesto a godere del sollievo di ripulire i graffi dalla mistura rappresa.
Come liberasse se stessa, così liberava il desiderio d'averlo per sé.
"No…" – sussurrò André che intuiva crescere la smania, che invece che sollevare i sensi, li inghiottiva come entro una sorta di palcoscenico nero.
Non si capacitava delle intenzioni ma soprattutto non comprendeva chi fosse colei che si ritrovava accanto.
Le dita scorsero a fasciare i graffi…
Il braccio di André ripulito era rimasto lì, anch'esso abbandonato in grembo mentre lei tentava di risistemare la camicia, un gesto assurdo, inconsueto…
Questa volta lo speculare moto si riverberò al contrario che fu lui ad afferrare il polso dell'altra e stringerlo, perché lei non osasse avvicinarsi oltre, infrangendo il muro che li aveva separati da sempre, invisibile, fatto di convenzioni, rango, carriera, onore, orgoglio, sesso, amore, odio.
"Può bastare!" – sputò severo, tentando d'allontanare la mano, un po' com'era accaduto pochi istanti prima mentre la sua era stretta in quella di lei.
"Che ti è accaduto?" – riprovò Oscar.
"Mi hai appena medicato! Non l'hai visto da te?".
Nel buio…
Il ricordo della terra fredda a scolpire il fetido olezzo nella testa…
Nel buio, il corpo immobile…
Sentore di sabbia e foglie marce e risate asciutte, ghigni bastardi a lambire la pelle, perquotere i sensi…
Frusciare di vesti e cinture…
Nel buio…
Il corpo libero e nudo, immobile, attinto da gesti secchi…
Ordini sputati addosso…
Impossibile adeguarsi e seguirli…
Nel buio…
Il rifiuto...
La corda stretta ad impedire all'aria d'entrare…
Il sangue rappreso, impresso sul viso…
Gli occhi gonfi, chiusi, appiccicati, impossibile tentare d'aprirli…
Nel buio…
Incedere di mani rozze ad imporre un consenso…
Nel buio…
Un altro rifiuto, anche se l'aria non entrava…
L'odore della morte, addosso, ficcata nella coscienza…
Il rifiuto equivaleva alla morte…
André tornò a fissarla dunque.
L'aveva davanti a sé adesso…
S'era aggrappato a lei, allora…
Inusitato desiderio d'averla addosso…
Barlume accecante dettato dalla sua pelle, dai seni piccoli, puntati addosso, accarezzati piano…
Gemito lieve respirato lì, nell'incavo, tra collo e spalla…
Pensieri erranti, ultimo baluardo alla pazzia…
Nel buio…
L'odore della morte infiltrato in ogni pertugio della carne e della coscienza…
Il corpo immobile…
Una risata smargiassa…
L'odore della morte…
Non voleva morire, non poteva morire…
Non senza averla vista un'ultima volta. Solo un'altra volta.
Ora l'aveva davanti a sé…
Come rovesciarle addosso l'Inferno in cui era sceso?
Come rinfacciarle un amore che si sarebbe nutrito del disgusto e della resa?
Non avrebbe potuto.
L'amore non impone un sacrificio a sé ma impone un sacrificio all'altro…
Se le avesse detto che l'amava, lei sarebbe divenuta depositaria di quel sacrificio.
Non avrebbe mai potuto imporle nulla…
Non così…
Non riuscì a lasciare la mano questa volta, che lei ascoltò una presa più fonda, come se lui si stesse aggrappando a lei, muto, arreso ma incapace d'accoglierla.
Mille cristalli di neve, mille domande, mille dubbi…
Scendevano lenti infrangendosi contro il muro di rabbia, abbandono, distacco…
Spiazzò allora la domanda di Oscar…
Sorprendente lo sguardo, fisso a lui…
André sussultò…
"Quando l'hai incontrata?" – chiese lasciando la mano ferma nella stretta di lui.
André rimase un istante interdetto, non comprendeva - "Chi…".
"Come chi…lei…mi hai detto che è una femmina no!?" – continuò l'altra ondeggiando un poco, la voce usciva quasi melodiosa, arresa ormai all'impossibilità di far breccia nel dolore dell'altro, ma intestardita a restare lì, su di lui, e scavare nel tempo passato, entro gli snodi occulti…
Che poi davvero era curiosa...
"Oh…" – André comprese e comprese che per spiegare come l'aveva incontrata avrebbe dovuto raccontare di sé, non proprio tutto, ma quel tanto che sarebbe bastato a condurlo a lei - "E' accaduto…avevo perso l'orientamento…ho camminato per diversi giorni senza incontrare nessuno…".
Oscar ascoltava, gli occhi socchiusi, la mano ancora lì, entro la stretta di André, e ciò bastava, perch'era ciò ch'era mancato da quando lui se n'era andato.
"A un certo punto la strada ha iniziato a salire, incuneandosi entro le rocce…ho immaginato che dall'alto avrei potuto comprendere dove fossi finito…" – André lasciò la mano di Oscar e fu lui stesso a lasciar scivolare giù la camicia come per farle comprendere.
Non c'era solo la cicatrice all'occhio ma svariati segni al fianco sinistro…
L'orrore imbrigliato nell'attesa del racconto.
"Invece mi sono ritrovato in trappola. Non potevo tornare indietro e la salita mi era diventata estremamente difficile. Era notte. Sono rimasto aggrappato alle rocce per scampare a un temporale e mentre ero rannicchiato lassù mi sono accorto che a poca distanza da me c'era un nido…ho allungato la mano…pareva vuoto mentre in realtà uno dei piccoli era rannicchiato in un angolo. Un po' com'ero io. Non c'era traccia della madre. L'ho afferrato e l'ho infilato nella camicia…e poi…".
"…".
"Mi sono svegliato in un villaggio…ero stato salvato dagli indiani, io s'un pagliericcio e lei avvolta nella mia camicia ormai a brandelli come fosse un nuovo nido. Sono stato curato…e così lei. Però poi ho lasciato tutto e me ne sono andato…".
Di nuovo un salto nel vuoto, il racconto s'interrompeva, avaro di particolari, come se di nuovo il sentiero fosse finito entro un buco nero.
"Da allora è rimasta sempre con me…" – concluse André volgendo lo sguardo altrove, come a immaginare l'azzurro del cielo solcato dalla bestia guizzante – "L'ho chiamata Pur…non vuol dire nulla…è un nome senza significato…alle volte accade che qualcosa non abbia alcun significato. Ma lei è libera…".
"Perché non sei tornato a Fort Awegen?" – chiese l'altra e poi si morse il labbro, perché quel tassello era forse comprensibile. Perché le infernali parole dei due soldati ammazzati dettavano l'olezzo d'un infernale passo…
Un respiro fondo, Oscar tornò a guardarlo ma André era già andato via, anche se era ancora lì.
S'immaginò di forzare il dialogo, stava per esordire, di nuovo, ma l'altro spiazzò e squarciò l'esile trama fino a quel momento intessuta.
"Monsieur Jaques Neker ha pubblicato un resoconto piuttosto controverso…" – ammise André tra il serafico e l'ironico.
"Cosa…" – sorpresa dalla chiosa che pareva avulsa da tutto.
"Sì…se ciò che ha scritto è vero…venticinque milioni e settecento mila livres * per le spese di corte…".
"Come fai a conoscere…!?".
"L'appoggio alle colonie americane deve essere costato molto alla Francia…Monsieur Neker avrebbe assicurato che le finanze francesi sono in buono stato eppure…se queste cifre non fossero vere che per difetto…".
"André!".
"E pare che ventotto milioni di livres siano destinati a pagare le pensioni degli aristocratici…".
Tutto sfuggiva, dove voleva arrivare…
Distogliere da ciò che era stato, indurre a immaginare che lui non fosse scomparso ma fosse sempre stato lì, vicino alla terra da cui proveniva.
"Credi che tutto ciò potrà continuare a mantenersi a lungo?" – la domanda eruppe severa, quasi non fosse una domanda ma già risposta – "O non sarà forse che Medea in cambio della giovinezza eterna, si prenderà anche la vita di Esone?". **
"Che vorresti dire!? Medea…rammento che lei restituisce la giovinezza a Esone…".
"Sì…a lui sì…e così si rivela nella sua essenza…una sorta di strega…capace di mutare il destino degli uomini…".
"André…".
"Non…ha importanza! Allora, Versailles è ancora così splendida!?".
La domanda conteneva la risposta…
Snervante e senza senso…
Se Versailles avesse voluto mantenere il proprio splendore…
Quale prezzo avrebbe pagato…
Il fuoco ravvivato che il gelo non avesse la meglio…
Pungeva la visione del passato, come un raggio di sole freddo a illuminare un marmoreo monumento funebre.
"Sono…stanco…" – concluse André senza attendere risposta – "Sono stanco e tutti e due dovremmo riposare".
Oscar comprese che la battaglia era conclusa, di nuovo. Non avrebbe cavato altri particolari, se non generiche ammissioni, chiose eclatanti che avevano raggiunto le terre d'oltreoceano attraverso chissà quali messaggeri.
La mano s'appoggiò di nuovo alla schiena, com'era accaduto nel loro fortuito incontro, intuì ascoltò il respiro di André, un poco disarticolato, come se nel sonno, lui fosse finito in uno strano combattimento.
A poco a poco si fece buio e lei fu costretta a rannicchiarsi ancora di più sotto la coltre di pellicce e coperte, una specie di antro dentro l'altro.
Non dormiva…
Nel buio…
Ascoltò il corpo dell'altro cedere all'Inferno…
Nel buio…
La coscienza intuì la forza estranea, ruvida, livida…
Ogni residuo intento di salvezza piegato e distrutto…
Era come se André stesse morendo, seppure era ancora vivo.
Non riuscì a restare distante…
Si avvicinò, il viso appoggiato alla schiena, il braccio ad abbracciare il corpo dell'altro.
Uno scarto dell'incubo produsse un subitaneo risveglio, che il colpo s'abbatteva addosso, come ogni notte dal giorno in cui l'offesa si era piantata addosso, marchiata a fuoco nell'intelletto e nella coscienza.
"No…" – disse piano André, per scansarla e al tempo stesso per non ferirla…
"No!" – rispose lei, per averlo accanto e al tempo stesso evitare di ferirlo…
Nel buio, lui moriva…
Oscar lo cinse, appoggiandosi a lui, tutta, per abbracciarlo mentre lui moriva ancora e ancora.
Il corpo piegato, spezzato…
La carne straziata e lesa…
Progressiva ed inevitabile consapevolezza dell'insulto…
Spinte ripetute…
Agonia delle viscere…
Gola chiusa…
Le mani s'aprirono, le dita tentarono di scansarla da sé, come fossero tornate a graffiare sassi, terra, vermi, blatte.
Non voleva che lei si sporcasse...
Nessun appiglio…
Nessuna salvezza…
Sussulto sgraziato…
La bocca muta…
Oscar rimase lì, caparbia…
"Ho sperato di rivederti…non ho mai creduto che tu fossi morto…".
La muta preghiera avvolse André, il nome di lei sigillato nelle labbra mentre le lacrime inondavano la coscienza.
Oscar…
Tienimi…
Nascondimi…
"Non sei morto…nemmeno se fossi stato tu a dirmelo…non sei morto. E io sono qui…".
Chiunque fosse stata quella donna…
E se non fosse stata lei…
E persino se fosse stata lei, davvero…
Non era più lei, lì, in quel momento.
Non più Oscar François de Jarjayes…
Lascia che sia io…
Lascia che io sia una donna…
La donna che hai amato…
* J. Necker -Compte Rendu au Roi - Janvier 1781
** Ovidio - Metamorfosi Libro VII
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