I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!

Stesa ai suoi piedi, calma e piena di gioia, Delfina la covava con occhi brucianti, come un forte animale che sorveglia la preda dopo averla segnata coi suoi denti.

Forte, superba bellezza inginocchiata dinanzi alla bellezza fragile, aspirava con voluttà il vino del trionfo, e s'allungava verso di lei come a cogliere un dolce ringraziamento. E cercava negli occhi della sua pallida vittima il muto cantico del piacere, quella gratitudine infinita e sublime che filtra dalle palpebre come un lungo sospiro.

Delfina e Ippolita

Charles Baudelaire

I fiori del male

Sì...

Sposami!

E' la cosa migliore a fare!

Mi conosci, non ti sono del tutto estraneo e penso – senza timore d'essere smentito – di non esserti indifferente.

Sei una donna retta...

Persino Sophie von Fersen, rammenti? Mi avrebbe detto d'essersi accorta che forse eri innamorata di suo fratello.

Victor Girodel osservò la propria effige allo specchio.

La superficie trasparente e lucida riportava il volto di un uomo che tratteneva a stento la pacatezza che l'aveva da sempre contraddistinto, fredda incuria verso i sentimenti, geometrica incisione dei sensi entro calcolati riflessi, e amplessi disegnati morbidamente, così da non scalfire o smentire il proverbiale distacco.

Oh, allora, ancora di più ti penso virtuosa e semplicemente pura, perché a quel che ho potuto osservare, mai l'ha illuso - quell'uomo - mai hai tentato d'avvicinarlo, né corrompere il suo animo a discapito di ciò che sente per un'alta donna.

E neppure, non ne dubito, mai avresti accettato d'essere avvicinata da lui, che a lui, poveretto, si deve rispetto, che nulla potrà ricevere in cambio del proprio amore.

Non difetti di bellezza e fascino...

Ma difetti di disonesta sensualità!

Victor Girodel era solo, intento a comporre l'immagine di sé, un velo di cipria appena accennato, una spazzolata ai capelli che aveva avuto in animo di lavare e che ricadevano sulle spalle, morbidi, intarsiando il volto entro compatte onde di sbiadito talco.

Victor Girodel non poté fare a meno di rammentare il volto di Lua Pietra Incandescente, il viso pulito, la pelle scura, lo sguardo selvaggio e arreso, l'odore aspro del corpo giovane e acerbo, seppure trafitto dal disgraziato destino,

Non sapevo che amare fosse così intensamente bello.

Per un istante il respiro dell'altra rimbombò nel petto e risorse a sbattere contro le tempie, aggrovigliando le viscere, nella consapevolezza di quel tempo in cui lui aveva scorto l'amore, soltanto dopo che quello gli era scivolato tra le dita.

Un amore imperfetto, puro…

Un amore impossibile da vivere…

Non lo sapevo, fino a quando mi è stato concesso di conoscerlo l'amore, e poi l'ho perduto.

Lua era morta.

Il viso bello, mai più corrotto dal tempo o sdegnosamente segnato da rughe o screzi del destino.

Lua era morta.

Il destino gli aveva tolto il peso di non poterla amare.

Ebbene non intendo far leva sulla sensualità ma sulla bellezza che si pone in gara con l'onestà.

Ad essa rivolgo la mia supplica!

I pensieri scorrevano veloci nella testa, rammentando la frammentazione di sé, disperso entro la faticosa lotta per avvicinarsi a Oscar François de Jarjayes, la quotidiana corsa contro la rigida educazione, la propria, impartitagli sin da bambino, curata entro pose fredde e distaccate, conversazione brillante ma non eccessivamente sguaiata, cura di sé, come delle amicizie, silenzi invocati dalla sobria attenzione al giusto pettegolezzo, scelto tra le tante amenità che sollazzavano la corte.

Sposami, manterrò segreto ciò che ha vigliaccamente sporcato il tuo animo, ciò che poteva condurti alla rovina, un'ignominia capace di distruggere per sempre ciò che sei, il rango abbruttito a mero orpello architettonico di friabile pietra.

Un respiro fondo...

La luce sfolgorava sbieca dalle ante appena dischiuse della finestra, i rumori ovattati dell'autunno che piegava la stagione entro riverberi tenui, battiti lenti, rumori attutiti da pietosi manti di foglie secche, pensieri stanchi di incontri lontani…

Invoco il tuo perdono, se dalla mia bocca usciranno offese alla tua vita.

Ne sono consapevole, ma lo invoco allora due volte, il tuo perdono, perché sono un uomo e gli uomini non sono puri e non sono esenti da colpe, la prima di esse, la follia di amare e compiere in nome dell'amore errori madornali e disastrosi.

Victor Girodel non poté fare a meno di rammentare il volto di André Grandier.

Eppure, lo ammetto, quasi lo comprendo!

Sì, comprendo quell'uomo e il suo amore per te!

Un uomo bello, ne convengo, che ha trovato la forza di fuggire da te, per resistere a quello stesso stesso Amore, per scacciarlo come fosse ignominia.

Lo compatisco, Amore non è mai ignominia.

Lo ammiro, perché sull'orlo del baratro della distruzione, si è ritrovato onesto e parimenti puro, e la ragione lo ha portato a rinsavire e a chinare il capo dinnanzi alla tua scelta.

Anche se ormai è un uomo libero, non ci sarà legge, carta, decreto o invenzione capace di mutare la sua stirpe, capace di rendere nobile il suo sangue impuro.

E…

Lo pensò davvero.

Non era poi così distante dall'immaginare ciò che avrebbe avuto pregio di attrarre una donna.

La purezza non esiste.

Nemmeno la perfezione.

Esiste l'imperfezione ed è proprio dall'essere imperfetti che deriva la purezza dell'essere veri, dell'essere puri e imperfetti.

Dell'imperfezione dell'Amore...

Dell'imperfezione della paura...

Dell'imperfezione del sacrificio...

Dell'imperfezione della resa e della sconfitta.

Dell'imperfezione dell'essere perfetti entro l'Amore imperfetto e l'imperfezione della sconfitta.

E Oscar François de Jarjayes era pura, della purezza dell'imperfezione...

Imperfetta come lo sono tutte le donne.

E se vuoi proprio saperlo...

Te lo concedo...

Le parole rotolavano nella testa.

Scelte con cura, poi scartate, poi riprese, senza timore d'esser volgari o insinuanti, bensì dirette e senza mezze allusioni.

Un uomo come quello ben potrebbe finire per soddisfarti certo ma non rischierebbe mai di distruggere il tuo sangue, mescolandolo al suo.

Tossicchiò Victor Girodel.

Era ciò che pensava davvero, sapeva bene che la gente del popolo non si faceva scrupolo d'accoppiarsi come più gli aggradava e con chiunque gli aggradasse, e così era per i nobili, seppure questi avrebbero avuto almeno il buon senso di tenere a bada rozze progenie bastarde.

Così era stato per Amalie Jenevieux...

Mescolare il sangue è peccato!

I nobili non si distinguono dai plebei per un motivo ipocrita o per superiorità d'animo ma per il dovere ultimo di procrastinare integra una stirpe orgogliosa del proprio sangue e della propria origine.

Victor Girodel si alzò andando alla finestra, i giardini erano inondati della luce gelida della stagione autunnale che spogliava alberi e regalava manti variopinti, coltri di struggente disarmonia, riflessi opachi di cielo entro specchi d'acqua ormai immobili.

E sia...

Pur di vederti sorridere, pur di vederti felice, sarei persino disposto a lasciarlo tornare al tuo sevizio!

Potrei anche chiederglielo.

In fondo l'ho giudicato male.

Si è fatto da parte...

Sono convinto che ti voglia bene al punto che darebbe la vita per te, anzi, me lo ha detto lui stesso che per te sarebbe disposto a morire, e allora se io non fossi con te, se io fossi lontano, sono certo che lui ti difenderebbe a costo della sua stessa esistenza.

Sono certo persino che se giacesse con te non oserebbe neppure sfiorarti!

Mai potrebbe farti del male...

Mai potrebbe rischiare di disperdere il tuo onore...

Una splendida vittoria, André Grandier!

Non hai vinto il corpo di una donna e neppure il suo cuore.

Hai conquistato la sua vita!

Sono convinto che lui diventerebbe il mio più fedele alleato, il mio guardiano...

Uno spietato cane da caccia...

S'aggiustò la cravatta Victor Girodel, un respiro fondo, l'indice e il pollice della mano destra andarono ad accarezzare l'anello che impreziosiva l'anulare sinistro.

Una sorta di pegno di fidanzamento, un simbolo che avrebbe contraddistinto la sua scelta, nonostante la sua futura moglie, Oscar François de Jarjayes, non aveva accettato di portarne uno identico.

E sia...

In fondo la tua purezza e la tua onestà valgono molto più di un banale cerchio di metallo.

§§§

La mattinata fredda volgeva all'ora del mezzogiorno.

Era in previsione, nell'ordine, una riunione degli ufficiali di stanza alla Compagnia A della Guardia Metropolitana, quella a presidio dei confini della reggia e poi, subito dopo, un sontuoso pranzo offerto da Monsieur Breteuil agli stessi ufficiali che si prodigavano a tenere in ordine Parigi e le sue mille teste di Medusa, di cui finora non si era riusciti a scovare l'infingardo corpo.

Medusa incantava il popolo, lo circuiva con menzogne ignobili sul re e sulla regina, erano stati loro a volere il processo contro le Cardinal di Rohan, il pitocco, la Comtesse de La Motte, una delle sue tante amanti, le Comte de La Motte, ormai fuggiasco in Inghilterra, e via via tutti i personaggi d'una sorta di farsa che poggiava l'ignobile trama sulla sparizione di una collana del valore di un milione e seicentomila livres.

Dalla sala ove si svolgeva il processo, alla Prigione della Bastiglia, ogni santo giorno, spuntava una nuova testa, che poi se ne andava in giro, a zonzo per la città, serpeggiando insidiosa e infingarda, imbucandosi nelle vie scure di Parigi, scomparendo per andare a costruire un nuovo nido, un nuovo fuoco capace d'incendiare gli animi e rivoltare le picche contro la famiglia reale.

Le congetture sulle gesta di ciascuno degli imputati…

I mestieri che svolgevano prima di incontrarsi…

Il cardinale, la contessa, l'alchimista, la prostituta…

Il boschetto…

La collana…

Le lettere con la firma contraffatta della Regina Maria Antonietta di Francia!

Che mai la regina s'era firmata così e allora la gente a Parigi si domandava che razza di regina fosse, una regina che non si firmava regina di Francia!?

Il processo volgeva alle battute finali. Tutti i documenti erano stati esaminati, tutti i testi ascoltati, tutte le prove acquisite, a carico e in difesa.

I giudici si apprestavano a prendere una decisione non prima di aver udito le parole di tutti gli imputati.

La Comtesse de La Motte aveva chiesto di parlare…

I giudici gliel'avevano concesso.

Certo, quelli erano in combutta con i parlamentari…

Tutto pur di gettare altro fango sui sovrani.

C'era dell'altro però.

Al termine dell'incontro con gli altri ufficiali, il Generale Claude Bouillé s'era avvicinato e si era congratulato con lui, che Augustin Reynier del Jarjayes per poco non s'era sentito mancare.

Per l'imminente matrimonio di vostra figlia... – aveva precisato l'altro.

Dannazione...

Jarjayes s'era ritrovato la gola arsa, la dannazione aveva chiuso la voce.

Che lui di figlie ne aveva sei...

E cinque le aveva già maritate tutte.

La sesta figlia, la più piccola...

Oscar...

Jarjayes non ne sapeva niente. Assurdo che non ne fosse stato informato lui, per primo, per ritrovarsi ad annuire ossequioso alle parole di altri che parevano certi della notizia.

Imbarazzate e irriguardoso, quando mai un padre s'ea ritrovato così, senza sapere, lui per primo, che la figlia avrebbe preso marito?

La benedizione…

Il consenso…

Le congratulazioni…

E chi sarebbe stato il marito poi?

Lui aveva chiaramente consentito unicamente a Monsieur Victor Clement de Girodel di frequentare senza permesso la propria casa, a desinare o a raccogliere le ultime ore del giorno in discrete passeggiate o chiacchiere al calar del sole.

Che Bouillé lo stesse prendendo per i fondelli!?

Eppure quello non era tipo da raccontare fandonie o rifilare congratulazioni se la novella non fosse fondata e certa.

Il Generale Augustin Reynier de Jarjayes fu uno dei primi a lasciare la Sala della Guardia, per raggiungere Madame Marguerite Georgette Jarjayes che l'attendeva, per presenziare al ricevimento, una volta tanto i coniugi Jarjayes sarebbero stati assieme, era raro vederli riuniti alla reggia.

Erano diversi giorni che non aveva veduto sua moglie, che Madame Jarjayes si era trattenuta a Versailles, ad accudire Sua Maestà dopo il parto.

Doveva trovarla, lei avrebbe saputo chiarire.

Scorse allo sguardo chiaro della moglie.

Nel marasma, nell'affollarsi di ordini, contrordini, verifiche a seguito di perquisizioni, perquisizioni a seguito di libelli sequestrati, sequestri di macchine per la stampa, arresti di stampatori clandestini e giornalisti che ormai si erano dati alla macchia per tenere all'erta le orecchie della Francia sugli sperperi che dilagavano alla corte del re, Jarjayes si sentì sollevato mentre si avvicinava a Marguerite che aveva scorto da lontano, attorniata da altre dame, mentre lei no, non l'aveva scorto, lo sguardo ansioso ad accertarsi che Sua Maestà la regina non finisse per restare soffocata dalla ressa di cortigiani che affollavano la grande Sala degli Specchi.

Pochi passi...

Madame Jarjayes era vicinissima ma Augustin sentì una mano appoggiarsi al braccio e stringersi ad esso, solo un poco, in una presa appena più languida di quella che gli avrebbe riservato la moglie.

Fece per voltarsi, sussultò scorrendo allo sguardo violaceo di Madame Aleksandra Roma Lemonde che gli sorrideva, accanto a sé.

Fece per ritrarsi, l'altra non lasciò la presa.

"Sarebbe disdicevole Augustin!" – sussurrò piano Roma – "Siamo d'accordo che hai compiuto anni fa la tua scelta. Non t'importunerò oltre, ma sarebbe bene che parlassimo. Non sfidare la sorte!".

Impietrito, Augustin Reynier de Jarjayes diede una scorsa rapida alla sala, intuì che l'attenzione di Marguerite era rivolta altrove.

"Non qui!" – rispose basso all'indirizzo della donna che a sua volta allargò la mano sinistra a condurre i passi verso un angolo meno affollato e più discreto.

§§§

"Perdonami…" – un respiro fondo, il foglio allungato così che l'interlocutore potesse comprendere.

Silenzio, Bernard Chatelet attendeva che l'altro comprendesse.

"Che c'è che non va?" – domandò André Grandier sovrappensiero e stanco, allungando a sua volta la mano ad afferrare il pezzo di carta. Anche quella notte, la notte precedente, aveva atteso, scostando le tende della finestra. Nemmeno sapeva più cosa.

Aveva atteso e basta, aveva atteso di veder scorrere nella testa le proprie infauste parole e nelle dita la pelle chiara di lei, la sua paura, il suo orgoglio ferito.

Il cuore sospeso aveva atteso.

Il tempo fermo delle ore buie s'era annidato davanti agli occhi

Il cuore disperso aveva sperato che l'Amore dell'altra sarebbe stato più forte del suo, che lui troppe volte aveva disprezzato il proprio e oramai non ci credeva più.

Il cuore dannato aveva sperato che Oscar François de Jarjayes non avrebbe avuto timore di amarlo, non quanto ne aveva avuto lui di amare lei.

Così, aveva osservato la stanza buia, inesorabilmente nera, dirimpetto alla propria casa, quella stanza ch'era stata per qualche tempo una sorta di porta verso il cielo.

Lì l'aveva incontrata, l'aveva rivista, l'aveva amata…

Nessun guizzo di luce, nessun bagliore, nessun segno che lei ci fosse più tornata.

Ne aveva avuto così paura, di quell'Amore assurdo e fondo, troppo fondo da spezzare il respiro, che si era immaginato davvero di compiere quel passo per il bene di lei, seppur stavolta la terribile consapevolezza di offenderla e distruggerla era stata nitida consigliera della propria decisione.

Ma neppure quella gli era valsa a farlo desistere.

Da allora la nostalgia s'era inspessita, mutandosi in compagna perpetua delle ore e dei giorni.

Il vuoto s'era allargato a dismisura e ogni istante era divenuto come suono d'una campana funebre, nell'ora del tramonto di un giorno speso invano, e che mai più sarebbe tornato, un ghigno cinico scorto nell'ombra scura della sera che avanzava inesorabile a rammentargli la sua pochezza d'animo.

Aveva detto che sarebbe morto per lei e invece di morire per lei, l'aveva uccisa.

Sì…

Perché se il tempo sfuggiva tra le dita…

Come un fulmine in una mattina di cielo sereno, era giunta, per le stesse vie tortuose in cui giungevano sempre le novelle buone e utili, così come quelle cattive e nere, quella strana voce, sgusciata da una cucina d'una casa nobiliare nei pressi di Saint Eustache - un edificio a lungo disabitato, confinante con alloggi occupati da religiosi - dove da qualche anno erano tornati a risuonare echi di domestici, cameriere, giardinieri, che si prodigavano a strappare mura e giardini al lento lavorio del tempo e dell'incuria che l'avevano trasformato in una sorta di antro cadente di muffa e grovigli di edera velenosa.

Dalla cucina la voce era corsa al carrettiere che riforniva di pane e farina la dispensa.

Dal carrettiere era corsa al fornaio, ch'era trasalito quando gli era stato detto d'essere stato scelto per una commissione importante, sfornare pane per un evento sorprendente.

Dal fornaio l'evento era finito in bella mostra, inchiostrato a dovere, sul resoconto dei prezzi del pane che settimanalmente erano pubblicati sui foglietti di notizie.

Le teste di Medusa in quel caso s'erano rabbonite e ne era saltata fuori la stramba asserzione che quando erano i nobili a maritarsi – questo era l'evento importante – ci guadagnavano anche i cristiani ch'erano chiamati a sfornare il pane da portare in tavola e poi coloro che si prodigavano a procurare fiori per abbellire le stanze e persino quelli capaci di cucire gli abiti per gli invitati.

Così che con quel che veniva pagato, ci si sarebbero sfamate intere famiglie.

Insomma, per fortuna che almeno i nobili si maritavano e non lesinavano di mangiar bene e…

Quale matrimonio?

Un evento ben assurdo, era corsa voce…

Qualcosa che persino a Santa Madre Chiesa avrebbe fatto orrore e che parimenti avrebbe impedito a un qualsiasi officiante di mettere un piede entro la disgraziata chiesa ove i due sposi avrebbero legato per sempre i propri destini.

Non ci si poteva maritare tra persone dello stesso sesso…

Ma poi era saltato fuori che il marito era il marito – e soprattutto era un uomo – mentre l'altro, quello che sarebbe diventato la moglie, era davvero una donna, anche se usava vestirsi come un uomo, sfoggiando persino abbaglianti mostrine sulle spalle.

Insomma non si comprendeva se il matrimonio era lo scandalo oppure lo si celebrava – il matrimonio - per evitare lo scandalo!

Dio…

André Grandier s'era sentito gelare il sangue.

L'aveva lasciata…

L'aveva rifiutata…

S'era immaginato che lei avrebbe sofferto…

S'era immaginato che sarebbe tornata alla sua vita eppure…

No…

Perché mai immaginarsela di nuovo prigioniera della sua gabbia dorata, ove lei sarebbe vissuta per sempre e sempre prigioniera?

Perché non immaginarsi invece che lei stessa avrebbe scelto di scostare da sé quella vita che lui stesso aveva giudicato sorprendente ma che non era altro che un fardello non più accettabile?

Perché non immaginarsi che Oscar François de Jarjayes avrebbe scelto da sé in quale gabbia rinchiudersi, anziché subire quella in cui lui stesso, in fondo abbandonandola, l'aveva lasciata rinchiusa?!

Oscar François de Jarjayes sarebbe andata in sposa al Tenente Victor Clement de Girodel!

"Come?!" – replicò Bernard Chatelet tornando a leggere il foglio, immaginando d'essere stato lui a sbagliare a trovare lo sbaglio, che no, lo sbaglio era lì, in bella mostra.

Si…una donna come te non si sposerebbe mai perché costretta da uno scandalo!

Non si sposerebbe mai se non per amore…dunque non potrei nemmeno se lo volessi io o te l'imponessero...

André non vide l'errore che l'amico giornalista gli aveva appena messo sotto il naso.

Non l'aveva neppure letto, non comprendeva più nulla da quando, come una scudisciata, la notizia del matrimonio gli era corsa addosso, lungo la schiena, che sulle prime non era riuscito neppure a crederci.

La voleva libera dunque, ma non al punto da rimettere la sua vita nelle sue stesse mani e nelle mani di un altro uomo che non fosse stato lui stesso?

Argo si avvicinò, sguardo contratto, indice alla riga incriminata - "Ecco, padre, vedete, questo è sbagliato".

André si contrasse, riprese il foglio in mano, scorse alla riga, al calcolo palesemente errato.

Una smorfia di stizza, la grafite afferrata in fretta, la correzione vergata altrettanto in fretta, in sprezzo di se stesso e di ciò che stava accadendo.

Era una ripicca?

Era un ripiego?

Era davvero ciò che lei desiderava?

Che fosse per causa sua…

Si maledisse…

Oscar era libera.

Eppure straziava il pensiero che lei non sarebbe più stata libera.

Pensieri erranti a graffiare il bene puro per lei.

"Senti" – Bernard Chatelet posò una mano sulla spalla dello scrivano – "Andiamo, qui oggi c'è poco da fare e tra poco quella contessa sarà ascoltata, renderà la sua difesa. Sarà interessante".

Argo s'impose…

Victoire, poco più in là, intenta a ricamare con delicati gessetti un abito disegnato su un foglio, sollevò la testa, scendendo dalla sedia, avvicinandosi, le mani giunte, a chiedere di poter andare con il padre e il fratello.

"Non è un luogo per voi" – si schermì André alzandosi.

"Vi prego, padre. Vorrei vedere che accade!" – s'impuntò Argo – "Mi piacerebbe diventare un giornalista, proprio come Bernard. E se non imparo adesso?".

"E perché io non potrei venire?" – rimbeccò Victoire pestifera – "E se volessi anch'io fare la giornalista!? Ormai so leggere, so scrivere, e sono anche capace di disegnare!".

Obiezione sensata…

Bernard allargò le braccia, la faccia pure s'allargò in un sorriso di compiacimento.

"E dovresti vedere che successo!" – ammise annuendo a Victoire e rivolgendosi al padre – "Vedi…una notizia accompagnata da una bella illustrazione che solletichi gli occhi di chi legge, che magari non s'è potuto recare nel luogo dove tutto l'affare è accaduto, fa molto più effetto! Victoire ha composto schizzi egregi di certe comari che si azzuffano al mercato, per accaparrarsi il posto migliore da cui arringare ai clienti…".

André rispose con uno sbuffo di disapprovazione.

I figli s'appropriarono l'uno della mano destra e l'altra della sinistra del padre.

Il giro di chiave spezzò definitivamente la fuga di pensieri errabondi che affollavano la testa.

"Sai…" – disse Bernard calcandosi il cappellaccio sulla testa – "Vorrei presentarti alcune mie conoscenze. E poi, da quello che mi hanno detto, Madame de La Motte ne sa parecchio della vita di Versailles. Dicono che fosse amica della regina".

"Mi sa che dicono…molte sciocchezze!" – abbozzò André poco convinto.

"E tu come faresti a sapere che non è così? Mi hai detto di aver frequentato la reggia ma che sono anni ormai che non ci metti piede. Eccetto, quando sei stato graziato dal re?!".

"So per certo che una simile donna a Versailles avrebbe potuto partecipare forse a uno o due ricevimenti ma nulla più. Dunque su quel che avrebbe architettato in accordo con la regina temo sia del tutto falso. Quel che si dice, e quel che dice lei, al pari, temo siano solo maldicenze per scrollarsi di dosso le responsabilità!".

"Allora anche tu credi che tutta questa faccenda sia solo fango per screditare la famiglia reale? Si dice che a corte si spendano cifre vertiginose per ricevimenti, balli, carrozze, vestiti e gioielli. Tu stesso fatichi a credere quando componi i tuoi conteggi! Secondo me quella somma, poco fa, l'hai sbagliata perché nemmeno tu volevi crederci! Dunque perché non dovrebbe essere vero che Sua Maestà si sarebbe voluta regalare una così costosa collana, facendosi scudo di un cardinale che voleva a tutti i costi riguadagnare i suoi favori, facendole da garante, e di una contessa sconosciuta come intermediario? Proprio come dici tu, una donna che mai avrebbe impensierito le dame e le favorite e che mai avrebbe potuto mettere piede a Versailles e che mai sarebbe potuta entrare nelle grazie della regina, dunque tutto orchestrato per distogliere da sé ogni sospetto? Sei sicuro che i tempi da allora siano rimasti sempre gli stessi?! Sei così sicuro che i sovrani siano del tutto estranei a una simile vicenda?".

"No…non sono più sicuro di nulla" – tagliò corto André impressionato dalla fila di parigini che assiepavano l'ingresso principale della sala del tribunale.

"Ah però, se fosse vera, la scena del boschetto sarebbe davvero esilarante! Ammesso che quella che s'è presentata al cardinale fosse una sosia della regina?! Ma se davvero fosse stata sua moglie…se fosse accaduto a me, se qualcuno avesse detto d'aver visto mia moglie regalare fiori a un uomo tanto disprezzato…io non sarei certo andato a mettere in piazza un simile gesto!" – sputò Bernard – "Il re invece ha voluto che l'onore della regina, infangato in un bosco, venisse lavato in una pubblica piazza, quando avrebbe ben avuto il potere di dirimere la questione attraverso una sua singola decisione".

"E dunque non credi sia andata davvero così!?" – ribatté André – "Non pensi che il re confidi a tal punto nell'innocenza di sua moglie e di contro nella colpevolezza del cardinale da aver rimesso il giudizio ad altri!?".

"Pensala come vuoi, essere troppo sicuri della propria innocenza alle volte non è prudente. L'hai detto tu stesso, nemmeno tu sei più sicuro di nulla!".

Una rosa...una rosa è una rosa, che essa fiorisca bianca o rossa...

Una rosa, non sarà mai un lillà...

Il cuore piombava il respiro…

I passi pesanti, lo scorrere inutile del tempo…

Che aveva fatto?

§§§

Nei pochi passi, Roma si concesse di lasciar scivolare la mano sotto il braccio dell'uomo, così che il quadretto si dipanasse lieve e languido, tutto sommato persino quotidiano, come quello di due perfetti aristocratici intenti a intavolare una discussione di scarso conto, forse sulle condizioni del tempo o la qualità del vino.

Jarjayes si liberò dalla presa, non appena lontano dal bieco rimbalzo delle immagini rispecchiate dalle superfici vitree della grande sala. L'avrebbe fatto subito ma essere scortese con una dama come Madame Aleksandra Roma Lemonde, moglie del Capitano Lemonde, appena insignito del grado di ammiraglio, non avrebbe giovato.

"Ti trovo invecchiato Augustin" – attaccò Roma maliziosa – "Oserei dire preoccupato! Vorresti mettere al corrente una tua vecchia amica delle tue preoccupazioni? O pensi che io non sia degna di recarti conforto, come farebbe la tua chiarissima e leggiadra moglie?!".

L'eloquio pesava, il paragone stupiva - "Non ti permettere…" - digrignò Jarjayes, trattenendo il respiro, prigioniero del rimbalzo di congetture che gli erano state gettate addosso.

"Ebbene, se non vuoi essere tu a parlare lo farò io. E lo farò in nome della nostra antica amicizia, perché quella, almeno da parte mia, non è mai venuta meno e spero anche per te".

"Roma…non intendo rivangare il passato".

"Nemmeno io infatti. La questione riguarda il presente. Tua figlia e il suo prossimo matrimonio con il Tenente Victor Girodel!".

Jarjayes finalmente abbassò gli occhi all'interlocutore.

Fino a quel momento aveva osservato il paesaggio, alla ricerca di una spiegazione.

L'accostamento dei nomi esplose nella testa, non tanto perché sorprendente, quanto perché lui non ne sapeva nulla.

Un'ignominia per Jarjayes aver appreso a quel modo della questione.

Era vero ch'era stato lui stesso a concedere al Tenente Girodel di frequentare la residenza dei Jarjayes, lui stesso aveva scelto Victor Girodel per affiancare Oscar, quando André se n'era andato…

Un matrimonio…

Una naturale evoluzione…

Ma che lui non ne fosse stato informato…

"Sai che giorno è oggi?" – riprese Roma, staccando lo sguardo dalle sbiadite aiuole di rose per andare al prato verde di erba appena falciata e profumata di antico.

"Che giorno è oggi?" - rispose soffocato Jarjayes che stava perdendo il filo. Non poteva dare ad intendere all'altra di non sapere nulla del matrimonio, eppure non comprendeva il senso del discorso – "E'…martedì…".

"No, intendevo se sapevi che oggi è il trenta di maggio e gli imputati de l'affaire du collier de la reine sono stati condotti dalla Bastiglia a la Conciergerie, per essere ascoltati dalla corte che poi deciderà sulla loro sorte. Madame de La Motte proclamerà la sua arringa finale, come principale artefice del furto di una collana e della truffa nei confronti di Monsieur Le Cardinale de Rohan e persino della famiglia reale".

Jarjayes implose…

Che diavolo c'entrava quella questione…

Roma tirò un respiro fondo - "Sai quali voci circolano su ciò che dirà quella donna? Ebbene, i discorsi dei difensori così come le parole stesse degli imputati si possono recuperare su certi libelli. Alle volte purtroppo si tratta di becere stampe clandestine che poi circolano in città. So che in questi mesi si è tentato di tutto per recuperarle, chissà se ciò che c'è scritto sopra è vero o falso?".

"Roma, per l'amor del cielo, dove vorresti arrivare?".

"Me ne sono procurati alcuni! Letture interessanti! Al di là degli aspetti processuali, degli scambi di accuse tra gli accusati e d'improbabili prove esaminate e rigettate o accolte, Madame de La Motte tra le righe avrebbe insinuato che Sua Maestà la Regina Maria Antonietta…".

Jarjayes trattenne il respiro questa volta…

Rumoreggiava la folla ch'era rimasta fuori, la sala ove si teneva il processo era gremita, impossibile ch'essa potesse contenere tutti quelli che volevano ascoltare le parole de la Comtesse de La Motte.

André sollevò lo sguardo mentre a fatica si faceva strada tra i parigini pigiati all'ingresso, seppur d'improvviso lui e Bernard si ritrovarono il passo aperto, come d'incanto, come se quelli di Parigi sapessero che nessuno di loro - ignobile plebaglia - sarebbe riuscito a guadagnare uno scranno destinato al pubblico, ma i due, ch'erano giornalisti, avrebbero ascoltato anche per loro, avrebbero scritto anche per loro, avrebbero riportato tutto così che tutti avrebbero saputo.

Fu costretto a issarsi sulle spalle la piccola Victoire, che quella rischiava di restare schiacciata.

Che la mocciosa, lassù in cima, si sentì quasi una regina, lo sguardo sgranato a scrutare gli scranni dei giudici, il banco ove sarebbe giunto l'imputato di turno, e poi quella sorta di platea frammentaria, variopinta, gente del popolo, borghesi arricchiti, gente di lettere…

"Louis!" – strillò a un certo punto, intuendo la figura dell'amico di un tempo – "Louis Antoine de Saint Just…Monsieur Le Crétin!".

André sussultò.

Argo corse a cercare il destinatario dell'appellativo, quando scorse un giovane saltar giù dalle gradinate e correr loro incontro, occhi sgranati e sorriso incredulo.

Victoire quasi volò giù dalle spalle del padre per ritrovarsi nelle braccia dell'altro, aggrappata a quello ch'era stato l'unico appiglio che le aveva consentito di sopravvivere, dopo che aveva perduto maman, dopo che aveva convenuto che forse maman avrebbe voluto che anche lei morisse, disgraziato frutto di un amore falso e inutile, ma poi lei era vissuta e allora vivere col dubbio non era stato facile.

S'abbracciarono i due.

Bernard allungò la destra a stringere quella del giovane che riuscì a tenersi addosso la mocciosa ormai cresciuta e a salutare l'uomo ch'evidentemente già conosceva.

"Louis…" – balbettò di nuovo Victoire – "Monsieur…".

"Bada! Siamo cresciuti adesso…" – rimproverò l'altro con un sorriso.

Argo tentava di seguire le parole, tentava di comprendere quale fosse il filo invisibile che legava Victoire e quel tale Louis…

La mocciosa scese giù, afferrò la mano di Saint Just e quella di Argo -"Lui è Argo…mio fratello!" – sentenziò – "E lui è Louis…Monsieur Le Crétin!".

Argo strinse la mano, il saluto impigliato nella gola mentre il giovane esibì un sorriso tirato, forse freddo, a scrutare quello che era fratello ma non lo era davvero.

"E questo è mio padre, quello che mi ha preso con sé!" – concluse Victoire scorrendo con gli occhi verso André che ricambiò con un cenno – "Rammenti?".

Tossicchiò Bernard, che metà delle presentazioni erano già bell'e che fatte - "Allora…André…ti presento…Monsieur Louis Antoine de Saint Just…e lassù…Monsieur Maximilian Robespierre…".

Lo sguardo corse agli scranni più su…

Lo sguardo scorse allo sguardo dell'uomo che osservava la corte che stava entrando.

Un cenno di saluto…

"Venite, sediamoci" – tossicchiò Saint Just prendendo Victoire per mano, che quella però si ritrovò l'altra mano stretta da quella di Argo e il corpo tirato in due direzioni diverse – "A breve entrerà la contessa!".

André trovò un pertugio ove sistemarsi.

Si voltò a osservare la folla. Era difficile scorgere nitidamente i volti, molti accalcati l'uno accanto all'altro, le comari con le facce rosse e gli occhi strabuzzanti, sudate dopo la fatica d'essersi fatte strada per essere lì, nelle prime file, gli uomini col ghigno di chi è riuscito a entrare e si frega le mani d'aver l'opportunità di raccontare la fortuna e l'arguzia.

Sì, c'erano i giornalisti, ma vuoi mettere veder con i propri occhi quella contessa che chissà che avrebbe svelato di quel mondo così lontano e oscuro qual era Versailles.

In realtà…

André intuì che stava tremando, seppur era pietrificato dall'averla rifiutata.

Dilaniava il proprio stesso disprezzo.

Implodeva il cuore…

Implose il respiro…

La scorse qualche fila più su, seduta accanto a Rosalie Lamorlière.

"Sì" – s'avvicinò Bernard – "Anche Rosalie è qui, e pensa che anziché venire con il sottoscritto, suo marito, ha chiesto che fosse lei ad accompagnarla".

Lei…

André inflisse a se stesso lo strazio d'averla scorta, da lontano, i pugni stretti al niente…

Un matrimonio…

Una naturale evoluzione…

Ma che lui non ne fosse stato informato…

"Oscar…" – disse piano.

"Sì, Rosalie le si è affezionata. Insomma, le ha chiesto se poteva essere qui".

"Perché?" – chiese André, non tanto a Bernard, quanto a se stesso – "Perché sei qui…".

"Ecco…" – spiegò Bernard per quel che avrebbe potuto rispondere, che non è che avesse inteso la domanda – "Rosalie è cresciuta assieme a Jeanne de la Motte…".

André fu costretto a voltarsi, incredulo.

"Me lo ha confessato qualche settimana fa. La madre di Jeanne accolse in casa Rosalie appena venuta al mondo. Sono come sorelle, ma in realtà hanno genitori diversi. Tuttavia ora mia moglie è affranta per ciò che sta accadendo, si vergogna di ciò di cui è accusata Jeanne. Teme per lei ma al tempo stesso che un fondo di verità ci sia, in ciò di cui è accusata Jeanne de la Motte. E così, ha rivelato al Colonnello Oscar François de Jarjayes che la contessa è sua sorella. Non c'era un vero motivo ma le ha chiesto di averla accanto in questa strana situazione".

Sì…

Poteva essere una ragione…

Oscar era lì adesso, e qualsiasi fosse la ragione…

I passi solitari improvvisamente rimbombarono nella testa, le braccia e le gambe divennero pesanti.

Intuiva la macabra discesa dentro di lei, il richiamo inevitabile, il dissidio interiore vissuto nei giorni in cui lei era stata lontana, tra il desiderio di non aver mai voluto amarla, e l'istinto di non avere scampo da quell'Amore.

Si disse che cedere all'istinto era tipico degli animali e che l'uomo aveva la ragione dalla sua, capace di governare e sottomettere anche l'Amore.

Ma poi quello pareva tessere i sensi della sua stessa essenza e mutava effige, diventava rosa e poi edera e poi cielo e poi neve e poi…

Fu costretto a distogliere lo sguardo.

"Rosalie sarebbe sorella di Jeanne de la Motte" – accennò incerto.

"Rosalie è stata abbandonata ed è stata cresciuta dalla madre di Jeanne, lei la considera sua sorella ma sono molto diverse".

La mano s'allungò a sfiorare la mano dell'altra.

Rosalie si concesse di ascoltare quell'accenno di vicinanza e Oscar non si mosse, ritrovandosi in balia del vuoto, da che aveva scorto, poco più giù negli scranni, André, accanto a Bernard e a quello ch'era diventato in poco tempo uno degli avvocati più famosi della Francia, Maximilian de Robespierre, soprannominato l'avvocato dei poveri, di quelli che non avevano voce, di quelli che non avevano niente.

Contro i potenti, i benestanti e soprattutto contro i nobili.

Il silenzio piombò sulla sala.

Il segretario addetto scandì in nome de la Comtesse Jeanne de la Motte.

La donna, agghindata in un sobrio abito liscio, scuro e senza orpelli, fece il suo ingresso, l'incedere lento, quasi studiato, come quello di un'attrice che sa che è giunto il suo momento e procede a concentrarsi per recitare al meglio la parte che le è stata assegnata.

Il ruolo di una ladra, di una truffatrice…

Un pessimo ruolo, da recitare dunque con ancor più abile maestria.

Un ruolo che le si addiceva, ma dal quale non voleva restare schiacciata, dunque la bravura sarebbe consistita proprio in quello, entrare nella grande aula come una ladra e uscirne come tale, ma solo dopo aver squassato la già fragile effige dei suoi più acerrimi accusatori.

Si strinsero le mani e Oscar fu costretta a tornare alla scena che si apriva davanti allo sguardo

Un sorriso appena accennato...

Un respiro fondo…

Madame Roma tornò a osservare il panorama dei giardini scintillanti di luce, tutto apparentemente calmo e lontano dalla vita imperiosa e puzzolente di Parigi.

La mano sapientemente ed elegantemente portata alla bocca a trattenere una risata più accesa - "Ebbene mio caro Augustin, devi sapere che conosco la Comtesse Jeanne de la Motte. Sono andata a farle visita un paio di volte, alla Bastiglia. E' una cara persona, la penso innocente. Tuttavia, se anche non lo fosse, temo che il raggiro sia stato più grande di lei e che lei non sia stata in grado di avvedersi del pericolo".

"Parla!" – che Jarjayes non comprendeva più nulla e afferrò l'altra per le braccia, scuotendola un poco per toglierle di dosso quell'aura amichevole, quell'afflato di saggezza che non riusciva a mascherare il rancore e la rabbia e forse l'invidia per ciò che era accaduto alla sua vita.

Lui aveva rifiutato di sposare Roma e l'altra si era ritrovata senza nulla.

Senza l'amore della sua vita, senza figli. Ma soprattutto a stringere tra le dita un rifiuto che lei non aveva pianificato e che forse non aveva mai accettato.

Inammissibile che lei ne fosse stata destinataria ma non l'avesse deciso a sua volta.

Roma non si scompose e attese.

La coda dell'occhio intuì l'ingresso alla grande terrazza di Madame Jarjayes che aveva veduto il marito in lontananza.

Un respiro fondo - "Ebbene…".

"Silenzio! Silenzio!" – il Primo Presidente del Tribunale ruggì alla platea imponendo di tacere, che ogni semplice gesto de la Comtesse de la Motte era fonte di bisbigli e borbottii e chiose e commenti – "Ditemi…un'altra volta…Jeanne de la Motte…".*

"La risposta è sempre la stessa!" – lo prevenne l'altra, sfrontata – "Non so più quante volte me l'avete chiesto!".

Silenzio…

Sorriso sicuro…

La voce risuonò spavalda nella sala…

"E' il cardinale che ha rubato la collana, io ho semplicemente seguito gli ordini!".

"State dicendo che non sapete dove si trova la collana ora?".

"Il cardinale potrebbe averla portata in qualche luogo sicuro".

Gli spettatori – che quello era davvero un palcoscenico e chi seguiva le battute era spettatore – pendevano dalle labbra di Jeanne de La Motte.

Unico screzio al silenzio, il rantolo di sofferente disappunto del gentile cardinale che assisteva alla deposizione, e al fango, altro fango, gettato su di lui, mentre la prima attrice era talmente sicura di sé che, sdegnata, s'era voltata a rimproverarlo, l'altro, dicendo di fare silenzio, ch'era lei che aveva diritto di parlare adesso, rammentandogli dove si trovava.

In Tribunale!

"Allora, s'è stato il Cardinale di Rohan a ordinarvi di fare qualcosa, cosa potete dirci sulle lettere con la firma contraffatta della regina?" – rimbeccò il giudice imparruccato – "Non avete forse assunto il qui presente Retaux de Villette, un falsario di Parigi, perché le scrivesse!? Retaux ha già confessato!".

La sapiente occhiata di stupore mista a disgusto calò sulla faccia del falsario sulle spine - "Oh…non ho mai visto quest'uomo prima d'ora!".

Retaux de Villette s'afflosciò come un sacco ormai vuoto e inservibile.

"Così voi affermate di non sapere nulla!?".

Di nuovo il silenzio…

Di nuovo gesti sobri ma nervosi a scostare i capelli sciolti che oscuravano il viso per un istante reclinato a terra, quasi a cercare una via d'uscita, un pertugio ove nascondersi e trovare un insperato appiglio per uscire vincente da quell'affare.

Rosalie stavolta l'afferrò davvero la mano di Oscar, e Oscar ascoltò il lento incedere della sconfitta che s'allargava di fronte allo spazio occupato dal corpo magro di Jeanne de la Motte.

Come una voragine…

Ne conosceva bene il rumore sinistro, come catene che risuonano entro il freddo di una cella ammuffita e nera, imprigionando corpo e anima.

Non permetterò a nessuno di giudicarmi, se non Dio stesso…

Nella frenetica ricerca di un appiglio, Jeanne de la Motte divenne per qualche istante spettatrice, a sua volta, dello spettacolo.

Tale Mademoiselle Nicole d'Oliva fece il suo ingesso, scortata dai gendarmi.

La Comtesse Jeanne de la Motte si ritrovò innanzi la giovane donna che si diceva avesse impersonato Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, condotta nel bosco di Venere, ove il Cardinale di Rohan aveva ricevuto da lei una rosa, pegno di fiducia e di stima, con cui condurlo sul baratro dell'inganno e poi indurlo giù nella voragine della truffa.

La giovane si avvicinò incerta, il passo un poco insicuro, mentre l'incredulità degli spettatori s'allargava a domandarsi chi fosse la giovane che davvero somigliava a sua maestà, ma non poteva essere la regina e…

"Nicole d'Oliva…" – chiese il primo Presidente – "E' questa la donna che vi condusse nel Bosco di Venere e vi disse di impersonare la regina?".

Silenzio…

Il confronto subitaneo e definitivo, le mani sul volto della contessa, che la giovane Nicole era cieca ma rammentava d'aver sfiorato i lineamenti, anche se solo una volta.

"Non ho dubbi, è lei, è Jeanne de la Motte".

Tutto si perse nelle parole gracili della popolana stracciona…

La Comtesse Jeanne de la Motte intuì lo sfregio profondo che incrinava la difesa, semplice e lineare.

Mentire, mentire sempre, ad ogni costo…

"Touché".

La rappresentazione volgeva al termine…

"Abbiamo parlato dei bei tempi alla Reggia di Versailles. Sapevi vero, mio caro Augustin, che Jeanne de la Motte è sposata con le Comte de la Motte che è stato al servizio di tua figlia? Era nella Guardia Reale fino a qualche tempo fa. Ebbene, Jeanne mi ha chiesto conto di una certa diceria che lei stessa aveva appreso da suo marito, ossia che il suo superiore fosse in realtà una donna! Che vuoi farci!?".

Un sospiro…

Madame Roma tornò con lo sguardo al giovane un tempo amato, ch'era divenuto in quegli stessi anni un uomo affermato e famoso alla corte di Versailles, un generale stimato dal re in carica così come dal suo predecessore, un nobile arguto ma folle al punto d'aver messo il nome di un maschio alla sua ultima figlia femmina.

Certe scelte si pagano…

Lo sguardo di Roma contestava a Jarjayes la follia di quella scelta, che però in fondo a tutti i ragionamenti, risiedeva nel fallimento di una moglie tanto amata, che non era stata così abile da regalare al casato dei Jarjayes un erede maschio.

Quella figlia era stata cresciuta come un maschio, educata come un maschio…

Ma era una donna.

"Che hai fatto?" – chiese Jarjayes, un filo di voce…

Un conto era che Oscar fosse a tutti gli effetti l'erede della famiglia Jarjayes, un colonnello, un abile ufficiale…

Un conto era che…

Era tutto inutile, tutto perduto…

"Bene Jeanne de la Motte!" – riprese il Primo Presidente del Tribunale – "Volete dirmi perché avete travestito quella giovane donna di Parigi come fosse la regina e l'avete portata nel Giardino di Venere?"

"Ecco…".

"Rispondete! Più mentirete e più dura sarà la vostra condanna!".

"Va bene, vostro onore, vi dirò tutto".

Silenzio…

Le battute finali…

Tutto inutile, tutto perduto, a quel punto tutto sarebbe servito pur di allontanare da sé lo spettro della verità, oppure servirsi della menzogna per infangare la verità.

A Jeanne de la Motte sarebbe bastato quello.

Madame Aleksandra Roma le aveva promesso il suo aiuto, in caso di disfatta.

In cambio di un piccolo favore…

Dire la verità, la pura e semplice verità…

"Mi spiace davvero di aver creato al Cardinale di Rohan così tanti problemi" – esordì Jeanne de la Motte piano, che Rohan sussultò muto, d'improvviso ritrovandosi libero dalla pesante e ingenerosa catena della colpa – "Il cardinale è stato raggirato da mio marito e da me, ma questo è accaduto perché mi è stato chiesto da qualcuno rispetto al quale il Cardinale Rohan si colloca molto più in basso. Non abbiamo avuto scelta, abbiamo dovuto agire così. Qualcuno voleva la collana a qualsiasi costo, qualcuno perfettamente in grado di indossare una collana da un milione e seicentomila livres!".

Silenzio…

"La Regina di Francia! Sua Maestà la Regina Maria Antonietta!".

"Jeanne de la Motte!" – che tuonò il giudice di fronte all'inarrestabile arroganza dell'imputata che pareva arretrare e arrendersi e poi no, sferrava un'invettiva ancora peggiore della precedente – "Sua Maestà ha detto di non sapere chi siete e di non sapere nulla della collana! E' per questo che ha chiesto questo processo! Lo capite? Basta con queste bugie! Se continuerete a fare accuse che non hanno alcuna prova, applicherò al disprezzo della corte il disprezzo della famiglia reale!".

Logica inoppugnabile…

Negare, negare sempre…

"Forse la Regina pensava di finire in una brutta situazione ora che il gioielliere sta facendo un gran clamore, così ha chiesto questo processo per gettare la colpa su di me…".

Negare e insinuare il dubbio…

Sarebbe stato sufficiente…

"Datemi le prove per prima cosa!" – obiettò insensatamente il giudice imparruccato, commettendo così il madornale errore di lasciare campo libero a una truffatrice

Il dubbio è come un tarlo che distrugge tutto, dall'interno, minando la reputazione che degrada in materia ormai fradicia e svuotata del suo nerbo.

"Ho saputo che Sua Maestà ha bruciato il conto del gioielliere Boehmer. Questo perché Sua Maestà ha cercato di distruggere la prova. Non pensate possa essere così, Signor Presidente?".

Medusa sgranò lo sguardo…

Le teste squamate presero ad agitarsi…

"Giusto! Se fosse stata innocente non avrebbe bruciato il conto!".

"L'ha presa la regina!".

"La regina ha la collana!".

"La vera sospettata è quell'Austriaca!".

"Il pitocco non c'entra!".

"La regina! E' lei la colpevole!".

"Silenzio…il pubblico resti in silenzio!" – s'agitò il giudice consapevole che il fango saliva, ma incerto se decidere d'arginarlo o lasciarlo divenire putrida palude – "Se udirò altri schiamazzi ordinerò di lasciare l'aula! Madame de la Motte, la regina dice di non avervi mai visto, voi dite che starebbe mentendo?".

"E' corretto!".

"Allora spiegate la vostra relazione con la regina così la corte potrà convincersi…".

"Sì…Sua Maestà…mi ama…signore…".

Il silenzio piombò nell'incredulità.

Inaudito…

Il dubbio atroce…

"Voglio dire, in modo lesbico. La verità è…Sua Maestà è attratta dalle donne e io ero la sua amante".

Non si scompose il giudice che era pur sempre un membro del Palamento.

S'intuiva la crepa nell'affermazione…

S'intuiva il fango…

Ma anziché interrompere lo scempio, ammonire l'imputata, metterla a tacere per il buon nome della sovrana e della famiglia reale…

"Non ho mai udito nulla del genere, prima d'ora, avete qualche motivo per affermare tutto ciò, Madame de la Motte?".

Il dubbio è tale, basta che resti dubbio.

Il dubbio è come un tarlo che affonda la nave, divorandola dalle viscere…

"Sì, Signor Presidente, voi dovreste già sapere che la favorita di Sua Maestà è la famosa Madame de Polignac" – confermò gelida Jeanne de la Motte – "Al momento ella è molto cara alla regina. Ma la prova più evidente è il Colonnello della Guardia Reale, Oscar François de Jarjayes!".

Il cuore implose…

André s'impietrì, s'impose di non voltarsi, di non cercare l'altra, così che nessuno sapesse che il Colonnello Oscar François de Jarjayes era lì, in quell'aula.

Dio…

L'aveva lasciata, l'aveva rifiutata…

E lei aveva accettato di sposare Victor Girodel…

"E' l'ufficiale superiore di mio marito Nicolas" – spiegò Jeanne de la Motte, mantenendosi saldamente appoggiata al banco degli imputati, memore delle parole rivelate da Madame Aleksandra Roma – "E nonostante indossi abiti maschili, è una donna autentica! Sua Maestà ha fatto vestire la sua amante come un uomo e l'ha tenuta accanto a sé come compagna di giochi".

André strinse i pugni, chiuse gli occhi.

"Sua Maestà Maria Antonietta è una grande regina!" – gridò Jeanne de la Motte – "Monopolizza tutto il lusso e i piaceri del mondo!".

La mano si slacciò dalla presa e corse all'elsa…

Rosalie trattenne il fiato e corse con lo sguardo a colei che aveva accanto, implorando di fermarsi…

"Vi chiedo perdono" – balbettò quasi sul punto di svenire dalla vergogna…

Cagna…

André si voltò a quel punto, correndo con lo sguardo verso Oscar, immaginando la furia rabbiosa per le parole ignobili che gettavano fango non tanto e solo su di lei, ma sulla regina soprattutto…

"Signor Presidente della Corte, io sono stata un burattino!" – gridò Jeanne de la Motte, come invasata – "Giudicate la regina prima di giudicare me! Processate la regina!".

L'ultima vendetta…

L'ultima arringa…

L'ultimo favore…

L'ultimo grido in mezzo agli spettatori che si alzavano…

Nessun applauso, che però le mani stringevano l'aria di rabbia e le bocche prendevano ad articolare un grido feroce e muto capace di sgretolare definitivamente la fama della regina civettuola e lesbica, inneggiando di contro alla contessa Jeanne de La Motte che aveva scoperto la disgustosa trama, rivelandola al mondo.

Era Jeanne de la Motte la nuova eroina della Francia!

"Glabri histriones!" – sussurrò atterrito Gustav Dumas, a lato alla porta d'ingresso della grande sala, all'indirizzo di Dante Renard, occhi sgranati all'udire la chiosa finale.

"Porca miseria!" – sbottò quello che non credeva alle parole, che pure sollecitavano le più bieche fantasie, che quelli col damerino ci avevano avuto a che fare – "La regina di Francia avrebbe per amanti delle donne e quella donna che abbiamo conosciuto…sarebbe una delle amanti della regina!?".

Alain Soisson, ch'era parimenti di guardia, gridò ai compari di lasciar perdere e sbrigarsi…

La sala s'era sollevata, tutti in piedi ad applaudire la scena finale della grande rappresentazione.

Ne avrebbe avuto il Primo Presidente a richiamare tutti all'ordine, che alla fine fu costretto a far allontanare dall'aula gli imputati, i difensori, e a sciogliere la corte.

André scattò in piedi, voltandosi, correndo su fin ove era seduta lei, ch'era rimasta ferma, immobile, impietrita, incapace di adeguarsi alla portata della menzogna, all'abisso di fango ove stava affondando.

Non solo lei stessa, ma soprattutto la Regina di Francia.

Oscar François de Jarjayes era una donna.

Una donna vestita da uomo…

Dio…

Doveva restare in quella gabbia…

"Oscar!" – André non lo gridò, quel nome…

Per un soffio…

Tentò d'afferrarla per un braccio mentre Rosalie accanto piangeva e Bernard trascinava via sua moglie dal putiferio.

"Perdonatela!" – singhiozzava quella – "Perdonate mia sorella! Io, non lo sapevo che sarebbe arrivata a tanto!".

"Taci!" – la rimproverò Bernard.

"No!" – tentò di ribellarsi Rosalie – "Dovete sapere! Me l'aveva chiesto, mi aveva chiesto chi eravate…in prigione. Io ho negato, non le ho detto niente! Ma non so come…alla fine l'ha saputo!".

Tutti in realtà sapevano chi era Oscar François de Jarjayes.

Ma nessuno s'era mai ingegnato al punto da usare chi fosse, per gettare fango sulla regina.

Per un soffio André mancò la presa…

Oscar si alzò, scansandosi, il disgusto mozzava il respiro.

Le teste di Medusa avevano preso a strisciare veloci, sfuggendo dalle spesse mura della Conciergerie, per inabissarsi giù, nel fondo delle straducole più zozze di Parigi, nei vicoli, nelle taverne, entro le alcove più malfamate, che però allora non lo erano poi più così tanto, perché s'era vero che persino la regina amava divertirsi con sue pari, travestite da ufficiali, allora non s'era poi peggiori ad osare altrettanto.

"La Regina di Francia ha delle amanti! E nemmeno sono uomini! Che scandalo!".

"Una di quelle si veste in uniforme! Inaudito!".

"Dunque non è per proteggere la regina ma per sollazzarsi con lei?!".

"Sapete…".

"Dite messere?".

"Sapete che c'è stato un ricevimento qualche tempo fa e pare che davvero quell'ufficiale vi abbia partecipato! Ed appunto era vestito da donna!".

"Ma allora è un uomo o una donna?".

Un matrimonio…

Una naturale evoluzione…

Àncora di salvezza…

Per debellare ogni diceria, riportando l'ordine, là dove il Generale Jarjayes, per primo, aveva sovvertito leggi, mescolato generi e stoffe, piombando la figlia e la regina di Francia entro dicerie immonde e vergognose.

Si sollevò il caos.

Argo Grandier e Monsieur Louis Antoine de Saint Just si presero addosso la piccola Victoire, facendosi strada per portarla fuori, mentre i soldati entravano per disperdere tutti quelli che adesso maledicevano l'austriaca, i suoi gioielli, i suoi vestiti, la sua lussuria e la sua depravazione e al contempo inneggiavano al burattino Jeanne de la Motte che aveva avuto il coraggio di svelare il fango in cui nuotavano i dannati nobili.

Oscar si alzò, un ultimo sguardo verso André, poi tentò di andarsene via, lontano dalla portata del suo abbraccio.

Nella ressa perse quasi l'equilibrio, maledisse la dannata idea di giungere alla sala del processo in uniforme.

Si sentì chiamare ma le voci si facevano via via più lontane, ovattate, come ingoiate da un gigantesco mostro che a breve avrebbe inghiottito anche lei.

Le teste di Medusa l'avvolgevano…

Sollevò gli occhi un istante, la mano annaspò nel vuoto…

Cadeva…

Si ritrovò trattenuta e stretta. L'abbraccio fermo la sollevò un poco, mentre la vista ormai compromessa scorgeva unicamente la strada avanti a sé aprirsi nell'agitarsi delle uniformi blu di quelli che riconobbe i Soldati della Guardia Metropolitana, forse proprio quelli per i quali lei aveva messo una buona parola per essere assunti nella Compagnia B, di stanza a Parigi.

La mano ferma del Soldato Gustav Dumas la sorresse, sguardo severo ma compassionevole, e l'altro braccio ad arrabattarsi a tenere indietro la gente inferocita, che qualcuno non avesse mai ad accorgersi che quella era una donna e non un uomo e che era una donna vestita in uniforme…

L'amante della regina…

Un altro soldato sputò a terra…

Era Dante Renard…

Non è che a loro importasse della questione, ma insomma almeno lì, in quel frangente, ci sarebbe stato modo di ricambiare il favore, così che i conti si sarebbero chiusi, e ognuno avrebbe ricevuto ciò che aveva dato.

Alain Soisson s'incaricò di fare strada.

André scorse la scena e al contempo vide Victoire e Argo spaventati…

Scelse…

Che non aveva scelta…

Corse dai figli per tirarli fuori dalla bolgia.

"Che cos'hai fatto?!" – una domanda ch'era disgustosa constatazione….

Augustin Jarjayes s'accorse che Marguerite era lì, a poca distanza da sé e Madame Aleksandra Roma. Lasciò la presa ch'ebbe il dubbio che Roma fosse lì, a godere di quella stretta vigorosa e sprezzante, come se oramai il disprezzo fosse l'ultimo appiglio per tenere legato a sé l'uomo che un tempo aveva amato.

Marguerite tentò di comprendere…

Roma affondò le parole, un misto di compassionevole biasimo e rancida vendetta – "Che cos'hai fatto tu Augustin!? Come hai potuto crescere tua figlia come un maschio, metterle addosso un'uniforme, esporla a simili dicerie capaci di compromettere addirittura Sua Maestà la Regina di Francia?!".

Jarjayes sentì venir meno il respiro.

Marguerite era lì, l'aveva avuta accanto per tutta la vita, silenziosa compagna di quell'assurda e folle scelta che aveva mutato per sempre il destino dell'ultima figlia.

"Oscar…lei non è…" – balbettò Jarjayes come instupidito.

"Ascolta…la contessa de la Motte mi ha solo esposto un dubbio, spiegandomi ciò che avrebbe detto in sua difesa e io sinceramente non me la sono sentita di negarle questa informazione. Così le ho confermato che il superiore di suo marito è una donna".

"Ma non…".

"Ebbene…io non ho colpa…la contessa aveva già in mente questa strategia. Oscar François de Jarjayes, tua figlia, è l'amante della regina di Francia! Questo avrebbe detto al processo. Ed io non me la sono sentita di dirtelo prima. Mi pareva talmente grave la cosa…ho pensato che ti avrebbe turbato in maniera tale…".

Jarjayes corse con gli occhi alla moglie.

Marguerite sentì venir meno la terra sotto i piedi…

La valanga di fango rovinò addosso, che Jarjayes la tenne stretta, in un soffio, prima che quella rovinasse a terra davvero.

Roma intuì il pertugio, compose la vendetta, scardinò la fede dell'uomo nella propria scelta e nel proprio orgoglio, lordando la purezza della figlia, e così del padre e di tutta la sua famiglia.

"Ebbene, una simile diceria purtroppo non la s'inventa dall'oggi al domani!" – affondò commossamente spietata – "La Regina di Francia ha molte favorite. Ma nessuna di queste veste un'uniforme e si atteggia a comportamenti maschili. Converrai che uno scenario del genere non sarebbe mai passato inosservato e prima o poi qualcuno ne avrebbe approfittato. Qualcuno avrebbe composto l'immondo quadro. Ebbene la Contessa de la Motte ha semplicemente deciso di usarlo…".

"Che cos'hai fatto?!" – ripeté Jarjayes ormai distrutto.

"Ma c'è una soluzione! Ebbene non c'è da temere….".

"Che stai dicendo?!".

"Victor Girodel l'ha chiesta in moglie…" – s'accanì Roma – "Tua figlia sposerà Victor Girodel e io ho semplicemente offerto la mia casa per le loro nozze. Lontano da Versailles, lontano dalla reggia e dal clamore. Oscar François de Jarjayes non sarà più l'amante della regina ma una donna qualsiasi, sposa di un nobile qualsiasi. La distoglierai dal destino infame che le hai cucito addosso e così farai ammenda del tuo peccato. Perché dovrei pentirmi di ciò che ho fatto? Tua figlia è salva!".

Jarjayes tenne stretto a sé il corpo della moglie che pareva inabissarsi entro una tetra voragine.

"Vattene!" – digrignò furente, intuendo lo scopo di Roma. Ormai l'antico amore era perduto, degnamente sostituito dal rancore e dall'invidia.

"Sta bene! Tieni a mente che forse in questo frangente è bene amare i propri figli per ciò che sono e non per ciò che noi vorremmo che fossero. Sei sempre stato un grande egoista Augustin Reynier de Jarjayes. Persino tua moglie deve aver sofferto tanto per la tua decisione. Allora perché non porvi rimedio?!".

Augustin rimase a terra, il ginocchio a sorreggere Marguerite, le braccia ad abbracciarla.

La chiosa colpì, che glielo chiese, muto, s'era vero che lei avesse sofferto, come ora stava accadendo, per la decisione ormai perduta nel passato.

Non ci aveva pensato spesso…

Non gli era mai interessato.

Come non interessava a Medusa, ormai libera, lo sguardo a pietrificare i sensi, le spire a soffocare il respiro.

Bernard ammise che non era quello il genere di notizia che si sarebbe mai aspettato di scrivere.

Ma convenne che se anche lui si fosse rifiutato di metterla nero su bianco, qualcun altro l'avrebbe fatto.

Di certo Rosalie non gliel'avrebbe mai perdonato.

E Victoire e Argo…

Appoggiata al muro…

Le parole riecheggiavano nella testa…

E nonostante indossi abiti maschili…è una donna autentica…

Sua Maestà ha fatto vestire la sua amante come un uomo e l'ha tenuta accanto a sé come compagna di giochi…

Alain Soisson osservò colei che si trovava di fronte, trascinata di peso fuori dal caos in cui era piombata la sala ove si tenevano le ultime battute del processo.

"In fondo…" – ammise sprezzante, nemmeno lui conscio se per spezzare la tensione o vendicarsi davvero – "Voi per prima ci avete fatto credere di essere un uomo…a Brest…".

Oscar sprofondò.

Era una bugia, una pura menzogna. Non era lei il bersaglio ma Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.

Lei aveva giurato di proteggere la regina…

Mai avrebbe immaginato d'esser lei stessa, ciò che era stata fino ad allora, quel fango…

Sentì che scivolava…

Sentì la nausea salire…

Si voltò per nascondersi…

Udì la voce di André…

Udì il passo…

Udì lo sporgersi della mano…

Udì…

Dentro di sé…

Chi era davvero…

"Va' via!" – sputato secco…

"Ecco…ci risiamo!" – chiosò Dante che nel frattempo s'era sbracciato per far segno a Marcel Duval, ch'erano tutti lì, a far quadrato attorno a quella che era davvero un ufficiale, anche se era una donna – "Proprio come a Brest! Solo che stavolta siamo a rovescio!".

André fece un altro passo…

"Oscar…sono menzogne…dette per infangare il nome della regina".

"Non ti ho chiesto nulla…saprò uscirne…".

"Non farlo…" – implicita richiesta, che lei comprese, che André sapeva e di nuovo pareva orientare le sue scelte.

"Sono libera. Me lo hai detto tu stesso…".

"Non fino a questo punto" – sibilò lui – "No…perdonami…intendevo…non…".

Perdonami…

Non farlo…

Non per causa mia…

Non per ciò che sei…

Quale dannata giustificazione o ragione avrebbe mai potuto trovare per impedirle di…

Il passo moltiplicato, un drappello di Guardie Reali…

I soldatacci della Guardia Metropolitana cedettero a loro volta il riquadro di palcoscenico.

Victor Girodel si fece avanti.

André Grandier non arretrò ma l'altro non fece caso a lui, chinandosi sull'altra, senza nemmeno profferire una mezza parola, come non ce ne fosse bisogno.

Una mano alla schiena, una mano alla mano…

"Vieni via…".

Dante Renard sgomitò a Marcel Duval - "Vuoi vedere che quell'idiota di André se la fa soffiare da sotto il naso un'altra volta?".

"Taci!" - starnazzò Marcel indispettito – "Che i nobili si sollazzino tra di loro! Una donna che veste da uomo a me potrebbe anche stare bene. Ma che sia pure l'amante della Regina…".

"Non avrai creduto a quell'idiozia? Ma l'hai vista bene!?".

"Caz…certo che l'ho vista! Ma…debbo ammetterlo! Secondo me quella farebbe tremare le gambe a me come a una regina…".

"Senti…non ricominciare con la solita storia! Però…prima quella donna fingeva di essere un uomo e l'avevamo persino creduto il damerino con cui si sollazzava quel Fersen…che poi dicono che anche quello sarebbe stato un amante di Maria Antonietta!" – prese a farfugliare Dante – " Adesso salta fuori che il damerino - che è una donna - sarebbe pure l'amante della regina? La regina ha già il suo amante svedese" – che lo sguardo cadde su quella che se ne stava lì, muta, sguardo sgranato di rabbia, perché una calunnia non la si può abbattere con una sciabolata – "Idiota sarai tu!".

"Ecco…dunque…sempre con un'amante si sollazza quell'austriaca!".

Il soffio delle parole s'abbatté addosso come tempesta ancestrale.

S'immaginò che suscitare sdegno, rabbia, pena, non faceva per lei…

Doveva andare via da lì.

Anche André comprese che tenerla lì sarebbe equivalso a distruggere per sempre la sua aura, la sua imperfetta purezza.

Fece un passo indietro, cedette spazio, così che Victor Girodel la conducesse via.

Di nuovo…

Di nuovo…

§§§

2 june 1786…

Dio…

Non gliel'hai neppure domandato!

Non ne hai più il diritto!

Vorresti davvero sposare Victor Girodel?

Ne sei innamorata?

Non ne hai più il diritto!

Non ora, non più…

31 mai 1786...

Le Cardinale de Rohan era stato dichiarato innocente.

Putiferio di giubilo…

Smacco alla regina che vedeva salvo il suo peggior nemico…

La Comtesse Jeanne de la Motte era stata dichiarata colpevole.

Putiferio di sdegno…

Smacco alla regina che vedeva infangato il proprio nome, molto peggio che per una truffa e per un furto, che lei li aveva subiti entrambi, ma no, nessuno le credeva più, la regale figura ne usciva lorda e appassita, mentre la contessa finiva quasi martire, perseguitata dai potenti, perché aveva avuto il coraggio di parlare, infangare quello stesso potere su cui si era tentato di riversare la colpa.

Jeanne de la Motte era stata dichiarata colpevole perché non lo fosse Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, che poi nessun tribunale avrebbe mai potuto processare un re o una regina.

Lo smacco più fondo, le teste di Medusa presero a correre forsennate per le vie di Parigi, infilandosi a Palace Royale presso i salotti ove si ospitavano letterati e studiosi, politicanti e avvocati.

Perché mai un re o una regina non avrebbero potuto subire un processo come un qualsiasi altro cristiano sulla terra di Francia?!

Dio…

Quel giorno…

Così presto?

Doveva essere stato per via delle parole della de la Motte…

Suo padre doveva essersi infuriato…

Non c'era nessun'altra ragione perché quel matrimonio si celebrasse proprio quel giorno, così in fretta da che ne era circolata solo la pallida voce.

Non ti sposare!

Non farlo!

Non devi!

Non a causa mia!

Non per via del mio amore!

Non perché vorrei che tu fossi libera!

E nemmeno perché vorrei che mi amassi…

E allora sarebbe la fine…

Troppe volte aveva ceduto, troppe volte si era arreso a lei e contro di lei.

Troppe volte aveva mistificato l'amore scambiandolo per il bene.

Troppo tardi…

Troppo tardi…

Il passo corse, non appena il sole accennò ad alzarsi, ch'era stato tutta la notte sveglio, incredulo d'esser stato così cieco e sordo e idiota.

Il passo corse, il piccolo falco sgusciò dalla veglia del giovane indiano e spiccò su, in volo, verso l'alto, a seguire docile, il passo faticoso e folle del padrone giù in basso.

Il passo corse e se avesse potuto sarebbe volato anche lui…

Era ancora presto, il rito celebrato nelle prossime ore, che lui non l'aveva più rivista, non l'aveva più trovata.

Quindi lei sarebbe stata lì…

Il tempo che gli invitati giungessero…

Il tempo d'abbellire la sala, accogliere gli ospiti…

Il passo corse, non gli pareva neppure d'esser lui, davvero lui, che lui l'aveva amata sempre ed era inimmaginabile adesso esser lì a correre per impedirle di sposarsi, che aveva avuto mille occasioni per dirglielo e non l'aveva fatto e non l'aveva nemmeno ascoltata quando era stata lei ad implorarlo di fermarla.

S'immaginò André Grandier, come avesse vissuto lei quelle ore, da che era sgusciata via, sorretta da Girodel, tre giorni prima, appena dopo che l'aula del processo era stata sgomberata per via della ferocia con cui i parigini avevano accolto le rivelazioni de la Comtesse de la Motte.

L'amante della regina era una donna vestita da uomo, in uniforme…

Doveva esser stato per quello…

Doveva essere stato per soffocare lo scandalo…

Dunque non ci sarebbe mai stata tregua?

E se invece davvero Oscar avesse scelto di unire il proprio destino a quello di Victor Girodel?

Il passo s'arrestò.

Il falco fece due o tre giri prima di andarsi ad appollaiare sopra una delle guglie di Saint Eustache.

Non poteva crederci.

Lo sguardo corse al vialetto d'ingresso dell'edificio ove era corsa voce si sarebbe celebrato il matrimonio, un palazzo confinante con le mura di Saint Eustache.

Quasi che il matrimonio avrebbe beneficiato dell'aura di santità, profusa dalla vicinanza all'edificio religioso.

André gridò…

Gridò perché si era reso conto che la voce dell'altra gli rimbombava nella testa e quella voce diventava sempre più flebile e lontana. Come se lei stesse morendo.

Non avrebbe perduto la vita, per davvero, ma avrebbe perduto l'essenza di sé, ribelle ma ligia alle regole, paziente ma furibonda, amorevole ma gelida, fragile ma forte al tempo stesso.

E lui avrebbe perso il suo amore, chiunque fosse stato lui e chiunque fosse stata lei.

Il passo s'arrestò che per poco André non cadde a terra, ricacciato indietro dal solido acciaio della punta d'una baionetta.

L'ardito raggio di sole rimbalzò sul metallo, abbagliando la vista per qualche istante, che dopo aver messo a fuoco, si rese conto che c'erano alcune guardie a presidiare l'ingresso dell'edificio.

Strana assonanza tra il blu delle divise di alcuni Soldati della Guardia Metropolitana e il bianco dei gigli e il rosa delle peonie che turbinavano dalle anfore esotiche posizionate ad abbellire il viale che conduceva allo scalone d'entrata.

Il falco piombò giù contro l'acciaio, impalpabile volo d'una incantevole creatura incapace di nuocere ma capace di stupire.

"Di nuovo quella dannata bestia!".

"Alain!" – André riprese coraggio nello scorgere il compare di un tempo – "Che diavolo ci fate qui?".

"Secondo te!?" – sputò quello per nulla soddisfatto della mansione assegnatagli.

Lo sguardo atterrito mise a fuoco gli altri compari, sempre gli stessi, oltre ad altri soldati, in tutto una decina, che temporeggiavano all'ingresso dell'edificio, mimando un'insolita guardia, a un banalissimo evento come un matrimonio.

"Siete…Soldati della Guardia Metropolitana…che ci fate qui…davanti a questa casa?!" – balbettò stranito, per poi riaversi e comprendere che quelli erano soldati e i soldati di solito stanno di guardia, se non che non c'era tempo - "Dovete lasciarmi passare!".

Prese coraggio…

Tentò d'aggirare l'acciaio…

"Ecco…vedi…" – ruggì Alain – "Guarda te se quando mi sono arruolato mi sarei mai immaginato di finire a fare la guardia a una casa di nobili?! Per via di due dannati aristocratici che verranno a nozze! E se sei qui…mi sa tanto che una dei due la conosciamo tutti!".

"Lasciami passare!".

"No! Ho degli ordini da rispettare".

"E da quando ti sei messo a rispettare gli ordini?!" – sibilò André incredulo, che però non era poi così assurdo quel che stava accadendo – "Senti, non farò nulla di sconveniente".

Rise Marcel, sgominandosi con Dante - "Sì! Tanto quel che c'era da fare di sconveniente…già l'hai fatto a Brest!".

André forzò di nuovo…

Il falco spiccò il volo, scomparendo entro la boscaglia che teneva l'edificio nascosto entro la rigogliosa e piena vegetazione estiva.

La baionetta tornò a pungere, come serpe che attacca l'aggressore…

"Dannazione Grandier!" – sputò Dante – "Quando la finirai? Te la sei fatta soffiare da sotto il naso troppe volte…perché adesso non ti rassegni? Converrai che se qui si sta tenendo un matrimonio, forse quella donna avrà deciso di mettere la testa a posto! L'altro giorno l'abbiamo vista…l'amante della regina…come sarebbe accaduto che quella fosse trascinata così in basso?".

"L'hai detto…l'hanno trascinata! Tu ci credi che lei sia davvero ciò che dicono?".

"No, ma forse ha deciso che non le conviene più vivere cacciata dentro un'uniforme! Ci si sperava tutti, che quella sarebbe stata un buon comandante…persino io ormai l'ho ammesso! Ma vedi, è una donna, e le donne alla fine si vendono per poco…".

Che il pugno volò in aria e i soldati questa volta se lo presero sottobraccio, André Grandier, trattenendolo, perché non colpisse di nuovo Dante.

"Non t'arrabbiare!" – sputò il soldato – "Intendevo che pure quella avrà visto che è impossibile vivere in un covo di serpi come la reggia! E allora…forse un marito le farà comodo pure a lei! Un marito sarà capace di tenerle testa…ma anche proteggerla…non credi? Quale uomo sarebbe così pazzo da sposare una donna ch'è stata appellata l'amante della regina!? E che prima dell'amante della regina, s'era pure fatta passare per un uomo, capace di star dietro a quel nobile svedese…che poi sarebbe davvero l'amante della regia!?".

"Sono tutte idiozie! Non ho tempo adesso! Lasciami passare!".

"Non possiamo!" – intervenne Marcel – "Abbiamo ricevuto l'ordine di non far passare nessuno!".

"E non ti sembra assurdo che un uomo che tu definisci tanto eroico da prendere in moglie una donna ch'è stata appellata come l'amante della regina…un uomo del genere debba mettere soldati a presidiare il suo matrimonio?" – riprese André, ondeggiando, sempre più senza respiro, mentre le campane di Saint Eustache prendevano a muoversi, ondeggiando anch'esse, colpite dai raggi del sole più alto, emanando rintocchi lucidi, a breve seguiti dallo scampanio delle altre chiese.

"No! Per niente! Se dovessi prender moglie…inviterei tutti…tutti quelli che conosco e quelli che non so nemmeno che faccia hanno o con che voce vanno cianciando per il mondo! E questo perché tutti sappiano e vedano chi è colei che mi prendo con me, nella mia vita…" – avanzò Marcel, la voce tremava di rabbia perché nemmeno lui approvava di mettersi in mezzo – "Ma io sono un plebeo…che ne so perché i nobili si sposano così!? Con i soldati a guardargli le spalle?".

"Perché quell'uomo ha paura!" – sibilò André – "Non certo di me".

"E di chi allora?".

"Di lei…perché lei…".

Lo stridio acuto risorse sopra lo scampanio argentato e cacofonico…

Alain per poco non si ritrovò la faccia graffiata dagli artigli della bestiola che tentò di scansar da sé.

Un passo indietro, Marcel indietreggiò a sua volta, spingendosi contro l'altro, mentre Dante e Gustav arretrarono dal lato opposto…

Nello scompiglio idiota…

Nell'assurda sceneggiata…

"Muoviti!" – all'unisono, che André prese a correre, fendendo gli altri soldati…

"Lasciatelo passare!" – in coro – "Ch'è invitato pure lui ma ha fatto tardi!".

Si sgranò il gruppetto di soldati mentecatti…

Il piede appeso al vento…

"Non ti sposare…Oscar!".

La voce rincorse la eco delle stanze quasi vuote.

Non c'erano invitati, solo altre anfore color terra di Siena e testa di Moro ad abbellire uno strano sentiero che conduceva entro il giardino interno della casa, una specie di fazzoletto di terra ingentilito da aiuole di rose e petunie e ortensie, sapientemente imposte l'una all'altra, così che le tinte si mescolassero in tonalità crescenti di rosa e d'azzurro.

Un altro passo…

Scorse l'effige da lontano…

Riconobbe Victor Girodel…

Riconobbe Oscar François de Jarjayes…

Lui vestiva in uniforme, lei indossava un abito da cerimonia, il taglio maschile, sobrio, velluto azzurro cielo e sbiaditi ricami d'oro…

Una pazzia…

Il passo interrotto dal passo dell'ospite, la padrona di casa, furiosa e compassionevole al tempo stesso, occhi viola di tempesta imminente e tramonto perduto.

Il passo interrotto e lo sguardo sprezzante verso quello ch'era entrato…

Il guizzo…

Una vendetta interrotta sarebbe stata ancora più fonda…

Sarebbe bastato lasciare intuire la presenza dell'uomo da cui Oscar François de Jarjayes aveva tentato di fuggire, rifugiando il proprio orgoglio entro le mani dell'uomo che aveva accettato di sposare.

Sarebbe bastato lasciare che l'Amore facesse il suo corso…

Madame Roma Aleksandra Lemonde convenne di volere di più adesso, molto di più.

"Oscar!".

André si ritrovò il cammino sbarrato da Madame Roma…

Il nome gridato…

Era sufficiente il nome.

Quel nome gridato…

*Dialoghi tradotti dalla versione giapponese sub english.

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