I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!
Si avviarono attraverso muti silenzi per un sentiero in salita, ripido, buio, immerso in una fitta e fosca nebbia.
E ormai non erano lontani dalla superficie, quando, nel timore che lei riscomparisse e bramoso di rivederla, egli pieno d'amore si voltò. E subito essa riscivolò indietro e tendendo le braccia cercò convulsamente di aggrapparsi a lui e di essere riafferrata, ma null'altro strinse, infelice, che l'aria sfuggente.
E già di nuovo morendo non ebbe parole di rimprovero per il marito e gli disse per l'ultima volta addio, un addio che a stento giunse alle sue orecchie. E rifluì di nuovo nell'abisso.
Publio Ovidio Nasone
Metamorfosi, X, vv. 1-77
Father and Son*
Oscar François de Jarjayes prese a camminare lentamente.
Davanti a sé scorse lo schieramento del drappello di soldati americani.
Il vento aveva preso a fendere la faccia, scompigliare i capelli, ingarbugliare i pensieri, la vista abbagliata dalla limpida giornata di marzo.
Intuì la sagoma di Victor Girodel, accanto i dannati soldati, quelli incrociati a Brest e poi rivisti a Fort Awegen.
Scorse Lua Pietra Incandescente, trascinata verso il centro della radura da Yellow Jacket, come impazzita, lo sguardo sbarrato, i capelli come onde che s'infrangevano contro scogli di notte nera, mentre l'indiano era impassibile, quasi livido di rabbia, nello sforzo di ricomporre il disordine impartito dal garbuglio di sentimenti immondi.
Non vide il Conte di Fersen. Non c'era.
Le importava?
L'altro era come estraneo, uno sconosciuto che aveva avuto pregio d'entrare di soppiatto entro l'antro nero d'una bettola d'infimo ordine, scambiare un'occhiata, offrire un bicchiere di pessimo vino, e poi sgusciare via, senza pagare il conto, due dita al cappellaccio, come a scusarsi d'esser stato ladro d'istanti e d'un cuore rattrappito e triste.
Aveva scalfitto il cuore, l'aveva graffiato, ma non l'aveva lasciato poi così malridotto, al punto che quello era rimasto vivo e aveva continuato a vivere.
Tutto s'appiattiva entro i passi incerti.
Camminava e dietro di sé ascoltava il dilatarsi dello spazio che l'avrebbe divisa da André.
Mezzo passo moltiplicato per cento, mille, diecimila passi.
Quanto tempo occupa mezzo passo?
Chissà per quanto tempo quello spazio sarebbe rimasto tale, forse per sempre.
Per quanto Oscar François de Jarjayes ammettesse che quella era l'unica strada, inevitabile e logica, altrettanto vago e indistinto prendeva a dilagare il senso di vuoto, colmo dell'acuta visione di sé, separata dall'altro, inspiegabilmente fonda, come se lei stesse davvero uscendo dall'Ade ma André non fosse più dietro a lei.
Non l'accettava.
Si ritrovò a pensarsi fallace, impura, folle…
Era una donna…
Una donna qualsiasi!
Respirava, dormiva, rideva, soffriva, imprecava, temeva…
Come una donna.
Come lo erano state Amalie Jenevieux, Mademoiselle Bellenuit, che nemmeno aveva mai saputo il suo nome…
E poi Miss Donovan e…
Chissà quante altre!
O forse come nessuna.
Una donna diversa da tutte, unica, sola.
Una donna che amava…
Vide di fronte a sé coloro ch'erano posta dello scambio.
D'improvviso…
Non volle.
D'improvviso le parve che il cuore declinasse un battito di morte, come stesse per spezzarsi.
D'improvviso colse dentro di sé la netta sensazione d'un cuore spezzato, non diviso in due ma semplicemente frantumato, incapace di battere un solo univoco battito.
Un solo battito in più.
Un alito di vento più intenso…
Si vide sola.
Senza di lui, André non c'era più.
Si vide sola.
Ammise che sarebbe stata in grado di bastare a se stessa, com'era sempre stato.
Non volle.
Non era questione di vedersi sola, era questione d'accettarsi tale.
Non volle.
Non aveva certezze.
Non sapeva nulla di ciò che sarebbe accaduto.
Ciò che ascoltava era la presenza dell'ignoto, inspessito e reso reale via via che i passi s'allontanavano da lui, lui ch'era ancora alle spalle.
Non volle.
I passi s'arrestarono.
Oscar osservò di fronte a sé l'agitazione crescente tra i soldati francesi, Victor Girodel che camminava su e giù come un animale in gabbia.
D'improvviso s'accorse che i soldati americani erano meno rispetto a quelli che aveva scorto qualche istante prima.
D'istinto, il passo indietro sferzò i muscoli, il corpo ondeggiò come stranito dalla luce infernale che colpiva i sensi e minava la coscienza.
Non volle.
Scorse attorno a sé, intuì il crescendo di squarci di luce che s'agitavano entro spiragli scuri. Comprese che quelli che non erano più di fronte, s'erano precipitati a disporsi al riparo, entro la protezione della foresta.
Qualcuno più impaziente, incapace di attendere, tratteneva a stento il cavallo…
Se fosse andata oltre, se fosse giunta in salvo, dalla parte opposta della radura, per tutti quelli che aveva lasciato dietro a sé sarebbe stata la fine.
O forse no, se fosse andata fino in fondo, se fosse tornata al suo mondo, forse quelli avrebbero avuto salva la vita.
"Si è fermata" – sibilò Madame Roma, gli occhi fissi all'altra, feroce, come se imponesse all'altra di avanzare, solo così, solo con il pensiero fisso e ferreo – "No! Sta tornando indietro".
"Tenente" – ghignò Alain Soisson avvicinandosi a Victor Girodel – "Sta accadendo qualcosa, Williamson è scomparso e anche i suoi scagnozzi".
Victor Girodel rimase zitto, sollevando il braccio, come a ordinare ai francesi di farsi avanti perché il tempo pareva essersi fermato in bilico sui passi di Oscar François de Jarjayes che non avanzava più, anzi, stava tornando indietro.
"Mi sa che quella non ha nessuna intenzione di farsi salvare!" – punzecchiò Marcel divertito.
"E chi ti dice che quella voglia salvarsi!?" – rimbeccò Dante, con un mezzo sghignazzo – "O farsi salvare! Da noi poi?!".
"Andate!" – ordinò Girodel, furioso – "Riportateli indietro! E portatemi quel disertore, André Grandier!".
Rimontò a cavallo Victor Girodel, un colpo alle reni dell'animale, il gruppo dei soldati francesi si fece dietro all'ufficiale, in avanti verso la radura.
Nell'istante, Yellow Jacket giunse al centro dell'inconsueta e soleggiata arena, s'osservarono i due, l'ufficiale francese e l'indiano, entro una sorta di tempo fermo, di contro a tutto quel che aveva preso a mettersi in movimento, attorno a loro.
Oscar negò intuendo lo scarto rapido alle spalle dell'indiano, lo scostamento in avanti dei cavalieri.
Nego di nuovo.
"Correte!".
Un istante, Jacket comprese, quasi sollevò Lua di peso mentre quella si voltava indietro, il viso a cercare l'amante, mentre si rendeva conto di non avere più alcun luogo dove esistere.
Non era nulla per Victor Girodel, non era nulla nemmeno per la sua antica gente.
Il corpo implose come trafitto dalla misera constatazione, che l'indiano se la caricò in braccio, e Lua si ritrovò lo sguardo al cielo splendente e feroce, a trafiggere l'esistenza, che ridiventava flessuosa e lieve come un giunco ormai vinto dalla forza della corrente.
Presero a correre, anche se le gambe dolevano e la forzata prigionia della notte aveva minato i muscoli.
André, anche lui, comprese che Oscar stava tornando indietro.
D'istinto si mosse per raggiungerla, nemmeno udì il grido di Shani che lo richiamava e gli ordinava di tornare indietro, Isi era immobile, dilaniato dal dubbio di riportare indietro l'amico di un tempo, o tornare indietro, anche lui, straziato all'idea che i miliziani non si sarebbero accontentati di recuperare i prigionieri.
Il villaggio era troppo vicino, la scelta della radura ove consumare lo scambio era stata dettata dai miliziani americani.
Che nella giornata limpida e assolata, dall'oscurità della foresta sbucarono davvero, quelli, a cavallo, feroci, a rincorrere i prigionieri.
Alcuni arrestarono gli animali a distanza sufficiente.
Le baionette estratte…
Le pallottole sibilarono scorrendo contro gli avversari da abbattere.
Oltre i prigionieri…
Oltre…
I pochi indiani che possedevano un fucile tentarono di rispondere.
Qualche miliziano cadde.
Erano troppi…
Shani s'attaccò alle redini, per restare in sella, mentre il corpo attinto dal colpo, subiva l'offesa, la frustata recideva la vita antica, gli occhi saggi, il piglio guerriero.
Oscar s'arrestò di colpo alla visione terribile.
André avrebbe voluto afferrarla, sottrarla al fuoco incrociato, non ebbe il tempo, che un colpo sibilò accanto alla tempia, la pistola puntata addosso, gli occhi furenti di Alain Soisson che digrignavano rabbia.
"Stai fermo!".
Marcel e Dante si precipitarono giù dai cavalli, avvicinandosi, colpendolo e forzandolo a terra, tenendolo lì, fermo.
"Dovevi esser morto!" – sputò Dante inferocito – "Invece sei vivo!".
"Lasciami…" – il respiro mozzato – "Andare!".
"Certo…e dove?!" – digrignò Marcel.
Il soldato aveva chiesto di André.
Era morto, gli avevano detto ch'era morto.
E invece quel dannato era vivo, ormai non si contavano più le volte che quello li aveva presi per i fondelli!
Era contento Marcel Duval. Furioso ma contento.
Gustav Dumas osservava un poco in disparte i compari che come serpi s'attorcigliavano attorno al povero disertore.
"Che fai!?" – lo squadrò Alain dal basso verso l'alto – "Il Tenente Girodel ha detto di riportarli indietro! Tutt'e due! Ti è troppo difficile andare a riprendere il damerino?!".
Gustav Dumas sussultò un nossignore.
Si voltò e di colpo si ritrovò faccia a faccia col damerino che a sua volta l'aveva scorto.
Nell'istante i due si riconobbero come avversari, per quanto sconosciuti, seppur si conoscevano.
Oscar comprese che avvicinarsi ad André sarebbe stato impossibile.
Lui ebbe a mala pena la forza di sollevare il viso, cercando in mezzo alla polvere dei cavalli lanciati al galoppo contro gl'indiani che arretravano.
La vide poco lontano…
Gridò di andarsene…
Erano soldati francesi. Li aveva conosciuti a Brest e poi li aveva rivisti a Fort Awegen.
Chissà se anche quelli erano parte dell'orrida messinscena…
E loro la conoscevano, sapevano chi era Oscar?
Il suo vero nome, la sua vera essenza…
Che gli avete fatto!?
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
Quello che abbiamo fatto a lui l'avremmo fatto anche a voi!
Alain Soisson cacciò il ginocchio in mezzo alla schiena del soldato triste, per tenerlo a terra, afferrò i capelli, s'abbassò a parlargli…
"Noi sappiamo chi è lei. Sappiamo quel che hanno fatto a te. Non permetteremo che nessuno le faccia del male!" – che si voltò verso il compare – "Gustav! Muoviti! Ma vacci piano!".
Gustav era pietrificato, gli tremavano le gambe.
A Brest…
Lo stupore e la discesa entro la mistica attrazione…
L'appagamento d'un ignoto scarto della mente…
A Fort Awegen…
Mademoiselle Oscar François de Jarjayes…sei una donna di rara bellezza e intelligenza…vorrei avere il tuo coraggio.
Ma si…Alain…non ricordi che tu giuravi e spergiuravi che quello fosse una donna!? Insomma…anche se non l'hai mai detto davvero…s'era capito che lo pensavi.
E il leone regge una spada! Sì...un leone blu che regge una spada!
Ah! Un leone! Ebbene...messieurs...allora…qui sovviene in aiuto lo stemma! Dunque né un gatto, né un serpente! Ma nemmeno un dannato coguaro! Come si definiscono qui in America…i dannati leoni selvatici!
Una femmina?! Quello!? Il damerino sarebbe una…femmina?! Ma non dire idiozie!
O imitatores, servum pecus!
Penso che qualcuno abbia voluto prendersi un amore che non gli spettava! Dunque come se un leone volesse imitare un leone…che però…così diventa solo una scimmia!
E poi dopo…
Permettete?
Non so come…chiamarvi!
Come ti aggrada…
Le lingue di fuoco catturavano i pensieri racchiusi nello sguardo.
La luce, solitaria e fredda, lambiva i sensi…
Non fartene un problema. Sono stata appellata in tanti modi, monsieur, messere, colonnello…comandante…persino traditrice o strega!
Come a dire…
Che cos'è un nome?
Si è davvero soltanto quel nome?
Si è davvero soltanto quel grado o quel genere?
Allora…se non vi spiace…preferirei mademoiselle…
Allora…se non spiace a te…preferirei colonnello!
Noi…ci siamo chiesti tutti se voi conoscevate André Grandier?
E voi?
Si…anche noi l'abbiamo conosciuto. E ci siamo domandati perché ci abbia sempre nascosto di conoscere voi…ma ora che sappiamo chi siete…
E chi sarei…di grazia!?
Una donna nobile! E anche molto bella se proprio volete saperlo…non credo che a lui avrebbe fatto comodo far sapere in giro che vi aveva tra le sue conoscenze!
Gustav Dumas ammise che André Grandier, il soldato che aveva alle spalle, piegato a terra, vinto dalla forza dei compari, aveva lottato per lei, colei che ora si ritrovava di fronte.
Lei che era tutto…
"Mademoiselle…" – sussurrò il soldato, nella speranza che la donna che aveva di fronte, si lasciasse cogliere da un moto di pietà e deponesse l'assurda idea di ribellarsi, così che il compito del soldato, catturarla e riportarla tra le braccia del Tenente Victor Girodel, sarebbe stato semplice e in nessun modo cruento – "Colonnello" – si corresse.
Oscar s'impietrì.
L'istinto dettò d'indietreggiare, di non fidarsi dei dannati soldati, scorse dietro a quelli, polveroso e furioso, il fulmineo galoppo forsennato d'una ventina di miliziani che superavano la radura, incuranti dei prigionieri, incuranti degli indiani ch'erano rimasti senza la loro guida, intenzionati a resistere e morire lì.
Li vide procedere oltre, ghermire lo spazio assolato, imboccare il sentiero da cui erano giunti gl'indiani.
Il dubbio indusse lo sfacelo.
Tutto rimbombava nella testa, tutto si spandeva nella gola il metallico sapore del sangue, come se ritornare al proprio passato fosse equivalso a riaprire una ferita che lentamente si era rimarginata.
Non aveva mai temuto per la sua vita passata.
Essa era scorsa severa, intransigente, piena, fulgida.
Aveva svolto i suoi incarichi in maniera egregia, senza mai emettere un lamento, senza mai comprendere che lei era stata come quegli indiani, racchiusa entro un luogo e un tempo, come un animale in gabbia, come quel dannato pavone imprigionato nei giardini di Versailles, a far bella mostra di sé, a inorgoglire la corte francese che poteva fregiarsi d'essere la più aperta e disincantata e disinvolta dell'intera Europa.
Forse era proprio quello che adesso temeva.
Ritornare…
Gustav Dumas si volse contro di lei, un colpo alle reni…
Oscar si ritrovò il passo sbarrato. Gli occhi presero a cercare un pertugio ove rifugiarsi, lo sguardo sfregiato dai corpi che cadevano avanti a sé, i giovani indiani trafitti dalle pallottole, i miliziani rimasti nello spiazzo assolato li raggiungevano e da cavallo caricavano quelli che resistevano in piedi, a colpi di tomahawk a scalpare le teste.
Impossibile tornare indietro…
Un lampo scuro alla sinistra, uno squarcio nero nella foresta.
Prese a correre.
Gustav Dumas no, pietrificato da se stesso…
Gli altri tre, la mente inferocita dallo smacco, si fecero addosso, lo trascinarono su, in piedi, André scorse ai vecchi compari, la vista annebbiata, il corpo trafitto, muto, a cercarla per scorrere al suo destino.
"Senti…" – sibilò Alain mentre tentava d'afferrare l'altro per le braccia e legarlo…
André fece un passo indietro, sgusciando via…
Sibilarono le pallottole, che per poco non ci sarebbero rimasti in mezzo anche loro.
"Dannati americani!" – gracchiò Marcel – "Non sentono altro che la legge delle pallottole! Se non ci leviamo di qua rischiamo d'essere ammazzati anche noi!".
I tre soldati tentarono di ritornare indietro.
André, muto, non ne volle sapere, che indietreggiò ancora, l'aveva scorta, da lontano, imboccare il pertugio scuro della foresta.
Gliel'aveva gridato di fuggire…
Assurdo…
Separarsi di nuovo…
Ritornare indietro…
Un altro passo…
Alain rischiò d'essere colpito…
I soldati s'abbatterono a terra, d'istinto, a schivare le pallottole.
André rimase ritto, come immemore del passato, delle offese ricevute, alla ricerca d'una frattura nella sorda e rabbiosa compattezza degli avversari, ancora più tignosi per via che tempo erano stati tutti compari, così da imboccare la via di fuga.
Un istante, intuì che la guardia s'era abbassata, pregò che quelli non gli avrebbero sparato alle spalle, s'immaginò che se non l'avevano colpito mentre s'avvicinavano forse non l'avrebbero fatto nemmeno dopo.
Un passo…
Si fece scudo con uno dei cavalli imbizzarriti…
Si issò su, aggrappandosi al collo, inforcando le staffe.
Pregò André che lei non si stesse dirigendo al villaggio.
"Caz…! – gridò Alain, tornando ad afferrare le redini del cavallo che spaventato non voleva sentirne di restare lì, in mezzo alla cortina di spari – "Stategli dietro! Scappa!".
Victor Girodel scorse la scena, da lontano, l'ordine furioso di riprendere il disertore a qualunque costo, che lui voleva essere eroe, a tutti i costi, dolente soldato percosso dallo smacco d'aver creduto all'integrità dell'altra che sfuggiva, ancora, e lui doveva rimettere le cose a posto, restituirla alla sua antica vita.
Che no, quello, il disertore, caparbio com'era sempre stato, per via di quel mezzo passo che da sempre l'aveva separato da lei, solo mezzo passo, allungò la distanza dai tre soldati, intenti a schivare il piombo degli americani, furiosi d'esser beffati – di nuovo – dal dannato soldato che non ne voleva sapere di lasciarsi catturare.
Ch'era evidente quel che voleva…
Tutt'intorno sferzavano le grida di quelli colpiti, la polvere il gola, la terra sulla faccia…
Madame Roma si ritrovò a fare da scudo alla giovane Lua, ormai vinta e straziata dal rifiuto, l'ennesimo che s'era consumato davanti agli occhi, inciso come frustata sulla pelle,
Yellow Jacket - una sorta di muto consenso alla donna che conosceva, ora china a proteggere e tenere stretta quella più giovane – corse via anche lui.
I tre soldati si riebbero, divincolandosi dal fuoco avversario, scorsero il disertore allungare la distanza, imboccando lo stesso immaginato percorso scelto dall'altra, ch'era già sparita nella boscaglia.
Un pugno in pancia a quello più giovane, che chissà come s'era lasciato sfuggire il damerino.
Via…
Graffiavano i rovi…
Le gambe e le braccia erose dalla fatica e dal terrore…
Grida alle spalle…
Il suo nome…
"Torna indietro!"
Oscar chiuse gli occhi, scompose i suoni, distinse lo stridio del falco che guidava i passi, orientando non più una fuga ma il disperato tentativo di salvare quelli ch'erano erano rimasti al villaggio.
Il passo sbarrato dalla sagoma del cavallo, sollevò gli occhi, intuì la sagoma del cavaliere che si parava davanti.
Senza respiro quasi cadde mentre le braccia l'afferravano…
"Sei viva!" – la voce squassò la coscienza mentre il corpo si divincolava…
Gli occhi scorsero il volto di Victor Girodel che la teneva a sé, l'abbracciava, in ginocchio, mentre la voce tremava, come non fosse certo d'averla ritrovata, come se lei d'un tratto gli sarebbe sfuggita di nuovo.
"Sei viva!?" – lo ripeté Girodel, questa volta il tono era di domanda, come a chiederlo a lei…
"Si…".
"Ti ho cercato tanto!" – l'abbracciò di nuovo, Oscar ascoltò l'insorgere d'uno straziante combattimento.
Lei, antica donna impigliata nel laccio del pavone, cacciata dentro un'uniforme per via d'un sogno che lei stessa s'era immaginata fosse anche il proprio, combatteva ora contro la donna nuova, una veste fatta di stracci, intessuta dell'Amore di un uomo, che però amore non significava sacrificarsi ma imporre un sacrificio all'altro.
L'ascoltò, dirompente, il sacrificio riversato addosso, fulgido mantello di seta a lambire la pelle, struggere il cuore, dividere l'intelletto - impensabile sarebbe stato separarsi dall'altro…
Eppure nel combattimento straziato, l'abbraccio colpì i sensi, fondatamente sincero, come se davvero Victor Girodel volesse prendere su di sé quel dannato amore, quello di lei per il soldato disertore per sollevarla, semplicemente sapendola al sicuro.
Silenzio…
Lo sguardo sbarrato…
"I miliziani…li ho visti andare verso il villaggio. Devo fermarli!".
"Non puoi andare da sola! Non te lo permetto!".
"Che cosa sai? Che vogliono fare?".
"Io avevo il compito di cercare te. E devo trovare anche…André Grandier".
Il nome scorse sulle labbra, Oscar si riebbe, tentò di alzarsi, le forze minate dallo sforzo e dalla notte di prigionia.
"Non ti permetto di andare sola!".
"Dimmi che cosa sai?– la chiosa velenosa punse – "Victor, ti riterrò responsabile"
I quattro soldati arrivarono nell'istante, e via via gli altri francesi che alla fine avevano lasciato la radura ove s'era consumata la prima battaglia.
Girodel compose il gruppo con un'occhiataccia muta, proteso a lei, mentre i soldati a loro volta osservavano la geometria scomposta che scorreva sotto gli occhi, il damerino per nulla intenzionato a restare lì, come pazzo di continuare la sua corsa o la sua fuga che dir si volesse, e il Tenente Victor Girodel fermamente intenzionato a tenerlo lì.
Oscar squadrò Victor Girodel - "Dimmi ciò che sai…".
"Quei soldati ci hanno aiutato a cercarvi" – lo sguardo fisso, che non voleva andare oltre, anche se il dubbio fondo che stesse accadendo altro – "Non so altro".
"Allora lasciami andare! E' possibile che abbiano altre intenzioni! La donna ch'era la guida degli indigeni è morta!".
Come a dire…
Se non c'era altra necessità che scovare due persone, perchè uccidere colei che comandava gli indiani?
Da lontano…
Un soffio…
André riconobbe il gruppo.
Aveva riversato il proprio amore su di lei, un sacrificio enorme sulle sue spalle, anche se Amore non ha dimensione, non ha tempo.
Amore non è nulla, eppure pesa più di un macigno sul cuore.
Amore l'avrebbe resa debole, vulnerabile.
Arrestò il cavallo, negli occhi il corpo di Shani, a terra, colpi d'ascia inferti a finirla e disperdere lo spirito dell'anziana che avrebbe vagato per l'eternità entro le zolle intrise del suo sangue.
Shani gli aveva salvato la vita.
Il cavallo scartò, André mutò percorso.
Oscar era salva, al sicuro, nessuno le avrebbe fatto del male.
Ma lui l'aveva sempre saputo che il tempo avrebbe continuato a scorrere e che lei, prima o poi, sarebbe tornata alla vita di un tempo.
Forse non quella di un tempo, ma in quel momento, non c'era più tempo.
Lei era tornata indietro.
Lui non avrebbe potuto.
Tornare l'André di un tempo, il servo, l'attendente, l'uomo che l'aveva amata rischiando di annientarne l'esistenza…
Il tempo trascorso aveva scavato un solco dentro l'anima.
Il grido del falco riportò l'ingresso al piccolo villaggio, il terrore scorreva negli occhi dei pochi giovani rimasti a custodire le proprie famiglie.
Dei miliziani non v'era traccia, dunque non era certo fossero giunti sin lì, oppure…
Yellow Jacket sbucò da un sentiero, si ritrovarono i due, dopo tanto tempo, sospesi e grati d'essere ancora vivi seppure sull'orlo della terribile disfatta.
"Dovete andarvene!" – sferzò André, scrutando alle facce impaurite di quelli che lo conoscevano e gli venivano incontro, dopo aver appreso che Shani era morta e con lei anche gli uomini che l'avevano accompagnata alla radura.
"Dove!?" – gridò Jacket furioso e stravolto – "Dove potremmo mai fuggire con i nostri bambini, le nostre donne…".
Isi si fece avanti, il volto stravolto…
"Non potete affrontarli!" – riprese André che non aveva soluzioni, non lì, non da solo – "Almeno…costruite uno sbarramento! Per prendere tempo!".
"Sì, ci abbiamo già pensato…" – ammise Isi.
La tregua solo immaginata, forse lui era giunto per primo, perché i coloni avevano atteso in nome di chissà quale strategia, in nome di chissà quale vendetta.
Il boato dei cavalli che s'avvicinavano incise il respiro.
André prese a cercare, comprendere. Era troppo tardi!
Si maledisse…
Nell'istante in cui i cavalli furono abbastanza vicini…
Il boato degli zoccoli s'interruppe d'improvviso, inghiottito da un altro boato, dirompente.
L'esplosione scosse i muscoli, la voce.
Lo sguardo si ritrovò accecato dalla nuvola nera di terra scostata e poi grigia di polvere soffocante.
Tutto si colmava delle grida di uomini che cadevano a terra e nitriti di cavalli spaventati che fuggivano.
Effimero vantaggio…
Nella lucida giornata di tiepida primavera, quelli ch'erano rimasti vivi presero ad organizzare una rudimentale barricata, per impedire ai miliziani di varcare l'ingresso dello sparuto gruppo di catapecchie.
"Lasciami andare!" – una smorfia, lo scarto del piede, prese a correre Oscar, nelle orecchie il boato che gelava il sangue.
La riacciuffarono o meglio i soldati sbarrarono il passo di poco sul limitare della voragine, da una parte i miliziani inferociti, dall'altra gli indiani disperati e senza salvezza, nel mezzo i soldatacci francesi che si ricompattavano ad attenersi agli ordini.
"Fermatevi!" – Alain Soisson si permise d'ostacolare il passo…
Dante e Marcel s'avvicinarono…
Gustav Dumas allargò le braccia, come vollese salvarla – l'altra – e non certo riprenderla al laccio.
"Sentite…damer…" – si lasciò scappare Marcel che l'appellativo gli rimase inchiodato in gola alla vista dell'altra, lo sguardo furioso, il passo furente – "Pardonnez – moi…colonnello…".
L'altra non si lasciò intimorire - "Scostatevi! Tutti!" – che il piglio pareva davvero quello d'un ufficiale dell'esercito, declinato entro la suadente voce di donna, ferma, sanguigna e gelida al tempo stesso.
I soldati davvero compresero che quello non era un damerino.
Semmai era stata l'ignoranza nel declinare il sesso d'una persona dal semplice atteggiamento e dai gesti che quello articolava, a beffarli e a renderli ciechi.
Quanto s'erano sbagliati…
"Non possiamo obbedirvi!" – si rivoltarono in coro quelli tentando d'addomesticare voce e gesti.
"Non puoi andare là dentro!" – insistette Girodel, un'occhiata rapida allo scempio perpetrato alle spalle, i cavalli sfuggiti e disorientati, i soldati americani furiosi e malconci, l'odore della polvere da sparo aleggiava nell'aria.
Tutto così simile dall'incursione a Northampton.
Alle spalle…
Williamson si fece avanti, furioso dello smacco, nell'esplosione tre dei suoi miliziani s'erano ritrovati a gambe all'aria, i destrieri perduti nella foresta.
"Tenente Girodel…questa persona…sarebbe l'ostaggio? Il colonnello o il disertore?!".
"Il colonnello!" – gridarono in coro i soldati, che Girodel li fulminò all'istante.
"Bene!" – sputò Williamson – "Devo dedurre che il disertore v'ha giocato un'altra volta!".
"Lo prenderemo!".
"Vedete di fare in fretta! Noi entreremo…ma quando lo faremo…".
"No!" – che Oscar si fece avanti, un passo, la voce rotta, che s'immaginava che sarebbe potuto accadere.
"Oscar…" – Girodel s'oppose intuendo la ribellione dell'altra dettata dal puntiglio di salvare un servo ch'era pur stato amico, ma lì s'aggrappava Victor Girodel, solo alla dannata e sorprendente amicizia – "E' vivo! Ma non è mai tornato al suo reggimento! Dunque è un disertore! Ho il compito di catturare André Grandier. Dovresti saperlo! E' inevitabile!".
Silenzio…
Il respiro quasi distrutto…
La folle lucidità che detta il passo…
"Se è questo che vuoi, lascia che vada io! Lascia che ci parli. Lo convincerò ad arrendersi! Lo arresterai! Ma nessuno dovrà entrare nel villaggio".
Il compromesso sferzò la coscienza dei presenti.
Ognuno vi lesse ciò che aveva desiderio di leggervi.
Victor Girodel, la tiepida speranza che l'altra fosse tornata la Oscar di sempre, ligia e lucida al ruolo e al suo dovere, depurati però dall'idiota intemperanza tipica degli ufficiali maschi.
I soldati, l'ammissione che quella donna non avesse paura di nulla ma che più di ogni cosa temesse di perdere il suo bellimbusto quasi nobile.
Williamson, l'opportunità che gli avrebbe facilitato ciò che s'era prefissato di fare.
"Se si arrenderanno tutti…" – esordì l'ufficiale americano sfidando lo sguardo dell'altra – "Hanno occupato i villaggi dei coloni, dovrò riportare quella gente indietro".
"Li convincerò!" – l'abisso di comprendere l'assurdità della proposta ma almeno nessun'altro sarebbe stato passato a fil di spada – "Lasciatemi andare".
Girodel squadrò Williamson. Lo scambio severo non ebbe pregio di far desistere l'americano dal restare fermo alla sua richiesta, che l'ufficiale francese fu costretto ad allargare la presa e a lasciare andare Oscar.
"Starai attenta?" – chiese, come stranito all'idea d'averla appena ritrovata, e dunque lasciare di nuovo.
Oscar si rimise in piedi, le redini strette, il cavallo spinto al passo, il vento sussurrava profumi d'erba nuova, acqua fredda, voce muta che lambiva l'udito.
Ascoltava il suono del suo nome, che lui glielo aveva sussurrato e lei non l'aveva mai udito il suo nome, di dolcezza e tristezza, come fosse un nome perduto, come impaurito a lambire la bocca dell'altro.
S'avviò verso la precaria barricata a protezione dello scalcinato accampamento.
La gentaglia in uniforme la vide sparire, attese qualche istante, così da lasciar scorrere lo spazio necessario a rendersi estranea alla faccenda.
§§§
"E'…" – Yellow Jacket richiamò André – "Lei…è là fuori…".
André la scorse, il cuore sussultò, non comprendeva, il legame era divenuto feroce, ma non al punto da renderla così vulnerabile.
Un'asse scostata fu segno che era ammessa a entrare.
Quel legame feroce si dispiegava adesso, lucido entro la feroce brillantezza d'una giornata di primavera, simile forse a quella del giorno in cui s'erano incontrati la prima volta.
Oscar entrò, lo vide, di colpo rammentò il giorno in cui aveva veduto André Grandier per la prima volta, dopo che per giorni, nanny aveva provato a descriverglielo, ma la mocciosa non era riuscita a immaginarselo, il ritratto difettoso in altezza e magrezza.
E di certo nanny non era stata avara di particolari sul carattere.
Un bambino dolce e buono e silenzioso…
Che schifo!
L'aveva pensato davvero, Oscar François de Jarjayes, ficcata sotto le coperte a immaginarsi se mai sarebbe riuscita a coinvolgere un moccioso descritto come un bamboccio, entro le noiosissime giornate fatte di studio, le frenetiche esercitazioni, le scorribande attorno a casa.
Ma che se ne faceva lei di un bambino dolce, buono e silenzioso…
Ritornò là, come non fosse più lei quella che aveva sognato il moccioso e poi l'aveva atteso sullo scalone di casa, lei che scendeva uno scalino alla volta e lui immobile, naso all'insù, intento a comprendere chi fosse colei che gli arrivava incontro.
Chi sei adesso?
Glielo chiese Oscar…
Glielo chiese André, muto, incapace di restare lontano. S'avvicinò quasi timoroso d'abbracciarla che però scorse nello sguardo dell'altra il desiderio fondo d'essere abbracciata e di abbracciarlo.
Tutto mutato e travolto.
Lì, stretta nelle braccia, Oscar notificò la richiesta di resa.
André doveva uscire, arrendersi.
Sarebbe stato preso dai soldati francesi, in quanto disertore. E se la gente indiana avesse deposto le armi e si fosse arresa, non sarebbe stato fatto loro del male.
Sarebbero stati ricondotti tutti entro le riserve che avevano avuto l'ardire d'abbandonare.
Il sole brillava alto…
"Arrenderci?! Hanno ammazzato Shani! Perché?" - scaldava l'aria, il sole, illuminando le limpide alture tutt'intorno, fruscianti di fronde nuove, voli radenti d'uccelli nella volta azzurra - "Nessuno di noi aveva le armi puntate contro di loro!" – sputò Isi, furioso e guardingo, che le parole sollevavano un moto di terrore – "Hanno ammazzato la nostra gente!".
Piangevano tutt'intorno, la donna che li aveva guidati fino a quel momento era morta e piangevano per non avere più scampo da un destino da sempre deciso da altri.
Qualcuno maledisse gl'invasori…
André non declinò risposta. Non credeva alle parole dette, per quanto la bocca che le pronunciava fosse sincera.
Aveva ascoltato sulla pelle la ferocia della guerra, uguale a tutte le guerre, fatte di grandiosi scontri navali, battaglie attraverso campagne, città, alture, vie di passaggio di uomini e merci, costellata di rappresaglie, agguati, razzie, incursioni, vendette.
E per ognuna ce n'era stata una successiva e una ancora e un'altra ancora, una spirale senza fine ove erano rimasti incastrati quelli che non avevano armi, quelli a cui avevano portato via la terra, la fede, il futuro.
"Stai…bene?" – chiese André accarezzando i capelli, le dita tremavano di folle gioia e al contempo terrore per averla perduta.
L'aveva perduta sì, l'aveva già perduta, non entro le poche ore di separazione, ma nel tempo che sarebbe venuto, quello che sarebbe scorso se entrambi fossero tornati a essere ciò che erano stati prima, seppur consapevoli di non essere più gli stessi.
Che lui aveva lasciato la Francia per non sporcare lei d'un amore folle e senza speranza.
Non solo il proprio, ma quello stesso Amore che lei avrebbe potuto provare per lui.
André non sapeva se Oscar avrebbe avuto forza di tenere quell'Amore nelle sue mani o se esso sarebbe sfuggito o sarebbe stato strappato via persino per il suo stesso bene.
L'implorò di dirglielo se stava bene.
Oscar annuì e nell'affermazione rimbalzò la domanda, che lui la prese in disparte, per non ferire la sua illusione, per salvare quelli ch'erano stati messi alle strette per sua responsabilità.
"André…".
"Ascolta…mi fido di te, ma non sono certo che ciò che ti hanno assicurato sarà mantenuto! Questa gente è indifesa. Dovrebbero risparmiare loro la vita? Per pietà? Per onore di giustizia?".
"Non so perché. Mi hanno consentito di venire qui e poi…i soldati sarebbero potuti entrare e fare ciò che temi ma non l'hanno fatto" – volevano il disertore…
"Non chiedermi il perché, non chiedertelo, io non voglio che ti accada nulla!".
Lo scambio era equo. Nessuna carneficina, in cambio del disertore e dell'ufficiale francese.
"Devo la vita a queste persone. Shani è stata uccisa. Non posso abbandonarli".
Vacillò l'altra, forse l'abbaglio del sole, forse la visione della strage che s'era appena consumata, forse la visione di sé, che non sapeva più chi era colei che parlava.
Gli prese le mani, tornò a scorrere il pollice all'interno del palmo.
Le sue mani…
Su di sé…
Mentre tutto intorno andava via via frantumandosi e disperdendosi.
Oscar fece appello al tocco gentile e intenso delle mani di André, mentre accarezzavano il torace, il costato, i fianchi, come a preparare la pelle al bacio più dolce.
Non c'era possibilità di sapere se ciò ch'era stato detto sarebbe stato mantenuto.
Tutto rimesso nelle sue mani…
Le mani di André.
Lui strinse le mani, più avesse atteso, più tutto sarebbe stato vano, come se quel tempo speso nell'incertezza sarebbe stato scambiato per un affronto buono a disattendere la flebile promessa di salvezza.
Un respiro fondo…
"Va bene…" – disse piano André – "Uscirò…con te…".
La scelta racchiudeva ciò che lui era stato negli ultimi tre anni, da quando se n'era andato, le tante notti solitarie ad immaginare cosa facesse lei, a pensare se l'avrebbe mai rivista, a temere di ritornare, rivedere la Francia e tutto ciò che essa rappresentava.
Per assurdo che fosse, in quello strano paese perennemente in guerra con se stesso e con il resto del mondo, lui era stato libero.
Ma in fondo non lo era stato affatto.
Non lo era stato da lei, che lei era stata con lui, durante gli anni in cui si erano separati, come una ferita impossibile da rimarginare, come un carezza a cui si anela, sempre, in qualsiasi avversità della vita.
E colui ch'era vissuto lì, in America, non lo era stato davvero, libero.
Non lo era stato in quanto André Grandier, ma come un disertore, come un uomo che aveva abdicato al suo nome, alla sua storia.
Chissà se sarebbe giunto un giorno in cui André Grandier sarebbe potuto vivere libero, come un uomo qualunque, né eroe, né santo, in qualsiasi luogo della terra, che fosse in America o in Francia o dove avesse voluto.
Chissà se un giorno sarebbe stato semplicemente un uomo...
Ora tornava ad essere André Grandier.
L'uomo che amava Oscar François de Jarjayes e che sarebbe tornato a camminare mezzo passo dietro a lei.
I pugni stretti…
Se l'avesse persa…
L'amava…
Se l'avesse persa…
Quell'amore era addosso a entrambi, quel sacrificio stava a lei portarlo.
Lui non avrebbe potuto fare più nulla.
"E' lui!?" – bofonchiò Williamson alla vista di due persone che uscivano dal villaggio, senza neppure domandarsi se quello fosse il disertore che i francesi stavano cercando.
Quando la distanza fu sufficiente…
Girodel annuì e poi diede l'ordine.
I soldati si precipitarono contro i due…
Che però Williamson, parimenti, diede analogo ordine ai miliziani che come furie oltrepassarono i francesi per forzare lo sbarramento ormai inutile che ostruiva l'ingresso del villaggio.
André tremò, uno scarto del passo, l'implosione del cuore.
L'istinto dettò di tornare indietro, come richiamato dall'ingresso sgarbato e terribile che gli americani perpetravano contro la fragile messinscena degli indiani.
Stavolta Alain e gli altri – già abbondantemente beffati in passato e dunque intenzionati a non farsi prendere in giro ancora – sbarrarono il passo.
Nell'istante finalmente gli sguardi scorsero gli uni a quelli degli altri.
Alain per la prima volta si ritrovò di fronte il soldato triste e il damerino. Tutti e due. Vicini.
Scorse la ferita all'occhio sinistro, s'immaginò che la cicatrice fosse l'esito di uno scontro, forse proprio l'agguato a Northampton, quando André era stato dato per morto.
Si era salvato invece, ma non era tornato.
Alain Soisson li vide a quel punto, entrambi.
Scorse al damerino, all'effige che seppur minata dalla fatica e dallo sconcerto emanava un'oscura luce capace di fondersi con il blasfemo e infernale amore dell'altro.
Alain Soisson comprese che la donna che André conosceva era lì, sotto i suoi occhi, la stessa che amava, la stessa per cui aveva lasciato la Francia, la stessa per cui aveva sopportato inutili e silenziose punizioni.
Il bacio di Brest riemerse nella mente, così come gli sguardi che s'erano posati su di esso, tutti, a carpire ciascuno un brandello di quell'immenso e sublime legame.
Lesse il terrore negli occhi di entrambi, così come vi lesse l'impalpabile forza che li legava.
Victor Girodel s'avvicinò, greve - "Siete un disertore Soldato André Grandier! Non siete tornato al vostro reggimento. Ne subirete le conseguenze"
André rimase lì, sull'altro, a sfidarlo, senza abbassare il volto, senza abdicare a ciò che era diventato, in fondo nessuno, alla fine tutto.
Era la prima volta dopo anni che i due si guardavano in faccia, anche se sapevano bene entrambi chi erano e quale fosse il passato che sgorgava dalla stessa infausta origine.
Amare la stessa donna, in modo diverso, calati in una vita lontana l'una da quello dell'altro, i destini per nulla scontati.
Victor Girodel l'aveva compreso ormai che André Grandier amava Oscar François de Jarjayes e si ritrovò smarrito e quasi furioso al pensiero che proprio quell'amore avesse spinto l'altro ad andarsene, piuttosto che combattere per la donna che amava.
Lasciarla anziché restarle accanto
Sulle prime aveva pensato fosse per via di un amore senza speranza. Mai André Grandier avrebbe potuto avvicinarsi a Oscar François de Jarjayes. Ne avrebbe compromesso l'onore, ne avrebbe sporcato la fulgida esistenza.
E lasciarla, poteva forse a prima vista essere gesto di salvezza e protezione verso di lei.
Ma fuggire per via di un amore impossibile è gesto troppo scontato, da vigliacchi.
Victor Girodel aveva disprezzato il gesto di Andrè Grandier.
Victor Girodel sentì il sangue ribollire nelle vene di fronte allo sguardo insolente di quello ch'era stato servo e che ora era disertore.
Come se quello sguardo rivelasse altro.
Come se esso avesse dettato la forma più potente e sublime di affermazione di sé e di quello stesso Amore, che dunque era più forte e saldo del rango, più astuto e abile della distanza imposta dalla stessa scelta folle e vigliacca che André Grandier aveva perpetrato contro Oscar François de Jarjayes.
Victor Girodel ingoiò il resto delle accuse, quelle per cui il Conte Hans Axel von Fersen aveva espressamente dubitato della correttezza di André Grandier.
Tacque non certo perché credeva il servo innocente ma proprio il contrario.
Grida dal piccolo accampamento indussero André a rivoltarsi contro la forzata legatura.
Lo sguardo chiese aiuto, squadrando Oscar e lei comprese e fece un passo indietro per tornare dentro al groviglio di terree speranze.
Che fu Girodel a sbarrare il passo a lei.
"Lasciami passare! Avevate promesso che non sarebbe accaduto nulla! Voglio accertarlo!" – sibilò come se l'antico piglio fosse riemerso a spazzare via l'insolente senso di protezione che il sottoposto di un tempo aveva dispiegato verso – o contro – di lei.
Furente Victor Girodel lasciò libero il passo.
Oscar si voltò solo un istante a osservare André, prigioniero, non solo delle dannate legature ma di altri lacci, ben più insidiosi e duri da spezzare.
"Vi prego…non lasciatela andare da sola…" – sibilò André vinto dalla forza che lo inchiodava lì.
Guardò Alain Soisson e quello ricambiò con un'occhiata sprezzante come a dire che lui per i nobili non avrebbe mosso un dito.
"Alain…va con lei. Quella gente sarebbe capace di tutto" – disse André, in ginocchio a terra – "L'ho già…incontrata"
Sussultò Alain Soisson, l'affronto subito – essere stati presi per il naso dal soldatino triste e dal damerino infingardo, che quei due già si conoscevano ma non l'avevano detto e avevano recitato una bella commediola capace d'ingannarli tutti – prese a dissolversi come neve al sole.
"Tenente Girodel…" – attaccò Alain severo – "Permettetemi di entrare. In fondo ne va del buon nome dei soldati del Re di Francia".
L'inaspettato affondo a mezzo del nome del re, mai speso fino ad allora dalla masnada di soldatacci, che – ne era più che convinto Victor Girodel – s'erano imbarcati per l'America forse per un misero salario, non certo per via delle idee di libertà che avevano spinto il Re di Francia a finanziare la spedizione – indusse Victor Girodel a cedere.
"Se pensi di fuggire…" – masticò severo Alain Soisson contro André Grandier.
"No, non fuggirò! Andate con lei" – replicò l'altro sconfitto, di nuovo prigioniero del dannato ruolo di subalterno che l'avrebbe reso schiavo per tutto il resto della vita.
Oscar si ritrovò nel mezzo dello spiazzo ove un tempo i passi s'erano arresi ai passi di André.
Lo sguardo scorse ai movimenti feroci che straziavano la fragile geometria di sopravvivenza, i miliziani entravano nelle catapecchie, nelle tende, imponevano a tutti di uscire.
Perché?
Rivide quello che pareva essere al comando della furiosa brigata.
"Questa gente si è arresa!" – gridò parandosi davanti a Williamson che osservava sprezzante lo spettacolo che si dipanava davanti agli occhi.
"Vi consiglio di restare al vostro posto!" – sputò l'altro, analogo disprezzo al genere dell'altra – "Mademoiselle!".
"Il vostro grado non vi consente di interferire con il mio!".
"Avevate detto che li avreste ricondotti indietro. Alle loro riserve. Ebbene non c'è necessità di trattarli come bestie! O non siete nemmeno capace di mantenere una promessa fatta poco fa?!".
Rimbombavano attorno le grida dei miliziani, l'agitazione degli indiani cresceva, il disprezzo dei miliziani anche.
Chi si opponeva alle maniere rudi all'ingresso nelle catapecchie veniva sbattuto a terra…
Le donne da una parte, gli uomini dall'altra…
I mocciosi più grandi da un'altra parte ancora…
Argo era impietrito. Eseguì gli ordini come non avesse più volontà.
Oscar si oppose, si parò davanti al gruppetto di bambini e bambine più grandi, le braccia larghe - "Fermatevi!".
Due miliziani s'avvicinarono per scansarla.
Un ceffone a uno, un pugno all'altro.
Un bastone ch'era lì, afferrato e sbattuto nelle gambe dei due che s'era rialzati minacciosi…
"Ci sapete fare mademoiselle!" – ghignò Williamson sprezzante, mentre ordinava silenzioso ad altri uomini d'avvicinarsi e togliere di mezzo l'insolente donna.
Quelli si pararono davanti…
Williamson s'avvicinò, fece cenno…
Un soldato si tirò dietro una giovane indiana, quasi una bambina.
"Vedete questa muso rosso? E il vestito che indossa?!"- attaccò Williamson.
Sì, era poco più che una bambina, non indossava un abito di foggia indiana, piuttosto uno tipico delle famiglie dei coloni, maniche strette, stoffa quadrettata, gonna ampia.
Scorse alcune macchie di sangue, non comprendeva…
"Miss Pealee…" – esordì Williamson terreo – "Era la moglie di un nostro colono. E' stata rapita qualche giorno fa, la sua casa razziata e incendiata. Lei e il figlio più piccolo sono stati uccisi e i corpi impalati su un sentiero poco lontano da qui".
Oscar intuì la macabra chiosa…
Negò, tentò di superare i miliziani, quelli strinsero i ranghi l'afferrarono per le braccia, che lei si liberò di nuovo ma il passo era di nuovo sbarrato e se non fosse stato per il soldato Alain Soisson che si parava davanti, non le sarebbe stato risparmiato un odioso calcio, anche se era una donna, che quel colpo le avrebbe di sicuro smorzato le forze, forse squarciato il viso o spezzato una costola.
"Oh…" – Williamson non si lasciò intimorire – "Vedo che avete molti soldati al vostro servizio!".
"E voi…monsieur…" – sferzò Victor Girodel che parimenti si mise in mezzo – "Che diavolo state facendo? Non erano questi i patti!".
Oscar ascoltò, mentre tutt'intorno la volta celeste prendeva a roteare come impazzita e il sole pareva incendiare il cuore e il sangue.
"Monsieur!" – sibilò Williamson – "I nostri patti si fermano qui! Vi avevo detto che se questa gente si fosse arresa noi l'avremmo ricondotta alle loro riserve. Ma non sapevamo ancora fossero responsabili dell'assassinio di Miss Pealee e di suo figlio! Mister Pealee qui presente ha riconosciuto l'abito indossato da questa indiana, era quello di sua moglie. E' ancora sporco di sangue…".
Il colono era pietrificato, bianco in faccia, livido e squassato, fisso allo straccio a quadretti sporco di sangue, riempito d'un corpo esile che non riconosceva. Era solo un pezzo di stoffa.
Era stato di sua moglie, morta assieme al figlio.
Prese a piagnucolare la giovane, negando - "Me lo hanno regalato…non lo sapevo…".
L'ufficiale americano proseguì sprezzante, parola dopo parola si dipanava il reale obiettivo…
"Ci sono altri oggetti che vengono dalla casa dei Pealee. Questa gente è colpevole di aver ucciso i nostri fratelli. E dunque il nostro patto non vale più! Loro hanno ammazzato i nostri figli e noi ammazzeremo i loro!".
Il verdetto si rovesciò addosso ai presenti…
Oscar si rialzò, tentò di liberarsi…
D'improvviso vide correre verso di sé una giovane donna, la riconobbe.
Isi scattò verso quella…
Due miliziani si misero in mezzo…
Un grido…
Nova s'impietrì mentre davanti agli occhi scorreva il colpo netto che atterrava Isi…
Un padre per un padre…
Non riuscì neppure a emettere un fiato, indietreggiando mentre i miliziani le finivano addosso.
Oscar corse, Nova la squadrò atterrita, come per rifugiarsi nelle sue braccia.
Un unico gesto, mentre veniva ripresa per i capelli…
Un figlio per un figlio….
Un secondo colpo…
Il grido aspro e straziante perforò l'aria, innalzandosi al cielo, la vista attinta dal sangue schizzato a straziare la mente e dividere i destini.
Oscar chiuse le braccia, stringendosi addosso il bambino, piccolo uccello implume offerto in sacrificio, afferrato a stento, in nome della sua salvezza, prima d'essere gettato in pasto alla vendetta.
"Portateli nelle baracche!" – ordinò Williamson.
Oscar s'impietrì, la voce spezzata, la forza docile a tenere stretto il corpo piccolo, che ancora un'altra volta la madre gliel'aveva dato e lei no, non ci credeva d'esser così lieve da tenerlo a sé, e poi l'aveva veduto attaccarsi al seno della madre, sbadigliare, accennare un primo timido sorriso…
I grandi occhi blu, scuri.
Yellow Jacket tentò d'avvicinarsi all'amico d'un tempo ridotto a corpo inerme a terra, in una pozza di sangue, il lucido rivolo a ricongiungersi a quello della donna ch'era stata compagna, poco più in là, occhi aperti, sbarrati al cielo limpido di primavera.
Un colpo, quello non riuscì a schivarlo, che furono i soldati francesi a tirarlo indietro, mezzo morto mentre parole incomprensibili uscivano dalla bocca.
"Vigliacchi…" – si rifece addosso, stringendosi il bambino sballottato e innocente, aveva preso a strillare quello, inconsapevole d'essere rimasto solo al mondo, ma come fosse consapevole dello strazio che avvolgeva il suo precario destino.
"E voi mademoiselle fareste bene a lasciare questo luogo…" – ringhiò Williamson – "E quel moccioso muso rosso e togliete il disturbo!".
Oscar s'ammutolì, intuiva la vita appesa a un filo. Quella del bambino, la sua, quella di tutti.
"Chi di voi ritiene questi uomini e queste donne responsabili dell'omicidio di Miss Pealee e di suo figlio?" – gridò Williamson, mentre attorno i miliziani annuivano, una sorta di grottesco boato s'elevava ad accompagnare il verdetto scontato.
"Tenete Girodel…" – Alain Soisson s'accostò all'altro – "Che facciamo?".
Girodel alzò il braccio - "Ce ne andiamo!".
Oscar si rivoltò contro l'altro: "Come puoi…".
"Desistere?! Non ho potere sulle decisioni di un ufficiale di un altro reggimento, di un paese a cui né io, né tu apparteniamo! Io devo portarti via da qui!".
"E questa gente…morirà…".
"Non possiamo fare niente!" – digrignò Girodel furente – "Questa non è la nostra guerra! Noi dobbiamo aiutare i coloni americani a sconfiggere gli inglesi. Ciò che accade dentro queste terre è affare loro".
"Victor…sei...".
"Crudele!? Meschino!? Disumano!? Pensa pure ciò che vuoi! Io penso che restare qui per noi sarebbe pericoloso! Sono responsabile dei miei uomini. E di te. Questo è il mio principio. Quello per cui ho sempre combattuto.".
"Non ti ho chiesto io di venire a salvarmi!".
Girodel l'afferrò per le braccia l'altra, che aveva ancora il bambino in braccio, strinse la presa -"Non dipende da te o da me! Sai ciò che provo, ti ho cercato ovunque e farei tutto per te! Non ti lascerò morire e non ti lascerò assistere a questa carneficina".
"Saprò che è accaduta! E' lo stesso…e saprò di non aver fatto nulla per salvare queste persone! Come potrò vivere…come potrai tu?".
"E questa sarà condanna sufficiente!" – obiettò feroce Victor Girodel – "Per me e per te! Siamo soldati! Tu sei un soldato della Guardia Reale di Sua Maestà Re Luigi XVI! Non c'è bisogno che sia io a rammentarti che hai il dovere di salvaguardare la tua vita…che essa non ti appartiene ma appartiene al re…al tuo re e alla tua regina! Se ora tu morissi…faresti un torto ai sovrani e a tuo padre e a tutto coloro che hanno necessità che tu viva!".
"Faresti…tutto questo per un principio?".
"Si"
Disumano…
Crudele…
L'altra non riuscì a replicare…
"Portatela fuori!" – gridò Victor Girodel tornando alla faccia impassibile di Williamson che dava ordini di portare gli indiani divisi nelle varie baracche.
Oscar tentò di opporsi…
"Mademoiselle…il bambino!" – sibilò Williamson ordinando a un soldato di strappargli il neonato dalle braccia.
"Dovrai ammazzarmi!" – sputò lei mentre indietreggiava, che Victor comprese, che l'avrebbe persa, che se non avesse mediato la resa, davvero lei si sarebbe fatta ammazzare per via d'un insulso moccioso indiano.
"Tenente Williamson" – sibilò Victor Girodel – "Lasciateci andare. Tutti!"
Alain Soisson, Dante Renard si pararono davanti agli ostaggi.
La sorte imperscrutabile aveva decretato la sua sentenza…
Il cuore implose mentre s'udivano grida sorgere dalle baracche…
Il cuore cadde giù assieme al corpo che non avrebbe retto allo strazio.
Si ritrovò aggrappata alle spalle del soldato Alain Soisson che se l'era presa addosso, lei e il moccioso che strillava, il pianto acuto a raggelare il sangue.
Dante Renard si trascinava dietro l'altro indiano, Yellow Jacket, fuori di sé, anche lui sottratto alla ferale sentenza, incapace di divincolarsi e tornare indietro.
Tonfi sordi, netti, implacabili spegnevano le grida di disgraziata resa…
André scorse le sagome guadagnare l'uscita, il sangue fermo, nella giornata limpida e soleggiata, il feroce rimbombo dei colpi tozzi e sordi riecheggiavano lontani, asettiche asce a scandire il quotidiano lavorio di contadini e boscaioli.
Conosceva quella pratica.
L'aveva veduta sugli indiani trucidati, allo stesso modo con cui quelli finivano i loro avversari.
Colpi ripetuti sulla testa, così da tramortire i più forti, ridurli all'impotenza e una volta a terra, la gola tagliata, gli scalpi pregiati strappati come macabri trofei, chiome estranee, lucide e fluenti, nere come la pece nei più giovani, grigie, come i manti fulvi dei lupi, nei più anziani, così che il possessore che le esibiva dava prova d'aver vinto i famigerati indiani a cui appartenevano.
Gridò, tentò di divincolarsi, che Gustav Dumas si spaventò che l'altro riuscisse a sfuggirgli.
Trattenne le corde che André si rivoltò come una serpe presa al laccio, che l'altro lo ricacciò giù con una spinta, seppure tremava anche lui.
Inaudita strage…
I colpi si susseguivano…
Le grida…
I pianti…
In ginocchio, la faccia contro la terra, André si ritrovò senza respiro, gli venne da vomitare, incapace d'accettare gli squarci acuti che spezzavano i respiri.
Gridò per scardinare il danno che divorava i muscoli…
Gustav tirò ancora e ancora…
Un colpo alle spalle…
Marcel fu più risoluto…
Colpì il compagno d'un tempo, un colpo alla schiena, per fermarlo, spezzare ogni velleità di fuga.
L'unico occhio si ritrovò il cielo ficcato dentro, la nausea a chiudere lo stomaco, le costole piegate dal dolore.
Argo…
Isi…
Nova…
Shani…
§§§
I passi incespicavano nel terreno scosceso.
Non c'erano abbastanza cavalli.
Madame Roma s'era issata sul suo la giovane Lua, che non aveva più aperto bocca, non una parola era uscita dalla gola, lo sguardo fisso avanti a sé, il corpo quasi morto, come quello di una bambola senza più anima, ferro o stracci non aveva importanza.
Oscar camminava tenendo il bambino stretto a sé, troppo piccolo per sopravvivere da solo, non aveva più nessuno al mondo.
Nessuno…
Lo scenario rimbombava nella testa, atterriva i pensieri.
Dall'altura che distava una decina di miglia, ebbe solo il tempo di voltarsi e scorgere lunghi pennacchi di fumo che salivano al cielo, scie di morte che scivolavano silenziose dal luogo ove fino a qualche ora prima scorreva la vita.
Penosa, gretta, lieve, inconsapevole ma pur sempre vita.
Di ciò che fino a qualche ora prima era stato un groviglio di esistenze, risate, sogni, lavoro, preghiere, sorrisi, lotta, rabbia, disprezzo restavano solo sparuti pennacchi di fumo e tre persone.
Una piccolissima, innocente, inconsapevole dell'amaro destino che aleggiava sull'esistenza.
Le altre due poco più adulte, ripiegate su se stesse.
Entrambe, inconsapevoli e come assorte entro ancestrali riti, intonavano canto funebre, una melodia sconosciuta, note sommesse, basse e prolungate, versi di un animale che sa d'esser prossimo alla morte.
Nessuna eco…
Nessuna pietà…
"Che siano dannati!" – sputò Alain Soisson – "Che razza di gente è questa…che ammazza dei bambini innocenti…".
Le parole uscivano a fatica che l'uomo aveva visto trascinare via giovani con i figli in braccio...
Marcel camminava muto, tirando su col naso.
Gustav guardava gli altri due e poi André.
Non comprendeva, non ci credeva.
Dante s'impiantò - "Voglio tornare a casa!" – disse piano, anche s'era un omone ben piazzato e avvezzo alle tragedie della vita – "Questo paese…non lo comprenderò mai…".
"Non c'è nessuna differenza con quello che accade in Francia!" – sputò Alain Soisson – "Solo che anziché ammazzati da altri, i bambini muoiono perché non hanno di che sfamarsi! Non lo sapevi idiota!?".
"No…non lo sapevo" - obiettò Gustav Dumas con voce che tremava – "Il nostro re…non lo permetterebbe".
"Il nostro re fa quello che gli dicono i suoi ministri e quello che gli dice il governo di Parigi" – digrignò Alain – "E quando anche decidesse di sollevare la gente dalla fame…credi che rinuncerebbe alle sue giornate di caccia, ai suoi banchetti, ai vestiti di sua moglie per noi poveri plebei che pure dobbiamo osannarlo come un dio?".
Nessuna risposta.
Oscar tremò, il nome del re riportava la eco fonda all'antico destino, la eco delle grida piombava i pensieri, il cuore fermo in ascolto di quello veloce del neonato.
La faccia del moccioso lì, sulla faccia, il volto di Argo nella testa.
Gli ufficiali in testa al corteo s'arrestarono, intuendo l'arrivo di soldati a cavallo, un drappello di francesi ch'era accorso alla notizia della strage che s'era consumata poco prima, corsa velocemente di valle in valle.
Victor Girodel chiese d'essere scortati alla cittadina più vicina, per riposare e stabilire la strada più breve per tornare verso la costa.
"C'è necessità di trovare una balia" – accennò Oscar avvicinandosi – "Questo bambino non sopravvivrà".
Il piccolo si era calmato ma presto la fame avrebbe fatto sentire la sua voce.
Nello strazio, il volto di Yas che dormiva, beato o rassegnato non era dato saperlo, induceva la coscienza a divincolarsi, a scorgere uno scopo, uno qualsiasi, di sopravvivenza allo scempio, alla decisione feroce dell'uomo che le era accanto.
Il drappello si ricompattò, Victor Girodel dovette insistere perché Oscar salisse a cavallo.
Alla fine lei accettò, così che avrebbe cullato il bambino sull'andatura dell'animale.
Non aveva più scorto André, circondato dai compagni che non lo perdevano di vista.
"Devo parlarti" – accennò Victor Girodel avvicinandosi a cavallo – "Quando ti sarai riposata…".
Tutto come un tempo, tutto ridiveniva scontato e chiaro.
Terribilmente sensato e concreto.
Erano trascorsi anni da quando lei aveva perduto André, ora che l'aveva ritrovato tutto sarebbe tornato come se nulla fosse accaduto.
No…
Lo amava…
L'amore può restare saldo persino di fronte all'allucinante follia umana? E di fronte all'orgoglio più acuto inciso nell'esistenza di ogni essere umano?
§§§
Un tocco alla porta.
Oscar si alzò, occhi sbarrati all'ingresso di Madame Roma, Victor Girodel e una donna indiana che squadrava tutti un poco sulle spine.
Era ormai notte. Il pigolio disperato del neonato comunicava lo straziante istinto di sopravvivenza che non conosceva tregua.
"Questa giovane potrà aiutarci" – ammise Madame Roma – "Potrà tenere il bambino. Possiamo lasciarlo a lei".
L'altra annuì, senza pronunciare parola. Il volto altrettanto muto, come se quella fosse lì per obbligo e non per disposizione d'animo.
Oscar strinse il bambino a sé.
Separarsi dal moccioso…
Implose la coscienza alla eco dei pianti che rimbombavano nella testa, e d'un altro pianto, lontano nel tempo, sepolto in chissà quale meandro della memoria d'una vita mai vissuta oppure vissuta chissà quando.
"La madre me lo ha affidato. Sfamatelo!" – sibilò, chiudendo gli occhi, ficcando i sensi all'odore latteo e acre del bambino – "Per ora sarà sufficiente questo".
Victor Girodel si sorprese. Sarebbe stato troppo banale rammentare all'altra che quello era un neonato, indiano per giunta, e dove mai sarebbe potuto vivere un neonato indiano se non nella terra d'America in cui era nato!?
"Sarà impossibile portarlo con noi…" – obiettò stizzito immaginando l'intendimento.
Il battito rallentò e poi accelerò mentre la mente prendeva pian piano coscienza che la sua vita stava tornando quella di un tempo.
Yas prese ad agitarsi.
Roma s'avvicinò - "Lo lasceremo qui. Non può proseguire con noi".
Oscar si ritrasse.
Non era semplicemente un orfano quello che teneva tra le braccia.
Rappresentava le esistenze di Isi e Nova, unite per sempre, congiunte per attraversare il tempo.
E in fondo era suggello d'una parte della propria vita, avulsa da schemi, regole, imposizioni, come se il piccolo fosse stato la sua stessa libertà, voce intessuta di grandiosi scenari ove si coltivavano atroci vendette.
Intuì la eco di un'altra esistenza…
Victor Girodel s'impose, blandendo la ritrosia.
"Lascia che questa giovane si prenda cura del bambino".
"E sia. Può farlo qui" – Oscar allungò il moccioso all'altra che fece per andarsene – "No! Resta qui".
La giovane indiana obbedì a colui che pareva essere depositario dell'esistenza del bambino.
Cercò nella stanza un luogo dove appartarsi.
"Dovevi parlarmi?" – accennò Oscar invitando Victor e Roma a uscire – "Ebbene potremo farlo tra breve. Voglio restare qui".
Prese a pianificare Oscar François de Jarjayes, mentre osservava il piccolo rinnegare il seno estraneo, gli occhi aperti che parimenti non riconoscevano la donna che lo osservava.
"Se non vuole mangiare…morirà…" – disse piano quella tentando di sollecitare il bambino.
Dunque così funzionava…
La fame era certa, istintiva…
Ma non altrettanto scontato l'istinto di soddisfarla.
"Quando…potrà mangiare da sé?" – chiese Oscar fredda, lucida, quasi folle – "Intendo…essere capace di prendere altro dal seno di una donna?".
"Cosa…" – la giovane non sapeva che rispondere, nemmeno sapeva chi fosse l'altro – "E molto piccolo…".
"E' nato all'incirca tre mesi fa…dunque…ti domando…quando potrà cibarsi in altro modo?".
L'altra rimase di stucco.
Oscar si avvicinò. Nova le aveva lasciato tenere il bambino in braccio.
Sfiorò il viso, implorò a se stessa d'essere capace di convincerlo, attraverso una voce che non gli fosse del tutto estranea, a non rinunciare a vivere.
Il piccolo annusava il seno, intuiva che colei che aveva accanto non era sua madre. Se non avesse accettato ciò che gli veniva offerto sarebbe morto.
"Tua madre" – sussurrò piano Oscar – "Vuole che tu viva".
Uno strillo…
La vocetta acuta perforò la coscienza, alla stregua d'una lama che strazia il cuore.
Accarezzò la guancia del bambino, lisciò piano la manina che s'attaccò al dito, stringendolo.
Il piccolo alla fine si calmò lasciando che la dannata fame avesse il sopravvento sull'istintiva ricerca di una madre che non c'era più.
Il cuore riprese a battere veloce alla vista del bambino che spalancava la bocca e s'attaccava al seno e prendeva a succhiare.
Nella giornata straziante, il soffio di una vita nuova aveva ripreso a fendere le esistenze di chi era sopravvissuto.
"Vi prego" – domandò alla giovane – "Non ne so molto di bambini. Quando potrà accettare altro che non sia latte".
"Due, tre mesi" – ammise l'altra intenta a consentire al bambino di sfamarsi – "Ci vorranno almeno tre mesi perché il bambino sia capace di accettare altro. E poi, quando avrà i denti".
"Quando?" – urgente, che Oscar quasi avvampò di fronte alla sua stessa ignoranza.
Negò l'altra - "Altro tempo Mesi. Perché volete saperlo?".
"Voi potreste accudire questo bambino fino ad allora?".
"Io, un figlio ce l'ho già. Questo non è mio. E'…vostro? Monsieur, è vostro?".
"Perdonate, il mio nome è Oscar François de Jarjayes…sono francese…".
"Sì…questo l'avevo compreso. Ma perché questo bambino è con voi? Dov'è sua madre?".
"Sua madre è morta e anche suo padre. E' accaduto oggi".
La giovane prese a tremare, il bambino sussultò staccandosi, la eco della strage rimbombò muta nella stanza, forse appresa per via che la notizia s'era sparsa come veleno tra le tribù indiane.
"Ti prego…non avere paura" – tentò di rassicurarla Oscar – "Questo bambino si chiama Yas, è il figlio di due persone che mi erano care".
"Monsieur…".
Oscar scorse agli occhi terrorizzati della balia indiana, intuì che doveva cedere e concedere all'altra quella parte di sé che da sempre aveva tenuto in disparte.
"Sono una donna" – disse piano, il suono declinato a tentare di infondere coraggio, mostrare una sorta di innata buona fede. Ma in fondo essere una donna avrebbe offerto sufficiente parvenza d'onestà di fronte allo scempio che si era perpetrato quel giorno?!
La chiosa risuonò nel silenzio della stanza, appena solcato da silenzioso succhiare del bambino.
Oscar si ritrovò incredula di fronte all'affermazione che per la prima volta non era spesa per declinarsi come essere superiore o diverso per estrazione sociale o rango ma semplicemente per ciò che era.
Una donna.
Consapevole d'una dolcezza debole e ferma che riesce a governare il mondo.
La giovane pulì la bocca del bambino che alla fine s'era staccato, sazio e calmo, lì lì per addormentarsi.
Lo porse all'altra, il modo brusco, tentò d'alzarsi sdegnata, come se il gesto appena compiuto fosse stato un disonore, quale aver esaudito il volere di una donna che aveva con sé il figlio di indiani trucidati dai bianchi americani.
"Questo bambino non ha colpe" – sussurrò Oscar trattenendo l'altra per il braccio – "Non è colpa della sfortuna e non è colpa della sua origine indiana. Semmai di uomini senza scrupoli. Ma lui non deve pagare per la follia di quelli che hanno ucciso in nome del loro onore, distruggendo per sempre la sua famiglia".
"E voi?" – chiese l'altra che non era dato sapere se fosse più sdegnata o impaurita – "Perché vorreste aiutarlo? Per sollevarvi dalla colpa di saperlo senza padre e senza madre?!".
Nel silenzio, Oscar ascoltò rimbombare le parole dentro la testa, sbattere nella coscienza distrutta dal disastro che aveva annientato famiglie intere.
Sapeva di non avere colpa ma sapeva anche di non aver fatto nulla per evitare quella strage.
Rimase muta, incapace di trovare le parole.
Qualsiasi parola sarebbe stata di troppo.
Spiegazioni non ce n'erano.
"Vi aiuterò…" – sussurrò la giovane, lisciandosi il vestito – "Non lo faccio per voi…".
"Ti ringrazio…".
"Potete lasciarmi il bambino…lo tratterò bene…".
Implosero i sensi…
L'immagine di Nova che le correva incontro, scegliendo lei come unica salvezza del figlio, continuava a scorrere nella testa.
Negò Oscar…
L'altra si ritrovò spiazzata.
"Terrò il bambino…" – disse piano Oscar mentre il piccolo si era addormentato tra le braccia – "Sarò io a restare qui sino a quando non sarà in grado di cibarsi con altro. E poi…".
L'altra sfoderò una smorfia di disprezzo - "E' indiano! Volete tenerlo con voi come un animale selvatico in gabbia?".
"No…ma non voglio che venga relegato in un'altra gabbia…quella in cui tutti voi siete costretti a vivere!".
§§§
Victor Girodel rientrò nella stanza, così come Madame Roma.
Oscar François de Jarjayes comunicò a entrambi che avrebbe tenuto il piccolo indiano con sé.
Non espose i motivi.
Lo disse a se stessa, che lo doveva ai genitori ormai morti ma l'immaginò e lo sussurrò a se stessa che la voce di quel bambino in un certo qual modo era la voce della libertà che lei aveva annusato nei mesi ch'erano scorsi e che mai avrebbe immaginato di togliere al moccioso, lasciandolo per tutto il resto della sua vita in una dannata riserva indiana, come lei era stata relegata in una storia scritta da altri, in una reggia in cui anche a lei, in fondo, avevano legato mani e piedi proprio come quei disgraziati pavoni,
In una vita e in un sogno che non erano i suoi, dentro una storia immobile e dannatamente uguale a se stessa.
Il bambino non era nulla per lei e lei non era nulla per il bambino.
Nessun legame, né di sangue, né di origine.
Mai esseri più diversi si sarebbero potuti incontrare.
Tutto stonava e rimbombava.
Chissà se invece non era per restare legata a quella terra, che aveva scelto di tenere con sé il bambino, così che quello sarebbe diventato un laccio, egli stesso corda capace di renderla libera, ancora per un poco, come se lei stessa volesse restare nella prigionia d'un legame inesistente e dettato solo dalla propria testardaggine.
Roma annuì impassibile mentre nella mente prendevano a snodarsi veloci congetture.
La figlia di Augustin Reynier de Jarjayes, per quanto educata come un uomo, possedeva un indubbio animo gentile e generoso, persino una inspiegabile e oscura vena materna.
Girodel respirò a fondo prima di obiettare severo l'impossibilità di mettere in atto la decisione.
"Dobbiamo tornare verso la costa…e dobbiamo ritornare in Francia…".
"Basterà attendere qualche mese…oppure…se proprio hai necessità di partire…potrai farlo da solo" – replicò l'altra un poco fredda, la voce bassa per non disturbare il bambino che adesso giaceva su un letto, girato sul fianco, beatamente addormentato.
Il solito sprezzo…
Victor Girodel masticò rabbia.
La mano destra s'infilò nel taschino interno della giacca. Ne estrasse una busta che porse all'altra.
Il cerchio si chiudeva.
"Questa è per te. Mi è stata consegnata dal Conte di Fersen. Si è raccomandato di fartela avere quando ti avessi ritrovato".
Oscar sussultò.
Il nome di Fersen riemerse dalla penombra di giorni ormai vissuti e dispersi nel passato.
Il cuore di nuovo prese a battere più veloce.
Rammentò il vestito che aveva scelto di indossare per il conte, le sue parole lievi e intense, era avanzato verso di lei.
Tutto s'era interrotto nella notte in cui tutto s'era fermato, intrappolato in una atroce esplosione.
Alla fine si erano separati.
In quella notte lei aveva rischiato di uccidere André Grandier, di ucciderlo dentro di sé, di distruggerne il ricordo, senza nemmeno conoscere l'amore che lui aveva per lei, senza nemmeno sapere che adesso lei lo amava.
Sì…
Lo amava.
Il cerchio si chiudeva.
Si scostò, aprendo la busta che conteneva una missiva per lei e un'altra busta chiusa senza alcun destinatario sopra.
Ma chère Mademoiselle Oscar
Se leggerai queste righe, ciò significherà che sei ancora viva e che il Tenente Victor Girodel ha avuto la meglio sull'avverso destino che ci ha separato.
Non ho partecipato personalmente alla tua ricerca, me ne dolgo, accettando anche il tuo disprezzo nel sapermi impegnato altrove e non invece nel primario compito di ritrovarti.
Ho temuto per la tua vita, di questo debbo renderti partecipe e spero che almeno per via di questa profonda afflizione avrai pietà del mio cuore e dei mei sentimenti.
Spero di rivederti presto, questa guerra sta ormai volgendo al termine.
Sei salva dunque e allora vorrei che fossi tu a ricambiare l'affetto che Maria ha tenuto per sé per tutti questi anni.
Vorrei che tu le recapitassi la lettera che ho racchiuso in questa busta.
Ultimamente le battaglie non mi hanno consentito di scriverle spesso.
Ho a cuore la sua immensa preoccupazione per il mio destino.
Vorrei che lei sapesse che non l'ho mai dimenticata ma che adesso sono felice che la vita le abbia regalato i suoi figli.
E vorrei che sapesse che io sono felice.
Ti chiedo di essere tu stessa a portarle questo messaggio.
Nella speranza di rivederti al più presto.
Hans Axel von Fersen
Lo sguardo si sgranò alle poche righe.
Il balzo del cuore…
La lettera era per la Regina Maria Antonietta. In essa Fersen dichiarava che non avrebbe mai dimenticato la regina.
Oscar strinse la busta tra le dita. Se fosse rimasta in America non avrebbe potuto eseguire quell'incarico, non tanto esaudire il desiderio di Fersen, quanto perseguire il bene di Maria Antonietta.
Fersen era felice ma le chiedeva di ritornare indietro, alla sua vita, nell'intento principe di portare notizie a Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.
Tutto precipitava. Il cerchio si chiudeva.
Un respiro fondo…
"Dove si trova André?" – chiese piano, il nome sussurrato, come in agonia. Non lo vedeva da ore, non sapeva dove fosse, non aveva chiesto nulla per pudore, per…
Oscar François de Jarjayes amava André Grandier…
Follemente, tenacemente, inesorabilmente…
Come la Morte insegue la Vita…
Come la Vita corteggia la Morte.
* Requiem for the Americas – Songs from the Lost World – Jonathan Elias.
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