I'm trying to hold my breath
Let it stay this way
Can't let this moment end

You set off a dream in me
Getting louder now
Can you hear it echoing?

Take my hand
Will you share this with me?
'Cause darling without you

All the shine of a thousand spotlights
All the stars we steal from the nightsky
Will never be enough
Never be enough

Towers of gold are still too little
These hands could hold the world but it'll
Never be enough
Never be enough

For me

Never, never
Never, never
Never, for me
For me

Loren Allred

Never Enough

Never be enough

Non s'era più avvicinato.

L'ultimo bacio, in punta di labbra, ebbro d'estasi, stranito dal sangue che pulsava nelle vene, che faticava a farsi strada nella realtà vera e nella coscienza, fu il primo frammento che emerse dalla coltre silenziosa del mattino.

Le ultime parole che aveva udito, prima che lei si addormentasse…

Resta…

Inimmaginabile…

Per tanti, troppi anni, aveva vissuto d'impalpabile desiderio stretto tra le dita, le unghie conficcate nei palmi, lo sguardo basso, mezzo passo dietro a lei, e lei ora era impressa dentro di sé, come eco di sé caduto giù, dentro di lei, mentre la mente era distrutta, dubbiosa che tutto fosse reale e non invece bieco sogno indotto dalla caduta negl'Inferi.

Non s'era più avvicinato.

Aveva ascoltato il corpo dell'altra, immobile, scivolare in un sonno profondo.

Aveva pregato per se stesso e per lei, che s'acquietasse lo sfregio, idiota d'esser stato capace lui stesso d'averla colpita così a fondo.

Unica ferita ch'era scorsa come acciaio e miele al tempo stesso.

Non s'era più avvicinato.

Succube dei pensieri erranti, aveva chiuso gli occhi che forse mancavano poche ore all'alba.

Era stato allora che d'istinto, come addormentato, s'era avvicinato, il corpo dell'altra rannicchiato su un fianco e lui accanto, un braccio ad accarezzare la fronte, scostare i capelli, indugiare sul volto addormentato, come mai l'aveva rammentato.

L'aveva abbracciata piano, per non svegliarla.

Come a Brest, come allora.

Beffato dalla stanchezza, si ritrovò a sua volta beffato, lo sguardo dischiuso e la penombra della capannetta attraversata da fredde lame di luce gelida che sbucavano dalle rare fessure.

Il giaciglio accanto al proprio era vuoto.

André allungò la mano, la coperta era fredda, dunque lei doveva essersi alzata già da qualche ora.

Scattò a sedere, stranito dal sonno, il corpo un poco indolenzito, come ripiegato sulla sequenza marchiata sulla pelle, alla stregua delle dannate cicatrici.

Invisibile lo attraversava la vertigine.

L'aveva amata e quell'amore adesso era lì, muto e potente, impresso come rovente stigma.

Poteva Amore provocare lo stesso instabile e doloroso straniamento d'una violenza?

Si guardò attorno, l'antro scuro era vuoto, non c'era traccia dell'altra, se non che mancavano i calzari di pelle, il mantello, i vestiti.

Il cuore ebbe un balzo.

D'improvviso s'immaginò che fosse uscita.

Peggio ancora, che fosse fuggita.

Termine assurdo per una come Oscar François de Jarjayes, che lei non era mai fuggita da nulla, ma se avesse voluto sarebbe scomparsa di netto, come un'improvvisa folata di vento estivo.

Si rivestì in fretta, il sole bianco accecò la vista mentre i passi concitati portavano fuori.

La coltre gelata sferzò frustando i muscoli che a poco a poco ripiombavano della dolorosa solitudine.

Pazzo…

L'aveva amata ed era lì, di nuovo lì a immaginarsi che lei non ci fosse più, che fosse fuggita.

Da lui, dalla prigionia ormai certa, che lei stessa doveva aver percepito chiudersi attorno a sé, un carcere di sghembe assi di legno, colline innevate e bianche, foreste spoglie e fitte, sentieri ormai cancellati, nessun appiglio, nessun luogo ove fuggire per riprendersi la propria libertà.

Pazzo…

Non avrebbe dovuto cedere, non avrebbe dovuto amarla, mentre era prigioniera.

Per quanto Oscar François de Jarjayes era sempre stata libera non era il momento di cedere alla follia di quell'amore.

I passi avanzarono veloci mentre l'unico occhio accecato dalla luce e dalla rabbia tentò di trovare il debole passaggio dell'altra sulla neve.

I suoi passi, la sua via di fuga…

Il cuore in pezzi, perché non c'era verso di distinguere tra il desiderio di vederla libera e quello d'averla per sé.

Non era possibile distogliersi dal fremere contratto, dall'istante in cui tutto s'era compiuto, ove il sangue aveva incendiato vene e cuore, il battito quasi sperduto, inghiottito dalla resa.

Dunque amare non significa cercare il bene dell'altro, ma significa possederlo.

Non si può amare senza desiderare l'altro, averlo per sé, isolarlo dal resto del mondo, così che l'altro non abbia occhi che per l'amato e non abbia respiri che per l'amato.

Nei passi presero a riemergere i grezzi respiri, i battiti appena percepiti e via via veloci…

Nei passi, André torno alla folle paura, al balzo simbiotico della reciproca resa…

Nei passi, André scorse alle proprie mani che l'avevano afferrata, insolenti e straziate, senza tregua, senza compassione…

Nei passi, André tornò al sentore della rosa distrutta, la carne violata, i suoi occhi offerti e arresi eppure sublimamene feroci e vivi…

Pazzo…

T'avrebbe ingannato sino a questo punto?

Nei passi, André tornò a stringere le mani, i pugni chiusi al niente, le dita conficcate nei palmi…

Sublimi i corpi che si amano e s'uniscono, disfacendosi nell'innocente materia oscura di vergine passato…

Nel furioso combattere della tempesta di spezzati respiri…

Era stato affondo inesorabile…

Giù, assaggiato nell'oscuro nulla della coscienza dispersa…

Che lei non era più che rosa straziata dal vento impetuoso…

E nemmeno lui era altro che impercettibile anelito d'inusitata follia…

Erano stati…

Assieme…

Erano stati…

Altro…

Da sé e da lei…

Accetta…il mio imperfetto amore…

Rammentò allora quell'abbraccio, frustata e carezza al tempo stesso…

Tienimi stretto…

Nascondimi…

Aiutami…

Sì, lei l'aveva stretto a sé, allora come adesso…

L'aveva salvato allora come adesso…

Un fischio…

André si fermò, il respiro un po' corto mentre la neve mossa dava conto del passaggio di qualcuno.

Non avrebbe potuto gridare, non avrebbe potuto chiamarla.

Non avrebbe potuto rischiare che altri recuperassero il luogo dove erano finiti.

Non aveva senso, ma si vergognava di credere che lei fosse fuggita.

Di colpo, osservando in alto, scorse il falco che sfidava la gravità e spiccava veloce ad allontanarsi dalla terra, per poi compiere un primo giro ampio, poi un altro più stretto.

La vide alla fine, la bestiola, ritornare verso il basso, come l'avesse visto.

S'immaginò che il falco lo avesse seguito, fece per alzare il braccio ma l'animale lo superò sfiorandolo e poi tornando indietro.

André lo seguì fin dove poté la vista, la bestia si perse nella boscaglia.

Riprese a correre allora, i piedi scivolavano, il corpo si faceva strada a fatica tra gli arbusti coperti di neve.

Il cuore in pezzi…

Lo sguardo sgranato avanti a sé.

Il braccio alzato, il mantello adagiato sulla neve, il riverbero a specchiarsi sull'oro scuro.

Il corpo magro accoglieva il tuffo della bestiola che s'adagiava di nuovo, accompagnando con un fischio acuto la conclusione del breve volo.

"Brava…".

André rimase lì, a osservarle, entrambe, una bestiola quasi addomesticata, una donna del tutto selvatica, poco lontano, a intonare il grazioso ringraziamento al falco che dunque in pochi giorni aveva accettato l'altra come pari, così che adesso godeva della fiducia della bestiola.

Erano stati…

Assieme…

Erano stati…

Altro…

Da sé e da lei…

Scorsero addosso…

Il suggello della perdita, la voragine del non essere…

"Che stai…" – domandò un poco stranito e risentito d'averla persa, era accaduto ancora ma non lì, in una terra sperduta, e non dopo… – "Facendo?".

Dopo…

Lui se n'era andato…

Oscar si voltò.

Muscoli e vene, cullati dal sublime smarrimento, disgregati e dispersi entro sconosciuti meandri di vaga pochezza…

Risorsero i battiti, che lei strinse i pugni a sua volta, come per tenersi in piedi e non cadere di nuovo dentro…

Risorse l'abbraccio allora, l'aveva abbracciato, l'aveva stretto a sé, e non c'era modo di sfuggire a un banale abbraccio, che dunque a quello attingeva e così rimase lì, la bocca dischiusa al respiro appannato del cuore che batteva piano…

Non disse nulla, un sorriso acerbo si sciolse al riverbero della luce, semplicemente sorrise, del sorriso disarmante dei mocciosi quando comprendono d'aver colto nel segno, d'aver imparato chissà quale artificio, ma d'essere anche in torto per non aver detto o fatto qualcosa d'importante.

André comprese che la solitudine che l'aveva blandito e sorretto fino ad allora d'improvviso era stata spazzata via ma di essa lui s'era illuso, per consolarsi che mai lei gli avrebbe rivolto che un solo sguardo, e ora lo sguardo era vivo, il corpo teso, la sensazione era che anche lei, in un balzo, sarebbe potuta volare via e scomparire, lasciandolo lì, di nuovo solo.

Oscar non era fuggita.

Forse non da lui ma dal loro tempo, perché chissà che sarebbe accaduto se lei fosse rimasta lì, fino al risveglio di entrambi.

Si era svegliata presto, l'aveva ascoltato mentre dormiva, l'aveva osservato, il volto finalmente sereno, in pace, lieve e bello, intensamente suo, come non lo era mai stato nessun essere umano.

L'aveva accarezzato…

L'altro aveva mormorato poche parole, nel sonno.

Il suo nome…

Il terrore impresso addosso che lei aveva scorso nelle dannate cicatrici…

Pochi passi per raggiungerla, avvicinarsi, fissarla mentre lei restava immobile in attesa…

Avrebbe voluto sgridarla, come si fa con i mocciosi, indispettito da quella che non era una fuga ma che lui aveva temuto tale.

Dunque non era rabbia quella che provava ma paura, che però non avrebbe mai avuto coraggio di dimostrarle.

"Sei uscita…".

"Era presto…dormivi…".

Che parole scorrono tra gli amanti dopo aver fatto l'amore?

Quali chiose, quali orpelli potrebbero abbellire il muto linguaggio fatto di morsi e baci, carezze e respiro?

Quali parole sarebbero mai sorte dalla bocca, ch'essi si conoscevano da sempre, erano stati come fratello e sorella, ora che ammettevano che non lo erano più, anzi, non lo erano mai stati?!

"André…" – fece per avvicinarsi Oscar, per sporgersi, come instupidita dalla figura dell'altro, dal corpo che adesso stava lì, ritto e un po' freddo di fronte a sé, come avvolto da una specie di scuro alone di disprezzo, che le era parso cogliere in un guizzo di sfuggente vertigine.

Le guance di rosato freddo s'accalorarono e la coscienza scansò testarda il subitaneo frammento di fuoco…

Lui se n'era andato…

Fece per aprire bocca, come per bere la silenziosa e liquida incertezza che ondeggiava negli occhi, il dubbio d'avvicinarsi e cedere di nuovo, lasciarsi abbracciare per godere dell'umida carezza ch'era scorsa tra i sensi.

Andrè non la lasciò proseguire, sospeso anch'egli, dinnanzi all'aura più oscura del sacrificio riversato su di lei, che lei non aveva mai parlato di amore, aveva nascosto lacrime e respiri pur di non lasciarsi scoprire da nessuno, ch'era fuggita perché nessuno l'avesse vista scambiare parole di sprezzo verso il conte che amava.

André la vide, lei, bella, abbandonata, chiusa tra le sue dita, la pelle rischiarata dal fuoco, le mani a lisciare i fianchi, accarezzare la schiena mobile, come animale che gode del contatto…

André si diede del pazzo.

Non sapeva più che diavolo voleva, se non che lei era bella, talmente bella che lui sarebbe caduto lì, in ginocchio, ai suoi piedi, vigliaccamente succube dello stolto amore.

Non poteva cedere. Oscar non meritava di essere amata prigioniera e nemmeno d'essere amata da un uomo che l'amava così tanto d'averle tolto la libertà.

La resa dell'altra, lo sguardo che implorava d'essere amata di nuovo, disfaceva le forze, incattiviva gl'intenti.

Le mani corsero ad afferrare i lembi del mantello, glieli tirò su come a chiuderle meglio l'indumento addosso, attorcigliando i lacci così da avvolgere la figura e porla al riparo dal freddo.

Un gesto galante all'apparenza, un contatto netto, quasi feroce…

"Andiamo!" – secco, che lei sussultò, come avesse preso un ceffone in faccia.

Era André, quello…

Era lo stesso uomo che aveva amato poche ore prima?!

"Dove?" – rinsavì, recuperando l'antico orgoglio, affaticato a lasciarsi imbrigliare dall'infingardo amore.

"A caccia!".

Un fischio più risoluto, il piccolo falco si staccò dal braccio della nuova padrona per obbedire e appollaiarsi sull'avambraccio dell'antico padrone.

"Adesso?!" – contestò lei un poco risentita della freddezza.

"Se non ti sta bene o non ti senti in grado, puoi tornare indietro. Qui non siamo in Francia. Te l'ho già detto. Se non mi procuro di che mangiare moriremo di fame. E c'impiegherò più di una giornata, dunque…".

Il senso era andare o restar lì, come accaduto nei giorni precedenti.

Sola e chissà per quanto tempo…

"No…" – sempre più allibita dalla rovente freddezza dell'altro.

"No cosa?!" – gelido…

"André…no…intendevo…vengo con te. Sto meglio…non voglio restare sola…".

"E sia…andiamo…".

Lo chiosa disarmata procurò una fitta al cuore.

L'intento non era ferirla ma solo tenerla lontano da sé.

Se lei gli fosse tornata vicino, se lei avesse appoggiato di nuovo la bocca accanto alla guancia o all'orecchio…

Avrebbe perduto ogni residuo barlume di lucidità.

L'avrebbe ripresa e stretta a sé e baciata, ancora e ancora…

E sarebbero morti di fame!

Non voleva che lei lo amasse così, come sua prigioniera, come futura merce di scambio.

Grandi passi a distanziarsi dall'altra, come André non fosse più in grado di starle accanto, come volesse in realtà separarsi da lei, proprio per non separarsi.

Era difficile…

Le due figure si mossero una dietro l'altra, una nel solco dell'altra, in silenzio, mentre il padrone ordinava al falco di riprendere il volo e precederli.

Oscar comprese come André aveva organizzato le sue battute di caccia.

Abbastanza geniale servirsi del falco che con vista acuta poteva orientare i passi nella direzione delle trappole ch'erano scattate a catturare lepri o pernici.

Si fermò pochi passi indietro.

La ferita alla spalla aveva ripreso a dolere, distolse lo sguardo appena in tempo, appena sul punto d'intuire il riverbero della vertigine tagliente che ammorbava il ventre, mentre André si chinava ad aprire la tagliola e tirare il collo della pernice bianca rimasta impigliata.

Altri passi, l'animale morto penzolava sulla spalla, legato per le zampe.

Un altro stridio…

Una lepre parimenti imprigionata.

Questa volta fu necessario un coltello per tagliare la gola del povero animale, evitare che soffrisse oltre…

Oscar era stranita, stupita della fredda padronanza dei gesti con cui André procedeva, come se avesse sempre praticato quell'arte, la caccia senza armi, come invece accadeva in Francia.

"Da quando…" – chiese per rompere il silenzio dei passi affondati nella neve – "Hai imparato…".

Per quanto disgustoso, anche quello era tassello non vissuto, un tempo in cui lui aveva fatto altro da ciò che aveva fatto assieme.

Da giovani ci avevano provato a catturare qualche topolino nel fieno delle scuderie o rane nello stagno, gli animaletti venivano poi liberati, non c'era necessità di ucciderli, né per mangiarli, né per torturarli.

Il fatto che l'altro invece avesse una tale dimestichezza nel togliere la vita alle bestie catturate…

"Te l'ho detto o ti arrangi o muori di fame" – secco – "Qui nessuno che regala nulla a nessuno! Puoi solo procurarti merce da scambiare…".

La chiosa s'abbatté sulla poca voglia di parlare, già messa a dura prova dalla lunga camminata.

Oscar iniziava a essere stanca, la proverbiale resistenza pareva sciogliersi e sgocciolare via, istante dopo istante, assieme ai mille rivoli d'acqua gelata dai rami.

André se ne avvide. Si morse il labbro. L'aveva tenuta a distanza per tutto il giorno. Non avevano mangiato nulla, l'unica acqua bevuta quella raccolta con le mani.

S'erano fermati a riposare solo pochi minuti. Oscar pareva disorientata, fiduciosa negli intenti dell'accompagnatore ma ormai incapace di adeguarsi al ritmo della traversata.

Di fatto erano risaliti sulla collina, per poi ridiscendere dal versante opposto, infilarsi in una specie di gola che costeggiava un corso d'acqua intrappolato nel ghiaccio, la corsa veloce dell'acqua sotto lo strato di neve, nella direzione opposta alla marcia, dunque s'addentravano verso la sorgente.

La caccia aveva portato quattro pernici e due lepri.

"Siamo quasi arrivati…" – disse André rallentando il passo, allungando la mano ad afferrare quella di lei. Era fredda, la strinse e si maledisse. Avrebbe dovuto respingerla e farla tornare indietro, imporle di restare nella catapecchia, di nuovo sola, com'era accaduto non appena l'aveva incontrata.

Vigliacco ed egoista non c'era riuscito, perché questa volta era stato lui a non avere più avuto coraggio di restare solo.

Era la sacrosanta verità.

La voleva con sé, anche a costo di distruggere le poche forze che ancora le consentivano di reggere il passo.

Di nuovo dieci miglia a ovest, ancora più lontano dalla sperduta catapecchia, ancora più lontano da Northampton, Fort Awegen, New York, Parigi.

Questa volta erano assieme…

Oscar riconobbe svariati pennacchi di fumo ondeggiare che saliva verso l'alto nell'aria pungente della sera, il sole ormai tramontato, solo pochi ultimi raggi davano contorno al paesaggio scuro, ormai inevitabilmente grigio e vuoto e freddo, le ombre scomparse, i respiri inspessiti dall'umidità e dal gelo che presto avrebbe distrutto ogni residuo brandello di forze.

"Passeremo la notte qui. Non possiamo tornare indietro. Ci riposeremo…lascerò questi animali e in cambio proverò a ottenere carne secca ed un poco di farina e anche qualche uovo…e patate…".

"Insomma è una specie di mercato…".

"No…ti sbagli…".

"E allora?".

Mentre si avvicinavano, dalla neve presero a spuntare fagotti color beige che avanzavano verso di loro, avvolti dalla luce nera della sera, dal silenzio greve del paesaggio vuoto e candido.

Si distinsero gridolini e risate…

Erano bambini…

Mocciosi indiani che correvano loro incontro, come se li conoscessero.

Di certo conoscevano André.

Lei no, che non appena intuirono che l'ospite non era solo, i più piccoli si bloccarono, i visetti un poco sorpresi, poi via via terrorizzati, gridarono, riguadagnando in fretta la via che riportava indietro.

I più grandi rimasero a fissare un poco stizziti la coppia che avanzava.

André non era solo, quelli non si sarebbero avvicinati.

"Siamo in un campo indiano. Questa gente non ha trovato posto nelle riserve più a nord o forse non ha accettato le condizioni di pace delle altre tribù, non ha accettato di farsi rinchiudere dove hanno stabilito gl'inglesi. Hanno dovuto lasciare le loro terre e per il momento si sono stabiliti qui. E visto che a loro è proibito sconfinare nei territori delle altre comunità, comprese le terre dei coloni, hanno poche possibilità di cacciare. Così, per quanto mi è possibile e dato che ormai sono morto, mi sono offerto di catturare per loro qualche animale…in cambio di pelli e carne secca. E' inverno e più persone si muovono e meglio è".

La spiegazione s'abbatté come una scure sui pensieri erranti e disfatti dalla stanchezza.

Seppur le altre rimasero a galleggiare nella mente, una su tutte, tra chiose spiccò nera…

André era morto…

Chi aveva mai amato dunque…

Rabbrividì e strinse di più la mano. Se quella era la mano di un morto…

Si fermò a osservare i bambini…

Quelli finalmente l'ebbero sotto gli occhi e chissà come la riconobbero, per averla già veduta forse, chissà dove.

Anche lei rimase a osservarli, forse erano gli stessi che aveva veduto attorno a sé, dopo esser stata ripescata dal baratro d'innevata sconfitta.

"Dunque sei sempre venuto qui?" – chiese per recuperare brandelli di vita passata, la sua senza di lei.

"Si…".

"Ma l'altra volta…Pur non è venuta con te…l'hai lasciata…".

"Ne ho fatto a meno. Mi dispiaceva lasciarti del tutto sola. E poi avete fatto amicizia. Nel caso non fossi tornato, lei ti avrebbe guidato sin qui".

"Che…".

"Idiota si…lo so già!".

Oscar era immobile, la mano stretta nella mano dell'altro.

La tenne lì, stretta nella stretta, stringendola…

André era morto…

La vertigine ripiombava addosso e rimbombava come onda impazzita.

Quasi sentì venir meno il respiro e le gambe e…

Lui la tenne su, abbracciandola, che così fu anche peggio e fu lei questa volta a desiderare di scacciarlo via.

Quella notte non sarebbero stati soli, non avrebbe potuto averlo per sé, non avrebbe potuto amarlo, dunque che diavolo gli era saltato in mente all'altro di finire lì, proprio quel giorno, come l'avesse fatto apposta, così che lei si sarebbe ritrovata ad anelare anche un solo bacio impossibile da chiedere, figurarsi ottenere?!

Oscar sentì la mano di André stringersi ancora di più alla propria - "Che ti succede?" – chiese…

L'altra aguzzò un poco la vista, finalmente riconobbe, in mezzo agli altri marmocchi, il moccioso delle lettere.

"Quel bambino…si chiama Argo…" – chiese per aggiungere un altro tassello al passato livido come il deserto al tramonto – "Gliel'hai dato tu quel nome?!".

"Argo…" – sussurrò André, trattenendo il respiro, incerto se declinare la conoscenza oppure fingere di nuovo di non sapere nulla.

Il nome ma soprattutto il moccioso era stato tramite tra sé e lei, tra sé e il passato, tra sé ed i lunghi anni in cui lui era stato lontano.

Non avrebbe mai immaginato che lei avrebbe letto le lettere destinate a nanny, non avrebbe mai immaginato che il proprio nome sul registro dei soldati caduti nella Guerra d'Indipendenza americana, avrebbe convinto Oscar a intraprendere quel viaggio.

Non si fidava della decisione dell'altra d'essere stato lui, il solo artefice della traversata.

Però le difese andavano pian piano sgretolandosi…

André era stanco. Stava perdendo la lucidità necessaria per tenere in piedi la rappresentazione scura e toccante che aveva tessuto attorno a sé, attorno al proprio amore, per proteggere lei da sé…

"Si…è lui…" – ammise alla fine.

"Quando l'ho incontrato…".

"Tu hai conosciuto Argo?" – domandò André, poco convincente, come ne fosse sorpreso ma poi non troppo, Oscar trattenne il respiro, allora, come a trattenere la rabbia crescente.

La convinzione che André avesse sempre saputo tutto di lei, seppur non coscientemente, seppur non nell'intenzione di sapere, torturava le viscere.

Aveva amato un uomo senza sapere nulla di lui.

Non ciò che aveva sempre saputo da quando, bambini, si erano incontrati, ma dopo, da che lui se n'era andato.

Era così diverso quell'André e al tempo stesso era sempre lo stesso.

"Mi ha raccontato che un soldato gli ha affidato delle lettere…tu eri quel soldato…erano le tue lettere…".

Un altro tassello, André fece per allentare la presa, Oscar non accettò la fuga e tenne la mano stretta.

Forse per orgoglio, forse per paura, non l'avrebbe lasciato, o forse non voleva più restare sola.

Dal gruppetto di mocciosi emerse una figura adulta seppur un poco piegata dal peso degli anni.

"Shani…" – sussurrò André andando verso la vecchia indiana.

L'altra accennò un sorriso al volto dell'uomo, poi lo sguardo nero e curioso si adagiò a quello dell'ospite sconosciuto.

"Dunque…ecco colei che è come luce…luce di alba e di fuoco…".

"Cosa…" – Oscar non comprendeva.

Mormorii divertiti presero a serpeggiare tra i mocciosi che avevano preso coraggio e forti della presenza della vecchia Shani si erano fatti attorno.

Parole mezze indigene e mezze francesi…

La vecchia indiana allargò la destra facendo strada - "Venite…siete i benvenuti…".

Lo sguardo puntò a quello degli uomini ch'erano seduti attorno ai bracieri incandescenti, sotto la grande tenda che dopo tre strati di tessuti e pelli accolse i passi degli sconosciuti viandanti.

Mentre dietro, rimasti fuori e a bocca asciutta, spingevano i mocciosi, punti dall'innata curiosità, dentro occhi anziani e neri negavano l'ingresso al luogo ch'era destinato ad ospitare quelli ch'erano considerati i capi della tribù.

Con sorpresa, Oscar si avvide ch'era proprio l'avvizzita Shani a stringere il governo della ristretta cerchia di vecchi indiani.

Un respiro fondo…

"Lei no" – disse piano Shani rivolto ad André – "Deve uscire".

Lui slacciò la presa della mano, di scatto, come a obbedire al comando della vecchia.

Oscar si risentì della presa di distanza - "Vorrei restare".

"Non puoi!" – sibilò Shani severa…

"Perché sono…francese?" – obiettò decisa, mordendosi il labbro che non poteva essere quella la spiegazione, dal momento che anche André era francese e a lui era consentito restare.

Shani negò in silenzio.

"Allora perché sono una donna…" – altra obiezione assurda, tutte le congetture originate da pregiudizi lontani nel tempo, figli di regole che non parevano appartenere a quel mondo.

Eppure, lo sguardo s'abbassò al consesso. Shani era una donna e ve n'era un'altra seduta accanto a uomini anziani.

"Non puoi restare" – concluse Shani parandosi davanti ad Oscar, il ciglio tra il compatimento e il disprezzo – "Non puoi e non ci sono spiegazioni, se non che dobbiamo parlare ad André".

Alle spalle s'avvicinarono alcune giovani donne, Shani fece loro cenno - "Va con loro…so che sei stata ferita. Ti daranno acqua per dissetarti, per lavarti e ripulire la ferita. Non puoi restare…".

Dunque un'altra donna che ne sapeva più di lei e che sapeva tutto di lei.

Oscar corse allo sguardo di André, un accenno di sciocca e svenevole gelosia, che pure annientava la smania di vedersi messa da parte.

Lui era l'ultimo appiglio, per tenere a galla il proprio orgoglio.

Di nuovo una sorta di sprezzo severo s'abbatté su di lei, come raramente l'aveva scorto.

Forse nei rari momenti in cui aveva perduto una qualche sfida!

A chi sapeva reggere meglio un buon boccale di birra…

A chi tagliava il traguardo a cavallo per primo…

A chi appioppava sberle più forti…

Ma no…

Quello sguardo…

Oscar rabbrividì mentre dal fondo delle viscere riemergeva l'onda calda e fina a togliere il respiro, come lei fosse stata sott'acqua, lì lì per morire, e senz'aria il corpo ne avesse ricavato una sorta di viscido e insano godimento.

Ma non era finita sott'acqua…

Eppure s'era ritrovata le membra disperse in un vortice di struggente nostalgia…

I muscoli scossi…

La mente annientata dall'assenza di sé, come rapita altrove…

E allora com'era possibile osservarsi riflessa in quel cenno di fonda alterigia, di sferzante distacco?

Le parve in un istante che neppure fosse accaduto nulla tra di loro, nemmeno un giorno prima.

Chissà se davvero lei aveva amato un uomo ch'era morto?

Chissà se lei aveva amato l'André d'un tempo?

Che però quell'André era vissuto solo poche ore, pochi istanti per amarla e poi era stato di nuovo inghiottito dagl'Inferi da cui era risalito.

"E sia!" – sputò amareggiata e risentita, inutile insistere, André non l'avrebbe aiutata, dunque doveva ritirarsi ferita nell'orgoglio, lei che non comandava più nulla e nessuno, nemmeno quello che un tempo era stato il suo attendente.

Un'occhiata di sprezzo, una folata d'aria fredda, e nel piccolo antro la tensione si sciolse, colmandosi di sentori di carne arrostita e legna asciutta che bruciava vivacemente.

Il silenzio plumbeo e calmo ridiscese, il breve intermezzo non aveva suscitato aperta riprovazione da parte degli anziani radunati, ma il disappunto era fondo e palpabile, perché per quanto le donne avessero ampio comando e responsabilità nella piccola comunità, accadeva solo per quelle che s'erano guadagnate il diritto d'essere al comando, di certo non per estranee dalle idee arroganti e senza alcun ritegno per le consuetudini altrui.

Vennero distribuiti carne e pesce, verdure e bevande dal sapore amaro e pungente.

"Dovete perdonarla…" – tentò di schermirsi André – "Lei non è abituata a restare in disparte…".

"Mi pare sia abituata a poco altro che a dar retta che a se stessa!" – contestò cinica Shani – "Spero abbia compreso che non l'abbiamo tenuta in disparte perché è francese o perché è una donna ma solo perche non può stare qui. Non può perché ciò di cui dobbiamo parlare riguarda lei…".

André si sorprese, una sorta di brivido inspiegabilmente caldo e freddo e pungente e tondo si mosse nelle viscere, come se i muscoli avessero d'improvviso recuperato la memoria di sé, forgiata dal corpo dell'altra, e di nuovo ne provassero desiderio, intenso e beffardo, stupido al punto che la ragione non aveva più modo di acquietare la smania.

Allo stesso tempo la paura serpeggiò livida, violacea, sanguigna

Shani tirò un respiro fondo.

La mano aperta si avvicinò al fuoco che languiva corteggiando la morta cenere.

La mano aperta, scura del tempo trascorso, rugosa d'intemperie e fatica, s'illumino d'una calda luce rossastra annidata nelle pieghe della pelle, come un sole ormai morente si spinge a rischiarare gli ultimi brandelli di una foresta nascosta.

"Lua Pietra Incandescente se n'è andata" – iniziò a raccontare, mentre gli altri astanti si ritrovarono a fissare muti André, come a chiedere muti che ne sarebbe stato di loro tutti.

"Cosa…Lua…è quella giovane…".

"Si…una mattina non l'abbiamo più trovata. Mancava un cavallo. Yellow Jacket ha accettato di andare a cercarla ma per ora non è tornato nemmeno lui. Forse è sulle sue tracce ma ciò significa che quella giovane sta andando molto lontano".

André s'ammutolì. Non comprendeva seppure tentava di comprendere.

E' lei che ha ferito la tua donna. Le ha piantato il pugnale nella spalla. Vai a sapere perché?! Anche lei viene da New York. Hanno viaggiato assieme…e anche lei ha rischiato d'essere ammazzata dai due soldati francesi! Eppure invece che provare a salvarsi, voleva solo ammazzare la tua donna…

Hai detto che i francesi non credono che lei sia morta…

Chi…la tua donna!?

Non è la mia donna! Chi…la sta cercando!?

Da Northampton, come hai saputo anche tu, pochi giorni dopo l'esplosione dei magazzini di polvere da sparo, è partito un plotone di soldati diretto a sud. Credo che al loro comando ci fosse un ufficiale francese, quello che aveva il comando di Fort Awegen. L'altro invece, quello ch'è giunto da New York è ancora qui…

Un ufficiale francese…

Victor…Parli di Victor Girodel?

Io…gli voglio bene. Ma so che non potrò mai restagli accanto. Non appartengo al suo mondo.

Lua conosceva Victor Girodel.

André rammentò d'aver provato un brivido.

Victor Girodel era l'uomo che il Generale Jarjayes aveva scelto per sostituirlo, quando lui fosse stato lontano, in America.

Ebbene…anche lui mi vuole bene e io farei di tutto perché lui ne voglia a me…ma…vuole la donna che adesso si trova con voi…

Oscar…

Si morse il labbro, in fondo era stato lui ad abbandonare il ruolo che da sempre aveva accanto a lei.

Mezzo passo dietro a lei.

Forse Victor era riuscito ad avvicinarsi a Oscar…

Si…ho conosciuto anche lei…in Francia. E poi ci siamo imbarcate a Brest per arrivare sin qui. A Ponta Delgada…quando lei è stata ferita…

Che…a…Ponta…Delgada!?

Victor ha deciso che non l'avrebbe lasciata sola…e così lui è andato a stare sulla nave dove si trovava lei. Li guardavo sempre…dal ponte…quando le navi si avvicinavano. Camminavano…parlavano…lei combatteva con i bastoni assieme a Madame Roma…

Mi hanno detto che sei stata tu a colpirla…perché…

Victor la ama…mentre lei…è stupida…è crudele…lei non lo ama…lei ama quell'altro…

Cosa…

Si…è venuta in America per cercare quell'uomo…si è vestita con un bell'abito solo per lui. Li ho visti a Northampton…hanno danzato assieme e poi se ne sono andati…

Se ne sono andati…

Ero arrabbiata con lei…Victor non merita un simile affronto!

Riemersero le parole di Fersen…

Sai perché è venuta a Brest?

Immagino per conferire con qualche ufficiale…

Hai visto giusto…sei perspicace…si…mademoiselle cercava me…

Ho confidato che non sapendo nulla su di te...lei fosse giunta a Brest per vedermi. In effetti me l'ha confermato e questo mi ha stupito ed al tempo stesso…

Mademoiselle…un amico prezioso ma ancor più una donna intelligente e scaltra…dannatamente bella…

Strinse i pugni André, la coscienza inghiottita dal riverbero delle parole della giovane indiana, dalle dannate chiose del Conte di Fersen.

Danzavano le bieche insinuazioni nello sguardo, assieme alle lingue dell'incerto fuoco, assieme alla contrazione ch'era scorsa sul volto dell'altra, nell'istante in cui lei l'aveva accolto, la carne silenziosamente ferita dall'innocente dolore.

Non era accaduto nulla, perché tutto era accaduto lì.

Lui e soltanto lui aveva inflitto il marchio tangibile d'un amore mai consumato.

Adesso lo sapeva.

Pazzo e dannato era stato, che in quell'istante aveva indugiato, per un istante, come sospeso, incerto se subire il colpo generato da un brandello di esistenza che non era stato suo.

Aveva dubitato di lei, aveva dubitato di sé.

Invece no, lei era stata sua, tutta, lo era stata sempre…

Si vergognava adesso e al tempo stesso il cuore batteva piano come a rammentare la calma intensa ch'era esplosa scivolando lenta, ammantando i muscoli, inebriando ogni senso che s'era via via perduto.

Non per questo tutto poteva dirsi riaggiustato, riordinato, messo a tacere.

André Grandier era morto…

Ma in tanti, Victor Girodel per primo, non credevano che lo fosse, e nemmeno che lo fosse lei.

Dunque era possibile che qualcuno lo stesse cercando e stesse cercando lei.

L'hai colpita per questo!?

Se tu ami una persona…non saresti disposto a fare tutto per quella persona!?

Anche uccidere!? No!

Siete uno stupido!

Se fosse vero ciò che dici…allora io dovrei uccidere il tuo Victor…

Tu ami quella donna!?

Io l'amo…ma non sono disposto a uccidere per lei…

Quello che parlava era André…

Quale André?

Mentiva?

André Grandier s'era tradito. Aveva ammesso di fronte a una creatura uscita dal nulla, estranea alla loro storia e al loro passato, che lui avrebbe forse ucciso chiunque si fosse messo tra sé e lei…

Non è difficile comprendere…se io mi macchiassi di un tale gesto…esso non può rivelare l'amore per una persona…colei che amo finirebbe per disprezzarmi.

S'era corretto ma l'altra aveva compreso.

Victor Girodel voleva Oscar François de Jarjayes…

Victor…

E poi Fersen…

"André…" – Shani lo richiamò alla realtà – "Quella donna è un pericolo per la nostra gente. Lei è viva, è qui. Tu l'hai tenuta lontana dalla sua gente, dai soldati francesi, e noi abbiamo accettato questa decisione, ma se adesso Lua dirà loro dove si trova…".

"Perché dovrebbe farlo?" – domanda idiota…

"Lua odia i soldati francesi…" – ammise Shani – "La sua famiglia, sua madre e suo padre, sono stati annientati da una guarnigione di francesi. Hanno avuto la disgrazia di trovarsi nel mezzo di uno scontro con gl'inglesi e quando la battaglia era cessata…solo Lua era sopravvissuta, solo lei. E' stata presa…".

André si ammutolì. Il ricordo dello sguardo sprezzante della giovane indiana galleggiava nella mente, lo sprezzo verso di lui, verso le sue proprie origini, come lei non facesse più parte di alcun mondo, né quello ove era nata, né quello ove s'era ritrovata a vivere.

Non era più indiana, non voleva più esserlo, ma non avrebbe mai potuto diventare francese.

Eppure Lua amava Victor Girodel.

André conosceva a fondo lo smacco di ritrovarsi al margine di un amore, sull'orlo del baratro generato da un sentimento folle e insensato.

Lui e Oscar avrebbero potuto essere amanti ma mai amarsi…

"Lua odia anche i soldati inglesi…" – il racconto proseguì severo, non c'era tenerezza nelle parole dell'anziana indiana, non c'era compassione, Lua non era colpevole di nulla, ma l'odio l'aveva precipitata in una pericolosa spirale, tale da rivelarla ancora peggio dei suoi aguzzini - "Lei era viva…era poco più che una bambina…si sono divertiti con lei…l'hanno usata e lei per sopravvivere è diventata ciò che è adesso. Non crede più nella sua gente, non crede più nel rispetto per la sua terra…".

"Forse non può…" – tentò di contestare André, come commosso dalla straziante storia della piccola Lua – "Forse il suo cuore è diventato così duro e asciutto perché tutti ne hanno mangiato un pezzo, tutti lo hanno deriso e usato e lei lo ha reso più duro del diamante…".

"E' vero…Lua è viva ma anche noi lo siamo. Che colpa ha la sua gente se non è stata in grado di proteggerla? Lei incolpa noi del suo disgraziato destino. Vuole la nostra fine, così come vuole che i francesi vengano sconfitti, così come vuole che gli inglesi abbandonino queste terre. Un giorno…quell'uomo…quell'americano di nome Franklin l'ha incontrata e l'ha portata via con sé. L'ha cresciuta come noi faremmo con un cucciolo di volpe. Una volpe resta sempre una volpe! Lua avrebbe potuto opporsi ma ha voluto lasciare la sua terra ed è andata con lui fino in Francia. Non sappiamo cosa sia accaduto ma lei adesso vuole solo vendicarsi di ciò che è stato fatto alla sua gente e alla sua famiglia. E dice che c'è un uomo che la ama, un soldato francese, probabilmente sta tornando da lui. Semmai Lua porterà qui i soldati francesi per noi sarà la fine…".

Lua Pietra Incandescente aveva incontrato Victor Girodel, mai esseri tanto diversi e distanti avrebbero potuto appaiare le loro esistenze.

Mai mettere le briglie al destino che orienta le sue scelte a prescindere dal rango e dai desideri degli uomini.

Forse Lua Pietra Incandescente aveva trovato in Victor Girodel l'amore – l'amore dell'uomo per un'altra donna, che non era lei - capace di distruggere tutto ciò che lei avrebbe voluto annientare.

Un uomo bello, scaltro, intensamente devoto a se stesso, pronto a sacrificare tutto pur di ottenere ciò che desiderava.

Tutto ciò che Lua Pietra Incandescente avrebbe voluto essere.

Nessuna redenzione, né per lei, né per nessun altro.

Lua lo avrebbe condotto lì, dove c'era colei che Victor Girodel voleva.

Lua avrebbe puntato il dito e l'altro, esecutore di vendetta, avrebbe esaudito la richiesta di annientare tutto ciò che la giovane indiana odiava.

In cambio Victor Girodel avrebbe ottenuto la donna che aveva scelto per sé.

"Che cosa posso fare?" – chiese André, distrutto dall'idea che coloro che gli avevano salvato la vita fossero proprio per questo in pericolo, annientato dall'idea che Oscar, la sua Oscar, sarebbe stata strumento involontario del dannato scenario.

"Isi non è potuto andare…Isi e Nova hanno avuto il loro primo figlio…" – sussurrò Shani con voce fredda e livida – "Yellow Jacket ha accettato di andare a cercare Lua. Ha il compito di trovarla e se non riuscirà a convincerla a desistere e a tornare indietro…allora dovrà ucciderla…".

La sequenza s'abbatté come una gragnuola di pugni.

"Isi e Nova hanno avuto un bambino…" – balbettò André incredulo – "E Yellow Jacket dovrà uccidere Lua?".

Le frasi ripetute solo per ammetterne il senso terribile…

"Sì…è nato qualche giorno fa. E' piccolo. Nessuno è venuto ad aiutarci e Isi non ha accettato di lasciarli. Non siamo ben accetti nemmeno dai nostri simili" – spigò Shani amara – "Non ci siamo piegati a farci mettere in un recinto…e allora siamo diventati nulla. Sai che significa essere nulla?!".

"Si, lo so…".

"Il bambino è piccolo ma forte. Dovrà sopravvivere in questo terribile inverno. Isi e la sua compagna lo accudiscono assieme. Isi si riposa e il bimbo sta con Nova e quando è lei a riposare…Isi sembra davvero una donna!" – rise Shani, commozione mista a scherno gioioso – "Invece Yellow Jacket…".

"Dovrà uccidere Lua?!".

Shani si voltò verso l'altro: "Così dice il destino. Se quella giovane non accetterà di tornare sui suoi passi, diventerà sarà un pericolo per tutti noi. I francesi non ci hanno mai combattuto apertamente. Ma nessuna donna francese è mai stata tenuta qui, lontano dalla sua gente. E tu hai detto che non vuoi riportarla indietro".

André pensò che quella avrebbe potuto essere la soluzione.

Il tempo di ristabilirsi e Oscar sarebbe tornata ad essere la Oscar di un tempo, il Colonnello delle Guardie Reali di Sua Maestà Re Luigi XVI, la Contessa Jarjayes…

Ma il salto nel buio s'era compiuto.

Lui l'aveva amata e rinunciare a lei, ora, sarebbe stato difficile.

Lei pungeva adesso…

Il suo volto lambiva la mente…

Il respiro silenzioso e veloce mentre il corpo scivolava sotto le sue dita era piantato lì, come un pugnale che attraversa il cuore.

Rinunciare a lei…

Ancora…

"Noi non possiamo andarcene ora. L'inverno è nemico troppo astuto e terribile da affrontare" - concluse Shani – "Non possiamo lasciare questi luoghi e faremo di tutto per sopravvivere. Ma se i soldati arriveranno e troveranno…la tua donna…per noi sarà la fine. Penseranno che l'abbiamo tenuta prigioniera. Siamo stati coinvolti nelle loro dispute, nei loro combattimenti, per molto meno. Noi abbiamo accettato la tua scelta di non riportarla indietro. Ti chiediamo di tenerla lontano da questi luoghi, di tenerla al sicuro. O meglio di tenere noi al sicuro da lei…".

Andrè annuì.

Annuì al nulla, annuì a ciò che era stato e a ciò che sarebbe stato per sempre.

Una specie di guardiano di Oscar François de Jarjayes, troppo vicino per poterla amare, troppo distante per poterla abbandonare.

Oscar diventava di fatto sua prigioniera.

Non avrebbe mai potuto avvicinarsi a lei in queste condizioni e nemmeno lasciarsi avvicinare.

Dio, l'aveva appena amata e…

Come sarebbe riuscito a tenerla con sé e al tempo stesso tenerla lontana da sé?

Un guizzo…

Isi aveva avuto un figlio.

"Come si chiama…il figlio di Isi?".

"Yas…" – rispose Shani, il sorriso un poco sdentato ma fiero – "Yas…calmo e intenso…potente e fiero…".

"Yas…" – sussurrò André, a imprimersi il nome sulle labbra e nella mente, così che il volto della piccola Victoire riemerse prepotente, la bocca sdentata, la risata fonda e un po' bislacca, le movenze rozze di un essere cresciuto nella miseria e divenuto quasi misero come lo era la miseria.

Il destino era stato crudele ma in fondo André ammetteva che il destino non c'entrava nulla.

Il destino era la miglior scusa dell'uomo per lavarsi la coscienza.

Semmai lui non fosse partito, semmai fosse rimasto in Francia, nulla sarebbe cambiato.

Ma lui alla fine aveva deciso di partire.

Il suo destino ce l'aveva cucito addosso, come fosse stato una seconda pelle. Esso non sarebbe mai mutato, anche se la loro storia sarebbe mutata per sempre.

Al diavolo il destino…

Al diavolo il passato…

Lei era lì, sulla punta delle dita…

Lei non sarebbe mai stata abbastanza…

"Ora puoi andare da lei…" – sospirò Shani alzandosi – "E' tua moglie giusto?".

André rimase colpito dall'affondo…

"No…" – balbettò incerto.

"Eppure…vi ho visto tenervi per mano. Non penso per timore dei nostri bambini…" – rise Shani un poco sorpresa della titubanza dell'altro – "Dunque forse per il timore di perdervi?".

§§§

La testa un poco ovattata…

Il cuore calmo, le gambe abbandonate al tepore del giaciglio.

Alla fine s'era arresa alle maniere un poco asciutte ma efficaci delle giovani che l'avevano quasi scortata entro un'altra tenda, poco lontana dalla prima.

Come in un nido, diversi marmocchi erano in braccio alle madri, alcune li allattavano, altre erano distese e cullavano il placido sonno. Una delle giovani teneva il fagotto in braccio, a mala pena s'intravedeva la testolina tonda, il profilo del naso piccolo, la bocca imbronciata come in attesa.

Alcune di quelle che l'accompagnavano si erano mosse silenziose, avevano porto acqua tiepida per lavarsi e più fresca per dissetarsi, un poco di carne, una specie di composta di frutta amara e nera.

Che poi non aveva molta fame, era solo stanca e stranita dalla lunga camminata, disorientata dalla livida freddezza di André.

Lui galleggiava nella mente, lui era impresso addosso e stava lì evanescente corpo d'abbracciare e d'accogliere.

André era di nuovo un ricordo e lei non riusciva più ad accettare l'infausta visione.

Aveva ringraziato, una parola in inglese e una in francese, assieme a un cenno della testa che dettava riconoscenza per le premure.

Le giovani avevano sorriso e alcune si erano avvicinate a mostrare i marmocchi.

Uno di quelli era piccolissimo, la testa pelata finalmente esposta agli occhi dell'ospite.

Oscar domandò chi fosse…

"E' il figlio di Isi…" – sussurrò l'altra, occhi rapiti dalla faccetta buffa del neonato che dormiva placido - "Yas…".

"Il figlio…" – che Oscar rammentò chi fosse Isi, uno dei due indiani che l'aveva salvata – "Isi…so chi è…gli debbo la vita…".

"Io sono Nova…" - annuì la giovane, come se sapesse che tutto era già stabilito, come se – essendo la compagna dell'Indiano Isi – sapesse già che la donna che si trovava di fronte era quella ch'era stata salvata, come a invitarla allora, in nome del sorprendente legame, ad accarezzare il bambino.

Che le dita s'allungarono un poco stranite, non aveva mai toccato un bambino, un essere così piccolo, la faccia beata che dormiva.

"Nella vostra lingua…significa neve" – spiegò la giovane orgogliosa, forse poco più che una bambina, forse davvero come lo era stata Amalie Jenevieux.

Via via le giovani donne si alzarono, uscendo, dopo aver compiuto i discreti riti di soccorso.

"Aspettate…" – tentò di trattenerle, ch'era sorprendente che quelle si fossero avviate nel buio bianco della notte alle proprie tende, che quelle avevano sorriso, gli occhi neri inghiottiti da fessure di giocoso scherno, come a domandarle il perché della necessità di altre spiegazioni.

Anche la giovane con il fagotto minuscolo in braccio le passò accanto, solo un rapido cenno all'ospite e poi via, verso il buio gelato.

Era rimasta sola. Nemmeno destinataria d'una qualche parola.

Era ancora peggio che a Versailles, dove là, almeno, serpeggiavano screzi di amanti e risatine di fugaci scherni che si perdevano per la lunghezza degli oscuri corridoi e davano orientamento ai passi, ovviamente da incanalare in direzione esattamente opposta.

Lì tutto era silenzio, tutto era fermo.

Fremeva il sangue…

Lo sguardo era chiuso, la tensione scomparsa, un unico fianco adatto a contenere la vertigine che s'irradiava dal braccio, lo smacco d'essere stata messa da parte ormai svanito, risucchiato dal boato che batteva nelle viscere.

Rammentò quando si era ritrovata sola, a casa Jarjayes, nella stanza vuota di André.

Rammentò le proprie mani, fredde, scaldate con pudica vergogna tra le gambe.

Tutto rimbombava…

Tutto pareva prendere fuoco piano piano…

Al diavolo tutto…

Le mancava…

Ciò che era accaduto non era bastato, non era abbastanza…

Era come se non sarebbe mai più stato abbastanza.

Frusciare di tessuti…

Schiuse gli occhi, intuì la sua presenza alle spalle.

Era André, era giunto sin lì, forse gliel'avevano consentito per via che loro due erano diversi da tutti gli abitanti del grumo di tende affogato nella neve.

Erano stranieri, francesi, uomo e donna, e non c'era usanza bigotta di tener separati i generi se non v'erano ragioni valide come l'esser troppo giovani o l'esser promessi ad altri.

S'immaginò che la stesse guardando, disteso, appoggiato al gomito sinistro, voltato verso di lei.

S'immaginò che si sarebbe abbandonato del tutto, chiudendo gli occhi, sazio di ciò che era accaduto la notte precedente.

Lei no, si ritrovava dannatamente vuota, come se l'effetto d'un vino soave fosse scemato e intelletto avesse desiderato ritrovarsi nel limbo d'una nuova ubriacatura.

Che dannazione era perdere lucidità a quel modo.

Si voltò piano allora, in un tempo lento, come a mimare un gesto racchiuso nel sonno, gli occhi chiusi, l'immagine di sé come l'avrebbe immaginata lui, sfrontata, come a pretendere d'essere guardata, intenzionata ad averlo per sé.

Pareva giocasse, fingendo di dormire.

Si ritrovò il respiro faticosamente imbrigliato, quasi interrotto, che gli pareva davvero che a lei non importasse più chi era, chi era stata.

Voleva…

Nel buio, André scorse il profilo scuro, le labbra un poco dischiuse, lo sguardo chissà se addormentato.

Nel buio rimase a osservarla, chino sul volto, sempre più vicino, ad ascoltare il calore della pelle, la bocca a rubare il respiro del sonno.

La punta del labbro sfiorò la punta del labbro, sorse l'impercettibile soffio a sciogliere irriverente saetta, come luce che irradia e illumina il cielo per perdersi entro le braccia acquose di nubi giganti.

La punta del labbro proseguì scivolando sulle labbra, il respiro calmo, come piaggia che scende fina e costante, appena udita nell'ovattato sussulto lieve del petto.

La punta del labbro si soffermò un poco a lisciare la pelle fina della bocca, le lievi increspature rosate, il bocciolo carnoso di respiro tiepido.

Che lei rimase lì, non volle aprire gli occhi ma restare così, immaginandosi d'attirarlo a sé muta, senza suono, senza respiro, così che lui, lei arresa, non avesse modo di restare lontano, il consenso rimesso a chissà quale recondita profondità della coscienza.

Non chiese, non parlò.

Voleva…

Essere osservata, muta, nuda, la guardia distrutta, i sensi arresi all'incessante fame dell'altro, impossibile d'acquietare.

Ciò ch'era accaduto non era bastato, non era abbastanza.

Non sarebbe mai più stato abbastanza.

Anzi, ora pareva quasi dimenticato, come cancellato da onda marina e allora il piede s'ostinava a pigiare di nuovo la sabbia, vincere la forza beffarda del mare, avere la meglio sull'effimero disegno dell'acqua e imprimersi con nuova impronta.

L'onda avanzava piano a solleticare i sensi.

Nulla era più bastevole, l'indugiare casto era segno intensamente desiderato, traguardo ambito.

Lei era rena e lui camminava piano, lasciava il segno d'un passaggio, impronta dopo impronta, carezza dopo carezza.

La bocca scorse a lisciare la guancia, s'appoggiò al naso, la lingua umida a solleticare l'appuntita rotondità…

Ogni lembo del viso richiamava sangue alle viscere…

Ogni passaggio s'insinuava, dipanandosi vertebra dopo vertebra, fino a raggiungere il sesso, annidarsi, come quello fosse accarezzato e lambito dalla lingua e dal respiro dell'altro.

L'onda lambiva la terra…

Cancellava il passaggio…

Ed esso s'imprimeva di nuovo.

I denti si schiusero a mordere…

Ciò che incontravano…

Carne tenera d'orecchio, lobo trattenuto e succhiato, soffice e sottile, inebriante e disperato…

Come a sfidare il finto sonno…

Come a comprendersi così, anche così, schermaglia giocosa che rubava il respiro e minava la coscienza.

Chi erano?

Che stava accadendo?

Finte domande, inutili risposte.

Tutto travolto dall'impercettibile scontro, pulsione quasi dolorosa, dunque viva, s'aprivano i muscoli e s'adattavano, modellati dall'instupidito affondo.

Gli occhi ancora chiusi, in ascolto della bocca che scorreva sulla palpebra destra, la fronte, una piatta carezza, e poi giù di nuovo a sinistra.

Li aprì, che ora lo sguardo anelava a osservarlo e vedersi riflessa entro i battiti accelerati, entro la carne che perdeva contegno, e la mente e i sensi la proverbiale freddezza.

Scorse lo sguardo di André, lì, fisso a sé.

Scorse desiderio e rabbia, orgoglio e disperazione, furiosa calma decorata d'intenso abbandono, come se solo lì, solo così vicino, lui avrebbe goduto d'un poco di pace.

Le labbra dischiuse, d'istinto, in segno d'impudica offerta…

Attese, i pensieri errabondi vinti dal pulsare ebbro della carne…

L'invocò l'altro, il suo scorrere su di sé.

Obbedì l'altro, come richiamato alle labbra, alla pelle, via via scoperta entro circoli liberi e piccoli, volute d'un impercettibile e silenzioso pasto…

Come lei fosse stata cibo di cui nutrirsi…

Docile amplesso da succhiare piano, lentamente…

Che per poco gli parve di cadere a terra, anche se era già a terra.

Lento, estenuante…

André aveva paura e desiderava averne e poi non averne più.

Era stanco d'avere paura, ciò ch'era accaduto non sarebbe mai stato abbastanza.

Più beveva dalla bocca e più aveva sete.

Più si nutriva del respiro e più si ritrovava senz'aria.

Nel buio, la mano destra di lei scorse al fianco ad afferrare la mano destra di André, il pollice si beò della conquista spingendosi nel palmo, soffermandosi a tessere piccole volute, in ascolto del muscolo tremante, dell'incerta cupidigia, conducendolo d'istinto addosso a sé, adagiandolo al petto, in ascolto del cuore che batteva adesso sempre più veloce.

Le dita irriverenti e avide restarono ferme, solo per un istante, poi si mossero a scalzare il tessuto ruvido, come in cerca d'altro, andando ad appoggiarsi sull'incarnato serico e tiepido, aprendosi ad accarezzarlo, che di nuovo la carezza inebriò e squassò il sesso, come attratto dai cerchi tondi e insistenti del palmo, a minare tutto, incidersi nelle viscere, ammorbare il ventre che s'apriva, schiudendo il sesso a stillare umida rugiada.

Non era necessario vederlo, lo sguardo si chiuse attraversato dall'essenza.

La stoffa scostata piano…

La pelle bianca s'aprì alle mani ampie che accarezzarono il costato appoggiandosi lì, a trattenerlo, mentre esso, scosso e indecente si offriva al tocco, mutava riverberando vertigine muta entro le dita, chiudendosi in impercettibile mossa a domandare un'altra carezza, aderire alle dita, guidarle con la sola immobile voluta del corpo che si lasciava toccare.

"Sei…bella…" – disse piano André, la gola chiusa dal pianto, mentre la mano scioglieva una carezza più audace, le dita imprimevano la corsa scivolando sul ventre, lievi, sul sesso, irriverenti a insinuarsi mentre lo sguardo osservava la liquida morte del respiro innalzato e molle, veloce e distante.

Non era abbastanza…

Come guidata dalla sua mano che guidava il sesso, lei si ritrovò a raggiungere le vesti pesanti dell'altro, tentò di scostarle piano, come non avesse possibilità di fare altro, come ad ascoltare il buio e la caduta…

Correre verso di lui…

Colmarsi di lui…

Saziarsi…

Toccarlo…

Accarezzarlo…

Perdersi…

Tutto per restituire non a lui ma a se stessa ciò che lui offriva.

Sorprendenti rimbalzi di echi muti…

Libere cadute sospese nel vuoto…

La coscienza perdeva la battaglia e il sangue inondava la testa e le viscere…

Era sua prigioniera…

In fondo lo era sempre stata.

E lui era suo prigioniero…

Com'era sempre stato…

La bocca stupita assaggiò il mantra del livido bacio…

Ruvido e morbido…

Fondo e osceno…

Cattivo e beffardo…

Le dita s'aprirono a scorrere addosso…

Nel buio, si sciolsero i respiri, sollevandosi, inebriandosi all'insorgere delle viscere che osavano di nuovo rivelarsi intensamente tese ad accogliersi…

Il brivido roco annidato in gola riemerse per essere ricacciato giù, livido di vergogna, incommensurabilmente eterno eppure nuovo, come mai pronunciato, assieme al tremito che prese a scorrere giù per la schiena, costringendoli ad avvicinarsi ancora e ancora per aversi e non perdersi e divenire assieme, uno soltanto…

Non era abbastanza dunque e ancora di più sorse il desiderio incattivito dal vuoto ch'era trascorso, dalle ore passate l'uno accanto all'altra, a respirarsi addosso ma senza toccarsi.

Nessun rumore…

Nessuna parola…

Nessun respiro…

Se non che il respiro cadde e s'innalzò e poi cadde ancora risucchiato dalla vertigine liquida strappata alle viscere…

Rimbombava il sangue…

Strisciava la pelle contro la pelle…

Un mugugno di placida resa, un sussurro d'istintivo amplesso…

Non era abbastanza…

Per nessuno…

Crudele discesa…

Oltraggiosa stretta…

Le mani a stringere i fianchi, il volto affondato nel petto…

Ondeggiarono i sessi ad accogliersi e unirsi in un unico spazio…

Desiderio senza fine…

Vortice di respiri…

Ondeggiarono i corpi a raggiungersi ed aversi, piano, lievi, sconfitti dalla caduta dei sensi…

"Resta…" – sussurrò piano, mentre la coscienza rimbombava colma di sé e dell'inevitabile discesa nel buio vortice dell'orgasmo – "Ti prego…".

"Non…posso…ti ucciderei…".

"Uccidimi! Non ha senso…vivere senza di te…" – cadde il respiro, cadde il corpo dilaniato dalla sublime resa – "Sei…qui…".

"Dovresti odiarmi…".

"No…ma se bastasse l'odio per uccidermi…allora…odiami…".

Non si odiavano…

Non avrebbero mai potuto.

Morì piano dunque, lentamente, il respiro fermo, lo sguardo chiuso, chiusa addosso a lui, colma del vortice che annientò il ventre, mentre il cuore rimbombava entro di lui e le spinte assumevano lo stesso passo intenso d'una corsa senza fiato, d'una discesa giù, nel fondo del mare, l'aria che non c'era mentre tutto era disfatto e distrutto.

Le dita s'intrecciarono alte…

Non c'era più peso mentre i respiri soli sorreggevano i muscoli…

Tutto cadde e tutto s'innalzò.

Piume solcavano il ventre…

Cerchi evanescenti di piacere s'allargavano e tutto avvampava e moriva…

Moriva, uccisa lentamente mentre le orecchie oscurate dal suono del sangue catturavano l'ultimo respiro roco, il corpo straziato incapace di morire dentro di lei…

Di nuovo…

Non sapeva nulla dell'amore.

Eppure, come esso fosse lingua di fuoco, sapeva che non andava lasciato spegnere, non andava abbandonato, allontanato da sé.

Il fuoco solo non sarebbe servito a nulla.

Il fuoco l'avrebbe scaldata e lei l'avrebbe curato e tenuto vivo.

Perché per quanto fosse, era lei che aveva necessità di quel calore, di lui, del suo abbandono a sé…

Non era abbastanza ciò che era accaduto.

Poco distante da sé, come cieca di fronte all'uomo che l'aveva amata e che ancora l'amava, seppur troppo succube del rispetto per lei, per averla e concedersi fino all'ultima lacrima di sé, afferrò i fianchi dell'altro.

Ebbra e ancora un poco stordita dal pulsare piombato che schiudeva la carne e quasi impediva di muoversi, si fece addosso a lui…

"No…" – si schermì, come impaurito dalla foga che trasfigurava, come non fosse nemmeno lei, che però l'amore conduce ad apprendere i gesti, a compiere il rito di curarsi del fuoco, impedire ch'esso si spenga…

Lo spinse un poco indietro…

Senza parole…

Ondeggiando muta, gli occhi fissi allo sguardo…

André non comprendeva eppure si lasciò guidare e poi comprese, come distrutto, annientato dalla bocca che scivolò lieve a baciare la carne, languire su di essa, scorrere dapprima piano, come pudica, uccidendo sì, uccidendo lentamente ogni residua forza d'opporsi…

Era finito…

Libero eppure incapace di muoversi…

Non avrebbe potuto, non era questione di volontà…

L'intelletto distrutto dal pensiero sottile e fugace ch'era lei ad aver desiderato di averlo, le accettava dunque la volontà d'impedire chissà quale esito nefasto d'un gesto d'amore, ma scansava quell'intento, l'aggirava, come una belva inferocita aggira la trappola per saziarsi ugualmente.

Intuì che ogni parte di sé andava in frantumi.

Le mani strinsero dapprima la coperta ruvida, una, due, volte…

Incapaci di restare sulla materia inanimata, corsero ai capelli di lei, appellandosi alla residua lucidità di resistere, allontanarla, farle male se fosse stato necessario…

Inaudito che lei avesse un tale coraggio…

Inverosimile che lui glielo permettesse…

Che l'amava così, inimmaginabile che quell'amore giungesse come sensuale ed ambiguo serpente capace di tenerlo lì, inchiodato, comandato, avvolto in tenere spire…

No…

L'istintivo egoismo dettato dal crescendo folle e senza più argini condusse a stringere i capelli…

Morì piano…

La carne tesa…

Rintocchi audaci e morbidi…

Il crepuscolo del sangue…

Tutto divenne buio.

Dannazione…

Era finito…

Morì piano…

Che il grido sfuggì dapprima pudico…

Respiri abbozzati…

Un grido roco…

Respiri distrutti…

Tirò un poco i capelli…

Ch'era troppo…

Ch'era impossibile…

Sorse dal buio, l'effige appena lambita dal chiarore scuro del braciere, divenne scura e nitida al tempo stesso, lo sguardo un poco lucido, quasi febbrile, come disperso nella resa della carne, immenso potere affidato al puro bacio.

"Ti prego…" – soffiò piano – "Abbracciami…".

Che lei gli scivolò addosso, piano, il morbido calore aderì al corpo che tremava come perduto in una dimensione fonda e senza scampo.

Ascoltò il divenire di sé accanto a lei anche se lontano da lei.

Ascoltò d'essere vivo, imparò che in qualunque luogo fosse stato mai sarebbe stato capace di amarla oltre ciò che accadeva, oltre ciò che ciascuno aveva donato all'altro.

Morì dunque anche lui, lentamente, baciando la bocca, bevendo se stesso dalla sua bocca, morbidamente raccolto nella suadente danza intrecciata e fonda.

Forse non era abbastanza…

Forse non era tutto…

Sfuggì un flebile sussurro…

Lei l'abbracciò tenendolo stretto, beandosi della tenue discesa dei muscoli entro il baratro dell'impossibile perdita di sé ed al tempo stesso dell'assoluto divenire pura essenza, pura esistenza…

Divenire…

Puri…

Divini…

Divenire essenza umana, altro da sé, assieme all'altro.

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