I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!
Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli;
Amore non e' Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana.
Oh no! Amore e' un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
e' la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore e' sconosciuto, benche' nota la distanza.
Amore non e' soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:
se questo e' errore e mi sara' provato,
Io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.
William Shakespeare
Sonetti, 116
Serre moi fort II
Come…monsieur!? Che avete detto? André? Mon amour André Grandier?
Mon…amour…che stai dicendo…come...conosci quel nome?
Oh…si…mi pare di rammentare che quel bel giovane si chiamasse André!
Come lo conosci? Come sai che si chiama André…
Monsieur…che v'importa? Era vostro amico? Ci avete avuto a che fare anche voi?
Monsieur…vi parlerò di lui se vi fa piacere…l'ho conosciuto tre anni fa…proprio in questa locanda. Era in partenza anche lui, per l'America. Gli ho fatto compagnia…è stato gentile…era una bella persona…ma di poche parole…
Mi ha trattato con tanta gentilezza…un amante intenso e generoso…
Sei…stata…con lui?
Ma monsieur…che v'importa?
Si, lo ammetto…abbiamo trascorso poche ore assieme, ma sono stata bene…mi chiedeva se avevo freddo, se avevo caldo, se ero comoda…e poi ad un certo punto si è messo a ridere ed io non capivo e credevo mi stesse prendendo in giro ma lui mi ha chiesto scusa e mi ha detto che…era mercoledì!
Mercoledì…che significa…
Mercoledì era il giorno della settimana in cui Sua Maestà la regina Maria Antonietta incontrava il Conte di Fersen…
Oscar François de Jarjayes s'era avviata lungo le straducole del porto di Brest, immersa nello speziato olezzo di pesce marcio, reti arrotolate, casse tinte di sangue e interiora rapprese, mentre il sole calava all'orizzonte e dall'imbarcazione ormai saldamente ormeggiava venivano via via fatti scendere i soldati disertori assieme ai feriti.
"Mademoiselle Bellenuit!" – il pugno battuto sul bancone della bettola, lo sguardo a scrutare lo scenario un poco deserto, che i marinai erano ancora indaffarati a preparare le reti per la pesca del giorno successivo.
L'oste, dietro al bancone, sgranò lo sguardo, negando.
"Dove posso trovarla?" – secco, la rabbia negli occhi, che la gelosia rodeva certamente ma ancora di più immaginare d'essere finita al centro d'una congiura talmente idiota e sterile da rasentare quasi la comicità.
Quando l'hai conosciuto? Dimmelo!
Monsieur…lui era così triste…mi ha chiesto se volevo fargli compagnia…abbiamo parlato…e poi mi ha baciato…all'inizio piano…che quasi pensavo avesse paura…e poi…poi ecco…perdonate…mi vergogno…anche se io sono una giovane che giace con altri uomini, insomma, parlarne con voi…ma perché v'interessa?
Per via delle parole della comare di sotto?
Ma siete stato davvero con Monsieur Grandier? Ecco…non mi piace questa cosa…ma voi siete bello e se io non vi dispiaccio…posso provare…
L'oste allungò il collo, l'indice a mala pena sollevato a dettare la direzione, che dallo scarto appena sfocato d'un passaggio verso il retro della bettola, s'intravedeva lo scampolo d'una variegata sottana, che dettava a sua volta la presenza della famigerata damina, intenta a deliziare con moine e risatine un marinaio, ch'era intento a sua volta a rammendare una rete.
Una scenetta consueta per le vie un poco strette e buie del porto di Brest.
Scrutò fuori dal pertugio…
Scattò fuori come una furia, come un ratto che scorge l'insetto, come una serpe che attende il ratto.
Mademoiselle Bellenuit non s'accorse subito, che a un bel momento si ritrovò il braccio stretto in una specie di presa mentre il marinaio s'alzava a sua volta, sdegnato che un damerino qualsiasi si fosse reso così arrogante da soffiargli la dama da sotto il naso.
Che la benedetta dama alla fine scostò lo sguardo atterrito e riconobbe l'altro…
Un sussulto - "Siete tornata!?".
Oscar si parò davanti all'uomo inferocito e pronto a menare le mani.
"Se non vi spiace ve la riporto subito!" – secco ma gentile – "Mademoiselle qui presente deve solo chiarire una questione!".
"Che…volete da me? Non vengo con voi! A voi piacciono gli uomini! Io non sono una…".
La damina chiuse gli occhi, forte, tentando di scacciare il goffo ma sulfureo scontro, rimasto impresso…
Impossibile dimenticare…
La mano le aveva girato il polso…
Il pollice insinuato tra le dita chiuse, costrette ad aprirsi, ad adagiarsi addosso all'ospite…
La mano premuta contro la mano, contro il petto…
E quel sinistro gemito sgorgato all'incresciosa scoperta…
La dita erano annaspate, scontrandosi dapprima contro la stoffa ruvida della giacca e poi, come d'incanto, lisciando in un soffio la pelle del torace, morbida e poi la lieve rotondità del seno.
L'incontro fugace aveva rivelato la pelle dell'altra, liscia, per nulla sgraziata da tagli o rasature, bianca e tesa, la linea del collo sinuosa, nessuna asperità ad inasprire la gola, le ciocche leggere dei capelli liberi, adagiate sulle spalle, l'attaccatura raffinata e soave.
Il disprezzo d'uno sguardo celeste e scuro, avido e al tempo stesso terreo di sulfurea rabbia…
Oscar strinse ancora la presa, si tirò addosso la damina recalcitrante, che a quella dunque la lezione non era bastata.
Soffiò rabbia mentre le viscere scivolavano nel tempo fermo ch'era impresso nel cuore e nell'anima.
Nemmeno lei si sarebbe mai immaginata di ritrovarsi a rivelare chi fosse, chi era sempre stata, per ottenere ciò che voleva.
Non era declinandosi a quel modo che lei aveva immaginato di esistere e vivere e osservare il mondo.
Anche la chiosa dunque infliggeva rabbia…
"Ed io non sono un uomo!" – sibilò severa, che quasi la damigella perse il respiro mentre il pugno del marinaio s'arrestava a mezz'aria, complice la legge non scritta che detta di non picchiare una donna, anche se quella se ne va in giro agghindata come un damerino in cerca delle belle sottane delle damine del porto – "Ma…".
Mandò giù…
Impossibile proseguire…
Che gli uomini...
Che non era neppure vero…
Non anelava a un qualsiasi uomo, a un uomo qualunque…
Era assurdo…
"Monsieur…madame…sì…m'era parso che voi…ma…" – prese a balbettare Mademoiselle Bellenuit – "Allora…è anche peggio! Che potrebbe accadere!?".
"Vieni con me!" – sputò Oscar prendendo a trascinare l'altra lungo la via che dava verso il porto.
"Non ci vengo!".
"Ti ho detto che non accadrà nulla! Devo mostrarti una persona…".
"Di grazia chi?" – piagnucolava l'altra inciampando sul selciato, mentre con la mano libera tentava di trattenere la sottana per vedere dove metteva i piedi.
"André…Grandier!" – roco…
"André…ma…André chi?".
"André!" – aspro, quasi fosse nome fatto di veleno – "Grandier!"
Tutto era immobile eppure tutto era mutato.
Lei no, lei non riusciva a capacitarsi di ritrovarsi entro ragionamenti e intenti ove mai avrebbe immaginato di ritrovarsi invischiata, che da dove sgorgassero quelli non era dato sapere…
Forse chiusi chissà dove, nel luogo più recondito del cuore di una donna che soffre della fede nell'altro, che nulla avrebbe scalfito ma che pure non pareva bastevole.
Dunque perché altri dubbi…
"Ma…di grazia…avevate detto che era morto!? Anche questa poi! Prima mi fate intendere d'essere un uomo…e non è vero! Poi m'avete spezzato il cuore dicendomi che quel giovane era morto…".
"Ebbene no…non è morto!".
L'affermazione rimbalzò nelle viscere.
Oscar ammise che qualunque fosse stato lo scenario, che in qualunque dannazione André fosse invischiato, André era vivo, e alla fine di tutto, che André fosse vivo era tutto ciò che le importava.
"Corri!" – incitò ad affrettare il passo mentre la damigella quasi si sentì sollevata, incredula e senza respiro.
La folla s'era accalcata alla discesa dei reduci dalla guerra in terra d'America.
Victor Girodel dettava ordini…
Essere cauti con i feriti, intransigenti con i prigionieri e i disertori e tutta la feccia che aveva disonorato il nome del Re!
Il viaggio di ritorno aveva macerato l'animo alla ricerca d'una ragione del senso d'abbandono che l'aveva divorato dopo aver perduto la visione e la compagnia e la vita della povera Lua.
Non l'aveva mai amata, anzi, aveva finito per disprezzare quel suo concedersi così suadente e libero che l'aveva attirato e irretito. fin quasi a perdere la ragione e a perdere di vista il pungolo di una vita, ossia Oscar François de Jarjayes.
L'orgoglio s'era ritrovato afflitto e sconfitto dallo sguardo dell'altra, l'integrità e il senso del dovere spazzati via, che l'altra l'aveva amato, forse nel modo più fondo e disinteressato possibile.
Senza attendere null'altro che una carezza, un bacio.
Era quello l'amore più puro?
Quello che non muta al mutare della vita ma proprio perchè non muta, alla fine, perde se stesso?
Così come il suo dannato cuore che non era mutato e dunque aveva finito per perdere l'altra?
Oscar François de Jarjayes aveva compiuto la sua scelta.
Forse indotta dal senso di affetto, forse dalla prigionia…
Forse persino dall'amore…
Ebbene se quell'amore fosse stato davvero puro e unico, esso non sarebbe mai mutato e l'avrebbe condotta alla rovina.
"Vi vedo pensieroso…mio buon tenente…" – Madame Roma s'era avvicinata.
"E voi non avete altro da fare che…" – nervoso sì…
"Importunarvi!?" – scivoloso…
"Madame…il prossimo commiato mi impone d'essere educato…".
"E se vi dicessi che al momento non ci accomiateremo?!" – replicò la dama, suadente e un poco cinica, che Victor Girodel fu costretto a voltarsi, distogliere l'attenzione dal groviglio di ordini e gesti che si susseguivano davanti agli occhi, per prestare attenzione a ciò che stava dicendo la donna.
Il silenzio sapientemente orchestrato. Madame Roma aveva necessità d'essere la sola a osservare il ferale brandello dell'insperato groviglio, ma al tempo stesso aveva interesse a evitare che altri ponessero nuovamente gli occhi sul medesimo insperato groviglio.
Lo doveva a se stessa, ma in fondo lo doveva anche a Oscar François de Jarjayes.
L'aveva veduta correre via quasi come il vento, scendendo giù dalla nave, nemmeno aveva atteso che scendesse quell'uomo, che era in fila adesso per mettere finalmente piede sul suolo francese.
Un uomo che aveva tentato di divenire libero in una terra straniera e che non c'era riuscito e che ritornava a essere servo nella terra dove era nato.
Ma non certo per colpa del re e delle sue leggi.
"Dicevate madame?" – Victor Girodel si ritrovò improvvisamente curioso.
"Dicevo monsieur…ho deciso di tornare a Parigi. Ne sono oramai orfana da troppi anni e non ci crederete…ma sono stanca di viaggiare per mare. Attenderò il ritorno di mio marito godendo un poco del privilegio d'essere la moglie di un capitano che ha combattuto per il Re di Francia, contro il Re d'Inghilterra".
"Ah…una notizia sorprendente! Ma davvero solo il tedio dei viaggi in mare vi spinge ad abbandonare per qualche tempo la vostra consueta vita?!".
Madame Roma sorrise sorniona.
Osservava Monsieur Victor Girodel, centellinava le parole, che poi neppure lei era certa di ciò che l'avrebbe attesa nella capitale di un tempo, dove era vissuta fin da quando era una giovinetta in età da marito.
E dove parimenti abitava colui che lei aveva sentito sulla pelle e nel cuore come sposo promesso, un giovanissimo conte che aveva assunto da poco la carica di emissario di Sua Maestà Re Luigi XV, comandato di raggiungere il Ducato di Lorena per trattare della questione del matrimonio tra il Principe Clemente e l'arciduchessa Maria Teresa d'Austria.*
Augustin Reynier de Jarjayes…
Era stato suo, Augustin, o almeno così Mademoiselle Aleksandra Roma se l'era sempre immaginato, che l'aveva conosciuto quando erano ancora bambini e lei era sempre stata nelle grazie e nei pensieri e nei gesti del bel Conte Jarjayes.
Poi il Principe Clemente era morto improvvisamente proprio durante quell'ambasciata.
Augustin era ritornato dal viaggio ma non era stato più lo stesso.
Mademoiselle Aleksandra Roma inviava deliziosi biglietti vergati in bella grafia, a partecipare a ricevimenti e danze o, quando il tempo era inclemente, a una semplice partita a carte, un tè servito nel patio adorno di rose.
Lui declinava per via degli studi e degli impegni che lo richiamavano lontano dalla città.
Alla fine, l'ambasciata del Re di Francia era stata rinnovata al fratello minore del Duca di Lorena, Francesco Stefano, che questa volta, col beneplacito del destino, era davvero innamorato dell'Arciduchessa Maria Teresa d'Austria.
Il prezzo per consentire l'unione dei due giovani era stato alto, il consenso della Francia in cambio della cessione delle terre del ducato a beneficio del padre della moglie dello stesso Luigi XV, il deposto Re di Polonia, Stanislao Leszczyhski.
A Francesco Stefano sarebbe stato offerto il ben più modesto Granducato di Toscana.
Che alla fine, gli austriaci ci avrebbero continuato a regnare ugualmente sulla Toscana!
Un grande sacrificio in nome di un grande amore.
Un grande ducato in cambio di un delicato paesaggio in terra italiana.
Che allora Mademoiselle Aleksandra Roma aveva immaginato che quell'amore vero e sincero avrebbe portato luce e fortuna anche al proprio amore per Augustin.
Persino Sua Maestà Re Luigi XV aveva imposto al giovane conte di trovare una moglie appropriata al suo rango.
E lei, Madame Alexandra Roma lo era, o almeno si riteneva tale.
Ma Augustin non si era piegato.
Madame Roma rammentò quel giorno, nel giardino della sua casa, a Parigi.
Lo rammentò in quell'istante, esattamente nell'istante in cui il disertore sfilava davanti alla folla e la tra gentaglia accalcata si faceva strada una giovane donna, lo sguardo azzurro e feroce, come a reclamare una verità che solo gli dei e il Fato avrebbero potuto rivelare.
Madame Roma rammentò le parole del padre di quella giovane donna, un uomo devoto al re, al proprio senso del dovere, eppure testardo al punto da ribellarsi a entrambi.
Lo sguardo della figlia simile a quello del padre, cupo e al tempo stesso severamente intenso, fiero, quasi intransigente, ma incapace di piegarsi.
Un uomo – il padre - che pensava di avere ragione…sempre…
Eppure…
Vivere come conte e come generale senza di lei non potrebbe mai rendermi felice…*
Lei…
Georgette Marguerite…
La sconosciuta figlia di un pittore di campagna che però…
Pareva fosse stato anche pittore alla corte di Francia e dunque sua figlia avrebbe avuto titolo a diventare degna sposa del Generale Reynier de Jarjayes.
Augustin l'aveva chiesta in moglie, l'aveva sposata.
Roma aveva poi saputo che lui si era persino recato in Italia, in quello stesso Granducato ch'era stato il prezzo del matrimonio di Maria Teresa d'Austria e Francesco Stefano.
Laggiù aveva acquistato una casa e terre e...
Avevano avuto dei figli…
Sei, per l'esattezza. Tutte femmine. La sesta era lì, davanti a sé, la più piccola…
Tutto ciò che sarebbe dovuto appartenere a lei, era sgusciato via dalle mani.
Tutto ciò che sarebbe dovuta essere lei, adesso, Madame Aleksandra Roma Lemonde se lo ritrovava davanti agli occhi.
Oscar François de Jarjayes, la figlia di Augustin Reynier de Jarjayes, una giovane degna del padre...
Una donna che aveva rimesso la propria vita al bene e alla vita dei sovrani di Francia.
Una donna che si sarebbe ribellata a ogni imposizione pur di perseguire ciò in cui credeva.
Amava quel giovane?
Madame Aleksandra Roma fu costretta a scacciare dalla mente il ricordo del buio che aveva avvolto i sogni, bagnato le guance, ingiallito il viso.
Un banale fraintendimento, un errore dovuto alla passione, che essa è cattiva consigliera.
La sua vita inghiottita in una manciata di giorni dagli occhi chiari e lievi di una giovinetta senza un soldo che aveva rubato ciò che non le apparteneva.
La figlia di Augustin Reynier de Jarjayes e Georgette Marguerite adesso era lì, davanti a sé.
La figlia di Augustin Reynier de Jarjayes e Georgette Marguerite era il frutto di quel furto.
Madame Aleksandra Roma osservò.
I passi concitati di una giovane damina, forse una delicata prostituta degna dell'attenzione di marinai e di soldati che partivano per il fronte, quasi non toccavano terra, mentre quella era trascinata lì, lo spettacolo dei prigionieri che sfilavano, sotto gli occhi.
Mademoiselle Bellenuit era rossa in volto, un poco piangente, gli occhi a scorrere alle facce degli uomini con la barba incolta, gli zigomi pronunciati, smagriti, lividi per via della gogna ch'era stata loro riservata.
Oscar François de Jarjayes si maledisse e maledisse il fatto che maledirsi non avrebbe alleviato la sua colpa, che la smania di sapere era smisurata, solo, non era certa se attribuirla al fatto ch'era una donna e ch'era gelosa, per via ch'era una donna, oppure perché era un soldato, e allora per via ch'era stata ingannata, per troppo amore, piuttosto che per un amore che non era mai esistito.
"Lo riconosci?" – aspra alla damina.
"Ma chi dovrei riconoscere?" – piagnucolò quella, non si sapeva bene se per via dei modi alquanto rudi e irriguardosi oppure perché intuiva la terra sgretolarsi sotto i piedi, al pari d'una vaga e ormai dimenticata menzogna.
Alle spalle fiammeggiava un malinconico tramonto, a chiudere un giorno di sprezzante attesa.
"Guarda!" – Oscar spinse in avanti la damina, al passaggio di André che sollevò lo sguardo, scorgendo Mademoiselle Bellenuit.
L'unico occhio vigile fulminò la povera donzella, come a inchiodarla al silenzio su chissà quale misfatto.
Un gemito di sofferenza mentre la povera dama intuiva il braccio stretto nella presa e il cuore spezzato dalla visione dell'uomo che le passava di fronte.
"Sì…" – sussurrò piano…
André fece per avventarsi contro la dama, Oscar se la tirò addosso, indietreggiando assieme all'altra, come a sottrarla all'influenza diabolica dell'uomo che amava e che non aveva perso la lucidità di perpetrare la dannata messinscena.
Mademoiselle Bellenuit tentò di rincorrere lo sguardo di André. Quello era stato costretto a camminare, le mani legate avanti a sé da una corda che a sua volta lo legava al prigioniero che lo precedeva.
La testa bassa…
Oscar rimase sulla damina che parimenti abbassò il capo: "Che dispiacere vederlo così! Che gli è accaduto? Avevate detto che era morto?".
L'indice sotto il mento, le sollevò il volto, la rabbia di far male trattenuta e soffocata.
Madame Bellenuit vide lo sguardo dell'altra, una donna qualsiasi, disperatamente appesa alle poche parole di una giovane prostituta incontrata tanto tempo prima.
Gli occhi sospesi, in attesa…
Silenzio…
"André…l'ho incontrato in America…non è morto come vedi. Che cosa è accaduto? Qui, intendo! A Brest!".
"Ero…" – diretto, quasi spietato, che non ci voleva molto a comprendere – "Gelosa!".
"Cosa?".
"E lo era anche lui…".
Silenzio…
La damina, dal fondo della stanza…
Che anche lei fece un passo dunque…
Monsieur! – aveva gridato angosciata a richiamare l'altro…
Mi spiace…ma ho un ospite che deve conferire con me… - aveva replicato Fersen…
Monsieur…avevate promesso…
Aveva ascoltato il freddo nervosismo del Conte di Fersen che tentava di rimediare all'imprevisto.
Conte di Fersen avrebbe trascorso la notte con quella giovane.
Conte…sarà questione di poco…
Non sia mai! Se siete arrivato sin qui!
Oscar rammentò che Fersen l'aveva declinata al maschile.
Fersen aveva preferito non rivelare che lei era una donna, chissà forse per non insospettire i presenti oppure non ingelosire la fanciulla.
Che si sa, una donna messa in disparte potrebbe esser capace di tutto.
Meglio che l'altra avesse pensato d'aver come rivale un ufficiale pari grado piuttosto che una donna…
Che una donna messa da parte per colpa di una donna…
"Mi avete portato via…il conte…rammentate?" – balbettò Mademoiselle Bellenuit disperata.
"Io non intendevo…" – che non comprendeva e il racconto non aveva senso, di chi diavolo era stata gelosa la damina - "Hai detto che lui era stato gentile con te…mentre quest'uomo…era un soldato…".
"Ero gelosa, ve l'ho detto! E anche lui…era triste…mi parlò di una donna…credo fosse geloso di lei…".
Una chiosa assurda, ancora più assurda…
André l'amava…
E se André si era reso conto di ciò ch'era sorto nel cuore, per via di Fersen…
Era geloso…
Se n'era andato per quello?
E aveva desiderato ingelosirla…
Dio…
Ma come avrebbe mai potuto sapere che lei sarebbe arrivata fino a Brest?
E quella damina, lì, che aveva veduto per la prima volta quattro anni prima, come avrebbe fatto a riconoscerla, nelle parole di André?
"Di chi ti avrebbe raccontato? Ti ha parlato di me?".
"No…" – un respiro fondo, la dama si stropicciò i capelli, negò solo col cenno della testa – "Sì…in realtà…mi disse che lui lavorava per una famiglia nobile. Era al servizio di una donna che…insomma…un uomo al servizio di una donna? Gliel'avevo chiesto…per condurre la carrozza? No! Per ferrare i cavalli? No! E allora? Mi disse che voi avevate un incarico prezioso. Eravate un soldato del re…una donna…che faceva il soldato?".
Un racconto balbettante, inverso alla sua vita granitica
"E poi mi disse che lui aveva il privilegio di starvi accanto e di camminare mezzo passo dietro a voi…nel vostro silenzio e nel suo…".
Negò Oscar, non aveva senso continuare quella messinscena.
Si riconosceva in ogni parola che André aveva speso in quel lungo viaggio, con ciascuno di quelli che aveva incontrato. Non aveva necessità di chiederne conto ad alcuno. Lo sapeva già…
"Sei stata con lui?" – secca…
"No!" – altrettanto arida.
La risposta squarciò le viscere…
Oscar fissò la povera dama.
Negò di nuovo, scostandola da sé, come fosse una specie di frutto marcio…
Si sentì come quella donna, marcia, instupidita, sbattuta fin nelle viscere dal dannato amore che anneriva ogni barlume di logica.
Ma poi, che diavolo ci sarebbe stato di marcio nell'amare così, in maniera folle e assoluta!?
"Perché hai mentito allora?".
"Non vi ho mai mentito!".
"Dannazione! Tu hai detto…
Mi ha trattato con tanta gentilezza…un amante intenso e generoso…
"Ve l'ho detto! Ero gelosa del conte!".
"Stupida!" – che l'afferrò per le braccia – "Nemmeno sapevi chi fossi io! Se ero un uomo o una donna? Che razza di menzogna sarebbe quella che si butta addosso a qualcuno che non si conosce?! Non ti ho mai sentita nominare…".
Di nuovo…
Il nome ingoiato…
Il Conte di Fersen!
Domandava Oscar, a se stessa, perché mai ci avesse davvero creduto che ogni volta che aveva scovato un amante, quella lo fosse stata di André, piuttosto che non di Fersen!?
Lo sapeva bene anche lei che Fersen non aveva mai disdegnato la compagnia di altre donne, nonostante avesse sempre giurato amore assoluto e senza scampo verso Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.
Ma l'Amore...
Si può giurare amore anche così?
E allora perché le pareva così assurdo che non fosse stato davvero Fersen…
"André…mi ha trattato con gentilezza! Perchè avrei dovuto mentirvi?" – spiegò la damina spazientita e tremante – E poi…se voi siete davvero quella donna e se lo conoscete come lui dice di conoscere voi…di grazia…ve la farei io una domanda?! Come avete fatto a credermi? Lo sapete ch'è un uomo gentile!".
Oscar non avrebbe potuto suggerire altre risposte, che però gli occhi attendevano.
"André mi aveva raccontato di una donna…lasciava la Francia…per via di quella o…non avevo ben compreso. E allora…voi…quando voi mi avete rivelato chi siete…" – che la presa si slacciò, che la dama si scansò, stanca ella stessa dell'idiota messinscena – "André conosceva Monsieur Fersen. E voi, anche voi, insomma lo conoscevate! Anzi, adesso si comprende che li conoscevate entrambi! Il conte vi ha preferito a me. Mi ha messo da parte per restare con voi. Monsieur era tutto per me e voi l'avete distratto! E André lasciava la Francia, poverino, per colpa di una donna a tal punto ingrata! E allora, se eravate voi o no…che m'importava!?".
Oscar sentì il sangue incendiarsi nelle vene. Non aveva mai picchiato una donna, ancora un istante e l'avrebbe fatto.
Non era questione d'essere presa in giro dalla damina ma...
Mademoiselle Bellenuit intuì la rabbia crescente. Comprese che l'avversaria giungeva piano piano alla verità, che però, a esser sinceri, quella già avrebbe dovuto albergare nel cuore e nella testa.
"Insomma..." – balbettò la damina – "Siccome ero arrabbiata...m'è sembrato giusto che anche a voi venisse in mente d'essere stata messa da parte! Ma perdonate…siete una donna e state qui a chiedere conto a me…che anche voi allora, non sarete mica gelosa di me!?".
Mademoiselle Bellenuit intuì d'aver colto nel segno, non ci voleva poi tanto a comprendere che nessuna donna vorrebbe mai esser messa da parte, né per via d'un qualsiasi accidente, figurarsi per via di un'altra donna.
La damina prese a ondeggiare sui talloni, braccia incrociate dietro la schiena, s'offriva ora inerme e fiduciosa, sopracciglia arcuate in misura tale da rimarcare l'ovvietà della messinscena e con essa l'ingenuità dell'avversaria che fino ad allora aveva compreso ben poco.
Pareva tanto severa quella e intransigente e attenta...
Ma poi, alla fine, non aveva compreso nulla!
O forse l'aveva perfettamente intuito ma chissà perché, aveva deciso di sentirselo sbattere in faccia…
"Però...ecco...André è stato gentile davvero. Non l'ha detto ma credo davvero che se ne sia andato per via di una donna...e adesso ho modo di affermate che quella donna eravate voi. Se n'è andato per voi...".
"Per me…".
Cozzava tutto intorno la caotica conclusione del giorno, l'approdo della nave, le grida, il lancio di qualche fiore…
Ci stanno osservando…dunque…non vuoi augurarmi buona fortuna? In fondo sei venuta sin qui…mi hai trovato…
No!
No? Sei crudele!
Pensala come ti pare! Non ti augurerò buona fortuna! Disapprovo ciò che stai facendo e soprattutto i motivi per cui lo fai! Sarò anche crudele ma non sono un'ipocrita! Non posso augurare buona fortuna a chi sta compiendo una pazzia! Posso solo tentare di dissuaderlo…ma se non ci riesco…non ti augurerò buona fortuna! La responsabilità di ciò che compi…è solo tua!
Va bene! Sarai soddisfatta adesso!
Di cosa?
Hai espresso il tuo punto di vista…ma…tuo padre mi ha dato la sua benedizione…
Io non sono come mio padre! Lui ed il suo smisurato senso dell'onore…
Lui ha il suo onore…tu, il tuo orgoglio! Una figlia degna di suo padre! Sei tale e quale a lui! Anche tu e il tuo dannatissimo orgoglio avete eretto un muro…dunque…attraversalo…e augurami buona fortuna!
No! Dimmi chi è quella donna?
No…te l'ho già detto! E' una persona onesta…pura…
André…se tieni più alla sua purezza che al tuo amore per lei…allora forse non ne sei così innamorato!
E tu…tu che ne sai dell'amore!? Quali strade percorre? Quali strade ci costringe a percorrere? Augurami buona fortuna!
No!
Sei testarda!
Le labbra catturate, morse il ricordo…
Oscar si voltò, la dama abbandonata alle assurde congetture ormai distrutte entro la luce del tramonto morente.
Corse via…
In cerca del volto…
Lo sapeva già ch'era lei quella donna. Ch'era sempre stata lei. L'aveva sempre saputo.
André l'aveva voluta libera, ma quell'amore era stato più forte e l'aveva richiamato sui passi antichi.
La voleva di nuovo libera?
Libera da se stesso!?
Corse davvero…
Lo raggiunse, lo guardò mentre lui la squadrava, camminando, il passo imposto e secco.
Madame Roma colse il muto approdo dei due corpi che parevano volersi abbracciare lì, in mezzo alla folla, come due flutti distanti, che dopo aver vagato di miglia e miglia, s'erano finalmente trovati, ad aggrovigliarsi, abbracciarsi, perdersi l'uno nell'altro.
Intuì, seppure subito scansò, un sussulto di pietà entro il cuore, come se avesse veduto se stessa, nell'accorata richiesta di non essere abbandonata.
Ti avrei chiesto di augurarmi semplicemente buona fortuna…ma visto che sei contraria a questo viaggio…e visto che ti ostini a negarmi almeno questo augurio…dunque mi sono permesso di prendermi la mia buona stella dalle tue labbra…perdonami…ma volevo così…
"Sei…un pazzo!".
Lo sussurrò Oscar, che André sorrise come fosse rinsavito davvero da un tempo di follia, un tempo ove nulla era stato reale e tutto tornava ad essere vero.
"Sì…rammento…" – chiosò sprezzante – "Mi spetterà davvero la forca adesso! Non solo per aver osato baciare una contessa! Ho fatto di peggio! Tutto andrà ad aggiungersi alle mie colpe".
"Hai…" – replicò Oscar colpita, che non era possibile appellare in alcun modo tutto quanto era accaduto, tutto ridotto a un bieco bacio – "Che cosa vuoi da me!?" – gridò disperata, che avrebbe voluto chiedergli altro…
Tienimi stretta…
Non lasciarmi…
Mezzo passo dietro a te…
Pensami…
Ricordati di me…
Non dimenticarmi…
"Voglio che tu dimentichi ciò che è stato!" – sputò l'altro quasi rabbioso, come pazzo al pensiero delle parole sussurrate – "Ammetterai che tutto ti precipiterà nel baratro del disonore più nero".
"Ebbene è tutto ciò che hai da dire? Mi avresti usato dunque? Avresti preso ciò che volevi e adesso rinneghi tutto in nome del mio stesso bene?! Sai che non è così, sai che io…ero con te…".
"Ebbene non parlare in questo modo".
"Sei tu che discuti come se tutto ciò che è accaduto fosse ignobile! Parli di onore…che m'importa!?".
"E' folle ciò che dici! Non lo è...ignobile intendo. Ma ti chiedo di dimenticare! Rammenta solo ciò che ho fatto io…ciò che è ignobile! Dimentica ciò che sei stata tu!".
"Dovrei rammentare solo ciò che hai tenuto per te..." – sprezzante – "E non ciò che sono stata io!? Non posso".
"Una donna come te…non accetterebbe mai di sposarsi per via d'un gesto ignobile che l'avesse offesa…".
"Stai vaneggiando! Non mi sono mai piegata ad alcun gesto ignobile! E non sono certo una donna che userebbe un matrimonio per porvi rimedio".
"E non accetterebbe mai di sposarsi se non per amore…".
"E' ciò che sento…".
André parlava...
A chi diavolo stava parlando...
A lei che era lì, oppure a Oscar François de Jarjayes, la Oscar d'un tempo?
"Il tuo amore muterebbe nella tua dannazione…allora dimentica ciò che è stato…".
"Chi sei…chi sei tu per dirmi ciò che devo fare? Chi sei per giudicare ciò che sento?" – tentò d'afferrarlo per un braccio, il tocco sferzò entro i muscoli mentre la testa s'inabissava nel lieve sentore dell'altro – "Credi che ciò che è accaduto debba essere considerato ignobile e tu non abbastanza nobile per porvi rimedio!? Che discorsi...".
"Ecco...dunque...è questo che voglio che tu comprenda…".
La rabbia salì di pari passo all'incapacità di comprendere discorsi tanto assurdi, intenti che poggiavano ormai sul nulla della rassegnazione.
Madame Roma riuscì a trattenere su di sé lo sguardo dell'ufficiale che aveva tentato di distrarre solo qualche istante ancora.
Victor Girodel si voltò alla fine e scorse il frammentato scontro, le parole ingoiate dal caotico vagare della folla.
Tuonò nel cervello l'addio che lui stesso aveva preteso dal soldato disertore verso l'antica padrona.
Un tempo, nel tempo in cui entrambi erano approdati in America, s'era inchinato alla decisione di Oscar François de Jarjayes, che l'altra aveva deciso un'altra rotta, diversa da quella delle orgogliose battaglie contro gli inglesi.
Il sentiero scelto per recuperare il filo della propria memoria, mettendosi alla ricerca del suo servo, la certezza che gli ordini di portare armi e polvere da sparo nell'entroterra erano stati solo una scusa.
L'aveva lasciata andare.
Non fosse mai stato che André Grandier fosse morto da eroe o, peggio ancora, per via d'un amore impossibile.
Un uomo che fugge e sparisce ben incute tanta pietà, molto più che un uomo che lotta e accetta di perdere la sua battaglia.
E se quell'amore fosse stato davvero per Oscar François de Jarjayes, lei non se lo sarebbe mai perdonato e André Grandier, morto, sarebbe divenuto spina nel fianco, senso abnorme di colpa, tale che lei forse non se ne sarebbe mai liberata.
Quando si erano divisi, dopo essere giunti in America, la sua bocca aveva sfiorato la guancia fin quando la guancia s'era appoggiata alla guancia.
Victor rammentò che Oscar s'era lasciata sfiorare, il contatto morbido e sorprendente aveva percorso il corpo, inanellando strane circonferenze di miele e malva, una sorta di profumo tenero e al tempo stesso tenace s'era insinuato nella testa fino a far capitolare la ragione.
L'aveva abbracciata, senza stringerla e senza abbandonarla e lei s'era lasciata abbracciare, senza ritrarsi ma senza cadere nelle sue braccia.
L'aveva chiusa a sé, nella consapevole adesione delle menti, quasi dentro una sorta di antro tiepido in cui riposare le membra e persino la coscienza dalla folle e idiota corsa del cuore.
Victor scorse il tenero ricordo dentro la mente, l'insperata dolcezza, e d'un colpo lo vide spazzato via dalla scena che parimenti s'imponeva in quel momento, feroce e tesa e senza scampo.
Ascoltò le caustiche parole, domandandosi se André Grandier sarebbe stato avversario più pericoloso da vivo piuttosto che da morto.
Nemico più temibile da condannato piuttosto che da uomo libero.
"André...sai che non è così! Alla fine vorresti decidere anche per me? Avevi detto che se fosse stata quella donna a chiederti di restare…" – camminava accanto all'altro, impietrita dall'essere relegata a stare distante mentre lei avrebbe voluto abbracciarlo, mutare il semplice contatto d'una mano sul braccio a impedire all'altro di perdersi entro l'oceano scuro della sua dannata condizione – "Ebbene...io sono quella donna!".
Quella donna era lei, era sempre stata lei...
Ma lei, quale donna era davvero?
"Sì…ma ora tu sei Oscar François de Jarjayes…" – disse piano André, il respiro fondo…
"Che significa!? Io sono io! E questa sarebbe una colpa?! La mia colpa?!" – sputò l'altra, che la rabbia tornava a salire – "Io sono chi sono! Io so chi sono! Non posso mutare nome…".
"Non devi essere altro che chi sei davvero" – replicò André, quasi folle, mentre lo sguardo si sgranava alla visione della follia che aveva compiuto.
Amarla...
Una follia!
"Vuoi liberarti di me!?" – ruvida, quasi disperata.
"Non parlare in questo modo! Ma non lo vedi che cosa ti ho fatto? Ti ho reso debole! Hai mutato il tuo animo per causa mia...".
"E allora…" – tentò di trattenerlo, toccarlo, impossibile restare distante...
Non lasciarmi…
Sì...
Avrebbe voluto gridarlo...
Aveva mutato animo e pelle come un serpente addormentato che rinasce e diviene un essere nuovo pur restando sempre lo stesso.
La pelle era marchiata ora dalle labbra ch'erano scorse leggere, dallo sguardo che penetrava e non lasciava scampo...
La coscienza era annichilita di fronte alla caduta entro l'esistenza dell'altro...
I soldati attorno si fecero avanti, sbarrando il passo, distanziando le onde. André da lei.
Madame Roma udì le parole sussurrate e dannate.
Le stesse che un tempo doveva aver pronunciato lei o, forse non rammentava bene, doveva aver pensato.
Nemmeno lei era stata esaudita.
Un amore innocente…
Un amore lieve ch'era diventato nero come l'Inferno.
Victor Girodel respirò a fondo.
André Grandier aveva fatto una promessa.
Divenire il peggior nemico di Oscar François de Jarjayes.
Perchè l'amava e...
Tornò a fissare Madame Roma che sorrise, un ghigno di vittoria, come ad attestare che la strategia del buon tenente non era servita poi a nulla.
Lui si era fatto da parte e tutto era precipitato.
"Dunque..." – sibilò Roma...
"Madame...ne convengo...ammetto la mia sconfitta!".
"Non sembrate dispiaciuto!" – commentò Roma dubbiosa.
"Non tutto è perduto" – amaro – "Rammentate vero quello che vi dissi?".
Vedete…l'amore…è effimero…sfuggente…nulla può deludere più di ciò che si ammanta del suo insostenibile vello…
Non volete il suo amore…
Perché esporre questa donna meravigliosa al timore d'una delusione d'amore quando un'unione avrebbe il sacro pregio di fondarsi su sentimenti ben più solidi finanche il rispetto che le porterei sempre…
Né un amante, né una carica militare, nessuna ricchezza potrebbe mai distogliermi da lei…dunque come vedete esiste una forza ancora più potente dell'amore. Ed essa non potrà mai deludere…
"Ebbene!?" – che davvero Roma si stupì rammentando le parole.
Siete abile Monsieur Girodel…mi domando come potrete far breccia nel suo cuore se ciò che avrete da offrirle sarà diverso da ciò che lei sta cercando…
Madame Roma…pensate che mademoiselle cerchi l'amore!?
Semmai fosse così per voi sarebbe la fine, monsieur…
"Ebbene...ve l'ho detto. Se avessi avuto ambizione di conquistare il cuore di mademoiselle...sapevo già d'andare incontro ad una cocente sconfitta. Ma ora...ora che di quell'amore lei ha evidentemente assaggiato tutto l'amaro e dilaniante sapore...".
"Voi giungerete a sorreggere il suo cuore spezzato?!".
"No! Dubito che una donna come Oscar François de Jarjayes potrebbe mai ritrovarsi con il cuore spezzato! Semmai potrebbe giungere alla certezza di non avere necessità di alcuno che giunga a spezzarglielo o meglio ancora alla decisione di scegliere una persona che mai glielo spezzerà. E ciò accadrà proprio perchè lei non l'ama! Perché lei non ne sarà innamorata!".
"Saggia scelta! Una sfida interessante!".
"Quando parlate di sfida madame non nego d'essere sul punto di detestarvi!".
"Ah...allora non c'è nulla da fare! Se non accetterete tutto ciò come una sfida, il vostro cuore avrà sempre la meglio sulla vostra ragione e non riuscirete mai a portare a termine il vostro intento!" – concluse Roma con fare cinico.
"Vedremo...".
§§§
A la fin d'août de l'année 1782…
Sur le chemin du retour à Paris…
Victor Girodel aveva suddiviso gli schieramenti.
I feriti sarebbero rimasti a Brest ancora qualche giorno.
I disertori ricondotti al più presto nella capitale.
I drappelli questa volta si erano tenuti lontano dalla costa per attraversare le vie interne, procedendo spedite, seppure attraverso sentieri sepolti entro drappi di foreste costellate da chiese e icone in pietra, a rammentare ai viaggiatori di tener salda la fede nel cuore, per non rischiare d'essere strappati alla retta via dai sapienti demoni che abitavano quelle terre da secoli immemorabili.
Lo sguardo spaziava sul paesaggio sconosciuto ma al tempo stesso noto della notorietà che i pensieri regalano ai passi, quando gli occhi riconoscono un'altura oppure un solco oppure un albero per il semplice fatto che su di essi si è appuntato un ragionamento, una deduzione, rimasti impigliati lì, a ondeggiare al vento, come stracci ormai inutili e laceri, magari in attesa che il distratto viandante tornasse a recuperarli.
La strada un poco polverosa era dunque costellata dei suoi stessi pensieri, quelli che si erano affollati quando era partita..
Bruciava l'assenza.
Ancora di più.
E ancora di più immaginando ch'essa fosse scelta ponderata.
E ancora di più, per via che quella scelta avrebbe potuto essere combattuta e disattesa.
Un respiro fondo...
Era già trascorso il suo compleanno. Era riuscita a vederlo che pochi istanti.
Non aveva detto nulla, tanto lo sapevano entrambi che giorno era quello.
Tutto ciò che le aveva chiesto André era di occuparsi di nanny.
Non aveva detto altro.
Il paesaggio scorreva...
La quiete di fine estate insisteva a torturare i sensi.
Nell'aria afosa e calda, Oscar ascoltava il martellante marchio che, parimenti all'aria profumata di grano tagliato e viti recise, rigogliose e colme, incideva la coscienza e dannava il respiro.
Intuì d'essere seguita. Lo sguardo seppur perso avanti a sé riconobbe Victor che l'affiancava e poco dopo parimenti Madame Roma si unì al gruppetto. Poco più avanti avanzava piano il bambino, che era stato lasciato cavalcare da solo.
Era stata una sua richiesta...
I capelli neri ondeggiavano all'andatura ritmata del cavallo.
Pareva che nei mesi di viaggio, Argo fosse cresciuto, d'improvviso, il corpo gracile e piegato dalla sofferenza, si era come intestardito a vivere e divenire adulto, anche se troppo in fretta, anche in spregio al destino che aleggiava sulla testa.
Il falco incappucciato, era appollaiato sul braccio.
"Madame...quindi andrete a stare nella vostra casa di Parigi?" – esordì Girodel, scrutando distrattamente il solco severo del sentiero che incideva la via e la coscienza.
"Sì...anche se non so davvero in che condizioni la troverò!" – rispose Roma un poco preoccupata.
"Ossia..."
Oscar ascoltava, in silenzio...
"Vedete...in effetti non torno in quella casa ormai da anni. Ossia da quando ho deciso di seguire mio marito, fin dove mi è stato consentito. La servitù era stata licenziata. Dovrò di certo trovare al più presto qualche domestico e procurarmi il necessario per sopravvivere".
"Davvero rischiereste di ritrovarvi sola..." – domandò Girodel perplesso - "Non sia mai madame. Mi premurerò di trovarvi al più presto un buon segretario che si adopererà per attendere alle vostre necessità! Nel frattempo..." – abbozzò Girodel.
"Ve ne sarò grata!" – l'interruppe Madame Roma – "Siete davvero un gentiluomo...".
"Dicevo e nel frattempo..." – Girodel tentò di riprendere...
"Madame...Roma..." – il respiro quasi sospeso, lo sguardo al bambino, la coscienza a ripercorrere i solitari passi del viaggio che l'aveva condotta in America, il distorto pensiero di scacciare quel tempo che ora aveva l'amaro sapore d'una sconfitta annunciata – "Sarebbe di vostro gradimento accettare l'ospitalità della mia famiglia? Per il tempo necessario a sistemare la vostra dimora".
"Mademoiselle..." – che Roma sulle prime si ritrovò inspiegabilmente ostile a tale proposta.
Se fosse finita nella dimora dei Jarjayes...
"No...sarei di disturbo..." – tentò di schermirsi.
"Non dovete temere..." – replicò Oscar mentre scrutava distrattamente il paesaggio come a tentare di farsi avvolgere dal susseguirsi dei campi arati e ormai spogli, dai grovigli di filari carichi di grappoli, dalle icone che tempestavano i sentieri – "Vi riposerete. E' mio proposito ricambiare in qualche modo le vostre premure durante il viaggio. La vostra presenza e il vostro aiuto mi hanno consentito di trovare spesso la strada giusta. Prendetelo come modesto ringraziamento".
Roma rimase silenziosa, la mente impegnata a cercare di comprendere se e in qual misura l'invito sarebbe stato utile per trarne un beneficio.
Uno qualsiasi?
Il cuore prese a battere forte mentre i pensieri vagavano a ritroso a cogliere il balzo del giorno, seppure ormai non rammentava più quale, l'aveva separata per sempre dal destino di Augustin Reynier de Jarjayes.
La cesura alla fine era stata inevitabile come la rassegnazione dettata dalla necessità di continuare a vivere, adattandosi allo scorrere del tempo.
Roma annuì.
Un beneficio l'avrebbe di certo scorto.
§§§
"Sai che sei proprio idiota!".
L'epiteto risuonò dall'esterno, rotolando addosso al soldato disertore che viaggiava rinchiuso entro una specie di berlina nera, imponente, massiccia, l'unica finestrella aperta istoriata da una grata geometrica quasi rovente, colpita dal sole ancora alto.
Nessuno rispose dall'interno.
Il soldato allora si mise al passo della berlina, incuneando la voce entro l'unica apertura.
"Dico sei…" – tentò di gridare più forte.
"Non è necessario ripetere! Ho udito ciò che hai detto!" – risuonò dall'interno - "Non ho mai goduto della tua stima! Pensavo che adesso, dopo tutto, mi avresti considerato degno della risma di gente che ammiri!".
Rise Alain Soisson, lo scherno buttato addosso al disertore, prigioniero del Re di Francia, condotto a Parigi in attesa di conoscere il proprio destino, ritorto contro.
L'ordine era stato di tenerlo separato dagli altri prigionieri.
Dunque anche in quel frangente André Grandier declinava d'essere diverso dalla plebe a cui apparteneva.
"Eh no! La mia stima era effettivamente mutata nel saperti disertore, ladro…persino donnaiolo!".
"Soprattutto quello!" – gli fece eco André calcando sarcasticamente sulla sequela.
"Non dire idiozie!" – rinfacciò Alain – "Se non sei nulla di tutto ciò allora possiamo ammettere che sei solo un idiota! Farti passare per ciò che non sei…quale disgraziata idea t'avrebbe spinto a divenire una specie di avanzo di galera…uno che se fossi stato davvero un plebeo saresti stato giustiziato all'istante!? In chissà quante occasioni! E invece l'ha scampata. E adesso stai chiuso dentro questa carrozza…e preferisci finire alla forca piuttosto che salvarti! Dimmi tu se non è da idioti!?".
"E tu come faresti a sapere che non sono nulla di tutto ciò!? E comunque, nessuno ha mai comandato che un uomo non possa essere idiota!".
"Quindi alla fine o saresti un disertore, un ladro, un donnaiolo...oppure un idiota!? Non ci fai una gran bella figura! Ma soprattutto, saresti così idiota da lasciare che una donna come quella…ti consideri tale?! Questo davvero non riesco a comprenderlo!".
"Alain…lascia…".
"Senti…non è a me che devi appellarti…se fosse per me…le avrei riservato quello che si merita tanto tempo fa…ci avete preso in giro entrambi!".
"Non t'azzardare!".
Il silenzio calò a suggellare l'insolito dialogo.
Alain Soisson convenne con se stesso che André Grandier aveva già pagato un prezzo altissimo per il dannato azzardo, aveva già subito un'esemplare condanna per aver osato baciare il damerino, a Brest, ormai quattro anni prima.
Che poi il damerino non era affatto un damerino!
Il soldato a cavallo, nella luce morente del giorno, il secondo da che avevano rimesso tutti piede sul suolo francese, riprese - "Dicevo…non sono io che sto fuggendo. Sei tu che lo stai facendo! E a che prezzo? Solo un idiota accetterebbe di lasciarsi sfuggire una donna simile! Peggio ancora, far sì che sia quella ad abbandonarlo! Solo un idiota farebbe sì che quella rischiasse di perdersi e perdere se stessa…pur di non gettarla nel fango d'un amore che non ha futuro!".
"E che amore sarebbe un amore senza futuro? Chi accetterebbe mai di gettare questa ignominia su una donna? Su di lei come su qualunque donna?".
"Davvero credi d'essere un'ignominia per lei?".
La domanda cadde nel vuoto…
La risposta era ovvia…
No, amare non è mai un'ignominia…
Eppure…
Amare non è sacrificarsi...
Amare è imporre un sacrificio all'altro...
"Stai rischiando molto André Grandier!" – concluse Alain – "Hai messo sulla bilancia…è…assurdo…la tua libertà...in cambio di cosa? Della sua libertà?!".
André tacque, impossibile replicare.
Seduto a terra, strinse i pugni, il corpo imploso entro il richiamo dell'altra, il suo respiro, il lieve sussulto impaurito, nutrito di baci a occhi chiusi.
L'aveva amata…
L'aveva riportata alla vita…
Oppure forse l'aveva uccisa per sempre.
Pensami…
Ricordati di me…
Non dimenticarmi…
No…
Le aveva chiesto di dimenticarlo. Così come un tempo la sua dannazione era stata quella di amarla in silenzio, ora la sua dannazione sarebbe stata quella di essere dimenticato.
Come dunque mutare quell'amore in odio, così che lei l'avrebbe dimenticato?
"Ebbene...mi pare che tu sia arrivato a cogliere nel segno!" – concluse André ricacciandosi nell'ombra scura dell'antro della berlina.
§§§
A la fin d'août de l'année 1782…
Château de Lanrigan…
"Dovresti riposare…".
"No! E non è necessario che resti!".
"Sì…lo so…".
"Devo andare da Argo…".
"Quel bambino…è strano…sta tutto il tempo appresso al falco…e quella bestiola…mi domando che ne sarà del suo volo libero una volta ristretta in una gabbia di metallo. Non ci sarà laccio abbastanza lungo per consentirle di tornare a essere davvero libera".
Madame Roma indugiò riassettando la misera camera ch'era stata assegnata alle due donne.
Era notte ormai, il giorno successivo, i vari drappelli sarebbero ripartiti alla volta di Parigi.
Direzioni diverse, passi diversi…
Chissà quando avrebbe rivisto André, chissà che sarebbe accaduto, se persino lui non aveva più intenzione di lasciarla avvicinare.
Oscar si alzò, rabbiosamente troncò la conversazione con Roma che rimase lì, sola, mentre l'altra sgusciava dalla stanza per cercare il moccioso indiano ch'era voluto restare solo, per accudire la bestiola alata, lontano da tutti, così che quella non fosse troppo spaventata dalla nuova terra, dai nuovi odori, dall'aria diversa che probabilmente disorientava i sensi e il piccolo cuore.
"Come stai?" – chiese avvicinandosi, mentre il bambino aveva gli occhi fissi al falco.
"Lei sta bene…" – rispose Argo.
"Ho chiesto come stai tu?".
Argo sorrise, labbra strette, contratto, forse non era mai stato abituato a ricevere attenzioni.
Nella sua gente si parlava spesso, alla sera, attorno al fuoco. Si scambiavano gesti, pensieri, si organizzava il giorno, la caccia, si commentava la muta degli animali, la raccolta del grano, le stagioni che tessevano il paesaggio.
Mai nessuno gli aveva chiesto come stava. Che strana domanda…
"Verrai a stare nella mia casa" – proseguì Oscar osservando parimenti il piccolo falco, a cui il moccioso aveva tolto il cappuccio.
L'occhio era vigile, la pupilla piena e fonda e attenta.
"Quando potrò rivedere André?".
"Non lo so. Vorrei dirti presto…ma credo che di menzogne ne siano state dette fin troppe e dunque sarebbe inutile illuderti che lo rivedrai presto!".
"Morirà?".
Oscar si contrasse, il brivido annebbiò la vista. La risposta eruppe più per rassicurare il moccioso che non perchè lei ne fosse certa.
"Non lo permetterò!".
Se lo disse, mandò giù le parole come a imprimerle sulla pelle...
"Lui parlava spesso di te…adesso ho capito perché!".
"Di me?".
"Sì…non conoscevo il tuo nome ma lui mi raccontava di aver conosciuto una donna capace di cavalcare come noi indiani e di usare la spada e il coltello…e che era bella…e che gliel'aveva detto soltanto una volta…".
Sei bella…non dimenticarlo mai…ti ho visto…
Tu…eri sveglio!?
Era tutto vero…
O era tutto falso!?
Argo tornò a fissare il falco.
Forse la bestiola incarnava il mondo che lui si era lasciato alle spalle.
Prima di partire Oscar gli aveva proposto di restare in America, la sua terra, forse anche ritrovare l'indiano Yellow Jacket.
Il bambino aveva negato, aveva detto di voler seguire André.
Lui gli aveva chiesto di occuparsi del piccolo falco e Argo si era sentito in dovere di farlo, seguendo il padrone dell'animale.
Forse l'unico modo per restare legato a colui che aveva conosciuto, a colui che l'aveva reso parte della sua vita in maniera diversa da come era stato fino a quel momento.
Purtroppo i legami sono taglienti come lame, e al tempo stesso recidono l'anelito di libertà che respira silenzioso entro il cuore di ogni essere umano.
A maggio, il Colonnello William Crawford aveva spinto i miliziani americani entro le terre abitate dagli indiani.
Per vendicarsi delle razzie perpetrate dai selvaggi indigeni, era stato detto.
Per punirli del loro appoggio ai soldati inglesi, forse era questa la severa verità.
E così a giugno, poco prima della partenza, era giunta la notizia che alcune tribù indiane, con l'aiuto dei soldati inglesi, avevano vendicato i morti della spedizione di marzo e di quella di maggio.
Le guarnigioni di Crawford erano state annientate…
Se Argo fosse stato là in mezzo...
Che ne sarebbe stato della sua e della loro vita?
Se lo chiese Oscar, immaginandosi calata nella stessa uniforme di un tempo.
Chi sarebbe tornato a essere André?
"Tu...spedivi le lettere per lui...".
Argo annuì silenzioso.
"Quante erano?".
Negò il bambino – "Te l'ho detto…io non so contare. Me l'avete insegnato voi il gioco della paglia".
"Quante…".
"Tante!" – Argo allargò le braccia – "Di più di quelle che abbiamo contato!".
Lei ne aveva contate una decina...
E le altre?
Si alzò, scorse alla testa del bambino, il gesto di accarezzarla, toccare i capelli scuri e lucidi, lunghi e liberi.
Come sarebbe vissuto quel bambino in una terra a cui non apparteneva?
Lo sguardo corse fuori, i passi condussero all'aria aperta colma del sentore salmastro del mare che ripiega verso la stagione autunnale, agitato, imperioso, arido di luce e gonfio di tempesta…
Si ritrovò a osservare il cielo buio, si abbracciò immaginando d'essere ancora tra le sue braccia.
André l'aveva conosciuta, l'aveva condotta a sé…
André la tradiva per non tradirla.
André fuggiva da lei, di nuovo, per non essere costretto a recitare una parte che non gli apparteneva più.
Lui aveva cercato la libertà e lei, solo lei lo costringeva a fuggire, per non fuggire da quella stessa libertà.
Non quella che gli sarebbe stata negata dietro le sbarre.
Tienimi stretta...
Anche lui aveva mutato pelle per sempre.
Dunque mentiva e avrebbe mentito sino a distruggere se stesso pur di non tornare ad indossare abiti che non gli appartenevano più.
Che diritto aveva lei di usare il proprio amore per costringerlo a essere ciò che non era più?!
Salvarlo…
L'unico scopo…
Dalle leggi francesi…
E da se stessa.
* Versailles No Bara - Gaiden n.6 - Ryoko Ikeda.
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