I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!
Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo,
Sette ai Principi dei Nani nell'Aule di pietra,
Nove agli Uomini Mortali dal fato crudele,
Uno al Nero Sire sul suo trono tetro
Nella terra di Mordor dove le Ombre si celano.
Un Anello per trovarli, Uno per vincerli,
Uno per radunarli e al buio avvincerli
Nella Terra di Mordor dove le Ombre si celano
J.
Il Signore degli anelli
(nuova traduzione)
All'alba
Al diavolo il destino!
Al diavolo tutto!
§§§
Il rifugio improvvisato accolse il corpo straziato dal freddo.
Con la mano ancora coperta dal guanto di pelo, Lua, si ripulì dalla neve ghiacciata che pareva ricoprirla come fosse stata una statua di sale o pietra.
Brandelli di cristalli appiccicati addosso e poi appiccicati alle mani…
Il corpo era freddo, il sudore quasi congelato.
La mente invece era lontana, a ripercorrere a ritroso la strada che l'aveva condotta sin lì da Fort Awegen e prima ancora dalla costa sbattuta dal vento e poi dalla Francia.
Sarebbe andata fino a New York se necessario.
Ciò che aveva visto era abbastanza.
Ciò che avrebbe riferito non sarebbe valso a nulla, ma almeno avrebbe vendicato l'onore di Victor Girodel, che anelava al cuore di una donna che non l'amava, che non lo vedeva nemmeno.
Victor Girodel non meritava di soccombere dinnanzi a tale affronto.
Victor Girodel era stato nemico e amante al tempo stesso.
Solo Victor Girodel dunque le aveva dato un'esistenza, l'aveva resa viva, e per quanto tale viscida esistenza fosse reietta e oscura, e per quanto la sua esistenza fosse stata rifiutata, Lua esisteva in quanto tale, in quanto rifiutata dall'altro.
Povera anima…
Sarebbe esistita così, amante rifiutata, esistenza ributtata indietro.
Invece quella bellissima donna, amata da Victor Girodel, sarebbe stata piegata al volere di quest'ultimo, sottomessa al desiderio, imprigionata nell'intenzione salvifica che Victor Girodel aveva stabilito per lei.
Un destino ch'era il rovescio l'uno di quello dell'altra.
Si può mutare il proprio destino?
Si può combattere perché esso trionfi nella sua più marcia declinazione?!
Non aveva riposato che poche ore per ogni giorno di viaggio, limitandosi a rifocillare la povera bestia ormai esausta, a ingoiare ciò che le avrebbe evitato di morire di freddo e inedia.
Nel buio la smania riprese a rodere la coscienza, a sferzare i muscoli.
Nel buio, la povera anima bianca si riebbe e stranita attese il tempo indispensabile affinché il cavallo recuperasse le forze.
Aveva seguito a ritroso il viaggio di Victor Girodel.
Aveva corso giorno e notte perché solo così, solo correndo contro il vento freddo, non s'era sentita più sola.
S'era immaginata che non trovandola più, Shani e gli altri dannati anziani della tribù l'avrebbero cercata, le avrebbero messo chissà chi alle calcagna.
Isi o forse Yellow Jacket…
Ossia i pochi uomini che erano rimasti a guardia del grumo di tende, com'era ridotto il suo villaggio, perché gli altri erano andati a ovest, ancora più a ovest, a caccia di bufali, daini, orsi e tutto ciò che sarebbe servito a sopravvivere.
Isi attendeva un figlio dalla sua compagna.
Dunque Yellow Jacket, quel dannato indiano dallo sguardo tagliente e freddo, sicuramente si era offerto di riacciuffarla, finanche a passarla a fil di lama, se lei non avesse accettato di tornare indietro.
Quello s'era messo dalla parte del soldato francese…
Quello…
Meglio morire…
Perché vivere senza Victor Girodel non avrebbe avuto più senso.
Lui si era preso tutto e lei non aveva intenzione di tenere nulla per sé, nemmeno la propria vita.
Non era questione di rispetto di sé ma di sopravvivenza.
Victor Girodel l'aveva amata così com'era, sporca, straziata, succube.
L'aveva accettata senza riserve, senza imporre nulla se non di essere così com'era, sporca, straziata, succube.
Non aveva importanza se lui non l'avrebbe mai voluta accanto a sé.
L'amore grande delle grandi storie d'amore esisteva solo negl'infingardi racconti di Shani, nelle leggende antiche con cui Lua Pietra Incandescente non aveva più nulla di che spartire.
Lei era perduta.
E solo un uomo come Victor Girodel, intensamente forte e sprezzante, livido di smanioso coraggio, l'avrebbe amata per davvero, senza pretendere certezze, senza offrire futuro.
Senza chiedere niente che non fosse stata lei stessa e basta.
Nella diafana alba che abbracciava il paesaggio nebbioso e grigio, Lua Pietra Incandescente entrò nella città nera di fango e putrida di paglia marcia, lordume e abbandono.
Il soldatino all'ingresso non credette ai suoi occhi e si costrinse a spianare la baionetta, inebetito alla vista di quella specie di ammasso di pelo e pelle, gli occhi cerchiati di fatica, le labbra tagliate dal freddo.
"…".
"Sto cercando i soldati francesi…".
Rise l'altro, tra il cinico e il sorpreso: "Soldati francesi?! E' un po' poco! Sai quanti ce n'è di soldati francesi qui a Hartford?!".
"Victor Girodel…è un tenente francese…è stato a Yorktown…mi è stato detto…che è…".
Il freddo abbracciò il povero corpo senza ormai forze.
Lua crollò a terra, con il nome sulle labbra, mentre il buio chiudeva lo sguardo.
Il percorso a ritroso aveva condotto lì.
Dal villaggio di tende indiane era tornata a Northampton e poi era risalita su a Fort Awegen e poi era ridiscesa verso New York.
Ma la città era ancora assediata dagl'inglesi.
Victor Girodel non poteva essere lì.
Se Lua Pietra Incandescente avesse avuto modo d'apprendere dei versi del Sommo Poeta, si sarebbe detta un'anima del Purgatorio, non dannata ma nemmeno ancora salva.
Nessuno avrebbe potuto salvarla…
Nemmeno Victor.
Voleva solo riabbracciarlo. Non voleva niente di più che tendere le braccia e lasciarsi chiudere entro le braccia dell'altro.
Nel suo girovagare aveva saputo che svariati contingenti francesi si erano spinti ancora più a sud, fin alle isole Antille.
Non sapeva nemmeno dove fossero quelle isole ma quelli che gliel'avevano detto avevano spiegato che erano lontane, lontanissime.
Il cuore si era disperato, fin laggiù sarebbe stato impossibile arrivare.
Lua non aveva accettato di arrendersi, come se continuare a cercare, senza nemmeno sapere se stava andando nella giusta direzione, fosse diventato ormai uno scopo a sé.
Dunque continuare a camminare, cavalcare, muoversi, nascondersi, ripiegare entro sentieri oscuri, guardarsi le spalle, osservare il sole di giorno e le stelle di notte.
I piedi erano ormai piagati, le labbra rotte, il calore emanato dalla pelle un pallido ricordo d'emaciata solitudine.
Era vissuta così, Lua Pietra Incandescente, alla disperata ricerca di qualcosa o qualcuno a cui aggrapparsi e quel qualcosa o quel qualcuno ormai non contavano più, dato che nessuno sapeva dove esso – materia informe di mistico sogno - o quello – corpo di bieco disprezzo e sguardo sferzante - fossero.
Contava la ricerca, contava affidarsi alle residue forze come unico scopo a cui attaccarsi per non soccombere, morire sfracellata in una scarpata, oppure di fame in una catapecchia, oppure ancora con la gola tagliata dal suo oscuro inseguitore.
Quella ricerca così astrusa e assurda aveva portato a seguire la strada percorsa da alcune guarnigioni che erano ritornate al nord dopo la battaglia di Yorktown.
Questo perché se le battaglie per mare erano il puntiglio dell'ammiraglio de Grasse, c'era che anche le terre interne cominciavano a dar segni di cedimento e dunque non si poteva lasciare il passo alle truppe inglesi, l'inverno in corso aveva minato la fiducia delle truppe, e seppure si raggranellavano vittore qua e là, di nuovo s'iniziava a maturare la sorda e inevitabile convinzione che la guerra sarebbe andata perduta. Non si doveva lasciare il passo a tale blasfemo sconforto.
Non aveva fatto in tempo.
Yellow Jacket aveva seguito le tracce dell'altra, tanto inconsistenti quanto le orme delle zampe d'una pernice durante una tempesta di neve.
C'era quasi arrivato ad acciuffarla, la sua preda, ma quella era stata lesta e svelta come una lepre e infingarda e guardinga come una volpe.
Si era fermata che poche ore e sempre infilata in qualche pertugio, case abitate oppure limitare di paesi che avrebbero di certo rivolto occhiate sospette a un indiano che s'aggirava fuori dalle terre concesse alle tribù che avevano accettato i trattati di pace con gl'inglesi e con i francesi.
Era stata furba Lua Pietra Incandescente, di quella diabolica furbizia imparata chissà dove, in quel paese che stava oltre il mare, da dove erano giunti tanti decenni prima gli invasori delle terre indiane.
Infidi e perfidi…
Subdoli…
Si erano presi tutto con la scusa di non avere un luogo dove vivere. Avevano imposto le loro regole, la loro vita, le loro abitudini, il loro Dio, e avevano a poco a poco, anno dopo anno, distrutto terre, sentieri, corsi d'acqua, persino le antiche gesta e infine le menti degli uomini.
Ogni volta era la stessa storia.
Ogni inezia, ogni trasgressione era buona per ricacciarli indietro, dipingerli come bestie selvagge, chiuderli ancora di più nelle dannate riserve come fossero animali da cui difendersi.
Doveva fermare quella dannata indiana allora, perché se Lua avesse detto dove si trovava quella donna, quella che adesso il soldato francese aveva deciso di tenere con sé, gli altri soldati avrebbero trovato l'ennesimo appiglio per farsi giustizia della sua gente.
André Grandier non li aveva ascoltati e adesso…
Yellow Jacket ricompose la rabbia sorda, superata da una rabbia ancora più intensa.
Forse non era riuscito a riprendere Lua Pietra Incandescente perché in fondo non aveva voluto riacciuffarla.
Forse, in fondo all'animo, anche l'indiano avrebbe voluto che l'altra arrivasse a destinazione per rivelare ciò che sapeva.
Semmai i francesi si fossero messi in marcia per tornare a riprendersi quella che a tutti gli effetti era un ostaggio, anche lui e i suoi compagni avrebbero potuto finalmente farsi giustizia degli oltraggi subiti, delle devastazioni, dei morti.
Quale miglior modo per vendicarsi degli scempi perpetrati dai francesi, della miseria che quelli, assieme a tutti gli altri stranieri avevano portato, che riuscire ad avere la meglio su un drappello di soldati che si credeva padrone delle terre che calpestava mentre invece ne era solo invasore?!
§§§
Doleva tutto…
La schiena, le braccia, la bocca.
Ogni parte di sé era intensamente punta da scintille di sordo strazio.
Non sapeva dov'era ma sorprendentemente non sentiva più freddo, il corpo era disteso e tutto appariva tranquillo, nessun grido di uccello malefico, frusciare di rami secchi o sterpaglie o malaugurato verso di fiere o strisciare di serpi.
Era tutto fermo, immobile, tiepido, asciutto.
Che così, tutto fermo, immobile, tiepido e asciutto, lo sguardo si spalancò all'istante e il cuore quasi esplose in petto mentre gli occhi mettevano a fuoco l'immagine agognata, la figura sognata, e tutta la fatica e la smania e la rabbia si ritrovarono assieme, innervate nelle mani che s'aprivano a raggiungere il volto dell'altro, mentre lui la sollevava e la stringeva a sé, chiudendola in un abbraccio che, se si fosse stati estranei, sarebbe stato definito santo.
"Sei viva" – il sussurro ammaliò i sensi.
Lua annuì, la testa cacciata dentro la spalla del Tenente Victor Girodel, che se la strinse addosso, poi la scostò da se, scostando i capelli, accarezzando la guancia, scorrendo alla bocca, alle belle labbra rotte e aride.
Le baciò piano e poi più forte, quasi le fece male, quel dolore sordo che Lua aveva impresso addosso da quando aveva perduto tutta la sua famiglia e la sua esistenza, e che adesso voleva intensamente avere per sé, per scelta, per volere proprio, come se attraverso di esso lei avrebbe potuto scacciare l'altro, quello che altri le avevano inferto.
Mai aveva ambito a che il bene - un bene qualunque - avesse sortito simile effetto salvifico.
Il dolore sì, quello avrebbe potuto.
"Devi riposare…" – Victor le parlò piano – "Non so come sei arrivata sin qui…".
Lua gli prese la mano, baciò il palmo, il corpo come obbediente a un istinto impresso, si spinse un poco spingendosi contro quello dell'uomo che aveva ritrovato, aderendo ad esso, sciogliendo un carezza intensa che voleva liberarlo dalle vesti, averlo per concedersi d'essere sua.
"No…" – sibilò l'altro, andando a fermare la mano, incerto su come l'altra fosse giunta sin lì, incerto ch'era ancora viva, teso a comprendere se in qualche modo la salvezza di Lua fosse coincisa con la salvezza di Oscar François de Jarjayes.
Erano scomparse assieme…
Erano trascorsi mesi.
Dov'era stata per tutto quel tempo la giovane indiana che pareva resuscitata dall'Inferno?
L'altra si risentì ma le forze erano davvero allo stremo.
Accettò d'arrendersi al rifiuto dell'altro, scambiandolo come una sorta di premura, una sordida gentilezza senza alcuno scopo che consentirle di rimettersi in forze, così da adempiere al suo dovere senza rischiare di svenire dalla fatica.
Sapeva che Victor Girodel se avesse voluto non si sarebbe fatto scrupolo di prenderla così, sporca, sudicia e senza forze.
Forse voleva altro…
Si ritrasse Lua, doveva stare al gioco, la bocca sigillata a trattenere il glorioso segreto.
Guardò il giovane tenente come sospesa, come sposa alla prima notte di nozze, fissa alla sospensione dell'altro che la guardava a sua volta, fisso, come sposa già sposata e dunque disprezzata, sperando forse in una resa immediata e senza condizioni dell'indiana al suo volere.
Se Lua avesse parlato subito, si sarebbe conosciuto altrettanto in fretta del destino di Oscar François de Jarjayes, ammesso lei lo sapesse.
Non doveva insistere troppo e al tempo stesso non doveva arrendersi troppo in fretta.
Però…
Lo sguardo fondo e febbrile, il viso smunto, il leggero tremore del corpo parimenti magro, quasi una saetta di luce lunare, si rivelarono infidi pertugi da cui filtrava l'essenza dell'altra, la solida esistenza reietta e dunque ancor più esaltante e ferma nel combattimento contro l'infinito e mai scalfitto destino.
Lua era creatura perduta ormai e questo fatto non la rendeva inutile ma la forgiava ancor più forte, d'una fortezza che intimoriva.
"Ti lascio riposare…" – accennò Victor come spaventato dalla fiera sostanza dell'altra.
Per quanto lui avesse amato Oscar François de Jarjayes, era stupito della sensuale luce scura della piccola selvaggia ribelle capace di sollevare i sensi, instupidirli, rammollendo la visione di sé e dei propri ideali.
Alle spalle giunsero dei passi.
Victor si alzò…
"Torni?" – chiese Lua mantenendo lo sguardo su quello del giovane che annuì incapace di allontanarsi – "Dopo?
"Se vuoi…resterò qui…starò seduto su quel divano…vorrei che dormissi davvero…".
Lua ondeggiò ormai incapace di accogliere la benevolenza delle parole.
Si ritrasse raggomitolandosi, chiudendo gli occhi, beandosi che il suo segreto fosse ancora chiuso entro le labbra, godendo del bislacco pertugio di tempo che la separava dal contatto con l'altro, le sarebbe spettato averlo e concedere se stessa e poi, solo dopo, rivelare ciò che sapeva.
§§§
"Allora?".
Fersen si era dunque riunito alle truppe del Tenente Girodel, accampate a Hartford in attesa di ordini, perché la guerra non era vinta.
Incombeva l'anno 1782.
Il conte svedese aveva adempiuto al suo compito, combattere per la Francia, immolarsi per il buon nome di Re Luigi XVI, come a scontare una punizione che mai nessuno gli aveva inflitto, per aver amato Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, ma poi come a redimersi da se stesso e allontanare da sé e dal destino della regina lo scandalo di un amore impossibile.
La Francia aveva ricevuto in dono l'agognato erede, il figlio maschio tanto desiderato, così che essa si sarebbe inchinata di fronte al re che stava vincendo la guerra d'America assieme agli alleati americani, e di fronte alla regina che aveva adempiuto al compito di offrire alla corona e al suo popoli un successore.
Ogni personaggio aveva recitato al meglio la sua parte, ognuno aveva ottenuto ciò ch'era necessario ottenere per distogliersi dal pungolo d'un amore impossibile e onorare il compito affidato a ciascuno dalla Storia. Tutto secondo il copione prestabilito, non un respiro di traverso, non un moto di ribellione.
Entrambi gli uomini - come si conveniva al loro status di nobili paladini della giustizia – avevano mantenuto vivo lo scopo di comprendere che fine avesse fatto il Colonnello Oscar François de Jarjayes.
Victor Girodel l'aveva cercata durante i due mesi ch'erano seguiti.
Non aveva saputo più nulla, di lei non era rimasto che un brandello di stoffa blu a intrappolare l'aura sensuale, severa ma innocente.
"L'ho lasciata riposare…" – disse Girodel, ritrovandosi addosso lo sguardo sospeso del Conte di Fersen.
"Come sarebbe a dire? Quella giovane…avete detto ch'era scomparsa assieme a mademoiselle e adesso invece lei è qui…è viva…allora è possibile che anche Oscar lo sia. Chiedeteglielo! Non l'avete ancora fatto?".
"Non voglio essere troppo duro" – abbozzò Girodel – "Mi pare molto provata…".
"Suvvia…tenente…proprio voi che quasi avevate perso il senno".
"Ebbene, Fersen, quella giovane…potrebbe anche arrivare a mentire…".
"Che intendete? Perché dovrebbe farlo?".
"Ho le mie ragioni!".
"Sentite, non verrete a dirmi che quella vi mentirebbe…perché…".
Fersen era sempre più incredulo.
Victor Girodel sempre più innervosito.
La tresca con la giovane indiana non era argomento di cui andar fieri.
Ma al di là di quello, Victor Girodel aveva ormai riconosciuta e chiara la profonda avversione di Lua nei confronti di Oscar. Dunque non poteva rischiare che quella gli mentisse o arrivasse a inventarsi chissà quale fandonia sul destino dell'altra.
Lua non aveva nulla da perdere ma neppure nulla da guadagnare.
Lua non avrebbe potuto ottenere nulla da nessuno, men che meno dal Tenente Victor Girodel.
Chi non ha nulla da perdere o da guadagnare, non ha convenienza a mentire o a dire la verità.
Dunque Victor Girodel doveva tornare a governare la sua fiducia, riappropriarsi del legame oscuro che evidentemente doveva esser ancora molto saldo, se la giovane indiana non l'aveva mai dimenticato ed era riuscita a ritrovarlo nonostante il tempo trascorso.
Come una specie di folata di vento secco ed arido, di colpo, la conversazione venne interrotta dall'ingresso di Madame Aleksandra Roma Lemonde ch'era stata informata dell'arrivo di Lua.
Anche per lei la giovane indiana rappresentava l'unico tramite con Oscar François de Jarjayes ch'era a sua volta l'arcano tramite verso Augustin Reyner de Jarjayes.
Nei mesi ch'erano seguiti alla sua scomparsa, Roma aveva ripensato all'effige dell'altra, aveva assaporato con più calma i suoi gesti, la sua voce, i suoi silenzi, la severa intransigenza verso ogni più piccola debolezza altrui e persino verso se stessa.
Aveva imparato a conoscerla senza averla sott'occhio.
Aveva sperato che fosse viva.
Aveva stabilito che l'altra, per come l'aveva conosciuta, lo fosse davvero.
Perché finché non fosse stato ritrovato il corpo…
Fersen e Roma erano lì, la voce sospesa…
Victor Girodel si spazientì, la posta in gioco era troppo alta per lasciare che chiunque avesse modo di parlare a Lua, col rischio di farsi abbindolare dall'astuto odio dell'altra.
La smania cresceva però, perché anche lui era lì, con lo stesso dubbio, la stessa atroce sete di verità.
"Lasciatemi solo con lei…" – soffiò severo Girodel.
§§§
I passi erano lenti, di nuovo una dietro l'altro, avevano ripreso a risalire la collina, a ritroso, dall'accampamento indiano alla casupola d'assi e pietre.
Il respiro gelido annebbiava un po' la vista, si permise di chiudere gli occhi, i passi guidati dalla presa ferma di André.
Ripensò all'immagine veduta quel mattino, presto, all'alba, il suo viso sul proprio.
L'aveva scorto, anche lui la stava guardando, una mano a scostare un ricciolo e accarezzare la guancia.
Il palmo caldo, il tepore struggente, il gesto silenziosamente consueto, come fosse d'Amore invisibile, radicato nella notte dei tempi, esistito da sempre, da quando nessuno dei due aveva ancora contezza dell'altro.
Forse era stato davvero così.
Forse s'era semplicemente dovuto distanziare, Amore, staccarsi dallo sguardo di entrambi, così che gli occhi dell'una avrebbero finalmente veduto con chiarezza il volto dell'altro.
Forse Amore esisteva oltre loro, e loro ne erano semplicemente involontario specchio, pura e fulgida esperienza specchiata nello sguardo dell'altro.
Rammentò che gli aveva sorriso, regalandogli una carezza, naso contro naso, la bocca vagava instabile e vulnerabile alla ricerca d'un pertugio, d'uno scatto del volto che l'avrebbe avvicinata alla bocca.
"Dobbiamo andarcene…" – aveva sussurrato André, d'un timbro malinconico – "Ho ottenuto ciò che avevo chiesto. Carne e altro per sfamarci".
André aveva concluso i suoi affari.
Oscar non s'era domandata perché dovessero rientrare alla capannetta, ricacciarsi dunque nella solitudine estrema d'un paesaggio innevato e vuoto, colmo solo delle strida dei rapaci e del roboante scroscio delle valanghe giù dai pendii più esposti al calore del sole.
Un guizzo della mente, forse il timbro dell'antica incapacità d'affidarsi agli altri che da sempre aveva governato i gesti di André, l'istinto di governare anche quelli di altri e averne il controllo.
Poi tutto s'era dissipato, e il puntiglio d'averlo ed esser lei a dirigere il destino era risalito freddo e bollente, che la bocca s'era avvicinata e la lingua leccava piano la bocca dell'altro, immersa nella solitudine struggente dell'amore incompiuto.
Era risuonato il battito, come campana vuota, lento, innanzi allo stupore dei sensi che s'adattavano di nuovo alla carezza docile, al suggello del respiro che mutava accelerando.
Non aveva chiesto nulla dunque, non voleva chiedere nulla.
S'affidava all'altro.
Non perché si fidasse, la fiducia c'entrava poco o nulla.
Per la prima volta non voleva affidarsi a nulla che all'istinto, non il suo innato istinto a diffidare e mantenersi all'erta, ma ad altro istinto, inspiegabilmente nuovo, splendidamente bianco e puro, giocoso e sfuggente come la faccia di un bambino, volgare e feroce come l'abbraccio d'una puttana.
Declinazione oscura e lieve dell'anima, sensuale lotta tra se e il tempo, come a voler recuperare quello perduto, i giorni solitari, l'immagine dell'altro cercata entro ogni angolo di Versailles prima e Parigi dopo, frugata in ogni meandro della mente, per recuperare i suoi pensieri e comprendere dove fosse finito.
Ora André era lì, un passo avanti a lei, e chiunque fosse stato, chiunque fosse diventato, lei voleva essere lì, con lui, seguirlo, affidarsi ai suoi passi, ovunque fossero diretti.
Non voleva tornare alla civiltà di fango d'una qualsiasi cittadina, che le avrebbe calato addosso nome e titolo, fulgidi mantelli a cingere d'oro le sue spalle di donna, a soffocare le sue labbra di donna, anche se aveva un nome da uomo, anche se aveva ricevuto un'educazione degna d'un uomo, anche se colui che camminava un passo avanti a lei era un uomo, da sempre vissuto mezzo passo dietro a lei.
Lei ne diventava ombra, lui oscura luce.
Mai un simile pensiero era sgusciato dalla sua mente, mai s'era immaginata diversa da ciò ch'era sempre stata.
Mai aveva rimesso in una sua propria scelta così oscuri pensieri, dettati dal desiderio, dal volo pulito e libero, come quello del falco che accompagnava i passi.
La bestiola planava alta, precedendoli.
Oscar allungò il passo, la sinistra corse a prendere la mano sinistra di André, che già le teneva la destra e la strinse e lui fece altrettanto.
Sorprendentemente avevano parlato poco nelle ore ch'erano seguite al viaggio.
Si erano ritrovati soli, con una banale camminata di quasi un giorno avanti a sé.
Nella testa riverberavano la caduta dei sensi, l'implosione del respiro, il battito sospeso, intessuti come trama fitta entro i muscoli, così che prendersi per mano, non avendo altro modo di toccarsi, era ordito per non impazzire, ritrovarsi a terra, trascinati via dalla fatica e dalla lucida visione di sé trafitti dal contatto con l'altro.
Continuarono a camminare nonostante il sole declinasse a ovest ombre allungate e gelide, seppure la volta d'azzurro traspariva trafitta di tenera tinta, e l'inverno aveva adempiuto al compito di gelare ogni filo d'era, e chiudere entro teca di ghiaccio, il respiro dell'uomo come il brillare delle stelle.
"Non possiamo fermarci…" – disse piano André, la voce spezzata dal respiro pesante.
Contrariamente al viaggio verso il villaggio indiano, il sentiero di ritorno era pressoché solitario, non vi erano rifugi adatti ad accoglierli per le ore della notte, dunque si trattava di resistere e non perdere l'orientamento.
Una piccola torcia di stracci imbevuti nell'olio consentì di procedere nell'ombra buia della foresta.
I respiri all'unisono con i passi, trafitti dall'avanzare di sperduti ululati, il cuore disfatto, sempre più stremato, le tempie pulsavano…
Correre era impossibile ma l'andatura era sostenuta nella strenua ricerca della via che avrebbe condotto al sicuro.
La porta sprangata abbattuta con pochi gesti, l'urgenza d'entrare e chiudersi l'uscio alle spalle, mentre da fuori s'udirono schizzare di zampe in corsa dietro l'odore umano, raspare fino a scorticare la terra coperta dalla neve.
Senza fiato…
Senza forze…
Si ritrovarono a terra.
Nemmeno il guizzo di togliersi di dosso i mantelli bagnati.
André si liberò del carico che portava in spalla, lo zaino cadde pesantemente, scostato da un calcio, il respiro faticava a imbrigliarsi in un ritmo meno ansioso.
Il tempo d'accendere il fuoco, intuire il chiarore, appropriarsi dell'esiguo calore incapace di resuscitare i muscoli affranti.
"Come stai?" – chiese Oscar mentre finalmente poteva osservare André che stava a occhi chiusi, braccia spalancate, pareva quasi morto.
Si strinse a lui, si fidava.
Per la prima volta volle concedersi, abbracciarlo, non per sé, non per averlo accanto, non perchè era suo, ma perché lei era di André e desiderava esserlo e sperava che lui l'accogliesse e desiderasse farlo.
Che cosa aveva desiderato André per tutto quel tempo?
Che cosa era stato per lui quell'Amore, soffocato per anni nella testa e nel cuore?
Prendi queste mani e fanne le tue mani.
Prendi questo cuore, che diventi il tuo e il nostro.
Prendi questo amore e la vita che lui ci concede.
Che diventi la tua vita e la mia e la nostra.
Eco di parole ancestrali, mai udite e nemmeno mai pronunciate, scivolò piano nella mente.
S'addormentarono lì, ancora vestiti, fradici, senza respiro, come due mocciosi che si affidano l'uno all'altra, impauriti del passato e stupiti di percepire finalmente un vago futuro avanti a sé.
§§§
All'alba…
Scivolò lungo il corpo dell'altra, nudo, abbracciandola e scostando i capelli scuri che nascondevano la faccia.
La baciò piano, come si bacia un bimbo ancora addormentato che non vuole rinunciare al sonno.
Un bacio lieve, poi uno più intenso, per consolarla della separazione, per ritrovare quel respiro di sé che lui aveva riposto nel respiro dell'altra, come se stesso entro il corpo dell'altra.
Nel sonno che non era più tale, Lua si scostò per accogliere il suo amante, concedendogli di prenderla e di averla mentre le spinte incedevano lievi, quasi insicure e per un istante il cuore quasi scoppiò dalla felicità mentre godeva dell'inusitata dolcezza, sconosciuta fino ad allora nella foga dell'altro, dunque come fosse riservata a lei, generata dal bene oscuro, scaturita dalla mancanza, esplosa per via della separazione.
Lua Pietra Incandescente non si era mai illusa d'essere altro che un'amante per il Tenente Victor Girodel, ma anche così, anche essendo amante e perciò nulla, lo percepiva a sé, come abbandonato a sé, nelle sue mani, nel suo ventre.
Poche parole…
Lua fece per sussurrare il bieco segreto.
Victor Girodel, per la prima volta nella sua vita, intuì che non desiderava sapere nulla, non in quel momento, non così.
Nemmeno del destino di Oscar François de Jarjayes, che aveva amato e avrebbe amato sempre, seppure non lì, mentre le tempie pulsavano livide, il sangue s'incendiava e davvero la coscienza recideva il legame muto d'un amore lontano, per ritrovarsi come instupidito e succube del corpo d'una giovane indiana rispuntata dall'Inferno del nulla.
Perché non c'è peggior Inferno al mondo di quello che accoglie e nutre chi non è nulla…
"No" – rispose secco, la mano destra alla bocca di Lua, per impedirle di parlare.
Che la vertigine crebbe, che l'altra morse le dita, piano, sussurrando di non fermarsi allora e di affidarsi a lei, così che lei avrebbe accolto il sussulto bieco di un uomo che non l'amava ma che lei amava con tutta se stessa.
All'alba…
A poco a poco, i muscoli ripresero il senso di sé, accarezzati dal calore, ristorati da un sonno breve e intenso.
Oscar si avvicinò al viso di André, pareva dormisse, lo sguardo chiuso.
L'istinto di esserci, esistere nella vita dell'altro, riemerse prepotente, così come si sollevava beffarda l'incapacità di starsene in disparte.
Impossibile resistere…
Lo voleva…
Si lasciò cullare dal respiro dell'altro, incidendo un bacio lieve sulla bocca, disegnando morbide carezze, cercando la curva asciutta dei muscoli, guidata dal solo istinto, condotta a scovare l'impercettibile sussulto della carne che s'apriva nella vicinanza del corpo che aderiva piano, dall'abbraccio caldo e nascosto che s'insediava nel ventre, rimbombando, ondeggiando…
Lo sguardo dischiuso, provò a parlare, forse ritrarsi.
Che lei non volle, la mano sulla bocca accarezzata e poi chiusa a baciarlo piano, concedendo che un mero respiro, chiedendo muta d'accoglierla.
André, solo per un istante, si maledisse…
L'oscura Storia era chiusa fuori dall'antro spoglio e freddo, alla stessa stregua degli affamati lupi, che non reclamavano che di sopravvivere, così come la realtà altro non reclamava che rivelarsi, verità pura, rimedio alla menzogna, concessione alla coscienza dell'altra d'essere libera e scegliere liberamente…
Morse piano le labbra, André, succhiandole, sporgendosi ad accoglierla, scansando distrutto la proverbiale assennatezza.
A che era servito essere un bravo servo, allontanarsi per timore di disonorarla, attenersi alle regole del vivere sociale che li vedeva diversi e distanti, così distanti che sarebbe stato impossibile amarla ed amarsi!?
A che era servito ripudiare l'amicizia, disfarsi dell'effige di lei, se non a rendere lei e il suo volto ancora più intensamente severo e capace in una sola carezza d'incendiargli il sangue?
A nulla.
Nulla più, che Amore beffardo trionfava, sfidava dagli occhi socchiusi dell'altra, muovendosi piano, come fosse stato così da sempre, loro amanti nascosti nel nulla, e lei sapiente al punto d'accogliere il sesso di un uomo e torturarlo fino a liberare la pazzia, che lui l'afferrava, stringendo le braccia, aggrappandosi di nuovo in un istante di ruvida lucidità, e poi morire tra le sue braccia, le tempie d'acuto rimbombo, eco sorda d'orgasmo, illusione dei sensi, mente disfatta.
Le aveva augurato di finire all'Inferno…
Lei lo stava trascinando lì, l'Inferno di chi non è nessuno e s'illude d'essere tutto.
Il corpo cadde, imbevuto dell'ultimo sussulto, eco plumbea dell'orgasmo.
Victor rimase fermo, incapace di muoversi e scostarsi dall'altra, come avrebbe fatto un tempo, scostandola da sé, ponendo ferocemente la mente sulla scia della donna che amava e che avrebbe sempre amato.
Non aveva mai smesso di amare Oscar François de Jarjayes ma in quel momento le dita corsero ad accarezzare la curva lieve e asciutta della schiena di Lua, a superare le deboli piegature del fianco, annidandosi nel sesso che ancora pulsava umido…
Avrebbe voluto che Lua tacesse, non aveva intenzione di chiedere nulla.
Ma l'altra parlò piano, appoggiando le mani unite sulla mano di Victor che accarezzava la peluria scura del giovane sesso.
"Lei è viva…" – sussurrò, chiudendo gli occhi mentre intuiva lo scarto delle dita dell'uomo, che lei corse a raccogliere d'impeto, tenendole lì, le voleva su di sé, e con esse l'effimero potere d'essere depositaria della resa dell'uomo che amava.
Lei gli concedeva di sapere, così che l'altro avrebbe scelto se restarle accanto per riconoscenza e gratitudine, poco importava, oppure distogliersi per aver ottenuto ciò che voleva da sempre, fin dall'inizio, fin da quando si erano conosciuti.
"Dunque è viva. Lo sapevo" – digrignò piano Victor, mentre i sensi implodevano e la mente tornava alla fulgida immagine dell'altra, il passo fasciato dal ceruleo drappo di seta scura, i capelli, lucido fascio di stelle a impreziosire lo sguardo – "Si è salvata".
Silenzio…
La mano rimase lì, accarezzando il ventre, mentre docili onde si susseguivano, rimestando l'intento della giovane d'arrestare la lingua e l'istinto dell'uomo di non cedere alle parole ch'esplodevano nella testa.
"Si…" – un sussurro…
Il corpo si aprì di nuovo mentre le dita infliggevano l'estenuante tortura come a risucchiare in superficie le parole, richiamate a solcare una vertebra dopo l'altra…
Un battito una parola…
"Che cosa vuoi sapere…" – soffiò Lua…
"Dove si trova…" – domandò Victor mentre la bocca tornava a chiudersi baciando le labbra…
Ruvido orgasmo tolse la parola.
Il respiro si perse, nel terrore d'una paura ancestrale…
L'incontrava di nuovo…
L'uomo più crudele che avesse mai conosciuto.
Lei l'amava e lui la usava.
L'ultimo affondo…
"E' con un uomo".
Victor sollevò il viso, lo sguardo sgranato nel buio, al corpo nudo e bello della giovane indiana, appena solcato dalla luce tenue del braciere che, incolore, rivelava il seno piccolo e arrogante, il ventre piatto, gli occhi di brace e l'increspatura disperata del volto…
Perduto…
Come nel fondo più nero del mare blu…
Come lo sguardo azzurro che lo guardava, così, perduto tra le sue dita, arreso a un amore che nessuno di loro aveva ancora rivelato all'altro, non con le parole, forse non ce ne sarebbe stato bisogno.
Che lei era sempre stata di poche parole e severe e taglienti, e lui era sempre stato bravo a farsele bastare.
Forse lei non sarebbe mai stata capace di dire ti amo…
Eppure, lì, entro la fonda comunione, mentre lei si chinava ad accarezza il petto, abbandonandosi a lui, come pioggia che scende lieve e imbeve di sé la terra, e la penetra fin le profondo, congiungendosi ad essa, divenendo parte di essa, così da generare la vita…
Eppure lì, nel brivido di sudore che si raffreddava a poco a poco, mentre suoni distorti rimbombavano nelle orecchie, sconosciuti, mai ascoltati prima…
"Ti amo…" – sussurrò piano Andrè…
Lei non rispose.
Non lo sapeva se lo amava. Perché non sapeva cosa fosse l'amore se non lo struggente accogliersi di solitudini estreme, come quelle ch'essi recavano nel fondo del cuore.
Aveva toccato la solitudine di André.
Quella di una vita intera.
L'aveva stretta a sé, l'aveva lusingata come il più puro dei beni.
Non aveva necessità di sapere altro, né chi fosse stato, né chi era diventato.
E lei aveva toccato la propria solitudine nella sua assenza, dapprima con stizza poi con paura ed infine terrore.
Se lui fosse davvero morto…
Sì, forse allora lo amava…
Sì, solo lì, nella fonda solitudine dell'altro, lei ritrovava la propria silenziosa solitudine, come echi dispersi che per pochi istanti giungevano a risuonare all'unisono.
"Chi è…" – chiese Victor…
"Si chiama André" – rispose Lua guardandolo, mentre il respiro dell'altro quasi s'arrestava – "L'avevo già visto accanto a lei, in Francia. Nel palazzo dove abita il tuo re".
"Doveva essere morto!" – sputò Victor tentando d'imporsi di respirare ma il respiro era ormai fuggito via, come disperso dalla folata di rabbia crescente.
§§§
All'alba…
Rimestare di passi fuori dalla stanza…
Victor Girodel sollevò lo sguardo ai due ospiti ch'erano lì, un poco allucinati, sospesi, come in realtà non avessero chiuso occhio.
Radunati e contratti nell'attesa.
Annuì Victor tentando d'imbrigliare la rabbia, perché doveva per forza ammettere che l'intuizione del Conte di Fersen era corretta.
André Grandier era vivo.
Ma che addirittura fosse assieme a Oscar…
La caccia riprendeva…
"Dunque è così!" – respirò a fondo Madame Aleksandra Roma tra il sollevato e lo speranzoso – "Mademoiselle è viva…è sopravvissuta…".
"Si…si trova…lontano da qui…".
"Dove?" – l'incalzò Fersen…
"A diverse miglia da qui. Non è sola".
Girodel guardò Fersen, senza parlare. L'altro comprese impietrito e al tempo stesso stupito d'aver avuto nuovamente ragione, d'aver visto giusto
Stranito…
Aveva composto la guarnigione che avrebbe portato gli aiuti alla cittadina di Northampton. Aveva domandato se André se la sentiva di farne parte.
L'altro aveva accettato…
E anche i due soldati…
Guglielmo Pointers e Tiberius Mallerbé.
Non avrebbe dovuto consentire a quelli di andare, non era certo che fossero stati proprio quei due a massacrare André a Ponta Delgada. Lui gli aveva soltanto detto di controllarlo.
Chissà che doveva essere accaduto…
Stizzito…
Il drappello che comandava, appresa la notizia dell'imboscata in cui era caduta la guarnigione degli aiuti alla cittadina di Northampton, era partito pochi giorni dopo.
I due dannati soldati si erano salvati mentre gli altri erano tutti morti.
Fersen si passò una mano tra i capelli, tentando di riacciuffare le fila della storia.
Dio…
I corpi dilaniati dall'esplosione erano stati ricomposti e seppelliti.
Aveva veduto le croci, ficcate entro cumuli di terra mossa e nera.
Fersen…André…dov'è André?
Ma non l'hai saputo? Credevo…so ch'era stato compilato l'elenco…
E' morto…è accaduto molti mesi fa…è…
E allora lui gliel'aveva detto.
Quando l'aveva ritrovata, gliel'aveva detto a Oscar François de Jarjayes che l'altro era morto.
L'ho visto…
E' stato sepolto là. Lui è là…
Lui è morto…Dio…non…non è rimasto nulla del suo corpo…ma lui era la…
Fersen l'aveva davvero veduto?
Aveva davvero creduto che André Grandier fosse sotto quel cumulo di terra fredda, corpo freddo, quel corpo che s'era sporto a baciare le labbra calde di Oscar François de Jarjayes e allora il Conte Hans Axel von Fersen aveva provato rabbia e gelosia, non dell'altro, non del bacio, ma di quell'Amore puro e caldo che solca il confine del tempo e divora lo spazio del vivere, rischiando d'annientare la pura figura di Oscar François de Jarjayes?!
Perdonami. Non avrei dovuto lasciarlo andare…
Non avrebbe voluto che finisse a quel modo.
Poi anche Guglielmo e Tiberius erano morti, la gola tagliata.
Non c'era dubbio allora che tutto ritornasse all'esordio d'una messinscena che lui stesso credeva d'aver architettato, ma in cui, in verità, era rimasto intrappolato, trama intessuta d'evanescente ragnatela, fatta d'impalpabile Amore.
"André Grandier è vivo?" – azzardò dunque intuendo lo spasmo di rabbia del tenente francese – "Anche lui".
"Si…è vivo…".
All'alba…
La coltre di tepore odorava di lui ma gli occhi non lo ritrovarono svegliandosi, il cuore in subbuglio…
André era sgusciato fuori dal giaciglio.
Lo sguardo tentò di recuperare la visione del malconcio rifugio, mancavano abiti e stivali.
Dunque l'altro se n'era andato. Di nuovo.
Di nuovo uno strappo…
Di nuovo sola.
Il braccio allungato a stirarsi i muscoli…
Nessuna stizza, se non forse quella dettata dal fatto che non l'avrebbe abbracciato, col sorprendente soffio che pungeva d'un ondivago senso di pienezza e scherzosa solitudine.
Più s'appagava e più il desiderio straniva e s'allargava, cozzando contro la dolorosa chiosa della realtà limitata, statica, impossibile da catturare.
Si sentiva colma e al tempo stesso vuota.
In perenne lotta tra la propria integrità che non accettava di ritrovarsi ad anelare che ad altro che a se stessa, e la scintillante luce indotta dal contatto, André, desiderato e temuto al tempo stesso, unico uomo capace di accoglierla.
Chiuse gli occhi, poi, un poco stremata dalla solitudine, si ritrovò a sistemarsi, pettinarsi, chiudersi camicia e giaccone addosso mentre appurava che ogni oggetto era stato sistemato così che lei lo trovasse.
La curiosità eruppe alla visione del vecchio zaino che André aveva caricato sulle spalle e che al ritorno del loro cammino aveva scalciato via, quasi con rabbia.
Ora riposto in un angolo, svuotato del contenuto, era afflosciato, come oggetto morto e dimenticato.
Le tasche però erano ancora piene.
Ne estrasse una scatola di legno, con sorpresa l'aprì ritrovandoci dentro una boccetta d'inchiostro, un paio di pennini legati a bastoncini di legno, due penne da scrittura, carta…
Il cuore si perse alla visione dei poveri mezzi sfruttati da André, durante la traversata verso l'America, per continuare a dare notizie di sé a nanny e consentire all'anziana nonna di avere un segno dell'esistenza in vita dell'altro.
Dunque André aveva continuato a scrivere a nanny.
Chissà se era riuscito a spedire altre lettere.
Rammentò quando aveva scoperto della loro esistenza.
Come avrebbe mai potuto immaginare che Victor Girodel si sarebbe offerto d'essere il tramite per recapitare le lettere e che lei stessa le avrebbe lette, di nascosto da nanny, così che, riga dopo riga, avrebbe letto di sé, trasfigurata nelle sembianze d'una donna mai esistita, la donna che André amava e che l'aveva costretto a lasciare la Francia?!
André era riuscito a mantenere il legame anche con lei e lei era divenuta ladra, gelosa di una donna che non sapeva neppure chi fosse.
André aveva inconsapevolmente coltivato il suo cuore.
Inconsapevolmente?
Aveva immaginato chissà quali amanti.
Aveva cercato se stessa per tutto quel tempo.
Era divenuta gelosa di se stessa
Quelle lettere erano divenute una sorta di filo, paradossale impedimento a conoscere la verità, ma al tempo stesso specchio rivelatore d'una verità che esisteva, capace di colpirla sin quasi ad accecarla.
Le dita sfiorarono la carta.
C'erano solo due buste già chiuse.
Il cuore implose…
Lesse l'indirizzo sul primo incarto.
Non era quello di casa Jarjayes.
Un guizzo…
Oscar pensò d'esser morta…
Lesse un altro indirizzo, stessa grafia, luogo diverso.
Paris…Rue Vivienne…
Un tuffo al cuore…
La lettera non era indirizzata a nanny. La missiva non sarebbe mai giunta a casa Jarjayes.
25…
Rammentò l'indirizzo scorto sulla busta recata dal giovane Argo, quando lui le aveva mostrato le lettere che André gli aveva chiesto di spedire.
25, Rue Vivienne Paris…
Le dita tremarono, l'indice fece per infilarsi nel pertugio libero all'angolo della busta.
Il dubbio d'essersi sbagliata.
Il dubbio che la destinazione altra dettasse davvero un'altra esistenza a lei sconosciuta, dunque un'altra persona, una donna ch'esisteva davvero, e che quella fosse a Parigi e che sarebbe bastato cercar bene per scovarla.
Pont Notre Dame…
Sì, solo lì li aveva veduti i numeri stampati sui muri, le vie di Parigi non avevano numeri a segnalare dove abitavano le persone.
Un simbolo…
Un'insegna…
Com'era possibile allora?
Eppure…
À samedi prochain…
Non rammentava s'era lì che aveva veduto un certo numero, l'aggrovigliata architettura delle congetture spazzata via da un banale numeretto vergato sulla lieve carta.
André non aveva più alcun parente al mondo, sua nonna l'aveva ripetuto più volte. André non aveva mai conosciuto nessuno a Parigi.
Tranne…
Amalie Jenevieux!
Fece per…
"Lasciala!" – la voce eruppe assieme alla folata di vento, assieme allo sguardo scuro quasi torvo.
Oscar sussultò.
La velocità con cui l'altro – amante e carceriere di muscoli e cuore - mutava umore e tono di voce iniziava a sconcertare.
Notoriamente era lei che cambiava atteggiamento spesso e senza preavviso.
Cautamente ma velocemente come la tempesta portata da venti caldi…
Lui invece era sempre stato il più calmo dei due.
Si erano amati…
Come riusciva a mutare tono al punto da essere irriconoscibile?
Stavolta non si fece trovare impreparata e nemmeno si dimostrò risentita dal risentimento dell'altro, evidentemente ancora annidato nelle pieghe dell'oscura esistenza.
Ripose la lettera - "Non volevo essere indiscreta" – si morse il labbro, l'indirizzo sconosciuto galleggiava nella mente ma se avesse chiesto, così su due piedi, non avrebbe ottenuto altro che di ritrovarsi di nuovo ricacciata indietro.
Evidentemente André aveva ancora altro da proteggere.
Da tutto…
Persino da lei.
"Avevi detto che non avresti fatto domande" – la rimproverò lui andando a scostare lo zaino, implicitamente accusandola di fare domande, sì, anche così, anche se mute, fatte solo d'una curiosità da soddisfare attraverso una solitaria ricerca.
Oscar respirò piano.
"Come stai?" – domandò André – "La spalla…ti fa male?".
"Non più ormai. Mi hai curato…" – silenzio – "Da quando…da quando sapevi che ero in America?".
Eruppe la domanda, per mantenere la tensione, per dimostrare che lei non sarebbe arretrata e pezzo dopo pezzo avrebbe eroso l'oscurità della vita trascorsa senza di lei, lontano da lei, come belva feroce che attende d'ottenere l'agognata preda, ch'era sapere come ci fosse riuscito, lui, a vivere lontano da lei, perché lei, lei davvero non c'era riuscita, e lei neppure sapeva se lo amava.
André rimase un istante in silenzio.
Nessuna risposta, nessuna muta ammissione.
Nulla da fare, che lui andò a scostare uno spesso telo di cuoio, estrasse due coltelli abbastanza lunghi.
"Che devi farci?" – domandò Oscar avvicinandosi.
"Se stai bene…dovresti venire con me. Abbiamo un lavoro da fare e in fretta. Sono riuscito ad intrappolare un cinghiale. Ma se non facciamo presto tutti i lupi nel giro di dieci miglia arriveranno e non riusciremo a salvarne nemmeno una costola…".
"Un cinghiale?".
André era di poche parole. Lo era sempre stato.
Annui…
"Allora…te la senti?".
I passi presero a correre su per la collina mentre il falco in alto guidava i passi, volteggiando a stanare i predatori avversari.
Roma fissò il Tenente Girodel, come a domandare se quell'uomo fosse davvero colui che Oscar François de Jarjayes aveva sempre avuto nella testa e nel cuore, seppur il nome era rimasto intrappolato nella gola, in religioso e quasi sacro silenzio.
Rabbia o rassegnazione?
Di solito sono impronunciabili i nomi di coloro che si odiano oppure quelli di coloro che si amano…
Il dubbio che dietro l'odio si nascondesse l'amore…
Lua comparve alle spalle del terzetto.
Lo sguardo era febbrile, come se adesso, ormai spogliata del suo segreto e dell'unica arma a disposizione per tenere a se Victor Girodel, fosse ridivenuta nulla agli occhi di tutti.
"Cara…come stai?" – s'avvicinò Roma abbracciandola.
"Meglio…grazie…".
"Dunque sei viva…abbiamo temuto per la tua vita…eri sparita. E lei è viva?".
Annuì Lua - "Si trova lontano da Northampton. Non è sola…e…" – il respiro si fece sottile…
"Parla cara Lua…non temere…siamo stati in pensiero anche per te sai? Ma lei…Oscar…è un soldato del re di Francia, il fatto che fosse scomparsa faceva temere il peggio".
"Non è scomparsa…se n'è andata…".
Sussultò Victor Girodel furioso.
Fersen tacque in attesa del resto del racconto, anche se quel bacio, al porto di Brest, acquistava, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, la stessa plumbea consistenza d'una nuvola che annuncia la tempesta.
C'era che Fersen non aveva nulla contro André Grandier.
Semplicemente André Grandier non avrebbe dovuto avvicinarsi a Oscar François de Jarjayes.
Non era in suo potere farlo, non era nella sua discrezione decidere d'innamorarsi di una donna che non avrebbe mai potuto avere.
Per assurdo che fosse, il Conte di Fersen, ripudiato come amante di una donna che mai avrebbe potuto amare, avrebbe dovuto essere lui, primo compassionevole custode d'un amore impossibile.
Ma per quanto assurdo fosse, perché il Conte di Fersen non avrebbe potuto amare una regina mentre un plebeo avrebbe potuto infangare il buon nome di una contessa!?
Nessun uomo possiede sentimenti puri.
Ognuno ama nell'accezione meno nobile e distruttiva, sporcata dal desiderio di possesso, dall'irraggiungibile chimera della salvezza di se attraverso l'amore e la vita dell'amante.
No, André Grandier non aveva il diritto di affrancare se stesso amando Oscar François de Jarjayes.
Non avrebbe mai potuto usare quell'amore per cambiare il suo destino.
Non certo il suo destino di plebeo…
Il suo destino di uomo…
Sarebbe stato un errore, prima ancora che uno scandalo.
Capace di distruggere Oscar François de Jarjayes, prima ancora che il suo buon nome e la sua assoluta rispettabilità.
Il piccolo falco planò veloce verso le due figure ch'erano giunte nella radura ove giaceva l'animale agonizzante. Sarebbe bastato attendere e quello sarebbe morto dissanguato.
Il manto candido striato di frenetiche scie rosse, era inciso dalla furiosa lotta ingaggiata per liberarsi dal laccio, contro l'avversario che s'era limitato a provocarlo così da fiaccare le forze e indurre la resa.
Oscar di nuovo si ritrovò stranita.
André prese ad avvicinarsi, l'ordine rovesciato addosso di raccogliere legna per attizzare il fuoco, ch'era impossibile trasportare l'animale, dunque si doveva restare lì, sezionare e scegliere i tranci migliori, quelli grassi e teneri, proteggere ciò ch'era utile dalla foga famelica degli abitanti del luogo.
La coda dell'occhio, distratta dalla cernita del legno, tornò alla scena quasi mitologica.
André camminava avanti e indietro osservando l'animale che tentava un ultimo sussulto d'orgogliosa lotta, senza più la forza di alzarsi.
Oscar si bloccò mentre vide André avvicinarsi.
Di nuovo si chiese dove avesse imparato a sgozzare una bestia a quel modo.
Ma soprattutto dove avesse maturato quella sorta di luce infernale che lo portava a rivelarsi quasi più bestiale della bestia stessa.
André corrompeva i sensi, di nuovo.
L'antica calma, la silenziosa caparbietà, parevano essere distrutte per lasciar posto a forza univoca ed energica, senza scrupoli, quasi animalesca, dettata più dal senso di sopraffare chissà quale demone che non dal mero istinto di sopravvivenza.
Qualche istante…
La lama scorse alla gola…
Un movimento involontario dell'animale.
Il sangue spillò attorno…
Pur spiccò il volo, uno stridio acuto…
Oscar guardò in alto…
Frusciare alle spalle…
André era a terra, respinto dall'involontaria agonia della bestia. Lo vide rialzarsi di colpo, estrarre la pistola e puntarla contro di lei…
André dunque aveva un'arma…
Da quando…
"Giù!" – gridò, che lei obbedì perché davvero non comprendeva – "Stai giù!".
Si ritrovò contro un albero, la schiena appiccicata al tronco e gli occhi a vagare nel manto bianco alla ricerca del suono sinistro, un rantolo basso e sempre più vicino.
Giunse alle spalle il composto ruggito, basso e feroce, del coguaro che avanzava contro di lei, gli occhi verdi e fissi, a scrutare ogni gesto di offesa o di resa.
Il cuore prese a battere mentre André iniziò a correre verso di lei, la pistola contro l'animale…
"Via!" – gridò forte…
Gli occhi verdi e fulminei scansarono la preda immobile contro il tronco, l'olfatto distratto dal timbro acuto di sangue così come dal movimento che confondeva la scena.
Il cuore quasi uscì dal petto, penso che davvero non ne sarebbero usciti vivi, la vista di André compromessa al punto da costringerlo ad avvicinarsi per colpire l'animale, che spaventarlo soltanto sarebbe stato troppo pericoloso.
"Dammi la pistola…" – sussurrò asciutta, l'effige dell'altro sempre più vicina, gli occhi fissi al coguaro che affondava nella neve avvicinandosi, per nulla intimorito dalle figure umane.
André comprese, fece altri passi, s'avvicinò, tentò di passarle l'arma, non aveva senso fare l'eroe.
L'animale intuì il ravvicinarsi delle due figure, scorse un pericolo ancora maggiore…
Un balzo…
La pistola sollevata tenuta stretta…
La mano s'appaiò alla mano…
André premette il grilletto…
Il colpo riecheggiò teso, rimbombando entro i calanchi morbidi di neve.
Il piombo schizzò contro il manto spesso del leone di montagna, uno scarto, come fulminato e ricacciato all'indietro, rotolò nella neve, riprendendo all'istante l'equilibrio, incattivito, la rabbia striata di giallo contro le due figure appaiate.
André si parò davanti, la pistola ormai inservibile, la destra a stringere il coltello.
Battevano i cuori all'unisono…
La fiera ondeggiò colpita ma non domata, il ruggito sordo di paura sorse verso l'alto rimbalzando contro le strida del falco…
"Stai ferma…" - sussurrò piano André, il corpo aperto a difendere quello di lei, dietro.
Oscar rimase lì, le mani corsero alla cinta dell'altro, le dita veloci recuperarono la sacca della polvere da sparo…
Pur ruppe il silenzio, un lungo stridio mentre puntava al leone ch'era di nuovo in movimento…
Un battito…
Un passo…
André aveva paura ma rimase fermo.
Oscar smise di respirare perché no, André non era fermo, s'era mosso, il respiro troncato dall'impercettibile distanza tra sé e lui, che andava contro il coguaro, come a distoglierlo e imporgli di scegliere la preda più spaventosa, quella che incuteva maggior timore.
Ondeggiarono l'uomo e la bestia.
André chiuse gli occhi trattenendo il respiro mentre udiva il balzo sordo dell'animale, il peso addosso, il morso a schiantare i muscoli e le ossa…
Cadde sotto il peso…
Tremò Oscar, le dita a ricostituire il materiale esplodente…
Lo sguardo s'atterrì alla visione di André ch'era con la faccia a pochi pollici dal muso dell'animale, il ruggito piatto e acuto…
Lo sguardo s'atterrì ancora e ancora, che gli occhi scorsero in lontananza macchie scure, grigie e poi bianche…
"Lupi…ci sono i lupi!" – gridò puntando di nuovo la pistola carica contro il felino…
Sparò, il secondo fulmine graffiò la pelliccia dorata, il leone scattò all'indietro mentre André gridava e faceva altrettanto, le mani contro la neve friabile e morbida, il fiato assente…
Oscar corse verso di lui che gridò, negò, i ruoli rovesciati, che fu lei a pararsi davanti alla belva colpita due volte ma non domata…
Dal fondo della spianata sorsero ululati sempre più vicini…
Il coguaro intuì che forse avrebbe avuto la meglio contro le due figure che erano di nuovo appaiate ma non contro il branco che s'avvicinava, l'istinto dettò di ritirarsi piuttosto che trovarsi a fronteggiare altre bestie ben più numerose e affamate.
Indietreggiò il leone vinto non dall'uomo ma dall'istinto di sopravvivenza.
"Fai presto!" – ordinò André porgendo il coltello.
"Che devo fare?" – stravolta…
"Incidi la carne di quell'animale! Dobbiamo portane via almeno qualche pezzo! Non credere che la lotta sia solo tra leoni di montagna e lupi! Noi siamo come loro in questo momento…".
"Sei ferito…".
"Lascia perdere!"
Obbedì Oscar, l'istinto a dettare i gesti acuti e feroci, il coltello ficcato nel manto spesso e peloso della bestia ormai morta.
André la raggiunse, le mani s'appaiarono di nuovo ad affondare nella carne, per sezionare e trascinare via ciò che sarebbe servito a sopravvivere.
Le macchie marroni e grigie accerchiavano i respiri, mantenendosi a distanza.
André osservò il branco, intuì che i lupi erano ancora alla ricerca di un pertugio, in attesa di comprendere se e cosa avrebbero dovuto temere dalle due figure che al contrario dell'animale morto si muovevano seppur in maniera guardinga tanto quanto loro.
Pur avvertì, in alto, che il branco si stava chiudendo, lo spazio tra i lupi stava diminuendo, segno che l'assalto era imminente, le femmine per prime dai più giovani e via via da tutti gli altri.
"Via!" – tentò di rialzarsi André che il buio folgorò lo sguardo, il ginocchio ricadde a terra, la mano a tenersi il volto – "Dobbiamo andarcene!".
Oscar gli passò un braccio dietro la schiena, la sacca grondante di sangue in spalla, i capelli fradici appiccicati in faccia, il respiro corto e i passi incisi entro la coltre di neve.
Alle spalle grida di rabbia, sconosciute, echi d'una indistinta valanga di voci, crescendo di esaltante follia e al tempo stesso scrosciante istinto di libertà, come se la natura tutta – umana e selvaggia -fosse lì, col fiato sul collo, ad inseguirli per riprendersi il suo spazio ed il suo tempo, per rimettere ordine nelle proprie leggi.
Oscar cadde a terra, la schiena contro la porta chiusa alle spalle.
André in ginocchio in mezzo alla stanzetta, la mano alla spalla…
Gli occhi di entrambi si chiusero, i respiri scrosciarono entro i polmoni quasi asciugati dalla corsa…
Pochi istanti…
Oscar si precipitò a scansare le vesti ch'erano intrise di sangue.
"Dannazione!" – imprecò – "Che senso ha tutto questo? Non rischiamo di morire di fame! Se torneremo…facciamo parte della guarnigione del re di Francia!".
"Tu!" – digrignò André feroce – "Ne fai parte! Io…".
Respirò fondo…
A fatica…
"Io sono vivo…" – sputò quasi a malincuore, che fino ad allora André s'era sempre considerato morto – "E un soldato vivo che non rientra nei ranghi pur essendo vivo…lo sai anche tu che cosa diventa e che cosa lo aspetta!".
"Un disertore! Certo che lo so! André, ti ho cercato ovunque prima di sapere che ti eri arruolato per l'America…e quando ho letto il tuo nome nel registro dei caduti…io…".
"Tu…cos'hai pensato?".
"Ho avuto paura! Ti avevo perduto".
"Come vedi non è accaduto. Ma io non posso tornare".
"Perché? Se tornerai…la punizione per la tua diserzione non sarà poi così terribile".
"Ragioni come un soldato! Non riesci proprio a comprendere!".
"No! Non comprendo!" – furiosa a sua volta, che non comprendeva come lui fosse stato capace di baciarla e lasciarsi accogliere dentro di lei e avesse capacità di minare sistematicamente ogni brandello di certezza che lei riusciva a guadagnare – "E allora chi saresti André? Chi sei diventato?"
André, seduto a terra, indietreggiò, proprio com'era accaduto quand'era stato morso dalla bestia selvatica, come ce l'avesse di nuovo di fronte.
Feroce sgusciarono le parole…
"Tu…chi vorresti che io fossi!? Scegli Oscar! Un disertore…un donnaiolo…un…".
"Non dire idiozie! Non ho detto questo! Non voglio che tu sia come desidero. Voglio sapere chi sei? Chi sei diventato? Un disertore? Non mi basta! Un donnaiolo…".
André si morse il labbro…
Non era solo un disertore.
Era un soldato disertore che teneva prigioniero un colonnello della Guardia Reale di Sua Maestà re Luigi XVI!
E lei pareva che lo sapesse ma non le importasse, dunque non recriminava d'esser prigioniera, non d'esserlo di lui.
Possibile che Oscar François de Jarjayes avesse necessità di sapere sempre chi era lei e chi era diventato lui?
Possibile non le sarebbe bastato sapere che erano loro lì, in quel momento, e basta?
Senza nome, senza rango…
Senza passato e nemmeno senza futuro?
L'avrebbe tenuta prigioniera. L'avrebbe tenuta per sé.
In fondo quello era lo scenario più comodo per tutti!
Eppure infastidiva quella sorta di aura di fiducia che Oscar gli riservava, come se lei gli stesse dicendo che continuava a fidarsi di lui e che mai avrebbe smesso di fidarsi.
Con tutto quello che era accaduto…
Se Oscar avesse compreso davvero…
"Chi sono?" - masticò secco André tornando a tenersi la spalla, una smorfia di disgusto contrasse il viso rivelando una greve espressione sofferente.
"Dannazione!" – imprecò di nuovo Oscar avventandosi contro di lui, scansandogli la mano, scoprendo la spalla, puntando sopra il buco appena accennato provocato dai denti del coguaro, una pezza asciutta – "Taci!".
"Diavolo!" – gridò André colpito dalla foga e dal repentino mutamento d'intenti dell'altra – "Che diavolo vuoi adesso? Vuoi sapere chi sono o devo tacere!?".
"Non voglio averti sulla coscienza! Stai zitto!".
Le manovre si susseguirono veloci…
La pezza scorse ad asciugare il sangue, un brandello di pelle scorticata risistemato alla meglio…
"Devi sdraiarti…non sono un medico…la ferita deve chiudersi…".
Lo sguardo sgranato…
Non c'era verso di parlare, chiarire…
La mano rimase appoggiata, premendo piano sulla ferita. André si distese, soffiando rabbia, imprecando contro se stesso che quell'ennesimo incidente metteva in pericolo entrambi, lui incapace di difenderla e di procurare altro cibo e lei di nuovo sull'orlo del baratro della dannata mancanza di consapevolezza.
Istante dopo istante…
Respiro dopo respiro il sangue prese a rapprendersi, rallentando la corsa…
"Sto bene…occupati della carne…" - soffiò André, occhi chiusi, la stessa smorfia di disgusto che increspava la bocca…
La dannata bocca…
Oscar rimase sulle labbra, s'avvicinò ad accarezzarle, la bocca sulla bocca…
"Farò quello che mi chiedi ma dopo…".
"Ti sei rimessa a dare ordini!?" – digrignò André sprezzante.
"No! Questo non è un ordine! E' una minaccia!".
Che la chiosa strappò un mezzo sorriso di compatimento…
Com'era caduto in basso…
§§§
Cercare se stessi, oltre se stessi, fuori da sé, in un luogo, in un tempo sconosciuti ma che in realtà si conoscevano da sempre.
Quel luogo e quel tempo erano lì, erano sempre stati sotto i suoi occhi, solo…
Mezzo passo dietro a te…
Oscar l'aveva cercato tanto il suo André, pensando di cercare lui, mentre ora, lui lì, accanto a sé, lei vedeva se stessa, ascoltava la fiamma tenera di sé ondeggiare, come colpita da una folata di vento ch'entra da una finestra lasciata aperta, di sera, un sera di primavera.
Lo osservò di sbieco.
Si era addormentato finalmente. Era raro che lui si permettesse di dormire mentre lei era sveglia, come se lui avesse il compito di accudirla e proteggerla, che a lei non accadesse nulla oppure perché non fuggisse.
Il pensiero aveva iniziato a prendere corpo da qualche ora.
Irriverente eppure vero.
Lo guardò ancora, si permise di scostare un ciuffo di capelli dal viso, l'indice scorse leggero alla cicatrice che abbruttiva l'occhio sinistro.
Quel corpo così maltrattato era divenuto suo custode.
Lì, dentro di lui, lei aveva trovato se stessa e adesso, come una ladra che entra nella casa di un altro, dentro un luogo che non gli appartiene, studiava il profilo bello, la bocca dischiusa, passandoci sopra l'indice, scorrendo alle labbra che l'avevano baciata e ancora prima amata.
Si strinse ad André, con un movimento leggero gli scivolò quasi sopra, facendo attenzione a non pesare sulla spalla ferita.
Scostò i capelli questa volta con entrambe le mani che poi andarono a racchiudere il viso, voltandolo leggermente verso di sé.
Dormiva, di sicuro a quel modo l'avrebbe svegliato.
Non importava.
Quel corpo, quel viso, quella bocca era ciò che voleva…
Senza parole, senza gesti, quasi senza respiro.
S'adagiò piano, baciò le labbra, la lingua scorse ad ammorbidire il respiro un poco abbandonato…
Lei era lì, sulle quelle labbra che stillavano una sorda e bassa pulsione ad unirsi, ad ammaliarle, a ridere di esse, a succhiarle piano…
André si riebbe…
Lo sguardo si schiuse…
La vide, su di sé…
Lei era custode della propria anima, rimessa lì, entro le dita lunghe che premevano sul collo a scostare la stoffa della camicia, mentre la bocca seguiva il profilo dello zigomo e poi del mento e del collo per annidare un bacio che ruppe il respiro, scorrendo alla ferita che pulsò furiosa, colpita da tanta arroganza.
Le mani raccolsero i polsi di lei che teneva fermo il viso.
L'interruzione rovesciò addosso la domanda.
"Perché non mi hai mai detto ciò che provavi?" – chiese lasciandosi prendere, andandogli addosso, adagiandosi al petto, l'orecchio in ascolto del battito lento – "Avresti potuto dirmelo…hai preferito andartene…".
Non era una domanda, non era un'accusa…
Silenzio…
André non disse nulla. L'amava, glielo aveva detto, lei lo aveva compreso ma ancora non comprendeva come lui avesse scelto di lasciarla.
"Non credo che Victoire sia tua figlia…" – ammise piano Oscar, gli occhi chiusi, la testa appoggiata al petto di André.
Un sussulto…
La ferita pulsò ancora di più…
Stavolta la stretta ai polsi si riverberò severa. André strattonò le mani di Oscar, tentando di scostarla da sé, che quasi le fece male l'inusitata torsione delle spalle.
Si sollevò ferita e furiosa che ancora lui avesse in animo di ferirla…
"Tu vuoi credere ciò che ti fa comodo!" – sputò André puntando i gomiti a terra, sollevandosi, strisciando all'indietro, incattivito dalla smaccata amorevolezza dell'affermazione.
"No…a me non fa comodo nulla. Semplicemente non ti credo capace di abbandonare una bambina come Victoire…una figlia…".
"Perché no?" – sibilò André, la guardia di nuovo alzata – "Perché mi vuoi a tutti i costi onesto e di buon cuore!? Ti fa rabbia immaginare d'aver scopato un uomo così crudele?".
La chiosa s'abbatté fulminea sull'altra…
Parole incandescenti, significato infernale…
Ferirono più d'una sciabolata…
"Scoparti…" – ribatté lei come inebetita – "Così avremmo fatto questo?! E tu diresti ti amo a tutte le donne che hai scopato?! A tutte quelle che ti sei portato a letto?".
Anche lei era indietreggiata.
Distanti trenta pollici parevano distanti mille miglia e secoli e secoli…
"Dunque lo sai!" – affondò André, cavalcando l'affondo dell'altra anziché smentirlo – "Dunque se sono capace d'avere un'infinità di donne, posso essere capace di abbandonare una figlia! Chi ti dice che io non me ne sia andato proprio per questo?!".
"Ti dico com'è andata invece…" – soffiò lei, che pareva davvero sul punto di graffiargli la faccia e tagliargli la gola solo con lo sguardo…
André tacque, corroso dal desiderio di restare agli occhi del mondo una specie di bestia demoniaca, così che lei, ad di là d'una notte di sesso, null'altro gli avrebbe concesso, così che lei si sarebbe salvata dall'innamorarsi di un uomo che di fatto la teneva lì, contro una volontà cosciente, lì, su di sé, che lui l'amava e sapeva che il suo amore sarebbe potuto diventare odio.
"Hai conosciuto Amalie Jenevieux…".
Silenzio…
"Te lo concedo…lei stessa mi ha fatto il tuo nome…mi ha detto che hai bussato alla sua porta…l'hai aiutata…".
Lo sguardo fisso, incapace d'arretrare, muto, in attesa che l'altra gli scaraventasse addosso la sua verità.
"Amalie…era una prostituta, suo malgrado. Difficile scegliere un mestiere simile ma non è questo che importa adesso. Non so quanti uomini siano stati con lei ma perché proprio tu ti saresti fatto carico di aiutarla?!".
Domanda idiota, risposta ovvia…
Victoire…
"Se fossi stato tu a metterla incinta, lei ti avrebbe riconosciuto…mi ha detto chi eri ma non si è mai spinta a maledirti. Devi averle voluto bene allora?" – lo guardò, la severa compassione per la ridicola messinscena, appena accennata dall'espressione dubbiosa, le sopracciglia inarcate - "Ma sì, ti concedo che lei abbia pensato che tu fossi il padre della piccola Victoire. E credo che tu lo sia davvero!".
"Cosa…che diavolo…".
"Lo sei perché ti sei comportato come tale, come un padre. Questo sei tu André! Questo è il vero André. Tu saresti capace di curarti di una povera giovane prostituta e della sua bambina…ma come potresti far questo e al tempo stesso essere colui che la mette incinta e poi l'abbandona?!".
André intuiva che Oscar stava giungendo alla verità. Da sola.
Una verità che non era necessario cercare in chissà quali ragionamenti ma semplicemente facendo appello a ciò che lui era sempre stato nella vita.
Un uomo generoso, silenzioso…
E quella verità era scorsa altrettanto generosa, lucida, silenziosa e muta, senza clamore, nutrendosi semplicemente di ciò che erano loro.
"Quella è tua figlia André…ne sono certa…" – ammise Oscar, un sorriso lieve, sorprendendo l'altro – "Non è sangue del tuo sangue. E in questo senso forse è ancora più di una figlia. Ora però devo solo comprendere se il tuo è stato un atto di generosità oppure…".
Un ghigno interruppe l'affollarsi delle congetture…
"Mi hai dipinto davvero egregiamente!" – sputò André quasi sprezzante, appeso alle parole estreme dell'altra – "Sei libera di pensare che io sia davvero così generoso…".
"No…" - sibilò Oscar severa – "E' probabile che tu lo sia ancora più di quel che penso e che vorresti dare a intendere! Tu lo sai chi è il vero padre di Victoire? E' lui che hai voluto proteggere?!".
André sbiancò, che lei dunque davvero riponeva in lui un'immensa fiducia, intessuta di sfolgorante e ingenua sofferenza, impossibile da scalfire.
"Tu…mi hai lasciato perché non sapevi se ti avrei mai amato, se mi sarei mai accorta di te…" – sussurrò Oscar, severa, quasi cinica, il corpo oscillò come in preda all'impercettibile costante d'un pendolo – "Amalie purtroppo ne ha patito le conseguenze, e anche la piccola Victoire. Dunque si, di questo non posso che ritenerti responsabile. Ma è tutto più semplice di quello che avrei mai potuto immaginare…".
"S'è così semplice…".
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