Oh il furfante, il bifolco che sono!
Non è mostruoso che quest'attore qui solo in una finzione, sognando la sua passione, possa forzare l'anima a un'immagine tanto da averne il viso tutto scolorato, le lacrime agli occhi, la pazzia nell'aspetto, la voce rotta, e ogni funzione tesa a dare forma a un'idea?
E tutto ciò per niente!
Per Ecuba! Ma chi è Ecuba per lui, o lui per Ecuba da piangere per lei?
E che farebbe se avesse il motivo e lo sprone della sofferenza che ho io?
Inonderebbe la scena di lacrime, spaccherebbe gli orecchi a tutti con parole tremende, farebbe impazzire i colpevoli, tremare gli innocenti, sbalordirebbe chi non sa niente, davvero, sconvolgerebbe le stesse funzioni degli occhi e degli orecchi.
Ed io canaglia fatta di pietra e di fango sto qui a perdere tempo come un qualsiasi grullo trasognato e non penso alla mia causa, e non so dire niente, niente, nemmeno per un re che ebbe distrutti da un diavolo gli averi e la vita preziosa.
Dunque sono un vile? Chi mi chiama furfante? Chi mi spacca il cranio? Chi mi strappa la barba e me la butta in faccia, chi mi tira il naso e mi sbugiarda, e mi caccia l'accusa in gola fino ai polmoni?
Chi mi fa questo?
William Shakespeare
Amleto Atto II Scena II
Ancestrale condanna
La luna spiccava dal manto nero, rischiarato dalla lieve luce, vaga e fredda.
Lo sguardo ne rincorreva il profilo appena pieno, sdoppiato dalla fatica della giornata e dallo sforzo imposto all'unico occhio sano.
Lì, disteso sulla branda ammuffita della cella ch'era divenuta dimora di muscoli affaticati e sogni perduti.
Lì, disteso entro un tempo scelto, greve e duro, unico capace di tenere testa ai sogni smarriti, alla colpa.
Aveva compreso di essere giunto sin lì per espiare la più ancestrale delle condanne di cui si fosse macchiato.
Amare una donna...
Averla amata...
E amarla ancora.
Amare non è peccato in sé.
Amare non è nemmeno sacrificarsi...
Amare è imporre un sacrificio all'altra persona.
Dunque amare è peccato.
Il suo amore le avrebbe imposto di vederlo accanto a sé come un uomo.
Solo un uomo.
Ma finché lui non fosse stato uguale a lei, lui non sarebbe mai stato solo e soltanto un uomo ma un essere prigioniero della propria nascita, delle proprie mani vuote, della propria mancanza, del difetto di amarla sempre e di non poterla amare mai.
Amarla davvero...
Intensamente, come si ama la propria stessa vita.
Forse più di essa.
Dunque la condanna che si era assunto sulle spalle, in religioso silenzio - quel dolore fermo inciso nel cuore - era tutto ciò che gli apparteneva, era tutto ciò che diventava redenzione, espiazione della colpa che mai nessuna storia avrebbe potuto giustificare o sanare o distogliere da sé.
Amava...
E la peggior condanna era sapere che anche lei lo amava, e ch'era stato lui a condurla entro quello strano abisso fatto di respiro trattenuto, di sguardi sfuggenti che sanno di comprendersi ovunque, anche se lontani.
Dunque il torto non era rimasto unico e flebile e soltanto suo, ma si era amplificato fino a toccare lei, lambirle i piedi, fin a rischiare di spezzare quelle ali d'oro, invisibili che lei recava con sé, a ogni passo, seppur adeguatamente ripiegate entro le spalle, richiuse, in attesa di potersi aprire così da consentirle di spiccare il volo.
Vivi...
Come potrei?
Vivi per te stessa…non farlo per altri che per te stessa…
André Grandier aveva addomesticato Oscar François de Jarjayes.
Aveva addolcito il carattere, infuso fiducia, legato a sé lo sguardo, come il gesto. Proprio come aveva fatto con il piccolo falco che aveva imparato a prendere il cibo dalla sua mano, a riconoscere il suo passo, ad accettare d'adagiarsi sul braccio teso, per riposare le ali stanche, per restituire una gratitudine fedele che non sarebbe mai stata amore.
Le aveva insegnato ad attenderlo, a cercarlo, a respirare lo stesso silenzio.
Che amore era quello?
Che amara dannazione è l'amore che diviene tutto.
Così che senza non si riesce più a respirare e forse nemmeno a vivere.
Vivi...
Come potrei?
Vivi per te stessa…non farlo per altri che per te stessa…
Tu non puoi vivere senza di lei...
E lei?
E se tu le avessi riversato addosso il torto di non poter davvero più vivere senza di te?
Che condanna sarebbe allora la sua?
La tua stessa condanna, per giunta frutto d'una tua scelta!
Lei non aveva scelto di amarti...
E tu...
Un sussulto, lo sguardo si spalancò alla visione della luna che piano piano rischiarava l'orizzonte, alzandosi nel cielo.
Era stato costretto a fuggire di nuovo, ad andare lontano, così lontano da lei da ritrovarsi sotto i piedi una terra che con la Francia aveva solo un legame di servile sudditanza.
Ossessione infinita di ciò che scorreva tra loro.
Come se lei fosse stata Francia e lui sporca Cayenna, lei terra soave e lieve e reale e regale e lui suolo infame, reietto, buono solo per bieca conquista.
Lo sguardo si chiuse, André Grandier tentò d'imporsi di dormire, i muscoli dolevano per via dell'incessante lavoro che scandiva ore, giorni, settimane.
Che strategia idiota!
Che dannata consolazione!
Aveva ammesso d'essere un ladro, un assassino, un disertore.
Tutto pur di fuggire così lontano.
Ed era allora divenuto pure un pessimo nipote, che nanny non l'aveva neppure veduta o forse non l'aveva voluta vedere, ch'era stato meglio che tutto fosse fatto in fretta, senza attendere la gogna d'un processo, i tempi d'una decisione, il pericolo che qualcuno mettesse una buona parola per lui, rischiando di fargli scampare la galera.
Aveva rifiutato d'essere nipote.
Aveva rifiutato il perdono di Sua Maestà Re Luigi XVI.
Un'ignominia inaudita.
Dieci anni…
Nemmeno sapeva se avrebbe mai più rivisto nanny.
Si massaggiò le tempie André...
Le parole marchiate a fuoco nella testa, mentre entro il torpore del bieco sonno che giungeva a sollevare la coscienza dall'ancestrale condanna, la mente si rifugiava di nuovo al giorno della partenza da Brest, a quel bacio che, questa volta, era stata lei a lasciargli sulle labbra, come a colpirlo, peggio che con uno schiaffo.
Perché adesso André aveva certezza che lei lo amava e che lui non era riuscito nell'intento di rendersi talmente ostile e odioso da farsi odiare.
Quell'amore dunque era così intenso e fondo da spaventare anche lui.
Quell'amore così brutto da generare solo orrore.
Un amante dovrebbe essere grato dell'amore che scopre sciogliersi al tocco delle dita...
Un amante dovrebbe essere grato di amare ed essere amato.
E invece...
Era stato costretto a fuggire André.
Era un vigliacco.
Quell'amore, che pure egli già provava, gli aveva a tal punto stretto il cuore, e l'aveva colpito e piegato così forte, che non era stato in grado d'infierire su di esso e distruggerlo, così da salvarlo.
O forse salvarsi.
Da sé e da ciò che era stato.
Allora...
Gliel'aveva sussurrato all'orecchio...
L'aveva avvertita...
Le parole erano risorte da lontano, dallo straziante epilogo dei passi composti a Ponta Delgada, impressi anch'essi nella testa e nei muscoli.
Quello che abbiamo fatto a te, lo faremo anche a lui!
Parole sibilate addosso come lame…
Tiberius Mallerbé e Guglielmo Pointers erano morti.
Tiberius Mallerbé e Guglielmo Pointers non sapevano chi fosse quel giovane damerino, ma avevano giurato di vendicarsi.
A Brest, s'era affrettato a portarsela via, lei, Oscar, prima che i due s'accorgessero chi fosse, che lei era una donna, a dispetto del piglio e del rango.
Quei due uomini c'erano finiti per caso nella bettola a Brest?
Forse la cercavano, forse l'attendevano.
Lo sapevano chi era lei?
Lo sapevano già?
A Brest…
Erano in due a sapere chi fosse Oscar François de Jarjayes.
Uno era lui e l'altro…
E allora, siccome André Grandier non sapeva, non aveva che vaghi appigli, talmente distorti e famelici da divorare qualsiasi barlume di pietà…
Gliel'aveva detto chiaro, lui stesso, alle due guide indiane, Isi e Yellow Jacket.
Se avessero scorto un pericolo, gli indiani avevano ordine d'ammazzare i due soldati francesi.
Dunque, a rigore di legge, lui era un assassino, perchè era stato lui ad affidare tale compito ai due indiani e se quelli li avevano ammazzati, i due soldati francesi, significava che i due indiani avevano ammesso d'aver scorto un pericolo.
Restavano quelle parole, chissà se frutto dell'ingordo disonore da cui i due soldati francesi s'erano sentiti divorati, a Brest, quando lui gli aveva sottratto Oscar dalle mani...
Oppure…
André Grandier era un plebeo.
Mai avrebbe potuto sollevare gli occhi s'una donna nobile.
Men che meno Oscar François de Jarjayes.
Una libertà che deriva dalla libertà di un altro uomo…non è vera libertà…
Chi aveva colto il suo sguardo verso Oscar e porlo a peso e sostanza della propria vendetta?
Dunque lui non avrebbe mai potuto correre alcun rischio.
Dunque André Grandier sarebbe rimasto per sempre un assassino, un ladro e...
Vivere...
Dannazione, come sarebbe vissuto così?
§§§
Il sole a picco straziava la vista già offuscata dal sudore bollente.
I muscoli dolevano rattrappiti dalla fatica e dal caldo e dagli ordini che s'abbattevano addosso.
André non riusciva più nemmeno a pensare.
Eseguiva gli ordini.
Sfoltire drappi di foresta, straziare canneti, rivoltare la terra, così da renderla utile a semi e coltivazioni.
Abbattere alberi, tagliare tronchi, ripulire cortecce, piallare assi e costruirci case e capanne adatte ad accogliere i francesi che sarebbero giunti dalla Francia.
Quando aveva messo piede sulla terraferma, dopo un viaggio ch'era durato più di quattro mesi, lo sguardo aveva esplorato il paesaggio, ancora diverso da quello scorto quando era sbarcato nei pressi di New York.
Era piovuto spesso nelle prime settimane, era stato rinchiuso in una capannetta, seduto a terra, per accertarsi che non avesse portato con sé chissà quali morbi, col rischio di metterli addosso agli altri condannati che già lavoravano alla costruzione dei nuovi villaggi.
L'avevano costretto a tagliarsi i capelli, fin poco sotto la nuca, ma era stato un bene, che la stagione era calda e talmente umida che almeno non avrebbe rischiato di ritrovarsi la faccia fradicia di sudore.
Come avrebbe fatto a salvarsi?
Davvero voleva salvarsi?
Era rimasto legato alla catena quand'era rinchiuso, forse per via che l'idea di fuggire non gli fosse balenata troppo acuta nella testa.
Fuggire dove ormai?
Non era più libero dunque, così che a poco a poco la vera colpa aveva preso ad annientare la mente, come un incendio che divora tutto.
Poi un giorno l'avevano fatto alzare in piedi e spogliarsi.
Il guardiano l'aveva scrutato, il frustino sotto il mento così che la faccia fosse ben visibile.
La punta gli aveva sfiorato la guancia e poi l'occhio sinistro.
"Con una cicatrice del genere mi domando perché ti abbiano fatto finire quaggiù?! Di solito ci mandano condannati in forza e sani! Devi essere stato un discreto avanzo di galera ma non abbastanza da tagliarti subito la testa!" – aveva sibilato Monsieur Bonnard Orly.
Monsieur Bonnard Orly...
L'aveva conosciuto il primo giorno in cui era arrivato ma quello, dopo essere passato in rassegna ai nuovi detenuti, lo sguardo annerito dal disprezzo, era sparito quasi subito.
Ora era lì, due carcerieri alle spalle, mentre gli arti intorpiditi dalla forzata quiete si erano ritrovati spezzati, sferzati dalla frustata ch'era corsa addosso, mentre cadeva a terra...
Salvarsi...
Salvarsi...
Da cosa ma soprattutto da chi?
L'istinto era corso a opporsi, sì che la faccia si era piantata veloce sul carceriere.
Il re sapeva?
I ministri francesi erano al corrente?
Da che rammentava André, da ciò che s'era sempre detto a Versailles e in Francia, Re Luigi XVI aveva avuto in animo di coltivare piantagioni e insediare francesi in Cayenna, non certo straziare i condannati che venivano spediti là, a quel modo.
Ma si sa...
Non è che un re diviene migliore solo perché ha in animo d'essere migliore.
E non è che un potere assoluto non lo è, solo perchè è difficoltoso esercitarlo come tale.
Il carceriere aveva colto lo sguardo.
Un'altra frustata, mentre i due alle spalle trascinavano in piedi il prigioniero, mani dietro la schiena così da impedirgli di nuocere al più alto in grado.
L'ennesima replica dell'ennesimo sopruso.
Una costante mai abdicata da chi si ritrovava tra le mani un briciolo di potere in più, effetto distorto di quell'ancestrale potere assoluto che pareva attraversare la testa e le mani di tutti quelli che si fregiavano d'essere fautori del potere del re.
"Forse ho compreso..." – aveva attaccato Monsieur Bonnard – "Devi essere un osso duro! Uno di quelli che non si piega, anche se qualcuno dovesse spezzargli le gambe!".
André era rimasto zitto.
"Allora...forse imparerai più in fretta! Se sei sopravvissuto alla forca, troverai il sistema di sopravvivere anche qui. Dunque, non alzare mai gli occhi su di me! Non aprire la bocca! Non provare a ribellarti nemmeno col pensiero! Tanto me ne accorgerei. O da qui non uscirai vivo!".
Una libertà che deriva dalla libertà di un altro uomo…non è vera libertà…
Doveva la sua vita al re di Francia...
Un re buono...
Un monarca assoluto...
Perché era vero che Luigi XVI aveva tentato di cambiare le leggi.
Ma non avrebbe mai potuto mutare ciò che era...
Un re...
Il respiro spezzato da un pugno allo stomaco...
Inchiodato alla parete ammuffita della celletta...
"Se ti hanno spedito quaggiù significa che a qualcuno interessi! Aver salva la vita non è affare da poco! Dunque ti farai bastare quello per sopravvivere! Anzi! Sapere che qualcuno tiene a te, che sei dunque dannato, è già condanna esemplare per chi finisce in questo Inferno! Da quel che so, le anime dannate non hanno mai avuto potere di salvare i vivi! Ma chiunque tenga a te, ti ha già salvato la vita una volta! E non accadrà una seconda volta. E tu non potrai fare nulla per ricambiargli il favore. Non ti sarà concesso neppure di respirare!".
Doveva la sua vita al fatto d'essere stato servo d'una famiglia nobile, rispettata, tenuta in grande considerazione da Re Luigi XVI.
Dunque doveva la sua vita a tutto ciò che aveva tentato di ripudiare da quando aveva deciso di lasciare la Francia.
Che destino beffardo...
Essere salvo per via di ciò che non avrebbe mai più voluto essere, ed essere colpevole per ciò che aveva desiderato con tutto se stesso, ma che non era mai stato.
Un altro pugno...
La faccia chiusa nella morsa della mano...
"Anzi, a guardarti bene, mi sa che sarai un buon lavoratore! Resterai vivo se ti andrà! Dunque se non ti metterai a respirare di traverso, ti sarà data anche l'opportunità di divertirti!".
Che diavolo...
Che dannazione intendeva...
Restare vivo?
Pareva davvero così!
Più gli avessero cacciato la testa sott'acqua e più l'istinto di sopravvivere sarebbe esploso nelle viscere, mentre il viso dell'altra gli si piantava dinnanzi, eterna dannazione e al tempo stesso unica salvezza!
Era già fuggito una volta e non era servito a nulla.
Era fuggito di nuovo, questa volta imprimendole addosso la sferzata del rifiuto...
Era fuggito imponendole quella fuga, in forza della stessa vita dell'altra.
Dio...
E non è anche peggio?
Amare qualcuno e imputargli la propria fuga, la propria distruzione, persino la propria morte?
Che aveva fatto?
Vivi...
Come potrei?
Vivi per te stessa…non farlo per altri che per te stessa…
Tu non puoi vivere senza di lei...
E lei?
E se tu le avessi riversato addosso il torto di non poter davvero più vivere senza di te?
Che condanna assurda la sua, per giunta frutto d'una tua scelta!
§§§
Quel giorno era addetto alla ripulitura d'un crinale su una collina, frantumare le massicce pietre che non facevano altro che franare sotto i piedi.
In bilico sullo spezzone di roccia, il vento fendeva il corpo magro intessuto di rabbia e dolore, come se tutto ciò che aveva vissuto fosse stato da prendere a pugni e ridurre in mille pezzi alla stregua di dei dannati sassi.
Il grido dall'alto...
L'istante d'alzare gli occhi e vedersi sgretolare addosso una montagna di terra e fango che su, da qualche parte, le piogge avevano formato una specie di lago e quello s'era colmato al punto che il fragile argine in legno e malta non aveva retto.
Non seppe che fare André, se non appiattirsi contro la parete, avvinghiarsi con le unghie alla terra, attaccarsi ai fragili ciuffi di sterpaglie e chiudere gli occhi mentre l'odore del fango e della terra gli penetrava addosso...
Un istante...
Sentì che cadeva...
S'immaginò ch'era accaduto ancora.
Chissà quando...
Sì, doveva esser stato simile a Ponta Delgada...
Se davvero quei dannati soldati francesi l'avessero buttato di sotto dalla scogliera, probabilmente lui sarebbe morto.
E tutto sarebbe finito là, lui e il suo dannato demone da cui non aveva fatto altro che fuggire.
Ma quelli non l'avevano ammazzato, dunque quello era stato il prezzo da pagare.
Vivere...
Gli avevano reso la vita, avvertendolo di non uscire dai ranghi della sua nascita.
Che strano beneficio, aver salva una vita ch'è dannata!?
Nell'istante le dita si ritrovarono straziate dal dolore inferto alla schiena attinta da una pietra più acuta di altre.
La presa perduta, il tuffo all'indietro, che se doveva cadere, tanto valeva tentare di farlo meglio possibile, s'una spalla magari.
Smise di pensare André e persino di respirare mentre la polvere e le pietre l'avvolgevano e lui non poteva far altro che proteggersi la faccia...
Attese...
Attese che tutto fosse fermo, sé e tutto ciò che lo circondava.
Il dolore si moltiplicò espandendosi ovunque.
Un grido...
Vide il sorvegliante Monsieur Bonnard accorrere, tentò di scorgere s'era stato l'unico a cadere mentre udiva i lamenti di altri ch'erano scivolati giù, alcuni sepolti da terra e fango.
Il ginocchio a terra...
La vista compromessa...
L'istinto di mettersi a scavare e scavare e scavare per tirare fuori quelli ch'erano sotto.
Un grido...
Alle spalle...
La frusta schioccò infuocata dapprima vicinissima al viso...
L'ordine di indietreggiare...
No!
Non avrebbe desistito...
Doveva tiare fuori quelli ch'erano...
Fu come uno sparo che l'avesse preso alle spalle.
La frustata attraversò la schiena, bloccando ogni sussulto di ribellione.
Era vivo...
Dannazione...
Il volto di Oscar risorse dalle viscere.
I piedi l'uno davanti all'altro, in cammino, lambiti dalla spuma bianca del mare.
Onde lievi a infrangersi contro le caviglie...
Passi un poco appesantiti...
Il corpo avvolto da una veste sottile, a lasciar scorgere il profilo.
Le gambe lunghe, i fianchi asciutti, i capelli liberi, sospesi nel vento...
Lo sguardo si volgeva a lui.
Sorridevano gli occhi...
Dio...
Dove sei?
Dove...
"Vieni via!" – ruggì il guardiano avventandosi addosso – "Se crolla altra terra...non voglio perdere altri uomini!".
No!
Dunque il senso era tutto lì.
Non si potevano perdere altre braccia.
Di quelli ch'erano rimasti sotto ormai non importava più nulla...
Le mani tentarono di non arrendersi.
I capelli tirati all'indietro...
L'imboccatura della baionetta puntata addosso...
"Indietro!" – l'ordine sputato addosso – "Ci metto un istante a farti fuori! Farai la fine di quegli idioti che sono rimasti là sotto".
L'istinto...
André fu costretto a indietreggiare, mentre la volontà caparbia perseguita fino a quel momento avrebbe dettato di restar lì a prendersi quella pallottola.
Per lei, così che lei sarebbe stata libera.
Sarebbe morto per lei...
Morire per lei...
Infliggerle l'ennesimo straziante dolore...
Che lei lo amava...
Lei...
Bocca...
Labbra...
Denti...
Pelle...
Vivere...
Oscar allargava le braccia per raccogliere l'abbraccio del vento, lasciandosi abbracciare dall'orizzonte di luce...
Magnolia e acciaio...
Mare e cielo...
L'istinto gl'impose di indietreggiare...
Affondava...
Sommerso nella melma della schiavitù ove s'era ficcato.
Dieci anni senza di lei...
La nausea crebbe...
Obbedì all'ordine, che in fondo nella più fonda e dannata parte di sé l'istinto dettava di arrendersi e...
Vivere...
Riemergeva allora la coscienza, depurata dalla colpa, libera dalla servitù del rango, pura, unico alito di luce che induceva a desiderare di vivere, puntiglio acuto e straziante d'un demoniaco desiderio.
Obbedì André, indietreggiò, abbandonando chiunque ci fosse là sotto.
Perché un uomo deve fare i conti con se stesso e con l'istinto della vita che gli scorre nelle vene e che di fatto gl'impone di vivere?!
Quale purezza reca con sé il desiderio di vivere nonostante esso affondi piedi e mani nella più lurida ed egoista delle esistenze?
Nonostante tutto...
Non si può scegliere...
§§§
Vivere...
Vivere...
Vivere...
I colpi vorticarono attorno, imprimendosi addosso, straziando ogni muscolo, ogni respiro che restava muto, compresso nella gola, così da evitare che l'aria entrando gl'imponesse di respirare.
L'ordine ripetuto due volte dal sorvegliante gli era costato caro.
Il dannato era indietreggiato per imposizione, ciò non significava che gli sarebbe stata risparmiata la punizione d'aver obbligato a replicare l'ordine.
L'incertezza d'un respiro...
Non seppe quanto tempo trascorse, tempo che sfuggiva alla volontà d'essere conteggiato, in quanto scadenzato dai colpi, segmentato dalle grida di scherno.
Il sentore del sangue in bocca riempiva la gola, stillava nausea insistente...
Ma...
La bocca baciava la bocca...
Le labbra s'adagiavano piano, lievi, tremanti e sciocche…
Le frustate incidevano la pelle...
Il cuore scorgeva ad accogliere la bocca che s'apriva, lasciandosi baciare…
Il tocco si espandeva, inebriando i sensi, offuscando il rigore, calando sul livido passato una coltre di calma e nebbiosa indecenza…
Il cuore era già inciso.
Il bacio squarciava la coltre, frantumava il passato oscuro, penetrando entro la carne, giù nel fondo scuro dell'anima bianca che sbocciava di umida rosa, stilla di rugiada al mattino…
Ondeggiava la corolla avvolta dal sussulto agitato del vento che confonde e rivela…
S'apriva penetrata dai raggi più caldi.
S'aggrappava al vento, come lei s'era chiusa a lui, le dita impresse a graffiare la pelle…
Ondeggiava il fiore, sospinto dalla forza immobile dell'oscura rottura, intensa e dirompente…
Le mani strette accoglievano il respiro spezzato…
Sublimi i corpi che si amavano e si univano nel disincanto, nell'innocente materia oscura di vergine passato…
Il tempo scorse, buio e sanguinolento, disegnando sul pavimento distorti aloni del suo scorrere, sempre uguale eppure sempre diverso.
Il tempo riportò gli echi di perdute risate.
La dannazione di trarre da esse il dannato desiderio di vivere...
Attraversare il tempo e quella storia per tornare da lei e...
Salvarsi...
Mai André Grandier avrebbe avuto diritto o potere o volontà di salvare Oscar François de Jarjayes.
Ma lei...
Nonostante tutto, lei l'avrebbe salvato.
"Grandier!?" – Bonnard entrò nella cella.
Il respiro inalò metallico sentore di sangue!
André si tirò su a fatica.
Le vesti stracciate lasciavano intravedere i muscoli scolpiti da graffi e lividi, scuriti dal sole, fradici del sudore aspro della sconfitta.
L'istinto di un tempo avrebbe dettato di restare a terra, rifiutare sprezzante l'ordine ficcato nel cognome scandito con altrettanto sprezzo.
Ma poi...
Lento, inesorabile, straziante, lieve, fulgido...
Senza respiro...
Il dannato amore risorgeva dalle viscere, pulsava nelle tempie, inondava i polmoni, sferzava l'orgoglio...
Voleva...
Vivere...
Voleva...
Lei...
Oscar...
Lei...
La carne...
Il sesso...
Le labbra...
I morsi...
I sussurri...
Voleva...
Il dannato balzo là, nel buio della coscienza che vibra e sfugge a ogni comprensione...
"Grandier!" - il cognome ripetuto.
André rimase muto, le tempie battevano di dolore sordo, vigile per non rischiare di perdere una sillaba e ritrovarsi frustato per non aver compreso.
Bonnard gli girò attorno, due volte...
Che voleva quel dannato adesso...
"Vedo che hai cominciato a comprendere come funziona questo paese!".
Silenzio...
"Ti concedo di parlare!" – sibilò il carceriere avvicinandosi alla faccia – "E ti concedo pure di obiettare alle mie parole".
L'insidia...
Il dubbio...
Che voleva...
Un solo istante, un solo respiro di traverso, una sillaba recitata a canzonare il potere che l'altro gli sbatteva in faccia e sarebbe stata la fine.
Intuì d'essere stato addomesticato, non con la gentilezza e l'affetto che lui aveva riservato al piccolo falco, ma con il terrore e la vergogna che ora dopo ora gli venivano ficcati dentro i polmoni e nella testa e nelle ossa.
Era già accaduto.
Ma il dannato amore sferzava gl'intenti...
Voleva...
Vivere...
Ad ogni costo!
Bonnard fece un cenno.
La porticina s'aprì.
Comparve una giovane, forse poco più di una bambina, l'incarnato mulatto, lo sguardo vitreo, scuro, brace ormai spenta da tempo, pietrificata dalla miseria più fonda.
Un passo, quella avanzò, reggeva un catino con dell'acqua, stracci di stoffa, in un braccio, una camicia nell'altro.
"Dunque, m'hanno detto che sai leggere e scrivere..." – riprese Bonnard, andando a scostare con il frustino il bordo della camicia lacera, scivolando con la punta a sferzare la pelle – "Mi servirai a questo! Era da comprendere che se ti hanno tenuto vivo una ragione ci doveva essere! Sei prezioso! Sarebbe uno spreco ributtarti là fuori a finire sotto una grandinata di sassi. Datti una ripulita e...".
S'avvicinò Bonnard, sorrisetto viscido - "Divertiti!".
Lo sguardo appannato si sgranò, stavolta sarebbe stato impossibile restare in silenzio.
"No" – l'intercalare uscì netto – "Farò tutto ciò che volete ma non accetterò ciò che mi offrite".
Un respiro fondo...
Bonnard rise guardando la giovane muta, in disparte.
"Dunque rifiuti un mio dono? Lo sai che è scortesia vero?!".
"Sapete che so leggere e scrivere e non vi accorderei scortesie in quel che so fare. Ma è sufficiente".
"No!" – che Bonnard si piantò sulla faccia – "Non hai capito! Io ti voglio ripulito...e voglio che tu ti serva del dono che ti offro! La scortesia sarebbe grave! Talmente grave che se non lo farai tu...saranno altri a servirsene...".
Un passo oltre...
Il carceriere si parò davanti alla giovane.
Una sberla e quella ondeggiò come un giunco sferzato dalla tempesta...
André udì il colpo risuonare addosso all'altra, riverberarsi nelle viscere...
E' così che si addomestica un animale.
Facendo leva sul terrore...
E se un uomo non ha più paura per sé, basta trovare lo spunto per aver paura per qualcun altro.
Dio...
Vivere...
Voleva tornare a vivere...
Voleva tornare a scegliere...
Anche se non avesse mai più potuto amarla...
L'avrebbe cullata liberamente al petto...
L'avrebbe...
"Basta!" – si voltò, si mise nel mezzo, Bonnard che ghignava in faccia, la bambina che piangeva muta dietro di sé – "Uscite! Almeno...questo...".
Chiuse gli occhi, udì la risata atroce del secondino e poi lo schioccare della porta che si chiudeva con la stanzaccia che ripiombava in un silenzio insolitamente gelido, mentre udiva i passi nudi della giovane che si affaccendava per predisporre il rito di cui aveva avuto sentore.
"Devi andartene!" – masticò André amaro e un poco ingenuo.
L'altra intuì lo scarto nella voce, un respiro fondo, si girò verso l'uomo ch'era indietreggiato, andando a ficcare gli occhi allo scorcio di luna da fuori, in cielo, forse per tentare di trarre il coraggio di non cedere alla bieca follia.
L'anima scivolava giù, sempre più giù, nella melma che sommergeva il respiro...
La sentì alle spalle André, l'altra, mentre gli accarezzava la schiena e lui chiudeva gli occhi sormontati da invisibili lacrime, allargando le braccia, così che la stoffa lacera venisse scansata, raccolta dalle mani piccole e sconosciute che per caso avevano incrociato sul suo cammino.
Anche se è difficile ammettere che sia solo il destino a permettere d'incontrarsi.
Ogni voce, ogni sguardo incrociato hanno un senso, debbono in qualche modo recarlo, così da non rischiare di cedere alla follia dell'oscurità, alla pazzia del caos.
Ascoltò la stessa mano accarezzargli i muscoli.
Poi intuì il freddo del panno che mondava la pelle, le ferite brucianti a ogni passaggio.
D'istinto...
Si voltò.
Lo sguardo calò su quello della giovane che proseguì nella pulizia.
La bocca tremò un poco alla spasmodica ricerca del respiro, dell'appiglio, del pertugio temporale entro cui calare la maschera e rivelarsi per ciò che era.
Un uomo debole che per salvare la vita di un'altra persona, avrebbe compiuto su quella il rituale macabro e terrificante.
"Come ti chiami?" – chiese piano André, mentre l'indice scorse al mento della giovane, per sollevargli il viso – "Il tuo nome".
"Odile...".
"Odile...è...".
"Monsieur...mio padre era francese...fu mandato qui dalla Francia...".
"Quando?" – a stento sgusciò la domanda.
"Quindici anni fa".
Dio...
Vivere...
Vivere...
"Tu…".
"Io ne ho sedici…".
"Non posso..." – che abbracciò l'altra, stringendola a sé, quasi sollevandola, affondando la faccia nel profumo istoriato dei capelli un poco ricci, scuri – "Non potrò essere così pazzo".
"Mi uccideranno..." – disse piano la giovane che aveva compreso e s'era aggrappata anche lei alle braccia dell'uomo che l'abbracciava, in una stretta ch'era intensamente indulgente.
"Che cosa dovrei fare allora? Scegliere tra te e la tua morte? Come potrei...".
Negò Odile - "Non lo so monsieur. So che loro vogliono che siano i francesi a stare con noi. Francesi come voi, che hanno sangue reietto nelle vene. E non i nostri coetanei...".
"Ebbene..." – André parlò piano, la destra s'aprì a indicare il giaciglio, ove la luna stendeva il lieve respiro d'esiguo trapezio.
Si mosse piano André, baciando piano la guancia, scostando le lacrime, immaginando che la sua scelta avrebbe compromesso per sempre la vita di un'altra persona.
L'anima cadde giù, solo per un istante.
Sarebbe morto e probabilmente sarebbe morta anche quella bambina.
Sarebbe morto, di nuovo.
§§§
Un calcio alla porta...
André era già sveglio, si mise a sedere tentando di tenere dietro a sé Odile che ancora dormiva, assonnata del sonno della disperazione, vinta dal terrore di aver contraddetto l'ordine che le era stato impartito.
Giacere con l'uomo francese, così come accadeva a tante giovani del luogo.
"Alzati!" – l'ordine rovinò addosso.
André si mise in piedi, i muscoli intorpiditi dai colpi, la eco sinistra dei lividi a costellare la pelle, il respiro un poco sconnesso.
La guardia gli scrutò la faccia e poi fece altrettanto con la ragazza dietro a lui.
L'intuito dettò di colpire colui che dunque s'era ribellato di nuovo, che dunque nulla di ciò ch'era stato ordinato era stato fatto.
André si ritrovò in ginocchio, giusto il tempo d'avventarsi sul carceriere che aveva già compiuto il passo d'avventarsi sull'altra.
Tentò di spingerlo via, armeggiando con il coltellaccio che quello portava alla cinta, sfilando l'arma, ritraendosi e puntandogliela addosso.
"Sei un idiota!" – sputò il secondino riparandosi – "Non potrai restare sempre sveglio e quando crollerai...te la faranno pagare! A te e a lei...".
"Voglio parlare con il tuo superiore!".
Però poi…ho visto ch'è riuscita ad incontrarti!
Gliel'ho detto io ch'eri a Brest…anzi…pensavo ti avesse scorto nel vicolo e dunque sono rimasto sorpreso che non sapesse nulla di te!
Ma era lei ad essere la più sorpresa di tutti…anche se nel suo modo così silenzioso…mentre tu in effetti…mi hai detto che non l'avevi scorta…
Che Bonnard fece un passo dentro la cella, sputò a terra...
Ho confidato che non sapendo nulla su di te, lei fosse giunta a Brest per vedermi.
In effetti me l'ha confermato e questo mi ha stupito ed al tempo stesso...mademoiselle… un amico prezioso ma ancor più una donna intelligente e scaltra…dannatamente bella…
André si rialzò in piedi...
Le parole rimbombarono nella testa...
Quello che abbiamo fatto a te, lo faremo anche a lui!
...te la faranno pagare...a te e a lei...
"Dunque...".
"Signore...ho in animo di accettare d'aiutarvi" – respirò piano André mentre geometrie sorprendenti prendevano a dipanarsi nella testa – "In cambio..."
"Tu avresti in animo?!" - sputò Bonnard inviperito – "Non può dettare le regole!".
"Ebbene lo faccio ugualmente...voglio parlarvi da solo...".
"Ti separi da lei dunque!".
"Ciò che ho da dirvi ripagherà ampiamente il disonore d'aver rifiutato un vostro dono. O meglio...l'ho apprezzato...ma...in questo momento la fanciulla ha necessità d'essere educata".
Quasi si strozzò Bonnard, gli occhi sgranati, il frustino stretto tra le mani - "Che vai vaneggiando?".
André rimase zitto, attese che l'avversario comprendesse da sé.
Immagino tu sappia leggere e scrivere…
Si…direi discretamente…
Oh…credo molto più che discretamente…bene…ecco ciò che ho da dirti…mi servirebbe il tuo aiuto. Ho al mio seguito…una discreta somma di denaro destinata a finanziare le spese della spedizione…
Credo molto più che discreta...se deve servire davvero a finanziare una simile spedizione…
Si…hai colto nel segno! Si tratta di luigi in oro e argento e…doppi luigi…
Coniati a Parigi immagino…
Ne sono responsabile e mi occorre qualcuno di cui fidarmi per tenere il denaro controllato….
Serve qualcuno?! Non c'è nessuno al tuo seguito…capace di attendere a questa incombenza!?
Si…ma non intendo avvalermi di semplici gendarmi che tengano d'occhio le casse.
Dunque…quando ho letto il tuo nome nell'elenco dei soldati che si erano arruolati per partire…ho immaginato che avrei potuto proporti questo incarico…
Sei una persona intelligente ma capace di riconoscere i punti deboli dell'avversario…perché mi pare di comprendere che tu adesso mi consideri un avversario…
No…non intendevo…
Perdonami…avversario nel senso che so che questo incarico potrebbe metterti in cattiva luce presso i tuoi compagni!
Vivere...
Vivere...
Vivere...
"Monsieur..." – abbozzò André – "So leggere e scrivere. Sarà un onore assistervi nelle vostre incombenze. Immagino che il denaro frutto del lavoro qui nella colonia debba essere amministrato...".
"Che...vai..." – balbettò Bonnard stralunato – "Chi ti dice che io voglia affidarti ciò che si guadagna dalla colonia? A te...che sei stato condannato per essere un ladro?!".
"Nonostante io sia considerato un ladro, voi stesso siete stato molto generoso con me. Immagino abbiate a disposizione abbondanti risorse. Me ne avete reso un esempio proprio ieri. Dunque se vi aiutassi ad ottenere ciò che vi occorre...nella maniera più sicura possibile..."
Quando le ho rammentato la mia domanda…quella che le posi quattro anni fa…se lei si fosse mai sentita sola e se avrebbe accettato di trascorre tutta la vita in solitudine...all'epoca mi aveva risposto che non aveva tempo e modo di star lì a chiedersi se lo fosse.
Non si era mai sentita sola ed era felice per ciò che era la sua vita…quella di erede della famiglia Jarjayes…quella di un soldato…
E quando gliel'ho chiesto di nuovo…
Mi ha detto che non lo era. Non lo era adesso e non lo era allora. Ecco…il fatto dunque che lei sia arrivata fino a Brest…quando l'ho vista…ti ho già detto che l'ho trovata bella…converrai con me che mademoiselle…
Siamo stati bene…
Oscar era stata felice in passato.
Eppure a Brest, aveva confessato a Fersen che forse non lo era…
E poi?
Strinse i pugni Andrè.
Volò la mente...
André cadde giù, di nuovo, dentro di sé accanto a lei...
La quotidianità struggente d'un amore inciso come duttile intarsio entro i fugaci giorni d'inverno.
Intenso, sfuggente.
Troppo e troppo poco...
Dormire…
Svegliarsi…
Baciarsi…
Sorridere…
Baciarsi ancora…
Ridere…
Accarezzarsi…
Scoprire…
Mordere…
Voltarsi…
Scostarsi…
Camminare…
Ridere…
No!
L'hai uccisa!
Di nuovo…
Baciami!
In silenzio…
Che tu sia dannato!
Mentire…
Domandare…
Credere…
E non credere in nulla…
Come si può farti del male?
I pugni chiusi.
C'era il rischio di prendere a pugni il sorvegliante, solo per via che quello era di fronte a sé, solo per via che qualcuno doveva prendere a pugni, sennò sarebbe impazzito.
E tu...
Perchè le hai imposto di odiarti?
Allora come riparare al torto di amarla?
Come riparare al torto d'averla indotta ad amarti?
"Allora?" – chiese André parandosi davanti al carceriere interdetto, mentre le parole rimbombavano nella testa, parole mai pronunciate, parole che erano gesti incisi nelle mani, sotto le dita, impresse atroci nei pertugi ariosi della mente.
"So di quello di cui t'hanno accusato! Sei un ladro!".
"Si! E sono anche un disertore s'è per questo! E un assassino!" – attese, poi l'affondo – "E amo le donne!".
"Ma rifiuti il mio dono?!".
"Ho detto che amo le donne! Non le fanciulle!".
"Chi mi assicura che non mi tradirai?"
"Voi stesso!".
"Che intendi?".
"Io non tradirò voi, se voi mi assicurerete che questa giovane non subirà conseguenze. Che nessuno le farà del male. Mi servirò di lei quando lo riterrò opportuno".
"Tu non hai compreso molto di questa faccenda!" – ghignò l'uomo picchiando col frustino il palmo della mano – "Sei un prigioniero...come ti permetti di dettar legge? E poi dovresti sapere che se una giovane viene rifiutata...sarà sola...non sarà di nessuno e dunque sarà di tutti".
"Monsieur Bonnard! Questa giovane...è un vostro dono a me! Credo che un uomo abbia il diritto di fare di un dono ciò che desidera. Dunque voi permettereste che un vostro dono possa subire l'onta d'essere infangato da chiunque?! Non credete sarebbe un disonore anche per voi!?".
Monsieur Bonnard quasi si strozzò.
Il dialogo scadeva nel ridicolo e c'era di peggio ch'era stato lui a confezionarlo a quel modo e stava perdendo la battaglia.
Due parole...
Solo due parole e l'uomo sarebbe stato impiccato all'istante.
Due parole...
Solo due parole e quella giovane sarebbe stata portata nelle capanne dei condannati...
Sarebbe stata lasciata là.
Ammazzami!
Sembrava l'implorasse André, quell'altro…
Ammazzami!
Monsieur Bonnard non era il Re di Francia ma sapeva che il Re di Francia aveva potere assoluto di vita e di morte su tutti i suoi sudditi, soprattutto quelli più disperati che nessuno avrebbe mai avuto in animo di salvare.
Gli era rimbalzato spesso nella testa a Monsieur Bonnard quel concetto e dunque il guardiano si era messo d'impegno a veder se gli sarebbe riuscito di ritrovarsi tra le mani un qual certo potere che fosse assomigliato almeno un poco a quello assoluto, seppur esercitato lì, in una becera colonia penale in terra francese d'oltreoceano, e seppur abusato lì, sopra una manica di disperati che si sarebbero ritrovati a obbedire per forza.
In quel caso, l'esercizio della smania d'esser padroni della vita e della morte dei contraddittori ne era un aspetto, di quel potere.
Ma non c'era molta soddisfazione in tutto ciò, nel ricevere obbedienza senza alcuna fatica, se non a suon di frustate o violenze.
Dunque la sfida aveva preso forma nella testa.
Non sfidare ma farsi sfidare dal dannato disertore francese.
Tanto più, poi, che quello doveva esser prezioso, per esser stato spedito laggiù, anziché alla forca.
Un avanzo di galera che sapeva leggere e scrivere e che pareva capace di tener testa alla più fonda delle disperazioni.
Uno sbuffo...
"E sia..." – respirò magnanimo e tronfio Bonnard che in realtà, a pensarci bene, lasciare in vita qualcuno pareva recare in sé una ancor più sorda soddisfazione.
"Bene..." - ammiccò André, mentre il corpo come colpito da una frustata immaginaria, s'acquietava entro una sorta d'ancestrale stanchezza immensa invadeva le viscere.
"Datti una ripulita!" – sibilò Bonnard – "Poi vieni nella mia baracca...".
§§§
Si trattò di comprendere quale percentuale.
Si trattò di contrattare sul fatto che una percentuale eccessivamente alta avrebbe suscitato sospetti.
Si trattò di spiegare al nuovo padrone l'uso di un modesto taccuino, fogli cuciti alla ben e meglio da una sottile cordella, ove sarebbero state annotate le vendite sottobanco, i ricavi non dichiarati, i favori concessi ai sorveglianti che questi poi avrebbero dovuto restituire.
Un piccolo testo prezioso che il servo avrebbe custodito con cura e trattato con tutti i riguardi del caso, quasi egli fosse stato il ministro delle finanze di Sua Maestà Re Luigi XVI.
Si trattò di spiegare che pane senza muffa e acqua pulita e baracche dignitose avrebbero rinfrancato i condannati.
"Quelli non devono annusare la speranza di sopravvivere!" – sbottò Bonnard alle proposte – "Sarebbe...".
"Sarebbe molto vantaggioso invece!" – l'interruppe André un poco perfido e serafico, stirandosi sulla seggiola, mani dietro la testa – "Se si concede a un uomo la speranza...si ha in pugno la sua vita".
"Sei peggiore di quel che pensavo!" – sputò Bonnard ridendo – "Davvero un demonio. Mi domando perchè ti abbiano salvato la pelle in Francia!?".
"Perchè forse non sono poi così colpevole. Ma siccome un colpevole è sempre necessario trovarlo...hanno scelto me!".
"Avresti potuto professare la tua innocenza allora...perché finire quaggiù!?".
"Ho detto che forse non sono colpevole! Non ho detto di non esserlo senz'altro!".
"Ah! Non sarai colpevole!? Ma è impossibile spuntarla con te! Forse è davvero questa la tua colpa. Finisci sempre per avere ragione. E a qualcuno questo potrebbe non essere andato giù! Mi sa che tu hai rubato ben altro che l'oro del re di Francia! Hai rubato il senno...".
O forse qualcuno l'ha rubato a me!
Forse davvero sono io quello che ha perduto tutto, persino la ragione...
Forse davvero l'errore più terribile l'ho commesso io...
Dieci anni...
Resterò lontano da te dieci anni.
E ti ho imposto di vivere, di continuare a farlo...
Dieci anni...
Dio...
Che cosa ho fatto!?
E se...
§§§
Il moccolo della candela ondeggiò al passaggio di Odile che terminava di sistemare le bende pulite e la brocca colma d'acqua fresca.
La giovane si era seduta sul giaciglio, in attesa, mentre l'uomo seduto al tavolaccio, istoriava con delicata morbidezza i preziosi numeri. sul prezioso taccuino di Monsieur Bonnard.
Se n'era fatti consegnare due.
Casomai il primo si fosse esaurito.
Due taccuini...
"Non occorre che resti sveglia. Vai pure a dormire..." – disse André intingendo la penna nel piccolo calamaio.
"Vi aspetto...non vi ho ancora medicato...".
"Ormai non è più necessario. Sto bene. E non sei obbligata a farmi da domestica. Me la so cavare da solo".
"Non è un obbligo per me monsieur. E poi ho sentito quel che avete detto a Monsieur Bonnard…devo essere educata…mi insegnerete?".
La dolcezza del timbro colpiva i sensi.
Un respiro fondo...
"Educata?!" – André rammentò le parole di dubbio senso, usate solo per distogliere dall'altra il tedio e l'accidia dei carcerieri.
S'avvicinò, le mani alla faccia, le dita immerse nella massa di capelli lunghi e crespi.
Una carezza…
"Che potrei mai insegnati io che tu non sappia già!? Forse a compiacere un uomo…a lasciare che ti prenda e faccia di te ciò che vuole? Per questo non è necessario insegnarti nulla. Per questo basta un uomo che pretenda di usarti a suo piacimento, che non ti faccia alcuna domanda, che pensi a sé e metta se stesso al centro d'ogni gesto. Incontrerai tanti uomini che ti faranno credere d'essere utile solo per questo, mentre i tuoi pensieri, la tua rabbia e le tue lacrime non conteranno nulla".
"Monsieur…noi non possiamo…piangere".
"Ebbene devi imparare a piangere, devi imparare a gridare, devi imparare a lottare…è questo che dovresti fare…".
Salì l'impeto del disgusto che lui in fondo non l'aveva fatto, ma non l'aveva nemmeno permesso.
"E poi a provare noia e gioia…essere educati significa ascoltare quel che passa per la testa…".
"Non si può…".
"Si deve!".
"Sapete…" – che fu Odile a chiudere la testa dell'altro entro le mani, a lisciare la fronte – "Voi non siete come tutti gli altri".
"Oh…tu credi? Forse sono molto peggio. Di coloro che ti prendono a frustate si diffida…è inevitabile…".
"Voi non l'avete fatto…".
"Ecco…dunque non diffidi me…ma potrei anche farti del male…ne ho fatto in passato...".
"A chi…".
"Come…dovresti domandarti come…".
Odile non comprendeva - "Ebbene…no…siete diverso…siete come un angelo".
Sorrise André - "Forse non io. Ma ho conosciuto una persona che in fondo lo era. Inconsapevole d'esserlo certo. Pura della pura bellezza di chi non sa chi essere. Lei è davvero un angelo".
"Bello come voi?!".
Quasi rise André – "Di più!".
"Ed era come voi…come tutti gli angeli? Gli angeli non sono crudeli!".
"Devo correggerti. Questo vale per tutti gli angeli, senza eccezione alcuna. Ma c'è stato un tempo in cui un angelo si macchiò del Male estremo".
Odile si ritrasse, le mani nelle mani.
"Siete voi, quell'angelo?".
"Non lo so, non spetta a me dirlo. Non ho pretesa di giudicare le mie azioni. Ma potrei esserlo".
"No! Ve l'ho detto! Non avete accettato di stare con me".
"Non pensare che l'abbia fatto per averti riguardo" – stavolta la voce si contrasse.
André intuì che in fondo lui era come tutti, come tutti coloro che usavano il prossimo, per tedio, per necessità, per desiderio, per piacere.
Per un istante desiderò essere solo quello, l'Angelo Caduto, che quella era la sua condanna, per l'eternità.
"Ora dormi…".
Odile si stese – "Com'era quell'angelo…quell'altro?".
"Bellissimo…profumava di rosa bianca e fragole rosse".
"Fra-go-le?" – balbettò quella – "Che…parola è?".
"Non le conosci?".
Negò Odile.
"Mi spiace. Mi piacerebbe fartele assaggiare un giorno. Quell'angelo profumava di fragole e brillava di rosa al mattino".
"E le ali? Una volta ho veduto una immagine. Gli angli hanno le ali".
"Si…è vero. Le sue ali sono grandi e leggere, quasi abbaglianti! Così splendenti che nessun occhio umano può riuscire a scorgerle. E sai…nemmeno quell'angelo sa di averle…ma le sue ali si muovono con la grazia di un minuetto…".
"Che…un…minuet…" – si grattò la testa Odile, quell'uomo non lo capiva proprio quando palava – "Che strano angelo. E il suo nome? Come si chiama?".
"Il suo nome…non ha importanza. Il nome degli angeli non ha importanza…".
Un'altra carezza, Odile si rannicchiò nell'angolo più fondo del giaciglio, raggomitolata.
André tornò ai suoi conteggi.
La penna rimase sospesa mentre la mente ripiombava entro pertugi temporali ormai perduti nel tempo, quando i passi vagavano in cerca d'affetto, d'una qualche vicinanza, come la presenza di una giovane donna dentro la vita disperata di un uomo.
Disperata quanto?
Era stato allora che aveva compreso che gli uomini amano amarsi e vezzeggiarsi, e, come uomini, anelano a fuggire la solitudine, la dannata compagna di vita che lui si era ritrovato sempre accanto e da cui aveva tentato di fuggire solo una volta.
Sapeva che accadeva spesso.
Sapeva che non era importante come e con chi.
Monsieur Victor Girodel conosceva bene Parigi.
André Grandier lo aveva incrociato spesso.
E una volta, chissà se il Fato aveva gettato i dadi sapendo di mentire a entrambi, se l'era ritrovato seduto a un tavolaccio, A' Samedi prochine.
Rue Vivienne 23…
I sentieri della solitudine a Parigi erano in fondo sempre gli stessi.
Il buon Victor Girodel l'aveva riconosciuto, aveva attaccato a discorrere, dapprima sorpreso, un poco compassato poi via via sempre più disincantato.
Quella sera, un poco alticci, se n'erano usciti assieme e l'ufficiale gli aveva proposto di fare un tratto di strada in compagnia, vuoi mai che non si fidasse d'esser derubato entro le braccia della bizzosa e oscura Parigi.
Victor Girodel non aveva mai nascosto di amare le donne, più o meno tutte, che fossero puttane di strada o domestiche o contesse.
Ma l'aveva nascosto all'unica donna che lui avesse mai amato.
Il commiato con l'ufficiale era avvenuto davanti al portone di un edificio poco lontano, in una via un poco nascosta, un fazzoletto di terra curato di ortensie e petunie, e i piani che salivano su, tre per l'esattezza, da cui probabilmente si potevano scorgere i comignoli fumanti della città.
Victor Girodel l'aveva salutato e Andrè Grandier se n'era tornato a casa.
Forse era stato di mercoledì.
Si…l'acqua era calda fino ad un'ora fa poi…so che non giungete mai oltre un certo orario e so che non accade mai di mercoledì…".
Mercoledì…mercoledì…giorno infausto della settimana! Mercoledì…giorno di mercato!
Di mercoledì si vendono polli a Les Halles…
Forse era stato davvero di mercoledì.
E chissà forse era accaduto anche quel giorno, ch'era un mercoledì, che di solito non accadeva mai di mercoledì.
Era accaduto quella sera, in cui lei, vestita in alta uniforme, era scomparsa, inghiottita dai mille tagli di luce ove si specchiavano maschere di rigida invidia, trascinata all'Inferno d'un amore impossibile, non il proprio per Fersen, ma l'amore di Fersen per Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.
Ma solo perché impossibile, non significa che un amore non sia capace di sferzare i muscoli con la stessa diabolica solitudine d'un amore ripagato.
E fiori a Quai de L'Horloge!
E di notte…
Si vende amore…mon ami...come tutte le notti…
Come avrebbe potuto biasimare un uomo in cerca di amore?
Per fuggire la solitudine pura che annienta l'esistenza e induce a scovare un brandello di calore entro una qualsiasi pelle, entro una qualsiasi bocca!?
André vergò altri numeri sulla carta spessa e gialla.
Analoghi numeri ricalcati alla pari sul secondo taccuino.
Stessi numeri...
Stesse solitudini...
Replicate per ciascun uomo.
Tutte inesorabilmente pure, demoniache, fulgide e traditrici.
Rammentò quel mercoledì di tanti anni prima, quand'era finito entro i cunicoli caldi e odorosi a Le Grande Commun…*
Pars aedum regiarum officinis destinata…
Quasi venti minuti per percorrere il dedalo di corridoi e stanzette con camini, acquai, carrucole per il trasporto delle vivande, che per via dei dannati passaggi, giungevano sulle tavole quasi sempre fredde…
I passi s'erano appaiati al via vai era forsennato ma ordinato, ciascuno aveva il suo compito da svolgere, dall'ultimo servitore addetto a ripulire i piatti da schizzi e briciole prima d'esser serviti in tavola, agli addetti alla sistemazione di piumaggi e fiori, a decorazione delle pietanze che avrebbero suscitato lo stupore ed il plauso dei commensali.
Camerieri, sommelier, mastri cuochi e aiutanti degli aiutanti.
Conosceva quasi tutti, che quando lei svolgeva il servizio di guardia a lui era consentito girovagare per gli ambienti meno nobili della reggia ma particolarmente accoglienti.
Era il benvenuto, gli era accaduto allora di ritrovarsi corteggiato da qualche servetta o cameriera d'una qualche dama di compagnia.
Ci stava bene André in mezzo a scorte di carne affumicata, pollame spennato appeso a testa in giù, vasetti di miele ambrato oppure nero e tiepido come le notti di primavera senza luna.
Si godeva il riposo oppure le chiacchiere con i domestici intenti a farcire tacchini e lui a spiluccare il ripieno crudo dall'orlo bianco della ciotola.
L'ultima stanza in fondo al corridoio, una sorta di dispensa delegata a contenere vini pregiati, frutta, conserve e tutto quanto sarebbe stato necessario per abbellire le tavole dei commensali.
Un tripudio di piume e ricami misti a gelatine e porcellane…
Pareva tutto in disordine ma no, là sotto regnava un ordine quasi più ferreo di quello che dirigeva i gesti del Colonnello della Guardia Reale.
S'era sistemato s'un divanetto, in attesa di rivederla, lei, Oscar François de Jarjayes, che quella stessa sera aveva scelto d'accogliere tra le mani quel dannato amore impossibile, non il proprio per il Conte di Fersen, ma quello del Conte di Fersen per della donna più famosa della Francia.
La giovane Thérèse, l'aveva conosciuta ormai da qualche anno, s'era messa a rammendare canovacci, seduta accanto a lui, ma poi le domestiche erano accorse a bussare alla porta, tocchi frenetici, per avvertire d'uscire.
E la servetta aveva fatto un inchino, una mezza piroetta che André aveva riso, e se n'era fuggita via, richiamata dal dovere, le compagne avvertivano che un ospite importante, ch'era al ricevimento, aveva chiesto che gli venissero portati acqua e sali profumati e pane e uva e altro con cui trascorrere la serata con una certa dama.
André s'era ridisteso nel divanetto accanto al camino, immerso nei pensieri, certo che quella dama non potesse essere Oscar.
Che Sua Maestà la Regina Maria Antonietta in quel momento si dicesse stava danzando proprio con il Colonnello Jarjayes.
E l'ospite?
Che se quelle curiose l'avessero voluto vedere, almeno di spalle, per osservare quanto fosse bello, colui che si diceva fosse l'amante della regina, avrebbero dovuto spicciarsi e correre in fondo al corridoio, prima che il gentiluomo sparisse, inghiottito da chissà quali braccia e chissà fino a quale ora del mattino.
In cerca d'affetto, d'una qualche vicinanza, come la presenza di una giovane donna dentro la vita disperata di un uomo…
Disperata quanto?
Si, gli uomini amano amarsi e vezzeggiarsi, e, come uomini, anelano a fuggire la solitudine, la dannata compagna di vita che lui si era ritrovato sempre accanto e da cui aveva tentato di fuggire solo una volta.
Liquefatto sangue riempie le arcane cavità del cervello…
La materia s'inonda svilita dall'amplesso teso e compatto…
Nessuna moina, nessun docile corteggiamento…
Nelle tempie rimbombano echi distorti e sfatti…
Ritmato incedere a cui abbandonarsi…
Roco orgasmo che sale e mugugna nella gola, e rotea e affligge e torna indietro e non ne vuole sapere di corrompere i sensi, tutti, così da distogliere dalla rabbia…
Morire, allora, piano, un poco alla volta…
Assaporare la lenta discesa verso l'oblio…
Il nulla che avvolge e annienta…
La rabbia è davvero al limite…
La rabbia impedisce alla mente d'annegare…
Mani sapienti impongono carezze severe, dita avide s'appropriano con forza e delicatezza della carne, l'avvolgono, la lisciano, l'accarezzano, così come la bocca conduce a ridiscendere verso la resa, orientando i respiri, succhiando e stringendo, rubando rabbia e sollevando la dissoluzione del corpo…
L'orgasmo sale beffardo…
André s'immaginò che il Conte di Fersen, in quella stessa notte, avesse intuito d'amare alla follia la donna più famosa di Francia, Sua Maestà la regina Maria Antonietta.
Indotto non più dalla rabbia ma dalla visione dell'altra, algida e fredda, lontana, amica e confidente, depositaria dell'amore impossibile, irreprensibile ufficiale, le mani morbide e dolci inguantate e nascoste.
E di amare, forse ancora di più, quell'altra donna, quella che aveva preso su di sé le mani della prima.
André aveva chiuso gli occhi immaginando le sue mani...
Le sue mani…
Ecco…
Le sue mani avevano suscitato rabbia di nuovo…
Stavolta le afferri, le chiedi, le stringi…
L'accogli nella mente, la fermi, la preghi…
Supplica blasfema e rugginosa d'accoglierti…
Da lontano aveva udito la sinfonia dei violini, il cadenzato ritmare del minuetto...
Note lievi e suadenti. Lisce…
Quella sera lei aveva scelto di concedersi a una donna, la più importante di Francia…
E André, dannato, l'aveva spinta a farlo.
Tutto, pur che lei restasse sua, nel cuore e nella pelle.
Ed ora che lo è, che lo è davvero, hai deciso di mettere tra te e lei non più uno spazio immenso bensì un tempo infinito.
Dieci anni...
André soffiò sull'inchiostro.
L'alone vivo si fece via via più sbiadito finché non fu asciutto.
Era tempo di chiudere il manoscritto.
Un altro soffio a spegnere il moccolo.
Tutto cadde nell'oscurità ovattata di una luna nuova, un'altra luna ch'era sorta dopo le precedenti.
Si voltò scorgendo il profilo di Odile.
In fondo anche lei era un angelo.
Anche lei non sapeva d'avere le ali, nere e fulgide come la notte trapuntata di stelle.
La rassegnazione l'avrebbe condotto alla follia.
Un respiro fondo...
Dieci anni...
Chissà se Victoire era viva?
Chissà se Victor Girodel era riuscito a trovarla?
Oscar…
Chissà se mi amerai ancora?
* Le Grande Commun è un edificio situato sulla sinistra della reggia, al di fuori del corpo dell'edificio principale. Ospitava le cucine e i tavoli degli inservienti alla corte della Reggia di Versailles, oltre alle camere della servitù. L'edificio era organizzato attorno ad una corte interna.
Per via del tragitto e della distanza, la maggior parte delle pietanze giungevano alla reggia ormai fredde. Così alcune personalità più importanti si fecero costruire cucine personali, accanto ai propri appartamenti. Si ringraziano Madame Anna e Minaoscandre per "le dritte".
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